AL 3/4, 2007

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AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi

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Direttore Responsabile Giuseppe Rossi Direttore Maurizio Carones Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione Igor Maglica (caporedattore) Irina Casali, Martina Landsberger, Cinzia Lepido Direzione e Redazione via Solferino 19 – 20121 Milano tel. 0229002165 – fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione@consulta-al.it Progetto grafico Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa Gruppo Mancosu Editore srl via Alfredo Fusco 71/a – 00136 Roma tel. 06 35192255 – fax 06 35192260 e-mail: mancosueditore@mancosueditore.it http://www.mancosueditore.it Concessionaria per la Pubblicità - istituto servizi immagine srl

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EDITORIALE FORUM Lavorare all’estero interventi di Leopoldo Freyrie, Antonio Borghi, Jean François Susini, Wolfgang Haack, Pierre Henri Schmutz, Alain Sagne, Luciano Lazzari, Fabian Listeri, Olgierd Dziekonski

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FORUM ORDINI Bergamo Brescia Como Cremona Lodi Mantova Milano Monza e Brianza Pavia Sondrio Varese

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OSSERVATORIO Argomenti Concorsi Riletture Libri Mostre

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PROFESSIONE Legislazione Normative e tecniche Organizzazione professionale Strumenti

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INFORMAZIONE Dagli Ordini Dalla Consulta

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INDICI E TASSI

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INDICI 2006

3/4 MARZO/APRILE 2007

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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: segreteria@consulta-al.it Presidente: Giuseppe Rossi; Vice Presidenti: Achille Bonardi, Ferruccio Favaron, Giorgio Tognon; Segretario: Sergio Cavalieri; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Emiliano Campari, Stefano Castiglioni, Angelo Monti, Biancalisa Semoli, Giuseppe Sgrò, Daniela Volpi

Errata corrige Al seguito di un disguido, nei numeri 10, 11 e 12 (2006), non è stato riportato l’aggiornamento relativo all’attuale composizione del Consiglio dell’Ordine di Bergamo già correttamente pubblicato sul numero 8/9. Ci scusiamo per l’inconveniente.

Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidenti: Paola Frigeni, Angelo Mambretti; Segretario: Elena Zoppetti; Tesoriere: Gianfranco Bergamo; Consiglieri: Matteo Calvi, Enrico Cavagnari, Stefano Cremaschi, Vittorio Gandolfi, Alessandro Pellegrini, Attilio Pizzigoni, Francesca Rossi, Mario Salvetti, Italo Scaravaggi, Carolina Ternullo (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Stefania Annovazzi, Umberto Baratto, Franco Cerudelli, Laura Dalé, Antonio Erculani, Paola Faroni, Franco Maffeis, Donatella Paterlini, Silvia Pedergnaga, Enzo Renon, Roberto Saleri (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Angelo Monti; Vice Presidente: Chiara Rostagno; Segretario: Margherita Mojoli; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Angelo Avedano, Antonio Beltrame, Alessandro Cappelletti, Laura Cappelletti, Enrico Nava, Michele Pierpaoli, Andrea Pozzi (Termine del mandato: 15.3.2010) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Gian Paolo Scaratti; Segretario: Federica Fappani; Tesoriere: Luigi Fabbri; Consiglieri: Luigi Agazzi, Giuseppe Coti, Davide Cremonesi, Antonio Lanzi, Fiorenzo Lodi, Fabio Rossi, Paola Samanni (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.ordinearchitettilecco.it Presidenza, segreteria e informazioni: ordinearchitettilecco@tin.it Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidenti: Massimo Dell’Oro, Elio Mauri; Segretario: Marco Pogliani; Tesoriere: Vincenzo D. Spreafico; Consiglieri: Ileana Benegiamo, Fernando Dè Flumeri, Massimo Mazzoleni, Elena Todeschini, Diego Toluzzo, Alessandra Valsecchi (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Antonio Muzzi, Massimo Pavesi, Fabretta Sammartino, Ferdinando Vanelli (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Enrico Rossini; Tesoriere: Manuela Novellini; Consiglieri: Lara Gandolfi, Cristiano Guernieri, Filippo Mantovani, Giuseppe Menestò, Sandro Piacentini, Alberta Stevanoni, Luca Rinaldi, Nadir Tarana (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidenti: Marco Engel, Silvano Tintori; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Adalberto Del Bo, Alessandra Messori, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Alberto Scarzella, Giovanni Edoardo Zanaboni, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 20.12.2009) Ordine di Monza e della Brianza, fax 039 3309869 www.ordinearchitetti.mb.it Segreteria: segreteria@ordinearchitetti.mb.it Presidente: Biancalisa Semoli; Vice Presidenti: Massimo Caprotti, Alberto Poratelli; Segretario: Pietro Giovanni CicardI; Tesoriere: Paolo Vaghi; Consigliere: Angelo Dugnani, Ezio Fodri, Clara Malosio, Maria Rosa Merati, Fabiola Molteni, Roberta Oltolini, Federico Pella, Giovanna Perego, Francesco Redaelli, Francesco Repishti (Termine del mandato: 1.2.2010) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.ordinearchitettipavia.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Fabiano Conti, Maria C. Dragoni, Maura Lenti, Gian Luca Perinotto, Giorgio Tognon, Alberto Vercesi (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Giuseppe Sgrò; Vice Presidente: Giovanni Vanoi; Segretario: Aurelio Valenti; Tesoriere: Claudio Botacchi; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Marco Ghilotti, Enrico Scaramellini, Laura Trivella (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Laura Gianetti; Tesoriere: Pietro Minoli; Consiglieri: Luca Bertagnon, Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Antonio Bistolettil, Emanuele Brazzelli, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni, Adriano Veronesi (Termine del mandato: 15.10.2009)


Beppe Rossi Presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti

3 EDITORIALE

Il disagio che sempre più intensamente si percepisce tra chi si occupa quotidianamente del “progettare”, è indicativo di un momento particolare, o se volete di una fase storica, dove l’architetto (leggi progettista), stenta a riconoscersi quale elemento cardine in un processo produttivo che riguarda il mondo della progettazione. E mi spiego. Se fino ad una decina di anni fa la nostra professione era principalmente un’attività di tipo creativo, dove il professionista poteva dedicarsi nella quasi totalità ad esprimere il meglio delle proprie capacità nel “progettare”, oggi si trova soverchiato da mille altre incombenze che lo costringono per buona parte del tempo a produrre carta, certificazioni e dichiarazioni al contorno. Sì, è vero, la qualità del costruito mediamente è migliorata, grazie anche alle numerose leggi che negli ultimi anni hanno portato il sistema edilizio ad evolversi in maniera esponenziale. Ma è legittimo chiedersi se il disagio sia dovuto alla difficoltà dei progettisti che stentano ad adeguarsi alle sempre più incalzanti normative, oppure tutto ciò deriva dalla parte “burocratica” del processo progettuale che è preponderante. E mi chiedo: le normative che si susseguono insistentemente in materia di risparmio energetico, acustica, urbanistica, beni ambientali, regolamenti igienici sanitari, prevenzione incendi, sicurezza nei cantieri, che per molti aspetti, come prima dicevo, contribuiscono a migliorare il processo edilizio, non tendono forse anche ad affossare la qualità progettuale, costringendo il progettista a concentrare le proprie energie principalmente sull’aspetto normativo? Ovviamente qualcuno potrebbe obiettare, a ragione, che il processo edilizio ha bisogno di tutto questo per aumentare il livello qualitativo del costruito. Ma questa “pressione” legislativa non contribuisce forse a far sì che i piccoli studi professionali vadano a scomparire a vantaggio di chi, meglio strutturato, (leggi società di ingegneria), può affrontare con diverse figure professionali le problematiche al “contorno”? Forse questo processo sta avvenendo senza che ce ne rendiamo perfettamente conto. Forse si sta anche esagerando dal punto di vista della produzione normativa e probabilmente dovremmo più approfonditamente riflettere su ciò che nel nostro paese sta accadendo nei confronti delle Professioni. L’impressione poi, che ci sia una Nazione che vada a due diverse velocità, il nord con l’applicazione maniacale delle normative ed il sud con un sistema più accondiscendente nell’utilizzo delle stesse, non risulta così peregrina. Domandiamoci quale autonomia decisionale l’architetto ha oggi nel gestire il processo progettuale. Ogni piccola variante in corso d’opera, ogni decisione scontata che comporta cambiamenti anche banali, deve essere preventivamente autorizzata ad esempio da una Soprintendenza, deve essere sottoposta a mille cavilli igienicosanitari, deve essere vagliata attraverso interpretazioni legislative e normative di qualche funzionario che spesso non ha la preparazione e le capacità per affrontare il problema. Domandiamoci quale forza contrattuale ha la nostra categoria professionale. Forse il chirurgo durante un’operazione, a fronte di un imprevisto è costretto ad interrompere l’intervento per chiedere al direttore sanitario l’autorizzazione a procedere in maniera diversa? Siamo professionisti abilitati a svolgere autonomamente una professione o applicatori di norme? Spero che queste brevi riflessioni possano far scaturire un dibattito attraverso la nostra rivista e che, con il contributo di altri colleghi, si possano meglio focalizzare le ragioni di questa inquietudine, una sensazione che si percepisce e che probabilmente deve essere ancora metabolizzata. Sono certo che per meglio comprendere questi problemi, sarà quindi interessante conoscere, attraverso questo numero di “AL”, l’esperienza dei nostri colleghi che lavorano all’estero.


Lavorare all’estero

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Nel Forum di questo numero pubblichiamo una conversazione con il presidente, alcuni membri del consiglio direttivo e il segretario generale dell’ACE-CAE (Architects Council of Europe-Consiglio degli Architetti d’Europa) sulla dimensione europea della professione. Di seguito, intervengono: Jean François Susini (Francia), presidente dell’ACE; Wolfgang Haack (BAK, Germania), coordinatore dell’area tematica che si occupa dell’accesso alla professione; Pierre Henri Schmutz (CSA, Svizzera), coordinatore dell’area tematica che si occupa della pratica professionale; Alain Sagne (Francia), segretario generale dell’ACE; Luciano Lazzari (CNAPPC, Italia), vice presidente dell’ACE; Fabian Listeri (CSCAE, Spagna), membro del Consiglio direttivo dell’ACE; Olgierd (Roman) Dziekonski (IARP, Polonia), coordinatore delle commissioni ACE sul ruolo dell’architettura nella società. La conversazione è stata curata da Antonio Borghi, presidente del Gruppo di Lavoro Questioni Urbane dell’ACE-CAE Sezione Italia, Area Architettura e Società e consigliere dell’Ordine degli APPC di Milano. Introduce Leopoldo Freyrie, già presidente dell’ACE Italia e vicepresidente del CNAPPC. Ringraziamo tutti i partecipanti per la loro collaborazione.

Il Consiglio degli Architetti d’Europa di Leopoldo Freyrie

Il Consiglio degli Architetti d’Europa dalla sua fondazione è progressivamente cresciuto, assumendo sempre di più il suo naturale ruolo di interlocutore delle istituzioni comunitarie. È riuscito a fare ciò perché ha saputo coniugare i compiti di promozione e comunicazione del ruolo professionale dell’architetto con la partecipazione attiva alla discussione sui temi di interesse generale per la comunità degli Stati dell’Unione Europea, come quelli del futuro delle città o della sostenibilità dello sviluppo. La capacità del CAE di promuovere assieme la categoria degli architetti e la cultura dell’habitat ha dimostrato agli interlocutori istituzionali e politici l’utilità di ascoltare ciò che gli architetti europei hanno da dire. Come tutte le organizzazioni rappresentative delle professioni, in questi anni il CAE ha dovuto affrontare, risolvendolo positivamente, il problema di trasformarsi in una organizzazione adeguatamente rappresentativa della realtà degli architetti europei; nello stesso tempo si è ben organizzato per poter discutere e influenzare le proposte e le decisioni in merito alle trasformazioni del mestiere indotte dai fenomeni di integrazione europea e globalizzazione economica. Il bilancio dei risultati di questi anni di politica in Europa è stato, per il CAE, positivo: ciò è dovuto non solo alla passione di tanti colleghi che hanno dedicato il loro tempo alla comunità degli architetti, ma anche dall’aver tenuto saldo, nell’affrontare i più diversi temi e problemi, l’alto senso dell’etica del nostro mestiere e l’amore per l’architettura.

Gli architetti e l’Unione Europea a cura di Antonio Borghi

Che cosa è l’ACE? Il Consiglio degli Architetti d’Europa è l’organo di rappresentanza della professione a livello europeo e riunisce 43 membri in rappresentanza di 31 Paesi. Queste organizzazioni nazionali costituiscono sia l’organo di rappresentanza che quello normativo della professione e in questo senso l’ACE, tramite i propri membri, rappresenta i circa 450.000 architetti operanti in Europa. Obiettivo principale dell’ACE è rappresentare adeguatamente il punto di vista e le politiche della professione di fronte alle istituzioni dell’Unione Europea. L’ACE, inoltre, promuove attivamente la consapevolezza dei benefici che la qualità architettonica può avere nella vita dei cittadini europei. La Comunità Europea sta rapidamente crescendo e il suo ruolo di regolamentazione è sempre più complesso. Come si comporta nei confronti della professione di architetto? Jean François Susini: L’allargamento della Unione Europea è il risultato degli obiettivi che ci si è posti con il Trattato di Roma. Nell’era della globalizzazione è logico indirizzarsi verso una Unione Europea più ampia in modo da poter garantire agli Stati Membri un maggiore potere economico sui mercati internazionali. Pertanto, è corretto dire che la Unione Europea sta acquistando maggior peso in campo normativo, ma bisogna anche tenere presente che questo ruolo è attenuato dall’esigenza di ottenere l’unanime approvazione degli stati membri. Per quel che riguarda la professione dell’architetto si può dire che il rapporto con le istituzioni comunitarie e l’apparato legislativo indirizzato alla professione è generalmente positivo, di buona collaborazione. Evidentemente ci sono eccezioni, anche di rilievo, ma, tramite l’ACE, è possibile mantenere un dialogo costante sui temi più importanti. Lavoreremo, in futuro realmente in una unica Comunità Europea o, invece, sono destinate a prevalere le differenze e gli interessi locali rispetto ai princìpi comunitari? J.F.S.: Leggendo i princìpi del Trattato di Roma, verrebbe da pensare che oggi anche la nostra professione dovrebbe svolgersi in uno spazio economico europeo unificato ma, come è indicato dalla domanda, le differenze fra gli Stati sono generalmente molto forti ed è quindi necessario lavorare molto per una valorizzazione dell’identità europea nel rispetto delle diversità culturali. Gli organismi di rappresentanza della professione stanno cercando di comprendere con maggiore chiarezza queste differenze in modo da poter individuare gli sforzi comuni necessari alla creazione di migliori condizioni per la professione a livello europeo.


Cosa si può dire a proposito delle tariffe professionali e della loro progressiva abolizione? J.F.S.: Si tratta di una questione delicata. In molti Paesi, Italia compresa, si applicava una tariffa professionale basata sulla percentuale dei costi di costruzione, ma la Commissione Europea considera questa pratica un ostacolo alla libera concorrenza e in una serie di casi la professione, ovvero i suoi organi rappresentativi nazionali, è stata richiamata e condannata per avere violato queste regole. Per non parlare del recente decreto in Italia. Per l’ACE è evidente che tali consuetudini verranno messe in discussione in ognuno degli Stati dell’Unione Europea, d’altra parte recenti sentenze della Corte europea dimo-

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strano che non è necessario arrivare alla completa abolizione delle tariffe. Detto questo l’ACE ha rilevato che, dove le tariffe professionali sono state abolite, il risultato è stato un innalzamento dei prezzi per il consumatore e, in alcuni casi, una diminuzione della qualità media delle prestazioni. Le tariffe minime verranno sostituite da un principio comune a livello europeo? J.F.S.: È evidente che quando le tariffe vengono abolite è necessario trovare un nuovo modello, trasparente e di facile applicazione, per il calcolo degli onorari in modo da garantire che gli architetti siano pagati adeguatamente per un servizio prestato con competenza e qualità. Per questo motivo l’ACE sta rivedendo, a partire da dati empirici, i vari metodi di calcolo delle tariffe dei singoli Paesi. Si spera di arrivare a fornire una serie di indicazioni per un modello europeo che, considerando il principio di sussidiarietà e le diverse tradizioni, non ostacoli alcuna legge o regolamento legato alla libera concorrenza e che, invece, possa essere utilizzata in ognuno degli stati della EU. Come stanno cambiando le regole di accesso alla professione? Avremo uno standard comune? Wolfgang Haack: Si tratta di temi fondamentali e di grande attualità rispetto ai quali l’ACE, e molti dei suoi membri, si confronta ogni giorno, anche se non è compito dell’ACE stabilire come cambieranno in futuro le regole di accesso alla professione. Questo argomento è di competenza di ognuno degli Stati membri: solo in questo modo le norme possono essere adeguate al contesto storico e culturale di ogni Paese. Ne consegue che è assai improbabile che si raggiunga uno standard comune

FORUM GLI INTERVENTI

In che direzione si sta muovendo la professione? Si tratta di una professione liberale/intellettuale oppure di una professione legata al mercato e orientata alla fornitura di servizi? J.F.S.: La domanda non è posta correttamente. Infatti, oggi la professione non si sta evolvendo in un’unica direzione nei vari paesi membri dell’EU. Le tradizioni di ognuno degli Stati membri sono così profondamente radicate che non è possibile affermare con sicurezza che la professione a livello europeo si sta muovendo in una direzione o in un’altra. Si può comunque dire che è in atto un dibattito riferito alla natura dei servizi dell’architettura e alla professione e che si è creato un largo consenso a livello europeo sulla definizione di architetto, sul suo ruolo e sui requisiti necessari per diventarlo. Al contrario in alcuni casi si riscontra una differenza significativa fra l’opinione che abbiamo di noi stessi e quella che ha di noi il cittadino ed è per il superamento di queste divergenze che dobbiamo impegnarci. L’ACE sta cercando di stimolare un dibattito di alto profilo sulle politiche e le regolamentazioni cui deve essere soggetta una professione comunque liberale (secondo la definizione della Corte di Giustizia Europea). Questo atteggiamento richiede una presa di posizione più solida, rispetto ad una professione che accetta il ruolo che le viene attribuito dall’industria delle costruzioni, come parte del processo produttivo per la realizzazione dello sviluppo urbano e industriale. Questi argomenti sono al centro del nostro dibattito e continueranno ad esserlo in futuro, almeno ancora per una generazione.


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europeo per l’accesso alla professione – anche se si tratta di una idea molto attraente dal punto di vista intellettuale. Riguardo a questo tema l’ACE è attualmente impegnato a riconoscere con precisione le differenze esistenti fra i diversi stati membri dell’EU in modo da potere, in un prossimo futuro, farsi avanti con delle indicazioni per la definizione della figura dell’“architetto europeo”. Le Facoltà di architettura forniscono una preparazione adeguata alla professione? W.H.: Anche per quel che riguarda le scuole di architettura, non è compito dell’ACE giudicare se siano di qualità soddisfacente o meno. Quello che riteniamo di grande importanza è che il tirocinio e la pratica professionale siano in simbiosi. Ognuno degli Stati membri ha il compito di organizzare la formazione alle diverse professioni e di salvaguardarne con attenzione gli standard qualitativi. Gli organismi di rappresentanza della professione possono attivarsi soltanto in casi eccezionali su questo tema e per questo l’ACE ha iniziato una collaborazione con l’Associazione Europea per l’Educazione Architettonica. I gruppi di lavoro di queste due associazioni si incontrano con regolarità per scambiare punti di vista e cooperare, secondo un interesse comune, su questo tema. Uno dei principali compiti assunti dall’ACE consiste nell’assistere i presidi delle scuole nell’approfondimento dei temi riguardanti la professione rispetto alle competenze acquisite dagli studenti di architettura al momento della laurea. Questa azione non permette di formulare alcun giudizio sulla qualità dell’insegnamento a scuola – questo è un compito della scuola stessa. In definitiva quello che è necessario fare è costruire una chiara distinzione in termini di accesso alla professione, fra i requisiti accademici e quelli professionali. Alla luce della libera circolazione dei professionisti e del vicendevole riconoscimento dei titoli professionali, oltre alle ulteriori applicazioni derivanti dal trattato di Bologna, questo si rende necessario, in modo da evitare qualsiasi sgradito fenomeno di “opposta discriminazione” nei confronti dei nostri colleghi e concittadini. La libera circolazione degli architetti in Europa è un bene o un pericolo per la professione? È effettivamente una realtà? Pierre Henri Schmutz: La professione dell’architetto è stata per secoli un mezzo di espressione dell’i-

dentità culturale e regionale. Per secoli si è trattato di una attività “multinazionale”, diffusa oltre ogni confine e ispirata al lavoro degli architetti su scala globale. L’ACE pensa che la libera circolazione degli architetti sia in Europa che in tutto il mondo sia una buona cosa. Il costante lavoro dell’ACE indirizzato alla negoziazione di accordi bilaterali con partners come gli USA, il Messico, il Cile, la Cina, fra gli altri, dimostra che questo punto di vista è condiviso dalle organizzazioni degli Stati membri dell’ACE. La seconda parte della domanda permette di mettere in luce come l’aspirazione ad avere la possibilità di spostarsi liberamente non sia ancora una vera e propria realtà. Questo è dovuto al fatto che gli Stati membri salvaguardano attentamente il diritto di decidere chi possa praticare la professione entro i loro confini. Inoltre il concetto di Unione Europea non è ancora completamente assimilato dai cittadini europei. Comunque recenti studi mostrano che le nuove generazioni di architetti (coloro che non hanno ancora compiuto trenta anni) non hanno alcuna difficoltà a lavorare in Paesi differenti da quelli in cui hanno studiato o in cui vivono. Chi sono i nostri maggiori concorrenti? Le imprese di costruzione? Oppure le altre professioni attive nell’ambito della progettazione, come quella degli ingegneri? Dobbiamo temere la colonizzazione da parte di architetti di altri continenti? P.H.S.: La professione dell’architetto, sebbene in molti Paesi sia regolamentata, è generalmente aperta a una larga gamma di professionisti qualificati. È un principio comune a tutti gli Stati europei che il titolo di architetto sia salvaguardato almeno da una condizione, e cioè che coloro i quali desiderano intraprendere una attività in campo


architettonico siano adeguatamente qualificati e abilitati. Nonostante ciò solo in uno o due Stati membri la professione di architetto è protetta da una specifica regolamentazione. Per questo tutti gli architetti europei sono in competizione con altre professioni attive nell’ambito delle costruzioni. Questa condizione è vista positivamente dall’EU poiché garantisce che il consumatore (il cliente) possa liberamente scegliere a chi affidare una prestazione progettuale. L’ACE e l’Organizzazione degli Stati membri hanno a lungo sostenuto che per meglio tutelare la salute e il benessere dei cittadini europei non sia opportuno permettere che l’ambiente costruito sia progettato da professionisti che non abbiano una preparazione specifica e di alta qualità in campo progettuale. La politica dell’ACE è volta a far sì che gli architetti siano protagonisti nel progetto e nella costruzione sia a scala edilizia che nell’ambiente urbano. Questo punto di vista si sta progressivamente rafforzando dal momento che almeno il 50% del tempo impiegato nell’educazione di un architetto viene dedicato all’attività progettuale. In questo modo gli architetti qualificati hanno un’alta capacità progettuale in grado di risolvere i problemi complessi connessi alla nuova edificazione, oltre a quelli riferiti alle opere di riabilitazione e di restauro e di rinnovamento urbano. È impossibile stabilire chi sia in Europa il più temibile concorrente dell’architetto perché questo varia da Paese a Paese. Possiamo comunque dire che, in questo momento, ci sono relativamente pochi architetti di altri continenti che offrono le proprie prestazioni in Europa. Come potremo essere competitivi in futuro? Lavorando in piccoli e flessibili studi oppure in grandi strutture? Alain Sagne: Per mantenere la propria competitività la professione dovrà dimostrare chiaramente di essere in grado di apportare un valore aggiunto. Questo significa che la professione ha la necessità di continuare ad essere innovativa, creativa e specializzata. In un mondo che si occupa sempre di più di sostenibilità e dell’impatto delle attuali attività per le generazioni future, la professione dell’architetto, caratterizzata dalla capacità di trasformare i problemi complessi in buone soluzioni, deve dimostrare come sia in grado di attribuire un valore aggiunto alla definizione dell’ambiente costruito. L’ACE è un’organizzazione in grado di promuovere idee innovatrici e sta andando in questa direzione. Questo si riflette nel lavoro che viene correntemente svolto dai suoi diversi gruppi di lavoro. Al giorno d’oggi non è possibile dire se in futuro sarà preferibile lavorare in una struttura piccola e flessibile oppure con una di grandi dimensioni. In effetti le indicazioni che ci vengono da questa prima metà del 21° secolo sembrano suggerire l’opportunità di migliorare la rete fra le piccole strutture. Questa sembra essere una possibile strada per il futuro. Dobbiamo specializzarci o essere generalisti? Il futuro dell’architettura è nell’Hi-Tech o nel Feng-Shui?

FORUM GLI INTERVENTI

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A.S.: Un ulteriore dibattito che l’ACE ha attualmente in corso riguarda l’organizzazione delle specializzazioni all’interno della professione. Si tratta di un argomento importante perché la società e il mercato considerano la specializzazione come una cosa positiva. Ciò si lega anche alla domanda precedente, perché una rete di attività architettoniche, ognuna dotata di una propria specificità, può essere in grado di offrire al cliente una più completa e più ampia gamma di servizi. È anche vero che in questo sembra esserci una tendenza, incoraggiata dalle grandi aziende e da parte del mondo politico, a favorire i grandi studi multidisciplinari piuttosto che le piccole strutture. Sebbene questo possa offrire al consumatore vantaggi in termini di costi e di tempi, non necessariamente è altrettanto valido per quel che concerne la qualità. In questo caso l’analogia con le attività commerciali – fra il negozio famigliare, di quartiere, e l’ipermercato – è appropriata. Infine, l’ACE non intende dare indicazioni sull’andamento futuro del mercato anche perché queste potrebbero essere intese come anti-competitive o, al contrario, come indicazioni di tipo corporativo. Sarà compito del singolo decidere che tipo di struttura si adatterà meglio alle sue esigenze in futuro.


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Qual è il ruolo che avrà in futuro l’Ordine degli Architetti? Luciano Lazzari: La definizione del ruolo degli Ordini (intesi come organi di regolamentazione della professione istituiti sulla base di una legge nazionale) è argomento di competenza dei Governi nazionali. D’altra parte l’ACE si rende conto che esiste una crescente pressione sui Governi nazionali, soprattutto da parte degli organi per la tutela della concorrenza all’interno della Commissione Europea, per far sì che venga assicurata una regolamentazione indipendente della professione dell’architetto insieme a quella di tutte le altre libere professioni. In un’epoca come la nostra nella quale le informazioni sono accessibili a tutti e circolano liberamente, il cittadino tende a essere sospettoso e scettico nei confronti di qualunque gruppo professionale auto-regolamentato. La questione relativa al ruolo dell’Ordine degli Architetti è una logica conseguenza di questo atteggiamento che potrebbe anche condurre a una ridefinizione e, forse, a un rafforzamento di un ruolo incentrato sul concetto di pubblico interesse. Certo è che, come abbiamo visto nel caso dell’Italia e di alcuni nuovi Stati membri, gli attacchi all’Ordine sono spesso dei malaccorti tentativi di liberalizzazione a favore di una idea approssimativa di pubblico interesse. Purtroppo abbiamo assistito a diversi esempi di liberalizzazione basati su un approccio demagogico e ideologico che non ha nulla a che vedere con la solida e costruttiva riforma necessaria per modernizzare il mondo delle professioni, che tutti noi siamo convinti sia assolutamente necessaria. Gli ordini sono destinati a sparire a vantaggio delle libere associazioni? L.L.: In molti Paesi europei non esistono organi di regolamentazione istituiti da leggi nazionali e la professione è rappresentata esclusivamente da associazioni volontarie di architetti. Generalmente questo accade nei Paesi del nord, mentre i Paesi del sud tendono ad avere degli Ordini riconosciuti a livello istituzionale. Entrambi i sistemi coesistono ed è difficile dimostrare che uno è meglio dell’altro, soprattutto è difficile farlo se si parla di qualità. Il fatto che l’ACE prenda in considerazione entrambe le forme organizzative è dimostrazione della loro complementarietà. A questo proposito è importante segnalare

che l’UIA (Unione Internazionale degli Architetti) ha messo a punto un documento sul ruolo delle organizzazioni professionali. Si tratta di un documento utile e in grado di fornire a coloro che sono interessati all’argomento, una panoramica aggiornata. Cosa si può dire a proposito della formazione permanente? È necessaria la sua introduzione e obbligatorietà? Si trovano, a livello di EU, delle valide esperienze? Fabian Listeri: Il tema della formazione permanente è di grande attualità, sia a livello nazionale che europeo, dall’entrata in vigore della direttiva sulla liberalizzazione dei servizi. L’argomento è al primo posto dell’agenda per varie ragioni riferite agli interessi del consumatore e alla necessità di garantire che le competenze e le conoscenze tecniche siano mantenute durante tutto l’iter professionale. Ci sono molte esperienze interessanti in quasi tutti i Paesi membri della EU. Inoltre molti fra i nuovi Stati membri della EU hanno già introdotto nuove regole per la formazione permanente obbligatoria per gli architetti e per altre professioni regolamentate. Per quel che riguarda gli architetti il tema dell’obbligatorietà o meno della formazione permanente è sempre fonte di un acceso dibattito. Gli architetti hanno grosse responsabilità, quindi devono essere coscienti dei loro limiti e, attraverso un percorso di apprendimento autonomo, devono tenersi costantemente aggiornati sui vari aspetti del mestiere. Inoltre, poiché il settore delle costruzioni ha una regolamentazione molto rigida, è normale per un architetto tenersi aggiornato rispetto alle leggi nazionali. Già in questo modo gli architetti possono garantire al cliente una


consulenza e un servizio di qualità. L’opinione generale, su cui anche l’ACE concorda, è che un organo a livello europeo non sia in grado di stabilire l’obbligatorietà della formazione permanente e che questa sia una decisione da prendere a livello nazionale. Il problema non è tanto se la formazione permanente debba essere considerato obbligatorio, ma piuttosto in che modo questo obbligo debba essere sottoposto alle necessarie procedure di controllo della qualità. La maggior parte dei cittadini vive oggi in città, fatte di architetture. La EU sta facendo qualche cosa per migliorare la qualità della costruzione della città? Olgierd (Roman) Dziekonski: L’ACE è molto interessato a questo tema in quanto è ben consapevole del forte impatto che la qualità dell’architettura può determinare sul senso di benessere dei cittadini. Si è lavorato costantemente con alcuni partners per cercare di far sì che il tema dell’architettura fosse posto come dominante nell’agenda delle politiche dell’EU. Oggi si può dire che questi sforzi stanno portando i loro frutti e l’EU sta facendo qualche passo avanti. È in atto una presa di coscienza sul fatto che le città e le regioni giocheranno un ruolo determinante nel raggiungimento degli obiettivi di competitività dell’EU. Questo si riflette sulle nuove priorità nelle politiche di coesione e nuovi capitoli di spesa per i Fondi strutturali. I 12 nuovi Paesi membri potranno infatti usufruire dei Fondi strutturali per la ristrutturazione di insediamenti residenziali anche dal punto di vista fisico, ovvero edilizio, all’interno di più ampie politiche di rigenerazione urbana. I nuovi regolamenti stabiliscono che ogni

In Italia abbiamo la più alta percentuale di architetti pro-capite dell’Europa e questo, oltre alle caratteristiche sfavorevoli del mercato, crea non pochi problemi all’esercizio della professione. Accade lo stesso negli altri paesi dell’EU? Come è regolato il mercato dei servizi dell’architettura? J.F.S.: L’ACE è consapevole che il numero degli architetti pro capite in Italia è il più alto d’Europa e secondo solo al Giappone su scala mondiale. Si può dire che in media in Europa c’è un architetto ogni 1100 abitanti, anche se in alcuni stati la proporzione sfiora l’1 su 500 e in altre 1 su 2500. Questa differenza deriva da una combinazione di ragioni culturali e storiche e a questo riguardo l’ACE non ha nessun ruolo, né competenza. D’altra parte, l’insieme delle informazioni statistiche ed economiche riguardanti la professione che mettono in evidenza differenze e disparità esistenti nei diversi Paesi membri dell’EU aiuterebbe sia l’ACE che l’EU a riconoscere nella Comunità Europea quelle aree in cui un’adeguata politica di sviluppo potrebbe essere utile per il riequilibrio del mercato. Nello studio sulle modalità di svolgimento della professione, cui accennavo sopra, l’ACE pensa anche di poter acquisire una base di conoscenza utile per la regolamentazione del mercato dei servizi dell’architettura. Si tratta però di un campo di studi molto complesso e sarà necessario un po’ di tempo per acquisire dei risultati significativi. Allo stato attuale si può dire che non è possibile intervenire sul mercato dei servizi dell’architettura anche perché qualunque azione di regolamentazione sarebbe attentamente monitorata dagli organi a tutela della concorrenza della EU. Ciò comunque non sarà considerato dall’ACE come un deterrente nel continuare a promuovere da un lato, la necessità di una qualità architettonica per i cittadini europei, e dall’altro, di assicurare che gli architetti abbiano il talento e i mezzi per assicurare al cliente servizi di qualità in ogni progetto. (traduzione di Martina Landsberger)

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progetto finanziato debba infatti fare parte di un piano integrato di sviluppo. Si tratta di uno sviluppo che l’ACE accoglie con favore e che sarà seguito con attenzione nei primi anni di implementazione.


Bergamo

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a cura di Gianfranco Bergamo e Alessandro Pellegrini

In questo numero, indagando le ragioni che possono spingere un giovane architetto a recarsi e a lavorare all’estero, ho incontrato due colleghi nel loro studio di Bergamo: Paolo Belloni e Elena Brazis Caubet. Il primo, bergamasco, ha completato gli studi ed iniziato l’attività in Spagna, la seconda, barcellonese, ha invece scelto il percorso inverso terminando l’università in Italia. Ho posto loro alcune domande. G. B.

Italia-Spagna Quali motivi sono alla base della scelta di completare i corsi di studi all’estero? P.B.: Inizialmente andai a Lisbona, le borse di studio Erasmus non erano conosciute come lo sono ora. Per noi studenti non era ben chiaro quale fosse il valore dell’esperienza che si prospettava. C’era sicuramente il desiderio di viaggiare, di conoscere altre culture, altri modi di insegnare, di lavorare, di progettare, lontano dalla rassicurante routine della “quotidianità accademica”. Solo dopo qualche mese ci si rendeva conto che ci si trovava proiettati in un’esperienza ancora più ampia e completa: formativa, culturale e umana. E.B.: Il progetto Erasmus mi ha permesso di studiare, a Milano, materie legate al restauro che a Barcellona non erano particolarmente approfondite. Mi interessava affrontare l’aspetto progettuale, oltre che teorico, degli interventi di restauro. Frequantai il corso di Andrea Bruno che conoscevo per un interessante intervento di riqualificazione delle mura di Tarragona. Questa esperienza costituì la base per l’elaborazione della tesi di laurea progettuale in un’area a ridosso delle mura di Bergamo. Qual è stata la vostra esperienza universitaria? P.B.: Studiare alla Scuola di Architettura di Lisbona prima, e di Barcellona successivamente, ha significato poter frequentare i corsi di alcuni tra i migliori architetti di quelle città. A Lisbona la scuola di Architettura è situata in diretta adiacenza alla scuola di Belle Arti permettendo una interessante “frequentazione diretta” tra le due discipline. In entrambe le scuole i laboratori di progettazione erano frequentati da gruppi di non più di trenta studenti, in una dimensione di famigliarità tra docenti e studenti che produceva risultati didattici di altissimo livello. Barcellona si stava inoltre affermando, in quel momento, come una tra le migliori scuole di Architettura in Europa.

E.B.: La scuola di architettura di Barcellona, era di dimensioni decisamente contenute e il programma didattico chiaramente finalizzato alla conoscenza della professione; l’orario delle lezioni e l’organizzazione dei corsi era precisamente guidato dal piano di studi; la notevole libertà nella gestione dei corsi del Politecnico supponeva una maggiore responsabilità nella scelta dei contenuti e dei docenti. Un approccio più teorico alla disciplina del progetto ha costituito un interessante complemento della mia formazione più pratica. Il Laboratorio di progettazione di Remo Dorigati, mio relatore di tesi, era inoltre frequentato da un elevato numero di studenti stranieri e ha rappresentato un momento importante di confronto tra culture e modi di progettare diversi. Nella vostra esperienza all’estero avete avuto la possibilità di lavorare o collaborare a qualche progetto in particolare che vi sentite di evidenziare? P.B.: A Barcellona, dove ho vissuto per circa tre anni dal 1991 al 1993, ho avuto la fortuna di poter visitare e conoscere direttamente i cantieri e le opere di una città che si stava trasformando con grande velocità, e con grande attenzione alla qualità, per ospitare le Olimpiadi. Ho avuto la fortuna di collaborare, seppur in modo temporaneo, con alcuni studi d’architettura. Con Ruisanchez e Vendrell, con Tagliabue e Miralles che, con Dorigati, sono stati miei relatori di tesi, e con Mateo. Ho collaborato, inoltre, con la rivista “Quaderns” che, sotto la direzione di Manuel Gausa, rappresentava una delle rivi-

ste più interessanti e d’avanguardia della cultura architettonica a livello internazionale. E.B.: Dopo la laurea ho collaborato con lo studio di Oriol Bohigas a Barcellona e ho partecipato ad uno dei concorsi Europan. Per il nostro studio continua ad essere fondamentale il contatto e lo scambio culturale con la Spagna, in particolare con Barcellona; questo ci permette forse di avere una visione della professione più aperta. Continuiamo ad avere contatti sia con l’Ordine professionale che con alcuni amici/colleghi. Questo rapporto con il mondo professionale spagnolo, sia dal punto di vista normativo e procedurale che per le affinità culturali, mi ha permesso di essere coinvolta in interventi di società italiane che operano in Spagna come è successo per il progetto della base del Team +39 Challenge per la Coppa America a Valencia.


Per concludere, cosa vi è rimasto di questa esperienza? Ritornereste a lavorare in Spagna? In Spagna c’è un grande interesse per il valore dell’architettura e lo si percepisce nell’attenzione alla qualità di ciò che viene costruito. Lavorare in un luogo piuttosto che in un altro non è però solo una scelta di tipo professionale ma interessa dinamiche molto più complesse. Oltre che per ragioni di affettività familiare, in questi anni abbiamo continuato a mantenere stretti rapporti con Barcellona, con l’Università, e grazie ad alcuni progetti e consulenze: infatti, collaboriamo in associazione con uno studio di architettura di Barcellona e questo rappresenta un importante stimolo per coltivare nuove e interessanti esperienze professionali. G. B.

Brescia a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli

Basilea Sono un giovane architetto (Brescia, 1980). Mi sono laureato nel 2005 all’Architectural Association di Londra e sto frequentando lo studio Herzog & de Meuron in Svizzera da più di un anno. Questa è la mia prima esperienza lavorativa; in passato mi sono limitato a partecipare saltuariamente all’attività di mio padre, che è stato il mio primo esempio di architetto: in particolare lo seguivo nei cantieri e nelle presentazioni ai committenti. La mia formazione è eterogenea: dopo la maturità classica, ho iniziato il corso di Architettura al Politecnico di Torino. Mio padre mi aveva sempre incoraggiato a studiare all’estero e desiderava che non mi fermassi in Ita-

lia a lavorare. Nel 2001 una fidanzata inglese mi convinse ad iscrivermi all’Architectural Association. La raggiunsi a Londra. La storia terminò non appena mi trasferii (era una di quelle relazioni destinate a funzionare solo “a distanza”), ma rimasi all’AA dove ho completato il corso di laurea.

Questa formazione ha aperto delle possibilità di sviluppo culturale e professionale imprevedibili perché il metodo compositivo era concettuale senza essere accademico. La ricerca architettonica era personale e poteva prendere spunto da qualunque tipo di media: video, oggetti, installazioni o fotografie e si poneva l’obiettivo di trasporre queste istanze in qualità spaziali. Paradossalmente ho riconosciuto la mia identità culturale e storica proprio nella totale libertà accademica. Le immagini dei vecchi libri, le parole di mio padre, le mattine nebbiose nella pianura, persino gli odori di casa sono quel patrimonio che ho rielaborato quasi inconsciamente nelle prime esperienze di composizione architettonica. È difficile stabilire se questo sia stato un processo di evoluzione o di reinterpretazione perché spesso queste due modalità formative coincidono, e i modi in cui reagiamo a ciò che di nuovo ci circonda ha sempre le forme di un riconoscimento (a volte anche inconscio) di qualcosa che appartiene alla parte più recondita e dimenticata della nostra identità. La formazione universitaria si è innestata nella vita culturale di Londra. I professori mi hanno incoraggiato a prendere spunto da altre discipline per arricchire il mio discorso architettonico e tutto ciò trovava un contesto ideale a Londra. Infatti l’esperienza londinese e la formazione architettonica non possono essere distinte così come la mia concezione dell’architettura non può escludere le opere di Tacita Dean e Juan Muñoz alla Tate Modern o le conferenze di Slavoj Zizek all’ICA. La mia formazione culmina in un progetto per Gibilterra. Il lavoro si intitola “Senza qui o lì, tutte le albe sopra Gibilterra” e si articola intorno al concetto di aureola. È basato su un video, su una ricerca ottica sulla rifrazione. Dopo questa esperienza universitaria volevo cercare uno studio che potesse guidarmi nel mondo operativo senza disperdere le istanze concettuali e poetiche che l’AA mi aveva lasciato intravedere. Allo stesso modo pochi studi di architettura potevano essere interessati al tipo di ricerca che avevo cercato di definire nei miei primi progetti e

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Alla luce della vostra esperienza, ritenete che recarsi all’estero per un giovane sia comunque consigliabile e possa essere importante per la sua esperienza formativa? Non solo consigliabile ma necessario. Il viaggio, grazie anche ai voli low-cost, è diventata un’esperienza diffusissima, ma vivere all’estero non vuol dire raccogliere in modo superficiale le poche suggestioni da cartolina del turista, vuol dire conoscere profondamente la cultura, la lingua, la storia, le dinamiche di relazione tra le persone, il funzionamento delle istituzioni, altre metodologie di organizzazione della didattica e della professione; vuol dire anche mettere in discussione le proprie convinzioni e imparare a fare tesoro di un modo diverso di guardare la realtà cogliendo il valore delle sfumature.


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che potessero fare uso delle mie competenze. Nel 2005 sono stato assunto da Herzog & de Meuron a Basilea. Non posso assimilare l’esperienza lavorativa in questo studio con un qualsiasi lavoro all’estero. La dimensione dello studio, il metodo compositivo e la speculazione concettuale che si invera nei progetti è tale da costituire un caso isolato nel panorama architettonico internazionale. Tuttavia posso individuare nella concreta attività di progettazione di questo studio una predisposizione alla ricerca (dalla ricerca dei materiali al riferimento all’arte contemporanea fino alla speculazione teoretica vera e propria) che è comune alla formazione che ho ricevuto a Londra. Non ho avuto ancora modo di cimentarmi nel disegno dei dettagli, o nell’organizzazione del progetto o in generale negli aspetti più tecnici del fare architettonico, ma trovo straordinario il modo in cui le più diverse competenze (economiche, tecniche e culturali) si integrano nella creazione di nuovi progetti. Credo che la validità di una esperienza lavorativa all’estero non si limiti all’ambito operativo o alla possibilità di accedere a lavori di grandi dimensioni. L’esperienza all’estero mi ha reso consapevole di un mutamento della figura dell’architetto: dalla concezione di architetto come “essere meraviglioso” secondo la celebre definizione di Philip Johnson ossia di unico agente del controllo e della trasformazione dello spazio (un baumeister come mio padre), si passa all’architetto inteso come figura ibrida che convoglia e dirige una serie di competenze che eccedono i confini della disciplina strettamente architettonica e che cerca di definire un nuovo ruolo per la disciplina e un nuovo statuto per la propria professione. Spero di poter rimanere nello studio di Herzog & de Meuron, ma non mi sorprenderei se decidessi di trasferirmi in Africa o in Asia o in America. Non posso escludere neppure di ritornare in Italia. Dipende dalla mia prossima fidanzata… Stefano Rabolli

Como a cura di Roberta Fasola e Chiara Rostagno

Lariani all’estero: tra America ed Europa con uno sguardo particolare all’Olanda L’architetto è un viaggiatore par excellance e tale esperienza assume particolare rilievo quando coincide con brani salienti della formazione e dell’esperienza progettuale. Laura Cappelletti (Erasmus a Madrid con Alberto Campo Baeza), Giacomo Ortalli (laureato all’Accademia di Architettura di Mendrisio con Peter Zumthor, Erasmus

alla ETSAB di Barcellona e stage di nove mesi presso lo studio di Nikos Ktenas ad Atene), Luisa Locatelli (Erasmus a Lisbona) e Antonio Marinoni (general manager per Boffi a New York) sono alcuni, tra i nostri colleghi, che hanno percorso tale esperienza – sebbene secondo geografie alquanto distinte. Abbiamo posto loro alcuni quesiti volti a individuare l’apporto interiore di tale esperienza, e a delinearne le ricadute nell’esercizio quotidiano dell’architettura. Laura Cappelletti pone l’accento sull’apporto che l’esperienza nei paesi esteri offre “per aprire la mente a diversi modi di affrontare uno stesso tema, come lo sviluppo del territorio o la qualità del costruito, evidenziando aspetti positivi e negativi dei diversi modi di operare; sta nella sensibilità di ogni professionista capirli, farli suoi, interpretarli per poi restituirli nelle realizzazioni”(1).

Lo stesso percorso quotidiano per raggiungere il luogo di lavoro può divenire scuola: un susseguirsi di architetture più o meno note che silenti insegnano. “Non voglio parlare dell’esperienza accademica, ma di quello che, dal mio punto di vista, mi ha arricchito di più nell’anno passato a Lisbona e cioè il mio “percorso giornaliero (...): partiva da una piccola abitazione di fronte alle rovine gotiche del convento do Carmo, mi portava davanti alle opere di Alvaro Siza, di Gonçalo Byrne, ai docas, mi permetteva di ascoltare i suoni sotto il ponte 25 de Abril e dei vecchi tram per poi concludersi all’Università Lusiada a Belèm, accanto al centro culturale progettato da Vittorio Gregotti e Manuel Salgado, allo stile manuelino del Mosteiro dos Jerònimos e della torre di Belèm”(2). Percezione. Conoscenza. Sperimentazione. Ricerca. “Per aprirsi verso gli altri. Innamorarsi di luoghi e culture (...) Più che una professione, una missione. L’architetto farà cose e architetture bellissime, piene di sforzi ed ideali: costruirà e trasformerà le città e conformerà i paesi, forte del grande rispetto che nutre verso la civiltà, la storia e l’ambiente e ne determinerà l’aspetto sociale, grazie alla propria indipendenza. (...) Fare un’esperienza all’estero è una grande possibilità per conoscere ed imparare. La scelta di studiare a Mendrisio con professori provenienti da tutta Europa ha caratterizzato il mio intero percorso di formazione”(3). L’entusiasmo di Marinoni ne è un’ulteriore conferma: “l’estero, soprattutto se paragonato a Como, offre molte più


Giacomo Ortalli, intorno alle ragioni che lo hanno condotto all’estero, pone l’accento sul fatto che tale scelta sia “una grande esperienza per conoscere ed imparare”. Ortalli, come altri progettisti lariani, ha studiato a Mendrisio “con professori provenienti da tutta Europa”(5) e tale circostanza, ne ha caratterizzato profondamente l’intero percorso di formazione. Anche Massimiliano Mornati (Erasmus in Olanda presso la Facoltà di Architettura dell’Università Tecnica di Delft, successivi stage di sei mesi a Rotterdam e altri otto a Berlino) evidenzia come il confronto con altre realtà, sia fondamentale per capire gli spazi della città: “Ritengo che sia la curiosità a stimolare la ricerca. Tutti gli architetti europei conoscono Como per il Razionalismo, i capolavori degli anni ’20 e ’30 sono materiale di studio e di approfondimento costante in tutta Europa; tuttavia sembrerebbe luogo comune il pensiero che l’architettura contemporanea del nostro paese da trenta anni non sia molto espressiva (...) Ritengo che cultura e tradizione rappresentino un forte valore nel nostro percorso formativo: in Italia l’architetto è una figura professionale in grado di riassumere in sé molte competenze, mentre all’estero emerge una figura orientata verso più definite specializzazioni. Il confronto con l’Olanda mi ha spinto verso un approccio più pragmatico con la pratica, meno

accademico: nel mio periodo di permanenza in questa nazione sono stato impressionato dalla velocità con cui le città si rinnovavano e dallo spazio dato alle nuove generazioni; spesso, progetti recenti legati a nomi famosi, erano accompagnati da molte realizzazioni a corona di architettura diffusa di buona qualità, dove trovavano

collocazione anche grandi spazi espositivi per l’architettura, promuovendo in tal modo il confronto con altre realtà e legando a doppio filo sviluppo urbano e potenzialità turistiche; opportunità questa che per Como è ancora da cogliere”(6). Il colloquio con Mauro Parravicini conduce il percorso intrapreso “sui passi” degli architetti lariani sino all’Olanda. Il suo percorso estero inizia a Parigi, grazie ad una borsa Erasmus presso la scuola di design “Les Ateliers”. Segue uno stage presso lo studio di Mario Cucinella, e poi un impiego da Cuno Brullmann. Rientrato in Italia si laurea e nel 2000 torna a Parigi presso il Renzo Piano Building Workshop, poi in cantiere a Torino e, in seguito, a Milano da Giancarlo De Carlo. Da due anni lavora a Rotterdam, in Olanda, presso OMA/Rem Koolhaas, dove ha seguito numerosi progetti ancora in fieri”(7). Intorno all’interazione tra l’identità lariana e la sua tradizione architettonica con l’esperienza estera ed ai possibili esiti che tale raffronto può produrre nel vedere la “buona architettura” e le qualità che la contraddistinguono, Parravicini pone – a sua volta – un quesito: “Esiste, in termini di architettura, una ‘identità lariana’? Non siamo forse tutti stati educati, proprio grazie alla ricerca di Terragni e degli architetti moderni, in un contesto architettonico internazionale? E, di conseguenza, che cos’è l’estero?”. Se parliamo di Paesi europei come l’Olanda o la Francia, in termini di architettura, le contaminazioni sono trasversali e non vi è linguaggio che non sia esportabile o condivisibile. Bisogna però ammettere che almeno il contesto ambientale e socio-economico sono ancora, a ragione, forti elementi di contaminazione del progetto: ha senso parlare di estero in termini di opportunità e modalità di lavoro, ma non in termini di “bontà” dell’architettura. Almeno in Europa. Data l’abitudine alla nostra tradizionale qualità, il mio modo di riconoscere la “buona architettura” non è cambiato, anche se le esperienze vissute hanno perfezionato la mia capacità di leggere gli edifici e mi hanno insegnato a vedere la bellezza anche laddove essa è meno palese, allargando la mia capacità di lettura degli stessi. Ma per questo non serve lavorare all’estero. Bastano attenzione e curiosità. La mia personale esperienza all’estero è caratterizzata da un approccio lavorativo dinamico e senza troppe esitazioni. C’è un senso di fiducia e una certa dose di rischio, anche nei grandi studi. Questo è anche dovuto al fatto che i giovani hanno la possibilità di esprimersi e gestiscono responsabilità a volte anche più grandi di loro, spesso ottenendo inattesi successi (…) In termini di architettura l’esperienza all’estero ha avuto un valore di apertura, ha mutato il mio modo di pensare in generale. Credo che sia importante per chiunque viaggiare, conoscere e condividere nuove culture, sia per apprezzare la nostra, sia per migliorarla (…) Confrontando l’approccio lavorativo olandese con quello italiano, si evince che la formazione culturale italiana è, purtroppo, più un ostacolo che uno stimolo: da noi

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opportunità lavorative (...) per quello che riguarda il livello culturale americano posso solo dire che è molto e si ha la possibilità di conoscere e analizzare stili di vita e di lavoro differenti da quelli a cui sei abituato. Non sono né migliori né peggiori. Semplicemente differenti e come tali vanno apprezzati e rispettati. Di sicuro bisogna sapersi adeguare: vivere negli Stati Uniti non è facile ma allo stesso tempo è davvero interessante e stimolante (...), io consiglio sempre a tutti un’esperienza di lavoro all’estero e, se possibile, subito dopo la laurea, magari con un master (...) Le possibilità di lavoro sono infinite: c’è una grandissima ricerca di architetti italiani”(4).


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l’architetto è considerato immaturo fino a 50 anni, e poi, quando ha raggiunto un poco di credibilità, salvo alcune eccezioni, non ha più la dovuta leggerezza per sperimentare. L’aspetto positivo della nostra tradizione, invece, è che ci consente di avere più attenzione alla qualità e al dettaglio. Ma questo lo si impara molto anche in cantiere (...) Nei paesi europei che ho conosciuto, certamente le opportunità di lavoro sono più ricche, serie e gratificanti, anche economicamente; una economia dinamica, affiancata ad una buona gestione della cosa pubblica, stimolano il mercato del lavoro, la ricerca di giovani di talento, le opportunità. In questi contesti, la pratica si fa nei fatti, quotidianamente, senza troppe esitazioni. Ritengo –

sostiene Parravicini – che non sia obbligatorio andare all’estero per realizzarsi. Ma se si cercano nuovi stimoli, si vogliono allargare i propri orizzonti, e si desidera diventare ‘adulti’ senza aspettare i cinquant’anni, questa è forse una delle soluzioni migliori. Pensando al futuro (lavorativo e culturale) dell’architetto, credo che il nocciolo e le finalità del processo creativo, del progettare, saranno più o meno gli stessi di sempre. Cambierà il contesto, ci vorranno nuove conoscenze, una nuova attitudine, e nuovi strumenti di lavoro e di ricerca. Ci si confronterà con la forte tendenza urbanizzante degli insediamenti abitativi, con la carenza di spazi e le impellenti questioni ambientali. Ma l’architetto continuerà a svolgere il suo compito visionario, pieno di errori ma anche di successi, alla ricerca di nuove soluzioni per i cittadini del futuro. Mi auguro solo che finisca il delirio formalista che stiamo vivendo. In questo senso, ma solo in questo, per chiudere con un paradossale ottimismo, direi che l’immobilismo italiano si sta rivelando salutare”(8). a cura di Chiara Rostagno Note 1. Citazione riportata a seguito dell’intervista con Laura Cappelletti. 2. Citazione riportata a seguito dell’intervista con Luisa Locatelli. 3. Citazione riportata a seguito dell’intervista con Giacomo Ortalli. 4. Citazione riportata a seguito dell’intervista con Antonio Marinoni 5. Citazione riportata a seguito dell’intervista con Giacomo Ortalli. 6. Citazione riportata a seguito dell’intervista con Massimiliano Mornati. 7. Al momento è project manager per il recupero degli exMercati Generali di Roma (236.000 mq) e co-project mana-

ger per la torre De Rotterdam in Olanda (140.000 mq). In passato ha lavorato, tra gli altri, sugli esecutivi delle facciate del Centro Congressi di Cordoba in Spagna (60.000 mq). 8. Citazioni riportate a seguito dell’intervista con Mauro Parravicini.

Cremona a cura di Fiorenzo Lodi

Nel presentare quest’avventura ci colpisce quella che forse è la caratteristica che accomuna l’esperienza di molti giovani architetti all’estero: la fuga. Da una realtà professionale italiana non gratificante anche e soprattutto a livello economico; da organizzazioni di studi professionali piramidali dove non esiste la condivisione progettuale e quindi la riconoscibilità della qualità. Cosa porta un giovane laureato a tentare l’avventura lavorativa in Gran Bretagna? Esci dall’Università e hai voglia di viaggiare, di migliorare il tuo inglese e magari di provare a cavartela in una grande metropoli. La possibilità di conoscere un nuovo Paese e lavorare in uno studio all’estero forse si può fare solo adesso, quando i sogni sono tanti e ancora di più le attese. Quando il futuro te lo devi costruire e il più delle volte addirittura inventare. Il mito della “valigia di cartone” allora non è proprio un’utopia, è piuttosto un punto di partenza. Un traguardo da raggiungere e poi da superare. Non importa se si tornerà indietro e se la valigia rimarrà di cartone, in ogni caso ne varrà la pena. I problemi professionali riscontrabili nel rapporto tra la società italiana e la nostra categoria sono ben sintetizzati dall’arch. Luca Rossato quando parla di riqualificazione urbana e di condivisione con la comunità. Si parla di un Paese, l’Inghilterra, dove il ruolo sociale dell’architetto è riconosciuto. Gli architetti sono aiutati a crescere attraverso continui contatti con i grandi professionisti e con le scuole, sono presentati ai fruitori; ciò produce istruzione e cultura. Inoltre, si concretizzano progetti innovativi senza bagagli burocratici e politici. La realizzazione di ambienti di lavoro che possono sembrare una comunità è sicuramente la base per una buona qualità del proprio lavoro ciò è più facile da realizzare in una società con una solida base economica. Come le ultime parole amare di Rossato sembrano confermare, in Italia, è sicuramente l’incertezza lavorativa a far scomparire anche la creatività. Per questo architetti che hanno fatto esperienza all’estero devono essere i primi a portare una ventata di novità e di rinnovamento entrando e scardinando il nostro sistema professionale, portando esempi di organizzazioni di studi, progetti e quant’altro serva ad avere finalmente, come in passato, scambi culturali, multidisciplinari e multietnici.


Susi Zagheni e Camilla Girelli

Lavorare a Londra Per molti giovani architetti italiani “la goccia che fa traboccare il vaso” e spinge allo sbaraglio è spesso la necessità di migliorare la scarsa qualità della lingua inglese. Ma tra i motivi di un’esperienza di lavoro all’estero e, nel mio caso, a Londra, non si devono trascurare altri fattori determinanti: la megalopoli rappresenta una meta simbolo di libertà e modernità, una città tentacolare estremamente affascinante e ricca di suggestioni architettoniche dovute alla presenza di nomi di fama mondiale.

Per un architetto italiano lavorare in Gran Bretagna è senza dubbio un’esperienza istruttiva ed illuminante. Gli stipendi sono piuttosto alti (un tirocinante in prova per tre mesi può arrivare a guadagnare 2100-2200 euro al mese ed un architetto con 5-10 anni di esperienza come capo progetto anche 5.000-6.000) e se raffrontati con i costi della vita sono stipendi soddisfacenti per iniziare e gratificanti una volta raggiunta una certa stabilità lavorativa. L’ambiente è molto vivo, in ogni maggiore città vi sono musei dedicati all’architettura (bellissimo il Charles-Rennie Mackintosh Museum di Glasgow), mostre su nuovi progetti, lectures serali di famosi architetti rivolte a studenti e professionisti. Il tutto è seguito con impeccabile rigore dal RIBA, Royal Institute of British Architect, che rappresenta l’equivalente britannico dell’albo professionale italiano e che spesso organizza seminari ed incontri nelle sale della sua sede londinese. Lo studio che mi ha assunto (prima con il classico contratto di prova di tre mesi poi a tempo indeterminato) si chiama Pollard Thomas Edwards Architects (www.ptea.co.uk) ed è localizzato a Londra in zona centrale vicino alla stazione di Kings Cross. PTEa è uno dei primi studi in Gran Bretagna nel campo del social housing e si occupa di riqualificazioni di grandi quartieri popolari che richiedono nuovi standard di vivibilità per i residenti. L’attività dello studio è poi arricchita dalla progettazione di scuole, case di cura

per anziani e disabili, il tutto condito da un’ottima qualità costruttiva e uso intelligente di diversi materiali. Lavorare all’interno di uno studio come PTEa richiede un iniziale adattamento; gli studi inglesi sono generalmente più grandi di quelli italiani e arrivano a dimensioni impressionanti: Building Design Project, per esempio, è il primo studio di Londra per grandezza e occupa 300 architetti qualificati più altre decine di designer, ingegneri e tecnici. PTEa invece ha un centinaio di dipendenti tra i quali una sessantina di architetti con qualifica professionale del Regno Unito. A Londra l’offerta di lavoro è straordinaria: vi sono ditte specializzate in reclutamento architetti, disegnatori o ingegneri per il mondo delle costruzioni, inserzioni su diverse riviste di settore e addirittura annunci sui quotidiani. Mi è sembrato incredibile trovare annunci di Norman Foster, David Chipperfiled, Richard Rogers, Zaha Hadid, Terry Farrel, Nicholas Grimshaw e Micheal Hopkins (per citare solo i nomi più famosi) che richiedevano architetti per progetti che prima avevo visto solo sulle più importanti riviste del settore! Ma è anche vero che la concorrenza è fortissima: Londra richiama giovani architetti da tutto il mondo e purtroppo australiani, americani, indiani e nordeuropei sono solitamente più agevolati per la buona conoscenza della lingua. Nonostante il mio scarso inglese, comunque, dopo 40 curricula ho ottenuto tre colloqui dai quali ho poi scelto la PTEa. Questo però non deve essere illusorio, molti hanno faticato ben di più per avere il primo lavoro in uno studio e devo quindi riconoscere apertamente di essere stato anche fortunato. L’ambiente di lavoro poi è estremamente ”friendly”, nel mio studio si lavorava in un open space a stretto contatto con tutti, dall’architetto progettista al mero disegnatore. Ogni giovedì un dipendente era incaricato alla preparazione di un pranzo di lavoro (sponsorizzato dai direttori) che veniva consumato nella biblioteca dello studio sfogliando riviste e monografie e assistendo ad una proiezione sullo stato dei vari progetti in corso. Quasi ogni studio londinese ha la sua squadra di softball o di calcio e spesso si organizzano tornei “architettonici”. Ciò permette una buona conoscenza fra architetti di diverse compagnie ed allo stesso tempo una rapida mobilità se si vuole passare da uno studio all’altro. Forse però l’aspetto più strabiliante è la condivisione dei progetti con la comunità: la progettazione partecipata è qui talmente sviluppata che ogni singolo intervento prevede il parere dei residenti. Si cerca di adattare il progetto alle diverse esigenze familiari ed alla visione degli abitanti, approfondendo le problematiche in lunghi dibattiti durante i quali progettisti e residenti si scambiano opinioni e consigli. L’esperienza inglese mi insegna che una grande e puntigliosa organizzazione dell’ufficio porta ad una maggiore efficienza produttiva, che il mix etnico di progettisti finisce per aumentare la creatività nel disegno e nell’uso dei materiali, che lo spirito di squadra va costruito sapientemente ed alla fine contribuisce a creare all’interno dello studio un clima sereno anche nei momenti di stress maggiore.

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Riportiamo di seguito le parole dell’arch. Luca Rossato, laureatosi in Architettura a Ferrara, master allo Iuav di Venezia, un anno all’Università di Curitiba in Brasile e l’esperienza in uno studio londinese.


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Credo, per concludere, che un’esperienza lavorativa nel Regno Unito non possa che arricchire il bagaglio professionale di un giovane architetto lasciandogli, col tempo, anche grandi possibilità di una costante ascesa di carriera. Viceversa nella vicina realtà italiana si avverte il forte abbandono al quale sono lasciati i giovani architetti che tentano di intraprendere questa difficile ma affascinante professione e che spesso sono costretti a lavorare sottopagati pur di iniziare e con orari di lavoro a volte esasperanti. Sono convinto che chiunque abbia la voglia di mettersi in discussione e “sfondare” i confini italiani possa tranquillamente tentare l’avventura oltremanica, per tornare indietro all’inferno il tempo ci sarà sempre... Luca Rossato

Lodi a cura di Antonino Negrini

Samuele Frosio è iscritto all’Ordine degli architetti di Lodi dal 2001; parallelamente alla pratica della libera professione ha effettuato una serie di collaborazioni con degli studi tedeschi, quali Krassler & Reiter a Passau (dal 1997 al 1999), Schneider + Schumacher a Francoforte (nel 2000), Drees & Sommer a Milano (dal 2002 ad oggi). Nel 2006 ha conseguito un premio internazionale per la realizzazione di un complesso residenziale nel centro storico della città di Riga (Lettonia) ed è stato segnalato alla prima edizione della Rassegna Lombarda di Architettura Under 40. A. N.

sta ricerca è stata lo studio del linguaggio dell’architettura, che mi ha permesso l’abbattimento di forti differenze culturali e di pensiero, mediante una sorta di astrazione del segno, al di sopra e quindi più importante della conoscenza della lingua parlata o scritta del posto, mediante una fruizione autentica e totale dell’opera architettonica. La seconda constatazione è stata la necessità di svolgere un lavoro di gruppo, mediante l’identificazione ed il coordinamento di differenti competenze specialistiche, nel tentativo di garantire un’ottimizzazione del progetto, realizzabile in maniera sensibile alle differenti realtà locali di mercato, in qualunque luogo e per qualsiasi intervento, con particolare attenzione al rapporto di qualità/costo e gestione delle tempistiche. L’opportunità più grande invece è stata quella del progetto della città, il tracciato regolatore, l’urbanistica; quest’ultima non intesa come chiave di lettura unificante, bensì come attenzione alle dinamiche, o meglio sommatoria di parti che si interconnettono tra di loro secondo strategie che si stabiliscono di volta in volta, capaci però di cambiare e innovare l’immagine dell’ambiente urbano. Infatti mentre la storia attuale dell’architettura si svolge lentamente attraverso i decenni, su stereotipi costruttivi legati più al singolo edificio, in questi Paesi di nuova espansione, la città con le sue contraddizioni e la sua esplosiva spontaneità è predominante rispetto a tutte le rigorose utopie moderniste, delineando le basi di un nuovo realismo, dove estremizzando, anziché pensare, occorre guardare. Il cambiamento è istantaneo ed ogni spiegazione risulta pertanto superflua, per lasciar posto alla sola descrizione. In particolare per quanto concerne l’architettura tedesca, se da una parte nei primi trent’anni del ventesimo secolo essa ha sostenuto un ruolo di caposcuola (Bauhaus), elaborando uno stile ed una metodologia che si sono propagati in tutto il mondo, dopo il 1945 è stato necessario ricostruire in fretta le città distrutte dalla guerra,

Apertura delle frontiere del mondo Un giorno nel 1919 Charles-Edouard Jeanneret-Gris inventò il termine l’Esprit Nouveau (nome della rivista fondata con il pittore Ozenfant); definizione scintillante che risvegliò in lui il poeta. Da allora quest’uomo assunse lo pseudonimo di “Le Corbusier”. Lo spirito del tempo fu quindi in un certo senso la molla che diede inizio alla ricerca di un’architettura, di un’urbanistica, di un quadro di vita senza pari. Da qui una sorta di mito e la consapevolezza che la comprensione del significato di tale affermazione non potesse venire dalle parole, bensì dall’esperienza. E qual è lo spirito del tempo di oggi se non l’unificazione dell’Europa e l’apertura ai giovani delle frontiere del mondo? Così, quasi per analogia, mi sono ritrovato per lavoro dapprima in Germania, poi in Austria e adesso in Lettonia. La prima scoperta di que-

mettendo in secondo piano la qualità architettonica e privilegiando la sola funzionalità. Ciò ha significato nell’ultimo ventennio la possibilità e la necessità di intraprendere un complesso programma di trasformazione regionale di cui la città di Berlino è stata il teatro del maggiore sviluppo edilizio della Germania. Nonostante la grande varietà e la notevole quantità dei progetti dell’edilizia pubblica e dell’economia privata, la costruzione di alloggi, che ammonta ad oltre il 50% del volume degli interventi, è


Samuele Frosio

Mantova a cura di Sergio Cavalieri

Architetti d’Ecuador La mia esperienza in Ecuador è iniziata con la grande sorpresa di Quito. Quando si arriva in aereo, magari la sera, lo spettacolo è meraviglioso. Quito è una città che per la sua particolare ubicazione si può vedere quasi sempre dall’alto. È una città stretta e lunga, che si arrampica sulle montagne, una città a 3000 m. dove i suoi abitanti, quasi 2 milioni, corrono tutto il tempo da nord a sud e da sud a nord, una città di contrasti, molto freddo e molto caldo in meno di 24 ore tutti i giorni, quartieri in grande pendenza e in valli estese, grandi edifici e case piccolissime, grande ricchezza e grande povertà… e in mezzo a tutto questo il centro storico, primo in America Latina a diventare patrimonio dell’Unesco, piccolo gioiello dove si ha la sensazione di trovarsi in un villaggio andino nel mezzo della capitale, con strade piene di negozi e

altre desolate con una grande carica poetica. Essere architetto in Ecuador è più o meno come esserlo in Italia. Si può essere architetto in vari modi: professore, manager, dipendente o professionista indipendente, con la sola differenza che lì quasi tutti gli architetti di solito si occupano personalmente anche della costruzione dei loro progetti, poiché non esistono imprese edili. L’architetto deve occuparsi di trovare gli operai, il “maestro mayor” (capocantiere), comprare tutti i materiali e gli strumenti necessari in cantiere. Il cliente affida l’intero processo all’architetto che dovrà anche pensare a pagare gli operai. Se alla fine gli imprevisti non superano il 10% pianificato, il lavoro permette di avere un guadagno interessante, fino al 50% del costo del progetto. Tuttavia affermare che tutti gli architetti lavorano così sarebbe falso. In alcu-

ni casi l’architetto fa il progetto che un altro costruisce, molte volte costruisce i progetti di altri, spesso in zone più informali, è il proprietario stesso del terreno o della casa che si occupa del progetto e lo costruisce. In questo caso il proprietario cerca un architetto che gli firmi i disegni per l’approvazione del municipio, a volte neanche questo. Caso diverso è quello delle istituzioni pubbliche dove è necessario iscriversi a delle liste di professionisti che sono classificati in base alla loro esperienza e alle loro possibilità economiche, da cui in teoria si estraggono a sorte dei nomi che ricevono contratti di diversa grandezza in base alle capacità. In realtà è di grande aiuto conoscere il direttore dell’istituzione o avere qualche tipo di raccomandazione… nulla di diverso dall’Italia insomma. Solo che in Ecuador ci sono molte più opportunità per gli architetti giovani di poter fare anche grandi progetti a livello urbano e di una certa importanza, cosa che in Italia non succede. Oltre a questi esistono architetti di altro tipo, siano venditori, professori, impiegati pubblici, in questo caso il loro lavoro molto è simile a quello che si svolge in Italia. Infine, dato che la possibilità di costruire edifici nuovi in Ecuador è ancora grande e l’ecuadoriano medio desidera avere una casa di due piani che possa successivamente ampliarsi in base alle necessità della famiglia, un architetto in grado di offrire questo tipo di prodotto avrà buone possibilità di crescita economica. Però al di là dell’aspetto economico l’architetto in Ecuador si preoccupa meno, rispetto al suo collega italiano, degli aspetti riguardanti l’uso di tecnologie alternative, di materiali tradizionali, di risparmio energetico: l’importante è sopravvivere e per

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stata e rimane la maggiore sfida del futuro. Infatti negli anni Novanta la politica ecologica si è concentrata su misure tendenti ad ottenere un impiego energetico più razionale, riducendo lo sfruttamento delle superfici e finanziando la sperimentazione di nuovi prototipi di abitazioni di alta qualità, mediante l’utilizzo di tecnologie alternative (architettura solare) che sono diventate oggi patrimonio comune della società. Questo approccio al tema degli alloggi ha presupposto studi molto approfonditi, ma nello stesso tempo anche di facile sostenibilità dei caratteri specifici dei siti in termini di relazioni col contesto biofisico e microclimatico, con particolare attenzione dell’integrazione degli edifici nella natura e della salvaguardia della natura nella città. L’involucro architettonico è stato pertanto rivalutato non solo dal punto di vista dei suoi componenti (materiali bioedili), ma anche dal punto di vista strutturale/formale per consentire di ottenere ad esempio dei fenomeni di accumulo solare passivo e di limitare le dispersioni termiche. La cosa interessante è che, se da una parte la situazione attuale dell’Europa delinea diverse visioni del mondo e diverse visioni della città, a guardar meglio si tratta solo, invece, di un’unica visione della realtà, quella che non c’è ancora, una città verde per l’uomo moderno. E così, paradossalmente, l’esperienza fatta all’estero non viene finalizzata a se stessa, ma permette alla fine di maturare una ricerca di metodo, che proprio nel proprio Paese d’origine può dare i suoi frutti migliori.


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questo niente di meglio che un buon cemento armato e mattone, in moduli quadrati. Esistono tuttavia pochissimi casi di architetti che hanno iniziato cammini alternativi per trovare nell’architettura sostenibilità ambientale e radici culturali, e quelli che esistono in molti casi mescolano il lato tecnico con quello folcloristico. Per esempio Barro Viejo, uno studio di architettura che si dedica a costruire bellissime case in terra con la tecnica del Tapial (terra battuta), con un misto di tecniche di costruzione antiche, linguaggio architettonico spagnolo e un poco di spirito della madre terra. A Guayaquil, seconda città dell’Ecuador, che si trova sulla costa pacifica, c’è un professore che sperimenta costruzioni in bambù per i poveri. E per quanto riguarda l’architettura dell’Ecuador? Dipende di che architettura parliamo. In Ecuador esiste un contrasto molto forte tra l’architettura ricca e l’architettura povera. In generale l’architettura ricca ha pochissima relazione con il luogo e la sua cultura, il suo linguaggio fa riferimento soprattutto a modelli tratti dalla cultura straniera dominante. Si può osservare come un qualsiasi edificio di vetro al nord di Quito o una qualsiasi urbanizzazione residenziale delle zone ricche della città, oltre a non avere i minimi requisiti di confort termico, si ispira a modelli nordamericani e al mito della modernità. Questo non è solo un fenomeno attuale, ma una costante a partire dal lontano arrivo degli spagnoli in queste terre. Le case del centro storico di Quito, dove il clima a 3000 m di altezza ha la caratteristica di avere una forte escursione termica nello stesso giorno, hanno muri spessi, finestre piccole e patio centrale che distribuisce i vari ambienti della casa, come le case dell’Andalusia, costruite per un clima mediterraneo. Attualmente il modello continua, senza patio centrale, ma con grandi facciate di vetro in una città dove la differenza di temperatura arriva fino a 20 gradi nello stesso giorno per tutto l’anno. Purtroppo il culto di ciò che è straniero è cosi radicato che l’architettura è solo una risposta a questo culto. Nelle città piccole e nei paesi si vedono edifici che mescolano stili diversi: neoclassico con colonne doriche, finestre di alluminio, tetti di cemento armato coperti di tegole. L’architettura povera invece ha caratteristiche decisamente più interessanti. È necessario però cercare nelle zone della città più povere, perchè la classe medio bassa copia semplicemente quello fatto nei quartieri più ricchi, ma con risorse più limitate. L’architettura dei più poveri è situata generalmente in zone impervie, lungo le pendici delle montagne o lungo i corsi d’acqua Qui si può vedere come senza nessun tipo di decorazione superflua la gente trova il modo di costruire una casa degna e spesso di maggiore comfort di quelle di altre classi sociali. Case che sorgono su declivi ripidissimi con poche risorse a disposizione e una creatività incredibile. Per esempio il fatto di non avere soldi per livellare il terreno fa sì che le costruzioni occupino le pendici delle montagne e si adattino al terreno: case sinuose che riescono a fondersi con l’intorno in maniera perfetta, finestre con viste

meravigliose verso le valli basse, terrazze incastrate tra una grande pietra e la casa del vicino, scale di ogni tipo che sembrano scolpite nel terreno, gradini pieni di gerani seminati in lattine azzurre di acqua minerale, verdi di benzina, trasparenti di coca-cola e con pavimenti di ceramica di tanti tipi che sembrano ispirarsi a Gaudì. Nel bellissimo quartiere di Guapulo, dove si respira lo spirito di questa città, ci sono bambini che corrono per le strade, cani che abbaiano a tutti quelli che passano, signore del negozio all’angolo che sanno tutto di tutti, giovani che giocano a basket e di sera escono nei bar vicini. Questo è un esempio di architettura povera di cui si stanno appropriando i ricchi e che per la sua bellezza attrae qualsiasi straniero che passi per la città. Tuttavia la vera architettura povera si trova soprattutto in campagna con le capanne degli Indios, che poco a poco stanno scomparendo sotto l’influenza culturale e la crescita economica personale, che lì significa una casa di blocchi di cemento e tetto in lamiera. O sulla costa con le case su palafitte, o la mimetica architettura dell’Amazzonia, distrutta dall’intrusione delle compagnie petrolifere che portano con sé lo schema di città iper-funzionali, utilizzate per i campi degli operai. Sarà forse per mancanza di innovazione e sperimentazione più che per mancanza di soldi che l’architettura ecuadoriana non ha oltrepassato in confini nazionali, fatta eccezione per il Fonsal, (Fondo de Salvamiento del patrimonio edificado), un dipartimento del municipio di Quito che si finanzia grazie al 6% delle imposte che gli abitanti della città versano ogni anno. Per questa ragione ha risorse economiche molto elevate con le quali ha potuto realizzare opere di recupero architettonico e urbano di qualità, tanto che Quito a livello latino americano è un modello di un particolare modo di restaurare il patrimonio edificato. Questo è l’Ecuador che ho visto durante la mia esperienza di studio e di lavoro, una visione sicuramente limitata e personale, ma che può permettere di avvicinarsi a questo Paese, alla sua architettura, al suo particolare modo di vivere. Chiara Camozza

Milano a cura di Roberto Gamba

I contributi raccolti da due colleghi milanesi che lavorano in Russia offrono aspetti significativi, su come si può svolgere la nostra attività professionale all’estero. Alcuni di tali aspetti si rivelano comuni nelle due esperienze; altri se ne differenziano, rispetto alle considerazioni manife-


tinuamente maltrattata dalla megalomania e dalle bizze dei clienti. Aiuta non poco il fatto di essere italiani. Ancor meglio venire da Milano. L’architetto italiano è come la macchina tedesca, il vino francese o l’hi-fi giapponese: rappresenta, nell’immaginario del nuovo ricco, la creatività legata al design e soprattutto alla moda. Gli standard richiesti dal punto di vista esecutivo sono comunque molto alti (una sorta di ossessivo ripudio dell’“imprecisione sovietica”) e la qualità della mano d’opera è ormai di assoluto livello. La difficoltà nel reperire i materiali che ancora dieci anni fa complicava notevolmente il lavoro è poi ormai superata. Diverso il discorso per le architetture commerciali. In questo caso i riferimenti sono più “aggiornati”. Negozi, ristoranti, caffè sono, per la maggior parte, di livello occi-

R. G.

Progetti e costruzioni in Russia Il nostro rapporto con la Russia, con Mosca, data ormai quasi dieci anni. È nato casualmente grazie ad un amico italo-russo che aveva bisogno di consigli per il suo appartamento: abbiamo conosciuto un piccolo imprenditore e questi, dopo mesi, ci ha proposto un lavoro di interni. Era il ’97. Dopo una pausa di circa 3 anni lo stesso cliente ci offre l’occasione, per un verso imbarazzante ma per altri irrinunciabile, di costruire una grande villa (non le chiamano dacie per sottolineare il distacco dal passato) “in stile”; di quale stile si tratti non è chiaro ma alcune indicazioni sono imprescindibili: lo scalone rampante; la sala di rappresentanza a doppia altezza; i metri quadri necessari ad ogni ambiente. Più naturalmente tutto quello che viene considerato indispensabile per una casa “ricca” (piscina, palestra, cinema, sauna, ecc.). Questi sono più o meno i desiderata della maggior parte dei clienti privati. Giovani, ambiziosi, consumisti alla continua ricerca di quel lusso che ritengono indispensabile all’affermazione del proprio status. Complice anche il prezzo ormai vertiginoso dei terreni nelle zone più esclusive (la periferia ovest di Mosca) la dimensione delle case non è mai inferiore ai 1000 mq. E questo genera il grottesco panorama che offrono questi insediamenti di superlusso: architetture strampalate, smisurate, ridicolmente addossate le une alle altre. Muoversi all’interno di questa realtà non è facile, o meglio, non è facile mantenere una dignità dell’architettura, con-

dentale e molti hanno, in più, una libertà creativa che nel resto d’Europa non è facile trovare. A noi è stato proposto di trasformare ed ampliare un piccolo edificio esistente per ricavarne un salone di bellezza e qui la libertà espressiva è stata, compatibilmente con i vincoli oggettivi e funzionali, molto ampia. Insomma un mercato vario e ricco di occasioni, dove coesistono l’alto e il basso architettonico e dove l’edilizia residenziale privata (la nostra esperienza) pur in grandissima espansione rappresenta comunque una percentuale minima del costruito, se raffrontata ai milioni di metri cubi di edilizia commerciale (il business adesso in Russia sono gli shopping center) o legata al terziario che sta rapidamente trasformando il volto delle principali città. Lazzaro Raboni e Giuseppe Della Giusta

Cultura e architettura tra Russia e Italia Insegno alla Facoltà di Architettura Civile di Milano e a partire dal 1993 svolgo attività di ricerca e coordinamento di iniziative all’estero e, in particolare, a Mosca presso l’Istituto Universitario di Architettura (MARKhI) e dal 2005 anche a Pechino presso la Beijing University of Technology (BJUT). Ha dato avvio a tali rapporti l’occasione della tesi di dottorato, avente per oggetto problemi di composizione nell’architettura e nella città delle avanguardie sovietiche ed un taglio investigativo basato sul rapporto tra progetto di architettura e trasformazione della città. Tale punto di

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state. Entrambi sembrano accomunati da un medesimo spirito conoscitivo della società e delle tradizioni costruttive della nazione straniera. La Russia ha espresso ed esprime “maniere” e tecnologie costruttive che, pur basate su differenti presupposti territoriali ed economici, hanno prodotto architetture che sono parte della nostra concezione storica e figurativa. In un caso pertanto i nostri progettisti – Lazzaro Raboni e Giuseppe Della Giusta – sembrano essere rimasti delusi dalla spregiudicata ricerca del lusso, dimostrata dai propri committenti e dalla scarsa eccellenza delle loro conoscenze stilistico architettoniche. Nell’altro caso, l’esperienza che ha vissuto Maurizio Meriggi, intorno ai temi che concernono il rapporto tra progetto di architettura e trasformazione della città, riguardando dall’interno l’ambiente intellettuale e accademico, che persegue lo scambio di conoscenze tra facoltà universitarie, sembra dimostrare l’esistenza di una medesima curiosità e continuità operativa tra i due Paesi. Infine, pubblichiamo un contributo sula Fondazione Butterfly onlus che opera in Paesi del terzo mondo realizzando progetti di strutture capaci di accogliere i bambini in condizioni di disagio economico ed esistenziale.


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vista ha suscitato nel MARKhI interesse tanto da motivare l’organizzazione nel 1996 di una mostra itinerante di progetti del Dipartimento di Progettazione dell’architettura del Politecnico di Milano dedicati alla città di Milano (“Progetti per Milano”), che ha toccato cinque città della Federazione Russa (Mosca, Niznji Novgorod, Kazan’, Samara, San Pietroburgo) e che è stata accompagnata da seminari e dibattiti contestualmente organizzati presso le locali facoltà di architettura e ordini degli architetti. In quell’occasione abbiamo potuto verificare come nell’ambiente accademico russo, di Milano si conoscevano soprattutto le architetture e alcuni scritti tradotti in russo di Aldo Rossi e Guido Canella. Da quella iniziativa abbiamo avuto un ritorno con la pubblicazione di un libro (“Viaggio in Russia”, Laterza 1998), che documentava delle diverse città toccate dalla mostra i problemi di trasformazione, i metodi dell’insegnamento universitario e i progetti professionali. Successivamente, tra i 1997 e il 1999, ho organizzato insieme a colleghi delle facoltà di Delft, di Stoccarda e di Mosca una mostra ed un film dal titolo “Konstantin S. Mel’nikov e la costruzione di Mosca” (catalogo Skira 1999, ospitata alla Triennale di Milano, al Museo A.V. Scuscev di Mosca, e altre 9 sedi nel mondo, da Madrid a Tokyo). La mostra, che è ancora itinerante, documenta il rapporto tra le trasformazioni della città e l’apporto ideativo dell’architettura di Mel’nikov attraverso modelli plastici alla scala urbana, così come alla scala del dettaglio architettonico. Recentemente ho cominciato ad attivare per la nostra Facoltà scambi in Cina con la BJUT, organizzando un workshop di progettazione urbana ed architettonica rivolto a dottorandi e studenti master cinesi e italiani, tenutosi a Milano e a Pechino. Ritengo strategico per la promozione della nostra cultura progettuale in Cina partire dal problema della formazione di interlocutori adeguati. Infatti, nelle esperienze di ricerca e coordinamento di attività svolte in Russia, i problemi di lingua e comunicazione sono stati molto relativi, mentre con la Cina le difficoltà sono enormi per il modo completamente diverso di vedere e concepire la ricerca in architettura e l’attività professionale. Sporadicamente, ho avuto occasione di affiancare alla ricerca e al coordinamento attività di consulenza progettuale, in particolare in Cina, per esempio per la stesura di un progetto definitivo di un museo archeologico per la città di Nejmeng nella Mongolia cinese (con lo studio UrbanScapeInternational di Pechino, insieme a Sabrina Greco). Maurizio Meriggi

Due scuole per i poveri del mondo La Fondazione Butterfly onlus opera per aiutare in particolar modo bambini che si trovano in condizioni di gran-

de disagio economico ed esistenziale. Privilegia progetti rivolti all’istruzione primaria ed alla formazione professionale in Paesi del terzo mondo. Si impegna inoltre in un’altra delle attuali priorità del pianeta, l’approvvigionamento idrico. Edoardo Guazzoni ha finora progettato per questa Fondazione che ha sede a Venegono Superiore (VA - www.butterflyonlus.org) la “Tashi school”, a Boudha – Katmandu – nel Nepal (2003-2005) e l’Ecole Saint Joseph a Ivato, nei pressi di Antanarivo – Madagascar (2004). La prima per circa 180 bambini, dotata di dieci aule, cucina e mensa, palestra, dormitori, è un edificio a quattro piani, disposto a “L” attorno al piccolo cortile di ingresso. La struttura in c.a. è rivestita in mattoni a vista; la distribuzione avviane attraverso un loggiato esterno intonacato bianco; le finestre, le porte e gli altri decori sono realizzati secondo la tradizione artigianale locale. La seconda è un complesso che sostituisce una scuola già esistente, quasi completamente distrutta da un incendio. I due corpi edilizi costruiti ospitano su due piani oltre 300 bambini e si dispongono per formare, insieme alla chiesa e sacrestia esistenti, una corte quadrata. Il nostro collega nel suo studio di Milano ha redatto il progetto degli edifici, su una serie accurata di tavole, concordata con funzionari italiani della Fondazione; ha successivamente affidato la progettazione esecutiva a tecnici locali e ha potuto verificare a opere compiute la completa rispondenza dei manufatti ai propri intendimenti architettonici. R. G.

Monza e Brianza a cura di Francesco Redaelli e Francesco Repishti

Da Concorezzo a Toronto. Qualche domanda a Federico Pella Federico Pella (Milano, 1977) è il più giovane consigliere dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Monza e della Brianza... Prova a tracciare una breve geografia della tua esperienza formativa e lavorativa all’estero. Il mio rapporto con l’estero ha inizio durante il quarto anno del liceo scientifico, quando mi sono trasferito per un anno negli Stati Uniti (Kansas City, Missouri) per frequentare il Senior Year nel liceo americano di Blue Springs High School. Sempre al quarto anno di Università (Politecnico di Milano), grazie al programma Erasmus, sono stato a Lisbona (Università Lusiada) e sono tornato


Secondo te, un architetto italiano è favorito nel trovare occasioni progettuali all’estero? Per quello che ho potuto riscontrare soprattutto durante l’esperienza canadese, un architetto italiano all’estero ha sempre un “ruolo privilegiato”, grazie alla grande tradizione architettonica e culturale del nostro Paese, purtroppo soprattutto del passato. Ritengo, infatti, che oggi ci troviamo in una fase di “stasi”, ovvero di difficoltà di rinnovamento e di miglioramento sia tecnico che qualitativo, che probabilmente potrebbe sbloccarsi se guardassimo di più ad altre metodologie progettuali, partendo dalla nostra tradizione architettonica, unica nel suo genere. Quali le differenze più evidenti nel modo di lavorare di un architetto canadese e uno italiano? In Portogallo mi ha colpito soprattutto la manualità dell’architettura, ovvero l’approccio al progetto tramite maquettes di studio sulle quali verificare le proporzioni e le dimensioni, oppure le revisioni con i clienti, portando schizzi e le stesse maquettes, che inevitabilmente venivano “deformate e smembrate” durante la riunione, per poi arrivare al volume definitivo. In Canada mi ha stupito la varietà di linguaggi e di forme incontrate: dallo spiccato high-tech, all’absolut minimal, al conservative design,

ma, indipendentemente da queste scelte, in tutti ho potuto verificare un metodo di lavoro molto rigoroso ed anche abbastanza rigido, attraverso brain-storming infiniti, meeting di revisione collettivi e poi individuali. Potremmo definirlo un processo più “industriale” dell’architettura, garantito da un controllo di ogni fase e da perfetta “catena di montaggio” nella quale ognuno ha il proprio ruolo ed è fondamentale per la buona riuscita del progetto. Si passa così dagli studi portoghesi di 5/6 architetti a quelli di 200/300 architetti canadesi! Ma il risultato è sempre eccezionale, basta visitare Lisbona e Toronto, famose in tutto il mondo per la loro architettura e la loro qualità di vita, e rendersene conto di persona. Tutte queste esperienze all’estero hanno dunque mutato il tuo modo di pensare e progettare? Credo fosse inevitabile, anche perché avvenute durante gli anni universitari. Ha influito molto l’anno di studio a Lisbona, dove ho potuto scoprire un nuovo modo di “fare” architettura e dove mi è “scoppiata” la vera passione. Tra l’altro cadeva nell’anno dell’Expo internazionale, per cui ho avuto la possibilità di osservare direttamente le realizzazioni di Alvaro Siza, Gonçalo Byrne, Eduardo Souto de Moura, Matheus e altri, e assistere al dibattito da queste prodotto. Gran parte del merito di questa sensibilità lo devo inoltre ai miei due relatori di tesi con i quali ho stretto un rapporto di amicizia e collaborazione che non mi sarei mai aspettato e dai quali ho imparato a cercare di non dar per scontato nulla nell’approccio al progetto, oltre al fatto di considerare interno ed esterno, così come pianta e prospetto, una cosa sola, ovvero parte di uno studio unitario e sincrono. Il progetto canadese di Princes’ Gates ha come basi questa esperienza, che si rivela sia nell’uso dei materiali, sia nella posizione e proporzione degli elementi di architettura rispetto al contesto urbano In che modo interagisce o ha interagito l’identità del tuo territorio e la sua tradizione architettonica con l’esperienza estera?

Con me ho sempre cercato di portare la mia sensibilità al territorio, una passione per il modernismo e una particolare attenzione alla scelta dei materiali, non senza divergenze di opinioni o difficoltà di realizzazione con i collaboratori stranieri, ma con la convinzione che non posso levarmi di

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per un anno, subito dopo la laurea, a lavorare nell’atelier del mio professore di progettazione architettonica portoghese (Victor Neves, arquitectura e urbanismo lda). Qui ho avuto la fortuna di essere stato coprogettista del progetto vincitore del primo premio del concorso internazionale per il nuovo Ospedale di Lamego (a nord del Portogallo), in collaborazione con l’atelier Proap lda e di essere stato finalista ad Atene al concorso internazionale Europan7 dedicato alla riqualificazione urbana e residenziale a Evora, presso la Quinta dos Alamos. Poi, nell’ottobre del 2005, ho vinto il primo premio del Concorso internazionale “Revitalization of Princes’ Gates”, un progetto di riqualificazione urbana della piazza adiacente l’ingresso della Fiera Canadese, nell’area del Waterfront Ovest di Toronto come capogruppo di un team di progettazione (Sering srl, Sistema Duemila srl, Sandro Benedetti, M+C architetti, The MBTW Group, Attilio Lunardi). Il progetto, ad oggi è stato realizzato il primo lotto del masterplan generale, comprende anche la progettazione di elementi di arredo urbano (sedute, elementi di illuminazione). Le città estere mi hanno da sempre affascinato, soprattutto quelle della penisola Iberica e del nord America, per cui, avendone avuto la possibilità, ho colto la palla al balzo ed ho affrontato circa tre anni di vita all’estero, sia per studio, che per lavoro. Per me il rapporto architettura/estero è nato “quasi” casualmente, nel senso che non era stato assolutamente programmato, ma essendone rimasto affascinato ed avendo ricevuto offerte di lavoro e possibilità di progettare sia a Lisbona, che a Toronto non mi sono di certo tirato indietro, anzi.


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dosso le mie origini e anzi, desidero evidenziarle nei progetti. Nel bando del concorso canadese, tra l’altro, era proprio specificata questa caratteristica, per cui non avrei potuto non partecipare… Quali opportunità lavorative offre il Canada rispetto all’Italia? Penso che il Canada sia un mercato molto importante e negli ultimi anni estremamente vivace. Una realtà dove il pensiero dominante è quello di innovare, senza paura né di “esagerare”, né di essere troppo “fuori budget” o “fuori tema”. È sufficiente osservare per questo gli edifici realizzati da Daniel Libeskind e dallo studio Young and Wright architects. Mi domando cosa sarebbe successo se fossero stati costruiti in un ambiente tipo Milano o Roma... certamente sarebbe stato interessante! Ho visto una grande ricerca dei materiali, dell’uso dell’acciaio e delle finiture, ma soprattutto una buona pianificazione urbana strategica di base, che porterà, nei prossimi venti anni, alla riqualificazione di grandi aree dismesse della città e del waterfront ovest di Toronto. Perché consiglieresti questo tipo di esperienza? Perché ti “apre gli occhi”, ti permette di interagire e confrontarti con professionisti che provengono da esperienza formative e culturali molto differenti dalla tua e perché tutte le volte si impara qualcosa. Quest’ultimo aspetto è probabilmente quello che mi colpisce sempre più, ovvero c’è sempre da imparare, anche quando meno uno se lo aspetta. a cura di F. Rephisti

Pavia a cura di Vittorio Prina

Portogallo Sono arrivata a Porto nel 1998, come studente del Politecnico di Milano. Dovevo rimanere pochi mesi, il tempo di articolare la tesi. Sono tornata in Italia dopo tre anni. Eppure il primo impatto con la città è stato spigoloso ed aspro, proprio come il suo suolo. Non ero a mio agio, abituata agli orizzonti della bassa padana, quel luogo, dalla topografia accidentata, mi sembrava ostico, difficile da comprendere. L’unico elemento famigliare era la nebbia. Un po’ persa, un po’ disorientata, da ligia studentessa italiana mi sono rifugiata in biblioteca, a scartabellare tra mappe e libri cercando di capire il carattere della città. Entrando però in contatto con l’ambiente della FAUP, la facoltà di architettura di Porto, ho inteso la debolezza del mio approccio. Vedere gli studenti porto-

ghesi sguinzagliati in giro per vicoli e strade, muniti di quaderno e matita, intenti a tracciare schizzi densi dalle linee tremule, mi ha aiutato a capire. Capire che la loro attitudine ad attraversare un territorio, misurarlo e investigarlo tramite il disegno, facendone emergere, in modo sintetico ed analitico, volumi, forme e proporzioni, era un modo nuovo per affrontare un progetto. In quella prima fase, apparentemente solo descrittiva, vi erano già tutti gli elementi necessari. Forse questo loro pragmatismo, questa decisione operativa nell’approccio al tema progettuale, con mente fresca e libera da eccessivi condizionamenti teorici, è in parte retaggio di ciò che la scuola di Porto ha vissuto negli anni Settanta, quando, terminato il periodo immobile della dittatura, è iniziato un momento di rinnovamento di voglia di fare e realizzare, di affrontare i problemi dell’abitare, servendosi dei materiali e delle suggestioni immediatamente a disposizione. Ovvero lavorando con la materia

prima fornita dal luogo, cogliendo ogni singolo segno, tensione, traccia sul territorio: presenze delicate, ma forti di significato… “Facendo diventare intenzione, ciò che prima non lo era” (A. Siza). A mia volta ho cambiato atteggiamento, tentando di leggere, non più solamente le stratificazioni storiche e tipologiche della città, quanto piuttosto le sue proprietà fisiche, la sua capacità di adattarsi ad una topografia aspra e scoscesa. Una città che lavora su quote differenti, una bassa lungo il fiume, una alta sviluppata verso l’interno, e tra le due un vasto scenario di soluzioni di raccordo: scale scavate nel granito, giardini pensili terrazzati, terrazze lavorate con muri di sostegno, muri allineati lungo curve di livello, piani inclinati, piattaforme adattate al suolo, edifici adagiati, edifici snodati come rampe, scavati nel terreno o sospesi leggeri su blocchi di roccia. Un abaco di situazioni sconosciute nella piatta provincia lombarda. La “resistenza di quel luogo” aveva prodotto una serie di “tecniche di sopravvivenza” costruttive ed architettoniche, che ho tentato di sintetizzare in disegni e modelli, trovando poi, in questi studi iniziali, le soluzioni che andavo cercando. Con le mie prime esperienze lavorative ho scoperto un altro aspetto fondamentale dell’architettura portoghese. In quel periodo la città era in fermento per i numerosi cantieri aperti in occasione di Porto-Capitale Europea, importante operazione di rinnovo urbano dei principali spazi pubblici. In un primo tempo ho lavorato presso lo studio dell’arch. Francisco Barata, direttamente coinvolto in queste opere comunali ed in seguito presso lo studio dell’arch. Manuel Botel-


Chiara Dorigati

Sondrio a cura di Marco Ghilotti ed Enrico Scaramellini

Ora che l’economia cinese si è spalancata al resto del mondo influenzando i mercati internazionali, la nostra curiosità nei confronti di questo grande continente è progressivamente aumentata, rivelandoci un paesaggio culturale straordinario, ed una realtà socio economica in febbrile evoluzione. Così la Cina contemporanea si presenta al nostro sguardo come il luogo privilegiato dove la millenaria tradizione culturale orientale sembra fondersi drammaticamente con le prepotenti influenze occidentali dando vita a qualcosa di nuovo: mercati, città, arte, cultura, musei e grandi eventi. È un processo controverso, che sempre più spesso è prevalentemente contraddistinto da logiche speculative e di omogeneizzazione culturale globale senza radici nella storia cinese, ma è anche il prezzo da pagare di un accelerato percorso verso l’e-

mancipazione politica e la modernità. In questo quadro, l’architettura assume un ruolo privilegiato, divenendo rappresentazione di questo processo in divenire, uno straordinario strumento collettivo di disegno del territorio, ma soprattutto un fertile terreno ove trovano sempre più spazio contributi internazionali. L’esperienza svolta da un nostro giovane collega di Morbegno, l’architetto Fabio Rabbiosi, presentata sotto forma di intervista, si colloca in quest’ambito, configurandosi come un esempio significativo delle importanti opportunità che le trasformazioni del continente cinese riservano al nostro mestiere. M. G.

Progettare in Cina Come è nata questa esperienza in Cina? Per quanto possa sembrare strano, in modo del tutto casuale, accompagnando un amico imprenditore. Inizialmente il mio approccio fu quello del viaggiatore, poi invitato per un sopralluogo rispetto ad un problema specifico capii che questa realtà poteva offrire importanti prospettive. Così, incuriosito da ciò che poteva aspettarmi, decisi di intraprendere questa nuova sfida professionale. Dopo il primo viaggio, ne seguirono altri, generalmente organizzati nei mesi in cui l’attività lavorativa del mio studio consentiva una permanenza prolungata in Cina. I repentini cambiamenti che stanno investendo l’economia, la società ed il territorio cinese offrono importanti opportunità per il nostro lavoro; nuove città stanno sorgendo dal nulla e le città esistenti si stanno ridisegnando. Un desiderio di rinascita, non privo di contraddizioni, attraversa il continente cinese disegnando l’immagine di un futuro possibile capace di rompere il guscio della dittatura passata. Di che cosa ti sei occupato e com’è organizzato il tuo lavoro in Cina? La mia è un’attività di consulenza e coordinamento applicata a specifici temi progettuali (l’allestimento di un grande albergo, il progetto di un complesso residenziale e ricettivo) svolta in tempi molto ristretti (un mese) nell’ambito di un team di progetto cinese che si occupa anche della gestione del cliente e dell’incarico progettuale. In qualità di progettista, sviluppo una serie di soluzioni e

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ho, impegnato invece su lavori ad una scala più domestica. In entrambi i casi, si trattasse di decidere le pendenze, lo scolo delle acque, la pavimentazione di una strada o di scegliere il disegno di un serramento, di uno zoccolino o il rivestimento di una facciata, vi era sempre un’attenzione quasi commovente per il dettaglio, “o pormenor” e per il “remate”, l’attacco, il raccordo di due elementi, materici o formali che fossero. Un’attenzione sia per la miglior soluzione tecnico costruttiva sia per la soluzione più coerente rispetto l’idea iniziale, nella quasi maniacale ricerca di un filo conduttore tra la scala al cinquecento e la scala dell’uno a due. Considerando questi aspetti: la sensibile attenzione per il luogo e la continua riflessione sull’importanza del dettaglio era naturale, da parte dei sospettosi portoghesi, l’iniziale sgomento per il progetto della Casa da Musica di Rem Koolhas, collocata nella rotonda da Boavista, punto nevralgico della città. Quando sono rientrata in Italia i lavori erano appena iniziati, ma già le polemiche imperversavano. Questa primavera sono tornata a Porto ed ho visitato la Casa da Musica. La piattaforma di arrivo lavorata come un suolo artificiale di piani inclinati, all’esterno la massa grigia dell’edificio, potente come certe austere case di granito, all’interno la luce riflettente della sala di azulejos ed il rivestimento dorato dell’auditorium, gioiello nascosto come la talha dourada del convento di Santa Clara… ho ritrovato, inaspettate, suggestioni e frammenti di Porto che custodivo, nella memoria, dalle mie peregrinazioni di sei anni fa. Esistono molti modi, anche deliranti, di leggere il medesimo contesto.


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coordino un giovane team di disegnatori con i quali vengono elaborate graficamente le proposte progettuali poi presentate al cliente, generalmente importanti società immobiliari interessate alla trasformazione di aree urbane importanti per il paese. È un impegno intensivo che mi ha consentito di maturare una significativa esperienza nel coordinamento di un cospicuo numero di collaboratori. Nel contempo sei costretto a concentrare la tua attenzione solo sugli aspetti più importanti, su ciò che rende efficace la tua idea progettuale. Questo ha influito sul mio modo di pensare l’architettura e di riflettere sulle trasformazioni in atto nel nostro mestiere. Come è visto il tuo contributo italiano e l’architettura italiana in genere? La presenza di un architetto straniero nel gruppo di progettazione rende quest’ultimo più credibile, è un elemento qualificante e di prestigio nei confronti del cliente finale, contribuisce soprattutto a conferire un’atmosfera più internazionale alla proposta progettuale forse proprio perché frutto di un’efficace fusione tra Oriente ed Occidente. La Cina inoltre, mostra oggi un grande interesse nei confronti di tutto ciò che accade al di fuori dei propri confini nazionali. Per il nostro lavoro questo significa una grande diffusione di riviste straniere, monografie, pubblicazioni di ogni tipo riguardanti l’architettura. Quest’esperienza ha mutato il tuo modo di pensare e progettare l’architettura? L’intensità di quest’esperienza, la rapidità con la quale devi realizzare una proposta progettuale, non mi hanno lasciato indifferente. Oggi cerco di lavorare molto sulle modalità rappresentative del progetto, affinché questo sia comprensibile al committente. L’elaborazione in pianta, per quanto imprescindibile, lascia spazio a prospettive ed immagini suggestive; un architettura costruita attraverso volumi rigorosi si sostituisce a forme più organiche, sinuose, avvolgenti forse più fotogeniche rispetto ai contemporanei sistemi rappresentativi applicati al nostro settore. È stato possibile seguire i tuoi progetti anche nella fase realizzativa? La dimensione degli interventi progettati, l’impegno in termini di tempo che questi richiederebbero nella gestione della fase realizzativa dell’opera, ma soprattutto le diversità che contraddistinguono la realtà lavorativa cinese nella pratica e nella gestione del cantiere, non mi hanno ancora consentito di seguire i progetti redatti anche in fase realizzativa. Consiglieresti questa esperienza? In uno studio importante, dove il nostro contributo possa essere adeguatamente garantito e valorizzato, sicuramente. La mia, è stata un’esperienza non priva di rischi, ed ancora oggi l’assenza di aiuto da parte delle nostre istituzioni rende qualsiasi nostro contributo lavorativo in

Cina molto avventuroso. Il nostro Paese e le istituzioni, dovrebbero incoraggiare esperienze come la mia, volte ad un approfondimento delle opportunità lavorative in un Paese attraversato da così importanti trasformazioni. Oggi in Italia si realizza ancora poca architettura di qualità e Paesi come la Cina, offrono quindi in questo momento importanti occasioni: consentendo di affrontare temi progettuali a grande scala che in altri contesti nazionali sono prerogativa di sedimentate strutture progettuali; credendo nell’affidamento di incarichi di rilevo a giovani professionisti; contribuendo nel realizzare una fertile fusione tra culture molto diverse tra loro ed in grado di far nascere soluzioni inaspettate. Marco Ghilotti

Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni

Fabio Bezzecchi è un giovane, capace e dinamico architetto varesino trasferitosi da poco più di un anno a Parigi. C. C.

Un varesino a Parigi Una formazione scolastica orientata all’architettura d’interni e all’industrial design, poi l’inizio della professione condotta su due binari paralleli: da un lato la duratura collaborazione con un noto studio di architettura varesino, dall’altra un percorso professionalmente libero che mi ha portato alla finalizzazione di diversi progetti di interni, ristrutturazioni ed ampliamenti. In sintesi, un percorso professionale comune a molti giovani architetti: la ricerca della stabilità, ma con quel tanto di flessibilità da poter gestire piccoli progetti per proprio conto. Nel 2005, all’età di trentatrè anni e dopo sei anni di professione così condotta, il cambiamento, la scelta radicale di abbandonare una strada sicura e cercare nuovi stimoli. È così che mi trovo oggi a confrontarmi con una delle realtà più grandi e interessanti d’Europa: Parigi. Sono partito armato solo delle mie esperienze e mi aspettavo una dura lotta per entrare nel sistema professionale parigino, tenuto soprattutto conto della mia quasi totale ignoranza della lingua francese. Ad un anno dalla mia partenza e alla luce degli accadimenti che sono seguiti, posso oggi tranquillamente affermare di aver fatto la scelta giusta. Sono numerose le ragioni che mi portano a questa certezza. Tralasciando i tanti


tra Europa, Medio Oriente e Cina, dove da qualche anno ha aperto un distaccamento. La rottura con il piccolo universo varesino è netta. L’approccio con i primi progetti è da subito rivelatore della presenza di una struttura organizzativa che fornisce efficienza e consequenzialità delle diversi fasi del progetto. L’iter progettuale limita al minimo pause o tempi morti e nell’arco di pochi mesi si arriva velocemente all’inizio del cantiere. Il rapporto con il committente ed i consulenti tecnici coinvolti è “normato” da frequenti riunioni ufficializzate nei contenuti da dettagliate relazioni scritte che testimoniano

e registrano in maniera precisa ed inequivocabile ogni minima decisione presa. La gestione dell’informazione diventa quindi un elemento che necessita grande dispendio di energie, ma che garantisce il corretto svolgimento del processo e una suddivisione dei compiti chiara e senza equivoci. Quest’aspetto diventa particolarmente importante in un Paese in cui, a differenza dell’Italia, il motore trainante è rappresentato dalle commesse pubbliche e la maggioranza degli incarichi di un qualsiasi studio di architettura francese è affidato tramite concorsi pubblici ad inviti o con preselezione. Gli studi che concorrono all’aggiudicazione sono solitamente ben pagati e ciò consente di dedicarvi notevoli sforzi nonché mezzi umani ed economici. La partecipazione ai concorsi copre spesso più del cinquanta percento dell’attività di uno studio professionale. Non è quindi insolito dedicare diversi mesi del proprio lavoro a sviluppare svariati progetti per altrettante candidature. Oggi lavoro nello studio parigino di Renzo Piano: l’approccio al progetto è unico. Nell’epoca in cui è spasmodica la ricerca dell’immagine più che dei contenuti, attraverso stupefacenti modellazioni virtuali in grado di generare mondi irreali, nell’atelier Piano è d’obbligo la riflessione accurata sul progetto, la continua verifica con modelli tanto perfetti quanto spesso improvvisati, di ogni scala e genere, in legno, metallo, plastiche, carta o cartone, la cura spasmodica del dettaglio. Fatalità della sorte, collaboro oggi ad uno dei progetti più interessanti e innovatori del panorama architettonico italiano: il recupero delle ex aree Falck di Milano. Sembra quasi che per ben lavorare in Italia sia necessario passare dall’estero. Uno stimolo a partire? Forse solo una storia nota e paradossale che si ripete. Fabio Bezzecchi

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aspetti della vita quotidiana che necessariamente cambiano nel passaggio ad una grande e bella metropoli, molteplici sono gli spunti di discussione. Diciotto mesi non sono forse sufficienti per acquisire una piena consapevolezza dell’universo professionale dell’architetto francese, ma sono comunque una base sulla quale poter tracciare alcune brevi quanto improvvisate considerazioni. Parigi è una città nella quale negli ultimi anni si è spesa più energia a recuperare il vasto patrimonio storico e artistico che non a costruire e sperimentare nuove forme d’architettura. Nonostante ciò la capitale francese concentra su di sé gran parte degli studi professionali presenti nel territorio nazionale e numerosi di questi lavorano su progetti che spesso varcano i confini nazionali. Arrivati a Parigi ci si confronta da subito con un sistema del lavoro molto dinamico. Stabilire il contatto con il mondo professionale è forse il primo ed evidente elemento di forte differenziazione con l’Italia. Il passaparola lascia il posto ad un sistema più apertamente meritocratico: avendo buone capacità ed una discreta esperienza non è difficile, preparando un curriculum ben fatto, inserirsi in uno dei moltissimi studi di architettura presenti nella città, con condizioni contrattuali decisamente più vantaggiose rispetto all’Italia. La professione dell’architetto, come in generale il lavoro intellettuale, è sensibilmente riconosciuto, apprezzato, e, strano a dirlo, ricambiato. Esistono inoltre alcune agenzie di lavoro interinale specifiche per architetti che si occupano di fare da tramite tra gli studi di architettura e i professionisti del settore: è sufficiente depositare un curriculum nel sito internet corrispondente e solitamente si viene rapidamente contattati per un colloquio esplorativo. Tale incontro ha come scopo una più profonda valutazione del proprio percorso professionale al fine di comprendere meglio le necessità reciproche e indirizzare le ricerche verso un canale più adeguato alle proprie esigenze. I contratti così ottenuti sono in genere a tempo determinato, ma possono sovente essere il punto di partenza per durature collaborazioni. Ciò rappresenta un mezzo molto efficace di distribuzione delle risorse, utile soprattutto per coloro che non conoscono la realtà lavorativa locale o non hanno indirizzato le proprie attenzioni verso uno studio in particolare. Bisogna comunque considerare che tale supporto, nato prima di tutto per venire incontro alle esigenze degli studi in cerca di adeguate figure professionali in periodi di sovraccarico di lavoro, è accompagnato da un sistema di “ammortizzatori sociali” efficace e pronto ad intervenire, nell’eventualità di una sosta prolungata dal lavoro, fornendo un contributo mensile pari a circa l’ottanta percento dell’ultimo salario percepito. Al mio arrivo a Parigi decisi comunque di contattare direttamente una rosa prescelta di studi d’architettura e dopo pochi giorni di ricerca finalizzai un primo contratto con Architecture Studio, un grande e dinamico studio internazionale composto da circa 130 architetti e che lavora


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Albini, Gardella, Mollino: tre figure al centro dell’“anomalia” italiana Errata corrige: in questa pagina ripubblichiamo l’articolo dedicato alle tre mostre su Albini, Gardella e Mollino - recentemente tenutesi a Milano, Genova e Torino - e già pubblicato sul numero 12 di “AL” , senza la firma di Daniele Vitale, autore dello scritto. Ci scusiamo dell’errore con i lettori e con l’autore che, in più di una occasione, ha gentilmente collaborato alla realizzazione della nostra rivista. Tre architetti nati nel 1905, Franco Albini, Ignazio Gardella, Carlo Mollino. Tre figure centrali di quella che ha costituito l’anomalia dell’architettura italiana del Novecento, prima nell’interpretare gli ideali della modernità e poi nel ricostruire dopo la guerra un diverso orizzonte. Il centenario della nascita viene celebrato con un anno di ritardo da tre mostre, quelle di Albini e Mollino già aperte alla Triennale di Milano e all’Archivio di Stato di Torino, quella di Gardella destinata ad aprire il 24 novembre al Palazzo Ducale di Genova. Ma come dimenticare che il 1905 era anche stato l’anno di nascita a Napoli di Luigi Cosenza, e il 1904 di Giuseppe Terragni e Mario Ridolfi? E che molti altri erano nati in un arco ravvicinato di anni, formando una generazione inquieta ma fortunata, destinata a svolgere un ruolo e ad assumere un peso? Sono state esperienze, le loro, cariche di accentuazioni e ricerche individuali, ma viste sulla distanza, legate in modo profondo a un sentimento e a una cultura comuni. Albini e Gardella, pur così diversi tra loro, possono agli esordi essere ricondotti all’insegnamento di Edoardo Persico e alla sua visione di un’architettura classica non letterale, ma rarefatta e depurata: quella visione che aveva fissato nel bellissimo Salone della Vittoria realizzato alla Triennale di Milano del 1936, trasfigurato in un tempio astratto e luminoso. Di Persico, Albini avrebbe ripreso quasi alla lettera gli allestimenti basandoli sul ritmo puro del telaio e sul suo senso di profondità, ma accentuando

(scriveva Samonà) “l’esilità filiforme di strutture che hanno ridotto all’essenziale la loro struttura materiale”. Gardella avrebbe testimoniato lo stesso purismo nel nitido progetto per una torre-belvedere in piazza Duomo a Milano (1934) e con più densità di tessiture, di materie e di colori nel Dispensario di Alessandria (1936-38). Dopo la guerra Gardella ha costruito una serie di case in cui ha rotto la compattezza e la linearità della scatola edilizia e sperimentato diversi “tipi” formali, ma legandoli a un sentimento forte e a un’idea delle città, mai meccanicamente dedotta ma poeticamente ricomposta ed inventata. Ma è anche finito, specie nella veneziana Casa alle Zattere (1954-58), in giochi sempre più abili e virtuosistici di composizioni e di decori, sino ad imboccare strade in apparenza senza sbocco. Eppure, è stato quello dei tre più capace di reggere la prova del tempo e di tornare con sapienza a un’ispirazione e a un’essenzialità originarie, come nei progetti di grande forza e rigore per il teatro civico di Vicenza (1969 e 1979). Albini ha invece dato le sue prove migliori sul tema civile dei musei, carico di valenze metaforiche, perché attraverso di esso veniva esplorando e sperimentando quel rapporto con l’antico e con la storia urbana, che era difficile praticare su ampia scala nel corpo delle città. Dunque, era ancora il nesso e il conflitto con la storia quello che alla fine indagava, anche se attraverso magici distacchi e sospensioni. Ma dopo i suoi progetti più carichi di tensione e in particolare dopo il Tesoro di San Lorenzo a Genova (1952-56), avrebbe visto crollare un quadro e un mondo e si sarebbe perduto in prove di carattere professionale. Mollino, così profondamente torinese, era figura rispetto agli altri assai singolare, tanto che la critica più che sull’architettura ha continuato a insistere sul personaggio. “No, non c’era in lui nulla di continuo, di previsto, di prevedibile: questo atteggia-

Ignazio Gardella: modello del progetto di concorso per il teatro civico di Vicenza, 1969. Foto Giogio Casali.

mento gli piaceva molto e lo coltivava con fedeltà, proprio per quel suo affanno di stupire sé e gli altri con gesti immotivati (…) sul palcoscenico della vita si muoveva come un attore – un attore caratterista – con scatti quasi da marionetta, che pareva avere appreso dai futuristi, dai secondi futuristi. Ma alla labilità dei gesti preferiva poi sempre la stabilità delle opere”, scriveva Roberto Gabetti in un ritratto breve e acuto. E infatti dietro l’eccentricità riposava la solidità di una cultura neopositivista ereditata, prima che dal padre ingegnere, dal milieu tecnico cittadino, legata al manuale, alla definizione del canone, al rigore costruttivo. Ma come sempre a Torino, essa non escludeva l’esasperazione espressiva, ma la assumeva come contraltare e come sponda, sia nei progetti d’anteguerra che nelle grandi opere realizzate in seguito nel centro urbano. Resta tuttavia da interrogarsi sul carattere e sul significato delle mostre. Oggi assistiamo nel campo dell’architettura, e ancor più nel campo dell’arte, a un’inflazione e quasi a una dilapidazione espositiva. Le mostre sono diventate eventi promozionali utili a richiamare pubblico e turismo, di cui valutare in primo luogo le ricadute economiche e gli effetti sul piano della propaganda e dell’immagine;

poche volte corrispondono a uno sforzo di studio e di ricerca approfondito. Eppure, negli ultimi decenni si erano tenute in Europa diverse e importanti mostre di architettura che avevano indicato una diversa possibilità, attingendo a una vastità e a una complessità di fonti prima sconosciuta. Nascevano da una politica di lunga lena e di respiro, che alle spalle aveva istituti scientifici, università, politecnici, archivi, musei, basata sul lavoro paziente di gruppi di studiosi e su risorse adeguate. Mostre non occasionali e non risolte a priori nell’effimero, ma legate a una tensione culturale e di ricerca. Da questo punto di vista, non sono uguali tra loro le tre mostre: e quella più fondata scientificamente è quella di Mollino, anche se sarebbe stato interessante darle una diversa apertura di dibattito. L’architettura è una parte determinante della nostra esperienza storica e della nostra cultura; è triste trattarne con certa improvvisazione, per poi puntellarla con allestimenti più o meno abili e ridurla alla logica del made in Italy e della sua propaganda. Bisognerebbe che queste esposizioni servissero almeno a riaccendere una discussione sopita e ad alimentare le ricerche dei giovani. Daniele Vitale


Lo scorso dicembre si è conclusa a Reggio Emilia la prima edizione della Biennale del Paesaggio, promossa dalla Provincia di Reggio Emilia. La manifestazione si è svolta dal novembre 2005 alla fine del 2006 attraverso una articolata sequenza di seminari, mostre e concorsi che hanno affrontato in modi poliedrici il tema del paesaggio. Dallo spettacolare abbattimento di un noto “ecomostro” all’organizzazione, insieme al Centro Internazionale di Studi sui Paesaggi Culturali dell’Università di Ferrara, dell’International Summer School in Cultural Landscapes Studies, corso di formazione sulla progettazione paesaggistica, a manifestazioni di carattere letterario, i vari eventi hanno dato contributi differenti ma tutti utili alla definizione del concetto di paesaggio. In stretto rapporto con la Biennal Europea de Paysatge di Barcellona, organizzata dal Collegio degli Architetti di Barcellona e giunta alla sua quarta edizione, la Biennale di Reggio Emila si propone come strumento di ampia sensibilizzazione verso la questione del paesaggio – con un comitato scien-

20 anni di Erasmus Il 9 gennaio a Bruxelles, il presidente della Commissione europea José Manuel Durão Barroso ha dato inizio alle celebrazioni del ventennale del programma di scambio internazionale Erasmus, che promuove la mobilità e gli scambi internazionali di docenti e studenti universitari. Il programma, adottato nel giugno del 1987, si ispira ad una tradizione di mobilità che risale al Medioevo, prendendo il nome dal filosofo, teologo e umanista Erasmo da Rotterdam (1465-1536).

tifico di qualità ed un adeguato programma di comunicazione (www.biennaledelpaesaggio.it) – e, allo stesso tempo, come risorsa realmente operativa sul territorio, nell’ambito delle strategie previste dalla Convenzione Europea del Paesaggio del 2000. Da qui il rapporto con il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Reggio Emilia per il quale alcune iniziative della Biennale costituiscono un importante riferimento. Una di queste è la mostra Paesaggi di Provincia. Cartografia e sintassi del territorio reggiano, a cura di Franco Farinelli ed Elisabetta Cavazza, tenutasi dall’11 novembre all’8 dicembre. Di ciò dà conto il catalogo della mostra (Damiani Editore, euro 25,00) che raccoglie con ottima stampa, oltre alle bellissime carte esposte, alcuni interessanti saggi che contribuiscono a sottolineare come un’approfondita indagine cartografica, in questo caso svolta presso diversi Archivi di Stato, sia una condizione non solo per studiare il paesaggio, ma per definire la stessa nozione di territorio. Maurizio Carones

Nel suo primo anno vi hanno partecipato 3.244 studenti, arrivando nel 2005 a 144.032 studenti, ovvero quasi l’1% della popolazione studentesca europea. La mobilità dei docenti universitari coinvolge 20.877 persone, pari all’1,9% della popolazione dei docenti europei. Ogni anno, circa 150 mila studenti scelgono di partecipare al programma Erasmus, di cui 22% appartenenti all’area linguistica, 15% all’area politico-sociale e 8% ad architettura e design. L’Italia è tra le nazioni più vivaci: nell’anno accademico 2004-05 sono stati ben 16.440 gli studenti italiani accolti in altre università. Per quanto riguarda il Politecnico di Milano, attivo sin dai primi programmi della Commissione Europea, l’analisi dei dati sulla

mobilità per le facoltà Architettura e Società, Architettura Civile e Design, nel periodo dal 2002-03 al 2005-06, ha evidenziato un andamento piuttosto costante dei flussi di studenti: ogni anno, mediamente, 300 iscritti scelgono di studiare all’estero, contro i 352 studenti in arrivo dalle sedi partner. “Portare gli studenti in Europa e portare l’Europa a tutti gli studenti” è il motto della Commissione europea, che intende, nei prossimi anni, aumentare ulteriormente la mobilità ed invitare le università ad aggiungere una prospettiva europea ai corsi offerti agli studenti che non partecipano direttamente ai programmi di scambio. Cinzia Lepido

“CamminaMilano”: itinerari d’autore per riscoprire la città Passeggiare per ricordare è il tema di un’originale iniziativa patrocinata dal Comune di Milano e presentata dalla casa editrice No Reply domenica 14 gennaio; per un’intera giornata alcuni scrittori si sono alternati raccontando la loro Milano attraverso tre incontri letterari e una passeggiata tra biblioteche, parchi e monumenti: si è partiti dalla prima colazione in compagnia della scrittrice vincitrice del Premio Bancarella, Alessandra Appiano e di Nanni Delbecchi agli ex Castelli Daziari di Porta Venezia, presso la Casa del pane sede della mostra permanente dell’Accademia della Crusca, ri-raccontando i luoghi del liberty milanese, per poi passare il pomeriggio in compagnia di Alessandro Beretta e Alessandro Bertante all’interno della biblioteca immersa nel parco Sempione. Da qui è poi cominciata una vera e propria passeggiata per il centro storico della città, accompagnata dalle parole di Gianni Biondillo, guida d’eccezione. La giornata si è conclusa con un rito tipicamente milanese, ovvero con un aperitivo letterario alla biblioteca Vigentina in compagnia dello stesso Biondillo e di Raul Montanari, scrittore i cui romanzi hanno spesso come sfondo Milano. Questa bella iniziativa, total-

mente gratuita e in parte offerta dagli organizzatori stessi, si pone in continuità con le intenzioni di una divertente guida, CamminaMilano, uscita a maggio scorso, in cui gli stessi scrittori mettono a disposizione dei lettori i loro ricordi e le loro impressioni metropolitane per suggerire dei veri e propri itinerari d’autore attraverso la città. Camminare ed ascoltare sono qui due semplici gesti da riscoprire per imparare a vedere Milano, per imparare ad ascoltarla attraverso i suoi racconti, per capire quale sia la sua memoria e quanto sia indispensabile la sopravvivenza del ricordo in una città e in un’epoca dove spesso si tende a dimenticare. Francesca Fagnano

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Carte e territori


a cura di Roberto Gamba

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ottobre 2005 – marzo 2006

1° classificato Elvio Leonardi (Milano), Marco Valentino, Alessandro Gullo, Erica Cazzaniga, Arianna Panarella, Davide Cervaro, Davide Furieri

Si tratta dell’ampliamento e adeguamento della scuola elementare e media “E. Blondel”, voluto dall’Amministrazione del comune, mediante la costruzione di nuovi spazi che consentano la formazione di 10 aule per gli alunni delle elementari, 6/7 per quelli delle medie e un’aula polifunzionale per 100 persone. L’ammontare previsto per le opere è di 650.000 euro. Sono state richieste 3 tavole in formato A0. La giuria era composta da Lidia Villa, Luigi Lauriola, Achille Bonardi, Angela Rovati, Marcello De Carli, Domenico Benelli, Roberto Pala. Coordinatore del concorso è stato Matteo Calvi. I premi sono stati di 7.000; 3.500; 1.500 euro. Il vincitore dovrebbe ricevere l’incarico per la progettazione esecutiva. I partecipanti sono stati 51. Oltre ai tre progetti premiati, sono stati segnalati i lavori di Roberto Spagnolo, con Manuela Bandini e Giancarlo Allen; inoltre, quello di Alberto Fabio Ceccarelli, con Alessandra Pometto e Claudio Gabriel Balbi.

La composizione di volumi semplici consente che l’intento pedagogico sia declinato con la gradualità necessaria all’età degli studenti. L’edificio mostra una netta dualità nella differenziazione dei prospetti su strada e su corte, nel trattamento dell’esterno e dell’interno, nella composizione di leggero e pesante, di opaco e trasparente, di domestico e perturbante, di colorato e neutro, di concettuale e percettivo. Il progetto, guidato da princìpi

Ampliamento di una scuola a Casirate d’Adda (Bg)

di ecocompatibilità e biosostenibilità, prevede di arretrare la recinzione per costruire, a completamento del percorso pedonale alberato, un nuovo spazio pubblico e di aprire su questo l’ingresso principale del nuovo edificio. Dati i vincoli dell’area, non si è potuto ricorrere al tipo consolidato a pianta centrale dove le aule affacciano su uno spazio baricentrico di relazione, ma si è dovuto sviluppare un corpo semplice allungato con le aule disposte in successione. Il corridoio acquista perciò particolare rilievo: diviene il principale spazio di relazione per gli allievi. L’aula a cielo aperto, realizzata in copertura, vive in rapporto al cortile, attraverso una circolarità di percorsi pubblici.


Il tessuto edilizio esistente ha suggerito di attestare su strada il nuovo corpo di fabbrica, che si distende con una manica di sezione regolare e colloca gli spazi della distribuzione con affaccio sul fronte strada, “specializzando”, invece, il fronte verso la corte interna all’affaccio degli spazi per la didattica. L’edificio cerca una più attenta relazione con l’intorno prossimo attraverso una doppia arti-

colazione sulle testate, ad est la palestra e ad ovest l’aula polifunzionale. La scuola elementare trova collocazione nell’edificio preesistente. L’aula per le attività artistiche, un piccolo spazio espositivo e gli spogliatoi della palestra, illuminati da un piccolo patio, costituiscono alla quota - 2.60 il collegamento tra i due corpi di fabbrica e, a quota +1.10, il suolo duro sul quale si colloca l’area di gioco della corte interna, rialzata rispetto alla quota attuale per rispondere alle esigenze dei differentemente abili.

3° classificato Ciro Mariani (Como), Marcello Felicori, Massimo Lorenzi collaboratori: Ermanno Lorenzi, Marcello Tommasi La separazione tra le due scuole, primaria e secondaria, concentrate precedentemente in un unico edificio, pone l’inserimento delle stesse in due contesti distinti: il nuovo edificio si differenzia dal precedente per gli standard qualitativi, dall’involucro, rivestito in materiale vitreotraslucido montato a secco, agli ambienti interni ottimizzati in termini bioclimatici ed energetici, sino alle proprietà di illuminazio-

ne e ventilazione naturale delle aule, pur mantenendo una distribuzione continua con quella dell’edificio esistente, sviluppata lungo la forma ad “L”. L’incrocio tra i due blocchi genera un nuovo spazio di relazione (il cortile), riparato ed aperto alle attività comuni della didattica, avvicinando i due edifici nella possibilità di stabilire un contatto interno alla scuola, uno spazio per professori, alunni e genitori. La separazione fisica tra le due scuole, la biblioteca e la presidenza identificano una complessità di relazioni atta a migliorare il rapporto degli alunni con la realtà scolastica.

29 OSSERVATORIO CONCORSI

2° classificato Carlo Magnani (Venezia), Mauro Frate, Daniele Paccone, Piero Vincenti, Augusto Andriolo, Nicola Rossi


OSSERVATORIO RILETTURE

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Nuova piazza Garibaldi a Cantù La realizzazione della nuova piazza Garibaldi a Cantù, eseguita sul progetto del gruppo diretto da Roberto Cremascoli – primo classificatosi al concorso internazionale di architettura nel 2004 – ha suscitato molte polemiche. Pierre-Alain Croiset, professore di progettazione architettonica alla 1° Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino e membro della giuria del concorso, sottolinea gli aspetti principali della progettazione della piazza: Le difficoltà del tema progettuale erano di diversi ordini: da un Iato, si trattava di risolvere correttamente la decisione di limitare il traffico automobilistico e di pedonalizzare un’area vasta, in modo da consentire usi diversificati – dai mercati agli spettacoli – dello spazio cittadino; dall’altro Iato, occorreva tener conto di una condizione topografica complessa, in ragione delle pendenze irregolari, ma anche della necessità di meglio connettere piazza Garibaldi con il sagrato di S. Paolo. Il progetto vincitore agisce con grande sensibilità in questo contesto difficile, proponendo una soluzione di radicale semplicità: un pavimento continuo in granito, che come un lenzuolo avvolge con delicatezza la superficie irregolare del suolo, adattandosi alla topografia. Pochi ma decisi segni completano la composizione urbana: alcuni alberi per creare una zona ombreggiata e riparata, una linea sinuosa d’acqua, 5 pali e 4 cavi sui quali sospendere il sistema d’illuminazione. Sono apparsi vari interventi di giudizi opposti sulla stampa locale e sui siti internet: La piazza di Cantù è antiestetica e ha soddisfatto solamente un egoismo personale. Così si scrive sul blog di “UnAlternativa”, la lista con Renato Meroni. (“Giornale di Cantù”, 18.1.2006). Emilio Magni, giornalista e scrittore, tenta di placare le discussioni: Così a prima e parziale vista la nuova piazza Garibaldi non mi par proprio brutta, come indicherebbero tutte le dita puntate contro e le conseguenti

polemiche che si leggono. Sono tornato a Cantù dopo un po’ di tempo ed alcuni amici che ho riabbracciato proprio sul cantiere della piazza, mi hanno chiesto: “Sa ‘n disatt?”. Ho risposto: “Non mi pare offenda i miei gusti. E mi sembra buona l’idea di portare lo spazio pedonale un po’ su verso San Paolo elevando questo luogo quasi a un’estensione del sagrato, nonostante distanze e dislivelli”. Uno solo degli amici ha azzardato dire: “È troppo grigia”. Gli altri hanno cambiato discorso. Ho capito quanto sia ancora difficile, da queste parti, parlare di piazza Garibaldi. Si rischiava ancora una volta di litigare. Come è sempre avvenuto. La sensibilità locale sembra essere stata scossa dall’introduzione del nuovo aspetto dello spazio pubblico. Infatti, lo stesso giornalista Magni sembra rimpiangere il luogo di una volta: piazza Garibaldi invece – rispetto alla piazza di Erba – era davvero un bel luogo di incontro. Era viva con tutti quei bar che si aprivano intorno (mi pare ci siano ancora quasi tutti), con i negozi, le esposizioni, con quel rimescolarsi di gente affaccendata che andava e veniva, attraversava la strada, sostava riunendosi in conciliaboli che si agitavano e discutevano parecchio, così come in fretta di scioglievano. In conclusione il giornalista cerca delle aperture verso ciò che si prospetta: Se piazza Garibaldi era così gradevole una volta, ovvero quando era brutta, adesso, dopo che ci hanno messo mano gli architetti, dovrebbe essere ancor più il cuore pulsante della città. Sarà vero tutto questo? Penso di sì. Forse si tratta solo di avere un po’ di fiducia e poi farci l’abitudine (“La Provincia di Como”, 28.11.2006). Evidentemente questo progetto coinvolge molto la popolazione di Cantù. Non potrebbe essere altrimenti: si tratta di un luogo nevralgico, il centro stesso del quartiere, lo spazio pubblico che fa da sfondo alle attività quotidiane dei cittadini. A parte i giudizi di merito sulla validità del progetto, vi sono forti resistenze espresse dalla popolazione circa l’opportunità di avviare questa opera non giudicata prioritaria rispetto ad altre più urgenti: il rifacimento della

piazza è stato interpretato come un progetto di tipo elettorale varato in vista delle prossime elezioni: Marco, 22 dicembre 2006 alle ore 11:49 a.m.: Complimenti alla nostra amministrazione comunale per aver realizzato questa “bellissima” opera di “grande architettura” denominata “Nuova Piazza di Cantù”. Un maestoso regalo natalizio per noi cittadini, ricchi o poveri, bisognosi o meno bisognosi, ma questo poco importa ai nostri politici, l’importante è realizzare grandi opere (mi sforzo di definirle così) che lascino nel tempo non tanto una concreta utilità alla cittadinanza o un vero valore architettonicoculturale, quanto un semplice “nome” al quale essere magari anche grati per tale scempio di denaro. Vorrei solo che qualcuno mi chiarisse quale fu la necessità di demolire una piazza, a mio avviso perfettamente funzionale ai bisogni cittadini, per realizzarne una adibita alle stesse funzionalità. Supponendo che la vecchia piazza non fosse adeguata o poco idonea, siamo sicuri che l’intervento tempestivo nel suo totale rifacimento fosse la scelta più ragionata in ordine di priorità e necessità della nostra città? Scusate per il mio sfogo personale, sono semplicemente un po’ deluso ... speriamo almeno che la nuova piazza si conservi, intera e sopratutto pulita visto quello che costa ... e speriamo che le telecamere poste su piazza Garibaldi siano funzionanti e non solo di bellezza. Colgo l’occasione per augurare a tutti un felice Natale e un sereno anno nuovo, anche a tutti coloro che per Natale avrebbero magari desiderato ricevere

un regalo diverso dalla nostra pubblica amministrazione, forse più utile e meno scenoso. (“Redazione in città”, 21.12.06). Opinione del progettista, Roberto Cremascoli intervistato da Stefania Briccola sull’importanza dello spazio pubblico all’interno di una città, (“Talea” n. 1-2006): È che progettare implica intervenire in un luogo – spazio e modificarlo: esistono tanti modi di farlo. A me interessa il senso civico dell’architettura, il dovere progettuale che ci permette di migliorare la qualità della vita degli individui, delle nostre città, delle nostre case. In una conferenza del 1957 Alvar Aalto parla della “idea del paradiso” degli architetti, sostenendo che l’architettura dovrebbe sempre lottare per un mondo ideale. Mi piace ricordare le sue parole: “L’architettura ha anche un’altra finalità, se così si può dire, sempre nascosta dietro l’angolo: il pensiero di creare il paradiso”. Interrogato sul rapporto tra opera pubblica e committenza, Cremascoli risponde: Purtroppo il nostro lavoro rappresenta il manifesto elettorale di qualcuno. Del resto è sempre stato così e anche Michelangelo faceva la stessa cosa per i papi. Alla fine un’opera di architettura pubblica senza volerlo fa propaganda ed esalta qualcuno. Si ricorderanno della nuova piazza Garibaldi perché è stata commissionata dal tale politico, ma difficilmente ricorderanno l’architetto che l’ha progettata e le motivazioni che l’hanno spinto a realizzarla nel modo in cui appare. Da dicembre 2006 la piazza è completata e aperta al pubblico. Manuela Oglialoro


Lara-Vinca Masini Mario Galvagni. La ricerca silente Libreria Clup, Milano, 2006 pp. 102, € 8,00 Lara-Vinca Masini, autrice del libro, ha confermato, come sempre, la splendida lucidità critica nel dare saggio e contesto a un personaggio, che a parte Bruno Zevi, la critica aveva un po’ trascurato. Finalmente, la riscoperta di questa figura a profilo alto e di straordinaria ricerca appariva nella stesura dell’Arte del novecento, incastonata tra Aldo Loris Rossi e Costantino Dardi. Questa storia, di mano sempre della Vinca Masini, anticipava questa raccolta, che è un compendio concentrato in centodue pagine presentato nella collana “Storie d’Architettura”. Conferma la straordinaria ragionevolezza di far luce nei punti oscurati della storia e delle storie, o meglio una messa a fuoco più lenticolare e meno emergente dai processi della comunicazione. Ferrara & Lazier, come curatori della collana hanno fatto centro con questo libro, riaprendo un capitolo che fa parte della nostra cultura sperimentale, di quel mondo pieno di ricchezze formali, di ricerca, di passione, di utopia. Ma torniamo al libro che ha il valore documentale di una guida, finalmente! Che permette di stendere relazioni spazio-temporali e parallelismi di ricerca. Un super concentrato di notizie, riferimenti, piante e sezioni, foto, modelli, ricchissime informazioni in una dimensione agile e non tediosa. Lo scritto introduttivo di Lara-Vinca Masini è solare, rischiara tanto da trasmettermi quella immagine pubblicitaria famosa del quotidiano “il Giorno” che spalanca le finestre sui nuovi paesaggi tracciando arcobaleni che vanno da Finsterlin a Safdie e dalla pittura e ricognizioni plastiche (certe volte vicino a Scannavino) alla partecipazione di Calice Ligure. Insomma un libro che vale per la sua particolare necessità di esistere ed aver saturato una mancanza nella sfilata delle monografie, ma vale anche per la necessità critica di fare il punto sulla ricchezza degli studi, ricerche e del patrimonio figurativo che si è prodotto sin qui senza dover inseguire (distratti) mode di volanti olandesi o sperimentatori tecnofinelici. Mario Galvagni dimostra che si può costruire nel già costruito (senza inventare come usa oggi città solide o filosofie di rinnovo) e nel paesaggio con modernità ed eleganza, articolando artificio e natura in una dialettica integrata. Brunetto De Batté

“Fedelmente, suo Gubler” Jacques Gubler Cara Signora Tosoni Skira, Milano, 2005 pp. 142, € 30,00 Il rischio che sta nel ripubblicare “cose passate” è quello di incorrere più in semplici sommatorie di scritti che non in effettive memorie o racconti. In questo caso, invece, il risultato si carica di significati ulteriori come a sfruttare una lecita inerzia. Il volume è un’originale raccolta delle 129 cartoline che Jacques Gubler ha inviato a Myriam Tosoni, segretaria di redazione di Casabella tra il 1982 e il 1996, con puntuale ritualità, rare interruzioni, come un’ironica abitudine. Sono queste pagine di una Casabella “parallela”, un viaggio altro rispetto a quello compiuto dalla redazione negli anni di Vittorio Gregotti, pagine scritte con l’espediente di un destinatario come la – allora fittizia – Signora Tosoni, oggi resa concreta dal testo conclusivo del volume La Signora Tosoni esiste. In queste ultime pagine, Gubler compie un ennesimo viaggio intrecciato tra la vita di Myriam, gli echi olivettiani del suo apprendistato negli anni in cui il direttore era Ernesto Nathan Rogers e il suo essere una sorta di tassello irrinunciabile e nascosto di questa esperienza. Scopriamo nella signora Tosoni una testimone eccellente: spettatrice necessaria e nel contempo presenza continua nell’avvicendarsi delle redazioni di Casabella dove approdò nel 1958 e vi rimase per 36 anni. Ecco, forse, perché Gubler ha scelto lei come destinatario di quelle pagine di un diario diagonale che divengono cartoline, che illustrano e raccontano i luoghi e dei luoghi i dettagli che nel corso di 14 anni egli visita e tocca. L’ultima di queste cartoline non è l’ultimo atto di una regolare corrispondenza non corrisposta, perché l’autore con la signora Tosoni continuerà a conversare, ad ascoltare una “voce musicale & tante risate calorose, vera punteggiatura nel va & vieni della memoria”. Potremmo definire questa insolita forma letteraria un divertissement: felici voli pindarici, di-versioni, di-vagazioni usate come espediente per andare altrove con la mente sgombra e col risultato di un’indagine fatta di pensieri rapidi che si trasformano in efficaci strumenti critici. Ecco perché, leggendo le cartoline in in ordine sparso o in successione, il desiderio del lettore è quello, un giorno, di passeggiare in una qualunque città insieme a Jacques Gubler per poter ascoltare quanto egli è capace di osservare. Carlo Gandolfi

Paesaggi residui del pianeta Gilles Clément Manifesto del Terzo paesaggio Quodlibet, Macerata, 2005 pp. 92, € 12,00 Con il suo lavoro teorico e i suoi libri, noti non solo agli specialisti, Gilles Clément è uno dei protagonisti del dibattito sul paesaggio contemporaneo, con riflessi diretti anche sulla progettazione. Di formazione ingegnere agronomo e paesaggista, spesso Clément è stato definito anche giardiniere, filosofo, scrittore e viaggiatore. L’ultimo dei concetti chiave da lui elaborati, “Terzo paesaggio”, presuppone una dimestichezza con nozioni precedenti, quali “giardino in movimento e “giardino planetario”. Secondo l’autore, il movimento è il carattere proprio di ogni giardino lasciato a un’evoluzione libera. L’invenzione e il dinamismo soppiantano i tradizionali parametri di ordine e controllo della forma vegetale. Le specie vagabonde, quelle pioniere, persino il vento o le talpe, sono i protagonisti di un giardino in cui domina la trasformazione. Il nomadismo, tradotto ad una scala più ampia, corrisponde alla mescolanza delle specie a livello mondiale, e ciò rende ogni giardino un frammento biologico di un teorico “giardino planetario”. Queste le premesse per la definizione di “Terzo paesaggio”: si tratta dell’insieme di tutti quegli spazi marginali che l’antropizzazione trascura. Tali “frammenti indecisi del giardino planetario”, ultimi rifugi per la biodiversità, rappresentano la riserva genetica del pianeta. Da qui l’elogio del “residuo”- sorta di inconscio e di caos, fisiologico all’interno della civiltà urbanizzata - che avvicina Clément ad altri pensatori contemporanei (ad esempio Deleuze). A questa visione del paesaggio si può associare un’estetica? Certamente non una forma, ma forse un carattere, quello di “incolto addomesticato”. Qual è allora il ruolo del progettista? Egli deve limitarsi ad assecondare le forze in gioco, secondo il “principio di economia ecologica”. Lo stesso Clément ci offre alcuni esempi d’intervento, dal proprio giardino, al noto parco André-Citroën di Parigi, fino agli spazi aperti del parigino Musée du quai Branly, realizzato recentemente da Jean Nouvel. Unione di scienza, ambiente, cultura, politica e progetto: la parola paesaggio, già polisemica, giunge con Clément alla massima estensione. Mina Fiore

31 OSSERVATORIO LIBRI

La ricerca di Mario Galvagni


a cura di Sonia Milone

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Costruire le modernità: Gardella Ignazio Gardella Architetto Genova, Palazzo Ducale 24 novembre 2006 – 30 gennaio 2007 Completa la trilogia dei fantastici centenari dell’architettura italiana, la mostra dedicata ad Ignazio Gardella nell’ambito di Costruire le Modernità. Personalità enigmatica in bilico tra adesione al Movimento Moderno e sua negazione, passione per la tradizione e ineguagliabile cura del dettaglio, fondativo nella definizione di tipologie edilizie innovative, altoborghese più che aristocratico, genovese per origine, milanese per quotidianità e persino veneziano quando servì d’esserlo; cittadino del mondo forse più di quanto si creda. In questo senso la cura scientifica della mostra a Rafael Moneo si pone come un

rapporto più tardo e intenso; con Milano, città che gli diede gioie come il Palazzo per uffici dell’Alfa Romeo di Arese e la fondativa casa al Parco del 1947, iniziatrice di un tipo edilizio residenziale, stimolo per numerose realizzazioni di lì a venire come l’indimenticabile, e purtroppo assente nell’esposizione, Casa di via Marchiondi. Fu dolore, invece, per l’indimenticata passeggiata in altezza del progetto per la Torre in piazza Duomo del 1934. A Venezia un solo progetto: la contestata Casa alle Zattere, che fece gridare allo scandalo Reyner Banham in occasione del CIAM di Otterloo del 1959. Chiude la mostra Vicenza e quel quadrangolo scomposto e classicista che fu il progetto per il teatro comunale, tema con cui si confrontò in più occasioni, non ultima il lavoro a quattro mani con Aldo Rossi per il Carlo Felice di Genova. Maria Vittoria Capitanucci

Le visioni di Piranesi La Roma di Piranesi Roma, Museo del Corso 14 novembre 2006 – 25 febbraio 2007 preciso teorema: una riflessione cosciente sulla maggiore capacità da parte della cultura architettonica spagnola di appropriarsi dell’eredità dei grandi della ricostruzione italiana rispetto ai nostri di stessa generazione, troppo impegnati ad “uccidere” i padri per poterne interpretare l’insegnamento. Per questa mostra una task force di studiosi di alta levatura, sotto il coordinamento di Marco Casamonti, si è mossa in sei sezioni analizzando la complessa opera del maestro attraverso la lettura di “pochi” e ben definiti progetti. Escluse le intitolazioni tematiche, si è scelta invece la strada del rapporto tra Gardella e le città in cui operò. Si susseguono cosi tra bei modelli e foto d’epoca, disegni e suggestivi schizzi, i progetti e le realizzazioni che segnarono la relazione che egli ebbe con Alessandria, città quasi di esordio e poi di ritorno postbellico; con Genova con cui instaurò un

Roma nel XVIII secolo è poco più di un paesone ripiegato su se stesso, parassita della sua stessa passata grandezza e della sua principale risorsa, la sede papale con la sua macchina di clientele; per quanto malsano possa essere, il fascino della rovina presente non avvilisce ma esalta, arricchendolo di colore, il fascino della rovina antica, il quale richiama in Italia viaggiatori del Grand Tour. A Roma convergono dunque pittori, architetti, letterati, gentlemen, desiderosi di documentarsi, di farsi stordire dal sublime delle antichità e, anche, di riportare in patria un souvenir davvero in grado di far rivivere il pathos di quelle visite; fino a quel momento l’antichità romana assume i toni arcadici che Lorrain e Poussin le attribuiscono, disinnescando con l’esaltazione della Natura il potenziale dell’architettura stessa; ancora van Wittel, pur spostando l’attenzione sulla città vera e pro-

pria, ne interpreta il vedutismo come una sorta di ritratto urbano, dai toni di un documentarismo ottimista e benevolmente parziale, ideale oleografia dell’Urbe ridotta a scenario di un piacevole ricordo. Anche Piranesi arriva a Roma da viaggiatore, ma invece di subirne semplicemente il fascino contribuirà egli stesso a rinnovarlo o, meglio, a reinventarlo in quelle incisioni che presto saranno l’immagine stessa della città per molto tempo a venire; venuto a contatto con Tiepolo e Canaletto a Venezia, allievo del Vasi a Roma, Piranesi elabora ben presto un tipo di veduta non semplicemente descrittivo, né tanto meno consolatorio; al contrario, prende corpo la forma della città, la sua consistenza stereotomica esaltata dalle inquadrature ravvicinate, dal punto di vista estremamente basso, se non da sotto, dal chiaroscuro profondo. L’obelisco lateranense, la piramide Cestia, i ponti Milvio e Lucano occupano il quadro dominando sull’osservatore, stabilendo una scala eroica dei manufatti ai piedi dei quali si svolge la prosaica vita di una Roma lacera e perfettamente indifferente. Debitore giovanile di Panini per la dimensione eroica delle sue vedute e per la dimensione fantastica dei capricci, ne sarà creditore invece per la rinforzata attenzione di questi alle notazioni archeologiche; insieme, comunque, contribuiranno ad aggiornare gli statuti di una rinnovata cultura del pittoresco quale si andava formando in particolare in Inghilterra. Filippo Lambertucci

I Fuksas: unsessantesimodisecondo Roma, MAXXI 2 dicembre 2006 – 28 febbraio 2007 Lontana dall’essere interpretata

come un momento di ripensamento autocritico sul lavoro svolto, la mostra organizzata da Massimiliano e Doriana Fuksas – la prima in Italia sull’intera attività dei due progettisti – possiede piuttosto le prerogative della prova di forza, della dimostrazione di una esuberante vitalità. Attraverso un impressionante numero di modelli e di prototipi progettuali accumulati in una disposizione volutamente congestionata e percepibile in un unico, sintetico sguardo d’insieme, la mostra definisce un’immagine capace di veicolare con innegabile efficacia la carica energetica ed il dinamismo con cui lo studio romano desidera rappresentarsi. Abbandonando di frequente e con disinvoltura i binari dritti della coerenza espressiva, dove molti dei suoi colleghi sono stati uccisi dalla noia, Fuksas dimostra di sapersi inoltrare proficuamente nei sentieri ondulati dell’eclettismo, manipolando e combinando sino al limite della contraddizione criteri formali eterogenei e differenti. Tuttavia, la scelta di immagini definite rispetto alle quali poi adattare successivamente lo sviluppo delle parti del progetto, rivela il nodo problematico dato dall’aver posto al centro del proprio comporre le preoccupazioni formali: fatto paradossale se si pensa all’appello “less aestehetics more ethics” lanciato proprio da Fuksas alla direzione della Biennale di Venezia del 2000. Queste attenzioni concentrate esclusivamente sulle caratteristiche della forma, facilmente misurabili e direttamente accessibili ai sensi – duro o morbido, grande o piccolo, brillante o opaco – portano infatti a racchiudere il progetto nei confini ristretti delle impressioni biologiche, mentre l’architettura, meno di ogni altra arte, dovrebbe essere giudicata solo per quello che immediatamente mostra allo sguardo. Con la sola apparenza non è, infatti, possibile comprendere il sistema di relazioni fondamentali che è possibile costruire tra significato visivo e concettuale, quello tra i carichi e la disposizione della materia, quello tra spazio e esperienza umana, né il vasto schieramento di fattori economici e sociali che influenzano il progetto: in sintesi, il contenuto della


Amanzio Farris

Hartung, in principio è il fare Hans Hartung. In principio era il fulmine Milano, Triennale Bovisa 22 novembre 2006 – 11marzo 2007 La mostra è una delle più complete rassegne antologiche dedicate alla figura di Hans Hartung: pittore, fotografo, costruttore, personalità complessa e multiforme, che ben rappresenta l’inquietudine della ricerca culturale in Europa nel ’900. L’interesse dei curatori è infatti concentrato non solo sui singo-

dell’opera viene prima e indipendentemente dall’atto pittorico in sé, come ben chiariscono anche i filmati che presentano Hartung al lavoro, mostrando non solo il momento del fare, ma anche i luoghi necessari di questo fare, che hanno tutte le caratteristiche di un’officina specializzata. È un’ossessione che percorre tutta la vita di Hartung e che lo porta a progettare e costruire tre diverse residenzeatelier, sempre più complesse e articolate in rapporto alla maturata consapevolezza delle proprie esigenze e capacità espressive, oltre che alle fasi del suo tormentato amore per la compagna pittrice Anna-Eva Bergmann. Il rapporto con la natura sembra essere il tema dominante, che indirizza la scelta dei luoghi (da Minorca ad Antibes attraverso una parentesi parigina) e le soluzioni compositive e formali (volumi puri, bianchi e neutri), che assimila il lavoro di Hartung sull’architettura alle contemporanee ricerche del moderno, tra funzionalità e mediterraneità, razionale e organico. Silvia Malcovati

Loos e l’architettura radical chic

li ambiti del suo lavoro e sulle diverse fasi che li caratterizzano, ma soprattutto sulle sovrapposizioni, intersezioni e contrapposizioni di motivi ricorrenti che attraversano, talvolta anche ossessivamente, tutti gli esperimenti creativi di Hartung. L’aspetto più interessante della mostra – e forse veramente l’unico filo rosso all’interno di una produzione all’apparenza piuttosto eclettica – è quello del procedimento come atto creativo: il fare è per Hartung più importante dell’oggetto finale, l’oggetto è la descrizione del procedimento. Un’idea che viene rappresentata efficacemente attraverso l’esposizione degli strumenti di lavoro, un mix non convenzionale di materiali tradizionali e inediti (come scope, spazzole…). La progettazione

Adolf Loos. Utilità e decoro Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna 7 dicembre 2006 – 11 febbraio 2007 La mostra dedicata a Loos non è di facile lettura, ma è precisa e ricca di documenti di diverse nature. Ci sono disegni, foto d’epoca e contemporanee, modelli, ma anche pezzi di arredo, testi e pubblicazioni. “La prova che una costruzione è ideata con vero sentimento risiede nel fatto che la sua rappresentazione in piano risulta inefficace”: queste sono parole di Loos, che i curatori, R. Bosel e V. Zanchettin, mettono in apertura del loro testo e ciò non è solo il riconoscimento del forte valore tridimensionale dell’architettura loosiana, ma anche, cosa “anomala” oggi, l’assoluta strumentalità del disegno. E forse anche per questo la mostra appare al

primo approccio non facile. Abituati come siamo a disegni accattivanti, talvolta più delle stesse architetture, stupiscono queste immagini secche, dove il disegno misura e verifica. La mostra ha il pregio di illustrare in modo unitario i progetti di valenza urbana per Vienna, sia quelli realizzati – l’edificio commerciale Goldman & Salatsch – sia quelli, la maggior parte, rimasti sulla carta. Ma pure di presentare progetti poco noti come il Municipio di Città del Messico e il Grand Hôtel Babylone a Nizza, o quasi sconosciuti come i lavori svolti per tre anni presso l’ufficio per l’edilizia abitativa del Comune di Vienna, lavori che passano dalla grande scala delle Werkbundsiedlung allo studio di dettaglio degli alloggi. Nella parte finale, poi, appare il Loos più noto, quello legato alle residenze private, al loro ricco e spettacolare spazio continuo, di cui si legge nei disegni la genesi e con foto e modelli si riesce a gustarne le soluzioni. La progettazione dell’ambiente domestico riveste nell’opera di Loos un ruolo centrale, non soltanto per l’originalità delle soluzioni elaborate, ma anche per l’influsso che avrebbe esercitato nei decenni successivi. Ma all’eleganza e al rigore delle soluzioni loosiane, va accostata sempre la vena surreale e dadaista e la mostra, prima ancora di mostrarci tavole e disegni, si apre sul grande modello dell’ancora provocatorio edificio del Chicago Tribune. Pisana Posocco

Terragni a Como Terragni inedito Como, Sala del Broletto 18 gennaio – 11 febbraio 2007 Nella sala civica del Broletto di Como, si è svolta una mostra sul lavoro “inedito” di Giuseppe Terragni. Hanno partecipato alla costruzione, come direzione scientifica, Giancarlo Consonni e Gra-

ziella Tonon, il Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura Civile – Bovisa, l’Ordine degli Architetti di Como ed infine un archivio giovane e attento alla divulgazione della cultura architettonica come quello Cattaneo di Cernobbio. Le opere presentate sono varie: dai disegni di laurea ispirati e composti secondo lo stile “michelangiolesco”, al progetto di ampliamento del fabbricato scolastico di Olgiate Comasco del 1930 con Attilio Terragni, al sopralzo di una casa in viale Varese del 1934 nel quale è evidente l’ansia giovanile di affermazione di uno stile moderno, nel rifacimento delle faccia-

te e nella struttura di copertura. Inoltre, è in mostra il progetto della Fiera campionaria di Milano del 1937 sviluppato con Bottoni, Lingeri, Mucchi e Pucci; di quest’ultimo il laboratorio di modellistica della Facoltà di Architettura Civile ha eseguito una riproduzione lignea, in cui sono leggibili ancora meglio le qualità di impianto urbano. Altro progetto in mostra, esposto nel bel disegno a grafite e collage su lucido, è il progetto del ristorante per 10.000 persone: la sua composizione e rappresentazione lo rendono, ancora oggi, moderno e classico. Una piccola e preziosa mostra, curata nei suoi aspetti storici e formali, che tenta di studiare meglio l’opera di un architetto controverso e complesso, oggetto soprattutto di dibattito tra critici e storici. L’auspicio è che Terragni che ha saputo “fare” (pensare) architettura a tutti le scale e confrontarsi con questioni che sono ancora del nostro tempo, ritorni ad essere studiato dalle giovani generazioni di architetti. Francesco Fallavolita

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forma. Per quanto lavoro silenzioso possa comportare rispetto al clamore delle avventure puramente formali, quella dell’architettura, la cui forma è il prodotto di un processo sostenuto dai contenuti e alimentato dalle ragioni, rimane l’unica avventura autenticamente appassionante.


a cura di Walter Fumagalli

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Come si paga il contributo di costruzione a Milano Le regole stabilite dalla legge statale Per prima fu la Legge 28 gennaio 1977 n. 10 a fissare la regola per cui “ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi” (Art. 1), e quindi “la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione” (Art. 3). Il contributo concessorio ha resistito per più di ventisei anni, fino al 30 giugno 2003, quando è entrato in vigore il D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 il quale, nell’abrogare gli Articoli 1 e 3 della Legge n. 10/1977, ha mandato in pensione sia la concessione edilizia (sostituita dal permesso di costruire) che il relativo contributo. Quest’ultimo però è rinato dalle proprie ceneri sotto altro nome: contributo di costruzione. L’Articolo 16 del D.P.R. n. 380/2001, infatti, stabilisce che “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo”. Tali modalità possono essere così sintetizzate: • “la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all’atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può essere rateizzata” (Art. 16.2); • “la quota di contributo relativa al costo di costruzione (...) è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione” (Art. 16.3); • gli interventi eseguiti mediante Denuncia di Inizio di Attività ed elencati dal terzo comma dell’Articolo 22, “sono soggetti al contributo di costruzione ai sensi dell’Articolo 16” (Art. 22.5). Le regole stabilite dalla legge regionale In Lombardia la materia è stata ulteriormente regolamentata dalla Legge

Regionale 11 marzo 2005 n. 12 la quale dispone che “i titoli abilitativi per interventi di nuova costruzione, ampliamento di edifici esistenti e ristrutturazione edilizia sono soggetti alla corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, nonché del contributo sul costo di costruzione, in relazione alle destinazioni funzionali degli interventi stessi” (Art. 43), e questo indipendentemente dal fatto che detti interventi siano eseguiti mediante permesso di costruire piuttosto che in forza di Denuncia di Inizio di Attività. In merito alle modalità di corresponsione del contributo, la legge regionale nulla dispone per gli oneri di urbanizzazione relativi agli interventi autorizzati mediante permesso di costruire (per essi valgono quindi le regole fissate dal D.P.R. n. 380/2001), mentre per gli interventi eseguiti mediante la D.I.A. stabilisce che “la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della Denuncia di Inizio di Attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione”. Quanto alla quota di contributo relativa al costo di costruzione, l’Articolo 48 della Legge Regionale n. 12/2005 conferma che essa, “è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre sessanta giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori”. Le regole stabilite dal Comune di Milano Con Determinazione dirigenziale n. 425/2006 del 31 agosto 2006 il Comune di Milano ha modificato le regole per il pagamento del contributo, che erano state a suo tempo fissate con le delibere del Consiglio comunale n. 1184 del 13 luglio 1978 e n. 400 dell’8 giugno 1983. Tali rego-

le valgono per i permessi di costruire rilasciati dopo il 30 settembre 2006 e per le Denunce di Inizio di Attività presentate dopo tale data, e si riferiscono tanto agli oneri di urbanizzazione (compreso il contributo relativo allo smaltimento dei rifiuti previsto per le costruzioni industriali ed artigianali), quanto alla quota di contributo relativa al costo di costruzione. Ecco le nuove modalità di pagamento. Nel caso in cui l’interessato opti per il versamento in unica soluzione, l’intero ammontare del contributo deve essere versato nelle casse comunali entro trenta giorni dall’emissione del permesso di costruire, o nel caso in cui proceda mediante Denuncia di Inizio di Attività entro trenta giorni dalla data di presentazione di tale denuncia. Nel caso in cui invece l’interessato opti per il versamento rateale: • deve versare il 25% dell’importo totale entro trenta giorni dalla data di emissione del permesso di costruire, o nel caso in cui proceda mediante D.I.A. entro trenta giorni dalla data di presentazione della stessa, e contemporaneamente dovrà presentare una fideiussione pari al debito residuo, comprensivo degli interessi legali su tale debito; • deve versare un ulteriore 25% dell’importo totale, oltre agli interessi legali maturati sul debito residuo, entro centottanta giorni dalle predette date; • deve versare un ulteriore 25% dell’importo totale, oltre agli interessi legali maturati sul debito residuo, entro trecentosessanta giorni dalle predette date; • deve versare un ulteriore 25% dell’importo totale, oltre agli interessi legali maturati sul debito residuo, entro cinquecentoquaranta giorni dalle predette date. La determinazione dirigenziale precisa peraltro che, laddove si operi mediante permesso di costruire, “in

VERSAMENTO IN UNICA SOLUZIONE

In caso di permesso di costruire

entro 30 giorni dall’emissione del permesso di costruire

In caso di Denuncia di Inizio di Attività

entro 30 giorni dalla data di presentazione della Denuncia di Inizio di Attività


In caso di permesso di costruire

In caso di Denuncia di Inizio di Attività

25% entro 30 giorni dall’emissione del permesso di costruire, più fideiussione pari al debito residuo e ai relativi interessi legali

25% più gli interessi legali sul debito residuo, entro 180 giorni dall’emissione del permesso

25% più gli interessi legali sul debito residuo, entro 360 giorni dall’emissione del permesso

25% più gli interessi legali sul debito residuo, entro 540 giorni dall’emissione del permesso

25% entro 30 giorni dalla presentazione della Denuncia, più fideiussione pari al debito residuo e ai relativi interessi legali

25% più gli interessi legali sul debito residuo, entro 180 giorni dalla presentazione della denuncia

25% più gli interessi legali sul debito residuo, entro 360 giorni dalla presentazione della denuncia

25% più gli interessi legali sul debito residuo, entro 540 giorni dalla presentazione della denuncia

caso di ritardi nelle operazioni di notifica dei provvedimenti, non saranno comunque applicate sanzioni se il pagamento avverrà entro 15 giorni dalla notifica dell’avviso di rilascio del permesso di costruire”, ed infine fissa la regola per cui il tasso di interesse da applicare è quello corrente al momento dell’emissione del permesso di costruire, ovvero quello corrente al momento della presentazione della Denuncia di Inizio di Attività. La legittimità delle regole del Comune di Milano Viene peraltro da chiedersi se le modalità di pagamento fissate dal Comune di Milano siano rispettose delle norme di legge che regolano la materia, e non sempre la risposta può essere affermativa. • a) Per quanto riguarda la quota di contributo relativa al costo di costruzione, dette modalità appaiono in contrasto con l’Articolo 16 del D.P.R. n. 380/2001 e con l’Articolo 48 della Legge Regionale n. 12/2005 da almeno due punti di vista. Appare anzitutto violata la norma per cui tale quota “è corrisposta in corso d’opera”: secondo il Comune di Milano, invece, essa va corrisposta (in tutto o in parte) entro trenta giorni dall’emanazione del permesso di costruire o dalla presentazione della Denuncia di Inizio di Attività, anche se in quel momento i lavori non sono stati ancora iniziati (nel caso della

Denuncia di Inizio di Attività, anzi, in quel momento i lavori non possono sicuramente essere stati iniziati). Ma appare violata anche la norma per cui la quota relativa al costo di costruzione va corrisposta “non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione”: i termini fissati dal Comune di Milano per il pagamento delle rate successive alla prima, infatti, possono scadere anche dopo il sessantesimo giorno successivo all’ultimazione dei lavori. • b) Per quanto riguarda gli oneri di urbanizzazione relativi agli interventi autorizzati mediante permesso di costruire, riprendendo la stessa formulazione utilizzata dall’Articolo 11 della Legge n. 10/1977 il D.P.R. n. 380/2001 dispone che essi vanno corrisposti “all’atto del rilascio del permesso di costruire”. Questa disposizione ragionevolmente significa che detti oneri vanno pagati entro un termine prestabilito, decorrente dal momento in cui l’interessato viene informato dell’intervenuta emanazione del permesso, ed in questo senso stabiliva l’Articolo 7 della Legge Regionale 5 dicembre 1977 n. 60. La Legge Regionale n. 12/2005 ha abrogato anche tale articolo, senza però dettare una disposizione analoga e lasciando quindi un vuoto che i comuni dovrebbero colmare. Il Comune di Milano l’ha colmato stabilendo che gli oneri vanno versati entro trenta giorni dalla data di emis-

sione del permesso di costruire, a prescindere dal fatto che l’interessato abbia avuto notizia o meno di tale emissione: in questo modo ha fissato un termine che decorre a danno dei cittadini ed all’insaputa di questi ultimi. Il comune deve peraltro essersi reso conto dell’iniquità di questo meccanismo, tant’è che ha cercato di porre rimedio ai suoi effetti precisando che, “in caso di ritardi nelle operazioni di notifica dei provvedimenti, non saranno comunque applicate sanzioni se il pagamento avverrà entro 15 giorni dalla data di notifica dell’avviso di rilascio del permesso di costruire”. Ma questo rimedio appare decisamente inadeguato in quanto da un lato il comune non ha minimamente precisato quando sussistano i citati “ritardi nelle operazioni di notifica”, e dall’altro ha introdotto un’ipotesi di esenzione dalle sanzioni stabilite per il ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione, non prevista da alcuna norma di legge. • c) Per quanto riguarda il contributo relativo ad interventi eseguiti mediante Denuncia di Inizio di Attività, il Comune di Milano si è limitato a ribadire la regola enunciata (peraltro con riferimento ai soli oneri di urbanizzazione) dall’Articolo 42 della Legge Regionale n. 12/2005, e cioè che detti oneri vanno versati, in tutto o in parte, entro trenta giorni dalla data di presentazione della Denuncia di Inizio di Attività. Siccome però, nel caso in cui si proceda mediante D.I.A., il titolo abilitativo viene a formazione solamente se entro il medesimo termine di trenta giorni il comune non vieti l’esecuzione dei lavori progettati, è evidente che per non incorrere nelle sanzioni previste per il ritardato pagamento del contributo l’interessato deve versare il relativo importo prima che venga a formazione detto titolo abilitativo. Da questo punto di vista, dunque, appare ipotizzabile l’illegittimità costituzionale della normativa regionale, e l’illegittimità della regolamentazione del Comune di Milano. W. F.

35 PROFESSIONE LEGISLAZIONE

VERSAMENTO IN FORMA RATEALE


a cura di Emilio Pizzi e Claudio Sangiorgi

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Verso un’architettura (fotovoltaica) Il fotovoltaico, in continua e rapida ascesa, rappresenta uno degli strumenti giudicati indispensabili ai fini dello sviluppo sostenibile e dell’architettura che lo deve caratterizzare. Per mezzo di esso è possibile, infatti, convertire la radiazione proveniente dal sole in elettricità, evitando i pesanti impatti ambientali connessi alle fonti convenzionali. La tecnologia fotovoltaica La cella solare rappresenta il dispositivo di base dell’impianto fotovoltaico ed è, di fatto, un piccolo generatore di corrente. Il materiale di maggiore impiego per la sua realizzazione è il silicio, che può essere, a seconda della struttura molecolare, monocristallino, policristallino oppure amorfo, in ordine decrescente di efficienza di conversione (dal 16 all’8% circa). Nelle applicazioni attualmente più diffuse, la cella è costituita da una fetta sottilissima di silicio (3,5 decimi di millimetro) di forma rotonda o quadrata, con area generalmente compresa tra 100 e 150 cm2, dotata dei contatti necessari a raccogliere la corrente elettrica prodotta. Per poter operare efficacemente in ambiente esterno, le celle vengono connesse tra loro in serie e/o parallelo e vengono inserite nel cosiddetto laminato fotovoltaico, generalmente composto da una stratificazione di vetro a basso tenore di ossido di ferro, foglio sigillante in EVA (acetato viniletilenico), celle, EVA, Tedlar o vetro. Il laminato viene irrigidito tramite l’applicazione di una cornice in alluminio anodizzato, dotata di fori ed asolature per il fissaggio alle strutture di supporto, e gli viene applicata una scatola di giunzione per l’uscita delle connessioni elettriche. In questo modo si ottiene il pannello, o modulo, fotovoltaico. I moduli attualmente in commercio misurano un’area variabile all’incirca tra 0,5 e 2 m2, e pesano sui 15 kg/m2. Interessanti per le applicazioni architettoniche sono i

moduli vetro-vetro, in cui gli interstizi tra le celle vengono sfruttati per lasciar filtrare la luce. L’insieme dei moduli fotovoltaici di un particolare impianto costituisce il generatore, connesso a sua volta al resto del sistema. L’unità di taglia di un impianto fotovoltaico è il kilowatt di picco (kWp), che rappresenta la potenza che il generatore è in grado di erogare in particolari condizioni di riferimento, denominate STC (standard test conditions), e cioè: irradianza solare sui moduli 1 kW/m2, incidenza della radiazione normale al piano delle celle, temperatura delle celle 25°C, spessore di atmosfera attraversato dalla radiazione pari a 1,5 volte quello misurato sulla verticale al sito. Vincoli tecnico-impiantistici La produttività di un impianto fotovoltaico dipende strettamente dal contesto climatico in cui viene inserito. La quantità di energia elettrica ottenibile da una specifica installazione, infatti, è proporzionale soprattutto alla disponibilità di radiazione solare caratteristica del luogo in cui sorge. Per questo motivo diviene un fattore importante definire il corretto posizionamento dei moduli, al fine di massimizzare l’irradiazione. Una regola empirica piuttosto diffusa suggerisce di orientare i pannelli verso sud ed inclinarli, rispetto al piano orizzontale, di un angolo pari a quello della latitudine del sito, diminuito di 1015°. Naturalmente, in fase di progettazione, conviene sempre eseguire valutazioni di maggior precisione, considerando non solo le peculiarità meteorologiche del luogo, ma anche la configurazione urbana o orografica nelle immediate vicinanze (possibili ostruzioni, vincoli morfologici, ecc.) e le specifiche esigenze dell’utenza servita. Non bisogna dimenticare, inoltre, che l’efficienza di conversione delle celle (e quindi dell’intero impianto) è penalizzata dall’aumento della loro temperatura, cosicché l’incremento prestazionale presumibile per i mesi estivi, può essere parzialmente inibito se i moduli non sono in grado di disperdere la frazione termica accumulata.

Integrazione architettonica degli impianti fotovoltaici Le realizzazioni fotovoltaiche più diffuse, com’è noto, si suddividono essenzialmente in 2 tipologie: impianti di dimensioni consistenti (comprese generalmente tra qualche decina di kWp ed alcuni MWp) che rappresentano delle vere e proprie centrali di produzione elettrica, e impianti di taglia relativamente limitata (fino a poche decine di kWp) disseminati sul territorio secondo la logica della generazione distribuita. Il contributo di questi ultimi alla diffusione dello sfruttamento dell’energia solare è notevole, soprattutto nel caso di sistemi nei quali i moduli fotovoltaici sono inseriti negli involucri delle costruzioni e, oltre a produrre energia, svolgono funzioni normalmente deputate ad elementi di copertura o di facciata. Da più parti si ritiene, e le tendenze in atto lo dimostrano, che i BIPV (building integrated photovoltaics, cioè, per l’appunto, gli impianti architettonici) saranno la spina dorsale dello sviluppo della produzione e del mercato, grazie alla visibilità di cui già attualmente godono e alla possibilità di divenire un bene di massa. L’integrazione architettonica rappresenta dunque uno dei settori in cui l’utilizzo dei sistemi fotovoltaici offre prospettive di sviluppo molto promettenti, anche in termini più strettamente economici. L’applicazione agli organismi edilizi degli impianti solari offre, infatti, un enorme potenziale, consentendo l’utilizzo di territorio già occupato dalle costruzioni, il risparmio sulle strutture di supporto, la sostituzione (a parità di prestazioni) di materiali edilizi tradizionali come elementi di copertura o di facciata, la possibilità di utilizzare in loco l’energia prodotta. Tutto questo si traduce in una sensibile riduzione dei costi, cui va aggiunto anche l’impatto ambientale evitato tramite l’inserimento in un contesto già sfruttato per altri fini. Al giorno d’oggi la diffusione di sistemi ad energia solare destinati all’edilizia gode di un favore sempre mag-


Niccolò Aste e Claudio Del Pero

Facciata ibrida fotovoltaico-termica, Centro Ricerche Fiat, Orbassano.

giore, grazie soprattutto a leggi e proposte di sovvenzionamento tese a valorizzare ed incrementare il ricorso alle fonti rinnovabili. Basti pensare, per quanto riguarda il panorama italiano, all’oramai concluso programma di finanziamento Tetti Fotovoltaici ed al nuovo Conto Energia, il primo volto a sovvenzionare direttamente la realizzazione di impianti installati su edifici, il secondo ad incentivare l’elettricità solare prodotta. Entrambe le iniziative hanno dedicato particolare attenzione proprio all’integrazione architettonica dei sistemi. Con il DM 6 febbraio 2006, ad esempio, è stata introdotta una maggiorazione degli incentivi in “conto energia” per gli impianti integrati architettonicamente. Grazie a questa modifica, la sovvenzione base di 0,445 /kWh viene incrementata del 10% se i moduli fotovoltaici vengono impiegati come componenti costruttivi, sostituendo componenti edilizi tradizionali altrimenti necessari. Attualmente il Conto Energia è in fase di revisione, per ovviare alle problematiche emerse nella prima fase della sua attuazione (come ad esempio tentativi di speculazione che poco avevano a che vedere con le

strategie di sostenibilità promosse), tuttavia, come appare chiaro dalle bozze del nuovo decreto recentemente emanate, l’obiettivo finale è quello di rendere i BIPV l’applicazione più vantaggiosa per l’utente finale, al fine di favorirne la diffusione su ampia scala. Oltre al beneficio economico, infatti, si vuole dare risalto agli aspetti architettonici ed estetici delle installazioni, facendo sì che visibilità e capacità di fare tendenza inducano progettisti e committenti ad intraprendere scelte virtuose in campo energetico-ambientale. Seguendo questa filosofia, componenti destinati specificamente al settore edilizio permettono una vasta libertà di applicazione, coprendo una gamma molto ampia di soluzioni: finestre semitrasparenti, brise-soleil, pensiline, pannelli di facciata, elementi di copertura, cupolini, che si adattano in modo versatile tanto a nuove realizzazioni quanto ad operazioni di retrofit. La creatività progettuale può essere quindi soddisfatta in vari modi, a patto di ricordare che si tratta pur sempre di installazioni sofisticate, caratterizzate da requisiti e criticità duplici, afferenti tanto ai sistemi impiantistici quanto alle tecno-

Riferimenti legislativi sui piani di incentivazione: • Decreto del Ministero delle Attività Produttive del 28 luglio 2005; • Decreto Ministeriale del 6 febbraio 2006; • Delibera 40/06 dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas del 24 febbraio 2006; • www.grtn.it • www.enel.it Riferimenti tecnici e bibliografici: R. Bassoli, C. Messana, R. Vigotti, Energia dal sole, Hypotesis, Roma, 1992; ENEL, “I quaderni dell’energia fotovoltaica” ,ed. f.c., 1992; O. Humm, P. Toggweiler, Photovoltaik und Architektur, Birkhäuser, Basilea, 1993; AA. VV., Building with Photovoltaics, Ten Hagen & Stam, The Hague,1995; N. Aste, Il fotovoltaico in Architettura, Esselibri-Simone, Napoli, 2005; F. Groppi, C. Zuccaro, Impianti fotovoltaici a norme CEI, Delfino, Milano, 2004.

37 PROFESSIONE NORMATIVE E TECNICHE

logie d’involucro. Risulta quindi consigliabile che le realizzazioni più importanti vengano affidate a team di progetto multidisciplinari, in cui competenze impiantistiche, fisico-tecniche, tecnologiche ed architettoniche convergono in un’unica visione sinergica.


a cura di Sara Gilardelli

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Progetti di finanziamento agevolato Ogni anno una larga parte dei finanziamenti agevolati messi a disposizione dagli enti pubblici Italiani e dalla Comunità Europea non vengono richiesti ed utilizzati. Il problema principale consiste nel sapersi orientare tra le numerose leggi per capire quali sono le opportunità da non perdere, e soprattutto come riuscire a coglierle con la massima efficacia. Accedere ai finanziamenti agevolati è un’opportunità importante tanto per lo sviluppo di un’attività già avviata quanto più ancora per la fase di start-up di una nuova attività professionale o imprenditoriale, in quanto consente di acquisire risorse per affrontare alcune difficoltà che impediscono all’attività di svilupparsi come voluto. In questo caso l’imprenditore o il professionista ricopre un ruolo importantissimo, deve essere lui il primo a conoscere le differenze, i vantaggi e gli svantaggi, che intercorrono tra i diversi tipi di agevolazione. Esistono società di consulenza specializzate nell’assistenza a professionisti e imprese per accedere e godere dei benefici offerti dai diversi programmi. Generalmente viene messo a disposizione delle aziende già costituite o in fase di costituzione un servizio mirato alla ricerca del finanziamento agevolato più idoneo in relazione alle necessità. Il cliente viene così assistito nella verifica della disponibilità e nello sviluppo del progetto per l’ottenimento dei fondi disponibili nei bandi di finanziamento in relazione ai progetti di sviluppo desiderati. In questa prima occasione di approfondimento di un tema particolarmente ricco, articolato e in continua evoluzione, intendiamo affrontare il tema della finanza agevolata offrendo alcuni tratti generali e riproponendoci di monitorare le opportunità offerte dai diversi enti banditori e offrire ai lettori un memorandum delle principali opportunità fruibili dalla nostra categoria.

Tratti generali Nel linguaggio comune con il termine finanza agevolata si intendono quegli interventi di legge che tipicamente vanno a finanziare attività di investimento e di sviluppo aziendale. Tuttavia per “finanza agevolata” si intende l’insieme degli investimenti a favore di imprese o professionisti che agevolano lo sviluppo di progetti in termini di copertura del fabbisogno finanziario, affiancando il soggetto durante tutte le fasi necessarie per l’ottenimento delle agevolazioni, siano esse comunitarie, nazionali o regionali. Occupandosi di finanza agevolata non si deve mai prescindere dal concetto di “tipologia di investimento ammissibile”, che deve indicare il tipo di investimento (immobili, macchinari, ricerca, risorse umane, ecc.) ideato e dunque possibile. Alcuni strumenti non hanno un ambito specifico di riferimento e quindi possono coprire più “tipologie di investimento” (ad esempio la L.R. 35/96, pensata come legge “quadro” di sviluppo per la piccola e media impresa), alcuni strumenti sono più particolari, ossia risultano attivabili solo se l’investimento rientra in una specifica tipologia di spesa ammissibile (ad esempio la L. 46/82 riferita esclusivamente a politiche ed azioni di ricerca e sviluppo e di innovazione tecnologica). Per quanto riguarda gli strumenti legislativi, occorre inoltre distinguere gli interventi comunemente denominati “a pioggia” i quali non discriminano il progetto sulla base di logiche qualitative, ma erogano l’agevolazione per il semplice fatto che l’investimento sia realizzato, da quelli “mirati” che erogano l’agevolazione sulla base delle caratteristiche qualitative del progetto presentato, che viene valutato tecnicamente in termini di corrispondenza con i princìpi, con lo spirito e con le indicazioni specifiche dalla normativa. In ordine di importanza presentiamo le principali fonti della finanza agevolata: • legislazione comunitaria Il legislatore di Bruxelles prevede

un’ampia serie di strumenti di finanza agevolata (programmi, quadri strutturali, ecc.), sia direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri (e quindi direttamente utilizzabili dalle imprese) sia indirettamente gestiti dal legislatore nazionale (Governo o regioni). • legislazione nazionale Il Governo Italiano per mezzo dei vari ministeri promulga continuamente una serie di leggi, decreti e regolamenti riferiti a politiche di agevolazioni alle imprese. • legislazione regionale Le regioni attuano delle politiche di intervento a favore delle piccole e medie imprese attraverso la pubblicazione di numerose leggi regionali di aiuto. Strumenti di finanza agevolata possono anche essere pensati e attuati dalle province, dai comuni, dalle camere di commercio, e anche da enti privati come le associazioni di categoria e da istituti bancari. Criteri di attribuzione Occorre fare distinzione tra strumenti di agevolazione diretti e indiretti: nel primo caso si ricevono contributi sotto forma di denaro, mentre nel secondo caso il beneficio è indiretto, cioè l’impresa usufruisce di tagli fiscali a fronte di un determinato investimento, oppure il beneficio può consistere in una forma di garanzia su un finanziamento ottenuto da un istituto bancario o da una finanziaria. Di seguito riassumiamo i vari “tipi” di agevolazioni. • Contributo in conto capitale Consiste nel classico contributo “a fondo perduto”. Viene normalmente calcolato in percentuale delle spese ammissibili e non è prevista alcuna restituzione di capitale o pagamento di interessi. Il contributo viene concesso a fronte di un investimento dell’imprenditore per la realizzazione di opere o l’acquisto di beni strumentali che abbiano effetti durevoli sull’impresa ed è calcolato in percentuale sul totale dell’investimento. Il contributo viene erogato solo a fronte della presentazione di documentazione di spese (fatture dei fornitori saldate).


perduto) è concessa per abbattere il costo di un contratto di locazione finanziaria (leasing) stipulato a costi di mercato. • Concessione di garanzia L’ a g e v o l a z i o n e consiste nell’offrire garanzie per finanziamenti a medio e lungo termine che altrimenti l’imprenditore non sarebbe stato in grado di fornire. A questo scopo particolare importanza rivestono i fondi di garanzia normalmente istituiti presso i consorzi di garanzia collettiva, fidi. La garanzia concessa può essere di natura integrativa o sussidiaria. • Bonus fiscale In pratica si tratta di un contributo in conto capitale a tutti gli effetti (compreso l’aspetto fiscale), che viene erogato sotto forma di detrazione dall’importo spettante dall’ammontare delle varie imposte che il soggetto deve pagare sul proprio conto fiscale, una forma di bonus che consente all’impresa di non pagare le imposte come IRPEG, IVA, IRPEF ed anche quelle dovute a titolo di sostituto d’imposta che confluiscono sul suo conto fiscale fino al raggiungimento dell’ammontare del bonus. Il bonus deve essere utilizzato entro 5 anni dalla sua concessione. • Credito d’imposta Il contributo viene concesso come credito d’imposta non rimborsabile. Esso può essere fatto valere al momento del pagamento di IVA, IRPEF, IRPEG ed altri versamenti effettuati in acconto o saldo. Il credito d’imposta deve essere utilizzato nella dichiarazione dei redditi per un importo pari all’agevolazione ricevuta. Questo tipo di agevolazione non è considerata un ricavo. Procedure di erogazione Il D.Lgs 31 marzo 1998 n. 123 ha definito con precisione i procedimenti ed i moduli organizzativi per l’attribuzione delle agevolazioni.

• Procedura automatica Si applica quando non è necessaria, per effettuare l’intervento, un’istruttoria di carattere tecnico, economico o finanziario. Questo tipo di intervento è concesso in misura percentuale, ovvero in misura fissa di ammontare predeterminato, sulle spese ammissibili sostenute, successivamente alla presentazione della domanda. Il Ministro competente per materia o la regione o gli enti locali competenti, determinano previamente per tutti i beneficiari degli interventi, sulla base delle risorse finanziarie disponibili, l’ammontare massimo dell’intervento concedibile e degli investimenti ammissibili, nonché le modalità di erogazione. • Procedura valutativa La procedura valutativa si applica a progetti o programmi organici e complessi, da realizzare successivamente alla presentazione della domanda. A differenza della procedura automatica in quella valutativa l’ente erogatore non valuta solo il rispetto dei requisiti formali di ammissibilità, ma procede ad una vera e propria istruttoria sul merito del progetto e sulla sua validità tecnica, economica e finanziaria: in questo caso sono prese in considerazione la redditività, le prospettive di mercato ed il piano finanziario per la realizzazione dell’iniziativa. Sussistono due possibili procedimenti di selezione: a graduatoria o secondo l’ordine cronologico di presentazione delle domande. • Procedura negoziale È utilizzata nell’ambito di grandi interventi di sviluppo territoriale e settoriale, anche se realizzati da una sola impresa o da un gruppo di imprese, con le forme della programmazione concertata (ad es. patti territoriali e contratto d’area). S. G.

39 PROFESSIONE ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE

• Contributo in conto esercizio (gestione) Corrisponde a un contributo in conto capitale, differisce solo per quanto riguarda l’imposizione fiscale alla quale viene assoggettato. In questo caso infatti il contributo viene identificato come ricavo e deve essere tassato nel periodo di competenza e per l’intero importo. Normalmente questa tipologia di agevolazione viene concessa per contribuire alle spese di gestione (personale, pubblicità, viaggi, locazioni immobiliari, oneri finanziari, ecc.) che i beneficiari devono sostenere a fronte di un determinato progetto. • Contributo in conto interessi Si tratta di un contributo che viene concesso quando si stipula un finanziamento a medio e lungo termine. Il contributo viene erogato direttamente dall’istituto finanziatore, il quale se ne servirà per abbassare il tasso di interesse applicato al finanziamento dell’impresa beneficiaria. L’entità dell’agevolazione è calcolata attualizzando la differenza tra tasso ordinario e tasso agevolato. Si deve distinguere la data di stipulazione del finanziamento alle normali condizioni di mercato da quella di approvazione dell’agevolazione. • Mutuo agevolato Consiste in pratica in un contributo in conto interessi, dove la stipula del finanziamento e la concessione dell’agevolazione avvengono contemporaneamente. Il finanziamento, se viene erogato, viene concesso esclusivamente a condizioni agevolate. L’agevolazione consiste in un finanziamento a medio/lungo termine con un tasso di interesse inferiore a quello di mercato. L’impresa, nel caso non ottenga l’agevolazione, non ottiene neppure il finanziamento a condizioni di mercato. • Contributo in conto canoni È paragonabile a un contributo in conto interessi, l’agevolazione (a fondo


a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato

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Legge G.U. n. 299 del 27.12.2006 Suppl. ordinario Legge 27 dicembre 2006, n. 296 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 2007) Le Legge Finanziaria investe campi di grande interesse legati all’ambito professionale, all’aspetto fiscale del mercato immobiliare, alla realizzazione di grandi opere pubbliche ed infrastrutture, alle agevolazioni fiscali in materia di lavori edilizi e al settore energetico. Relativamente alle professioni stabilisce tempi più lunghi per la tracciabilità dei compensi per i professionisti prorogandone l’attuazione a luglio 2009. Le legge prevede inoltre la deducibilità delle quote di ammortamento dei canoni di locazione per unità immobiliari adibite a studi professionali. In materia di imposte sull’attività professionale mutano le norme riguardanti gli studi di settore. Al fine di rilanciare il mercato degli affitti sono previste agevolazioni fiscali. In materia di opere pubbliche e infrastrutture sono stanziati investimenti per grandi interventi riguardanti le linee ferroviarie ad alta velocità e i collegamenti lungo la penisola. In materia di risparmio energetico è prevista la detrazione fiscale del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici con la realizzazione di pannelli solari e l’installazione di caldaie a compensazione. A tal fine i regolamenti comunali dovranno subordinare il rilascio del permesso di costruire all’installazione di pannelli fotovoltaici. Sono previste agevolazioni fiscali relativamente a trasferimenti di immobili all’interno di piani particolareggiati ed edilizia convenzionata. Inoltre, in tema di interventi di ristrutturazione edilizia viene prorogata la norma riguardante la deducibilità del 36% a tutto il 2007. In tema di superamento delle barriere architettoniche sono previste incentivazioni per la realizzazione di interventi. B.U.R.L. n. 47 del 20 novembre 2006 Serie ordinaria D.p.g.r. 6 novembre 2006, n. 12272 “Realizzazione del Parco archeologico industriale nell’area ex Breda a Sesto S. Giovanni”.

Accordo di Programma ai sensi del D.Lgs 267/00 e della L.R. 2/03 La Regione Lombardia con la Provincia di Milano, il Comune di Sesto S. Giovanni e, per adesione, Milano Metropoli agenzia di sviluppo s.p.a. stabiliscono un accordo di programma finalizzato alla realizzazione del Parco Archeologico industriale a Sesto S. Giovanni. L’intervento complessivo si riferisce alla realizzazione presso il Magazzino ricambi dell’area ex Breda della sede centrale del Museo dell’Industria e del Lavoro e dell’Archivio Bottega Sacchi con annessi spazi di ristorazione. Inoltre, il progetto prevede la ristrutturazione, la riconversione e l’allestimento dell’edificio Ma.Ge. comprendente uno spazio destinato ad attività espositive e culturali, spazi di ristorazione, nonché uno spazio per attività formative. B.U.R.L. 1° Suppl. straordinario al n. 47 del 21 novembre 2006 D.g.r. 26 ottobre 2006, n. 8/3393 Linee guida concernenti l’esercizio, la manutenzione ed ispezione degli impianti termici del territorio regionale (D.Lgs n. 192/2005; L.N. 10/1991; D.p.r. n. 412/1993; D.p.r. n. 551/1999; L.R. n. 26/2003 Il Decreto stabilisce le linee guida per l’esercizio, il controllo, la manutenzione e l’ispezione degli impianti termici del territorio regionale. Il dispositivo si applica a tutti gli impianti termici per la climatizzazione invernale degli edifici presenti nel territorio regionale. B.U.R.L. n. 50 dell’11 dicembre 2006 n. 14044 D.p.g.r. 5 dicembre 2006 n. 8/3393 Costituzione della Consulta regionale degli Ordini, Collegi e Associazione professionali in attuazione della L.R. 7/2004 Il Presidente della Giunta Regionale decreta di costituire la Consulta degli Ordini, Collegi ed Associazioni professionali secondo la composizione di un documento allegato al decreto e di individuare nella Direzione Generale Istruzione, Formazione e Lavoro la struttura di coordinamento delle attività della Consulta. B.U.R.L. 4° Suppl. straordinario al n. 50 del 14 dicembre 2006 D.g.r. 28 novembre 2006 n. 8/3624 Individuazione di aree ai fini della loro classificazione quali ZPS (Zone di Protezione Speciale) ai sensi dell’Art. 4 della direttiva 79/409/CEE La Giunta Regionale delibera di indivi-

duare nella cartografia allegata al Decreto alcune aree del territorio regionale da proporre al Ministero al fine di essere classificate come Zone di Protezione Speciale. Tali aree appartengono alle province di Lecco, Lodi, Bergamo e Sondrio. B.U.R.L. 1° Suppl. straordinario al n. 52 del 29 dicembre 2006 Legge Regionale 27 dicembre 2006 n. 31 Legge Finanziaria 2007 La legge dispone agevolazioni d’imposta a fondazioni no profit ed enti ecclesiastici accreditati che sono a contratto ai sensi della L.R. n. 31 dell’11 luglio 1997 che svolgono attività sanitaria o socio-sanitaria. Per il triennio 2007/2009 sono autorizzate le spese previste dal documento allegato alla Legge, relative ad interventi previsti dalle Leggi Regionali di Spesa. C. O.

Stampa Appalti Codice appalti, al via solo i ritocchi (da “Edilizia e Territorio” del 5-10.2.07) La riforma del Codice degli appalti è partita. Sulla “Gazzetta” del 31 gennaio è stato pubblicato il primo decreto correttivo: il D.Lgs 6/2007. In pratica tre sono le novità: la prima riguarda avvalimento del principio secondo cui l’impresa che presta i requisiti può diventare anche subappaltatore “nei limiti dei requisiti prestati”. Il decreto poi accoglie le richieste degli enti locali e permette di affidare l’incarico di responsabile del procedimento anche a dirigenti a tempo determinato. Infine, raddoppia la pubblicità legale sui quotidiani per i bandi di lavori tra i 500 mila euro e i 5,9 milioni. Ma sull’entrata in vigore del provvedimento non c’è chiarezza. Energia Certificazione energetica degli edifici (da “Edilizia e Territorio – Progetti e Concorsi” del 29.1-3.2.07) Sono quindici i Comuni in Italia che hanno firmato la convenzione con l’Agenzia CasaClima per ottenere la certificazione energetica degli edifici e un cen-


Progettisti, si apre il mercato della certificazione energetica (da “Edilizia e Territorio” dell’8-13.1.07) Con il via libera definitiva al Decreto 192 bis sulla certificazione energetica degli immobili si apre un nuovo mercato per i progettisti e i direttori dei lavori: il provvedimento fissa un nuovo calendario per dotare tutti i nuovi immobili e quelli con profonde ristrutturazioni del certificato che individua la classe energetica dell’edificio. Intanto, in attesa delle linee guida, sarà il direttore dei lavori a sostituire il certificato con un’attestazione provvisoria che è valida solo per dodici mesi, trascorsi i quali, per vendere o affittare l’immobile, servirà comunque il certificato vero e proprio. Milano Milano, in gara il tunnel per Monza. Al via il primo lotto per il collegamento fra la Tangenziale nord e la Brianza (da “Edilizia e Territorio” dell’8-13.1.07) Partiranno i lavori per il tunnel di viale Lombardia, arteria stradale fra Monza e Milano. Dopo l’accordo siglato, con cui veniva sbloccato l’intervento di riqualificazione del collegamento tra la Statale 36, il comune di Monza, il sistema autostradale A4 e la Tangenziale nord di Milano, è stata bandita dall’Anas la gara da oltre 35 milioni per realizzare il primo lotto dell’opera. Normativa Comma per comma, la bussola per orientarsi nelle 1.364 norme della Finanziaria 2007 (da “Edilizia e Territorio – Commenti e Norme” n. 1 dell’8-13.1.07) Lo speciale “Finanziaria 2007 – La Legge e

le Note (parte prima)” è interamente dedicato alla Legge 296/2007. Imposta di scopo per opere pubbliche, sconti per il risparmio energetico, nuovi fondi per le infrastrutture: in una dettagliata tabella sono indicati tutti i riferimenti utili per una veloce ricerca degli articoli relativi all’edilizia, le opere pubbliche, l’immobiliare e l’ambiente, contenuti nella Finanziaria 2007. Recupero Lombardia, gare sulle aree dimesse. Con la legge sulla semplificazione anche una procedura (modello Pf) per il recupero (da “Edilizia e Territorio – Progetti e Concorsi” del 29.1-3.2.07) Uno dei punti qualificanti della nuova Legge lombarda “Strumenti di competitività per le imprese nel territorio” è quello della possibilità per i Comuni di espropriare le aree dismesse da più di quattro anni e di individuare nuove iniziative imprenditoriali da insediarvi. Il nuovo strumento prende in considerazione ex aree industriali con una superficie superiore ai 2.000 mq e la cui attività economica sia cessata da almeno quattro anni. L’amministrazione può invitare la proprietà dell’area a presentare proposte per il riutilizzo, coerenti con la destinazione urbanistica prevista. Urbanistica Lombardia, urbanistica in progress. Formigoni cambia per la terza volta la Legge 12/2005 (da “Edilizia e Territorio” del 25-30.12.06) Disco verde da parte della Giunta Lombarda alle “Ulteriori modifiche e integrazioni alla Legge Regionale 11 marzo del 2005, n. 12 per il Governo del territorio”. La nuova normativa ha la sua parte principale nelle semplificazioni per le 659 amministrazioni sotto i duemila abitanti per l’elaborazione del nuovo Piano di Governo del territorio (Pgt). Le altre novità, in attesa dell’esame del Consiglio regionale, riguardano: la quota di Erp obbligatoria nei piani attuativi, la salvaguardia per le aree circostanti le strade, la facoltà riservata alla sola giunta Moratti (senza passare dal Consiglio comunale) di approvare i piani, l’obbligo di indicare le aree dimesse e le modalità per il loro recupero già nel Documento di Piano.

San Donato, partono le aree ex Eni. Il Fondo Usa Whitehall ha in mano 1,5 milioni di mq (da “Edilizia e Territorio” del 22-25.1.07) Con l’approvazione definitiva da parte del Consiglio comunale di San Donato del Pii che comprende la riqualificazione delle aree De Gasperi Ovest, Centro Città e Sottostazione Elettrica, prende il via una massiccia opera di trasformazione del Comune alle porte di Milano. In gioco l’asse centrale da 1,5 milioni di mq ex Eni per un’operazione stimata in oltre 1 miliardo di euro, iniziata con l’acquisto da parte del fondo americano Whitehall del portafoglio immobiliare dell’Eni a San Donato. La riqualificazione è affidata alla Società italiana, First Atlantic Real Estate. M. O.

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tinaio di cantieri che lavorano sulla base del protocollo di certificazione battezzato dalla Provincia di Bolzano ed oggi riconosciuto, di fatto, come standard operativo nazionale. L’Agenzia, che ha aperto i battenti lo scorso primo dicembre, è stata istituita per dare vita a un punto di riferimento per tutti i progettisti, le imprese e le amministrazioni, ma anche per i singoli cittadini interessati alla realizzazione di edifici a risparmio energetico. Questa presentazione è stata fatta in occasione di Klimahouse 2007, la Fiera nazionale dedicata all’efficienza energetica che si tiene a Bolzano.


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Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.ordinearchitettilecco.it Presidenza, segreteria e informazioni: ordinearchitettilecco@tin.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Monza e della Brianza fax: 039 3309869 www.ordinearchitetti.mb.it Segreteria: segreteria@ordinearchitetti.mb.it Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.ordinearchitettipavia.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it

Como Amedeo Petrilli, sull’architettura: consonanze e dissonanze Il 7 ottobre al Politecnico di Como si è svolto un convegno e un concerto in ricordo di Amedeo Petrilli (1), architetto che ha indagato professionalmente e criticamente le teorie e le opere di Le Corbusier. Al convegno hanno partecipato gli architetti Giuliano Gresleri, Luciana Miotto, Mario Botta, Guido Pietropoli, Danny Samuels, Angelo Monti, Giuseppe Filipputi, Mauro Manfrin, Andrew Todd, oltre a Ruggero Pierantoni (intellettuale-scienziato), il Maestro Giuseppe Cospito (prof. di musica elettronica, Conservatorio di Como), Anna Veronelli (Assessore all’Università di Como), Vanni Marchetti (Fondazione Museo Naif di Luzzara). Gli argomenti proposti e dibattuti hanno preso spunto principalmente dai tre libri scritti da Petrilli, con un intreccio di relatori che ha coinvolto architetti, intellettuali, scienziati, critici e musicisti. Il convegno è stato anche l’occasione per una serie di riflessioni sull’approccio alla professione dell’architetto, che può essere riconducibile ad un pensiero di W. Morris, del 1881: “il mio concetto di architettura è l’unione e la collaborazione delle arti, in modo che ogni cosa sia subordinata alle altre, in completa armonia” (2). La prima parte del convegno ha preso spunto da Il testamento di Le Corbusier, un saggio sul progetto di LC per il nuovo Ospedale di Venezia; su questo tema sono intervenuti tre testimoni diretti, allora studenti di architettura, che hanno avuto l’occasione di partecipare al progetto con Amedeo Petrilli, nell’atelier di LC diretto da G. J. de la Fuente, a Parigi e Venezia. Mario Botta ha illustrato l’essenza del progetto, descrivendo la straordinaria illusione di partecipare ad un grandissimo evento, sostenuto dalla loro spensieratezza e gioventù; Danny Samuels ha ricordato i sogni e le impressioni di un giovane studente americano sbarcato in Europa, mentre Guido Pietropoli ha rivisitato tutte le implica-

zioni socio-politiche che il progetto ha scatenato, ricordando G. Mazzariol e C. Ottolenghi, veri e propri paladini della necessità di realizzare il progetto di LC a Venezia. Costruire senza costruire era il motto per l’Ospedale, con la consapevolezza di LC di poter realizzare un’architettura moderna a Venezia, e contemporaneamente recepire nel progetto la vera natura e organizzazione urbana della città. Il secondo gruppo di relatori ha dialogato sugli elementi proposti dal libro Acustica e Architettura, che testimonia i forti rapporti intessuti da LC tra architettura, acustica e musica. Ruggero Pierantoni (3) ha illustrato una serie di temi dal punto di vista scientifico, demolendo ogni possibile riferimento su presunte relazioni grafiche tra architettura e musica per il progetto di Ronchamp, per poi, all’opposto, mostrarci una sorprendente e perfetta sovrapposizione tra uno schizzo della facciata sud-est e il diagramma delle dissonanze. Andrew Todd ha rivisto i principali progetti delle grandi sale di conferenze e auditorium di LC, studiate nel libro: come progettista, molto concentrato sul tema dello spazio teatrale aperto, ha messo in discussione l’approccio di LC e l’analisi sviluppata da Petrilli, facendo intravedere nuove possibilità di approccio di questo tema. Il Maestro Giuseppe Cospito ha arricchito la discussione mostrando esempi di design musicale, interventi sonori che mirano a rinforzare o meglio sottolineare i progetti architettonici e di design. Angelo Monti ha introdotto la seconda parte del convegno, puntualizzando come il libro L’urbanistica di Le Corbusier riporti l’attenzione verso la città e verso il progetto urbano, e che il saggio di Petrilli è prima di tutto il lavoro di un architetto che indaga su un altro architetto. È questo sicuramente uno dei punti più interessanti, evi-

denziato anche dalle parole di Petrilli: “...non riuscivo mai a capire se stavo disegnando dei piani di architettura o di urbanistica, se mi occupavo di disegno degli interni o del paesaggio, dell’assetto strutturale o dei dettagli, dello spazio o della forma del manufatto. Ho scoperto, in seguito, che mi stavo occupando di tutte quelle cose insieme, tra loro magicamente interrelate. Come dovrebbe sempre essere” (4). Giuliano Gresleri ha ripercorso il primo incontro con LC per il progetto di una chiesa a Bologna, e poi la conoscenza con il giovane Petrilli a Venezia, come responsabile del progetto dell’Ospedale. La voce di Gresleri ha invaso l’auditorium con una passione che ci ha fatto intravedere lo spirito di una generazione che credeva in una sorta di nuova missione dell’architettura: infatti, ha definito Petrilli un missionario, che ha lavorato per tradurre il pensiero di LC. Luciana Miotto ha parlato del libro L’urbanistica di Le Corbusier, concentrando gran parte del suo intervento sul corollario finale di Chandigarh, che è senza dubbio una delle parti più interessanti. Dopo aver lavorato, studiato e assimilato tutto il pensiero di LC, Petrilli resta basito di fronte a Chandigarh, alla sua forza, alla sua fantastica modestia, e alla sua chiarezza: in realtà prima della partenza, G. De Carlo gli aveva annunciato che avrebbe avuto delle grandi sorprese visitando la città, ma lo stupore descritto è straordinario (5). L’ultima parte del convegno intitolato “Il principe e l’architetto”, ha messo in risalto il rapporto fondamentale tra committenza e progettista, tra chi propone e intuisce, e chi sviluppa le trasformazioni urbane e sociali. Anna Veronelli ha ripercorso il suo incontro con Petrilli, e la comune convinzione di poter concretamente sviluppare insieme alcuni temi fondamentali di Como, già studiati nel passato


Mauro Manfrin Note 1. Amedeo Petrilli, ha svolto la sua attività a partire dalla metà degli anni Settanta, prima a Como con il fratello Antonio, poi a Milano. Insegnante e autore di scritti sull’architettura contemporanea, è stato vicedirettore della rivista Spazio & Società. La sua esperienza nell’atelier veneziano di Le Corbusier ha portato alla scrittura di Il testamento di Le Corbusier, Marsilio, 1999, e in seguito di Acustica e architettura. Spazio, suono, armonia in Le Corbusier, Marsilio 2001, e L’urbanistica di Le Corbusier, Marsilio 2006. 2. Citazione riportata al convegno da Luciana Miotto. 3. R. Pierantoni è all’origine del libro Acustica e architettura, come raccontato nella prefazione del libro. 4. Premessa in L’urbanistica di Le Corbusier, cit., p. 14. 5. G. De Carlo, Della modestia in architettura, “Spazio e Società”, n. 76, 1996. 6. Überbrettl Ensemble: Mattia Petrilli, flauto e ottavino; Massimo Ferraguti, clarinetto e clarinetto basso; Igor Cantarelli, violino e viola; Matteo Amadasi, viola; Gregorio Buti, violoncello; Davide Burani, arpa; Silvia Testoni, voce; Giovanni Cospito, regia del suono; Pierpaolo Maurizzi, pianoforte e direzione. Programma: L. Berio – Sequenza I per flauto; E. Varèse – Poème électronique per nastro magnetico; C. Debussy –

Sonate per flauto, viola e arpa; A. Schönberg – Pierrot Lunaire op. 21 per voce, pianoforte, flauto (anche ottavino), clarinetto (anche clarinetto basso), violino (anche viola) e violoncello.

Tempi di vita, vita nel tempo Cambiare regolarmente residenza tra due continenti mi ha offerto di più delle solite esperienze che aiutano ad ampliare lo scopo del lavoro professionale. La differenza tra i luoghi e gli ambienti mi ha anche rivelato qualcosa sulla mia maniera di pensare. Da sempre mi affascinano i luoghi transitori, le soglie tra una cosa e un’altra, il mutamento quasi impercettibile che il tempo reca alle cose e alle persone. Quando mi sistemo a New York e riprendo l’insegnamento, scopro tra le facce che mi guardano una vasta umanità che non può che riflettersi nella mia maniera di pensare l’architettura. Come teatro di svariate attività, New York rappresenta un microcosmo del mondo intero, sia a livello del consumo che a quello dell’immaginazione. Città di emigrati per eccellenza, ma anche culla di un savoir vivre tutto suo che sospende le proprie contraddizioni in una cultura sintetica. Questa cultura non esisterebbe al di fuori della sua radicale irresoluzione e la vita di ogni giorno non potrebbe mai funzionare se non creasse anche un senso di artificiale naturalezza. Penso la città come un organismo in continuo mutamento che trapassa le distinzioni tra le cose e le persone varcando sempre il fiume del tempo e delle idee. Da quando ho cercato nelle mie architetture di soverchiare le gerarchie – quelle ansiosamente nascoste come quelle involontarie – e di sciogliere ogni oggettività in un senso del fluido, New York è diventata il mio segreto partner e il mio laboratorio. Negoziando il trapasso tra interno ed esterno, assaporando le mille sfumature che ne emergono, ho vissuto nell’esterno urbano le condizioni insite nei miei pensieri. Tra il chiasso della via e il mormorio di un minuscolo bacino d’acqua nel cortiletto, tra gli sfrenati clacson e la lenta salita del caldo dall’ap-

partamento sottostante, dalla luce del giorno che si spegne e i lumi che si accendono all’interno della vicina sinagoga, la città si mette in uno stato di oscillazione. Passato e presente assumono una lunghezze d’onda diversa e gli interni sembrano riprodurre le condizioni della vita per strada. Se queste reminiscenze possono sembrare ben lungi dal lavoro quotidiano di un architetto, lo sarebbero appunto per motivi di “distanza” geografica e culturale come li conosciamo anche a casa. Quando mi venne chiesta la progettazione di un appartamento nella valle dell’Engadina, non potevo evitare la spontanea coincidenza con le mie esperienze giovanili quando la nostra famiglia soggiornava spesso a Celerina. D’estate, trascorrevamo settimane sull’alta pianura grigionese, ma anche sul mare, dai nonni a San Remo. Partendo dalla mia città nativa, posta come è tra le alpi, la Pianura Padana e il sempre sognato benché remoto mare, i luoghi di svago sono stati i poli di vita come lo sono gli estremi di clima e comportamento. In Engadina, la mia stanzina aveva una sola finestrina sopra il letto, che, vista da fuori, si apre a forma di imbuto. Rassomigliando ad una piramide rovesciata, ben dieci volte in superficie di quella vetrata, cattura così un ampio arco del sole, nonostante la sua minuscola apertura. Nel frattempo, queste finestre a “mo’engadinais” sono diventate la sigla kitsch di ogni finta capanna alpina, come anche i mobili di larice che i turisti si portano a casa come souvenir della villeggiatura. Non che manchino di scopo, né di virtù, ma neppure i mobili sfuggono alla sindrome Disney. Allora, ho scelto di rendere “interni” gli imbotti delle finestre e di disporre il larice a mo’ di fodera nelle camere. Disponendo di poco spazio, le camere si articolano come grandi mobili che, grazie agli spazi tagliati fuori dalla pianta rettangolare, sono in grado di accomodare rigetti, nicchie e tane nelle fette di vuoto dietro le loro pareti. Rovesciando le finestre verso l’interno, posso conservare la loro forma che nei tempi premoderni aveva una sua funzione

precisa, ma che nel trapasso al turismo sono diventati pura memoria d’antan, quasi il ricordo di un’estinta cultura alpina. Il mio desiderio era di tramandare la forma senza travestirla in una ormai inutile funzionalità. La rivista Abitare (461 maggio, 2006) ha poi pubblicato questo lavoro, dandomi lo spazio necessario per sviluppare le idee e la loro genesi. Fu un colpo quando un bel giorno mi cadeva in mano un vecchio numero di Abitare di quarant’anni fa nel quale la mia casa d’infanzia in Engadina, recentemente restaurata da un architetto italiano, fu illustrata, addirittura con la minuscola finestra della mia stanzina. Così si chiudeva il circolo tra memoria e futuro, di perdita nel tempo e di recupero, nella pagine della stessa rivista come nella mia esperienza. Lo scorso anno, per un allestimento di alcuni dei miei lavoro al New York Institute of Technology, ripresi materiali e disposizioni da tempo sperimentati per mostre d’arte e fiere, drappeggiando di tessuto gli spazi e

creando involucri sospesi. La mostra In Cima, (Centro Palladio, Vicenza, 2003) dedicata al monumento che Giuseppe Terragni concepì per il figlio di Margherita Sarfatti, caduto sull’alta piana delle Dolomiti nella prima guerra mondiale, mi obbligò a lasciare le pareti del Palazzo palladiano indenni. Il tema dell’esposizione che gira intorno alla memoria di una vita stroncata che si scioglie sconosciuta, faceva nascere l’idea di un ambiente da catafalco. Volevo evitare ogni enfasi e ostentazione,

43 INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

dall’architetto. Vanni Marchetti ha portato la testimonianza del lavoro di Petrilli nella città di Luzzara: un progetto a tutto campo, dall’urbanistica all’architettura, fino alla definizione degli interni stessi degli edifici; arrivato a Luzzara da completo estraneo era riuscito ad integrare le sue convinzioni intellettuali con le necessità e la natura dei luoghi. Infine Giuseppe Filipputi ricordando il grande impegno didattico di Petrilli per l’università USC di Los Angeles, ha poi puntualizzato la reale possibilità di una crescita comune tra istituzioni e progettisti, riportando alcune concrete esperienze di lavoro personali. Il pomeriggio è sfociato nella serata con uno straordinario concerto dell’Überbrettl Ensemble (6), un omaggio di Mattia Petrilli al padre, diretto da Pierpaolo Maurizi: la musica ha seguito le parole degli interventi in perfetta sintonia. Un magico insieme che ha compreso il lavoro organizzativo di Vanna Glauber e la grafica del convegno di Roberta Sironi.


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tutto doveva essere come se si scivolasse dentro una bolla del tempo. Un tempo della memoria che ospita tracce e documenti e ci congeda commossi. L’intercapedine tra le mura del palazzo e le tende che lasciavano appena intravedere le stanze diventò involucro di luce. I visitatori passavano così da luogo a luogo, attraversando nuvolosi spazi come se cercassero il loro cammino in una fitta nebbia di novembre. Nebbioso diventa il tempo che asporta con sé la sbiadita memoria dei fatti. Allestimenti di mostre e musei mi affascinano proprio per i ritmi diversi che scandiscono il tempo dei visitatori e quello degli oggetti. Nel momento dell’incontro tra osservatore e oggetto nasce uno spazio che esiste solo a causa loro e che sparisce al prossimo passo del visitatore per ristabilirsi poi in un mero battito di ciglia. Direi che tema essenziale della mia ricerca sia appunto la realtà sfuggente, ma viva, degli spazi marginali e liminali. Fra poche settimane dirigerò un workshop alla scuola di architettura dell’Università di Muenster (Westfalia) per il quale ho scelto un tema che già ho sperimentato alla scuola di New York: la riabilitazione di spazi della memoria a Castelvecchio di Verona. Sono curiosa di vedere come gli studenti della scuola germanica reagiranno alla sfida di tempi e luoghi che sono stati colpiti da tante catastrofi, ma ci hanno lasciato reperti e testimonianze che chiedono di essere ricordati. Sarà un margine di tempo da scavare dal nulla (e con materiali modesti), ma da riempire con una fitta storia. Saranno, per dirlo con una parola, spazi nuvolosi. Elisabetta Terragni

Cremona

nostra professione. In particolare è stato deliberato il formato, il contenuto e il regolamento per l’uso del timbro, che sarà fornito direttamente dal nostro Ordine, del quale se ne sancisce l’obbligatorietà sui disegni e su tutti gli elaborati progettuali, nonché l’uso di timbri che abbiano caratteristiche diverse. L’iscritto dovrà provvedere alla sua restituzione al termine dell’attività ovvero alla cancellazione dall’Albo. Accompagnato al timbro si è reso necessario promuovere il regolamento per la fornitura e l’utilizzo della tessera di riconoscimento personale da assegnare agli ordinati inseriti nel nostro Albo. A tale proposito ricordo a tutti gli iscritti di fornire alla segreteria una foto formato tessera necessaria allo scopo. La tessera avrà validità quale documento di riconoscimento davanti agli uffici pubblici, e come certificazione della partecipazione ad assemblee, elezioni, corsi di aggiornamento e altre attività promosse dall’Ordine. Altro punto che ha richiesto alcuni mesi di elaborazione è la costituzione dell’associazione architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori cremonesi. Quest’associazione dovrà principalmente diffondere la cultura, l’arte e l’architettura nella sue molteplici forme; promuovere la figura dell’architetto, del pianificatore, del paesaggista, del conservatore, dell’operato di singoli o gruppi; organizzare iniziative proprie o in collaborazione, manifestazioni ed eventi culturali. Dell’associazione fanno parte di diritto tutti gli iscritti all’Ordine provinciale e possono iscriversi anche persone che per la loro attività lavorativa o di studio siano interessate all’associazione stessa. Lo statuto, il regolamento e il modulo d’iscrizione sono consultabili nel nostro sito www.architetticr.it Fiorenzo Lodi

Attività dell’Ordine Nelle ultime riunioni del Consiglio Direttivo dell’Ordine, oltre all’attività di ordinaria amministrazione, si sono dibattuti e deliberati alcuni argomenti di notevole importanza per il futuro dell’Ordine e per la garanzia di un corretto svolgimento della

Lodi Simbologia cristiana nella Basilica dei Dodici Apostoli a Lodivecchio Chi si reca a visitare la basilica dei Dodici Apostoli a Lodivec-

chio, in una giornata di pieno solo, resta affascinata dallo stupendo effetto cromatico del cotto delle pareti, sullo sfondo verde della vegetazione rigogliosa e l’azzurro intenso del cielo. Il tutto pare ricondurre a qualcosa di fantastico, dove l’antico sembra predominare, in una lotta continua contro il tempo. L’edificio sacro oggetto di studio, meraviglia per l’ottimo stato di conservazione. La sua edificazione è da attribuire a San Bassiano; iniziata il 1 gennaio dell’anno 378, viene consacrata nel 380 ai Santi Apostoli, conservandone all’interno alcune reliquie. Dopo la morte di San Bassiano e la sua sepoltura all’interno, la Basilica prende il suo nome. Nel 1323 subisce un restauro, che apporta modifiche tali da trasformare quasi completamente l’impianto originale. Collocata all’esterno del centro abitato, la Basilica, è fiancheggiata da un’antica strada risalente all’epoca romana, la Cremona-Laus Pompeia (Lodivecchio), via di comunicazione di estrema importanza in quanto la sua prosecuzione verso est conduceva a centri importanti come Mantova, Padova ed Aquileia, servendo ad un traffico che aveva la sua origine dagli scali adriatici(1). L’antica strada venne percorsa nei secoli da numerosi viaggiatori quali Pellegrini, Palmieri che si recavano in pellegrinaggio oltremare e Romei che

si recavano a Roma. Sul lato della Basilica verso la strada, si apre una porta che concedeva ai viaggiatori di entrare per un saluto all’Altissimo prima di proseguire, conformemente al termine Chiesa – parola greca che significa adunanza, in quanto con tale termine all’origine si rappresentava l’adunanza dei Cristiani, estendendo in seguito il significato all’edificio sacro. L’edificio denota caratteristiche architettoniche tipiche del perio-

do romanico e costruttive proprie del territorio dove sorge. Il terreno alluvionale lombardo ha suggerito l’uso del mattone che si otteneva dalla lavorazione dell’argilla. L’uso del mattone ha consigliato il paramento esterno, rinforzato da paraste leggermente aggettanti, suggerendo la decorazione ad archetti pensili, disegnati nelle strutture orizzontali, in sostituzione degli architravi in pietra, caratteristica costante nella struttura e della decorazione esterna, presenti in tutte le chiese romaniche. Nelle pareti piene di nervature, le finestre, monofore o bifore, sono di stretta fessura, chiuse in alto da archi mezzo tondi; le strombature della porta d’ingresso sono formate da tanti corduli, ovvero listelli tondi, affiancati e rientranti. Nella parte superiore della facciata, si notano graziosi elementi decorativi simili a piccole torri, sormontati da una croce e decorati con piccoli archetti che si incrociano. Il campanile, incastrato su di un lato dell’abside, costituisce l’elemento architettonico verticale, che presente specialmente nelle pianure, rappresenta un segnale visivo, per l’orientamento dei viaggiatori e dei pellegrini e anche sonoro, per il richiamo dei fedeli. Il termine campanile deriva da campana; secondo Isidoro da Siviglia, il nome di campana, deriva da Campania, la regione dove nel bronzo (composto da quattro parti di rame ed una di stagno) sarebbero state fuse le prime tazze sonore. Il campanile simile ad un faro, non luminoso ma sonoro, con la sua mole, anche quando la campana tace, resta sempre una presenza amica, un segnale di orientamento. Il suo indice appuntato verso il cielo, non addita soltanto la suprema presenza di Dio, ma rileva anche la benefica permanenza della Basilica. L’orientamento della chiesa presenta l’abside ad est e l’ingresso ad ovest. I due punti cardinali hanno un preciso significato: dall’oriente viene la luce; ad occidente la luce tramonta. L’oriente, da dove proviene la luce diretta, rappresenta il primato dello spirituale; l’occidente, da dove proviene la luce riflessa e derivata, rappresenta


stenza analoga a quella precedentemente vissuta (2). Nel Nuovo Testamento uno dei verbi greci usati per definire la resurrezione è “egheirein” letteralmente “risvegliare”. Proseguendo la visita nell’interno, la Basilica è composta da tre navate, quella principale al centro e quelle secondarie laterali, separate da una serie di pilastri sui quali s’impostano archi a tutto sesto e volte segnate dai costoloni od ogive. Come le altre chiese dell’epoca romanica, le volte del soffitto sono affrescate riproducendo il cielo stellato, per alcune costruzioni sacre dell’epoca, tale riproduzione ha meritato l’attributo di ciel d’oro, rappresentazione del Paradiso. Archi e volte, premendo col loro peso sui muri spessi e rotti da strette monofore a feritoia, si scaricano sui pilastri compositi polistili, che prolungano, nelle linee d’intersezione, le loro nervature, dette ogive dal verbo latino augere. Nel punto d’imposta, tra i pilastri e gli archi, non fioriscono più come nell’arte classica, capitelli

45 arricciati, né s’inseriscono, come nell’arte bizantina, pulvini geometrici, ma escono strane vegetazioni quasi maligne e figurazioni quasi mostruose. Dove il ciel d’oro incontrava i terrestri pilastri di sostegno, sembra che, vengano schiacciati quegli spiriti maligni che i religiosi non cessavano di esorcizzare. Per capire il significato di tali figurazioni espressionistiche, volti ghignanti, ventri gonfi, mani largamente palmate, piedi prensili, bisogna pensare alla cultura nordica e leggere le opere di Alcuino o del suo discepolo Rabano Mauro. La terra, essi dicono, è infestata da spiriti impuri, da una popolazione diabolica, che s’appiatta e nasconde nel mondo della natura. Come c’è una corte celeste e una corte imperiale, esiste anche una corte satanica. Non sempre, anzi difficilmente, il re del male si mostra nella sua odiosa maestà. Come l’imperatore viene rappresentato dai feudatari e dai cavalieri, così Satana agisce nel mondo per mezzo dei suoi vassalli e, se fosse possibile questa espressione, dai suoi missi dominici e dai suoi Paladini. Il popolo che dalle navate in basso osserva gl’intagli dei pilastri, non può capire tutta quella simbologia scaturita dalla fantasia dei monaci in perpetua lotta contro le potenze del male. Guarda, non ammirato, ma intimorito; non edificato, ma spaventato. Esiste qualche cosa ch’egli non ha mai veduto fuori della chiesa; ci sono esseri che si rivelano soltanto nella costrizione dell’esorcismo; potenze malefiche, contro le quali i religiosi lo mettono in guardia, mediante la bruttezza, espressione della cattiveria. Sempre all’interno, troviamo una serie di simboli interessanti, che riconducono al Cristianesimo. Principale riferimento cristiano, sempre presente nel tabernacolo di qualsiasi chiesa consacrata, è l’Eucarestia. Gesù ha scelto il cibo – pane e vino – come elemento di unione con Lui, in quanto il cibo ci rafforza. L’assunzione dell’Eucarestia – il pane – che rappresenta il corpo

di Gesù, dona al fedele la forza che proviene direttamente da Gesù. Come il cibo deve essere assunto ogni giorno per vivere, così l’Eucarestia per mantenere la forza di Gesù. La croce è un altro simbolo presente in tutte le chiese, anche se tra i cristiani verrà utilizzato molto tardi, ritenendolo in un primo tempo simbolo di sconfitta. Sarà rappresentata con Costantino nella forma di “P” ed “X” e non nella figura a noi più nota “+”. Sotto forma di àncora, viene proposta con il significato di speranza, per chi già fermo nella fede attraverso la croce perveniva alla vittoria. Quindi: croce uguale vittoria, che viene simboleggiata dalla palma che, oltre al simbolo dei Martiri (in quanto il Martirio rappresenta la vittoria e la palma è simbolo di trionfo), rappresenta la vittoria della vita sulla morte. La palma, ancora prima delle persecuzioni e dei Martiri, era diffusa sulle prime lastre tombali. La palma era pure vittoria, per il superamento della passioni, ed il trionfo della virtù sopra il vizio. Vittoria la vita della Grazia, vittoria l’amore del prossimo, vittoria la pace e infine vittoria la morte del giusto. La palma si può considerare il segno universale del primo cristianesimo, come oggi è segno universale la croce. Altro simbolo ricorrente nelle chiese e presente nella Basilica, è il monogramma di Cristo o meglio il Crismon, sono le due lettere iniziali intrecciate “X” e “P”, dal greco cristos (Cristo). Il segno fu visto in sogno dall’imperatore Costantino che lo fece apporre sugli elmi dei propri soldati. Dopo la battaglia di ponte Milvio che determinò la sconfitta di Massenzio, il segno ricevette grandi onori, diventando un vero proprio culto. Il simbolo portato sui labari imperiali, diventò una grande insegna di guerra, vigilata da una speciale guardia e riparata sotto una tenda d’onore, dove l’imperatore si ritirava per trarre ispirazione dalle proprie imprese. Proseguendo, sono visibili sulla seconda volta, i quattro simboli

che rappresentano i quattro evangelisti, l’angelo Matteo, Marco il leone, Luca il bue, Giovanni l’aquila. All’origine questi simboli rappresentavano gli attributi di Cristo. Uomo (o angelo) nella nascita, leone nelle sue opere, bue nel Suo sacrificio, aquila nella Sua risurrezione e nella Sua ascensione. Nell’abside è presente l’affresco del Cristo pantocrator. La sua origine risale alla chiesa Orientale che indulgeva a forme di fastoso cerimoniale. Nella Liturgia entrò la nomenclatura monarchica. Cristo venne chiamato il Re dell’universo e Regina del Cielo fu detta la Vergine. Gli Angeli divennero “la milizia celeste” e su di essi prevalsero i guerrieri, come l’Arcangelo Michele. L’iconografia subì la maggiore suggestione da questo cerimoniale, che permetteva agli artisti di tradurre efficacemente il concetto della potenza divina e della maestà celeste. Se il sovrano era un autocrator, appariva giusto che Cristo fosse il pantocrator, cioè il Signore assoluto dell’universo. Nell’affresco dell’abside è rappresentato seduto, in posizione rigidamente frontale, barbuto, gli occhi grandi e fissi, il naso diritto, la bocca chiusa con una piega, se non di disprezzo, di amarezza, col nimbo crociato sulla testa, dove i neri capelli si dividono in due rigide bande. Il Cristo pantocrator, tiene con la sinistra il libro della legge come nella Traditio legis, anziché la sfera del mondo crociato, con la quale normalmente viene rappresentato. Mentre con la destra s’alza a benedire con tre dita, simbolo della Trinità; attorno a Lui, Sovrano, lo circondano i simboli dei quattro evangelisti. Molti altri sono i simboli presenti all’interno ed all’esterno della stupenda costruzione, meritevoli di un attento studio, che se eseguito correttamente, permetterebbe di completare la comprensione delle scelte architettoniche ed artistiche operate all’origine. Si evince che per comprendere l’immagine sacra è importante conoscere i registri biblici, teologici, culturali,

INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

la subordinazione del materiale. La pianta della Basilica come in tutte le chiese antiche, rappresenta il corpo di Gesù. In quelle con transetto lo raffigura sulla croce con il capo in corrispondenza dell’abside, mentre senza transetto, come la Basilica dei Dodici Apostoli, lo rappresenta deposto nel sepolcro. A tal proposito è interessante notare che in epoca arcaica, come testimoniano gli scheletri ritrovati in alcune necropoli, i defunti venivano orientati nelle loro tombe con il corpo lungo la direzione est-ovest, in modo che i piedi fossero collocati verso ovest, ed il capo fosse direzionato ad est, punto dove sorge il sole i cui raggi venivano ritenuti come entità portatrici di vita, permettendo al defunto il trapasso in una forma di esi-


INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

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entrare nel significato profondo del simbolo. Per simbolo si deve intendere un segno, oggetto fisico che simboleggia realtà trascendenti e metafisiche. La comprensione del simbolo dipende dal grado di consapevolezza dell’osservatore, diventando addirittura specchio di chi lo guarda, in quanto il simbolo non riguarda un particolare evento, ma verità perenni presenti nella natura stessa delle cose. Lo studio dell’arte sacra perciò, educa a percepire, vedere ed ascoltare ciò che non è accessibile all’uomo razionale d’oggi. Antonino Negrini Note 1. Lodi la Storia, vol. 1, p. 91, Banca Popolare di Lodi. 2. Edoardo Proverbio, Archeoastronomia – alla ricerca delle radici dell’astronomia preistorica, Testi Ed., 1989, p. 33. Bibliografa consultata Armando Novasconi, La basilica di San Bassiano o dei XII Apostoli a Lodivecchio, Banca Popolare di Lodi, 1984. Piero Bargellini, Arte Cristiana, Vallecchi, Firenze, 1959. Piero Bargellini, Arte Romanica, Vallecchi, Firenze, 1960. Dispense “Scuola d’arte sacra” del Museo Diocesano d’arte sacra di Lodi, a cura di Monsignor Virginio Fogliazza.

Milano

a cura di Laura Truzzi Designazioni • POLITECNICO DI MILANO Sono stati effettuati i sorteggi per le nomine dei membri dell’Ordine per le commissioni di laurea per l’anno accademico 2005-06. In seguito alla verifica delle disponibilità si nominano i seguenti architetti: - Laurea Specialistica in Architettura Milano e Vecchio Ordinamento del 21 dicembre 2006. In ordine di Commissione: Fran-

cesca MARGARIA, Roberto GAMBA, Flavio LAZZATI, Matteo Pietro CASATI, Elia Emilio Pietro BONI, Giuseppe RAGONA, Pietro BIN, Carlo MILICIANI, Paolo BERTINI, Urania VOURNA’, Antonio COLAGRANDE, Laura Sabrina CARONNI, Carlo Mario GARIBOLDI, Luca AUTUNNO. - Laurea in Architettura Vecchio Ordinamento del 21 dicembre 2006. In ordine di Commissione: Marco ROBECCHI, Massimo GALLI, Paolo FRIGIERI, Alberto GARDINO. - “Laurea Magistrale – Design degli Interni” del 21 dicembre 2006. La Commissione: Ezio DIDONE. - “Laurea Specialistica in Architettura – Architettura delle Costruzioni” del 22 dicembre 2006. La Commissione: Antonio PONZINI. - Laurea Specialistica in Architettura del 22 dicembre 2006. La Commissione: Alessandro Gianluca CONCA. • AZIENDA OSPEDALIERA “OSPEDALE SAN CARLO BORROMEO” di Milano: richiesta di nominativi di professionisti per la Commissione Giudicatrice “Appalto concorso per progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori di realizzazione dalla nuova piastra Laboratori”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Luigi CUCINOTTA, Edoardo GUAZZONI, Alessandro MARCHESELLI. Serate • Public realm strategies for the revitalization of large housing estates 30 novembre 2006 Ha presentato: Antonio Borghi Hanno partecipato: Krzysztof Baczynski, Alex Garvin Giovedì 30 novembre scorso si è concluso il ciclo autunnale delle serate di architettura presso la sede dell’Ordine con l’incontro con Alex Garvin, fondatore della Alex Garvin & Associates Inc. che ha illustrato le recenti esperienze di riqualificazione urbana negli Stati Uniti. Ha partecipato all’incontro anche Krzysztof Baczynski, Project manager del Network Urbact Hous-Es che in quei giorni teneva un seminario internazionale sugli stessi temi al Politecnico di Milano. Dopo la presentazione da parte di Anto-

nio Borghi, consigliere dell’Ordine, Garvin introduce la serata con una citazione di Kuipers a proposito di New York: “È un posto dove puoi entrare in casa di qualcun altro venticinque volte senza neanche accorgetene, dove tutte le case sono celle numerate; un quartiere come un’enorme prigione in cui un numero infinito di persone sono condannate ai lavori forzati per il resto della loro vita”. Alex Garvin sostiene che vi sono tre motivi alla base della scarsa qualità e del degrado di molti quartieri e complessi residenziali. Il primo motivo è che troppo spesso si confondono forma e luogo; come esempio di un buon rapporto tra questi due elementi, Garvin mostra una serie di diapositive dei quartieri residenziali di Amsterdam costruiti negli anni ‘20 in cui forme e colori differenti vengono utilizzati per personalizzare i vari alloggi e per renderli riconoscibili dai rispettivi abitanti. Il secondo motivo è che molte volte si intrecciano la domanda del mercato immobiliare e i fini politici dell’amministrazione pubblica: come dimostrazione Garvin porta l’esempio del Narkomfin, costruito a Mosca nel ’28 ed oggi completamente abbandonato, che ha cercato senza successo di spingere le famiglie occupanti a vivere secondo il modello socialista. Il terzo motivo è che molto spesso si pensa all’abitare come qualcosa di definitivo e non in divenire: col passare del tempo le esigenze cambiano e sia le abitazioni che i quartieri devono essere in grado di assecondare questo cambiamento, come è successo per certi quartieri storici di Amsterdam. Partendo dall’esempio dello spopolamento di St. Louis (59% in cinquant’anni), Garvin individua nella domanda del mercato, il desiderio di abitare in un determinato posto, l’elemento determinante per il suc-

cesso o l’insuccesso di un quartiere o un complesso residenziale e come, nel caso del South End di Boston e del Printers Row di Chicago, l’intervento dei privati sia riuscito ad invertire la tendenza, rendendo i quartieri nuovamente appetibili ai potenziali clienti. Garvin, figura poliedrica nella quale confluiscono una molteplicità di esperienze, dal ruolo di funzionario pubblico all’attività professionale di architetto, urbanista e docente universitario, sostiene che per riqualificare interi quartieri bisogna adottare un approccio integrato al problema e saper utilizzare gli strumenti finanziari che sono messi a disposizione sia dai privati che dal pubblico. Garvin mostra l’esempio della città americana di Savannah, Georgia, in cui diversi quartieri sono stati riqualificati grazie ad un fondo costituito da privati con lo scopo di rinnovare e rivendere i vecchi edifici senza alterarne il loro carattere storico. Un secondo esempio è per la città di Milwaukee, Wisconsin, sempre negli Stati Uniti: l’Amministrazione ha affrontato il problema dello spopolamento degli ultimi cinquant’anni, non solo costruendo nuovi alloggi, ma anche dei silos per parcheggi e aproffittando dell’ampia sede stradale per realizzare piccoli parchi e proporre un nuovo arredo urbano. L’esempio di Wooster Square a New Heaven, nel Connecticut, testimonia come la facilità di accesso al credito, resa possibili da accordi speciali tra il governo federale e le banche locali, abbia attirato una nuova popolazione ad abbia successivamente riabilitato il quartiere. Parlando dei complessi puramenti residenziali, l’architetto americano sostiene che il miglior metodo per generare una vasta offerta di alloggi sia quello di supportare l’intervento dei privati con delle sovvenzioni statali,


Marco Blasich

1a edizione rassegna Under 40 Nel 2005 il consiglio Direttivo della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti accoglie favorevolmente una proposta della Commissione giovani e bandisce la 1a edizione della “Rassegna lombarda di architettura Under 40. Nuove proposte di architettura”. Intento dichiarato è quello di dare maggiore visibilità al lavoro – opere costruite e progetti – dei giovani architetti iscritti ai 12 Ordini lombardi. La presente pubblicazione costituisce un prezioso documento che testimonia la realtà professionale giovanile attiva sul nostro territorio. I 101 progetti che hanno affrontato con successo la prima selezione, operata dalle Giurie provinciali (composte dai delegati degli Ordini), sono stati esaminati da una seconda giuria nominata da un Comitato scientifico appositamente costituito. La giuria composta da Mario Botta, Luigi Chiara e Enrico Freyrie ha premiato le due opere ritenute più meritevoli ed ha, inoltre, menzionato nove lavori. Vista la grande partecipazione a questa prima edizione del concorso la Consulta intende replicare al più presto con la seconda edizione augurandosi un’altrettanto partecipata ed entusiasta adesione. Il volume del concorso “Under 40” sarà disponibile presso le segreterie degli Ordini provinciali.

Under 40: revocato il primo premio

D.Lgs 163/2006, un seminario di studi

Il Consiglio Direttivo della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti comunica che il primo premio del Concorso “Under 40” è stato revocato per difetto dei requisiti di cui all’art. 3 del bando di concorso (superamento dei limiti di età fissati) e che il medesimo premio non è stato riassegnato.

Il 22 marzo scorso, presso l’Auditorium Periodici San Paolo in via Giotto 36 a Milano, si è tenuto un seminario di studi dal titolo “L’affidamento degli incarichi pubblici di progettazione e degli altri servizi tecnici alla luce del codice degli appalti (D.Lgs 163/2006)”. Il seminario organizzato dalla Consulta Regionale ha avuto il patrocinio del CNAPPC, e degli assessorati Territorio e Urbanistica e Casa e Opere Pubbliche della Regione Lombardia ed è

Beppe Rossi Presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti

stato organizzato dall’architetto Giovanni Vanoi coordinatore della commissione “Bandi di gara” della Consulta e moderato dall’architetto Marco Engel. Dopo il saluto del Presidente della Consulta Giuseppe Rossi, è intervenuto Michele Pini, funzionario pubblico, che ha analizzato il Decreto Legislativo facendo riferimento al quadro normativo europeo. L’ingegnere Carlo Cresta, in rappresentanza dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture ha partecipato al seminario con un intervento dal titolo “Le innovazioni più significative introdotte dal nuovo codice degli appalti e la loro applicazione”. L’architetto Simone Cola, consigliere del CNAPPC, ha affrontato, invece, la questione della qualità architettonica in riferimento al nuovo testo di legge. L’ultimo intervento è stato quello dell’architetto Carlo Lanza, progettista e consulente di enti pubblici, che ha analizzato il punto di vista del professionista. Nel corso del seminario, inoltre, è stata presentata e distribuita ai partecipanti la “Proposta di bando tipo per affidamento di incarichi inferiori a 100.000 euro” redatta dalla Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti. Lo stesso documento è stato messo a disposizione del pubblico attraverso la sua pubblicazione sul sito internet della Consulta e su quello dei dodici Ordini lombardi.

47 INFORMAZIONE DALLA CONSULTA

sia dirette (supporto alla costruzione e/o all’acquisto) che indirette (riduzione degli oneri di urbanizzazione, delle tasse, ecc.). Successivamente Garvin analizza l’influenza di alcuni architetti europei sulla produzione di edilizia residenziale negli Stati Uniti. Il primo architetto menzionato non poteva che essere Le Corbusier il cui Plan Voisin per Parigi ha influenzato parecchi colleghi a partire dalla seconda metà degli anni ’20 sino a dopo la seconda guerra mondiale. Negli Stati Uniti il progetto che più si è ispirato al Plan Voisin, mettendone in evidenza anche i limiti, è stato Stuyvesant Town a New York: 8.700 alloggi costruiti durante gli anni ‘40 sull’isola di Manhattan. Dopo Le Corbusier, Garvin prende in esame Ludwig Hilberseimer e la sua idea di isolato autosufficiente che ha cercato di realizzare con un certo successo nel progetto del quartiere di Lafayette Park a Detroit. Al modello di Hilberseimer, Garvin preferisce quello adottato per la realizzazione dei quartieri a sud di Amsterdam (Amsterdam Zuid) che non si concentra solamente sulla residenza, ma si estende anche alle infrastrutture, alle zone commerciali, ai parchi; Garvin contrappone al modello di Amsterdam l’insuccesso di aree completamente residenziali come quelle realizzate a Newark, New Jersey, ed abbandonate dopo appena trent’anni. Come esempi di buon recupero urbano, Garvin porta le case “Ellen Willson” a Washington e Rittenhousen Square a Philadelphia, progetti dai quali ricava la conclusione per la conferenza: affinché un progetto di riqualificazione abbia un certo successo deve coinvolgere una massa critica di abitanti, deve occuparsi delle residenze, del commerciale, delle infrastrutture, deve coinvolgere gli investitori privati e integrarsi col resto della città. Il confronto con la realtà europea è dunque aperto; evidenziando le differenze di contesto e gli elementi comuni, è necessario innescare una riflessione il più possibile allargata sul tema della metropoli contemporanea.


A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969

Base dell'indice-novembre 1969:100

Anno 2004

Giugno

2005 2006 2007

48

Aprile Maggio 1540 1542,04 1544,56 1570 1568,42 1570.93 1600 1599,81 1604,83

Luglio

1548,32 1573,44 1606,09

Agosto Settembre Ottobre 1550 1549,58 1552,09 1552,09 1552,09 1580 1577,21 1579,72 1580,97 1583,48 1610 1600 1609,85 1612,37 1612,37 1609,85

Novembre Dicembre 1555,86 1555,86

G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA

1583,48 1586,00 1610 1611,11 1612,37

Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’Art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani.

1613,62

Tariffa stati di consistenza (in vigore dal dicembre 1982)

anno 1982: base 100

Anno 2005 2006

INDICI E TASSI

Gennaio Febbraio Marzo 1530 1532,00 1537,02 1538,28 1560 1555,86 1560,88 1563,39 1590 1589,76 1593,53 1596,04

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)

Gennaio

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre Ottobre

Novembre Dicembre

268,86

Febbraio Marzo 270 269,73 270,17

271,03

271,47

271,90

272,55

272,99

273,20

273,64

273,64

274,07

274,72

275,37

276,46

277,33

277,54

278,19

278,63

278,63

278,19

278,41

278,63

275,81

2007

278,85 n.b. I valori da applicare sono quelli in neretto nella parte superiore delle celle

Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2005 2006 2007

Gennaio 118,90 121,49 123,32

Febbraio Marzo 119,28 119,48 121,78 121,97

Aprile 119,86 122,26

anno 1995: base 100 Maggio 120,05 122,64

Giugno 120,24 122,74

Luglio 120,53 123,03

Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 2000: base 100

Anno 2005 2006 2007

Giugno 110,49 112,78

Gennaio 109,25 111,64 278,85

Febbraio Marzo 109,61 109,78 111,90 112,08

Aprile 110,14 112,34

Maggio 110,31 112,69

Luglio 110,75 113,05

Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 1999: base 100

Anno 2005 2006 2007

Giugno 115,80 118,20

Gennaio 114,51 117,00 132,44

Febbraio Marzo 114,87 115,06 117,28 117,46

Aprile 115,43 117,74

Maggio 115,61 118,11

Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

2001 103,07

2003 108,23

2004 110,40

1998 110,08

1999 111,52

2000 113,89

2001 117,39

1998 101,81

Agosto 110,93 113,22

1999 103,04

2000 105,51

2002 120,07

2002 111,12

Novembre Dicembre 121,01 121,20 123,12 123,22

Novembre Dicembre 111,19 111,37 113,13 113,22

gennaio 1999: 108,20 Settembre Ottobre 116,35 116,54 118,66 118,48

2006 114,57

2007 116,28

2003 123,27

2004 125,74

2003 113,87

2004 116,34

Novembre Dicembre 116,54 116,72 118,57 118,66

gennaio 2001: 110,50

novembre 1995: 110,60

anno 1997: base 100 2001 108,65

Settembre Ottobre 111,02 111,19 113,22 113,05

Agosto 116,26 118,66

anno 1995: base 100

Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

2005 112,12

Settembre Ottobre 120,82 121,01 123,22 123,03

dicembre 2000: 113,40

anno 2001: base 100

2002 105,42

Tariffa DLgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

Luglio 116,08 118,48

giugno 1996: 104,20 Agosto 120,72 123,22

2005 127,70

2006 130,48

2007 132,44

2006 120,62

2007

febbraio 1997: 105,20 2005 118,15

Tariffa P.P.A. (si tralascia questo indice in quanto non più applicato)

Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale Legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Articolo 9 della Tariffa. Dal 2004 determinato dalla Banca Centrale Europea Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 2,75% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 2,50% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003 2,00% Provv. della B.C.E. (2.3.2006) dal 8.3.2006 2,50% Provv. della B.C.E. (9.6.2006) dal 15.6.2006 2,75% Provv. della B.C.E. (3.8.2006) dal 9.8.2006 3,00% Provv. della B.C.E. (5.10.2006) dal 11.10.2006 3,25% Provv. della B.C.E. (7.12.2006) dal 13.12.2006 3,50% Con riferimento all’Art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.

Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) dal 1.7.2003 al 31.12.2003

2,10% +7

Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11) dal 1.1.2004 al 30.6.2004

2,02% +7

Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159) dal 1.7.2004 al 31.12.2004

2,01% +7

Comunicato (G.U. 8.1.2005 n° 5) dal 1.1.2005 al 30.6.2005

.

2,09% +7

9,10% 9,02% 9,01% 9,09%

Per valori precedenti consultare il sito internet del proprio Ordine.

Comunicato (G.U. 28.7.2005 n° 174) dal 1.7.2005 al 31.12.2005

2,05% +7

Comunicato (G.U. 13.1.2006 n° 10) dal 1.1.2006 al 30.6.2006

2,25% +7

Comunicato (G.U. 10.7.2006 n° 158) dal 1.7.2006 al 31.12.2006

2,83% +7

Comunicato (G.U. 5.2.2007 n° 29) dal 1.1.2007 al 30.6.2007

.

3,58% +7

9,05% 9,25% 9,83% 10,58%

1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


Indici 2006


Indice cronologico 2006

AL 1/2 Architetti iunior

AL 3 Architettura, città, residenza

Beppe Rossi, Editoriale, p. 3 Adalberto Del Bo, Per una figura professionale europea, pp. 4-6 Gianfranco Agnoletto, Le competenze dell’ingegnere triennale, pp. 6-7 Claudio De Albertis, Prospettive per il laureato triennale, pp. 7-9 Gianfranco Pizzolato, Il sistema europeo della formazione (European Higher Education Area), pp. 9-12 Carlo Lanza, Sugli onorari degli architetti iunior, p. 13 Maurizio Carones, Quattro domande a… Antonio Monestiroli, Piercarlo Palermo, Giuseppe Turchini, pp. 14-17 Caterina Lazzari (a cura di), Offerta formativa Lauree di primo livello in Lombardia che permettono l’iscrizione alla Sezione B dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, pp. 18-19 Carolina Ternullo, Una laurea triennale: l’architetto iunior, p. 20 Roberto Saleri, La figura del laureato triennale, pp. 20-22 Roberta Fasola, La laurea triennale come possibilità o come vincolo?, pp. 22-23 Maria Elisabetta Ripamonti, La serie A del futuro, pp. 23-24 Roberto Muzzi, L’esperienza di un architetto iunior, pp. 24-25 Roberto Gamba, Architetti iunior e ordine professionale, pp. 25-27 Angelo Bugatti e Tiziano Cattaneo, Ritorno al futuro, p. 27 Antonio Borghi, Intervista a Rafael Moneo, pp. 28-29 Roberto Gamba, Riqualificazione del nucleo antico di San Genesio ed Uniti (Pavia), pp. 30-31 Roberto Gamba, Riqualificazione della piazza Pierino Beretta a Corbetta (Milano), pp. 32-33 Adalberto Del Bo, Addio città; Olga Chiesa, La lezione del Po; Martina Landsberger, La “complessità” del progetto; Andrea Gritti, Il “realismo visionario” di Fuksas; Irina Casali, Guerra per Ground Zero, pp. 34-35 Mina Fiore, Inchiesta sul paesaggio; Maria Chiara D’Amico, La “Ragione” per David Chipperfield; Caterina Lazzari, Il gioco è un diritto fondamentale; Amanzio Farris, Architettura ed effetti; Filippo Lambertucci, L’utopia prossima passata, pp. 36-37 Walter Fumagalli, I Piani regolatori vanno (un po’ per volta) in pensione, pp. 38-39 Sara Gilardelli, Organizzazione professionale, pp. 40-41 Camillo Onorato, Legge, p. 42 Manuela Oglialoro, Stampa, p. 43 Cremona (Fiorenzo Lodi, Inizia un nuovo quadriennio), p. 44 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Convenzioni; Serate d’Architettura, Elezioni per il rinnovo del Consiglio 2005-09), pp. 44-45 Milano (Alessandro Ferrari, Osservatorio concorsi. 4 anni di concorsi in Provincia di Milano), pp. 45-46 Monza e Brianza (Ferruccio Favaron, La costituzione dell’Ordine) p. 47 Carlo Aymonino, Riceviamo da Carlo Aymonino, p. 47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48

Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Paolo Ceccarelli, Riflessioni sulla questione delle abitazioni, pp. 4-5 Achille Colombo Clerici, Politiche di locazione in Italia, pp. 5-6 Carmela Rozza, Affittare casa a Milano, pp. 6-8 Red., Un’opinione di Carlo Aymonino, pp. 8-9 Multiplicity.lab, Milano. Cronache dell’abitare, pp. 8-11 Irina Casali, Martina Landsberger, Caterina Lazzari, Periferie ferite, pp. 12-13 Gianfranco Bergamo, Modelli di crescita nelle città di provincia, p. 14 Luciano Lussignoli, San Zeno Naviglio: il piano, il progetto, la città costruita, pp. 15-16 Roberta Fasola, La residenza nel comasco: stato attuale e prospettive per il futuro, pp. 16-17 Fiorenzo Lodi, Abitazioni nei piccoli centri storici, pp. 17-18 Maria Elisabetta Ripamonti, Intervista ai sindaci di Galbiate e Oggiono, pp. 18-19 Antonio Devizzi e Ferdinando Vanelli, Dalla casa rurale ai nostri giorni, pp. 20-21 Nadir Tarana, Un caso di riqualificazione urbana. Il contratto di quartiere Lunetta, pp. 21-22 Roberto Gamba, Milano e la costruzione della residenza, pp. 22-23 Vittorio Prina, Architettura della residenza e stratificazione urbana, pp. 23-24 Luciano Bravi, Le tipologie edilizie previste dal P.R.G. del Comune di Pavia, pp. 24-25 Marco Ghilotti, Viaggio alla scoperta dell’identità residua dei luoghi, pp. 25-26 Enrico Bertè, Architetti senza sentimento né fantasia, pp. 26-27 Claudio Castiglioni, Residenze storiche: risorsa futura, p. 27 Irina Casali, Architetture contemporanee da salvare; Francesco Fallavollita, La“CA’” di Cesare Cattaneo; Caterina Lazzari, Dalla nautica all’architettura al design; Martina Landsberger, “Rassegna”: un nuovo corso editoriale; Vittorio Prina, Franca Helg: una giornata di studi, pp. 28-29 Antonio Borghi, Intervista a Gigi Mazza, pp. 30-31 Roberto Gamba, “Abitare a Milano”, pp. 32-37 Luciano Bolzoni, Per un’architettura autobiografica; Martina Landsberger, Il teatro di Genova; Claudio Sangiorgi, La matematica della costruzione; Caterina Lazzari, “Una fabbrica vitale dello spirito”; Maurizio Carones, Verso un’ecologia dell’architettura, pp. 38-39 Martina Landsberger, Affinità visive; Maria Teresa Feraboli, Mollino: il treno della creatività; Sonia Milone, Stregonerie cromatiche; Amanzio Farris, I disegni di Carlo Aymonino; Mina Fiore, La vita segreta degli interni, pp. 40-41 Vittorio Prina, “Le stesse cose ritornano, ovvero perché non si inventa la storia?” Pavia: la città e la sua immagine nelle descrizioni dei viaggiatori, pp. 42-45 Walter Fumagalli, Un caso di schizofrenia acuta: la pubblicità dei Piani attuativi, pp. 46-47 Carlo Siani, Il piano di evacuazione negli ambienti di lavoro, pp. 48-49 Mario Tosetti, Cosa è oggi la privacy, pp. 50-51 Camillo Onorato, Legge, pp. 52-53 Manuela Oglialoro, Stampa, p. 53 Cremona (Fiorenzo Lodi, Inizia un nuovo quadriennio), p. 54 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Serate) pp. 54-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56


AL 4 Architetti e design

AL 5 Commissioni edilizie

AL 6 Itinerari di architettura

Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Silvana Annicchiarico, Oltre i maestri, pp. 4-5 Carlo Forcolini, Il designer: radici e prospettive, pp. 5-7 Aldo Colonetti, Il narcisismo del progettista, pp. 7-8 Alberto Seassaro, La cultura del progetto verso il superamento di vecchi confini disciplinari, pp. 8-9 Anna Ramoni, Formazione universitaria, p. 10 Franco Raggi, Etica del design: progetto, formazione e produzione, pp. 11-13 Lelia Mambretti, Design a Bergamo, p. 14 Paola Tonelli, Una piccola azienda bresciana con grande attenzione per il design, pp. 14-15 Roberta Fasola, L’oggetto nela città…, pp. 15-16 Adriano Alchieri, Incontro con Angelo Micheli, architetto-designer, pp. 16-18 Tiziana Lorenzelli, L’architetto in design, pp. 18-19 Giovanni Lauda, Milano capitale del design?, p. 19 Riccardo Salvi, Design: la qualità degli oggetti, p. 20 Paola Pescetelli, Valorizzazione dello spazio pubblico, p. 20 Vincenzo Casali, Lampade scialitiche per il settore dentale, p. 21 Giuseppe Galimberti, Gli oggetti dal disegno mai disegnato, pp. 22-23 Francesco Lucchese, L’architettura costruisce i luoghi e diventa la definizione dello spazio nel tempo, p. 23 Luciano Bolzoni, Salviamo la Villa Colli di Rivara; Irina Casali, Milano ripArte; Irina Casali, Città del progetto; Red., Brick Award ‘06; Umberto Vascelli Vallara, Convenzione europea del paesaggio; Paola Tonelli, metropolitana leggera a Brescia; Irina Casali, Giovani architetti in mostra; Martina Landsberger, Apre lo studio Castiglioni a Milano; Anna Ramoni, Roma, la città dei giovani; Anna Ramoni, Visioni e progetti per Milano, pp. 24-27 Antonio Borghi, Intervista a Paolo Rizzatto, pp. 28-29 Roberto Gamba, Tre piazze per Sesto San Giovanni, pp. 30-31 Roberto Gamba, Monza: concorso di progettazione Pratum Magnum, pp. 31-32 Roberto Gamba, Sistemazione della piazza Vittorio Veneto di Calolziocorte (Lecco), p. 33 Gian Paolo Semino, Intervista a Guido Canella; Vittorio Prina, Architettura tra ambiguità e conoscenza; Martina Landsberger, Morte (o rivoluzione) a Milano; Irina Casali, London dreaming; Maurizio Carones, Architettura a due dimensioni, pp. 34-35 Fabrizio Vanzan, Decostruzioni spaziali; Francesco Fallavollita, Design in mostra; Sonia Milone, “O Zarathustra, ecco la grande città…”; Caterina Lazzari, Il sogno di una fortezza tra le Alpi; Luca Gelmini, Modernismo mediterraneo, pp. 36-37 Emiliano e Walter Fumagalli, Sottotetti: anno nuovo vita nuova, pp. 38-39 Claudio Gasparini, Software libero per lo studio di architettura, pp. 40-41 Camillo Onorato, Legge, pp. 42-43 Manuela Oglialoro, Stampa, p. 43 Brescia (Federica Zaccaria, ALUprogetto a Metef 2006), p. 44 Cremona (Fiorenzo Lodi), s.t., p. 44 Milano (Laura Truzzi, Designazioni), p. 44 Monza e della Brianza, s.t., p. 44 Beppe Rossi, Prima edizione della Rassegna lombarda di Architettura under 40, p. 45 Valeria Bottelli, Emanuele Brazzelli, Nuove proposte di Architettura under 40, pp. 45-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48 Red., Indici 2005, pp. 49-56

Beppe Rossi, Editoriale, p. 3 Giulio Barazzetta, Qualità delle commissioni, pp. 4-6 Alberico B. Belgiojoso, Il rapporto fra progettazione e organi di controllo, pp. 6-8 Enrico Bertè, Le commissioni edilizie: alcune considerazioni, pp. 8-10 Marco Romano, Città e bellezza tra libertà e vincolo, pp. 10-11 Stefano Cremaschi, La Commissione edilizia, pp. 12-13 Roberta Fasola, Due punti di vista differenti, pp. 13-14 Fiorenzo Lodi, Intervista a Giacomo Emilio Premoli, pp. 14-15 Maria Elisabetta Ripamonti, Dalle commissioni edilizie a quelle di architettura… Intervista a Ferruccio Favaron, pp. 15-16 Laura Boriani, Commissioni edilizie: quali responsabilità nella qualità delle trasformazioni, pp. 16-17 Sandro Scarduelli, Commissione edilizia SI, Commissione edilizia NO, pp. 17-18 Giancarlo Pavesi, Progettazione territoriale e Commisione edilizia, p. 18 Clara Rognoni, L’attività della nuova Commissione edilizia di Milano, pp. 18-19 Riccardo Gavardi, Cornaredo: un’esperienza positiva, pp. 19-20 Francesco Redaelli, Commisioni edilizie e centralità del progetto di architettura, pp. 20-21 Paolo Marchesi, Alcune riflessioni di un membro della Commissione edilizia, pp. 21-22 Giovanni Bettini, La Convenzione europea del paesaggio e il ruolo esercitato dagli esperti ambientali, p. 22 Claudio Scilleri, I pro e i contro della Commisione edilizia, pp. 22-23 Antonio Borghi, Milano città di città; Anna Ramoni, Studenti progettano il Centro servizi; Francesca Fagnano, Una nuova casa per il Salone; Martina Landsberger, Cesare Brandi, 100 anni della nascita; Sonia Milone, Tutte “Le Strade” portano al ponte; Red., Rinasce l’area Falck Vulcano a Sesto, pp. 24-25 Roberto Gamba, Riqualificazione delle aree centrali e di margine di Brugherio (Mi), p. 26 Roberto Gamba, Due concorsi di progettazione nella città di Chiari (Bs), pp. 27-29 Roberto Gamba, Riqualificazione di un’area mercato a Olgiate Comasco (Co), p. 30 Maria Elisabetta Ripamonti, Nuova strada per la Valsassina Lecco – Ballabio, p. 31 Cesare Macchi Cassia, Maestri; Luciano Bolzoni, Costruire e ricostruire in montagna; Martina Landsberger, A spasso sul lungomare; Ilario Boniello, L’isola della contaminazione; Irina Casali, Con gli occhi dei poeti, pp. 32-33 Francesco Fallavollita, “…Oltre il pacchetto…”; Fabrizio Vanzan, Alberti: l’uomo del Rinascimento; Caterina Lazzari, Paesaggi risorgimentali; Sonia Milone, Mario Bellini: passaggio a est; Micaela Sposito, Le avanguardie… danzano, pp. 34-35 Walter Fumagalli, La relazione paesaggistica: meglio tardi che mai, pp. 36-37 Emanuele Gozzi, Le specifiche di prestazione nel consolidamento dei solai lignei, pp. 38-39 Attilio Marcozzi, Associazione professionale e società di professionisti, pp. 40-41 Camillo Onorato, Legge, p. 42 Manuela Oglialoro, Stampa, pp. 42-43 Monza e della Brianza (Alberto Poratelli e Massimo Caprotti, Il nuovo Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Monza e della Brianza), pp. 44-45 Cremona (Fiorenzo Lodi, Attività dell’Ordine), p. 45 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Serate) pp. 45-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48

Maurizio Carones Editoriale, p. 3 Daniela Benelli, Itinerari a tema: una proposta culturale per il patrimonio storico e per l’architettura contemporanea, p. 4 Federico Bucci, Salviamo il carnet de voyage, pp. 5-8 Giuliana Corsini e Annig Sarian, Scoprire e amare l’architettura moderna con il FAI, pp. 8-10 Luigi Spinelli, Gli “itinerari di Domus”, pp. 10-13 Anna Ramoni (a cura di), Visitare l’architettura, 14-15 Chiara Rostagno, Oltre Terragni, pp. 16-18 Teresa Feraboli, Susi Zagheni, Itinerari di architettura del ‘900, pp. 18-19 Massimo Dell’Oro, “Lecco contemporanea 19001960”, pp. 20-21 Antonino Negrini, Itinerario guidato, pp. 21-22 Cinzia Calanca, Modernità dell’architettura nel territorio mantovano: guida di itinerari possibili, pp. 22-23 Antonio Angelillo, ACMA: itinerari di architettura, pp. 23-24 Luisa Toeschi, Conoscere Milano. Un progetto di Urban Center e AIM sulla città che cambia, pp. 24-25 Francesco Redaelli, Architetture sociali del Novecento nella nuova provincia di Monza e della Brianza, pp. 25-26 Vittorio Prina, Architettura moderna a “Zonzo”, pp. 26-27 Marco Ghilotti, Caccia Dominioni in Valtellina e nei Grigioni, pp. 27-28 Marco Ghilotti, Intervista a Luigi Caccia Dominioni, p. 28 Angelo del Corso, Progresso indifferente, pp. 28-29 Red., Milano, riapre l’Acquario civico; Martina Landsberger, Un censimento per l’architettura contemporanea; Irina Casali, Senz’acqua; Anna Ramoni, Leonardo svelato; Red., Il Festival del paesaggio a Pavia; Manuela Oglialoro, Progettazione del paesaggio, pp. 30-31 Roberto Gamba, Area ex Ansaldo a Milano, p. 32 Roberto Gamba, Riqualificazione del centro sportivo di Cortenuova (Bg), pp. 33-34 Roberto Gamba, Riqualificazione del Lungolago di Malgrate, pp. 34-35 Roberto Gamba, Studio di fattibilità dei parchi Castel Cerreto e Roccolo a Treviglio (Bg), pp. 35-36 Martina Landsberger, La tribù delle idee, p. 37 Paola Catapano, La modernità di Marcello Canino; Antonio Borghi, La casa popolare in Lombardia; Martina Landsberger, I Samonà, architetti operanti; Irina Casali, Luoghi e legami; Giulio Barazzetta, Como-Milano, pp. 38-39 Adalberto Del Bo, La costruzione dell’isolato olandese; Martina Landsberger, Bill, homo faber; Maria Teresa Feraboli, Il Cabanon al parco Sempione; Caterina Lazzari, Vivere su un’isola; Isabella Balestreri, Leonardo e Milano, pp. 40-41 Luciano Bolzoni, Mino Fiocchi, un architetto fra Milano e il Lago di Lecco, pp. 42-45 Walter Fumagalli, La valutazione ambientale dei piani urbanistici, pp. 46-47 Claudio Sangiorgi, La certificazione energetica degli edifici: l’esperienza CasaClima, pp. 48-49 Luciano Lazzari, La riforma della professioni in un’ottica europea, pp. 50-51 Camillo Onorato, Legge, p. 52 Manuela Oglialoro, Stampa, pp. 52-53 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Serate), pp. 54-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56


AL 7 Architetti e internet

AL 8/9

Maurizio Carones Editoriale, p. 3 Stefania Garassini, Evoluzione di internet, pp. 4-6 Giancarlo Motta, I meccanismi collaudati dell’e-learning e la ricerca Winds, pp. 6-7 Luigi Prestinenza Puglisi, Internet e le opportunità della rivoluzione informatica, pp. 8-10 Edoardo Salzano, Piazza vera e piazza virtuale, pp. 10-12 Anna Ramoni (a cura di), Architettura on line, pp. 13-15 Anna Ramoni (a cura di), Le parole della rete, pp. 15-17 Chiara Rostagno (a cura di), Per una geografia del rapporto tra architetti comaschi ed internet, pp. 18-19 Susi Zagheni, Ordine e internet, p. 19 Maria Elisabetta Ripamonti, Il nuovo sito web dell’Ordine, pp. 19-21 Enrico Prandi e Manolo Terranova, Architettura e web, p. 21 Roberto Gamba, Geografia dei siti della Provincia di Milano, pp. 21-22 Elena Sterle, OnlyOne pratiche Edilizie: gli sviluppi in corso, p. 22 Enrico Togni, www.ordinearchitetti.mi.it, pp. 22-23 Alberto Poratelli, www.ordinearchitetti.mb.it, pp. 23-24 Andrea Vaccari, Architetti e internet in provincia di Pavia, pp. 24-25 Filippo Crucitti ed Emanuele Tagliabue, Il “luogo virtuale” del progetto, pp. 25-26 Maria Chiara Bianchi, Facciamo un po’ di… Ordine, pp. 26-27 Roberto Gamba, Brescia: nuovo impianto natatoria, p. 28 Roberto Gamba, Edificio polifunzionale dell’Istituto zooprofilattico “Bruno Ubertini” di Brescia, pp. 29-30 Roberto Gamba, Brivio (Lc): sistemazione della “Tromba di Beverate”, pp. 30-31 Carlo Alberto Maggiore, Lo spirito catturato della fabbrica; Sonia Milone, Una terra di “produttiva bellezza”; Martina Landsberger, Lingua e architettura; Giulio Barazzetta, Album Milano; Maurizio Carones, Storie di colori, pp. 32-33 Maria Teresa Feraboli, Good luck architecture!; Amanzio Farris, Figura e persuasione; Sonia Milone, Magritte a Como; Silvia Malcovati, Città senza architettura; Maria Chiara D’Amico, Paolo Portoghesi a Vicenza, pp. 34-35 Walter Fumagalli, Il permesso di costruire convenzionato, in Lombardia e a Milano, pp. 36-37 Vanina Sartorio, Le pavimentazioni lapidee per il luogo pubblico, pp. 38-39 Giuseppe Bassi, Le associazioni di categoria, pp. 40-41 Camillo Onorato, Legge, p. 42; Manuela Oglialoro, Stampa, pp. 42-43 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Serate) pp. 44-46 Gregorio Praderio, A proposito dell’intervista a Gigi Mazza, p. 46 Carlo Lanza, L’aggiornamento degli onorari con l’applicazione dell’indice Istat, p. 47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48

Beppe Rossi, Editoriale, p. 3 Paola Tonelli, L’attività dell’Ordine nel 2005, pp. 4-6 Roberta Fasola, Eventi svolti nel periodo maggio 2005maggio 2006, p. 6 Franco Gerosa, Premio Maestri Comacini, pp. 6-7 Franco Butti, Viaggio studio 2005: Portogallo, pp. 7-8 Consiglio dell’Ordine, Convegni L.R. 12/2005, Governo del Territorio. Incontro inerente l’”Osservatorio dei PGT”, pp. 8-10 Consiglio dell’Ordine, Nascita dell’Osservatorio Provinciale dei PGT, L.R. 12/05, p. 10 Consiglio dell’Ordine, Convegno “Il Sagrato e la Piazza”, pp. 10-12 Fiorenzo Lodi, I primi… sei mesi, p. 12 Maria Elisabetta Ripamonti, Viaggio in Olanda, pp. 12-13 Nadir Tarana, Programmi e iniziative, p. 14 Daniela Volpi, 2005-2006. Attività dell’Ordine, pp. 14-17 Anna Celeste Rubino, Alessandro Sartori, La Fondazione nella promozione di una cultura architettonica, p. 17 Francesco Collini, La Commissione Bandi, pp. 17-18 Francesco Repishti, Nuovi concorsi dell’Ordine, pp. 18-20 Paolo Marchesi, Iniziative 2006, p. 20 Marco Ghilotti, Attività 2006, p. 21 Enrico Scaramellini, Viaggio studio a Merano, pp. 21-22 Marco Ghilotti, “Nuove regole per il mestiere di architetto”. Forum straordinario degli architetti a Tirano, pp. 22-23 Laura Gianetti, Emanuele Brazzelli, Attività dell’Ordine, p. 23 Martina Landsberger, Carlo Scarpa, centenario della nascita, p. 24 Irina Casali, Campo della memoria; Irina Casali, Lo stilemilano a New York; Red., Kiosk italiano nella City, p. 25; Red., Al via la nuova stazione di Pioltello; Red., Milano Oltre Milano; Manuela Oglialoro, La cultura del Paesaggio; Martina Landsberger, Milano: riaperta Villa Reale; Red., Architettura sostenibile premiata; Irina Casali, Il Pritzker torna in Brasile; Anna Ramoni, Premio Mies van der Rohe 2005 a Rem Koolhas; Martina Landsberger, Derossi Associati, una mostra e un libro, pp. 25-27 Roberto Gamba, Riqualificazione di piazza Giovanni XXII e via Mulini a Cerete (Bergamo), pp. 28-29 Roberto Gamba, Riqualificazione di tre piazze a Cornate d’Adda (Milano), pp. 29-33 Roberto Gamba, Cuggiono (Milano): sistemazione di piazza San Giorgio, pp. 34-35 Irina Casali, Tra singolarità e ripetizione; Amanzio Farris, Lo stato delle cose; Gianluca Gelmini, Architetture dei Aires Mateus; Stefano Cusatelli, Il paesaggio dei cantieri; Katia Acossato, In viaggio lungo il Ticino, pp. 36-37 Walter Fumagalli, Le norme sul rendimento energetico in Italia, pp. 38-39 Francesca Bergna, I blocchi in calcestruzzo vibrocompresso, pp. 40-41 Sara Girardelli, Come lavorano i giovani architetti?, pp. 42-43 Camillo Onorato, Legge, p. 44 Manuela Oglialoro, Stampa, pp. 44-45 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Serate) pp. 46-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48


AL 10 Parchi in Lombardia

AL 11 Restauro del moderno

AL 12 Luce e città

Maurizio Carones Editoriale, p. 3 Marco Engel, Una nuova stagione per i parchi regionali della Lombardia, pp. 4-5 Francesco Borella, L’esperienza del Parco Nord Milano, pp. 5-7 Fabio Lopez Nunes, Pensare agli ambienti protetti, pp. 7-9 Fosco M. Magaraggia, Il Parco culturale integrato quale motore dello sviluppo locale, pp. 9-11 Domenico Zambetti, La politica delle Aree Protette in Regione Lombardia, pp. 12-13 Anna Ramoni (a cura di), Aree protette in Lombardia, pp. 14-15 Anna Ramoni (a cura di), Una diversa forma di protezione: i biotopi, p. 15 Moris Lorenzi, Una provincia “verde”, pp. 16-17 Roberta Fasola, Spina Verde: come un parco può costruire la città, pp. 17-18 Adriano Alchieri, Intervista all’arch. Marco Ermentini: il Parco Regionale del Serio, pp. 18-19 Maria Elisabetta Ripamonti, Il piccolo parco dai grandi primati, pp. 20-21 Riccardo Groppali, Conservazione ambientale e gestione delle zone umide nel Parco Adda Sud, pp. 21-22 Annarosa Rizzo, Il Piano delle Piste e dei Percorsi Ciclopedonali, pp. 22-23 Cristina Boca, Alessandro Caramellino, Gaetano Randazzo, Cos’è il Parco Agricolo Sud Milano, pp. 23-24 Alberto Colombo, Il Parco Locale di Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale”, pp. 24-25 Vittorio Prina, Il Parco Lombardo della Valle del Ticino: un parco fuori e dentro le città, pp. 26-27 Matteo Sacchetti, Parchi: dalla cultura del vincolo al vincolo della cultura, p. 27 Red., visioni italiane a Pechino, p. 28 Anna Ramoni, Medaglia d’Oro all’architettura italiana; Anna Ramoni, Edilizia sostenibile premiata; Red., International Architectue Award; Martina Landsberger, Premio Dedalo Minosse, p. 29 Roberto Gamba, Progettazione dell’immagine esterna di un supermercato GS a Milano, pp. 30-31 Roberto Gamba, Riqualificazione della piazza Unità d’Italia di Tirano (So), pp. 31-33 Enrico Bordogna, Tentori sull’opera di Persico; Martina Landsberger, Comporre la casa; Manuela Oglialoro, Giardini storici; Claudio Sangiorgi, Gestire il costruire; Irina Casali, Dentro a Milano, pp. 34-35 Maria Chiara D’Amico, Sperimentare una città nuova; Stefano Cusatelli, Aree industriali: immagini dai confini; Filippo Lambertucci, Il gran teatro del mondo; Sonia Milone, Il paese dipinto in “un grido di colore”; Amanzio Farris, I tempi del progetto, pp. 36-37 Walter Fumagalli, Il piano di governo del territorio di Milano, pp. 38-39 Carlo Sironi, Innovazione nei cicli di manutenzione di facciate a intonaco, pp. 40-41 Giulio Orsi, Il progetto edilizio: piccoli suggerimenti per evitare grandi problemi, pp. 42-43 Camillo Onorato, Legge, p. 44 Manuela Oglialoro, Stampa, pp. 44-45 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Laura Truzzi, Alessandro Ferrari, Silvia Malcovati, Serate), pp. 46-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48

Beppe Rossi, La riforma delle professioni, p. 3 Maurizio Carones, Presentazione, p. 4 Maurizio Boriani, Il “moderno” dal punto di vista del restauro, pp. 4-7 Giovanni Brino e Giorgio Rajneri, Il recupero della “Capanna Lago Nero”, capolavoro di Carlo Mollino, pp. 7-8 Fabio Lopez Nunes, Pensare agli ambienti protetti, pp. 7-9 Corvino + Multari, Il restauro del Grattacielo Pirelli, pp. 8-13 Stefano Della Torre, Ma non ci sono i pezzi di ricambio..., pp. 13-15 Cristiana Marcosano Dell’Erba, DOCOMOMO Italia: finalità e attività, p. 15 Andrea Bonavita e Marco Leoni, Restauro del moderno in provincia di Como: un’importante occasione sull’Isola Comacina, pp. 16-17 Maria Teresa Feraboli, Le “Ex Colonie Cremonesi del Po” in via del Sale, p. 17 Silvana Garufi, Sul restauro del moderno, pp. 18-19 Gabriele Vittorio Ruffi, Sul restauro del moderno, p. 19 Pierfranco Galliani, Master in “Restauro del Moderno”, p. 20 (Dalla relazione di progetto), Lavori di manutenzione dell’edificio di Aldo Rossi al quartiere Gallaratese, pp. 20-21 Vittorio Prina, “Qualità diffusa” nel restauro del moderno, pp. 22-23 Enrico Bertè, Restauro del moderno, p. 23 Irina Casali, Città Visibili, p. 24 Vittorio Prina, Pavia: Festival dei Saperi; Irina Casali, Quale umanità?; Anna Ramoni, Bologna città del libro d’arte; Irina Casali, La mente a Sarzana; Francesco Fallavollita, Parolario06; Anna Ramoni, Cinque giorni per la letteratura; Martina Landsberger, Il senso della bellezza; Martina Landsberger, Il mondo di Eugenio Turri; Anna Ramoni, Recupero del Museo della seta; Francesco Fallavollita, Ricerca progettuale di Antonio Acuto; Martina Landsberger, Fra le case di Le Corbusier, p. 25-28 Roberto Gamba, Milano: concorso “Arcate di Greco” per riqualificare i viadotti ferroviari, pp. 29-30 Roberto Gamba, Riqualificazione di una piazza e della ex scuola elementare di Roccafranca (Brescia), pp. 30-31 Antonio Borghi, Intervista a Gae Aulenti, pp. 32-33 Giulio Barazzetta, La distinzione della qualità; Carlo Gandolfi, Un fare (in)attuale; Anna Ramoni, In viaggio con Montalbano; Manuela Oglialoro, Governo del territorio lombardo; Maurizio Carones, Il lago e le sue descrizioni, pp. 34-35 Stefano Cusatelli, Alberti a Mantova; Francesca Fagnano, Contemporaneità del Dadaismo; Antonella Bellomo, Bioarchitettura; Sonia Milone, America precolombiana; Michele Caja e Silvia Malcovati, Michelangelo e il progetto, pp. 36-37 Walter Fumagalli, Il nuovo testo della Legge per il Governo del Territorio, pp. 38-39 Vanina Sartorio, Nuove prescrizioni in materia di sicurezza nei cantieri edili, pp. 40-41 Rosalba Pizzulo, I nuovi obblighi per i professionisti, pp. 42-43 Camillo Onorato, Legge, p. 44; Manuela Oglialoro, Stampa, pp. 44-45 Cremona (Fiorenzo Lodi, Intervista a Lorenzo Spadolini), pp. 46-47 Milano (Laura Truzzi, Designazioni), p. 47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48

Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Piero Castiglioni, Luci nella città, p. 4 Gianclaudio Di Cintio, Pianificare e progettare la luce, pp. 4-8 Cinzia Ferrara, Piani della luce, pp. 8-9 Ennio Nonni, Faenza. Dall’urbanistica all’arredo urbano: un percorso coerente, pp. 10-13 Marinella Patetta, Luce e identità degli spazi urbani, pp. 13-16 Cinzia Ferrara, Quattro domande a... Antoine Buchet, pp. 17-19 Camilla Girelli, Una città in luce, p. 20 Gianni Ronchetti, Luci per la città, pp. 20-21 Alberto Ghidorzi e Stefano Merzi Ballini, La gestione dell’illuminotecnica in una multiutility pubblica, p. 22 Giorgio Castaldi, “De urbis claritate”: come ottenerla, pp. 22-24 Roberto Gamba, Milano: illuminazione e città, p. 24 Francesco Repishti, Illuminazione e spazi pubblici, p. 25 Gianfranco Cella, Riqualificazione degli impianti di illuminazione in Pavia del centro storico, pp. 25-27 Stefano Caligara, Progetti di luce per Varese, pp. 27-28 Francesco Lucchese, Progetti di luce da Varese, pp. 28-29 Daniele Vitale, Albini, Gardella, Mollino: tre figure al centro dell’”anomalia” italiana, p. 30 Susanna Bortolotto, Mariacristina Giambruno, I colori in architettura; Valentina Casadei, La città racconta il territorio; Anna Ramoni, Rotterdam 2007 city show; Irina Casali, Filosofia per capire il mondo; Anna Ramoni, Rinascita del Marchiondi; Carla Icardi, Prodotti per una nuova architettura?; Anna Ramoni, Led graffiti: architettura interattiva; Veronica Vignati, Realtà virtuale: cultura e quotidiano; Anna Ramoni, SAIE: le città si confrontano, pp. 31-33 Antonio Borghi, Intervista ad Anna Maria Pozzo, pp. 34-35 Roberto Gamba, Due concorsi di progettazione scolastica a Bareggio (Milano), pp. 36-38 Roberto Gamba, Nuovo complesso scolastico per Esine (Brescia), pp. 39-41 Adalberto Del Bo, Infrastrutture e spazi urbani; Henrique Pessoa Pereira Alves, Una nuova storia del paesaggio e dei giardini; Martina Landsberger, Un’altra Trieste; Chiara Baldacci, Illuminare le città; Maurizio Carones, Baldessari e Milano, pp. 42-43 Maria Teresa Feraboli, Costruire le modernità: Albini; Matteo Baborsky, Costruire le modernità: Mollino; Sonia Milone, Il futuro secondo Boccioni; Amanzio Farris, Musei e mercato culturale; Alba Cappellieri, Basquiat: il jazz e l’arte, pp. 44-45 Riccardo Marletta, I compensi degli architetti nei rapporti con i privati dopo la legge “Bersani”, pp. 46-47 Carlo Sironi, Il consolidamento di solai lignei o su putrelle nel recupero, pp. 48-49 Carlo Lanza, La disciplina contrattuale, pp. 50-51 Gemma Skof, Piano urbano della luce. Ipotesi di calcolo del compenso professionale, p. 51 Camillo Onorato, Legge, p. 52 Manuela Oglialoro, Stampa, pp. 52-53 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Cecilia Avogadro, Il nostro passato presente), p. 54 Alberto Scarzella, Se non segui i corsi sei cancellato dall’Albo, p. 55 Pietro Campora, Mi pento, o no, p. 55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56


Indice per argomenti 2006

EDITORIALE

FORUM ORDINI

• Beppe Rossi, Editoriale, n. 1/2, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 3, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 4, p. 3 • Beppe Rossi, Editoriale, n. 5, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 6, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 7, p. 3 • Beppe Rossi, Editoriale, n. 8/9, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 10, p. 3 • Beppe Rossi, La riforma delle professioni, n. 11, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 12, p. 3

• BERGAMO (a cura di A. Cortinovis): Carolina Ternullo, Una laurea triennale: l’architetto iunior; BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Roberto Saleri, la figura del laureato triennale; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, La laurea triennale come possibilità o come vincolo?; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Maria Elisabetta Ripamonti, La serie A del futuro; LODI (a cura di A. Negrini): Roberto Muzzi, L’esperienza di un architetto iunior; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, Architetti iunior e ordine professionale; PAVIA (a cura di V. Prina): Angelo Bugatti e Tiziano Cattaneo, Ritorno al futuro, n. 1/2, pp. 20-27 • BERGAMO (a cura di A. Cortinovis): Gianfranco Bergamo, Modelli di crescita nelle città di provincia; BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Luciano Lussignoli, San Zeno Naviglio: il piano, il progetto, la città costruita; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, La residenza nel comasco: stato attuale e prospettive per il futuro; CREMONA (a cura di F. Lodi): Fiorenzo Lodi, Abitazioni nei piccoli centri storici; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Maria Elisabetta Ripamonti, Intervista ai sindaci di Galbiate e Oggiono; LODI (a cura di A. Negrini): Antonio Devizzi e Ferdinando Vanelli, Dalla casa rurale ai nostri giorni; MANTOVA (a cura di N. Tarana): Nadir Tarana, Un caso di riqualificazione urbana. Il contratto di quartiere Lunetta; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, Milano e la costruzione della residenza; PAVIA (a cura di V. Prina): Vittorio Prina, Architettura della residenza e stratificazione urbana; Luciano Bravi, Le tipologie edilizie previste dal P.R.G. del Comune di Pavia; SONDRIO (a cura di E. Scaramellini e M. Ghilotti): Marco Ghilotti, Viaggio alla scoperta dell’identità residua dei luoghi; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Enrico Bertè, Architetti senza sentimento né fantasia; Claudio Castiglioni, Residenze storiche: risorsa futura, n. 3, pp. 14-27 • BERGAMO (a cura di A. Cortinovis): Lelia Mambretti, Design a Bergamo; BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Paola Tonelli, Una piccola azienda bresciana con grande attenzione per il design; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, L’oggetto nela città…; CREMONA (a cura di F. Lodi): Adriano Alchieri, Incontro con Angelo Micheli, architetto-designer; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Tiziana Lorenzelli, L’architetto in design; MILANO (a cura di R. Gamba): Giovanni Lauda, Milano capitale del design?; Riccardo Salvi, Design: la qualità degli oggetti; Paola Pescetelli, Valorizzazione dello spazio pubblico; PAVIA (a cura di V. Prina): Vincenzo Casali, Lampade scialitiche per il settore dentale; SONDRIO (a cura di E. Scaramellini e M. Ghilotti): Giuseppe Galimberti, Gli oggetti dal disegno mai disegnato; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Francesco Lucchese, L’architettura costruisce i luoghi e diventa la definizione dello spazio nel tempo, n. 4, pp. 14-23 • BERGAMO (a cura di A. Cortinovis): Stefano Cremaschi, La Commissione edilizia; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, Due punti di vista differenti; CREMONA (a cura di F. Lodi): Fiorenzo Lodi, Intervista a Giacomo Emilio Premoli; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Maria Elisabetta Ripamonti, Dalle commissioni edilizie a quelle di architettura…; LODI (a cura di A: Negrini): Laura Boriani, Commissioni edilizie: quali responsabilità nella qualità delle trasformazioni; MANTOVA (a cura di N. Tarana): Sandro Scarduelli, Commissione edilizia SI, Commissione edilizia NO; Giancarlo Pavesi, Progettazione territoriale e Commissione edilizia; MILANO (a cura di R. Gamba): Clara Rognoni, L’attività della nuova Commissione edilizia di Milano; Riccardo Gavardi, Cornaredo: un’esperienza positiva; MONZA E DELLA BRIANZA (a cura di F. Redaelli e F. Repishti): Francesco Redaelli, Commissioni edilizie e centralità del progetto di architettura; PAVIA (a cura di V. Prina): Paolo Marchesi, Alcune riflessioni di un membro della Commissione edilizia; SONDRIO (a cura di E. Scaramellini e M. Ghilotti): Giovanni Bettini, La Convenzione europea del paesaggio e il ruolo esercitato dagli esperti ambientali; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Claudio Scillieri, I pro e i contro della Commissione edilizia, n. 5, pp. 12-23 • COMO (a cura di R. Fasola): Chiara Rostagno, Oltre Terragni; CREMONA (a cura di F. Lodi): Teresa Feraboli e Susi Zagheni, Itinerari di architettura del ‘900; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Massimo Dell’Oro, “Lecco contemporanea 1900-1960”; LODI (a cura di A. Negrini): Antonino Negrini, Itinerario guidato; MANTOVA (a cura di N. Tarana): Cinzia Calanca, Modernità dell’architettura nel territorio mantovano: guida di itinerari possibili; MILANO (a cura di R. Gamba): Antonio Angelillo, ACMA: itinerari di architettura; Luisa Toeschi, Conosce-

FORUM GLI INTERVENTI

• Adalberto Del Bo, Per una figura professionale europea; Gianfranco Agnoletto, Le competenze dell’ingegnere triennale; Claudio De Albertis, Prospettive per il laureato triennale; Gianfranco Pizzolato, Il sistema europeo della formazione (European Higher Education Area); n.1/2, pp. 4-12; Carlo Lanza, Sugli onorari degli architetti iunior; Maurizio Carones, Quattro domande a… Antonio Monestiroli, Piercarlo Palermo, Giuseppe Turchini; Caterina Lazzari (a cura di), Offerta formativa Lauree di primo livello in Lombardia che permettono l’iscrizione alla Sezione B dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, n. 1/2, pp. 13-19 • Paolo Ceccarelli, Riflessioni sulla questione delle abitazioni; Achille Colombo Clerici, Politiche di locazione in Italia; Carmela Rozza, Affittare casa a Milano; Multiplicity.lab, Milano. Cronache dell’abitare; Red., Un’opinione di Carlo Aymonino, n. 3, pp. 4-11; Irina Casali, Martina Landsberger, Caterina Lazzari, Periferie ferite, n. 3, pp. 12-13 • Silvana Annicchiarico, Oltre i maestri; Carlo Forcolini, Il designer: radici e prospettive; Aldo Colonetti, Il narcisismo del progettista; Alberto Seassaro, La cultura del progetto verso il superamento di vecchi confini disciplinari, n. 4, pp. 4-9; Anna Ramoni, Formazione universitaria; Franco Raggi, Etica del design: progetto, formazione e produzione, n. 4, pp. 10-13 • Giulio Barazzetta, Qualità delle commissioni; Alberico B. Belgiojoso, Il rapporto fra progettazione e organi di controllo; Enrico Bertè, Le commissioni edilizie: alcune considerazioni; Bruno Massignan, C’era una volta la Commissione edilizia; Marco Romano, Città e bellezza tra libertà e vincolo, n. 5, pp. 4-11 • Daniela Benelli, Itinerari a tema: una proposta culturale per il patrimonio storico e per l’architettura contemporanea; Federico Bucci, Salviamo il carnet de voyage; Giuliana Corsini e Annig Sarian, Scoprire e amare l’architettura moderna con il FAI; Luigi Spinelli, Gli “itinerari di Domus”, n. 6, pp. 4-13; Anna Ramoni (a cura di), Visitare l’architettura, n. 6, pp. 14-15 • Stefania Garassini, Evoluzione di internet; Giancarlo Motta, I meccanismi collaudati dell’e-learning e la ricerca Winds; Luigi Prestinenza Puglisi, Internet e le opportunità della rivoluzione informatica; Edoardo Salzano, Piazza vera e piazza virutale, n. 7, pp. 4-12; Anna Ramoni (a cura di), Architettura on line; Le parole della rete, n. 7, pp. 13-17 • Marco Engel, Una nuova stagione per i parchi regionali della Lombardia; Francesco Borella, L’esperienza del Parco Nord Milano; Fabio Lopez Nunes, Pensare agli ambienti protetti; Fosco M. Magaraggia, Il Parco culturale integrato quale motore dello sviluppo locale; Domenico Zambetti, La politica delle Aree Protette in Regione Lombardia, n. 10, pp. 4-13; Anna Ramoni (a cura di), Aree protette in Lombardia; Anna Ramoni (a cura di), Una diversa forma di protezione: i biotopi, n. 10, pp. 14-15 • Maurizio Carones, Presentazione; Maurizio Boriani, Il “moderno” dal punto di vista del restauro; Giovanni Brino e Giorgio Rajneri, Il recupero della “Capanna Lago Nero”, capolavoro di Carlo Mollino; Fabio Lopez Nunes, Pensare agli ambienti protetti; Corvino + Multari, Il restauro del Grattacielo Pirelli; Stefano Della Torre, Ma non ci sono i pezzi di ricambio..., n. 11, pp. 13-15 • Piero Castiglioni, Luci nella città; Gianclaudio Di Cintio, Pianificare e progettare la luce; Cinzia Ferrara, Piani della luce; Ennio Nonni, Faenza. Dall’urbanistica all’arredo urbano: un percorso coerente; Marinella Patetta, Luce e identità degli spazi urbani, n. 12, pp. 415; Cinzia Ferrara, Quattro domande a... Antoine Buchet, n. 12, pp. 16-19


re Milano. Un progetto di Urban Center e AIM sulla città che cambia; MONZA E BRIANZA (a cura di F. Redaelli e F. Repishti): Francesco Redaelli, Architetture sociali del Novecento nella nuova provincia di Monza e della Brianza; PAVIA (a cura di V. Prina): Vittorio Prina, Architettura moderna a “Zonzo”; SONDRIO (a cura di M. Ghilotti e E. Scaramellini): Marco Ghilotti, Caccia Dominioni in Valtellina e nei Grigioni, Intervista a Luigi Caccia Dominioni; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Angelo Del Corso, Progresso indifferente, n. 6, pp. 16-29 • COMO (a cura di R. Fasola): Chiara Rostagno (a cura di), Per una geografia del rapporto tra architetti comaschi ed internet; CREMONA (a cura di F. Lodi): Susi Zagheni, Ordine e internet; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Maria Elisabetta Ripamonti, Il nuovo sito web dell’Ordine; MANTOVA (a cura di N. Tarana): Enrico Prandi e Manolo Terranova, Architettura e web; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, Geografia dei siti della Provincia di Milano; Elena Sterle, OnlyOne Pratiche Edilizie: gli sviluppi in corso; Enrico Togni, www.ordinearchitetti.mi.it; MONZA E BRIANZA (a cura di F. Redaelli e F. Repishti): Alberto Poratelli, www.ordinearchitetti.mb.it; PAVIA (a cura di V. Prina): Andrea Vaccari, Architetti e internet in provincia di Pavia; SONDRIO (a cura di M. Ghilotti e E. Scaramellini): Filippo Crucitti ed Emanuele Tagliabue, Il “luogo virtuale” del progetto; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Maria Chiara Bianchi, Facciamo un po’ di… Ordine, n. 7, pp. 18-27 • BRESCIA (a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli): Paola Tonelli, L’attività dell’Ordine nel 2005; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, Eventi svolti nel periodo maggio 2005-maggio 2006; Franco Gerosa, Premio Maestri Comacini; Franco Butti, Viaggio-studio 2005: Portogallo; Il Consiglio dell’Ordine, Convegni L.R. 12/2005, Governo del Territorio. Incontro inerente l’”Osservaorio dei PGT”; Nascita dell’Osservatorio Provinciale dei PGT, L.R: 12/05; Convegno “Il Sagrato e la Piazza”; CREMONA (a cura di F. Lodi): Fiorenzo Lodi, I primi... sei mesi; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Maria Elisabetta Ripamonti, Viaggio in Olanda; MANTOVA (a cura di N. Tarana): Nadir Tarana, Programmi e iniziative; MILANO (a cura di R. Gamba): Daniela Volpi, 2005-2006. Attività dell’Ordine; Anna Celeste Rubino e Alessandro Sartori, La Fondazione nella promozione di una cultura architettonica; Francesco Collini, La Commissione Bandi; MONZA E BRIANZA (a cura di F. Redaelli e F. Repishti): Francesco Rephisti, Nuovi concorsi dell’Ordine; PAVIA (a cura di V. Prina): Paolo Marchesi, Iniziative 2006; SONDRIO (a cura di M. Ghilotti e E. Scaramellini): Marco Ghilotti, Attività 2006; Enrico Scaramellini, Viaggio studio a Merano; Marco Ghilotti, “Nuove regole per il mestiere di architetto”. Forum straordinario degli architetti a Tirano; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Laura Gianetti ed Emanuele Brazzelli, Attività dell’Ordine, n. 8/9, pp. 4-23 • BERGAMO (a cura di A. Pellegrini): Moris Lorenzi, Una provincia “verde”; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, Spina Verde: come un parco può costruire la città; CREMONA (a cura di F. Lodi): Adriano Alchieri, Intervista all’arch. Marco Ermentini: il Parco Regionale del Serio; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Maria Elisabetta Ripamonti, Il piccolo parco dai grandi primati; LODI (a cura di A. Negrini): Riccardo Groppali, Conservazione ambientale e gestione delle zone umide nel Parco Adda Sud; MANTOVA (a cura di N. Tarana): Annarosa Rizzo, Il piano delle Piste e dei Percorsi Ciclopedonali; MILANO (a cura di R. Gamba): Cristina Boca, Alessandro Caramellino, Gaetano Randazzo, Cos’è il Parco Agricolo Sud Milano; Alberto Colombo, Il Parco Locale di Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale”; PAVIA (a cura di V. Prina): Vittorio Prina, Il Parco Lombardo della Valle del Ticino: un parco fuori e dentro le città; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Matteo Sacchetti, Parchi: dalla cultura del vincolo al vincolo della cultura, n. 10, pp. 16-27 • COMO (a cura di R. Fasola): Andrea Bonavita e Marco Leoni, Restauro del moderno in provincia di Como: un’importante occasione sull’Isola Comacina; CREMONA (a cura di F. Lodi): Maria Teresa Feraboli, Le “Ex Colonie Cremonesi del Po” in via del Sale; LODI (a cura di A. Negrini): Silvana Garufi, Sul restauro del moderno; MANTOVA (a cura di N. Tarana): Gabriele Vittorio Ruffi, Sul restauro del moderno; MILANO (a cura di R. Gamba): Pierfranco Galliani, Master in “Restauro del Moderno”; (Dalla relazione di progetto), Lavori di manutenzione dell’edificio di Aldo Rossi al quartiere Gallaratese; PAVIA (a cura di V. Prina): Vittorio Prina, “Qualità diffusa” nel restauro del moderno; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Enrico Bertè, Restauro del moderno, n. 11, pp. 16-23 • CREMONA (a cura di F. Lodi): Camilla Girelli, Una città in luce; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Gianni Ronchetti, Luci per la città; MANTOVA (a cura di N. Tarana):

Alberto Ghidorzi e Stefano Merzi Ballini, La gestione dell’illuminotecnica in una multiutility pubblica; MILANO (a cura di R. Gamba): Giorgio Castaldi, “De urbis claritate”: come ottenerla; Roberto Gamba, Milano: illuminazione e città; MONZA E BRIANZA (a cura di F. Redaelli e F. Repishti): Francesco Rephisti, Illuminazione e spazi pubblici; PAVIA (a cura di V. Prina): Gianfranco Cella, Riqualificazione degli impianti di illuminazione in Pavia del centro storico; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Stefano Caligara, Progetti di luce per Varese; Francesco Lucchese, Progetti di luce da Varese, n. 12, pp. 20-29

ARGOMENTI

• Irina Casali, Architetture contemporanee da salvare; Francesco Fallavollita, La “ca’” di Cesare Cattaneo; Caterina Lazzari, Dalla nautica all’architettura al design; Martina Landsberger, “Rassegna”: un nuovo corso editoriale; Vittorio Prina, Franca Helg: una giornata di studi, n. 3, pp. 28-29 • Luciano Bolzoni, Salviamo la Villa Colli di Rivara; Irina Casali, Milano ripArte; I. C., Città del progetto; Red., Brick Award ’06; Umberto Vascelli Vallara, Convenzione europea del paesaggio; Paola Tonelli, Metropolitana leggera a Brescia; Irina Casali, Giovani architetti in mostra; Martina Landsberger, Apre lo studio Castiglioni a Milano; Anna Ramoni, Roma, la città dei giovani; A. R., Visioni e progetti per Milano, n. 4, pp. 24-27 • Antonio Borghi, Milano città di città; Anna Ramoni, Studenti progettano il Centro servizi; Francesca Fagnano, Una nuova casa per il Salone; Martina Landsberger, Cesare Brandi, 100 anni della nascita; Sonia Milone, Tutte “Le Strade” portano al ponte; Red., Rinasce l’area Falck Vulcano a Sesto, n. 5, pp. 24-25 • Red., Milano, riapre l’Acquario civico; Martina Landsberger, Un censimento per l’architettura contemporanea; Irina Casali, Senz’acqua; Anna Ramoni, Leonardo svelato; Red., Il festival del paesaggio a Pavia; Manuela Oglialoro, Progettazione del paesaggio, n. 6, pp. 30-31 • Martina Landsberger, Carlo Scarpa, centenario della nascita; Irina Casali, Campo della memoria; Irina Casali, Lo stilemilano a New York; Red., Kiosk italiano nella City; Red., Al via la nuova stazione di Pioltello; Red., Milano Oltre Milano; Manuela Oglialoro, La cultura del paesaggio; Martina Landsberger, Milano: riaperta Villa Reale; Red., Architettura sostenibile premiata; Irina Casali, Il Pritzker torna in Brasile; Anna Ramoni, Premio Mies van der Rohe a Rem Koolhaas; Martina Landsberger, Derossi Associati, una mostra e un libro, n. 8/9, pp. 24-27 • Red., visioni italiane a Pechino; Anna Ramoni, Medaglia d’Oro all’architettura italiana; Anna Ramoni, Edilizia sostenibile premiata; Red., International Architectue Award; Martina Landsberger, Premio Dedalo Minosse, n. 10, pp. 28-29 • Irina Casali, Città Visibili; Vittorio Prina, Pavia: Festival dei Saperi; Irina Casali, Quale umanità?; Anna Ramoni, Bologna città del libro d’arte; Irina Casali, La mente a Sarzana; Francesco Fallavollita, Parolario06; Anna Ramoni, Cinque giorni per la letteratura; Martina Landsberger, Il senso della bellezza; Martina Landsberger, Il mondo di Eugenio Turri; Anna Ramoni, Recupero del Museo della seta; Francesco Fallavollita, Ricerca progettuale di Antonio Acuto; Martina Landsberger, Fra le case di Le Corbusier, n. 11, pp. 24-28 • Daniele Vitale, Albini, Gardella, Mollino: tre figure al centro dell’”anomalia” italiana; Susanna Bortolotto, Mariacristina Giambruno, I colori in architettura; Valentina Casadei, La città racconta il territorio; Anna Ramoni, Rotterdam 2007 city show; Irina Casali, Filosofia per capire il mondo; Anna Ramoni, Rinascita del Marchiondi; Carla Icardi, Prodotti per una nuova architettura?; Anna Ramoni, Led graffiti: architettura interattiva; Veronica Vignati, Realtà virtuale: cultura e quotidiano; Anna Ramoni, SAIE: le città si confrontano, n. 12, pp. 30-33

CONVERSAZIONI

• Antonio Borghi, Intervista a Rafael Moneo, n. 1/2, pp. 28-29 • Antonio Borghi, Intervista a Gigi Mazza, n. 3, pp. 30-31 • Antonio Borghi, Intervista a Paolo Rizzatto, n. 4, pp. 28-29 • Antonio Borghi, Intervista a Gae Aulenti, n. 11, pp. 32-33 • Antonio Borghi, Intervista ad Anna Maria Pozzo, n. 12, pp. 34-35

CONCORSI

• Roberto Gamba, Riqualificazione del nucleo antico di San Genesio ed Uniti (Pavia); Riqualificazione della piazza Pierino Beretta a Corbetta (Milano), n. 1/2, pp. 30-33 • Roberto Gamba, “Abitare a Milano”, n. 3, pp. 32-37 • Roberto Gamba, Tre piazze per Sesto San Giovanni; Monza: concorso di progettazione Pratum Magnum; Sistemazione della piazza Vittorio Veneto di Calolziocorte (Lecco), n. 4, pp. 30-33 • Roberto Gamba, Riqualificazione delle aree centrali e di margine a Brugherio (Mi); Due concorsi di progettazione nella città di Chiari (Bs); Riqualificazione di un’area mercato a Olgiate Comasco (Co), n. 5, pp. 26-30 • Roberto Gamba, Area ex Ansaldo a Milano; Riqualificazione del centro sportivo di Cortenuova (Bergamo); Riqualificazione del Lungolago di Malgrate (Lecco); Studio di fattibilità dei parchi Castel Cerreto e Roccolo a Treviglio (Bg), n. 6, pp. 32-36 • Roberto Gamba, Brescia: nuovo impianto natatorio; Edificio polifunzionale dell’Istituto zooprofilattico “Bruno Ubertini” di Brescia; Brivio (Lc): sistemazione della “Tromba di Beverate”, n. 7, pp. 28-31 • Roberto Gamba, Riqualificazione di piazza Giovanni XXII e via Mulini a Cerete (Bergamo); Riqualificazione di tre piazze a Cornate d’Adda (Milano); Cuggiono (Milano): sistemazione di piazza San Giorgio, n. 8/9, pp. 28-35 • Roberto Gamba, Progettazione dell’immagine esterna di un supermercato GS a Milano; Riqualificazione della piazza Unità d’Italia di Tirano (So), n. 10, pp. 30-33 • Roberto Gamba, Milano: concorso “Arcate di Greco” per riqualificare i viadotti ferroviari; Riqualificazione di una piazza e della ex scuola elementare di Roccafranca (Brescia), n. 11, pp. 29-31 • Roberto Gamba, Due concorsi di progettazione scolastica a Bareggio (Milano); Nuovo complesso scolastico per Esine (Brescia), n. 12, pp. 36-41

RILETTURE

• Maria Elisabetta Ripamonti, Nuova strada per la Valsassina Lecco-Ballabio, n. 5, p. 31 • Martina Landsberger, La tribù delle idee, n. 6, p. 37

LIBRI

• Adalberto Del Bo, M. Petranzan, G. Neri, Franco Purini. La città uguale. Scritti scelti; Olga Chiesa, F. Pocaterra, Lungo il Po; Martina Landsberger, C. Sangiorgi, Appunti sul costruire. Attualità di Giuseppe Pagano; Andrea Gritti, L. Molinari, Massimiliano Fuksas. Opere e progetti; Irina Casali, P. Nobel, 64.748 mq. La feroce battaglia per la ricostruzione di Ground Zero, n. 1/2, pp. 34-35 • Luciano Bolzoni, G. Brino, Carlo Mollino. Architettura come autobiografia; Martina Landsberger, C. Camponogara, M. E. Dulbecco, Genova. Sguardi di viaggiatori; Claudio Sangiorgi, M. J. Gorman, Buckminster Fuller. Architettura in movimento; Caterina Lazzari, L. Basso Peressut, Il museo moderno. Architettura e museografia…; Maurizio Carones, P. Portoghesi, Geoarchitettura. Verso un’architettura della responsabilità, n. 3, pp. 38-39 • Gian Paolo Semino, E. Prandi (a cura di), Sessantadue domande a Guido Canella; Vittorio Prina, A. Piva, Il museo: la coscienza lucida dell’ambiguità; Martina Landsberger, L. Doninelli, Il crollo delle aspettative. Scritti insurrezionalisti su Milano; Irina Casali, A. Quindlen, Londra immaginata; Maurizio Carones, A. Aymonino, V. P. Mosco, Spazi pubblici contemporanei. Architettura a volume zero, n. 4, pp. 34-35 • Cesare Macchi Cassia, V. Gregotti, Autobiografia del XX secolo; Luciano Bolzoni, G. Simonis, Costruire sulle Alpi. Storia e attualità delle tecniche costruttive alpine; Martina Landsberger, M. Massa (a cura di), Passeggiate lungo molti mari; Ilario Boniello, E. Prandi, Mantova. Saggio sull’architettura; Irina Casali, M. Jakob, Paesaggio e letteratura, n. 5, pp. 32-33 • Paola Catapano, S. Stenti (a cura di), Marcello Canino 1895/1970; Antonio Borghi, R. Pugliese (a cura di), La casa sociale. Dalla legge Luttazzi alle nuove politiche per la casa in Lombardia; La casa popolare in Lombardia 1903-2003; Martina Landsberger, AA. VV., Giuseppe e Alberto Samonà 1923-1993. Inventario analitico dei fondi documentari conservati presso l’Archivio Progetti; Irina Casali, Z. Bauman, Fiducia e paura nella città; Giulio Barazzetta, G. Consonni e G. Tonon, Terragni inedito, n. 6, pp. 38-39 • Carlo Alberto Maggiore, G. Morpurgo (a cura di), Progetto Bicocca. Headquarter Pirelli Real Estate; Sonia


Milone, AA. VV., Un giardino nell’Europa. La provincia di Cremona; Martina Landsberger, A. Forty, Parole e edifici. Un vocabolario per l’architettura moderna; Giulio Barazzetta, AA, VV, Milano, Architettura città e paesaggio; Maurizio Carones, M. Brusatin, Colore senza nome, n. 7, pp. 32-33 • Enrico Bordogna, F. Tentori, Edoardo Persico. Grafico e architetto; Martina Landsberger, N. O. Cavadini, Casa Cattaneo a Cernobbio; Manuela Oglialoro, L. S. Pelissetti, L. Scazzosi (a cura di), Giardini, contesto, paesaggio. Sistemi di giardini e architetture vegetali nel paesaggio. Metodi di studio, valutazione, tutela; Claudio Sangiorgi, A. Norsa (a cura di), La gestione del costruire. Tra progetto, processo e contratto; Irina Casali, AA.VV., CamminaMilano. 10 passeggiate d’autore per un’inconsueta guida alla riscoperta della città, n. 10, pp. 34-35 • Giulio Barazzetta, N. Adams, Skidmore, Owings & Merril, SOM dal 1936; Carlo Gandolfi, P. Marconi, Il recupero della Bellezza; Anna Ramoni, AA. VV., I luoghi di Montalbano. Una guida; Manuela Oglialoro, P. Nobile, F. Pagano (a cura di), Lombardia. Legge per il governo del territorio. L.R. 11 marzo 2005, n. 12; Maurizio Carones, M. E. Dulbecco, Luino e il suo lago, n. 11, pp. 34-35 • Adalberto Del Bo, P. Barbieri (a cura di), Infraspazi; Henrique Pessoa Pereira Alves, F. Panzini, Progettare la Natura. Architettura del paesaggio e dei giardini dalle origini all’epoca contemporanea; Martina Landsberger, M. Covacich, Trieste sottosopra; Chiara Baldacci, D. Ravizza, Architettura in luce. Il progetto di illuminazione di esterni; Maurizio Carones, G. L. Ciagà (a cura di), Luciano Baldessari e Milano. Progetti e realizzazioni in Lombardia, n. 12, pp. 42-43

MOSTRE E SEMINARI

• Mina Fiore, Inchiesta sul paesaggio; Maria Chiara D’Amico, La “Ragione” per David Chipperfield; Caterina Lazzari, Il gioco è un diritto fondamentale; Amanzio Farris, Architettura ed effetti; Filippo Lambertucci, L’utopia prossima passata, n. 1/2, pp. 36-37 • Martina Landsberger, Affinità visive; Maria Teresa Feraboli, Mollino: il treno della creatività; Sonia Milone, Stregonerie cromatiche; Amanzio Farris, I disegni di Carlo Aymonino; Mina Fiore, La vita segreta degli interni, n. 3, pp. 40-41 • Fabrizio Vanzan, Decostruzioni spaziali; Francesco Fallavollita, Design in mostra; Sonia Milone, “O Zarathustra, ecco la grande città…”; Caterina Lazzari, Il sogno di una fortezza tra le Alpi; Luca Gelmini, Modernismo mediterraneo, n. 4, pp. 36-37 • Francesco Fallavollita, “…Oltre il pacchetto…”; Fabrizio Vanzan, Alberti: l’uomo del Rinascimento; Caterina Lazzari, Paesaggi risorgimentali; Sonia Milone, Mario Bellini: passaggio a est; Micaela Sposito, Le avanguardie… danzano, n. 5, pp. 34-35 • Adalberto Del Bo, La costruzione dell’isolato olandese; Martina Landsberger, Bill, Homo faber; Maria Teresa Feraboli, Il Cabanon al parco Sempione; Caterina Lazzari, Vivere su un’isola; Isabella Balestreri, Leonardo a Milano, n. 6, pp. 40-41 • Maria Teresa Feraboli, Good luck architecture!; Amanzio Farris, Figura e persuasione; Sonia Milone, Magritte a Como; Silvia Malcovati, Città senza architettura; Maria Chiara D’Amico, Paolo Portoghesi a Vicenza, n. 7, pp. 34-35 • Irina Casali, Tra singolarità e ripetizione; Amanzio Farris, Lo stato delle cose; Gianluca Gelmini, Architetture dei Aires Mateus; Stefano Cusatelli, Il paesaggio dei cantieri; Katia Acossato, In viaggio lungo il Ticino, n. 8/9, pp. 36-37 • Maria Chiara D’Amico, Sperimentare una città nuova; Stefano Cusatelli, Aree industriali: immagini dai confini; Filippo Lambertucci, Il gran teatro del mondo; Sonia Milone, Il paese dipinto in “un grido di colore”; Amanzio Farris, I tempi del progetto, n. 10, pp. 36-37 • Stefano Cusatelli, Alberti a Mantova; Francesca Fagnano, Contemporaneità del Dadaismo; Antonella Bellomo, Bioarchitettura; Sonia Milone, America precolombiana; Michele Caja e Silvia Malcovati, Michelangelo e il progetto, n. 11, pp. 36-37 • Maria Teresa Feraboli, Costruire le modernità: Albini; Matteo Baborsky, Costruire le modernità: Mollino; Sonia Milone, Il futuro secondo Boccioni; Amanzio Farris, Musei e mercato culturale; Alba Cappellieri, Basquiat: il jazz e l’arte, n. 12, pp. 44-45

ITINERARI

• Vittorio Prina, “Le stesse cose ritornano, ovvero perché non si inventa la storia?” Pavia: la città e la sua immagine nelle descrizioni dei viaggiatori, n. 3, pp. 42-45 • Luciano Bolzoni, Mino Fiocchi, un architetto fra Milano e il Lago di Lecco, n. 6, pp. 42-45

LEGISLAZIONE

• Walter Fumagalli, I Piani regolatori vanno (un po’ per volta) in pensione, n. 1/2, pp. 38-39 • Walter Fumagalli, Un caso di schizofrenia acuta: la pubblicità dei Piani attuativi, n. 3, pp. 46-47 • Emiliano e Walter Fumagalli, Sottotetti: anno nuovo vita nuova, n. 4, pp. 38-39 • Walter Fumagalli, La relazione paesaggistica: meglio tardi che mai!, n. 5, pp.36-37 • Walter Fumagalli, La valutazione ambientale dei piani urbanistici, n. 6, pp. 46-47 • Walter Fumagalli, Il permesso di costruire convenzionato, in Lombardia e a Milano, n. 7, pp. 36-37 • Walter Fumagalli, Le norme sul rendimento energetico in Italia, n. 8/9, pp. 38-39 • Walter Fumagalli, Il piano di governo del territorio di Milano, n. 10, pp. 38-39 • Walter Fumagalli, Il nuovo testo della Legge per il Governo del Territorio, n. 11, pp. 38-39 • Riccardo Marletta, I compensi degli architetti nei rapporti con i privati dopo la legge “Bersani”, n. 12, pp. 46-47

NORMATIVE E TECNICHE

• Carlo Siani, Il piano di evacuazione negli ambienti di lavoro, n. 3, pp. 48-49 • Emanuele Gozzi, Le specifiche di prestazione nel consolidamento dei solai lignei, n. 5, pp. 38-39 • Claudio Sangiorgi, La certificazione energetica degli edifici: l’esperienza CasaClima, n. 6, pp. 48-49 • Vanina Sartorio, Le pavimentazioni lapidee per il luogo pubblico, n. 7, pp. 38-39 • Francesca Bergna, I blocchi in calcestruzzo vibrocompresso, n. 8/9, pp. 40-41 • Carlo Sironi, Innovazione nei cicli di manutenzione di facciate a intonaco, n. 10, pp. 40-41 • Vanina Sartorio, Nuove prescrizioni in materia di sicurezza nei cantieri edili, n. 11, pp. 40-41 • Carlo Sironi, Il consolidamento di solai lignei o su putrelle nel recupero, n. 12, pp. 48-49

ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE

• Sara Gilardelli, Organizzazione professionale, n. 1/2, pp. 40-41 • Mario Tosetti, Cosa è oggi la privacy, n. 3, pp. 50-51 • Claudio Gasparini, Software libero per lo studio di architettura, n. 4, pp. 40-41 • Attilio Marcozzi, Associazione professionale e società di professionisti, n. 5, pp. 40-41 • Luciano Lazzari, La riforma delle professioni in un’ottica europea, n. 6, pp. 50-51 • Sara Gilardelli, Le associazioni di categoria, n. 7, pp. 40-41 • Sara Gilardelli, Come lavorano i giovani architetti?, n. 8/9, pp. 42-43 • Giulio Orsi, Il progetto edilizio: piccoli suggerimenti per evitare grandi problemi, n. 10, pp. 42-43 • Rosalba Pizzulo, I nuovi obblighi per i professionisti, n. 11, pp. 42-43 • Carlo Lanza, La disciplina contrattuale; Gemma Skof, Piano urbano della luce. Ipotesi di calcolo del compenso professionale, n. 12, pp. 50-51

STRUMENTI

• Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Stampa, n. 1/2, pp. 42-43 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Stampa, n. 3, pp. 52-53 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Stampa, n. 4, pp. 42-43 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Stampa, n. 5, pp. 42-43

• Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Stampa, n. 6, pp. 52-53 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Stampa, n. 7, pp. 42-43 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Stampa, n. 8/9, pp. 44-45 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Stampa, n. 10, pp. 44-45 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Stampa, n. 11, pp. 44-45 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Stampa, n. 12, pp. 52-53

DAGLI ORDINI

• Cremona: Fiorenzo Lodi, Inizia un nuovo quadriennio; Milano: Laura Truzzi (a cura di), Designazioni; Convenzioni; Serate d’Architettura, Elezioni per il rinnovo del Consiglio 2005-09; Alessandro Ferrari, Osservatorio concorsi. 4 anni di concorsi in Provincia di Milano; Monza e Brianza: Ferruccio Favaron, La costituzione dell’Ordine, n. 1/2, pp. 44-47 • Cremona, Fiorenzo Lodi, Inizia un nuovo quadriennio); Milano: Laura Truzzi (a cura di), Designazioni; Serate, n. 3, pp. 54-55 • Brescia: Federica Zaccaria, ALUprogetto a Metef 2006; Cremona: Fiorenzo Lodi, s.t.; Milano: Laura Truzzi (a cura di), Designazioni; Monza e Brianza: Red., s.t., n. 4, pp. 44-45 • Monza e Brianza: Alberto Poratelli e Massimo Cappotti, Il nuovo Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provinci di Monza e della Brianza; Cremona: Fiorenzo Lodi, Attività dell’Ordine; Milano: Laura Truzzi (a cura di), Designazioni; Serate d’Architettura, n. 5, pp. 44-47 • Milano: Laura Truzzi (a cura di), Designazioni; Serate di Architettura, n. 6, pp. 54-55 • Milano: Laura Truzzi (a cura di), Designazioni; Serate di Architettura, n. 7, pp. 44-46 • Milano: Laura Truzzi (a cura di), Designazioni; Laura Rossi, Serate, n. 8/9, pp. 46-47 • Milano: Laura Truzzi (a cura di), Designazioni; Laura Truzzi, Alessandro Ferrari, Silvia Malcovati, Serate, n. 10, pp. 46-47 • Cremona: Fiorenzo Lodi (a cura di) Intervista a Lorenzo Spadolini; Milano: Laura Truzzi (a cura di), Designazioni, n. 11, pp. 46-47 • Milano: Laura Truzzi (a cura di), Designazioni; Cecilia Avogadro, Il nostro passato presente, n. 12, p. 54

DALLA CONSULTA

• Beppe Rossi, Prima edizione della Rassegna lombarda di Architettura under 40; Valeria Bottelli, Emanuele Brazzelli, Nuove proposte di Architettura under 40, n. 4, pp. 45-47

LETTERE

• Carlo Aymonino, Riceviamo da Carlo Aymonino, n. 1/2, p. 47 • Gregorio Praderio, A proposito dell’intervista a Gigi Mazza, n. 7, p. 46 • Alberto Scarzella, Se non segui i corsi sei cancellato dall’Albo; Pietro Campora, Mi pento, o no, n. 12, p. 55

INDICI E TASSI

• Indici e tassi, n. 1/2, p. 48 • Indici e tassi, n. 3, p. 56 • Indici e tassi, n. 4, p. 48 • Indici e tassi, n. 5, p. 48 • Indici e tassi, n. 6, p. 56 • Indici e tassi, n. 7, pp. 47-48 • Indici e tassi, n. 8/9, p. 48 • Indici e tassi, n. 10, p. 48 • Indici e tassi, n. 11, p. 48 • Indici e tassi, n. 12, p. 56

INDICI

• Indici 2005, n. 4, pp. 49-56


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