AL 3, 2006

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AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi

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FORUM Architettura, città, residenza interventi di Paolo Ceccarelli, Achille Colombo Clerici, Carmela Rozza, Multiplicity.lab con una nota di Carlo Aymonino Periferie ferite

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FORUM ORDINI Bergamo Brescia Como Cremona Lecco Lodi Mantova Milano Pavia Sondrio Varese

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OSSERVATORIO Argomenti Conversazioni Concorsi Libri Mostre Itinerari

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PROFESSIONE Legislazione Normative e tecniche Organizzazione professionale Strumenti

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INFORMAZIONE Dagli Ordini

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INDICI E TASSI

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EDITORIALE

In copertina Edificio per abitazioni, via Melchiorre Gioia, Milano (foto di Chiara Besozzi). Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL Chiuso in redazione: 13 febbraio 2006

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MARZO 2006

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Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidenti: Massimo Dell’Oro, Elio Mauri; Segretario: Marco Pogliani; Tesoriere: Vincenzo D. 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Dragoni, Maura Lenti, Gian Luca Perinotto, Giorgio Tognon, Alberto Vercesi (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Giuseppe Sgrò; Vice Presidente: Giovanni Vanoi; Segretario: Aurelio Valenti; Tesoriere: Claudio Botacchi; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Marco Ghilotti, Enrico Scaramellini, Laura Trivella (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Laura Gianetti; Tesoriere: Pietro Minoli; Consiglieri:Luca Bertagnon, Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Antonio Bistolettil, Emanuele Brazzelli, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni, Adriano Veronesi (Termine del mandato: 15.10.2009)


Maurizio Carones

3 EDITORIALE

Il tema dell’abitare, dopo un periodo in cui ha suscitato scarso interesse, è tornato ad essere oggetto di dibattiti nella nostra società. La questione della “casa” è riproposta all’attenzione generale, sia attraverso indagini sociologiche che riflessioni sull’architettura e sulla città. In un certo senso è come se si riscoprisse che la città, oltre che di edifici pubblici, infrastrutture, centri terziari e commerciali è fatta anche di case, considerazione che, a chiunque abbia qualche pratica del nostro territorio, appare invece abbastanza ovvia. Negli ultimi due decenni, soprattutto al di fuori dai grandi centri urbani, si sono infatti costruiti molti edifici a destinazione residenziale, probabilmente senza pensare che anche qui si stesse definendo per semplice sommatoria una certa idea di città. L’argomento della “casa” è comunque complesso, implica rapporti con diversi campi, primi fra tutti quelli economico e politico e riguarda, evidentemente, a pieno titolo le nostre discipline. Viene spesso evidenziato come nel nostro paese il modello della casa di proprietà sia largamente perseguito ma occorre anche ricordare, allo stesso tempo, come per buona parte delle famiglie tale obiettivo sia inavvicinabile, anche ricorrendo a scelte di investimento dalle durate molto lunghe. Sorta di contraddizione che non ha sino ad oggi portato a grandi conseguenze, se non la continua marginalizzazione dell’abitare, alla ricerca continua di prezzi più contenuti, sia di affitto che di acquisto. D’altra parte, la nostra società ha mutato alcune sue caratteristiche: anche se meno di altre, è sempre più mobile, la famiglia è soggetta a variazioni che rendono meno stabile di un tempo la sua composizione, così come la gran parte dei giovani non ha un lavoro fisso. Si studia sempre più spesso in città differenti, ci si muove e ci si sposta anche per periodi lunghi e in futuro si ritiene che tale tendenza si consoliderà. Ci sono i nuclei familiari di lavoratori stranieri recentemente trasferiti. Tutto ciò indicherebbe un quadro di riapertura del mercato degli affitti e qualche amministrazione si sta muovendo in questa direzione. Si discute allora molto spesso, soprattutto nelle grandi città, di nuovi modelli abitativi, di nuovi rapporti fra l’abitare, i servizi e il verde, di residenze temporanee, per studenti, per lavoratori fuori sede. Ma la questione che ci sembra giusto indicare è ancora una volta quella del rapporto con la città e il territorio. Così come trasformare una città non può avvenire realizzando solamente un edificio pubblico di grande risonanza, allo stesso modo non sarà sufficiente realizzare “belle” case per migliorare la città. E se è comunque da augurarsi che anche la realizzazione della “casa” richiami a un impegno quella qualità architettonica che sul tema residenziale a lungo si è pronunciata, è però anche da sperare che il tema dell’abitare sia sempre visto in un quadro di relazioni che siano comunque urbane, così come la tradizione disciplinare italiana ha più volte indicato. Sul tema della residenza l’architettura può offrire ancora una volta un grande contributo sul piano urbano, tipologico, tecnologico, impiantistico ed energetico. A condizione che non si consideri il tema della casa un argomento in cui necessariamente lasciare la mano al privato con la ripetizione di presunti stereotipi abitativi, senza perseguire un interesse collettivo anche nella costruzione di edifici residenziali.


Architettura, città, residenza

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Nel Forum di questo numero intervengono Paolo Ceccarelli, Architetto, Ordinario di Urbanistica alla Facoltà di Architettura di Ferrara; Achille Colombo Clerici, Presidente di Confedilizia Lombardia (Federazione regionale della Proprietà Edilizia); Carmela Rozza, Segretario Regionale del SUNIA (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini ed Assegnatari); Multiplicity.lab, laboratorio di ricerca sulle trasformazioni del territorio del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano coordinato da Stefano Boeri, Arturo Lanzani, Giovanni La Varra. Abbiamo, inoltre, raccolto un’opinione dell’architetto Carlo Aymonino sul tema. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.

Riflessioni sulla questione delle abitazioni di Paolo Ceccarelli

Quando si riflette sull’attuale situazione delle nostre città, la questione della residenza appare tanto grave quanto sottovalutata. Da tempo essa è sparita dagli obiettivi di fondo delle amministrazioni locali, preoccupate soprattutto di essere competitive sul piano economico e di garantire “sicurezza” ai loro cittadini, oppure è stata ridotta a corollario dell’ICI: concepita più come strumento per aumentare il gettito delle imposte che come fondamentale componente di una società che funziona bene oggi e che costruisce solide basi per il suo futuro. A questa relativa marginalizzazione hanno contribuito anche gli orientamenti più recenti della cultura e delle politiche urbanistiche: la residenza è divenuta l’elemento soft (forse sarebbe più onesto chiamarlo “il ventre molle”) delle strutture urbane e territoriali, in una concezione della città basata su nodi di funzioni forti, reti di infrastrutture e il “resto”. Residenza come riempimento di spazi determinati da altre funzioni e strutture fisiche (spesso senza alcun legame con la residenza stessa), come polverizzazione nella città diffusa, come occasione per creare nuove isole nel mare metropolitano, nuove metastasi nel corpo di territori rurali in disfacimento. I nuovi grandi quartieri residenziali dove “la vita è serena” e “il costruito si integra alla natura” altro non sono che mondi chiusi, walled communities (anche se abitate da poveracci), come le aree direzionali, per servizi, per funzioni di alta qualità. La stessa logica che guida i “progetti urbani” di successo sul mercato territoriale. I motivi di questo stato di cose sono noti, anche se si ricordano malvolentieri. Alla loro base c’è la decisione che la casa non sia più un bene “socialmente utile”: il fabbisogno di abitazioni deve essere gestito dal solo mercato. La parte di società che ha pochi soldi, ma svolge un ruolo fondamentale per il suo funzionamento, non interessa: i giovani e le famiglie a basso reddito si arrangino, anche se saranno costretti ad abitare ad un’ora di treno da dove lavorano. Se poi si tratta di immigrati che mantengono in piedi interi settori dell’economia ancora peggio: vivano dove possono, in

edifici abbandonati e magari in baracche, sempre che qualche vigile sindaco non li cacci. Sono spariti i grandi programmi di edilizia popolare; per chiudere la partita le vecchie case sono state vendute agli assegnatari, come se la società contemporanea fosse congelata ad un certo momento, a un determinato livello di benessere e non fosse un complesso sistema in continua trasformazione, con alti e bassi, con slanci di sviluppo, crisi profonde, riprese: un complesso sistema in cui compaiono di continuo nuovi soggetti da aiutare a crescere o soggetti perdenti, che non possono essere abbandonati per strada. Ci sono poi le convenienze ed esigenze del settore immobiliare. L’uscita di scena dell’offerta sociale di alloggi ha permesso di controllare a piacere una domanda che esiste, si rinnova e non è mai pienamenta soddisfatta. Non è un caso che l’attuale potere economico degli immobiliaristi sia divenuto così cospicuo in un arco di tempo tanto breve. D’altro canto la dimensione e la tipologia dei nuovi insediamenti residenziali è legata alla dimensione operativa delle società immobiliari e di costruzione che implica scale di notevole ampiezza, semplificazione delle procedure, omogeneità degli interventi. Il quartiere monofunzionale, monoclasse, distinto dal resto del tessuto, autosufficiente rispetto ad alcuni servizi di base non va bene dal punto di vista sociale, ma va benissimo per chi lo realizza e lo vende. Un terzo motivo, meno diretto ma non per questo meno importante, è collegato alle trasformazioni sociali ed economiche di questi ultimi decenni. Le politiche pubbliche a supporto della residenza sono state prevalentemente connesse all’occupazione stabile e al reddito sicuro dei beneficiari. In anni recenti il contesto è cambiato: l’occupazione è divenuta sempre più precaria e i meccanismi di contribuzione fiscale per l’abitazione sono entrati in crisi; i soggetti interessati ad avere una casa sociale non sono più in grado di fornire le garanzie necessarie; sulla scena sono comparsi soggetti del tutto nuovi come gli immigrati, al cui insediamento permanente molti si oppongono. Lo stato sociale tradizionale si dissolve e non viene sostituito da nulla di più flessibile, di più adatto al nuovo stato di cose. Il mercato diventa così la risposta più spiccia, anche se comporta gravi conseguenze per i giovani, i livelli e la qualità della vita complessiva, le aspettative per il futuro della società. In una situazione del genere non ci si può meravigliare di quello che è successo in Francia. È stato il risultato estremo dell’aver sottovalutato i problemi, anteposta la teoria al buon senso, frammentato ed isolato nello spazio alcune componenti della società per controllarle meglio, disegnato un impossibile stato di equilibrio per una società in fortissimo mutamento. Nelle nostre città mancano alcuni degli ingredienti che hanno prodotto l’eplosione dei grandi quartieri residenziali francesi, ma questo non significa che la situazione sia meno preoccupante. Il vandalismo, le rivolte o le distruzioni momentanee, la piccola criminalità e la stessa droga sono forse il meno: il peggio è l’encefalogramma


FORUM GLI INTERVENTI

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Edificio per abitazioni, via Melchiorre Gioia, Milano.

piatto e la pessima qualità urbanistica ed architettonica di gran parte dei luoghi in cui vive la maggioranza degli abitanti delle città, in cui crescono le nuove generazioni. Che città contemporanea abbiamo prodotto? E come possiamo aver ridotto il ruolo della casa a quello di mero ricovero; ad un ghetto isolato dal resto del mondo, ad un bene sempre più caro e sempre più discriminante? Non è essa una parte fondamentale della riproduzione di una società, della sua capacità di affrontare sempre nuove sfide? Che nuove generazioni cresceranno negli enormi dormitori senza senso delle nostre città? Che nuove generazioni per una società della conoscenza basata soprattutto sulla capacità di inventare e inventarsi, fondamentale per il futuro di un paese come l’Italia? Dopo un secolo e mezzo bisogna affrontare di nuovo seriamente, anche se in termini diversi, la centralità della questione delle abitazioni.

Politiche di locazione in Italia di Achille Colombo Clerici

L’equilibrio del sistema di produzione di nuova edilizia – basato sul duplice canale concorrente dell’edilizia libera da un

lato, fondata sulla legge di mercato, e dell’edilizia residenziale pubblica dall’altro, che aveva permesso di ricostruire l’Italia nel dopoguerra e di trasformarla da paese agricolo-commerciale a paese moderno a carattere industriale-terziario – si era da più di un decennio spezzato. L’anno della svolta nella politica abitativa italiana era stato il 1978. L’introduzione dell’equo canone ed una progressiva pressione fiscale sulle abitazioni, in particolare quelle in locazione, avevano caricato il privato di oneri di socialità che non gli competevano. Per parte sua lo Stato aveva trasferito alle Regioni la competenza in materia di edilizia sociale senza dotare le stesse di adeguati mezzi finanziari per assolvere al compito. Con l’esaurirsi, ai primi anni ’90, delle ultime “code” del piano decennale di edilizia residenziale pubblica, gli IACP (oggi ALER) non risultarono più in grado di fronteggiare, in termini di nuova produzione di case e di recupero del patrimonio esistente, il fabbisogno abitativo pregresso e quello insorgente, anche a seguito di una immigrazione progressivamente crescente. D’altra parte il privato, costretto da un regime civilistico-tributario disincentivante l’investimento in abitazioni da offrire in locazione, abbandonava progressivamente il comparto. Investitori istituzionali, società immobiliari, persone fisiche hanno dato luogo al più massiccio fenomeno di dismissione di immobili locati che si riscontri a livello mondiale.


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Palazzo residenziale, Alzaia Naviglio Grande, Milano.

Dal 40% di case in locazione, che si registrava in Italia a metà degli anni ’60, siamo scesi all’attuale livello del 19%, di cui il 3,5% di ERS (Edilizia Residenziale Sociale). Una posizione anomala rispetto al contesto europeo che si presenta con il 55% in Germania, il 40% in Francia, il 55% in Svizzera, il 46% in Olanda, il 32% in Gran Bretagna; siamo regrediti allo stadio della Turchia e dell’Irlanda (Milano è scesa dal 60% all’attuale 33%, di cui il 9% di ERS). Situazione, questa, che è contraria alle esigenze di mobilità delle forze di lavoro (richiesta in massimo grado dai processi di trasformazione socio-economica in atto; quali la ristrutturazione, l’internazionalizzazione, la terziarizzazione, la finanziarizzazione, l’innovazione tecnologica) che suppone una spiccata mobilità abitativa. Osserviamo a proposito che, come insegna la storia dell’urbanistica sociale, più una società è statica (fino al massimo della società contadina), maggiore è il livello di abitazioni possedute direttamente da chi le abita. Consideriamo che, a comporre il dato di quel 19% di cui si è detto, concorre tutta l’edilizia popolare, la quale, peraltro, è presente in Italia con una dotazione di alloggi assolutamente inadeguata alla dimensione del nostro paese. Attualmente la nostra regione presenta un fabbisogno di abitazioni (tra arretrato e insorgente) stimabile nell’ordine di 160.000 unità, delle quali 47.000 concentrate nella città di Milano, le restanti situate soprattutto nell’hinterland milanese e nelle province di Brescia, Bergamo, Como. Se consideriamo, ad esempio, la città di Milano, osserviamo che essa dispone di un patrimonio di edilizia residenziale pubblica che ammonta a 72.000 alloggi pienamente adibiti alla

loro funzione. È ben vero che, di questi, 4.000 sono occupati da abusivi, 4.700 da famiglie di indigenti non in grado di pagare alcun affitto, 3.900 sono inutilizzati per degrado o per rotazione (e quindi necessitano di interventi edilizi di recupero che costano milioni e milioni di euro) e circa alcune migliaia occupati da famiglie che hanno perso i requisiti di legge per abitarvi. Ma, con tutto questo, anche ammettendo di utilizzare al meglio questa disponibilità, non si sarebbe in grado di fronteggiare il fabbisogno abitativo sociale stimato dal Centro Studi del PIM (Piano Intercomunale Milanese) in circa 47.000 alloggi così suddivisi: 19.000 per fabbisogno arretrato, 12.000 per fabbisogno insorgente, 7.000 per fabbisogno aggiuntivo per immigrati in via di stabilizzazione e 9.000 per domande di lavoro o studio. L’equilibrio virtuoso del sistema suppone che ognuno, il privato ed il pubblico, svolga il suo ruolo; che il primo, adeguatamente incentivato, mantenga e potenzi l’investimento del risparmio negli immobili destinati alla locazione per la fascia di utenza che si rivolge al mercato e che l’altro, adeguatamente alimentato sul piano finanziario, piloti un sistema di risposte ai bisogni abitativi di quella parte della popolazione che la casa non se la può pagare del tutto o in parte.

Affittare casa a Milano di Carmela Rozza

Milano ospita una massa di cittadini che cerca casa per periodi contenuti. Sono ricercatori, dirigenti bancari,


Isolato tra via Melchiorre Gioia e via Restelli visto da via Gioia, Milano.

lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato, infermieri, professionisti dei servizi, iscritti a corsi di formazione, studenti che non possono pagare canoni di locazione richiesti dal libero mercato. La città, però, non è in grado di offrire un patrimonio immobiliare con queste caratteristiche. Si tratta, infatti, di dare opportunità di abitazione a persone che cercano locazioni temporanee: perché lo richiede il lavoro che devono svolgere o perché in attesa di acquistare un immobile dove stabilire la propria residenza. Ciò che serve, dunque, sono abitazioni a prezzi abbordabili. Ma la domanda di case in affitto a Milano è composta anche da altri soggetti con esigenze particolari. Ci sono, infatti, anziani, giovani coppie, single, divorziati, vedovi e oltre 40.000 universitari fuori sede. Tutti hanno in comune la difficoltà di reperire alloggi caratterizzati da metrature adeguate a prezzi abbordabili. Secondo l’ufficio stranieri della CGIL, poi, Milano registra 180.000 immigrati regolari oltre a 65.000 clandestini. La maggioranza vive in alloggi molto piccoli, spesso in coabitazione, e paga anche 250 euro al mese per un posto letto. Il quadro è completato da 16.000 famiglie che hanno inoltrato richiesta per l’assegnazione di case popolari e da 10.000 sfrattati. Di questi, più di 1.000 sono anziani. A questi numeri sono da aggiungere oltre 70.000 famiglie che affittano nel settore privato, ma che non sono in grado di sostenere gli aumenti di canone previsti dal libero mercato. Infatti, chi ha sottoscritto contratti di locazione tra il 2002 e il 2005 ha dovuto pagare rincari dal 100% al 250% rispetto al canone precedente. Non è un caso che nel 2005 la Regione Lombardia abbia sti-

mato 55.000 domande di sostegno per la richiesta del fondo sociale affitti, contro le 19.800 registrate del 2000. Tra il 1991 e il 2001, inoltre, il caro-casa ha spinto 110.000 persone, l’8% dei residenti a Milano, a lasciare il centro urbano per spostarsi nei paesi della cintura limitrofa. Nella provincia, infatti, la popolazione è aumentata del 3,4%. C’è poi una fascia di cittadini che ha un reddito annuale compreso tra 0 e 43.000 euro, 96.000 famiglie distribuite tra il centro urbano e dintorni che abitano case popolari, di proprietà comunale e demaniale, la maggior parte delle quali in condizioni edilizie disastrose. Il risultato è un mix esplosivo di degrado edilizio e sociale, nonostante i contratti di quartiere che prevedono il risanamento degli alloggi. Dunque, la legge regionale che regolamenta la locazione nel mercato pubblico e privato non è più in grado di fornire risposte adeguate alle esigenze abitative illustrate. Milano e l’intero territorio regionale, negli ultimi anni, sono cambiati, e diverse sono anche le domande abitative. È ormai necessario cambiare le regole del gioco. Per questo motivo, pensiamo sia doveroso mettere mano alla normativa per rispondere alla domanda dei cittadini. Questa la proposta elaborata dal SUNIA (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini ed Assegnatari) presentata dai consiglieri diessini in Regione nell’ottobre 2005: • Una normativa unica per la locazione che regolamenti mercato pubblico e privato. Lo chiamiamo “affitto amministrato”: ogni cinque anni la Regione stabilisce canoni massimi di affitto in accordo con profit e no profit e le organizzazioni sindacali degli inquilini.

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Edifici residenziali, via Revere, Milano.

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• I canoni vengono definiti sulla base dei costi di costruzione o riqualificazione sostenuti dagli operatori profit, no profit e dalla proprietà pubblica, ad esempio ALER, Comune o fondazioni. La Regione dovrebbe impegnarsi ad un abbattimento dei costi delle aree e degli oneri di urbanizzazione a beneficio degli operatori che accettano la formula dell’affitto amministrato. Inoltre, dovrebbe fornire anche gli incentivi fiscali necessari a rendere conveniente l’investimento che permetterà di fornire agli utenti finali canoni amministrati e quindi accessibili. I soggetti che sottoscrivono l’accordo si dovrebbero impegnare a non vendere il patrimonio edilizio di nuova edificazione realizzato secondo le agevolazioni sopra descritte. • Qualsiasi proprietario privato o società immobiliare, cooperativa o fondazione, può convenzionarsi con la Regione per applicare il canone amministrato. • I soggetti che accettano queste condizioni s’impegnano ad affittare il patrimonio immobiliare, ma l’accesso è libero secondo criteri che rispondano a un mix reddituale e sociale, etnico e generazionale. Bisogna, infatti, scongiurare quartieri ghetto che contengono elementi di conflittualità sociale che Milano non può e non deve più sopportare. Il fondo sociale affitti, già in funzione, può essere uno degli strumenti da utilizzare per coprire lo squilibrio economico tra reddito e canone su cui può contare l’operatore pubblico e privato. • La Regione Lombardia deve essere disponibile a sostenere una battaglia nei confronti del Governo nazionale affinché ci sia una tassazione dei redditi da locazione inferiore rispetto a quella presente. Per esempio chiedere un’aliquota ridotta per i soggetti che aderiscono al canone amministrato. Attualmente, infatti, la tassazione fiscale è gestita unicamente dal Governo centrale.

Milano. Cronache dell’abitare di Multiplicity.lab

Milano è oggi un campo di osservazione involontario della complessità di pratiche che riguardano l’abitare contemporaneo. Per differenti motivi, infatti, è diventata la città italiana dove convivono la sperimentazione di nuovi e diversi modi di abitare e, contemporaneamente, un accresciuto disagio abitativo. Come si vive oggi a Milano? Chi cerca casa? E che tipo di casa viene cercata? Per provare a rispondere a queste domande, Multiplicity.lab ha organizzato in ottobre 2005 il laboratorio itinerante I tre giorni dell’abitare: sopralluoghi, incontri, visite guidate nei luoghi dell’abitare a Milano. Incursioni in sedici luoghi emblematici della vita quotidiana raccontati da chi li vive, commentati da osservatori, esperti e narratori. I tre giorni dell’abitare costituiscono la prima tappa del progetto Milano. Cronache dall’abitare*. Questo si costituisce come un campo aperto di raccolta di testimonianze, racconti e immagini sui nuovi modi di abitare a Milano; una rete di operatori, ricercatori ed osservatori;

Un’opinione di Carlo Aymonino

Abbiamo chiesto a Carlo Aymonino di esprimere il suo punto di vista sulla possibilità che la residenza determini oggi la forma della città contemporanea e sulla possibilità che sia luogo di nuove sperimentazioni tipologiche, come avvenne per il Quartiere Monte Amiata al Gallaratese negli anni ’70. Queste due questioni riguardano le trasformazioni in atto nelle città, in particolare nelle metropoli. Da almeno quindici anni assistiamo infatti a un rimescolamento delle funzioni con l’estendersi del terziario e il diffondersi di punti di incontro,


FORUM GLI INTERVENTI

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siano essi di lavoro o di svago. Nel senso che oggi è difficile – almeno nei luoghi più o meno centrali – identificare delle zone monofunzionali come la residenza o i centri direzionali di cinquant’anni fa. Non a caso il gruppo che formulò il Piano Regolatore di Roma del 1964 articolò i quattro centri direzionali previsti in altrettante zonizzazioni periferiche, che ancora oggi non sono state saturate e che rivestono un’importanza strategica in gran parte ancora in atto. Ecco, l’ispirazione di quell’ipotesi si è diffusa in tutto il mondo cambiando radicalmente la struttura di previsione delle grandi città. Non più infatti un disegno unitario di lunghissimo periodo, ma

un’articolazione in più centri, diversificati territorialmente ma non funzionalmente. Un’ipotesi che Londra sta praticando da almeno cento anni e che il Gallaratese aveva in parte anticipato. Tutto ciò è stato possibile – materialmente – grazie alla proprietà unica e all’affitto interamente diffuso, due “qualità” non indifferenti. Nei vari giri del mondo da me compiuti, il ricordo che più assomiglia alla città futura è il grattacielo di duecentoventi metri di Shangai, con ai piani terreni il commercio, poi uffici sino a centodieci metri, infine l’Hyatt Hotel nei centodieci metri restanti e in cima tre ristoranti; la residenza? Può sistemarsi dove vuole.


Le fotografie che illustrano il Forum sono ad opera di Chiara Besozzi e sono state scattate appositamente per il tema di questo numero, ritraendo diverse sfaccettature di un unico soggetto: architettura, città e residenza a Milano.

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Nuovo complesso residenziale, via Rubattino, Milano.

un sito internet dove raccogliere informazioni, immagini, desideri, richieste, per costruire un atlante degli spazi, dei soggetti e dei nuovi stili di vita. L’indagine sviluppa tre filoni di ricerca: “abitare difficile”, “abitare temporaneo” e “abitare insieme”. La Milano dell’‘abitare difficile’, del disagio e del degrado, è una Milano nascosta, che emerge solo attraverso i fatti di cronaca: sgomberi, criminalità, incidenti. Questa città non riguarda solo una minoranza – gli homeless, gli immigrati non integrati: oggi il disagio abitativo si allarga ovunque, penetra anche nei condomini del centro e nei palazzi attorno alla circonvallazione, dove giovani coppie e anziani soli non riescono a pagare l’affitto. Molti degli abitanti di Milano sono temporanei. Non cercano una casa per mettere radici, ma un alloggio per un periodo a termine. È una temporaneità legata ai diversi cicli della vita (studente, lavoratore, anziano, malato), ma anche alla fragilizzazione della famiglia, alla mobilità e

flessibilità nel lavoro, ai ritmi crescenti e accelerati della globalizzazione e delle nuove professioni nei campi della moda, dell’editoria, del design, della ricerca sanitaria. Chi cerca casa non cerca più soltanto la qualità dell’alloggio, ma anche la qualità dell’ambiente spaziale e sociale circostante la sua casa. Negli ultimi anni sono nate a Milano sia comunità chiuse in cui proteggersi, sia comunità meticce dove culture e stili di vita diversi si incontrano. Luoghi dell’abitare collettivo, che attraggono gruppi di individui simili o creano relazioni tra individui diversi. La crisi abitativa mostra come il problema non stia solo nella domanda, per quanto questa sia sempre più difficile da leggere e interpretare, ma anche nell’offerta: inesistente o insufficiente per le fasce povere, “fuori misura” per i redditi medi e medio-bassi. A non trovare oggi una risposta abitativa al loro bisogno non sono solo le “nuove” popolazioni di stranieri immi-


FORUM GLI INTERVENTI

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Palazzi residenziali, via San Marco, Milano.

grati. Il problema sta cominciando a interessare anche porzioni di popolazione che, fino a pochi anni fa, vedevano soddisfatta la loro domanda entro le politiche residenziali pubbliche, oppure spostandosi all’esterno della città, o ancora con forme di locazione a basso costo. Senza considerare le popolazioni che per cicli annuali o periodi brevi risiedono a Milano, come gli studenti universitari, i parenti dei degenti in ospedale. A partire da un’indagine sull’emergenza abitativa, la ricerca Milano. Cronache dell’abitare, vuole aprire una nuova fase di riflessione e dibattito sull’abitare la città nella sua dimensione urbana e sociale, rappresentando anche le forme innovative di reinvenzione tipologica e di soluzioni abitative. Le aree d’intervento e trasformazione che saranno osservate non sono solo le grandi aree dismesse e i grandi progetti privati, ma anche i piccoli interventi autogestiti come la reivenzione degli spazi ex commerciali e delle ex portinerie nel tessuto storico lungo

i bastioni, gli ex spazi artigianali e industriali e le case di ringhiera nella periferia storica, o ancora le torri, le palazzine e le cascine-condominio delle imprese private lungo i Navigli, gli esperimenti di edilizia sociale e convenzionata. Scopo della ricerca è contribuire alla redazione, in collaborazione con le altre ricerche sul tema in corso, di un “atlante” della condizione abitativa a Milano. Un atlante che non solo si proponga di dar conto dell’universo articolato ed eterogeneo dei modi di abitare a Milano, ma che possa anche essere utilizzato per progettare e sperimentare nuove politiche abitative. * Indagine sulla condizione abitativa a Milano promossa da Unidea-UniCredit Foundation e dal Dipartimento di Architettura e Pianificazione, a cura di Multiplicity.lab, in collaborazione con Naga (Associazione volontaria assistenza socio-sanitaria e per i diritti di stranieri e nomadi onlus), con l’associazione civica ChiamaMilano e AIM (Associazione Interessi Metropolitani).


Edifici per abitazioni, via Ludovico il Moro, Milano.

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Periferie ferite

a cura di Irina Casali, Martina Landsberger e Caterina Lazzari Pubblichiamo di seguito alcuni estratti di articoli usciti sulle principali testate italiane in occasione della rivolta nelle Banlieues parigine. Beppe Sebaste, L’inferno delle “banlieues”, “l’Unità”, 7 novembre 2005 “Non c’è solo il muro, drammatico, che divide Israele dai frastagliati territori che lo circondano, abitati da palestinesi, ma soprattutto da poveri. Ci sono muri nelle nostre città, in Francia, in Italia, in Europa (…) Ogni parigino sa la spaccatura tra il mondo di chi vive in città e chi ne è rigettato al di fuori (…) Ma [i protagonisti della rivolta] vengono da una non-città, un immenso non-luogo che non ha nulla della neutralità commerciale, pure orrenda, di chi ha fondato questa nozione per coprire una pluralità di spazi, dagli sportelli bancomat ai parcheggi sotterranei alle hall degli aeroporti. Vi sono non-luoghi in cui migliaia di persone abitano, sognano, si svegliano, spesso non lavorano e non vanno a scuola (… ) Da troppo tempo si rimuove il disagio sociale e umano di queste aree dominate da immensi parallelepipedi con finestre (…) ma anche la rabbia di chi (…) le abita senza orizzonti né redenzioni (…) È compito della politica pensare (…) a cosa significhi abitare e alle condizioni di vita a partire dalle quali la legalità è condivisibile da tutti. Altrimenti (…) ‘Voglio dirvelo fuori dai denti: io scendo all’inferno e vedo cose che – per ora – non disturbano la vostra pace. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi (…) Non vi illudete. Voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la vostra bella etichetta’ (…) Non le ha dette un abitante delle banlieues di Parigi, ma Pier Paolo Pasolini nell’ormai celebre ‘ultima intervista’ con Furio Colombo (1.11.1975)”. Gabriele Romagnoli, Periferie. Nell’astronave dei nuovi alieni, “la Repubblica”, 11 novembre 2005 “Le capitali del nuovo mondo sono un insieme di compartimenti stagni, non vasi comunicanti, ma imbuti che fanno uscire qualche goccia dai bordi al centro, mai viceversa. Campagne e città hanno, nel tempo, concluso qualche baratto umano,

centro e periferia funzionano a senso unico. (…) Ha scritto Rossana Rossanda sul ‘Manifesto’ che ‘la città europea è gerarchica’. Forse è di troppo l’aggettivo ‘europea’. Le città di tutto il mondo sono gerarchiche, la sola differenza è che in talune il punto più elevato della scala non coincide con il centro, l’ordine si fa asimmetrico (come la strategia bellica e il pensiero dominante) ma sempre ordine resta (…) I centri di Parigi e Roma, ma anche Torino e Bologna, hanno poco in comune. Le periferie, molto. Esiste un progetto condiviso, come se un Grande Architetto le avesse disegnate tutte quante”. Marc Augé, I giovani delle banlieues rivendicano il loro essere francesi, intervista di Monia Cappuccini, “Liberazione”, 11 novembre 2005 “la banlieue non è un nonluogo, bensì il loro luogo. Il posto dove vivono, dove comunicano con il loro linguaggio, con il loro modo di essere e di vestirsi. Ma la banlieue è vissuta anche come un luogo di chiusura, e le strade per uscirne non sono sufficientemente aperte. Ciò che questi giovani rivendicano è sentirsi francesi, e che anche la Francia finalmente li consideri tali (…) Hanno l’impressione di fare parte della Francia senza esserne però parte; non è la banlieue ma la Francia intera ad essere percepita da loro come un nonluogo”. Edgard Morin, intervista di Pietro Del Re, “la Repubblica”, 13 novembre 2005 “Di soluzioni ne esiste una sola: l’integrazione sociale che passa attraverso un profondo piano di riforme non solo economiche, ma anche morali e politiche (…) Ma per ricominciare daccapo bisognerà prima gettare le basi di un nuovo modo di condividere, o se preferisce, di una nuova civiltà”. André Glucksmann, Banlieue: gli incendiari che odiano se stessi, “Corriere della Sera”, 14 novembre 2005 “La fiammata nichilista non risparmia gli incendiari (…) Sono suicidi sociali ed esistenziali che costruiscono per sé un avvenire di ceneri e macerie. No future. Odio di sé e odio degli altri procedono di pari passo. Si chiama logica dell’odio. ‘Brucio dunque sono’ (…) I ministri, la stampa estera diagnosticano uno scacco all’integrazione. E se fosse esattamente il contrario? Gli immigrati di prima generazione non appiccavano il fuoco alle loro baraccopoli, ben più misere delle attuali ‘zone sensibili’. I loro figli sono francesi e si comportano da francesi.

L’incendio delle banlieues è indice di un’integrazione compiuta (…) resta da stabilire a quale Francia appartengono gli incendiari nichilisti (…) Più distruggi, più conti, più sarai rispettato (…) Gli incendiari sono integrati, ma in un Paese attraversato da venti d’odio”. Arnaldo Bagnasco, Parigi brucia, “Il Giornale dell’Architettura”, n. 35, dicembre 2005 “Il problema delle periferie – che possono anche essere nel centro di una città – prima di essere pensato nello spazio fisico deve esserlo nello spazio sociale. (…) Il primo [fatto] che entra in gioco per spiegare quanto succede nelle periferie parigine è la crisi economica (…) Il secondo (…) è la promessa di cittadinanza sociale non mantenuta (…) Le organizzazioni mafiose, la delinquenza, l’economia criminale che a volte fioriscono nelle banlieues spiegano più dell’Islam la formazione di un brodo di coltura per l’esasperazione e la rivolta”. Furio Colombo, La prossima volta il fuoco, “l’Unità”, 7 novembre 2005 “Basta abbandonare al degrado e all’isolamento, sia culturale che fisico, parti intere delle comunità cittadine. E prima o poi ci sarà un pretesto tremendo (…) per scatenare la rivolta. (…) Posso raccontare un fatto che ho vissuto nella rivolta di Washington del 1968, divampata (…) nel cuore della capitale. Come a Parigi, erano stati subito incendiati supermercati e scuole, asili infantili e posti di soccorso, ma soprattutto case e negozi neri nella parte nera della città. Robert Kennedy (…) aveva il suo ufficio elettorale nella F Street, vicino a uno dei focolai della rivolta. La sera tardi del 7 aprile, stava cominciando la terza notte di rivolta. Ero a Washington con una troupe della Rai, giravamo (…) usando un’automobile scoperta. (…) L’idea, arrischiata, è stata questa: chiedere a Robert Kennedy di salire con noi nell’auto scoperta e di andare verso gli incendi. (…) Kennedy (…) è salito sull’auto scoperta e (…) siamo andati verso il fronte della rivolta nera (…) Sul fondo le fiamme, di fronte a noi una folla nel buio. (…) Lui è salito sul baule della macchina in piedi. La folla (…) aveva circondato la macchina. Mani si sono protese e hanno preso, da una parte e dall’altra, le gambe di Kennedy sollevandolo sopra un muro. (…) Gli abbiamo dato un microfono. Robert Kennedy non ha parlato di teppisti, (…) ha parlato ‘del vostro, del nostro


dolore’. Ha cercato e toccato tutto ciò che lega, che unisce, che fa eguali. Lentamente il silenzio è diventato un brusio, il brusio si è trasformato in grida isolate tipiche del rituale nero americano: ‘Dillo, dillo. Dì la verità, facci sentire la verità, parla, uomo, dicci le cose come stanno, è così, è così, hai ragione, dillo ancora (…) ripetilo per quelli che non lo hanno capito’. Poi una sorta di grande festa dolorosa e improvvisata intorno a Robert Kennedy che aveva dimostrato di essere uno di loro, non era andato lì a dire che è una brutta cosa violare la legge, ma stava dimostrando che da simili tragedie o si esce insieme o non ne esce nessuno”. Stefano Boeri, Banlieues: perché è sbagliato prendersela con gli architetti, “Il Sole 24 Ore”, 13 novembre 2005 “C’è chi imputa a noi urbanisti e architetti la colpa di aver creato la periferia, realizzando nelle aree periurbane immensi casermoni-dormitorio, senza servizi e spazi pubblici. Eppure ne conosciamo molti di casermoni poveri, ma capaci di imprevedibili riscatti (…) Gli architetti, noi architetti, abbiamo colpe imperdonabili. E la principale è proprio di aver creduto di poter ‘plasmare’ la vita, i gusti, i desideri. Ottusa presunzione di onnipotenza che ci ha portato a trasformare utopie personalissime in macigni di cemento armato. Ma è così difficile capire che ogni qual volta ci si accusa di aver generato – da soli – i mostri del degrado urbano non facciamo che alimentare questa presunzione? (…) Come se non fosse più salutare riconoscere finalmente la marginalità della nostra azione nelle società della moltitudine. (…) La verità è che nelle città europee sta crescendo una vera e propria ‘Anti-città’. Migliaia di persone, giovani, coppie, anziani, tagliati fuori dalla vita culturale, dagli scambi economici, dalle relazioni isituzionali (…) Una Anti-città che scopre a sue spese che la mobilità sociale – come quella residenziale – è un miraggio (…) Gli anticorpi contro la diffusione di una Anti-città non stanno in una generica terapia ‘antiperiferie’. Sono invece politici. Politiche sono le leggi che disciplinano il welfare, gli incentivi alle famiglie, la redistribuzione dei redditi. Politica è la sfida di un governo delle città

europee che – da Parigi a Napoli – sembra aver perso la bussola”. Franco la Cecla, Ma le periferie sono frutto di una precisa ideologia, “Il Sole 24 Ore”, 20 novembre 2005 “Le periferie nostre, le banlieues parigine (…) sono frutto di una cultura progettuale elaborata da una classe intellettuale di progettisti che avevano una precisa ideologia (…) Fedeli a una lettura operaista, architetti e urbanisti pensavano che l’abitazione fosse, in chiave lecorbuseriana, il luogo dove la classe operaia potesse riposarsi del duro lavoro di fabbrica. Insomma dormitori più o meno funzionali (…) Solo che, guarda caso, gli operai sono scomparsi con le fabbriche e si è fatta avanti una nuova situazione: immigrati attirati e chiamati a sostenere città ormai prive di giovani e manodopera (…) Per le città europee non c’è altra speranza economica che diventare mosaici multietnici che rivitalizzano magnifici centri storici abbandonati con una linfa diversa (…) A Barcellona [è stato assunto un modello] di città mosaico dove il primo problema non è la residenza, ma la bottega, il tessuto dei microesercizi dove si installano gli immigrati (…) Le periferie – o i centri degradati – scoppiano perché sono parte di una città morta come modello. La sicurezza è possibile solo dove c’è vitalità (…) Gli architetti sono marginali? Come dire che rispetto alla salute i medici sono marginali. Certo, se smettono di comprendere il presente e l’ambiente in cui vivono sono solo dei falliti”. Perché il diavolo abita in periferia, intervista a Massimiliano Fuksas di Pasquale Chessa, “Panorama”, 18 novembre 2005 “La Francia aveva bisogno di essere ricostruita da capo a piedi, dopo le distruzioni totali dell’occupazione nazista. Fu scelto un modello moderno, razionale: grandi scatole di scarpe, grandi torri, palazzi quartiere. Fu su quel tessuto che si pensò di ospitare le masse d’immigrati necessari per garantire uno sviluppo capitalistico industriale della Francia postcoloniale. Ma a questo punto qualcosa non ha funzionato (…) Il popolo francese, la classe operaia e la piccola borghesia, insieme agli strati più poveri, ma assistiti, non riescono a convivere con

i nuovi arrivati. Scappano (…) le banlieue assumono un colore monoculturale. Una criminalità diffusa s’installa stabilmente in territori privi di qualsiasi radicamento storico, in assenza di qualsiasi controllo sociale. Un’identità urbana distorta crea un tessuto antropologico aberrante (…) Compito primario dell’architettura è scegliere come far vivere le persone. Rispetto a questo obiettivo l’architettura contemporanea, l’urbanistica multiculturale, la città democratica ha fallito. Per esempio il volume delle case sociali in Francia è inadeguato. La vivibilità, il piacere di abitare è determinato dallo spazio (…) Integrare tutte queste grandi aree in un progetto metropolitano mi sembra una delle scelte possibili. Pensare in grande la realtà del mondo nuovo che abbiamo creato. Serve a ragionare non intorno all’oggetto architettonico, ma a un’idea di megastruttura, che io chiamo ‘gentile’, al di là della città stessa”. Renzo Piano e la banlieue, intervista a Renzo Piano di Curzio Maltese, “la Repubblica”, 22 novembre 2005 “C. M.: Nei giorni in cui la banlieue della sua Parigi bruciava, Renzo Piano lavorava alla nuova sede della Columbia University ad Harlem, il simbolo dei ghetti che sta diventando uno dei motori del rilancio di New York (…) R. P.: Non è una questione di estrema povertà, ma di esclusione, di negazione dell’identità che produce odio. Tutte le città sono egoiste, tendono a trattenere nel centro le attività d’interesse e a relegare le periferie nel ruolo di dormitori. Ma le città francesi sono particolarmente ingenerose nei confronti delle periferie, ridotte a deserti affettivi dove non c’è nulla da fare, nulla in cui sperare (…) È vero, Harlem è in qualche modo la risposta alla banlieue. È successo che la politica ha imboccato decisamente la strada opposta, quella dell’apertura, dell’investimento nel futuro (…) Sarebbe bene troncare questi tormenti da artistoidi e tornare a occuparsi di faccende serie come appunto le periferie. Il mestiere di architetto serve in definitiva a far vivere meglio la gente, non a mettere il proprio segno sul paesaggio. Un architetto deve parlare con la gente, esplorare la città, capire i cambiamenti, altrimenti a che diavolo dà forma?”.

FORUM DALLA STAMPA

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I Portici della Misericordia a Romano di Lombardia.

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Bergamo a cura di Antonio Cortinovis

Modelli di crescita della città in provincia La questione dell’abitare nella sua complessità si è spostata dalle riviste specialistiche di settore e riempie ormai da parecchio tempo le pagine dei quotidiani a tiratura nazionale e provinciale. In provincia di Bergamo la questione della residenza, della crescita della città e della complessiva “qualità” del costruito sono temi, molto sentiti, sui quali si dibatte. Opportunamente si deve uscire da un’analisi di tipo generalizzato, essendo evidente che il problema va affrontato partendo da specifiche realtà sociali, geografiche, demografiche ed in rapporto alla scala d’intervento. In questo ragionamento, mi sento di trascurare la realtà montana della provincia che, per la sua complessa specificità, merita un discorso a parte e mi focalizzerò sulla realtà della bassa pianura bergamasca. Si tratta di una realtà composita, con poche cittadine sopra i 10.000 abitanti, in una zona, specchio dell’Italia del nord, con un passato agricolo, di recente “industrializzazione” ed ancor più “in corso di deindustrializzazione forzata” e che non ha avuto un’impetuosa crescita demografica, mantenendo una propria identità. Ciononostante, la popolazione nei centri urbani di maggiore dimensione, ove sono ubicati i servizi, è raddoppiata dal 1945 ad oggi e con essa sono raddoppiate le città nel loro edificato. Sono presenti, inoltre, fenomeni immigrativi di cittadini comunitari ed extracomunitari e la chiusura di attività produttive che si localizzano all’estero, questioni che pongono dei problemi. L’esempio di Romano di Lombardia, con i 18.000 abitanti di oggi (erano meno di 10.000 nel 1945), può essere interessante per svolgere un ragionamento legato alla città, alla sua crescita e alla residenza. Dotata di norme edilizie sin dal 1800 ha via via aggiornato i suoi strumenti urbanistici, indirizzando la propria crescita secondo un modello che prevedeva la conservazione ed il recupero del centro storico (medievale), ipotizzando una crescita dell’urbano regolata da norme precise ed attente e suddividendo il territorio in zone di destinazione d’uso omogenee. La città ha governato, nel limite del possibile, la crescita urbana garantendo per ogni nuovo ampliamento viabilità, aree verdi, servizi e condizionando, in modo a parer mio positivo, l’immagine complessiva dell’abitato con la scelta di prevedere indici edificabili medi e altezze degli edifici non superiori ai 3 piani. La cosa maggiormente interessante e che merita una riflessione è il metodo usato per far fronte all’emergenza abitativa dei primi anni ’80.

La costruzione di alloggi in quel periodo ha visto impegnati: l’amministrazione comunale con il recupero di edifici pubblici del centro storico per affitto sociale, lo IACP per l’edilizia pubblica e le cooperative locali per la realizzazione di alloggi destinati ai propri soci. Il comune si è assunto il compito di recuperare alcuni edifici di pregio per destinarli a residenza, in particolare l’immobile dei Portici della misericordia, scongiurando un fenomeno di abbandono del centro storico, dando un segnale che in seguito è stato seguito dai privati. Nel contempo le aree destinate ad edilizia sociale sono state individuate in tutto il territorio comunale, frammiste all’edificato, evitando segregazioni. In questi interventi le scelte architettoniche dei vari operatori, con architetture a basso impatto, di piccole dimensioni, sono state determinanti. In particolare tutte le cooperative hanno concentrato la loro attenzione su modelli che a distanza di anni si sono rivelati ancora attuali come le di abitazioni a schiera su due livelli con il tema della corte centrale sul modello delle vecchie cascine rurali, con al centro invece dell’aia un’area a verde collettivo, pedonalizzata, verso cui tutte le abitazioni si rivolgono creando in tal modo uno spazio di relazione tra le abitazioni e gli abitanti. Senza entrare nelle caratteristiche e qualità dei singoli progetti, l’elemento che vorrei evidenziare è legato alla necessità (sotto la spinta incessante degli assegnatari) di rielaborare una tipologia abitativa tipica della vecchia realtà rurale e del centro storico, tentando di attualizzarla, rivisitandola, rifiutando a priori il modello consolidato ed a basso costo della palazzina condominiale. L’emergenza abitativa al momento anche in questa realtà si presenta con gli stessi meccanismi, in scala minore, tipici della grande città: le aree edificabili hanno registrato aumenti di prezzo vertiginoso e conseguentemente sono cresciuti sia il costo degli alloggi che gli affitti ad essi legati. D’altra parte negli abitanti aumenta sempre più la voglia di una casa singola con il giardino ma cresce anche la domanda di alloggi in affitto, da parte degli immigrati, in edifici di basso costo. La sfida che dovrà essere affrontata negli anni a venire sarà legata alla convivenza nella città delle nuove realtà legate all’immigrazione, senza ghettizzazioni ma favorendone l’integrazione, ed al recupero ad uso residenziale degli ambiti dismessi dall’industria, armonizzandoli nell’abitato. Occorrerà intensificare il dibattito ed occuparsi di qualità del progetto residenziale, riportando un’attenzione che oggi non sembra esserci, sia alle idee che all’identità e qualità dei luoghi. Gianfranco Bergamo


Il Piano Particolareggiato del C.I.S. 1. Edifici residenziali realizzati al capo ovest della piazza lineare.

Brescia

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San Zeno Naviglio: il piano, il progetto, la città costruita L’operazione urbanistico-architettonica che l’Amministrazione Comunale di San Zeno Naviglio scelse di effettuare a partire dalla redazione del nuovo P.R.G. (1996), è esemplificazione di un processo di governo del territorio che ha tentato di coniugare la questione dell’abitare con la questione del disegno complessivo della città. La scelta di elaborare un P.R.G. che prevedesse pochi ma significativi interventi risultò risolutiva del problema dell’abitare nella sua accezione più globale: risposta al fabbisogno reale del bene casa, risoluzione dei problemi viabilistici della città, completamento e realizzazione della dotazione urbana di servizi pubblici. Il Comparto d’Intervento Strategico (C.I.S.) n. 1, attuato attraverso lo strumento del Piano Particolareggiato, divenne così il più importante fra questi interventi, non solo per estensione territoriale (178.258 mq), ma per la capacità di incidere sulla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto urbano comunale. Il disegno proposto per il comparto punta alla definizione di una struttura insediativa che, dotata di una propria coerenza morfologica e di una forte identità, sia in grado di dialogare con il contesto al punto di diventare elemento di riorganizzazione funzionale e di riqualificazione dell’intero tessuto urbano che la circonda. Il disegno si basa su due elementi strutturali, il principale dei quali è rappresentato da un lungo viale, con un ampio passeggio alberato centrale, che costituisce una “piazza lineare”, sul quale affacciano edifici destinati alla residenza e superfici commerciali. Questo viale è innanzitutto uno spazio pubblico, un “luogo” collettivo, e nasce con l’intento di diventare un elemento di strutturazione della nuova forma urbana, dotato di una propria identità formale determinata innanzitutto dagli elementi che distinguono le diverse parti in cui è articolato: la “piazza lineare”, gli spazi per il traffico veicolare, i collegamenti pedonali e ciclabili. La piazza lineare si attesta, verso ovest, su un secondo asse viario nord-sud che ha le caratteristiche dimensionali di un viale urbano, determinate dal rapporto con gli edifici residenziali, con il verde di vicinato, con i servizi di interesse collettivo che su di esso si attestano e dalla dotazione di apparati (aiuole alberate, pista ciclabile, marciapiedi, parcheggi). Gli elementi strutturali sinora descritti sono integrati da altri fattori che completano le caratteristiche formali e funzionali del nuovo insediamento: il sistema degli spazi pubblici e il rapporto fra questi e gli spazi edificati. Il sistema degli spazi pubblici è composto da un insieme continuo e articolato, lungo i due grandi viali urbani, di

spazi pedonali, piste ciclabili e verde di arredo stradale, da giardini di vicinato, da un grande parco urbano, dal completamento del centro sportivo con la realizzazione di un nuovo campo di calcio e, non ultimi, dai due nuovi edifici del municipio e della caserma dei carabinieri. Gli spazi edificati sono definiti prevalentemente da edifici residenziali attestati sui due viali e in stretto rapporto con i luoghi di interesse collettivo attraverso il sistema delle piste ciclabili e il verde di vicinato. Lungo il viale nord-sud prevalgono le tipologie “a schiera”, a due piani, mentre lungo la piazza lineare e all’intersezione di questa con il viale sono previste tipologie “in linea”, con portici al piano terra, e “a palazzina”, più adeguate delle precedenti a conferire a questo spazio il necessario carattere di luogo urbano centrale. La qualità dell’offerta di abitazioni e di servizi si completa fornendo ai cittadini un’adeguata e diversificata offerta di abitazioni. Infatti il piano, oltre a prevedere un’articolata offerta tipologica di alloggi, prescrive che gli interventi siano attuati da una pluralità di operatori e con regimi edificatori diversificati. Ciò si traduce nella previsione di una quota pari al 50% dell’edilizia residenziale da realizzare con le caratteristiche dell’edilizia residenziale pubblica, con il prezzo di cessione convenzionato e con la previsione che uno degli edifici in edilizia convenzionata sia destinato alla locazione. Date le dimensioni e l’importanza pubblica che l’intervento riveste, le modalità della sua attuazione diventano determinanti per l’esito e richiedono uno stretto coordinamento fra comune ed operatori privati. Per questi motivi l’amministrazione ha previsto la figura di un responsabile della gestione tecnica, con compiti di coordinamento delle fasi realizzative per quanto riguarda la coerenza qualitativa e funzionale fra i singoli interventi e la garanzia del raggiungimento dei livelli irrinunciabili di qualità edilizia e urbana. Il piano particolareggiato introduce alcune regole con la finalità di specificare le caratteristiche morfologiche, qualitative, prestazionali e quantitative dell’intervento.

FORUM ORDINI

a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli


16 La piazza lineare vista da ovest.

Gli indirizzi e le prescrizioni, seppur limitati, puntano agli aspetti fondamentali per la costruzione del paesaggio urbano: • la tipologia degli edifici e la loro composizione nello spazio urbano; • gli allineamenti planimetrici e altimetrici degli edifici; • i materiali di finitura esterna da impiegare per gli edifici e per la sistemazione degli spazi scoperti pubblici e privati. Le regole del piano particolareggiato prevedono inoltre che alcuni edifici siano sottoposti a “progettazione unitaria” e cioè che, anche in presenza di operatori diversi, questi dovranno coordinarsi al fine di realizzare edifici fra loro coerenti per architettura e particolari costruttivi. A tale riguardo l’amministrazione comunale si riservava di fornire “progetti guida” alla scala edilizia, ai quali gli operatori si sarebbero dovuti attenere adeguando la progettazione esecutiva. Luciano Lussignoli

Como a cura di Roberta Fasola

La residenza nel comasco: stato attuale e prospettive per il futuro Nel tentativo di dare una panoramica reale, sia della situazione attuale che di quella in previsione, relativamente al tema delle residenza nel comasco, si sono appositamente contattate una serie di figure professionali tra cui, per il Comune di Como, l’arch. Antonella Robbiani, responsabile per il centro storico, l’arch. Giovanni Franchi, autore del nuovo Piano dei servizi che sarà ultimato a giorni, l’arch. Ubaldo Castelli, Assessore all’Urbanistica per il Comune di Erba e l’arch. Marco Ortalli, redattore del piano urbanistico, insieme agli architetti Pier Alain Croiset e Chiara Rovetta, per il Comune di Cantù. Sin dall’inizio si è evidenziato come la città storica, con tutto il sistema urbano di espansione satellitare ad esso connesso, assuma un ruolo fondamentale nella determinazione dell’assetto territoriale e del “grado di maturazione” poi raggiunto: negli anni ’70 i piani alti (posti sopra ai negozi) dei suoi palazzi sono stati tutti abitati da immigra-

ti a basso reddito, mentre negli anni ’80-’90 si è verificata una modifica sostanziale di queste proprietà. Da parte pubblica si è avuto un intervento massiccio sulle proprietà comunali di un certo pregio: sono state realizzate residenze qualificate, con unità di varie dimensioni e per differenti fasce di utenze (famiglie, portatori di handicap, anziani, ecc.): è il caso di via Natta e via Vittani o della “casaccia” di via Giovio di proprietà dell’Aler. Gli interventi di ristrutturazione su queste proprietà o su altre (ad es. via Castellini) hanno visto il Comune collaborare, attraverso convenzioni, con l’Aler, la quale, a sua volta, sta seguendo anche interventi di riqualificazione di ex zone industriali dimesse con nuove costruzioni. In un recente passato sono stati realizzati interventi di edilizia sovvenzionata di cui alla L. 179 (programmi quadriennali ’92-’95) in cui la Regione Lombardia interveniva con delle contribuzioni, ad es. i progetti per via Dottesio, Sagnino, Lazzago, Santa Teresa, Cascina Massè o per altre proprietà comunali, per le quali si dovevano garantire per un decennio affitti e canone concordati. Attualmente, nell’ambito della Circoscrizione n. 3 (interessante i quartieri di Rebbio, Camerlata, Acquanera, Prestino, Breccia e Muggiò) sono già in atto una serie di piani attuativi per un totale di circa 830 nuovi abitanti teorici, che si insedieranno nell’arco di dieci anni, andando a soddisfare una parte della capacità insediativa prevista dal P.R.G., oltre che tutta una serie di interventi soggetti a permesso a costruire, con un relativo peso insediativo di oltre 2000 unità. La capacità insediativa teorica prevista in Como risulta essere così suddivisa: • centro edificato: ab. 101.468; • esterna al centro edificato: ab. 9.822; • in P.A. vigenti: ab. 6.494; per un totale di ab. 117.784 (contro una popolazione attuale di 83.000 unità). A livello urbanistico si rileva, quindi, una discreta capacità insediativa in aggiunta ai quartieri storici vivi ed un progetto urbanistico di riqualificazione e valorizzazione della zona periferica, in direzione sud, attraverso interventi edilizi e viabilistici completerà la crescita della città. La popolazione comasca tende sicuramente ad essere più densa nel capoluogo, nei comuni ad esso immediatamente contermini e nelle propaggini di territorio verso Milano, piuttosto che nei comuni di fascia più esterna. Ciò ha portato ad un incremento della popolazione in essi residente, creando quel fenomeno di spopolamento delle valli e delle zone rivierasche del medio lago, meno abitate o depresse. Il P.R.G. di Como, oltre a sottoporre ad obbligo di piano attuativo i comparti classificati come zone B2, B4, C3, D e F parchi urbani, prescrive, attraverso l’apparato normativo, i casi in cui anche in altre zone le trasformazioni urbanistico-edilizie di maggior peso devono essere realizzate mediante il ricorso alla pianificazione attuativa. Il Comune di Como, che fu tra i primi a sperimentare l’edilizia residenziale pubblica nel centro storico, dovrà necessariamente, per le caratteristiche del suo territorio


già portato a conseguenze di forte snaturamento dell’impianto urbano ed architettonico esistente e, pertanto, la risoluzione di questo problema sarà il punto di partenza per un nuovo equilibrio urbano. Il caso di Erba, invece, risulta essere una realtà ancora diversa e per questo particolarmente interessante dal punto di vista urbanistico: essa risulta essere formata da sette distinte frazioni principali che, prima negli anni 1906-7 e poi 1929-31 sono diventati un unico ente amministrativo. Da lì in avanti si è andata costruendo una città anomala: da una parte la città-giardino che si è evoluta in diversi modi a seconda di quelle che erano le origini dei vari comuni con la realizzazione di tutta una serie di ville e villini; dall’altra il mantenersi del centro storico di Erba alta e il riempirsi di tutta la piana con destinazioni prevalentemente commerciali e produttive, nonché di un minuscolo tessuto costruito. R. F.

Cremona a cura di Fiorenzo Lodi

Abitazioni nei piccoli centri storici Sempre più extracomunitari affollano i centri storici, ma con una prerogativa molto importante: sono proprietari degli stabili che occupano e cercano di abbinare, sempre più, l’attività lavorativa del piano terreno con l’abitazione ai piani superiori. Infatti, nel recente rapporto stilato da “Scenari Immobiliari”, risultano protagonisti del 14,40% del mercato immobiliare acquirenti immigrati extracomunitari, con un budget modestissimo di 103mila euro. Questo nuovo evento si avverte maggiormente nei piccoli centri sotto i 15.000 abitanti, dove, il fenomeno dello spopolamento dei centri storici avvenuto negli anni ’70 e ’80, ha avvertito solo in parte il ritorno residenziale negli edifici di maggior pregio architettonico e di maggiori dimensioni. Sono gli stabili di ridotte dimensioni, una o due unità immobiliari, le prime prede dei nuovi residenti. La totale mancanza di servizi alla residenza, come il box macchina, il cortile, il rustico, e altri tipi di comodità e vincoli, come l’accesso dalla via senza marciapiedi, vincoli di facciata, di altezza, condivisione di vecchie murature comuni non risanabili, l’impossibilità di accorpamenti, ecc., hanno portato al completo abbandono di taluni edifici, che, se pur mantenuti in discrete condizioni dai proprietari (manutenzione ai tetti e alle facciate) dettate da condizioni oggettive (confinanti e decoro urbano), non sono risultati appetibili dal vecchio mercato. La residenza nei piccoli centri tende oggi alla ricerca delle

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ormai saturo, continuare a perfezionare questo tipo di interventi di recupero di patrimonio edilizio e comunque di ristrutturazione urbanistica anche a fini residenziali pubblici o convenzionati. Oggi il fenomeno della riqualificazione del centro storico si attua con interventi privati complessivi su intere unità edilizie, sia ad uso abitativo che commerciale e terziario, con forti investimenti economici. La privilegiata posizione della città favorisce i rapporti di interscambio con i paesi europei ed in particolare con la vicina Svizzera. Rispetto alle tematiche territoriali degli anni ’60 e ’70, che prevedevano una diffusione delle diverse attività (industriali, residenziali a terziarie), si assiste all’emergere di una nuova tendenza che si potrebbe definire “riurbanizzazione selettiva”: in tal modo Como riacquista il suo ruolo essenziale di centro di comunicazione interpersonale, di organizzatore territoriale di rapporti intersettoriali, di nodo di informazione strategica. Attualmente, il Comune sta curando la manutenzione ordinaria e straordinaria del proprio patrimonio, manutenzione che viene applicata soprattutto nel momento di cambio di utenza (per lo più straniera) nei quartieri di Rebbio e Camerlata. Con il nuovo Piano dei servizi, attraverso un masterplan, o schema direttore per azioni di piani, si vogliono poi fornire indicazioni per la riqualificazione diffusa della città pubblica, vale a dire di tutte le aree vincolate o ad uso similare, per mezzo di una valenza indicativa delle politiche urbanistiche da adottare dal Comune stesso. Per quanto riguarda la questione abitativa vera e propria, sono state individuate alcune aree, limitrofe al centro storico, per le quali si auspica un recupero urbanistico e dove si pensa di intervenire con un recupero diffuso, anche attraverso l’inserimento di abitazioni sociali. Una caratteristica di questo Piano dei servizi consiste nell’aver inserito un meccanismo che sia in grado di permettere al Comune, attraverso sistemi perequativi e di convenzione con i privati, di acquisire nuove aree che si ritengano importanti per la città e di dotarle sia di nuovi servizi che di nuove unità abitative. Per quanto riguarda invece i Comuni più grandi, si assiste a fenomeni piuttosto diversificati. Nel caso di Cantù, si verifica uno sviluppo notevole della tipologia “villette a schiera” o di piccole palazzine. Un problema specifico di questo Comune è la frammistione esistente tra l’edilizia residenziale e quella artigianale, presente in ogni zona territoriale del Comune, con una tipologia architettonica diffusa molto precisa (la cosiddetta “casa-bottega”) che si configura con un piano terra che solitamente è inferiore ai 300 mq ad uso artigianale, ed un primo piano ad uso residenziale. Negli ultimi anni, entrato in crisi il modello micro-artigianale, si è verificata la cessazione di molte attività con la conseguente necessità di riproporre un nuovo modello. La semplice trasposizione di queste volumetrie, di altissima densità territoriale, in edifici residenziali ed uffici, ha


Vista di un negozio di acconciature (uomo-donna) arabo.

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comodità e dell’abbondanza di spazio disponibile, cosa per altro avvertita in misura minore nelle grandi città, dove gli appartamenti nel centro storico rivestono caratteristiche di prestigio. Questo fenomeno comporta aspetti progettuali inconsueti per un tecnico, mentre per quanto riguarda l’aspetto amministrativo il permesso di costruire viene richiesto e rilasciato tramite procedure inderogabili; il progettista riscopre esigenze abitative del tutto diverse dalle ordinarie, venendo riportato a situazioni tipiche degli anni ’30’40-’50 quando i primo bagni venivano inseriti all’interno delle abitazioni popolari, le camere da letto non erano del tutto distinte dalle zone pranzo e la cucina era il luogo attorno alla quale ruotava la quotidianità. Da un punto di vista sociale la famiglia rimaneva e rimane più unita, ma da un punto di vista igienico sanitario le nostre ASL non sono poi tanto d’accordo. Non ultimo sorge il problema della qualità dell’intervento. I nuovi compratori tendono all’acquisto per evitare il caro affitti, così facendo si impegnano finanziariamente con mutui, garantiti da buone buste paga e da ipoteche sugli stabili, ma così facendo lasciano poco margine all’investimento di ristrutturazione, tanto più che nella prospettiva di chi compra c’è l’intento di promuovere un’attività commerciale a surrogato del lavoro in essere. Per tanto il tecnico progettista si ritrova a fare i conti con scarsità di risorse, sia per sé che per l’intervento. Questo cosa comporta? Principalmente due fattori: il primo è che l’extracomunitario va alla ricerca di tecnici disposti a sconti considerevoli, il secondo che il tecnico rischia interventi al limite della sicurezza. La responsabilità di queste pericolose conseguenze va principalmente attribuita alla mancanza di educazione all’acquisto per importi considerevoli e a rate. Gli istituti di credito valutano solo ed esclusivamente la capacità di rientro economico sui prestiti elargiti, garantendosi tramite ipoteche e prelievi diretti dalle buste paga. Gli effetti talvolta arrivano al limite, tanto che il soggetto acquirente non ha eppure i soldi per pagare gli oneri e potere ritirare il permesso di costruire. Non tutti i casi sono simili, ma ultimamente emerge, a compendio, il fenomeno del “cugino”; sono tutti cugini e chi è presente sul territorio da circa 8-10 anni, pensando di avere assimilato i canoni economici occidentali, consiglia i nuovi arrivati ad investire nell’acquisto, “tanto la rata è pari all’eventuale affitto…”. Anche se l’espressione può considerarsi esatta, i soggetti non dispongono successivamente di capitali atti alla ristrutturazione o riqualificazione dell’immobile, come da noi intesa, e cercano semplicemente di adattare l’edificio ad una momentanea residenza. La cultura del “compro oggi e pago domani, dopodomani, ecc.” è presto assimilata: la televisione bombarda continuamente con messaggi di questo tipo e fa apparire la cosa come fondamento portante e consueto negli acquisti; niente di più falso! Al contrario l’iter procedurale per il rilascio del permesso di costruire, dei pareri ASL, del piano

di sicurezza, dei collaudi e delle certificazioni degli impianti, appare come cosa burocratica necessaria solo per non essere disturbati durante i lavori, pressoché inutile nei suoi concetti di sicurezza e quindi non necessaria (per guidare la macchina ci vuole la macchina non la patente). Concludendo, si rende necessario che la nostra società vigili e intervenga sulle forme legali di sfruttamento, promuova attraverso gli organi periferici dello Stato, non solo corsi di lingua italiana, ma quel senso civico di collettività integrata al fine di informare e insegnare quelle regole che ci permettono di fregiarsi del termine “civili”. F. L.

Lecco a cura di M. Elisabetta Ripamonti

Intervista ai sindaci di Galbiate e Oggiono Il tema della residenza risulta d’interesse primario e costituisce l’elemento principale di caratterizzazione anche nei nostri comuni di provincia, passati indenni da interventi di edilizia residenziale “griffata”. Si è cercato di capire se, e come, la residenza sia riuscita a riqualificare i vari comuni attraverso un confronto con le amministrazioni locali in particolare con due sindaci, che con l’occasione ringrazio: Livio Bonacina di Galbiate e Pietro Riva di Oggiono. I due paesi sono tra i primi 90 comuni di Lecco in termini di residenti: 8.600 a Galbiate e 7.900 ad Oggiono, entrambi con circa 3.000 famiglie. La morfologia del territorio, così diversa ed articolata nella provincia, ha influenzato lo sviluppo residenziale e le scelte urbanistiche. Galbiate, con un territorio comunale che si estende per circa 16 km quadrati dalla sommità della collina ai due laghi (Lecco e Oggiono), ha scelto di compattare lo sviluppo residenziale concentrandolo nei pochi ambiti che il territorio rende facilmente utilizzabili per insediamenti residenziali mentre Oggiono, con i suoi 8 km quadrati ha scelto, per ovvie ragioni di densità edilizia (1.007 ab/kmq contro i 535 ab/kmq di Galbiate), di espandere lo sviluppo su tutto il territorio comunale. Come è cambiata la richiesta di residenza da parte dei cittadini? Risponde il sindaco di Galbiate: le famiglie richiedono appartamenti decisamente diversi, si è passati dai 160 mq per quattro persone durante il boom economico, ai 100 mq degli anni ’80, sino ai 70 mq attuali. Oltre all’aspetto economico consideriamo il fatto che la struttura della famiglia è cambiata causando un forte calo demografico.


Come si concilia la tutela e la salvaguardia ambientale con la richiesta di nuove case? La conformazione del nostro comune, spiega Bonacina, ci rende molto attenti a questa problematica: gli interventi localizzati sulla sommità della collina hanno un impatto ambientale notevole. Abbiamo agito in due direzioni: il regolamento edilizio vieta di costruire più di tre piani, inoltre si tende a sviluppare i nuovi insediamenti verso valle, lasciando le attività legate all’agricoltura, sulla parte sovrastante. Negli anni del boom economico si era meno sensibili a queste problematiche, le priorità erano, purtroppo, diverse. L’intento è proprio quello di evitare realizzazioni a monte come è, invece, accaduto per New city, palazzina a diversi piani visibile da molto lontano. Qual è l’approccio all’emergenza extracomunitari? Questi, spiega il sindaco di Galbiate, tendono a occupare vecchi nuclei lasciati liberi da proprietari che scelgono nuove aree. L’intenzione dell’amministrazione comunale, divenuta proprietaria di Villa Bertarelli, è di trasformarla in un centro di accoglienza, anche per studenti, quando si avranno a disposizione le risorse finanziarie. Anche ad Oggiono questi nuovi residenti stranieri alloggiano nel centro? Il sindaco registra una diversa situazione e distingue due tipologie di extracomunitari: quelli che si stabiliscono nel comune con la famiglia con un progetto di permanenza e quelli che vi alloggiano soli. Alcuni dei primi sono stati accolti nelle case ad edilizia convenzionata mentre i secondi si adattano a condividere alloggi anche poco confortevoli, per usare un eufemismo, con molti connazionali. Questo secondo fenomeno è, fortunatamente, poco presente. La serie di servizi che si sono forniti negli

anni ha diminuito le diversità senza conflitto. Certo, una volta risolto il problema delle residenze, si dovrà affrontare quello degli spazi pubblici trovando una modalità di convivenza. Come si sono utilizzati i fondi che la Regione ha stanziato per gli interventi in edilizia residenziale? Il fatto che solo il 40% del contributo venga erogato dalla Regione, risponde Bonacina, rende difficoltoso reperire i rimanenti fondi. Un vincolo di destinazione a lungo termine imposto dalla Regione non risponde, inoltre, alle esigenze di flessibilità della domanda residenziale. Diversa è la situazione di Oggiono che ha, invece, utilizzato tali fondi per la realizzazione di alcune case ad edilizia convenzionata. Cosa pensa della commistione tra aree produttive e residenziali? Galbiate registra un minore sviluppo produttivo con poche attività dismesse, mentre Oggiono vede la presenza di un maggior numero di attività la dismissione delle quali, a volte, crea disagi e problemi di riconversione. Questa modalità di localizzazione produttiva è una nostra caratteristica con agi e disagi che la situazione comporta, spiega Riva. Quali sono i programmi comunali in termini di residenza? Sono in fase di approvazione, risponde Bonacina, le linee guida d’indirizzo strategico richieste dalla nuova legge regionale. L’intento è di cercare di compattare il territorio andando a occupare le aree interstiziali tra gli insediamenti già esistenti pur mantenendo l’identità e la storia dei singoli nuclei. Si è scelto di non invadere altro territorio e di mantenere parecchie aree verdi; lo sviluppo residenziale sarà prevalentemente verso valle. Il nostro comune, spiega Riva, ha visto negli anni, oltre che il recupero del centro storico, un’espansione di edilizia medio alta verso la zona collinare. Abbiamo in programma interventi consistenti di edilizia convenzionata nei prossimi 5-6 anni nella zona pianeggiante. Questi nuovi 200 alloggi per circa 1200 persone creeranno un indotto notevole e si dovranno adeguare scuole e viabilità. Cosa auspica per il futuro? Mi auguro che i progettisti sappiano utilizzare i parametri della bioarchitettura, afferma il sindaco di Galbiate, e creare residenze non solo più confortevoli ma anche in grado di salvaguardare l’ambiente. Il sindaco di Oggiono spera che in futuro si sappiano presentare proposte che ben si adattino alla presenza sul territorio non solo di ambiti paesaggistici da tutelare ma anche di nuclei preesistenti da rispettare. M. E. R.

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Cosa accade nel centro storico e nei vecchi nuclei? Oggiono, afferma il sindaco, si è configurato come un centro rispetto ai comuni limitrofi grazie alla presenza, non solo di servizi essenziali, ma anche di offerte di aggregazione diverse con il nuovo centro sportivo vicino al lago. I prezzi delle case sono lievitati e la sensazione è che il problema sia divenuto consistente. Abbiamo finalizzato gli sforzi al recupero del centro storico intervenendo in maniera rilevante per qualificarlo scongiurandone l’abbandono e cercando di recuperare standard adeguati. Consapevoli che il pubblico esercizio “sotto casa” possa creare problemi di convivenza, abbiamo cercato di rendere detti esercizi rispondenti a parametri conciliabili con la prossimità alle abitazioni. Questa politica è risultata vincente. Alla gente piace muoversi a piedi, l’importante è che vi siamo parcheggi pubblici a disposizione: Oggiono ne ha circa mille nella zona centrale ed altri 150200 si realizzeranno nei prossimi 2 anni nell’area circostante. L’aver ragionato in convenzione con i privati è risultato fondamentale, stante la ristrettezza di fondi a disposizione, per la valorizzazione del nostro centro storico.


Una cascina nel verde del lodigiano.

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Lodi a cura di Antonino Negrini

L’articolo è stato redatto dai colleghi Antonio Devizzi, che ha già contributo alla rivista con il numero dedicato alla direzione lavori, e Ferdinando Vanelli; entrambi svolgono la libera professione occupandosi di progettazione, direzione lavori ed urbanistica. Li ringrazio per la loro disponibilità. A. N.

Dalla casa rurale ai nostri giorni Premessa indispensabile al tema per il territorio della provincia di Lodi “Where is Lodi?” Si domanda di questi tempi con non celato sarcasmo e con tipico humor britannico la stampa finanziaria anglosassone. Lo scandalo è stato pesante e a noi non interesserebbe più di tanto se la B.P.I. (Banca Popolare Italiana) non fosse stata presa dalla “sacra auri fames” del mattone e con la connivenza certamente di qualcuno, non fosse caduta in una vera e propria “Mani sulla Città”. Palazzoni con super vasche idromassaggio che, invece di calmierare il mercato, tolgono al ceto medio, impoverito da una sfrontata politica economica del governo centrale, e agli extracomunitari, con voto italiano già in tasca, la possibilità di accedere al bene casa. Tra tanto privato nessuna ipotesi di una Edilizia Residenziale Pubblica. In questo clima la B.P.I., ben lungi dal movente “popolare” del suo fondatore Tiziano Zalli che nel 1902 edificò le prime case popolari a Lodi, incarica l’architetto Mario Botta di disegnare, sul sedime dell’ultima grande realtà storica ed economica esistente ancora nel tessuto urbano, un grande intervento residenziale. Il tutto con un brutto segno e un brutto disegno, con una vocazione alla verticalità senza il minimo interesse per il genius loci e non pensando che qui siamo in presenza di una città piatta. Ben vengano a Lodi i “bei nomi dell’architettura”, c’è sempre da imparare, quando però lascino segni indelebili ed importanti per l’architettura e non siano solo alle dipendenze del potere, ma anche della cultura. La vera rivoluzione per il nostro territorio inizia nel 1220, quando monaci e municipalità aprono il canale Muzza per ricevere “liquido vivificatore” con grande edificazione di manufatti idraulici, con la distribuzione delle acque erogate dalla Muzza con la funzione di bonificare un territorio paludoso e a grandi boschi. Questa trasformazione del territorio si concluderà verso il XVI sec., quando il Lodigiano vedrà nascere la grande azienda agricola di stampo capitalistico. Rimangono ancora qua e là i monumenti sparsi di epoche passate: i castra, i monasteri, le abbazie e le stupende ville settecentesche

unite da una fitta rete di strutture viarie interpoderali che legano la più nobile e tipica architettura lodigiana: la cascina a corte chiusa. Una new-town con una sapienza che nasce dai bisogni e in equilibrio sapiente con il duro lavoro da parte dell’uomo. Ma in termini insediativi la vera rivoluzione nel periodo post-bellico avviene quando l’introduzione della fertilizzazione e della meccanizzazione creano un surplus di manodopera nel mondo agricolo, producendo un vero esodo dalle campagne verso realtà già industrializzate (Milano soprattutto). Ciò provoca in primo luogo il fenomeno del pendolarismo pesante. Alla fine degli anni Sessanta, con l’entrata in vigore della legge sulle aree depresse, inizia la diffusione sul territorio di fabbriche spesso o quasi sempre estranee al nostro tessuto. Contemporaneamente il potere d’acquisto da parte di alcune famiglie di contadini è tale che alcune abbandonano le cascine per il comune di pertinenza. Insieme alla fine della cascina inizia il disordine dell’urbanizzazione del centro del lodigiano, che si sviluppa in assenza di strumenti di pianificazione. Sono gli stessi proprietari a tracciare, come rinati Romolo e Remo, le strade a pettine, formando lotti minimali dove si insediano case unifamiliari dal disegno quasi infantile. Più tardi la pianificazione locale verrà consegnata nelle mani di “lobby” politiche multicolori, tutte di origini milanesi. Un piccolo se pur lieve cambiamento di tendenza avviene nel 1962 grazie all’introduzione della Legge 167, legge quasi rivoluzionaria a favore dei meno abbienti. Dopo pochi decenni la sensazione di un nuovo miracolo rende obsoleta tale legge. Lodi ha nei comuni limitrofi un volano di assestamento. A nostro parere l’introduzione di una nuova 167 si impone un’altra volta sia per l’emergere di una nuova povertà, sia, comunque se ne pensi, per rispondere ai bisogni dell’immigrazione “sana” che ha toccato anche il nostro territorio. Infatti la speculazione sui terreni, sugli oneri e di rimando sulle costruzioni si è fatta troppo pesante portando fuori dal gioco parte della popolazione meno abbiente con un gioco pericolosissimo di mutui altissimi. A partire dagli anni Settanta quasi tutti i paesi si uniformano nelle loro periferie a quanto richiede il mercato: ville, case bifamiliari, case a schiera e, per ultimo, “appartamento in villa”. Ma quello che risulta più irritante è che queste costruzioni vengono inserite in Piani di lottizzazione privati che non riescono a fornire una lettura dell’abitato. Incomincia così anche da noi una scarsa riconoscibilità di ogni singolo paese e la percezione visiva e viabilistica sono annullate. Per attirare l’attenzione si passa al “neo”: neo-rustico, neo-mediterraneo, neocolorismo… sommando pasticci artistici a pasticci architettonici e creando in questa maniera spazi e luoghi irriconoscibili. Ma la corrosione maggiore sul territorio avviene attraverso gli insediamenti industriali, per ultima


Vista del quartiere Lunetta. Gli spazi pubblici.

la logistica che rompe con i suoi novelli dinosauri la ragnatela fragile del tessuto viario anticamente interpoderale. Con questo non vogliamo dire che la nostra area sia alienata e alienante come certe aree metropolitane milanesi. Peccato però, una maggior cura e una maggior cultura avrebbero potuto salvaguardare quello che Emilio Sereni, nel suo famoso Storia del paesaggio agrario italiano, riconosceva come uno tra i territori più belli. Antonio Devizzi e Ferdinando Vanelli

Mantova a cura di Nadir Tarana

Un caso di riqualificazione urbana. Il contratto di quartiere di Lunetta Lo sviluppo urbanistico della città di Mantova è strettamente legato all’espansione residenziale. Il nuovo piano regolatore individua sul territorio comunale 26 nuovi piani attuativi, la maggior parte dei quali a prevalente destinazione residenziale; il 60% della superficie massima di espansione insediativa è infatti destinata alla residenza, mentre in termini di alloggi, l’offerta residenziale nei nuovi piani attuativi è pari a 454.684 mq di slp complessiva, che, espressa in abitanti teorici insediabili, corrisponde a 9.095 abitanti. Se a questo si aggiunge che la capacità residua da lotti liberi e da piani attuativi già approvati corrisponde ad un totale di 3.824 abitanti, si conclude che la capacità insediativa residenziale aggiuntiva ammonta a 12.919. Tale cifra sommata alla popolazione residente (47.820 ab.) porta ad una capacità complessiva per il Comune di Mantova di 60.739 abitanti. Questi numeri quindi definiscono una soglia molto alta che forse non sarà raggiunta nell’orizzonte temporale definito da questo piano regolatore; la residenza continuerà perciò, anche in futuro, a rappresentare la principale ragione di espansione-costruzione della città, e sarebbe quindi ancora più auspicabile che in alcuni di questi piani attuativi, caratterizzati da una particolare posizione rispetto alla città storica e alle emergenze ambientali, si ricorresse allo strumento concorsuale. Un interessante caso concreto di riqualificazione urbana attraverso la residenza è dato dal Contratto di Quartiere di Lunetta, quartiere dormitorio ubicato nella zona a Nord della città, al di sopra del Lago Inferiore. Questo complesso residenziale fu costruito in due fasi: sul finire degli anni ’60 lo IACP realizzò in Lunetta – Frassino, il primo complesso residenziale di 165 alloggi secondo un programma di edilizia economico popolare in base alla

Legge 1 novembre1965 n. 1179. Il sistema costruttivo delle abitazioni era basato su tecniche edilizie e materiali tradizionali. In seguito, dalla metà degli anni ’70 sino al 1985, furono costruite dallo IACP le case a corte previste dallo strumento urbanistico, mediante l’impiego di strutture portanti prefabbricate costituite da telai in cemento armato, tamponamenti esterni realizzati in muratura o con pannelli prefabbricati pesanti di grandi dimensioni, partizioni interne in larga misura costituite da pannelli in cartongesso, manto di copertura in larga parte costituito da lastre di “Eternit”. La scelta di materiali e tecniche edilizie innovative per ottimizzare il rapporto costi, tempi di costruzione e qualità dell’abitare, non ha però dato nel lungo periodo gli esiti sperati, sia per il rapido deperimento dei materiali impiegati, non sanabile neppure con frequenti e costosi interventi di manutenzione, sia per il loro basso livello qualitativo. Inoltre il sistema distributivo degli alloggi a ballatoio, la collocazione delle zone giorno degli alloggi verso le corti e l’alta densità abitativa unita allo scarso grado di isolamento acustico, hanno determinato una situazione di disagio sociale che induce ad un forte turn-over nell’occupazione degli alloggi. Nel 2006 partiranno i lavori di ristrutturazione edilizia, urbanistica ed ambientale del quartiere. I primi interventi edili saranno quelli relativi alla costruzione delle nuove residenze, accompagnati da alcuni interventi di strutture a servizio degli abitanti come la chiesa, il nuovo palazzetto, la ristrutturazione del complesso scolastico, la costruzione del nuovo asilo nido. Il costo complessivo delle opere che coinvolgerà in totale circa 2875 persone, ammonta a circa 41 milioni di euro, di cui 18 finanziati dalla Regione Lombardia. Il progetto di riqualificazione del comparto prevede un intervento di progressiva demolizione di 132 alloggi ubicati negli edifici più degradati e difficilmente mantenibili che costituiscono le case a corte. Si vuole in tal modo eliminare anche il sistema di porticati e sottopassi veicolari, che è un importante fattore di degrado urbano, consentendo allo stesso

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tempo la formazione di un nuovo assetto urbanistico del comparto. La nuova edificazione dei 142 alloggi di edilizia residenziale pubblica è imperniata su 8 palazzine residenziali a corpo scala centrale e su un edificio in linea. I fabbricati di ERP di nuova costruzione saranno conformi alla normativa sull’eliminazione delle barriere architettoniche e realizzati secondo un criterio di moduli dimensionali variamente aggregabili tra loro, in modo da formare alloggi di diversa superficie. La palazzina tipo avrà il piano terreno adibito ad autorimesse e locali accessori e gli alloggi distribuiti su tre piani. Gli edifici saranno realizzati in materiali “tradizionali”, dotati di teleriscaldamento integrato con pannelli solari, che consentirà sia la produzione di acqua calda che il raffrescamento dei locali abitabili. Si otterranno in tal modo un sensibile risparmio energetico e la contabilizzazione dei consumi reali di ogni alloggio. Il Contratto di quartiere prevede anche un finanziamento per la manutenzione ordinaria delle facciate e delle coperture degli edifici conservati, che interesseranno complessivamente 489 alloggi distribuiti su 93 blocchi scala. Particolare importanza verrà attribuita al tema degli “spazi pubblici”, che verranno realizzati con l’obiettivo di qualificare l’iniziativa del quartiere per tutta la città, cercando di promuovere forme di autogestione – imprenditorialità. Il Contratto, infatti, intende anche perseguire una serie di iniziative che fungano da attrazione verso il quartiere di un’utenza esterna: a tal fine è significativa l’introduzione negli spazi ristrutturati della scuola media di un corso di studi dell’Istituto Professionale per servizi Alberghieri e la ristorazione. In conclusione si può affermare come questa esperienza, peraltro ancora in corso di elaborazione, costituisca un esempio sicuramente positivo di trasformazione urbana, anche e soprattutto per i suoi importanti aspetti di partecipazione democratica degli abitanti nella formazione delle decisioni. N. T.

Milano a cura di Roberto Gamba

Milano e la costruzione della residenza Il rinnovamento della città si attua oggi con una diversità di modi, forse maggiore che nel passato. Di questa contemporanea varietà, la costruzione dei luoghi del lavoro, degli uffici, degli edifici pubblici appartiene però tutto sommato ad anni trascorsi. La costruzione di centri commerciali e di elementi per la riqualificazione degli spazi pubblici si concretizza con forme ancora sperimentali, non sempre apprezzate e che appaiono talvol-

ta temporanee o effimere. La residenza invece è costantemente il tema privilegiato della progettualità, dell’imprenditorialità, dell’operatività sociale cittadina. A Milano, in questi anni, essa si realizza con tipologie, forme e in luoghi diversi, attraverso differenti sistemi pianificatori, che autorizzano piccoli e grandi interventi. Questi sono concepiti per soddisfare molteplici esigenze metropolitane, e rispecchiare gli aspetti culturali, finanziari, sociali della città e per determinarne il manifestarsi di altrettanti aspetti costruttivi. Ridotto il numero degli interventi di edilizia popolare, l’attenzione progettuale si rivolge oggi a grandi progetti di riconversione, oppure al recupero diffuso dei sottotetti abitativi. I primi hanno visto la costruzione della residenza fare da connettivo comunque a insediamenti, caratterizzati anche da funzioni produttive o ricreative di altro tipo e hanno riguardato ultimamente importanti aree ex industriali della città, di cui già si è più volte parlato (Bicocca, Ravizza ex OM, Portello, Garibaldi Repubblica, Certosa). I secondi suscitano controversie e incertezze, senza mutare nella sostanza il panorama urbano. La novità è rappresentata: simbolicamente da due concorsi di progettazione voluti dal Comune, in attuazione di quanto previsto dal Programma per l’Edilizia Residenziale Sociale, per quattro più quattro nuovi quartieri. Inoltre, dal processo di costituzione delle Società di Trasformazione Urbana – STU – che costituiscono, per iniziativa dei Comuni e delle Città metropolitane, un modello societario speciale, a partecipazione pubblico-privata, finalizzato alla progettazione e alla realizzazione di interventi di trasformazione urbana, ove si manifesti una crisi o un degrado. Infine dai P.I.I. (Piani Integrati di Intervento) strumenti innovativi per la riqualificazione del tessuto urbano di ogni parte del territorio comunale, approvati nel 2000 con il Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche comunali, in attuazione della Legge Regionale 9/1999. La flessibilità dello strumento del P.I.I. ha consentito di affrontare una pluralità di temi urbani e di questioni urbanistiche, di natura e scala diverse: la trasformazione di recinti industriali, la ricomposizione morfologica di tessuti centrali, l’attuazione delle previsioni di servizi e di spazi verdi, la ridefinizione fisica e funzionale di territori di frangia. In Comune è attivata un’apposita Unità organizzativa, in grado di assicurare il coordinamento e la supervisione delle attività, con competenze tecniche e amministrative integrate. La congruità delle proposte di P.I.I. con gli obiettivi contenuti del Documento d’inquadramento viene valutata presso il Settore Piani e Programmi Esecutivi per l’edilizia, diretto da Paolo Simonetti dai Servizi preposti (Pianificazione Negoziata – Leonardo Cascitelli; Strumenti per lo Sviluppo Urbano – Simona Collarini; Pianificazione Attuativa e Territoriale – Marco Contini; Sostenibilità e Attuazione della Pianificazione – Cristina Guizzetti) e dal Nucleo di consulenza formato da tre esperti. Le illustrazioni presentano alcuni dei progetti approvati.


L’area è ubicata nell’isolato delimitato dal Naviglio Grande, via Andrea Ponti, via Brugnatelli e il canale Olona di deviazione dal Naviglio Grande. Il progetto planivolumetrico è stato studiato con l’intento di realizzare la continuità della cortina edilizia, in fregio a via Andrea Ponti. Il progetto è di Stefano Corigliano.

R. G. Comparto via Grazioli Trasformazione di un’area industriale dismessa mediante la formazione di un nuovo complesso residenziale e terziario, con edifici a corte aperta, che accompagnano lo spazio pedonale che conduce al giardino pubblico di quartiere. Il progetto è di Gabriella Saini.

Pavia a cura di Vittorio Prina

Architettura della residenza e stratificazione urbana

Comparto via Andrea Ponti Trasformazione di un’area industriale dismessa mediante la formazione di un piccolo insediamento prevalentemente residenziale, in una zona già fortemente urbanizzata e dotata di servizi in un contesto misto di residenza, terziario e funzioni artigianali.

Scrissi tempo fa che il carattere prevalente dei principali quartieri residenziali periferici contemporanei in Pavia è di totale assenza di qualità morfologica: corpi in linea, caratterizzati prevalentemente da un linguaggio mimetico, sono disposti senza una logica compositiva urbana. La metodologia fondamentale di intervento progettuale relativa alle periferie urbane deve senza dubbio procedere per stratificazione: di volumi, spazi, percorsi, tra loro connessi a determinare una morfologia ed una forma dello spazio complessi in continuità con l’esistente. Si pensi ad esempio al più volte citato progetto di quartiere residenziale Patrizia a Pavia di Alvar Aalto. La soluzione caratterizzata dalla serie di corpi in linea del razionalismo purista è stata sapientemente trasformata e superata dai migliori progettisti nel dopoguerra: Franco Albini scompone e ricompone l’edificio in linea ruotando

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Comparto via Savona – via Brunelleschi Proposta di variante urbanistica, da industria a residenza che prevede interventi di manutenzione straordinaria di un edificio e di ristrutturazione di un altro. La tipologia a torre è utilizzata per tre nuovi edifici di quindici piani. Nell’area occupata dai capannoni industriali, compresa tra via Savona e la linea ferroviaria (parallela al Naviglio Grande) viene prevista la sistemazione a verde pubblico (volano per la realizzazione del futuro parco lineare S. Cristoforo). Il progetto è di Angelo Bugatti, Paola Coppi, Silvano Molinari, Aurelia Barone, Paolo Vaja.


Giancarlo Carena, Massimo Curzi, strutture Paolo Venini, “Case del sole”, località Frua, Travacò Siccomario, Pavia, 2002-06.

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Le tipologie edilizie previste dal P.R.G. del Comune di Pavia Il Comune di Pavia è dotato di Piano regolatore generale approvato dalla Regione Lombardia nel maggio 2003 e divenuto efficace dalla data di pubblicazione sul BURL, avvenuta il 19 novembre 2003. Lo strumento urbanistico generale prevede tre tipologie di aree oggetto di trasformazione urbanistica e nuova espansione. Dette aree sono denominate: • aree di trasformazione; • aree di riqualificazione esterna; • aree di trasformazione per servizi. Tutte le aree citate sono disciplinate da apposite schede normative, relative ad ognuna di esse, che definiscono i dati urbanistici, l’azzonamento, il planivolumetrico e, per alcune di esse, gli allineamenti degli edifici. parti del volume edilizio stesso attorno ai nuclei distributivi verticali; a Milano Piero Bottoni in corso Buenos Aires, Asnago e Vender in via Lanzone, Luigi Moretti in corso Italia propongono un basso volume di mediazione che riconnette il tessuto urbano mentre l’elemento in linea più alto è arretrato rispetto al perimetro dell’isolato; il prototipo è senza dubbio costituito dall’Immeuble Clarté di Le Corbusier a Ginevra del 1930. La metodologia che persegue la connessione dei corpi alti con volumi bassi più articolati a servizi e negozi, tagliati da percorsi che attraversano gli edifici, è senz’altro vincente e dovrebbe essere adottata anche negli interventi di riqualificazione dei quartieri residenziali storici, che troppo spesso si riducono a manutenzione straordinaria. Esempi fondamentali di sapiente innovazione tipologica e morfologica nella residenza in periferia sono ad esempio l’isolato residenziale a Barcellona di Martorell, Bohigas e Mackay del 1983-87 e il quartiere residenziale Cascina Vica a Rivoli (Torino) di Gabetti e Isola del 1983-86. La stratificazione morfologica, tipologica e dei percorsi di accesso alle residenze secondo una complessa sequenza di spazi pubblico-semipubblico-privato è ampiamente studiata e sperimentata da Herman Hertzberger che ci stupisce ancora con il recente quartiere di residenza popolare a Düren in Germania (1998); stratificazione che è adottata nella complessa soluzione morfologica studiata da Cino Zucchi per l’area ex Junghans a Venezia. La maggior parte delle realizzazioni di edilizia residenziale che costellano la nostra provincia, ad eccezione di pochi eccellenti esempi architettonici, sono costituiti da case a schiera disposte secondo banali lottizzazioni o da sorde palazzine disposte secondo formaliste simmetrie planimetriche a segnare parzialmente il perimetro di un ipotetico spazio “interno”, ma di fatto isolate in uno spazio senza forma alcuna. V. P.

La tipologia edilizia prevista dalle schede normative e derivanti dall’applicazione degli indirizzi urbanistici Le “aree di trasformazione” hanno un indice di edificazione territoriale di 0,6 mq di superficie lorda pavimentata per ogni mq. di superficie territoriale ed è prevista, inoltre, la cessione di aree per destinazioni pubbliche (strade e standard) pari ad oltre il 50% della superficie complessiva del comparto d’intervento. Dall’applicazione di tali dati urbanistici ne deriva l’individuazione nelle tavole planivolumetriche, allegate alle schede normative, di edifici alti dai 3 ai 6 piani a seconda delle caratteristiche della specifica area e del contesto in cui è inserita. Le “aree di riqualificazione esterna”, che come già specificato riguardano aree poste ai margini della configurazione urbana, hanno un indice di edificazione territoriale di 0,2 mq di superficie lorda pavimentata per ogni mq di superficie territoriale ed è prevista, inoltre, la cessione di aree per destinazioni pubbliche (strade e standard) pari ad oltre il 50% della superficie complessiva del comparto d’intervento. Pur essendo in tali aree elevata la superficie in cessione, il basso indice di edificabilità comporta l’individuazione nei singoli planivolumetrici, allegati alle schede normative, di edifici prevalentemente alti 2 piani. Le tipologie edilizie prevalenti sono: ville, ville a schiera, ed edifici in linea alti sempre 2 piani, nei quali possono essere realizzati alloggi posti su diversi piani. In dette aree è stata posta particolare attenzione alla definizione dei margini urbani mediante il disegno planivolumetrico e l’altezza non elevata degli edifici e al rapporto con le aree agricole prevedendo la piantumazione con alberature ad alto fusto lungo il confine con tali aree. Le “aree di trasformazione per servizi” hanno un indice di edificazione molto basso, pari a 0,1 mq di superficie lorda pavimentata per ogni mq di superficie territoriale ed è prevista un’alta percentuale in cessione di aree per destinazioni pubbliche (tra il 75 e il 90%) all’interno del comparto d’intervento.


Nelle stesse le aree di concentrazione dell’edificato (superfici fondiarie) sono state localizzate in prossimità di aree già urbanizzate e prevalentemente sono previsti nei planivolumetrici edifici residenziali alti 3 piani, all’interno di superfici fondiarie di dimensioni contenute. Luciano Bravi

Sondrio a cura di Enrico Scaramellini e Marco Ghilotti

Gianluigi Borromini, Giuseppe Galimberti, Graziano Tognini, Insediamento residenziale in località Campoledro, Sondrio, 1994.

Viaggio alla scoperta dell’identità residua dei luoghi Mi dirigo verso l’Alta Valtellina, percorrendo la Strada statale 38 che da Colico attraversa tutta la provincia di Sondrio; ho lasciato alle mie spalle gli splendidi paesaggi del lago di Como e prima ancora, il territorio urbanizzato della regione milanese, dove i ben noti fenomeni di dispersione insediativa, hanno generato ciò che in più occasioni è stato definito con il termine di città diffusa. È con lo sguardo forse un po’ distratto di un viaggiatore che percorre la più importante arteria di collegamento viabilistico di questa regione alpina che osservo le abitazioni che mi circondano, cercando di cogliere il rapporto istituito dall’uomo con lo spazio. Sia sul piano del buon uso dello stesso e delle pratiche entro le quali la cultura materiale si esprime, sia sul piano del valore attribuito al territorio circostante per il fatto stesso di abitarvi e di svolgervi la propria esistenza. Nel mio viaggio, prima ancora di inoltrarmi nei centri urbani consolidati, attraverso le aree di fondovalle. L’addensamento lungo la strada statale, divenuta ora più che mai strada urbana, configura questo territorio come un’estesa città lineare. Abitazioni originariamente legate all’attività rurale si vedono trasformate in case di abitazioni autonome; piccole imprese industriali o artigianali localizzano la propria casa-capannone in prossimità della strada con il solo scopo di favorire la mobilità individuale ed ottenere maggiore visibilità; gli edifici residenziali, il più delle volte villette monofamiliari, si depositano sul territorio del fondovalle come automobili assolutamente indifferenti al contesto. Così, al totale annullamento del rapporto tra spazio individuale e collettivo ridotto all’infrastruttura di puro collegamento, l’idea di abitare espressa dalla nostra contemporaneità sembra allontanarsi a grandi passi dalla comprensione del delicato legame tra architettura e territorio. Una relazione quotidianamente confusa fra riviste patinate farcite di immagini tradizionali, inconsapevoli caricature che compromettono verità profonde. La risposta più sincera al paesaggio della montagna (perché di

Giovanni Vanoi, Ristrutturazione edificio adibito ad uffici e residenza, Sondrio, 2004.

Simone Cola, Marco Cattone, Maurizio Selvetti, Abitazione unifamiliare in località Mossini, Sondrio, 1997.

questo si tratta) è la semplicità, la ricerca di forme e materiali puri, come da sempre è avvenuto. Le costruzioni devono essere dettate dal loro uso più diretto, sottomesse alla forza della natura. La storia, nei suoi diversi episodi, ha tradotto questa semplicità in espressioni diverse, giuste in relazione ad ogni tempo. Corriamo oggi

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un grave rischio: la perdita di un’alleanza radicata tra l’uomo e la propria terra e questo implica la messa in discussione di un problema di identità. In uno studio del 1988 Angelo Turco (1) avvertiva come fosse difficile risolvere l’angoscia derivante dalla perdita dei luoghi rinunciando alla modernità, poiché la soluzione non risiede nell’individuare nel territorio stesso ed in un suo maggiore radicamento un elemento di riscatto contro la modernizzazione. Al contrario, ancora una volta, va ripensato il nostro rapporto con i luoghi, poiché “quello che è in gioco non è il recupero di un forte sentimento di appartenenza, bensì una sorta di identità residua che i luoghi sono ancora in grado di secernere e che, in un certo senso, va consumata, vissuta, sperimentata, proprio come capacità di adattamento-torsione alla e della modernizzazione” (2). Incontro ora i centri urbani consolidati, il tracciato stradale non è più l’ultimo limite all’edificazione e la strada percorsa, attraversa il tessuto compatto rallentando il proprio flusso. Sullo sfondo dell’edificazione residenziale, che ha caratterizzato le espansioni urbane degli ultimi sessant’anni, il nucleo di antica formazione attende interventi capaci di riqualificarlo. La vitalità del tessuto residenziale sembra infatti sfumata determinandone il progressivo abbandono, in favore di modelli abitativi concordi con le attuali esigenze di mobilità individuale (privata e automobilistica). Dove invece il percorso stradale consente un’osservazione “a distanza” della città questa rivela i suoi bordi sfrangiati, privi di disegno unitario. Pochissimi nuovi progetti di architetture residenziali collettive, anche se concepiti in un piano di edificazione più vasta, hanno avuto la capacità di tracciare un limite all’edificazione che fosse in grado, nel contempo, di ridefinire in modo più convincente il disegno e la forma di parti anche importanti di città. Spesso fenomeni speculativi hanno avuto il sopravvento su obiettivi di lungo periodo che avrebbero consentito di trasformare la brutta antica città di oggi in uno spazio che non ci faccia più rimpiangere il nostro passato. Ma finalmente il mio viaggio sta per concludersi, l’edificazione si fa progressivamente più rarefatta, il pendio prevalente sul fondovalle. In un contesto naturale di questo tipo, sono alla ricerca di forme abitative che fissino con esattezza i rapporti tra l’oggetto architettonico ed il paesaggio. Mi sbagliavo. La maggioranza delle costruzioni residenziali degli ultimi anni portano invece ad uno “stile locale”, che vorrebbe recuperare le caratteristiche peculiari della regione, mentre di fatto si tratta di “localismo” camuffato di malintesa accoglienza e comodità. Nel saggio del 1914 dal titolo Arte nazionale Adolf Loos scriveva: “questa ingenuità affettata, questo ritorno arbitrario a un precedente stadio culturale è indegno e ridicolo. E infatti è un atteggiamento estraneo ai maestri antichi, che mai sono stati indegni o ridicoli. Si veda come si inseriscono bene nel paesaggio le antiche case padronali e le chiese di campagna progettate dagli architetti locali, mentre gli infantili tentativi degli architetti degli ultimi quarant’anni di accostarsi

alla natura per mezzo di tetti scoscesi, bow window e simili grossolane pacchianerie sono miseramente falliti”. Già ai tempi di Loos c’erano gli stessi problemi di oggi e da allora, poco è cambiato. Molte delle architetture residenziali osservate nella fase finale del mio viaggio, non hanno investito in alcun modo nella concezione insediativa e spaziale; ottanta anni di storia dell’architettura sono scorsi invano ed il nostro mestiere sembra essersi ridotto al disegno delle facciate. Assisto così alla crescita di intere lottizzazioni ordinate di case in stile “valtellinese” che hanno in comune con le antiche abitazioni soltanto qualche dettaglio superficiale reinterpretato, ricordando invece quelle del vallese, del Tirolo o della val d’Aosta in una sorta di stile internazionale del vernacolo alpino. Uno stile infatti, interpretato in senso delittuoso da Loos, di ornamento, una sorta di incrostazione sovrapposta all’abitazione concepita e collocata nei luoghi più diversi. Fortunatamente la mia è stata un’osservazione superficiale, dai finestrini della automobile ho colto solo i soggetti in primo piano, la realtà è assai diversa e come in un paesaggio dipinto da Caspar David Friedrich al di la del confine tra terra e cielo nelle nebbie di un orizzonte esteso quanto indefinito si nascondono episodi di architettura moderna capaci di interpretare i luoghi, costruendoli con felici soluzioni spaziali. M. G. Note 1. A. Turco, Verso una teoria geografica della complessità, Milano, Unicopli, 1988. 2. A. Turco, op. cit. già citato in Poetiche dell’abitare, in “Tellus. Quadrimestrale di critica della cultura”, n. 4, gennaio-aprile 1991.

Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni

Architetti senza sentimento né fantasia Il tema di questo numero si presta ad alcune considerazioni che possono essere più o meno condivise dagli addetti ai lavori. E per addetti ai lavori si intendono i progettisti, laureati o diplomati, architetti od ingegneri civili, geometri o periti edili. S’intendono pure i finanziatori delle opere, gli amministratori comunali e provinciali, le Commissioni edilizie, le imprese appaltatrici ed in qualche caso particolare, i funzionari delle Soprintendenze ai Beni ambientali ed architettonici e così via. Gli utenti, cioè i cittadini che “vivono sulle strade” tra le architetture delle città e quelli che “vivono dentro” le predette architetture perché vi abitano,


E. B.

Residenze storiche: risorsa futura Un corretto esame del tema della residenza, con riferimento alla Provincia di Varese, non può prescindere dall’analisi d’alcune circostanze storiche.

La Provincia di Varese, specie nel settore nord, è stata interessata a cominciare dal ‘600/’700 dal sistematico insediamento d’importanti dimore di villeggiatura. Fino allo scoppio della prima guerra mondiale, la fascia prealpina varesina, fu meta “vacanziera” per la nobiltà e, poi, per la borghesia (in particolare milanese). Parchi e ville hanno condizionato fortemente l’urbanistica delle località di maggior pregio paesaggistico e panoramico fino a tempi relativamente recenti. Il patrimonio storico costituito da dimore e parchi nobiliari, spesso siti in luoghi strategici ed in molti casi assunti a proprietà pubblica, rappresenta un’importante risorsa, non solo estetica, ma anche urbanistica e funzionale paragonabile, nonostante i “vincoli” architettonici ed ambientali cui è normalmente sottoposto, al valore strategico che oggi giocano le aree industriali dimesse. La diffusa presenza di villini con giardini di medio/piccole dimensioni realizzati in epoca più recente (dall’inizio del ’900, fino agli anni ’50 e ’60) e deputati a mantenersi in regime di proprietà privata, condiziona in modo decisivo l’uso del territorio e l’immagine architettonica di città e paesi. L’estesa presenza delle tipologie citate condiziona la percezione estetica complessiva del territorio. L’edilizia residenziale è stata caratterizzata, in ogni periodo storico a partire dalla cosiddetta “civiltà di villa”, da specificità tipologiche e stilistiche frutto di multiformi condizioni sociali, culturali e di costume. L’edificio unifamiliare di pregio, “rappresentativo” dello stato sociale ed economico della famiglia di riferimento, si è andato espandendo dal nord al sud della Provincia parallelamente all’innalzarsi, in questa ultima, dello status economico. Il modello che nel nord, inserito in siti di particolare bellezza, soddisfava esigenze di rappresentanza e svago si è poi affermato, nel sud della Provincia, come modello residenziale stanziale di una nuova classe borghese locale arricchitasi con le attività industriali e mercantili. Allo stato attuale interi ambiti urbani, spesso centrali alla città, sono connotati da sistemi di parchi e ville storiche di grande dimensione e qualità che, nel caso di Varese, hanno superficie di centinaia di migliaia di metri quadri e si alternano a fitte trame di piccoli giardini e villini anch’essi spesso di buona qualità architettonica (talvolta ricavati dalla lottizzazione dei parchi più grandi). Da un lato, la città futura non potrà prescindere da questi “vincoli” e non potrà abdicare davanti alla necessità di formulare una corretta interpretazione contemporanea degli estesi parchi e delle grandi ville storiche: un tempo luogo d’incontro e scambio per pochi, oggi risorsa sociale per l’intera comunità; dall’altro, non si potrà sottacere il beneficio ambientale arrecato dai tanti giardini e villini borghesi che, pur non potendo rappresentare un modello di sviluppo sostenibile, potranno riequilibrare l’esigenza di realizzare, nel futuro, grandi densità edilizie residenziali. C. C.

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non sono da considerare addetti ai lavori, ma fruitori od utenti, in qualche caso fortunati ed in qualche caso sfortunati. È inutile spendere parole per spiegare il concetto di fruitori od utenti sfortunati. In diversi comuni, anche della Provincia di Varese, fanno mostra fabbricati residenziali ad uso condominiale, senza alcun requisito di architettura e nemmeno di edilizia decorosa. Da decenni si assiste ad un deterioramento dell’espressione architettonico – culturale, sia nelle lottizzazioni, sia in quartieri e non soltanto in quelli periferici. Con il risultato, fatti salvi alcuni casi di buona fattura, di avere consentito che tutti i sopracitati addetti ai lavori realizzassero volumetrie senza alcuna logica se non quella di portare al finanziatore dell’opera edilizia il reddito determinato da compravendite con prezzi al metro quadrato talvolta stratosferici. Ci siamo più volte meravigliati constatando che ad un’offerta sul mercato edilizio di abitazioni male costruite, corrispondessero atti di compravendita con una tempestività non giustificata se non da un guadagno assai facile del denaro. Anche nei comuni della Provincia di Varese si assiste da tempo a questi fenomeni. Un tempo esistevano gli Istituti Autonomi Case Popolari, la Ges.Ca.L. (Gestione Case Lavoratori) ed altri enti provvisti di uffici che, in alcuni casi, funzionavano assai bene, con il risultato che si realizzavano residenze a basso costo e decorose, in grado cioè di dare soddisfazione agli assegnatari degli alloggi che, per la prima volta, potevano disporre di un proprio appartamento. Purtroppo sono la mancanza di cultura e l’insensibilità di tanti addetti ai lavori le principali cause per cui attualmente esistono alcune città ed alcuni paesi privi di una onesta architettura e con residenze, in qualche caso, senza il minimo di comfort indispensabile agli utenti per vivervi decorosamente. Ricordiamoci di una famosa citazione di Le Corbusier: “Insomma, il contenuto che urge di concretare all’artista, e che solo deve interessare l’osservatore, non è quello oggettivo del tema, ma quello soggettivo dell’artista stesso, ossia la realizzazione libera ed immediata del suo sentimento e della sua fantasia nell’opera d’arte. Questi due contenuti, per lo più indipendenti, possono tuttavia coincidere e fondersi felicemente… L’architettura che dal lato pratico è la più legata alle contingenze umane è, artisticamente, la più indipendente delle arti figurative, la più astratta e sintetica.” Mancano sentimento e fantasia ai nostri tempi?


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Architetture contemporanee da salvare Con l’iniziativa “AI ’900”, la DARC ha promosso la ricerca e il censimento delle architetture più importanti del secondo Novecento presenti in Italia. La catalogazione, che si concluderà nel 2009, ha interessato, fino ad oggi, 15 regioni e 60 province. All’interno dell’ipertrofia edilizia che ha segnato il secondo dopoguerra italiano, l’intento è quello di individuare i capolavori e le architetture storicamente significative, per orientare, in futuro, la salvaguardia del nostro patrimonio architettonico, dal momento che, com’è noto, il vincolo non può essere applicato prima dei 50 anni. Le opere che sono state segnalate come di “rilevante interesse” sono attualmente 1764, 200 quelle come “eccellenze”. Si tratta d’opere pubbliche e private, edifici singoli e complessi urbani, attrezzature di servizio e infrastrutture, che nel complesso rappresentano la cultura architettonica italiana contemporanea. Nel progetto sono coinvolti i dipartimenti di 16 università di architettura e ingegneria che, in accordo con gruppi di lavoro istituiti presso la DARC, si adoperano nella parte tecnico scientifica del programma, finalizzato all’elaborazione di un articolato database; le schede prevedono un nutrito numero di voci per ogni edificio che comprendono anche indicazioni sullo stato di conservazione, immagini, fonti bibliografiche e archivistiche. I risultati del lavoro di catalogazione delle architetture sono finalizzati a permettere operazioni di recupero e intervento da parte delle sopraintendenze che, a partire da queste segnalazioni, potranno decidere incentivi economici destinati alla manutenzione e al restauro; a seconda dei casi e degli obiettivi da conseguire, la tutela si attuerà in modalità che vanno dal vincolo, all’applicazione dei meccanismi previsti dalla legge sui diritti d’autore, fino all’inclusione delle opere all’interno di pubbliche liste di riconoscimento d’interesse. Se, per i beni culturali del passato, la storicizzazione consen-

te un più facile riconoscimento delle qualità artistiche in categorie critiche definite, per il patrimonio recente, la maggior vicinanza all’attualità suggerisce più prudenza: mancando d’una storiografia consolidata, il contemporaneo richiede l’individuazione di criteri condivisi, che orientino il giudizio di valore ed attestino il riconoscimento dell’interesse in linee guida chiare e plausibili. I criteri istituiti per la certificazione di qualità da “AI ’900” sono d’ordine quantitativo (ad es. la ricorrenza bibliografica) e critico (ad es. la capacità d’innovazione tecnologica, rinnovamento di schemi tipologici, soluzione di problemi tecnici o sociali, ecc). Per l’area di Milano e hinterland il responsabile scientifico del gruppo di lavoro, che opera nell’ambito del Politecnico di Milano, è Fulvio Irace in collaborazione con Graziella Leyla Ciagà. Tra gli edifici fino ad ora catalogati nel milanese, sono state segnalate 50 “eccellenze” – di cui 3 già sotto tutela – tra cui: chiesa di Santa Maria Nascente al QT8 di Vico Magistretti; edificio in corso Buenos Aires di Piero Bottoni; case popolari al quartiere Mangiagalli II di Franco Albini con Ignazio Gardella; condominio XXI aprile in via Lanzone di Mario Asiago e Luigi Vender; edificio in corso Italia di Luigi Moretti; stabilimento e uffici della Loro & Parisini in via Savona di Luigi Caccia Dominioni; Torre Velasca e sede della Chase Manhattan Bank in via Hoepli di BBPR; Istituto Marchiondi di Vittoriano Viganò (già sotto tutela in base alla legge sul diritto d’autore, dal 2003); grattacielo Pirelli di Gio Ponti

con Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli, Giuseppe Valtolina (già sotto tutela, dal 1995, in base alla Legge 633/1941 sul diritto d’autore); chiesa Matri Misericordiae a Baranzate di Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti (già sotto tutela in base alla legge sul diritto d’autore, dal 2003); edificio in via Marina di Ignazio Gardella; Quinto Palazzo Snam a San Donato Milanese di Roberto Gabetti e Aimaro Isola; quartiere Bicocca di Gregotti Associati; sede de “Il Sole 24 Ore” in viale Monterosa di Renzo Piano. Si tratta di un lavoro in fieri, ma che ha già prodotto risultati: i gruppi di ricerca hanno lavorato in sinergia con le sopraintendenze regionali, anello di collegamento con il Ministero, producendo esiti significativi – come il caso del quartiere QT8 a Milano, per il quale la soprintendente regionale Carla Di Francesco ha proposto il vincolo ambientale. Irina Casali

La “cà” di Cesare Cattaneo L’Archivio Cattaneo (via Regina 43, Cernobbio, Como; orari: lunedì-venerdì 10-12, visite e consultazioni su appuntamento) ha iniziato la sua attività di studio e sistematizzazione del lavoro dell’architetto razionalista, dal giugno del 2000 con la fondazione dell’Associazione omonima, voluta dal figlio, l’ingegner Damiano Cattaneo, dall’architetto Elena Bianchi e l’archivista Maddalena Cavadini. Oggi, l’Associazione Archivio Cattaneo conserva un migliaio di disegni e schizzi di studio, più di 700 fotografie d’epoca e materiali vari come scritti e plastici; inoltre, sviluppa un lavoro di divulgazione culturale legato alle problematiche architettoniche e territoriali. Siamo sempre stati nella casa d’affitto – progettata da Cattaneo a Cernobbio nel 1938 – come visitatori delle numerose mostre svoltesi negli ultimi anni; ma questa inaugurazione appena trascorsa ci ha restituito una casa un po’ diversa, una casa arredata con tavoli, madie, letti, e insieme i suoi meravigliosi studi appesi alle pareti, lì a

testimoniare la necessità di un’idea prima della materia. Ora, in questa casa archivio, si apre una porta-finestra e ci si accorge che sulla parete a fianco si trova il disegno generatore di quell’elemento, di quella parte d’architettura, che solo attraverso il lavoro faticoso del progetto è diventata composita del tutto. Oppure, ancora, salire le scale rendendosi conto che si sta percorrendo magicamente il disegno del progettista, che nella costruzione del gradino plasma la sezione di quest’ultimo, modellando lo spazio attraverso la continuità della luce per una questione di necessità. Ogni cosa sembra, adesso, essere costruita nello spazio della vita della casa e testimoniata dal lavoro leggibile degli schizzi preparatori che nulla di effimero propongono, ma solo il governo dello spazio e della materia. L’inganno di trasformare quest’esperienza della storia in un esempio isolato o eroico dello spirito avanguardista, o peggio, in manifesto di un nuovo pensiero, è presente in tutti noi. Penso, invece, che si possa guardare a questa costruzione con spirito mite, non più esaltato, bensì con l’attenzione e lo sguardo antico del “dover” imparare. Una casa come un rifugio, o un luogo sacro, dove l’autenticità e l’impegno dell’uomo si sono concretizzati, in senso primordiale, nello spazio, e nella città. Francesco Fallavollita

Dalla nautica all’architettura al design “Open mind” è un titolo dal significato suggestivo e molteplice,


Questi sono i temi su cui si sono confrontati i personaggi del ricco parterre: l’architetto Dante Benini; Luca Bassani, fondatore dell’innovativo marchio nautico “Wally” (nell’immagine: Wallypower 118); Chris Bangle, direttore del “design group BMW”; Giovanni Zuccon, architetto e professore di Disegno Industriale alla Sapienza di Roma; Agostino Ghilardelli, in rappresentanza dell’illustre assente Massimiliano Fuksas; Andrea Piantini, di Fincantieri; Carlo Nuvolari, designer di imbarcazioni. Moderati da Matteo Zaccagnino, direttore di “Yacht Design”, di mattina, e da Aldo Colonetti, direttore di “Ottagono”, nel pomeriggio. Dalla nautica all’architettura! Caterina Lazzari

“Rassegna”: un nuovo corso editoriale Il 5 ottobre scorso, la Triennale di Milano ha ospitato la presentazione del nuovo corso editoriale di “Rassegna”, la storica rivista trimestrale diretta da Vittorio Gregotti fino al 1998, lo stesso anno in cui ha concluso definitivamente la propria “avventura”. Diretta da François Burkhardt – il già direttore di “Domus” – la rivista intende proseguire in certo qual modo la strada che Vittorio Gregotti aveva aperto. Dell’antica direzione, infatti, viene riconfermata l’impostazione monografica che l’aveva contraddistinte. La grande differenza fra le due versioni sta invece nell’impostazione, nella trattazione degli argomenti. Della nuova “Rassegna” sarà propria l’attenzione per le nuove ricerche tecnicocostruttive che caratterizzano ogni campo del progetto. Come scrive Burkhardt nell’editoriale del primo numero “ormai è necessario integrare la progettazione architettonica in una visione più ampia, che parte dall’environmental design per approdare al paesaggio, all’urbanistica e alla qualità degli spazi di cui usufruisce l’uomo nel corso della sua esperienza quotidiana. Alla base di questo ampliamento del campo visivo sta un’idea estesa di innovazione, che corre in parallelo all’evoluzione dei grandi processi di civilizzazione umana”. Il primo numero di questo nuovo corso, già a partire dal titolo, pare chiarire i propri obiettivi. “L’architetto inventore” è il tema analizzato. Distinguendo tre sezioni differenti, il passato, il presente e il futuro, il numero cerca di chiarire il ruolo della ricerca all’interno del progetto mettendo in evidenza “la mancanza di idee nuove e la relativa scarsità di nuovi brevetti nel mondo del costruire”. Le tre sezioni temporali caratterizzeranno ognuno dei prossimi numeri della rivista, in modo da permettere una lettura critica di esperienze passate in rapporto a quelle del futuro prossimo, per fornire agli architetti e ai progettisti professionisti (settore cui la rivista si rivolge) un aiuto per lo

svolgimento della propria attività. La nuova “Rassegna”, edita da Editrice Compositori, si avvale di una redazione composta, oltre che dal Direttore, da Duccio Biasi, caporedattore, Nicola Marzot, redattore e Elena Vai, segretaria di redazione. Il progetto grafico è stato eseguito dallo Studio FM Milano. Martina Landsberger

Franca Helg: una giornata di studi Il seminario Franca Helg. La gran dama dell’architettura italiana, promosso e presieduto da Antonio Piva, colma un vuoto che riguarda una delle più importanti figure dell’architettura italiana, Franca Helg, sulla quale sono in corso nuovi studi che la inquadrano non solo sotto il profilo di progettista ma anche per la sua vocazione alla didattica. I temi della complessità del reale, del rigore nella progettazione, della tradizione, dell’innovazione tecnologica, della cura del dettaglio e del disegno sono sempre perseguiti da Franca Helg sia nell’attività progettuale che didattica: “non darò modelli o riferimenti a canoni o a stilemi, non darò regole ed ognuno dovrà trovare la propria strada in se stesso. (…) Richiedo all’allievo una continua lucida capacità critica, richiedo la capacità di afferrare la complessità della realtà per poter incidere con il progetto proprio su tale realtà. È stato detto che la progettazione è un processo iterativo tra ricerca e verifica, e che è una ‘ricerca paziente’. Aggiungo: è una ricerca che per aggiungere parziali certezze adotta lo strumento del dubbio sistematico. È un lavoro duro che può essere fatto solo da chi vi sia profondamente interessato”. Nel corso della giornata la complessa attività di Franca Helg è stata delineata e composta dagli interventi di Antonio Piva: Una donna di professione architetto,

Cesare Stevan: Didattica e progetto, Pierfranco Galliani: La didattica e l’impegno coerente, Vittorio Prina con la presentazione del libro Franca Helg Casa a Galliate Lombardo della collana Momenti di Architettura Moderna diretta da Giovanni Denti, che ha esposto “la politica culturale di una collana di architettura del Novecento”, Antonio Velez Catrain con il racconto di una storia di amicizia e collaborazione, Aurelio Cortesi: La didattica tra Venezia e Milano, Paolo Caputo: Regole d’arte, Gillo Dorfles Alcune riflessioni su Franca Helg, Silvio Mutal dell’Unesco: Franca Helg e l’America Latina, Claudio Fazzini: Franca Helg e la questione della tecnica, Fabrizio Schiaffonati: La didattica negli anni della contestazione, Maddalena De Padova e Vico Magistretti: Franca Helg e il design italiano, Elisabetta Susani: Contemporaneità dell’opera di Franca Helg: lettura di alcune opere, Aldo Castellano: Franca Helg, architettura a Milano, Darko Pandakovic: Una lezione morale. Durante il seminario sono state proiettate immagini relative ai progetti dell’attività professionale dello studio Franco Albini, Franca Helg, Antonio Piva, Marco Albini, ed è stata inaugurata una mostra di alcuni suoi progetti, allestita e curata da Elena Cao e Paolo Golinelli, costituita da immagini fotografiche di Aldo Ballo. Vittorio Prina

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per il convegno che si è tenuto il 14 ottobre 2005 allo Yacht Club di Genova, in concomitanza con lo svolgersi del Salone Nautico. Indica la necessaria riflessione su un modo nuovo di pensare gli oggetti architettonici e nautici, più attento all’apertura, all’abbattimento di ostacoli fisici e relazionali, per la ricerca di “vivibilità”, “visibilità”e “comunicazione”. (Come fa Dante Benini con le sue “facciate interattive”). Indica lo slancio a superare la tradizione, investendo sull’innovazione formale e tecnologica. Indica soprattutto il bisogno di eliminazione di barriere sterili tra discipline, pur nei margini delle identità proprie, a favore della permeabilità, del trasferimento di know how, della ricerca diffusa, in definitiva della cultura progettuale a 360 gradi, che produce fertilità creativa in tutti i campi. Ottenendo così il passaggio trasversale “dalla nautica all’architettura al design”, come recita il significativo sottotitolo.


a cura di Antonio Borghi

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Intervista a Gigi Mazza Nel gennaio del 2001 è stato pubblicato il Documento di Inquadramento delle Politiche urbanistiche comunali intitolato Ricostruire la Grande Milano. Che bilancio si può fare di questa esperienza a distanza di cinque anni? Un bilancio si può fare solo in funzione delle attese. Se le attese fossero state quelle di un ritorno ai modelli di pianificazione tradizionali, direi che il bilancio è positivo. Infatti ci sono molte pressioni, anche inconsapevoli, per un ritorno al passato, al punto che la nuova legge regionale fa molti passi indietro rispetto alle leggi precedenti. La Regione Lombardia era stata molto innovativa con la Legge 9/99 e con l’istituzione del Piano dei servizi. La nuova legge (L.R.12/05) tenta di essere esauriente, ma rivela idee poco chiare su che cosa sia un sistema di pianificazione e quali siano le differenze tra strategie e regole. Si introducono molti nuovi concetti, ma non è chiara la filosofia di fondo per cui il dato di maggior rilievo sono i molti passi indietro. E rispetto agli obiettivi specifici fissati dal Documento a che punto siamo? Non c’è alcun dubbio che gli obiettivi strategici siano stati ignorati e che in questi ultimi anni sia venuta meno una qualunque visione strategica. Milano ha continuato ad essere introversa, a guardare solo al centro, e non si è impostata una strategia a favore della regione urbana come invece è indispensabile. Le uniche eccezioni di rilievo all’introversione milanese sono state la nuova Fiera a Rho e in qualche misura, Santa Giulia. La Fiera a Rho è un’operazione indubbiamente interessante e che va nella direzione giusta. Volendo esprimere un giudizio puramente tecnico, c’è da chiedersi se non sarebbe stato meglio trovare una collocazione più agganciata alla Malpensa, anche se non è possibile dimenticare i problemi posti dal parco del Ticino. Ma non appena si fanno considera-

zioni del genere ci ricordiamo di essere in Italia e cioè in un paese dove non si pianifica nulla per cui immagino che un dirigente della Fiera, di fronte alle mie obiezioni trasalirebbe: “Ma lei sta scherzando? Perché avremmo dovuto andare vicino a Malpensa senza sapere se quello sarà lo hub internazionale che era stato annunciato oppure l’aeroporto quasi declassato di oggi?”. Cosa pensa del progetto di riconversione del recinto storico della Fiera? Il progetto pone una serie di questioni perché se da un lato è legittimo che la Fiera abbia sostenuto la realizzazione della nuova sede con una speculazione finanziaria sulla sede storica, dall’altro bisogna chiedersi quale fosse la soglia da non superare in questa speculazione. Non è facile dare una risposta a questo interrogativo, perché le nostre capacità di valutazione sono modeste, ma la mia convinzione è che su quell’area si sia accumulata troppa volumetria e sono preoccupato dalle dimensioni degli edifici progettati. Non mi riferisco tanto alle torri che, aldilà di ogni giudizio estetico, svetteranno al centro senza troppe relazioni con l’intorno, quanto piuttosto agli edifici alla base, della cui consistenza non credo che tutti si siano resi conto. L’altezza di questi edifici è stata elevata nell’ultima revisione del progetto per aumentare la superficie verde, a mio parere senza un vantaggio effettivo, poiché è probabile che in quel verde di sole se ne veda poco e che rimanga molto sacrificato all’interno di canyon edificati. Credo che su questi temi la professione dovrebbe mostrarsi più competente e esercitare un maggiore controllo. Molti hanno avanzato perplessità anche per il volume di traffico indotto dai nuovi insediamenti... Riguardo al traffico le cose che sappiamo sono ancora poche per condizionare le scelte localizzative o meglio, se volessimo

tener conto di quello che sappiamo, dovremmo decidere che a Milano non si fa più nulla e se qualcosa lo si deve costruire lo si deve fare oltre i margini della città. Il problema del traffico è aggravato dalla debolezza della nostra cultura tecnica per cui in cinque anni di lavoro non sono riuscito a ottenere che si facesse un’indagine seria sui grandi attrattori in modo da capire quale beneficio avremmo se alcuni di questi si trasferissero all’esterno della città. Una seria strategia di rilocalizzazione non può prescindere da una chiara politica dei trasporti, che a Milano è una chimera. Basta guardare le linee per i pendolari: sia le Ferrovie Nord che le FS sono una vergogna e consumano percorsi di poche decine di chilometri in tempi biblici con ritardi e disagi sistematici. In fondo Milano è una piccola città con un hinterland molto attraente che potrebbe diventare una splendida regione urbana definita da una pendolarità di trenta-quaranta minuti. Questo sistema urbano potrebbe tranquillamente includere Pavia, Vigevano e Novara, fino ad arrivare a Lecco con una varietà urbana e paesistica veramente straordinaria. Tutto lo spazio tra Milano e Lecco potrebbe essere il luogo del rinnovamento di Milano. Era questa la visione strategica del Documento di Inquadramento del 2001? La strategia del documento era quella di selezionare i progetti per Milano e trasferire all’esterno nuove funzioni qualificanti, in modo da abitare tutti un mondo più confortevole. Questa è a mio parere la cosa da fare per recuperare a Milano condizioni ambientali decorose. Risolvere il problema della casa a Milano oggi è impossibile e temo che sarebbe difficile farlo anche coinvolgendo le prime due cinture di Comuni. Bisogna avere il coraggio di guardare oltre, anche perché i Comuni intorno a Milano, se non sono già sovraffollati, hanno ormai trovato un loro equilibrio spaziale e sociale, e non sono più disponibili a ricevere localizzazioni che forse fino a qualche anno fa avrebbero accolto con grande entusiasmo. Oggi difendono la qualità della vita che hanno rag-

giunto, quindi il salto deve essere per forza più lungo. Io non vedo né in Comune né in Provincia una politica della mobilità con questi orientamenti e forse non sono nemmeno le sedi più adatte, perché quello di cui abbiamo bisogno è una politica della mobilità di scala regionale. Una seria politica della mobilità è un presupposto senza il quale qualsiasi tentativo di pianificazione strategica diventa una perdita di tempo. Oggi continuiamo a mettere delle pezze o peggio a fare degli errori, aggiungendo funzioni dove non ce ne sarebbe bisogno rendendo questa città sempre più congestionata, sempre più difficile da vivere e sempre meno competitiva. Il progetto di Santa Giulia sembra opporsi a questa tendenza e cercare altre vie... Per Santa Giulia a suo tempo ho dato invano due indicazioni. Per prima cosa rinunciare alla costruzione dell’enorme centro congressi, troppo costoso soprattutto nella gestione che peserà sulle finanze pubbliche. Comunque volendo fare un centro congressi come non tener conto di Linate che è a un passo? Il mancato collegamento con Linate è uno di quei misteri urbanistici milanesi che non hanno mai permesso la valorizzazione di uno dei maggiori vantaggi competitivi della città: avere un aeroporto praticamente in San Babila, a una fermata di metropolitana – se ci fosse – dal quadrilatero della moda, un trionfo del lusso a portata di mano. Una volta si diceva che non si poteva portare la metropolitana troppo vicino a Milanodue, poi si è data la colpa alla lobby dei tassisti. In ogni caso il collegamento non ci sarà, né con San Babila, né con Santa Giulia. Se il mercato non crolla e l’operazione di Santa Giulia avrà successo, come io mi auguro, vorrà dire che a Milano esistono ormai famiglie, soprattutto giovani e di buon livello di reddito, che valutano un certo tipo di qualità residenziale più dello stare in centro. Sarà un test abbastanza significativo in direzione di una maggiore apertura della città verso l’esterno, come a suo tempo lo è stato la realizzazione di Milanodue. La carta vincente di Santa Giulia sarà il centro direzionale vicino all’ovale di Foster, una specie di


Il Comune di Milano sta preparando un nuovo Piano di Governo del Territorio corredato di carte tematiche sugli usi del suolo, l’accessibilità, la dotazione di servizi, ecc. Potrebbe essere questa la soluzione? Non ho molta fiducia nelle carte tematiche, non prima di avere una carta che ci dica lotto per lotto quali sono gli usi del suolo. Un’altra singolare carenza di Milano è l’assenza di carte degli usi del suolo che permettano, ad esempio, una ricostruzione delle dinamiche urbanistiche della città. Ho cercato di far fare una carta degli usi del suolo attuali, ma senza successo perché per la nostra cultura tecnica non sembra uno strumento rilevante. Non sappiamo come è la realtà di Milano perché la nostra attenzione è tutta normativa: non importa quello che c’è, ma importa come si decide di cambiare. Un atteggiamento forse comprensibile quando il problema era la conquista della campagna, di un territorio considerato indifferenziato e che assumeva rilevanza solo col cambio di destinazione, quando la terra diventava oro immobiliare. Per le trasformazioni urbane sapere su cosa si interviene non è più così irrilevante. Non dico che sia sempre determinante, ma può esserlo. Se non sai cosa c’è in quel pezzo di città non puoi nemmeno fare un ragionamento elementare che ti permetta di prevedere cosa succederà cambiandone le caratteristiche. Eppure di trasformazioni negli ultimi anni ce ne sono state tante in città... Intere parti di Milano si sono trasformate nell’ignoranza di tutti, zone come viale Mecenate e via Tortona ad esempio. Altro che Piano regolatore! Sono deliziose le anime belle che hanno accusato di deregolamentazione il documento di inquadramento (che ha invece ridotto ad un terzo le densità medie del Piano regolatore). La deregolamentazione a Milano nasce con il rito ambrosiano ed è stata sistematica soprattutto negli ultimi venti o trent’anni. Bastava

avere le entrature giuste, perché il Piano venisse sistematicamente variato o violato. Mentre il dibattito oscilla tra l’insulto e la chiacchera, sulle questioni vere nessuno si esprime. Altrimenti non si capisce quest’ultima legge per il governo del territorio, che gode per altro del consenso di quasi tutti. Le leggi precedenti avevano una notevole chiarezza di intenti e stavano delineando un modello nuovo fondato su quattro strumenti: Piano regolatore, che diventa un piano conservativo, il Documento d’Inquadramento che svolge un ruolo strategico, il Piano dei servizi che definisce le politiche pubbliche e attraverso il concetto di accessibilità salda usi del suolo e mobilità, e i Piani attuativi nella forma dei Programmi Integrati di Intervento. Era un modello molto interessante e addirittura inedito sul panorama internazionale. Ad esempio, i piani angloamericani sono di solito modelli binari: piano strategico (masterplan o general plan) e piani attuativi (zoning plan). Il nuovo modello aveva qualcosa in più che dava spazio anche al concetto di governance, un concetto nodale per capire questo modello.

decidere. Per avviare una governance nei processi di pianificazione è indispensabile che il governo si assuma le sue responsabilità e, come si suol dire, le dichiari, metta le carte in tavola. Nel modello delineato prima dell’approvazione della nuova legge urbanistica, il documento di inquadramento delinea le strategie che coinvolgono pubblico e privato, è il momento della governance, mentre il Piano dei servizi è il pubblico che mette le carte in tavola, è il momento del governo. A questo punto si può iniziare a negoziare le decisioni specifiche a riplasmare regole e progetti, ferma restando la salvaguardia dei diritti esistenti, sanciti nel Piano regolatore, e la coerenza col documento strategico. Questi tre strumenti sono una novità nata in Italia, che non declina la responsabilità di governo e le cui radici si possono rintracciare nella legge urbanistica del 1942. Una legge che non imponeva ai privati che cosa dovessero fare, ma imponeva alle amministrazioni di definire dove dovevano essere edificate strade, piazze, case littorie, chiese e scuole mentre il resto era delegato all’iniziativa individuale.

Come si attua una governance nel governo del territorio? La governance nella Pubblica amministrazione non può essere la stessa espressa da un’azienda o da una corporation. In un sistema di governo pubblico il governo ha un potere e una responsabilità che nessuno dei governati può avere, i governati non sono integrati nel sistema di governo come i dipendenti di una azienda e, infine, governo e governati non sono, come nelle aziende, integrati dalla funzione obiettivo unica del profitto; il rapporto tra governo e governati è spesso un rapporto di conflitti tra interessi generali e interessi particolari; in questi conflitti il governo ha la responsabilità di decidere e i governati il diritto di dissentire. Il confronto, conflittuale o meno, tra governati e governo è asimmetrico perché la responsabilità del governare è in ultima analisi solo del governo. Il governo può decidere di coinvolgere e negoziare con altri poteri, ma almeno formalmente sarà il governo a

A Milano c’è stata molta iniziativa individuale nel settore immobiliare. I relativi servizi sono stati garantiti? Conosco solo ciò che riguarda i Programmi Integrati di Intervento, in attuazione del Documento di Inquadramento e che sono redatti sulla base dell’esperienza del progetto dei Nove parchi e dei Piani di Recupero Urbano. Il principio generale di maggior rilievo è noto e semplice: il privato che sviluppa un’area ne cede il 50% gratuitamente all’amministrazione. Questo meccanismo ha prodotto, al 30.9.2005, un gettito notevole, oltre 3,8 milioni di mq di nuovo verde pubblico su una superficie territoriale di circa 4,2 milioni e una superficie lorda di pavimento edificabile di 2,4 milioni; aree verdi destinate a migliorare la qualità dell’ambiente e a creare notevoli problemi di gestione, di cui per ora nessuno sembra preoccupato. Sono previsti 222,6 milioni di euro per gli oneri di urbanizzazione e 152,9 per oneri aggiuntivi. Gli standard qualitati-

vi ammontano a circa 150 milioni di euro, le monetizzazioni a 13,4 milioni. Sarebbe interessante sapere cosa ha prodotto in passato l’attuazione del Piano regolatore e fare un confronto. Nel dibattito che accompagna l’elaborazione del nuovo Piano di Governo del Territorio del Comune di Milano si parla ancora di indice unico, raccogliendo una sua proposta di qualche tempo fa. Ma quale sarà questo indice e a che cosa serve? La proposta dell’indice unico era stata approvata in Giunta ormai quasi due anni fa, ma non so che fine abbia fatto. La proposta è documentata nel piccolo libro Prove parziali di riforma urbanistica edito da Angeli l’anno scorso. Ma anche su questo tema è difficile fare chiarezza: in breve se l’indice è unico, deve essere lo stesso a San Babila e a Quarto Oggiaro, questo non vuol dire attribuire lo stesso valore a due luoghi così diversi, ma decidere che malgrado la differenza dei luoghi l’assegnazione è la stessa. La logica è che si separa l’assegnazione della quantità di edificazione dal valore posizionale dell’area. È chiaro che la stessa assegnazione assume un valore diverso in funzione dell’area a cui si applica. Una carta di conversione dei valori esiste già, ed è quella che si usa per le monetizzazioni nelle varie zone di Milano. Quindi se io trasferisco un mq da San Babila a Quarto Oggiaro ci sarà un coefficiente di conversione tra le aree, che esprime la differenza dei valori di mercato e che vale anche per lo scambio delle aree. Ho l’impressione che molti colleghi non trovino questo discorso convincente e ritengano che l’indice unico debba tradursi in almeno tre indici differenziati: centro, aree intermedie e periferia. C’è una difficoltà a distinguere tra il riconoscimento di un valore oggettivo e l’intervento normativo che assegna un valore diverso. Non c’è motivo perché l’assegnazione sia diversa, ovvero non c’è motivo per dare un vantaggio ulteriore, un indice più alto, in aree già avvantaggiate dalla posizione. Sono temi di cui si dovrebbe discutere di più e meglio.

31 OSSERVATORIO CONVERSAZIONI

E42 con una quota di posti di lavoro che renderanno le residenze ancora più appetibili.


a cura di Roberto Gamba

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“Abitare a Milano” Il Comune di Milano, in attuazione del suo programma per l’edilizia residenziale sociale, ha bandito due concorsi internazionali, il primo per quattro nuovi quartieri, in aree denominate: via Civitavecchia; via Gallarate; via Ovada; via Senigallia; il secondo, in aree denominate: vie degli Appennini, Cogne, Giambellino, del Ricordo. Ai concorrenti era richiesta la definizione dell’impianto urbano dei nuovi insediamenti, sviluppando un masterplan, che, per ciascuna area, indicava i criteri insediativi da adottare e i costi; rispettivamente: euro 12.700.000; 19.400.000; 12.800.000; 9.300.000 – per “Abitare 1”; euro 19.360.000, 5.271.000, 18.329.000, 5.839.000 – per “Abitare 2”. Era richiesta inoltre la progettazione distributiva e tipologica di ciascun edificio residenziale; dei servizi pubblici; dello spazio aperto e degli spazi di relazione. L’attività di segreteria operativa dei concorsi è stata svolta dallo Studio EVDS – Daniela Sarracco. In entrambi i concorsi, erano richieste 2 tavole, in formato A0. Per il primo concorso, la giuria era composta da Pier Giuseppe Torrani, Antonio Acerbo, San-

dro Balducci, Lides Canaia, Enrico Galbiati, Giovanna Giannachi, Vico Magistretti, Guido Martinotti, Giovanni Oggioni, Carlo Valtolina, Cino Zucchi (supplenti: Giovanni Bosisio, Michael Burckhardt) e da una commissione tecnica (Lorenzo Fabian, Pietro Guglieri, Francesco Infussi, Antonio Longo, Rosina Pianta, Pier Carlo Sironi, Simonetta Venosta). I vincitori hanno ricevuto ciascuno 50.000 euro e hanno avuto l’incarico della progettazione definitiva ed esecutiva. Per il secondo concorso la giuria era composta da Vittore Ceretti, Antonio Acerbo, Sandro Balducci, Stefano Boeri, Lides Canaia, Vincenzo Cesareo, Piero De Amicis, Piercarlo Guaineri, Francesco Infussi, Pietro Montrasi, Giovanni Oggioni (supplenti: Gianmaria Beretta, Gaetano Brambilla) e da una commissione tecnica (Lorenzo Fabian, Angelo Foglio, Antonio Longo, Roberto Manuelli, Gianfranco Orsenigo, Rosina Pianta, Pier Carlo Sironi, Simonetta Venosta). I vincitori hanno ricevuto 50.000 euro (via degli Appennini e via Giambellino); 20.000 euro (via Cogne e via del Ricordo) e hanno avuto l’incarico della progettazione definitiva ed esecutiva.

VIA CIVITAVECCHIA 1° classificato (foto 1-3) Lorenzo Consalez (Milano), Marcello Rossi, Francesca Peruzzotti, Andrea Starr Stabile, Claudio Saverino, Tiziano Vudafieri, collaboratori: Chiara Fiore, Matteo Fieni, Manuela Rovito, Sabrina Sala La torre delle case comunali segnala alla città la presenza del parco. Le unità dei differenti alloggi possono essere distribuite nei telai degli edifici, a formare, secondo le esigenze, le diverse combinazioni: il parcheggio-mercato, l’hammamcentro di cura con l’acqua e il caffè, che costituiscono contemporaneamente l’accesso al

parco, i servizi di interesse sociale e gli elementi attrattivi a scala urbana. Lo schema strutturale degli edifici permette lo slittamento degli alloggi lungo la linea distributiva del vano scale e del corridoio; la composizione dei blocchi-alloggio e, conseguentemente, dei fronti, genera un’immagine architettonica che rivela la struttura del programma. La distribuzione con un solo vano scala comune ai due corpi della torre permette uno schema con quattro moduli per piano che si articola attraverso svuotamenti. In questo modo, e grazie all’inserimento di alcune tipologie duplex, si offre la possibilità di articolare lo schema planimetrico ai differenti tagli di alloggio.

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2° classificato (foto 1-3) Mauro Galantino (Milano) collaboratori: Daniele de Bettin, Antonio delle Foglie, Paolo la Rosa, Paola Lorenzoni, Pietro Orecchioni Le qualità ovvero gli elementi specifici che caratterizzano l’opera sono: completamento dell’urbanità esistente (ovvero interfaccia con i flussi a quota 0,00); concentrazione (ovvero sicurezza, ovvero distinzione interno/esterno); porosità (ovvero superamento del concetto di isolato); costruzione di un nuo1

vo suolo urbano (ovvero relazioni libere grazie alla nuova quota pedonale interna posta a + 2,80); nuovo paesaggio artificiale interno (ovvero verde collettivo della comunità abitativa + verde privato limitrofo a sua definizione). Gli obiettivi: potersi isolare, poter passeggiare davanti casa di notte, come estensione dello spazio privato; sicurezza + trasparenza verso l’esterno; avere servizi primari nell’area protetta; avere servizi, commercio, lavoro, nella periferia del sistema come scambio con la città.


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3° classificato Federico Bargone (Foligno – Perugia) con Aroldo Bargone, Francesco Bartolucci, Corrado Falsetti, Stefano Rocchi, Alessia Mariotti 4° classificato Giacomo Borella (Milano), Francesca Riva, Emanuele Almagioni, Alessandro Rogora, Carlo Barrese, Roberto Jodice, Massimo Vecchiet, Agnese Inchingolo, Sergio D’Agostini, Filippo Valaperta, collaboratori: Michele Alberti, Angelica Sylos Labini, Carlo Vanini 5° classificato Pier Alberto Ferrè (Milano), Carolina Francesca Rozzoni, Emilio Caravatti, Francesco Panero, Piero Faraguna, Marco Girotto, Sergio Tami, Franco Giorgetta, Simona Giorgetta, Cristina Bergo, Angelo Biraghi, Marco Lucchini, Andrea Meregalli, Maddalena Merlo, Emanuele Panzeri, Sara Salvemini, Patrizia Scrugli, Anna Vecchi Milano segnalato Maurice Kanah, Andreas Kipar, Alfredo Ingletti, Marco Vallieri, Chiara Tornaghi, Marco Mezzi, Ale Guazzetti, Ezio Rendina, Giancarlo Lizzeri segnalato Carlo Terpolilli, Lucia Celle, Roberto di Giulio, Elisabetta Zanasi Gabrielli, Panfilo Cionci, Alfonso Femia, Pierluigi Feltri, Gianluca Peluffo, Marco Casamonti, Laura Andreini, Silvia Fabi, Gianna Parisse, Giovanni Palazzi, Andrea Boschetti, Alberto Francini, Sebastiano Brandolini, Simonetta Cenci, Paolo Pomodoro, Carlo Masera, Enrico Martino, Maurizio Ori, Stefano Migliaro, Marco Taccini, Arturo Busà (Milano Progetti), Francesca Zeri, Stefano Orioli, Carlo Serafini

2° classificato (foto 1-2) A + C architetti, Pier Alberto Ferrè (Milano), Angelo Biraghi, Carolina Rozzoni, Sara Salvemini, Patrizia Scrugli, Emilio Caravatti, Angelo Meregalli, Emanuele Panzeri, Piero Faraguna, Anna Vecchi, Marco Girotto, Sandra Minuzzo, Luciano Panero, Cristina Bergo, Francesco Panero, Marco Lucchini, Franco Giorgetta, Simona Giorgetta, Flavio Petraglio, Sergio Tami, Sabrina Bottani, Luca Gattoni, Alessandro Finozzi

Quattro torri massive popolano e ritmano lo spazio. Come quattro massi, si incastrano nel terrapieno che accoglie al suo interno servizi e parcheggi e, sulla sua sommità, un parco attrezzato. Hanno un carattere formale molto marcato che, mentre cerca di riaprire un dialogo maturo con la tradizione milanese, nel frattempo investiga l’importanza di attribuire riconoscibilità e qualità formale all’edilizia popolare, attraverso misurati accorgimenti spaziali e architettonici. 1

segnalato Giovanni Mattia Urso, Giovanni Cipriani, Elisa Innocenti, Fabrizio Amadei, Angelo Ricciuto, Daniele Giorgi, Gianluca Lavalle, Sabrina Impeciati, Cristina Benedetti, Sebastiano Urso VIA GALLARATE 1° classificato (foto 1-2) Massimo Basile (Palermo), Floriana Marotta Massimo Tepedino, Francesco Moncada, Rita Arnaud Il progetto è stato concepito a partire dallo spazio del parco, che struttura l’intervento mettendo in relazione gli edifici, le zone verdi, i percorsi, in un discorso continuo ed omogeneo. Un percorso pedonale est-ovest organizza l’insieme. Gli edifici

sono attraversati dal viale, ruotano per adattarsi all’andamento del parco, si aprono ad una prospettiva, si sollevano dalla topografia del terreno. Aree attrezzate ed isole gioco, ritmate dal trattamento del suolo con il susseguirsi di materiali diversi, creano zone distinte tra loro. Un muro, protezione dal rumore stradale, cerca continue relazioni e rimandi con il parco, attraverso un sistema di patii che si aprono come passaggi sulla via.

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OSSERVATORIO CONCORSI

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3° classificato Carlo Terpolilli (Firenze), Lucia Celle, Roberto di Giulio, Elisabetta Zanasi Gabrielli, Panfilo Cionci, Alfonso Femia, Pierluigi Feltri, Gianluca Peluffo, Marco Casamonti, Laura Andreini, Silvia Fabi, Gianna Parisse, Giovanni Palazzi, Andrea Boschetti, Alberto Francini, Sebastiano Brandolini, Simonetta Cenci, Paolo Pomodoro, Carlo Masera, Enrico Martino, Maurizio Ori, Stefano Migliaro, Marco Taccini, Arturo Busà, Francesca Zeri, Stefano Orioli, Carlo Serafini 4° classificato Henk Hartzema, Pietro Balp 5° classificato Giorgio Lombardi, Mauro Agosti, Andrei Torres Holguin, Federico Omodei, Simone Turrina segnalato Angelo del Vecchio, Carla Coccia segnalato Nicola Fabrizio Braghieri segnalato Wilhelmus Gerardus, Maria Maas, Paolo Garretti, Gregorio Praderio, Giovanni B. Barbarossa, Paolo Micucci, Pietro Guarisco, Fiorenzo Zaccarelli, Luigi Maria Guffanti, Katie Tedder VIA OVADA 1° classificato (foto 1-3) Raffaello Cecchi (Milano), Vincenza Lima, Francesco Rusconi Clerici, Gianni Scudo, Antonio Perazzi A nord un limite preciso lega il progetto alla regola dei tracciati urbani, mentre il margine sud dell’area è un confine casuale ed impreciso, disegnato unicamente da ragioni di accessibilità viabilistica. L’idea di campus favorisce la configurazione per accostamento tra nuovo ed esistente, liberando il progetto dalla 1

ricerca di una continuità sintattica. Il parco si apre verso via Ovada delimitando due campi di intervento: sul primo si fronteggiano un edificio residenziale di altezza variabile e il centro servizi per formare uno spazio connesso al percorso principale del parco; sul secondo un ulteriore edificio residenziale con una figura asimmetrica a corona delimita percettivamente alcuni degli spazi del parco; l’edificio sollevandosi su pilotis permette la visione reciproca da via Ovada verso il parco e dal parco verso via Ovada.

2° classificato Giorgio Lombardi (Venezia), Mauro Agosti, Andres Torres Holguin, Federico Omodei, Simone Turrina 3° classificato Michele Cannatà (Oporto), Maria De Fátima Fernandes, João Maria Ferriera da Silva Sobreira, Alexandre Ferreira Martins, Cardoso da Costa, Maria Rosa Costa Monteiro, Sá Ribeiro, Maria Raquel, Bento Fernandes, Raul Vasconcelos Bessa, Guilherme Carrilho da Graça 4° classificato Carlo Terpolilli (Firenze), Lucia Celle, Maurizio Ori, Roberto di Giulio, Elisabetta Zanasi Gabrielli, Panfilo Cionci, Alfonso Femia, Pierluigi Feltri, Gianluca Peluffo, Marco Casamonti, Laura Andreini, Silvia Fabi, Gianna Parisse, Giovanni Palazzi, Andrea Boschetti, Alberto Francini, Sebastiano Brandolini, Simonetta Cenci, Paolo Pomodoro, Carlo Masera, Enrico Martino, Stefano Migliaro, Marco Taccini, Francesca Zeri, Stefano Orioli, Carlo Serafini 5° classificato Ester Garzonio, Leonardo Nava, Paolo Gioacchino Mangia, Matteo Garzonio segnalato Roberto Verdolini, Zeno Bolognini, Stefania Battei, Marco Amadori, Carlo Alberto Cegan segnalato Giulia de Appolonia, Paolo Mestriner, Stefano Turri, Gabriele Del Mese, Daniele Regini VIA SENIGALLIA 1° classificato (foto 1-3) Remo Dorigati (Oda Associati – Pavia), Elisabetta Bianchessi, Renato Juarez Corso, Chiara Dorigati, Gian Carlo Floridi, Gian Pietro Manazza, Gianmario Rovida, Andrea Vaccari, Luca Veltri; consulenti: Giuseppe Fratelli Il progetto si caratterizza per spazi pubblici e privati modulati su una sequenza di luoghi; piazza pubblica, con servizi commerciali, spazi raccolti entro una struttura avvolgente con servizi per gli abitanti ed aperti al pubblico; intenso rapporto con il

suolo, generatore di spazi aperti che trasformano il tema del verde in servizio sociale, atto all’incontro e allo scambio; ampia gamma di variazioni tipologiche in relazione a nuclei famigliari diversi ed a temi di disagio sociale; autonomia del singolo alloggio, ma integrazione con la comunità tramite i servizi. Il tema che individua una forte caratterizzazione dello spazio è quello di un percorso che si abbassa in quota come una faglia nel suolo, generando piccoli slarghi e piazzette ritagliate nei giardini. Esso è la spina dorsale dell’insieme su cui si affacciano i servizi.


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3° classificato Stefano Boeri (Milano), Gianandrea Barreca, Giovanni La Varra; consulenti: Arturo Lanzani, Filippo Mascaretti, Giorgio Ciarallo, Ugo Nocera, Isabella Inti, Federica Verona; collaboratori: Marco Brega, Susanna Loddo, Frederic De Smet, Marco Giorgio, Enzo Ferrara, Daniele Barillari, Fabiano Continanza, Maddalena De Ferrari, Corrado Longa, Roberto Perego, Camila Reyes Il principio proposto individua una serie di elementi minimi che costituiscono le “parole” di una grammatica di costruzione del progetto. Le parole sono i moduli abitativi, un ampio spettro di tipi di spazi aperti (privati, pubblici, semicollettivi) un gruppo di moduli per ospitare servizi pubblici e spazi di relazione, spazi commerciali, uffici e altre attività comunque non orientate alla residenza. Questi elementi minimi vanno ad aggregarsi dando luogo a “frasi” che sono unità minime di costruzione del quartiere, ma anche parti autonome del complesso edilizio, con elevati gradi di autosufficienza dal punto di vista degli spazi aperti privati e collettivi e di quelli pubblici. 4° classificato Nicola Fabrizio Braghieri 5° classificato Michele Cannatà, Maria De Fátima Fernandes, João Maria Ferriera da Silva Sobreira, Alexandre Ferreira Martins Cardoso da Costa, Maria Rosa Costa Monteiro Sá Ribeiro, Maria Raquel, Bento Fernandes, Raul Vasconcelos Bessa, Guilherme Carrilho da Graça

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segnalato Efisio Pitzalis, Angelo Abbate, Gianluca Cioffi, Carlo Di Maio, Edoardo Fontana, Genevieve Hanssen, Marco Liberace, Cristina Rosamilia, Fabio Valenza, Michele Adipietro, Vincenzo Belfiore, Caterina Cacciapuoti, Carmela Pascarelli segnalato Markus Luescher, Peter Althaus, Ivo Hasler, Gaby Eichenberger, Jacueline Parish segnalato Pierluigi Nicolin, Giuseppe Marinoni, Walter Carni, Hungi Yim, Michele Harrasser segnalato Cristiano Benzoni, Sophie Thuillier, Emmanuel Biard, Gabriele Del Mese, Daniele Regini, Marco Verdina VIA APPENNINI 1° classificato (foto 1-2) Alessandra Macchioni (Roma), Samuel Arriola Clemenz, Renzo Candidi Un nuovo complesso residenziale, ma allo stesso tempo un nuovo “polmone verde” del quartiere. Vi galleggiano le isole che, disposte ad una quota superiore,

accolgono i servizi e le residenze. Né torri, né edifici in linea, bensì “ponti” tra le isole: così gli edifici residenziali prendono forma e si confrontrano con quelli circostanti. Ogni isola diventa una corte aperta nella quale si affaccia la vita della città: scale, ballatoi, logge, spazi pubblici e privati di cui potersi appropriare.

35 OSSERVATORIO CONCORSI

2° classificato Andrea Stipa (Roma), Vincenzo Dipierri, Leonardo Arezzini, Francesca Luciano


un disegno unitario del suolo che integri spazi per la sosta e spazi per il movimento. In corrispondenza del parcheggio interrato previsto, sono stati

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collocati una collina artificiale verde del diametro di 40 metri e alta 2,5 metri, le aperture per le risalite dal parcheggio e la rampa di accesso dei veicoli.

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2° classificato Giuseppe De Carlo (Venezia), Andrea De Eccher, Giorgio Girardi, Luigi Cocco, Giandomenico Cocco, Roberto Prosdocimi, Enzo Bonetto; collaboratori: Loretta Zamparutti, Silvia Codato, Kendra Gardner 3° classificato Benedetto Camerana (Torino), Florindo Bozzo, Giuseppe Bongiorno, Hermann Kohlloffel, Agostino Politi 4° classificato Alessandro Cristilli (Genova), Alessandra Zuppa, Maurizio Maggiali, Natale Raineri, Giorgio Orecchia, Francesca Ferrarini, Matteo Civitella, Federica Gallo, Matteo Baricchi, Carlo D’Apollonio, Andrea Di Dio 5° classificato Paolo Favole (Milano), Massimo Giuliani, Daniele Fraternali, Andrea Bartoloni, Diego Faleschini, Veronica Lepidi, Filippo Resteghini, Fiorenzo Vullo segnalato Carlo Terpolilli (Firenze), Lucia Celle, Roberto Di Giulio, Elisabetta Zanasi, Gabrielli, Panfilo Cionci; collaboratori: Luigi Andelini, Stefano Combet, Daniele Grieco, Valentina Mansi, Sebastiana Patania, Stefania Verdigi, Maria Antonietta Corrias

2° classificato Michele Rossi (Milano), Filippo Pagliani, Giorgio Piliego, Antonio Perazzi, Fabio Calciati, Andrea Cotrupi, Jennifer Gomes, Giançalo Guerreiro, Sergio Leodi, Tsung-Jen Lin, Antonio Pisano 3° classificato Flavio Barbini (Lisbona), Maria João Gonçalves da Silvia Barbini, Stefano Riva, Catrina Assis Pacheco, Filipa Menezes, Fisico Guilherme Carrilho da Graça; collaboratori: Afonso Gil, Bruno Toledo, Paula Silva, Silvia Palhão, Susana Gaivoto Lisbona 4° classifcato Stefano Luca Colombo (Milano), Alessandro Lainati, Daniele Bona, Ippolito Pestellini Laparelli

segnalato Gianluca Ferrarini, Eric Pennetier

5° classificato Noè Marco Sacchetti (Roma), Raffaella Gatti, Livia Toccafondi, Valentina Anselmi, Domenico Fioretti, Oliva Impastato

VIA COGNE

VIA GIAMBELLINO

1° classificato (foto 1-2) Giuseppe De Carlo, Andrea de Eccher, Giorgio Girardi collaboratori: Loretta Zamparutti, Kendra Gardner, Silvia Codato, Jacopo Boiti, Alessia Pasculli Il progetto si propone la riqualificazione dello spazio pubblico ad

ovest del parco di Villa Scheibler e del “pettine” di strade parallele che convergono su di esso. Individua come fulcro l’isolato, caratterizzato da due torri residenziali, vero e proprio segnale urbano, dall’area della biblioteca civica e della scuola materna. La strategia tende ad inserire elementi preesistenti e nuovi in

1° classificato (foto 1-2) Andrea Sechi (Milano), Pascal Tarabay, Joseph Barakat, Nabil Menhem, Lauren Kassouf, Christie Bassi Le residenze sono raggruppate in un’unica struttura, lasciando lo spazio libero per il verde. Verso via Giambellino sono pre-

senti i servizi e gli accessi pedonali, sottolineati da un trattamento della superficie del parco con materiali minerali. I servizi, collocati in linea con i passaggi pedonali, saranno percepiti come colline verdi tra le quali si creano piazzette e terrazze da caffè. Sotto la rampa d’accesso al ponte è stata ubi-


ciate di vetro a tutta altezza. La struttura degli appartamenti a più livelli è una rivisitazione della casa di ringhiera milanese, con balconi, scale, passerelle all’aperto e terrazze verdi.

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VIA DEL RICORDO 1° classificato (foto 1-2) Luca Furiozzi (Siena), Claudio Mori, Leonardo Luchini, Luca Venturi, Stefano Mucci, Claudia Neri, Andrea Pinardi, Simonetta Vannoni Si inventa una nuova topografia: un nuovo sistema insediativo ed architettonico. Il presupposto si traduce in un’edilizia densa, bassa, estensiva, orientata verso il recupero di un uso quotidiano ed intenzionale del suolo. Queste istanze generano una famiglia di corpi edificati dalla forma allungata e dalla geo-

metria irregolare, disposti perpendicolarmente a via del Ricordo; si realizza, così, una completa permeabilità funzionale e percettiva nel senso della profondità del lotto. Un attraversamento pedonale che taglia l’insediamento trasversalmente nel punto mediano completa il sistema dei collegamenti. Le corti interne incidono profondamente le masse edificate ed arricchiscono di valori tipologici e funzionali il contrappunto fra pieni e vuoti: gli affacci delle singole unità, infatti, sono tutti sulle corti.

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2° classificato Pietro Derossi (Torino), Davide Derossi, Laura Apollonio, Alessandro Cossovich Pellegrini, Claudio De Luca, Cristina De Marco, Silvano Vedelago, Cesare Maria Joppolo, Paolo Bassi, Ivano Di Molfetta, Cristina Gagnolati, Laura Agosti 3° classificato Alberto Francini (Milano), Andrea Boschetti, Stefano Orioli, Adriano Spoldi, Carlo Serafini; collaboratori: Ekaterina Golovatyuk, Nicola Russi, Tom Hindryckx, Paolo Cardin, Marco Corazza, Lutz Koegler, Andrea Giuseppe Pace 4° classificato ex aequo Giorgio Lombardi (Venezia), Andrés Holguin Torres, Leonardo Murmora, Enrico Fermi; collaboratori: Fabio D’ Agnano, Andrea Bressan, Federico Marcato, Marco Visentin 4° classificato ex aequo Benedetto Camerana (Torino), Giuseppe Bongiorno, Hermann Kohlloffel, Agostino Politi, Bozzo Florindo

2° classificato Enrico Iascone (Bologna), Carlotta Menarini, Camilla Belletti, Sabrina Monaco, Anna Grassigli, Alberto Vitali, Richard Ceccanti 3° classificato Mario Macchiorlatti Dalmas (Torino), Fabrizio Prato 4° classificato Eleonora Salsa (Milano), Fabio Zorza, Bruno Melotto, Pietro Pusceddu, Silvia Pedretti, Anna Aloe, Pacifico Aina 5° classificato Giacomo Borella (Milano), Francesca Riva, Emanuele Almagioni, Alessandro Rogora, Roberto Iodice, Massimo Vecchiet, Agnese Inchingolo, Sergio D’Agostini; collaboratori: Michele Alberti, Carlo Vanini Errata corrige concorso di Esine (Bs) In seguito a segnalazione, integriamo l’elenco dei componenti il gruppo di progettazione vincitore del concorso “Valorizzazione urbanistica della via Mazzini, vicolo Casari e zona del monumento dei caduti di Esine (Bs)” – pubblicato a pagina 31, del numero 12, dicembre 2005 – con i seguenti nominativi: arch. Fabio De Pedro, arch. Dario Poetini.

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cata la piscina e i locali amministrativi per la gestione del centro sportivo. Altri servizi come uffici, parte della biblioteca, la scuola materna, sono al livello uno tra parco e appartamenti, con fac-


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Per un’architettura autobiografica Giovanni Brino Carlo Mollino. Architettura come autobiografia Idea Books, Milano, 2005 pp. 176, € 85,00 Nel 2005, centenario della nascita di Carlo Mollino, in attesa della mostra itinerante sull’architetto di Torino che si inaugurerà alla Triennale il prossimo 13 dicembre, mostra che riuscirà a strappare a Torino il primato

della prima mostra del centenario appunto, Giovanni Brino licenzia il suo nuovo libro su Mollino. La pubblicazione è in buona sostanza una versione ampliata della prima edizione dello stesso libro, edito da Idea Books nel 1985, a 12 anni dalla scomparsa di Mollino, con in aggiunta, oltre ad un fascicolo con la traduzione dei testi effettuata da Thomas Muirhead, il volume La Capanna Lago Nero che racconta e raccoglie la genesi del progetto, la realizzazione, la decadenza e la rinascita della mitica Slittovia del Lago Nero di Sauze d’Oulx, risveglio dovuto al lavoro di restauro dello stesso Brino con Giorgio Rajneri. Un libro “tridimensionale” come la stessa Slittovia. Il volume Architettura come autobiografia conferma l’idea originale della prima edizione, che si basava sulla segmentazione in temi degli sforzi multidisciplinari di Mollino, suddividendo quindi in capitoli che vanno

dall’aeronautica all’architettura, settori distinti nella presentazione, dove è comunque immediato individuare il denominatore comune all’iter professionale dell’architetto di Torino. Molto ricco l’apparato iconografico ampliato rispetto al volume del 1985. Il secondo volume La Capanna Lago Nero rappresenta una precisa, quanto sofferta, visto il coinvolgimento diretto di Brino in qualità di progettista, ricostruzione delle vicende legate alla vita ed alla prematura decadenza della struttura di Mollino, capolavoro dell’architettura moderna, sorta di scultura tridimensionale ambientata in un contesto, quello montano, solitamente abituato ad accogliere corrette architetture tradizionali o il più delle volte i vagiti di un’edilizia turistica mimetica. Il fascicolo raccoglie in modo accurato tutta la vicenda: Il progetto originario (1946-1947), Vita breve e lunga agonia (19481998), I lavori di recupero (19992005), organizzandola in modo preciso, con il corredo di un’infinita serie di documenti e di analisi, che portano il lettore ad avvalorare la tesi dello stesso Mollino sul proprio lavoro: “ll cliente muore e l’opera rimane, rimane nei secoli”. Luciano Bolzoni

Il teatro di Genova Claudio Camponogara, Maria Elisabetta Dulbecco Genova. Sguardi di viaggiatori Unicopli, Milano, 2005 pp. 120, € 9,00 Un libro di “voci”. Voci di attori diversi, più o meno conosciuti, che si alternano, dando luogo a una rappresentazione con Genova protagonista. In qualità di co-protagonisti, fanno la comparsa numerosi “attori” con il ruolo di far vivere la città e di rappresentarne quel

particolare carattere che, nonostante il trascorrere del tempo, permane duraturo. Come in tutte le migliori rappresentazioni grande importanza è attribuita alla scenografia. una scena costituita da un territorio montuoso, impervio, “costretto” dalla presenza del mare, e nello stesso tempo, proprio grazie a questo elemento, caratterizzato da grande spettacolarità. Così, infatti, appare Genova ai viaggiatori che alla città si accostano per via mare. Il porto, il golfo, l’immensa luce, gli alti palazzi che guardano all’acqua e all’orizzonte denunciando nella loro costruzione in altezza il carattere di questo particolare tratto di territorio, stretto fra le montagne e l’acqua. Ed è proprio di questi viaggiatori che il libro riporta le voci. Attraverso le testimonianze di “turisti” di tutti i tempi – da Virgilio, Cicerone e Strabone a Petrarca, passando attraverso Charles De Brosses e il periodo del Grand Tour settecentesco, fino alle voci “straordinarie” di Carlo Goldoni e Giacomo Casanova – la città appare “impermeabile” alle trasformazioni, per così dire priva di vitalità, chiusa in se stessa quasi a voler negare il carattere che la contraddistingue. Una sorta di grande contraddizione per una città di “mare”, aperta quindi, per posizione, ad altri orizzonti, che si giustifica però nella particolare geografia del luogo che occupa. Ognuno degli attori che Claudio Camponogara e Maria Elisabetta Dulbecco chiamano sulla scena testimonia questa dualità della città, questa sua complessità, riscontrabile prima fra tutte nella sua architettura, ma anche, con particolare evidenza, nella “chiusura” dei suoi abitanti. E così, ancora una volta, ciò che appare con grande evidenza è il legame forte e indissolubile che si crea, anzi, che deve crearsi, fra architettura e società. Capire l’architettura di Genova significa, infatti, capire la collettività che la abita come viceversa non si può comprendere la società genovese decon-

testualizzandola dal suo territorio, costruito e naturale. Martina Landsberger

La matematica della costruzione Michael John Gorman, Buckminster Fuller. Architettura in movimento Skira, Ginevra-Milano, 2005 pp. 208, € 50,00 Buckminster Fuller incarna nella storia dell’architettura, con la forza essenziale di un’icona – quella della cupola progettata per coprire la parte inferiore di Manhattan – l’idea dell’atto costruttivo come espressione limite delle leggi matematiche di natura e come riduzione, alla logica e asettica necessità delle formule di queste, dei caratteri compositivi e formali dell’abitare. La bella monografia di Michael John Gorman, Buckminster Fuller, Architettura in movimento, ripercorre, con dovizia di documentazione, la parabola esistenziale di uno degli indiscussi protagonisti del panorama architettonico del ventesimo secolo, con il merito di collocare Fuller e la sua avvincente avventura intellettuale appieno nel suo tempo e nel perimetro culturale delle riflessioni proprie di quegli anni intorno a temi quali quelli dell’industrializzazione e della standardizzazione del bene casa. Per tal verso ne esce, così, un ritratto niente affatto celebrativo e che anzi mette in luce ingenuità e anche limiti di un pensiero sviluppato nel mito fideistico della dea ragione e delle sorti


Claudio Sangiorgi

“Una fabbrica vitale dello spirito umano” Luca Basso Peressut Il Museo Moderno. Architettura e museografia da Perret a Kahn Lybra, Milano, 2005 pp. 256, € 26,00 La rivoluzione del Movimento Moderno ha cambiato l’architettura, rinnovando forme, funzioni e tecniche verso una “razionale organizzazione della vita sociale”. Anche per la storia del museo l’intenso fermento di proposte e realizzazioni, tra gli anni ’20 e gli anni ’70, ha causato quello che Franco Albini

definisce un “secondo tempo”, di netta cesura rispetto al passato. Il testo fa il punto proprio su questa creatura del mitico Movimento: il Museo Moderno. Questo, come sottolinea l’autore nel saggio introduttivo, nasce dalla crisi della tipologia ottocentesca (erudita e tassonomica) davanti all’impatto inedito dell’uso di massa, acquisendo un nuovo ruolo, non più elitario, ma socialmente operante e produttivo. Viene quindi a distinguersi dal modello classico per tipi architettonici ed organizzazione espositiva, per la prima volta attenti alla fruizione, all’efficienza ed alla flessibilità, nonchè per stilemi linguistici, che vengono a coincidere con il “grado zero” della forma tipico del progetto moderno, o con l’espressività del “museo-fabbrica”. La fenomenologia delle espressioni fisiche di questo processo, articolata in costruzione del contenitore – architettura – ed allestimento del contenente – museografia – è appunto, come chiosa il sottotitolo, il punto di vista scelto per l’indagine. La forma utilizzata è invece quella dell’antologia, che ben rende conto dell’incrociarsi delle tematiche nel dibattito dell’epoca, raccogliendo contributi da convegni, libri, riviste. La collettanea di testi è divisa in tre parti, corredate di ricchi apparati iconografici tematici, che corrispondono a tre momenti culturalmente ben definiti dell’arco temporale preso in considerazione. Tradizione e innovazione descrive la “messa a punto” del Museo Moderno grazie all’esplodere di questa dicotomia; Icone museali del moderno raccoglie il massimo prodursi di riflessioni – dagli anni ’30 agli anni ’50 – da parte di museolo-

Caterina Lazzari

Verso un’ecologia dell’architettura Paolo Portoghesi M. Ercadi e D. Scatena (a cura di) Geoarchitettura. Verso un’architettura della responsabilità Skira, Milano, 2005 pp. 216, € 30,00 In tutto il lavoro di Paolo Portoghesi il rapporto con la natura è una questione centrale: trattare di architettura è inevitabilmente connesso alla capacità di comprendere le relazioni con il mondo. Architettura quindi come dialogo con un ambiente che ha regole di cui dobbiamo essere a conoscenza per poter stabilire con esso un qualsiasi rapporto. Anche la relazione con la storia – come si sa, sempre praticata in modi alti dallo studioso Portoghesi – appare in questo senso

inscritta nel più generale rapporto con la natura. In questo libro, generosamente fondativo, alla maniera di un trattato, tale rapporto con la natura viene affrontato nei suoi aspetti più vasti, ivi compresi i rapporti con le altre discipline, dalla filosofia, alla psicanalisi, alla psicologia, alle scienze naturali, alla geometria, alla stessa storia dell’architettura. Queste vengono utilizzate per indicare una via verso una architettura ecologica, nell’accezione più ampia di equilibrio con l’ambiente. Imparare dalla natura, Gli archetipi naturali, I materiali, Storia e memoria sono i capitoli in cui è diviso il libro, ricco di immagini, di note e di riferimenti bibliografici. Mai incline a nostalgie vernacolari o storicistiche, il saggio stabilisce in modo continuo relazioni con la contemporaneità, citando molte architetture recenti come esempi in cui ritrovare i temi proposti. Portoghesi si riferisce poi direttamente anche alle sue esperienze, indicate come esemplificazioni sulle questioni indicate: sorta di rilettura critica del suo lavoro, testimonianza di una ricerca continua, propria delle figure eminenti. Da sottolineare la chiara intenzione di Portoghesi di riaffermare, nella ricerca di tale equilibrio con la natura, la centralità dell’architettura, lontano dalle tentazioni che talvolta chi affronta la questione sembra subire: “L’architettura non viola e corrompe – come mostrano di credere gli ingenui difensori della ‘naturalità’ – ma, quando è vera architettura, dà senso e valore al paesaggio”. Maurizio Carones

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progressive della produzione affidata al grande capitale quale quello del Maestro americano, ma che proprio per questo permette di storicizzare le elaborazioni di Fuller, riconducendole al loro retroterra teorico e ai loro frutti successivi e consentendo di coglierne appieno il contributo di originalità. In altri termini il libro di Gorman non è solo, come sempre più spesso accade, una semplice rassegna di immagini e di postulati, quanto invece un testo di critica di storia dell’architettura che apre nuovi percorsi interpretativi di una significativa figura del passato e ricerca nessi non banali e scontati tra le ricerche di questa e quelle a lei coeve o posteriori. Soprattutto, un testo che rende palpabile il fascino e l’estraneità al tempo stesso, per la cultura architettonica, di pensatori come Fuller (che architetto non era e che anzi nutriva una profonda avversione per la categoria), tutti centrati sulle questioni della produzione e della razionalità necessaria e intrinseca dei singoli atti tecnici, ma capaci di una forza da autentico credo religioso nel portare avanti le proprie idee e nel ridurle a sintesi iconica di subitaneo impatto immaginifico: la cupola geodetica, per l’appunto, nella sua rarefatta elementarità.

gi, critici ed architetti (Le Corbusier, Howe, Mies, Wright…), che cercano nuovi sensi possibili e relative forme espressive; Il dialogo con la storia ritrae l’ultima fase, in cui, per i traumi provocati dal secondo conflitto mondiale, la cultura del Moderno si trova a confrontarsi con la protezione della materia storica, producendone nuove linee di ricerca.


a cura di Sonia Milone

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Affinità visive Mario Sironi Constant Permeke. I luoghi e l’anima Milano, Palazzo Reale piazza Duomo 12 28 ottobre 2005 – 29 gennaio 2006 È intrigante, come scrive Renato Barilli su “l’Unità” del 4 dicembre scorso, visitare questa mostra, curata da Vincenzo Trione con Claudia Gian Ferrari e Willy Van den Bussche, e costruita a partire dall’accostamento delle figure di due artisti, Sironi e Permeke, apparentemente fra loro molto distanti. L’intrigo sta nell’idea stessa alla base del progetto espositivo: la possibilità di realizzare un percorso visivo attraverso due diversi mondi, all’interno dei quali ogni singolo visitatore abbia la possibilità, o la curiosi-

tà, di ricercare analogie e differenze, affinità e distanze. L’artista milanese e quello fiammingo, praticamente coetanei, vivono in contesti culturali lontani e probabilmente si incontrano e si scoprono in occasione di importanti mostre in Italia. Li accomuna “un modo di sentire, di pensare, di fare”. I loro soggetti preferiti sono rappresentati da luoghi, per così dire, a margine: le periferie milanesi per Sironi e i villaggi di pescatori per Permeke. Questi non vengono rappresentati mai fedelmente, ma facendo in modo, come recita il titolo della mostra, che ne venga disvelato il senso, “l’anima”. Entrambi gli artisti aspirano a una sorta di “universalità” consegui-

bile tramite un percorso razionale. Solamente la conoscenza approfondita della realtà rende, infatti, possibile quel distacco necessario alla costruzione di realtà altre, analoghe, “universali”. E questa è, forse, la grande analogia, quella più nascosta, che intercorre fra i due artisti. La mostra, che si costruisce a partire dall’identificazione di alcuni temi chiave rispetto cui svolgere il percorso – ordinato cronologicamente – suggerisce, mediante brevi schede introduttive, possibili analogie o differenze ogni volta da verificare. Ma si tratta solo di un suggerimento: allo spettatore è infatti lasciata sempre una forte autonomia, una grande libertà di lettura. Per complicare, o meglio, per intrigare ancora di più lo spettatore, parallelamente all’esposizione pittorica, è raccontata l’esperienza fotografica di Francesco Jodice che, chiamato, per

l’occasione, a rappresentare l’attuale realtà di Ostenda e Milano, sceglie di coglierne, analogamente ai due pittori, il carattere per così dire generale per arrivare, solo successivamente, alla rappresentazione dei suoi infiniti dettagli. Martina Landsberger

Mollino: il treno della creatività Mollino Fragments Milano, Palazzo dell’Arte viale Alemagna 6 16 dicembre 2005 – 22 gennaio 2006

Progetti, architetture e relazioni di una personalità poliedrica. Già il sottotitolo dell’invitante mostra curata da Cecilia Bolognesi e Maurizio Navone offre un quadro sintetico del suo oggetto di studio: Carlo Mollino, un professionista geniale, dai molteplici interessi e dalle selezionate amicizie, vanto e orgoglio di una Torino che per lungo tempo lo ha trascurato. Ora, con il patrocinio del Comune di Torino e con la collaborazione della DARC di Roma e della Triennale di Milano, viene proposta una nuova modalità di approccio espositivo all’architetto, aperta ad un pubblico vasto, gratuita, direttamente fruibile dalla “strada” alla quale si lega, allocata com’è in cinque appositi container di sei metri per due e mezzo. Metafora dell’itineranza della mostra – destinata a spostarsi dallo spazio antistante la Triennale a Milano a quello del MAXXI a Roma, a piazza San Carlo a Torino - il container costituisce un ambiente confinato in cui sono concentrati i tratti salienti delle multiformi attività di Mollino, architetto-designer-fotografo-uomo: la passione per la montagna tradotta in architettura; la fantasmagoria degli interni accuratamente studiati; le intuizioni tecniche e lo zoomorfismo degli arredi; l’interesse per la fotografia come racconto di un luogo ed esercizio glamour; i rapporti con i colleghi, specie con Ponti, e la sua immagine “pubblica” attraverso le riviste. Ogni container schiude una porzione dell’universo molliniano, offrendone una sintesi efficace costituita da fotografie, progetti, oggetti, documenti, commentati da un breve trailer cinematografico. La voce di Fulvio Irace dà corpo all’inebriante rapporto con la montagna, alle cui pendici frastagliate si aggrappano come “unghie” le strutture reticolari del progetto per la funivia ai Fürggen. “Unghie” che si trasformano nelle tracce lasciate dagli sci sulla neve intorno alla Slittovia al Lago Nero,

si frammentano nella sequenza di scatti fotografici al Centro ippico torinese, si moltiplicano nei documenti tratti dal Fondo Carlo Mollino, si addolciscono nelle “zampe” dei “mobili in punta di piedi” oppure si rarefanno nell’applicazione della “tecnica aeronautica” ai sostegni degli arredi. L’efficacia della mostra si fonda sull’offerta di spot concisi e puntuali della vorticosa girandola entro cui si snoda l’opera dell’architetto, atti a suscitare durevoli impressioni del caleidoscopico professionista. Maria Teresa Feraboli

Stregonerie cromatiche Gauguin/Van Gogh. L’avventura nel colore nuovo Brescia, Museo di Santa Giulia via Musei 81 22 ottobre 2005 – 26 marzo 2006 Secondo appuntamento del grandioso progetto voluto dal comune e curato da Marco Goldin di fare di Brescia la nuova capitale della cultura. Così dopo Monet, la Senna, le ninfee, ecco Gauguin e Van Gogh e la loro rivoluzione artistica incentrata sulla liberazione del colore dalla schiavitù della verosimiglianza, in favore di un suo uso espressivo, intensificato e drammatico. È lo sconvolgimento dei materiali estetici tradizionali della pittura: pennellate e colori a infiammare le tele. La mostra segue il percorso cronologico intrecciando, ad ogni tappa, l’opera dei due artisti per confrontare le rispettive ricerche, fino al mitico soggiorno di Arles, da ottobre a dicembre del 1888, in cui i due vissero insieme nel desiderio di fondare una colonia di artisti al sud,


Sonia Milone

I disegni di Carlo Aymonino Grandi disegni per grandi progetti: nel segno di Carlo Aymonino Roma, AAM Architettura Arte Moderna via dei Banchi Vecchi 61 22 dicembre 2005 – 11 febbraio 2006

In concomitanza con la conclusione dei lavori e l’apertura al pubblico del nuovo spazio museale del Giardino Romano nei Musei Capitolini, progetto che ha impegnato Carlo Aymonino sin dal 1991, si apre a Roma un omaggio alla figura dell’architetto romano. Allestita nella galleria AAM di Roma e curata da Francesco Moschini e Gabriel Veduva, la mostra ne ripercorre sinteticamente l’opera, attraverso una significativa selezione di disegni originali. E sono proprio i disegni – lontani dall’essere semplice strumento di rappresentazione – a configurarsi qui come il luogo per eccellenza entro cui sviluppare e concentrare l’elaborazione teorica, modulati nelle finalità e nell’intensità espressiva. Dai disegni di grande formato – le proposte per il Colosso a Roma, per il Bacino di San Marco a Venezia, per Ferrara – formalizzati in composizioni in cui il progetto di architettura si spiega pubblicamente con la sapiente messa in evidenza del concetto, e la cui bellezza appare non solo possibile ma anche urgente, desiderabile; sino ai taccuini privati, in cui il disegno è pratica personale, meditazione proficua su questioni puramente formali, accumulazione selezionata di immagini, tentativo di penetrare la struttura segreta delle cose viste. Ma, insieme a questa quotidiana frequentazione dell’armonia, dai disegni e dagli scritti affiora inaspettatamente un toccante autoritratto sentimentale, i cui argomenti riguardano le ferite lasciate da una vita, dall’architettura, dall’amore, dal poco denaro, dalle delusioni. Ci appare allora sotto un’altra luce la tormentata vicenda del Giardino Romano, dove la splendida promessa contenuta nei disegni della trasparente voliera per le figure di bronzo e di marmo – intaccata nella sua indispensabile compiutezza dalle decisioni dell’amministrazione capitolina, che altri ha incaricato della definizione di parti importanti del progetto – viene tradita doloro-

samente nella concretezza dello spazio costruito. Tra le pieghe nascoste delle opere, quindi, le questioni personali dell’architetto, segnate dalla insopprimibile aspirazione alla bellezza che, però, espone ineluttabilmente alle miserie di una realtà non sempre all’altezza della situazione. Amanzio Farris

La vita segreta degli interni Candida Höfer. Fotografie 2004-2005 Cinisello Balsamo, Museo di Fotografia Contemporanea via Frova 10 6 novembre 2005 – 12 marzo 2006 Gli spazi pubblici, in particolare gli interni di musei, palazzi, teatri, monumenti, librerie, università, sono i soggetti privilegiati della fotografa tedesca Candida Höfer, che per formazione e ispirazione appartiene alla “Scuola di Düsseldorf”. Ne sono capostipiti i Becher che, a partire dagli anni ’60, con le loro analisi seriali di fabbriche, inaugurano l’interesse verso l’archeologia industriale. La Höfer si inscrive in questa tendenza a realizzare immagini frontali, atemporali, spesso spopolate, in cui l’iterazione del tema e dell’inquadratura dapprima inseguono, poi oltrepassano lo spirito documentario, per assumere un preciso intento narrativo-poetico. Il museo di Cinisello espone immagini scattate tra il 2004 e il 2005 in varie città europee e sudamericane. L’autrice prosegue il personale filone di ricerca, che complessivamente configura una

sorta di archivio ante litteram delle tipologie architettoniche del presente. Il grande formato proietta chi osserva le opere all’interno di una “scena”, in cui ogni altra presenza umana e azione sono solo sottintese o potenziali. I dettagli nitidi, i colori brillanti, inducono a continui slittamenti dal particolare alla vista d’insieme, la quale conserva comunque la sua forza (semantica e al tempo stesso grafica). Il punto di ripresa, leggermente rialzato rispetto all’occhio umano, trasporta l’immagine da un registro neutro a uno evocativo: si materializza un senso di attesa come se un evento fosse imminente, oppure si fosse appena concluso; i luoghi vengono quasi “colti di sorpresa” e in tal modo smascherano il proprio spirito, intangibile per coloro che li occupano quotidianamente. Con questa esposizione, realizzata in collaborazione con il Kestnergesellschaft di Hannover, il museo continua la serie di collaborazioni internazionali con importanti istituzioni culturali e pubblica un nuovo catalogo (del curatore Schlüter, introduzione di Valtorta, testi inglese/italiano) che arricchisce i precedenti contributi teorici. Aggiunge inoltre alle sue iniziative la recente apertura di una biblioteca interamente dedicata al campo della fotografia. Mina Fiore

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conclusosi col nefasto episodio del taglio dell’orecchio. Le loro biografie si incrociano, ma la distanza della loro poetica resta inconciliabile. Gauguin vagheggia un colore “musicale”, à plat e fluido come il sogno e i simboli evanescenti che voleva evocare, mentre Van Gogh imprime un colore “carnale”, materico, denso e ctonio come la terra. Non a caso, uniti da un comune senso di disadattamento rispetto alle convenzioni sociali, Van Gogh lascia Parigi per la campagna contadina, Gauguin fugge più lontano, ai confini della civiltà, verso i paradisi incantati e idealizzati dei mondi primitivi nei mari del sud. La tavolozza si colloca a due differenti latitudini delle concezioni estetiche. I quadri di Gauguin diffondono la luce tropicale, le piante lussureggianti, la pelle dorata delle donne della Martinica, di Tahiti e delle Isole Marchesi, mantenendo però sempre un certo intellettualistico, raffinatissimo, “europeo”, controllo sulle forme cromatiche. Mentre i soli di anomala intensità, vorticanti in piena notte, le stelle ebbre di luce, dilatate fino all’orlo del loro ultimo giro prima del collasso, le turbolente distese di grano di Van Gogh aumentano la temperatura dei quadri al di là di ogni tropico conosciuto, sconvolgendo le coordinate di qualsiasi paesaggio noto. “I suoi girasoli d’oro e bronzo sono dipinti come girasoli e nient’altro, ma adesso per capire un girasole in natura bisogna prima rivedere Van Gogh” ha scritto Antonin Artaud, altro geniale, maledetto, internato, artista, autore del libro più esplosivo della storia dell’arte.


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“Le stesse cose ritornano, ovvero perché non si inventa la storia?” Pavia: la città e la sua immagine nelle descrizioni dei viaggiatori Vittorio Prina Leandro Alberti narra di una delirante leggenda relativa alla fondazione di Pavia che racconta la distruzione improvvisa delle fondamenta della città in costruzione e del ritrovamento di una carta con il disegno di tre “N”: le interpretazioni procedono da “Nido” a “Non sarà edificato” a “Ninive Città Magna”. Domenico Laffi nel 1691 scrive della nascita di un fanciullo e una fanciulla uniti, l’uno con la testa di cane, l’altra di gatta e successivamente di una donna che partorisce una gatta con volto umano; viene inoltre descritta la Madonna della Palla (che esiste tuttora sul prospetto di una casa in via Lanfranco), immagine sacra colpita da una palla di cannone durante l’assedio dei francesi del 1655 che rimane incastonata nella parete senza danneggiarla. Opicino de Canistris, esule, canta lodi sperticate descrivendo una sorta di paradiso terrestre abitato da una popolazione ineguagliabile; per contro Michel de Montaigne nel 1580, probabilmente ancora segnato dalla sconfitta subita dai francesi nella famosa battaglia di Pavia ad opera di Carlo V aiutato dai cittadini, si dilunga nel riferire che il miglior albergo-osteria che lo ha ospitato nel corso del suo viaggio è la posta di Piacenza, il peggiore in assoluto “il Falcone” di Pavia. Imperdibile il racconto nel 1799 di un altro francese, Charles de Brosses, perfido e anticlericale che descrive una città triste e deserta, della quale si era fatto un’idea superiore alla realtà, e dei bravi lombardi “che devono aver immaginato di abitare in una città interessante”; la cattedrale è una vecchia e brutta chiesa costruita di traverso; alcuni “baggiani” lo vogliono condurre a visitare il cimitero dei

francesi uccisi nella battaglia di Pavia; la Certosa è una accozzaglia di ornamenti sparsi a caso in quanto “chi dice gotico, dice, quasi infallibilmente una cosa brutta” e i frati, “miserabili canaglie”, che dopo averlo fatto scarpinare lo lasciano a stomaco vuoto sotto il sole costringendolo a “mangiare delle uova sode ad un miglio di distanza”. Il Münster narra nel 1558 della rovina di Pavia segnata da guerre e assedi e della popolazione che “suo malgrado ha imparato a ubbidire” e, per contro, dell’abbondanza in città di tutto ciò che appartiene al “vitto” e ai “vini più che egregij”. Lalande trova una città semideserta e troppo grande per il numero dei suoi cittadini; l’università è abbandonata e non vi sono né biblioteche né strumenti scientifici (prima delle riforme teresiane); la Strada Nuova, manco a dirlo, è stata interamente ridipinta nel 1765 in occasione del passaggio dell’Infanta di Spagna… Così come l’esame del materiale iconografico di una città ci permette di analizzare il mutare della forma di una struttura urbana e quindi “lo scenario spaziale in cui si muove la società cittadina di questo periodo“ (1), molteplici sono gli elementi che concorrono alla definizione dell’immagine urbana: dalle “laudes civitatum”, ai testi degli storici e alle testimonianze lasciateci da eruditi o da cittadini. Questa varietà di materiale e complessità di temi, ci permette di individuare quello che Jacques Le Goff definisce “l’immaginario urbano (…) quell’insieme di rappresentazioni di immagini e di idee, attraverso le quali una società urbana – o parte di essa, o i suoi ideologi e i suoi artisti, che non di rado sono la stessa cosa – costituisce per se stessa e per gli altri un autopersonaggio, un autoritratto. Ciò che importa per lo storico, è capire che questo personaggio ha due facce: una materiale, reale, rappresentata dalla struttura e dall’aspetto della città stessa; l’altra mentale, incarnata nelle rappresentazioni artistiche letterarie e teoriche della città. L’immaginario urbano consiste insomma nel dialogo fra queste due realtà, fra la città e la sua immagine” (2).

Tutto questo si confronta, si “specchia” nell’ulteriore elemento fondamentale costituito dalle descrizioni, lettere, libri di viaggio, guide, redatti dai viaggiatori che hanno fatto tappa a Pavia durante i loro itinerari italiani. L’immagine urbana che può essere definita “dall’interno”, si confronta e completa, attraverso il materiale letterario e iconografico, con l’immagine “dall’esterno”, restituita dagli artisti e dai viaggiatori, e che costituisce sino al Settecento, secondo Cesare De Seta, uno “schizzo del paese reale”. Il viaggio in Italia costituisce una scelta ineluttabile sia per i pellegrini medievali che successivamente per i viaggiatori; la sua importanza è codificata dalla definizione, nel XVII secolo del cosiddetto “Grand Tour”, il viaggio di formazione che giovani aristocratici e facoltosi gentiluomini intraprendono per conoscere soprattutto l’Italia. Il “Grand Tour”, determinato da ben precise motivazioni, perde le sue caratteristiche verso la fine del XVIII secolo, sostituito, a partire dal XIX secolo, dal viaggio “turistico” organizzato, spesso caratterizzato dall’assenza di un programma culturale e condotto con l’ausilio delle guide turistiche. Interessi artistici, culturali, politici o sociali, semplice curiosità o passione per il viaggio sono fattori che, mediati dalla persistenza di luoghi comuni e di condizionamenti di ogni genere, da professionalità o dilettantismo, fra metodo o pura intuizione, si fondono nei prodotti letterari di questi viaggiatori. Nelle descrizioni letterarie relative a Pavia osserviamo lodi sperticate contrapposte a irridenti critiche, astruse leggende e dicerie o obiettive descrizioni della realtà, osservazioni datate o commenti che sembrano scritti ora, a seconda del paese di provenienza dell’autore e dei rapporti politici che intercorrono tra i rispettivi governi. Le stesse cose ritornano, appunto (3). Note 1. Leonardo Benevolo, La città italiana del Rinascimento, Edizioni Il Polifilo, Milano, 1990, p.14. 2. Jacques Le Goff, “L’immaginario urbano nell’Italia medievale”, in: Cesare De Seta, Storia d’Italia, Annali 5, Einaudi, Torino, 1982, pp.7-8.

3. Per una completa trattazione iconografica e letteraria si veda: V. Prina, Vedute di Pavia dal ’500 al ’700. Realtà e immagine di una città e del suo territorio dalla fine del XV al XVIII secolo, ViGiEffe Cardano, Pavia, 1992. Fonti iconografiche 1. Opicino de Canistris, Vista prospettica della Cattedrale costituita dalle basiliche contigue di Santo Stefano, estiva, e Santa Maria Maggiore, invernale. 2. Incisione Pavia edita a Siena da Matteo Florimi, fine XVI secolo. 3. Xilografia di Pavia dal volume Cosmographia di Sebastian Münster, Basilea, 1544. 4. Arazzo della battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525, manifattura fiamminga su cartoni di Bernard Van Orley, 1530 ca. 5. L’Almo Collegio Borromeo de studenti in Pavia, particolare dell’incisione di Cesare Laurentio, 1610. 6. Nescit pulchra thaleja mori, dal volume Thesaurus philo-politicus… di Daniel Meissner, Nürnberg, 1623. 7. Taciturnitas. Ticinum in Italia, dal volume Thesaurus…, op. cit. 8. Pavia, disegno di Ludovico Corte del 1617, incisione di Cesare Bonacina, commissionata da Ottavio Ballada nel 1654, edita a Pavia il 29 aprile 1654. 9. Ticinum. Pavia, disegno di F. B. Werner, incisione di I.C. Leopold, 1740 ca. 10. Ducalis ac regalis cartusiae, ticinensis prospectus exterior, disegno di Caesar de Floribus, incisione di Ioseph Mulder, inizio sec. XVIII. 11. Ichnographia Ducalis ac Regalis/Cartusiae Ticinensis, di C. de Floribus e I. Mulder, sec. XVIII.

1. Opicino de Canistris “Dunque è noto che questa città, ricca di acque pure, fertilissima nei pascoli, fruttuosa per i campi, le vigne e i boschi e ricolma di tutti i beni necessari alla vita degli uomini e (benché ora sia stato punito dalla giusti-


Il libro delle lodi della città di Pavia, 1330. 2. Leandro Alberti “Sopra la foce de’l Ticino quattro miglia, evi la Città di Pavia, dagli antiqui addimandata Ticinum, come dimostra Strabone nel quinto libro Plinio nella nona

tutto il fondamento, che havevano fatto il giorno davanti. Onde tutti conturbati (credendo questa cosa esser stata fatta da loro nemici per invidia chi habitavano oltre il Po’) non sapevano chi fare. Et essendo in questo pensiere, apparve una venerabile persona à Ticino Huomo saggio & prudente, dimostrandogli una carta nella quale erano tre N disegnate, la quale dimostrate, incontenente dispari. Narrata la cosa agli huomini da Ticino, ciascun sforzavasi d’interpretarla à suo modo, al fine la fù così interpretata la prima N Nido, la seconda N de i Nidi, la terza N non sera edificato. Onde desperati quelli, & volendo lasciare la cominciata impresa, vi fù vietato da uno cõ tal interpretazione. La prima N significa Ninive Città Magna, la seconda N Nido, la terza N de i Nidi, guai à quello, chi per forza la soggiogarà. Così scrive il Burello Haver ritrovato in alcune Croniche di Pavia”. Descrittione di tutta Italia di F. Leandro Alberti Bolognese, Nella quale si contiene il Sito di essa, l’Origine, & le Signorie delle Città, & delle Castella, co i nomi Antichi & moderni, i Costumi de Popoli, le Condicioni de Paesi, 1550.

43 Et gia tutta sta in rovina per conto delle guerre, nella quale niente è più da vedere, se non le vestigia dell’antico studio: ma per altro da ogni bando, viene ad altrui occasion di dolersi d’una si bella, & amena citta Impero che vol do pur fuggire il giogo di Cesare, à suo malgrado ha imparato ad ubbidire. Hoggi s’appartiene al duca di Melano, Giovangaleazzo duca I di Melano la caccio, laquale inprima era libera sotto’l suo giogo, en quello edifico una fortezza, & allato vi fece acconciare un notabile & gran barco da tenervi fiere, & andarvi à caccia il quale è così ampio, che à torno gira 20 miglia Italiane cinto da ogni banda di muor, & pien di bestie di diverse sorti. Hoggi si chiama con questo nome Barco, che un horto cosi fatto. La città abbonda dicioche s’appartiene al vitto, & ricolgonvisi vini più che egregij”. Cosmographia, 1558. 4. Michel de Montaigne “Pavia, 30 miglia piccole. Subito mi messi a veder le cose principali della Città, il ponte sopra il Tesino, le chiese del Duomo, Carmini, S. Tomaso, S. Agostino, nella quale è l’arca d’Augustino, ricco sepolcro di marmo bianco con molte statue. In una certa piazza della città si vede una colonna di mattoni, sopra la quale è una effigie, la quale pare ritratta da quell’Antonio Pio ch’è a cavallo innanzi al Campidoglio.

Regione, qual è nell’Italia Transpadana, Cornelio Tacito nel terzo, & decimo settimo libro dell’histoire, & Tolomeo (…) Et prima dicono alcuni che la fù edificata da i Galli Boii, & Cemamani, chi habitavano circa il corso de’l Ticino, & che Havendogli dato principio, ritrovarono la mattina seguente istirpato

3. Sebastian Münster “In questa città tennero per l’adietro il real seggio i Longobardi, & gli altri re dell’Italia doppo loro, innanzi che da Carlo Magno Imperadore fusser domati. Ha molte cose patito nel successo del tempo per conto delle fazioni de Guelfi, & de Ghibellini.

Questa è più piccola, e non ha alcuna parità di bellezza. Ma quel che mi mette più in dubbio è che questa statua ha delle staffe, & una sella con arcioni dinanzi, e dietro, dove l’altra non ha questo, e si confà di tanto meglio con l’opinione de i dotti, che le staffe, e selle, a questo modo, sono trovate dapoi. Qualche ignorante scultore forse ha pensato, che in questo ci mancasse. Viddi oltra, sivel principio d’edificio del Cardinal Borromeo per il servizio delli Scolari (Ora è in Collegio bellissimo: v’è posta altresì la Biblioteca della Università sotto la direzione del dotto P. Fontana, celebre professore). La città è grande & onestamente bella, popolata comodamente, e non ci manca artigiani d’assai forte. Poche case belle ci sono. E quelle dove fu i giorni passati alloggiata L’Imperatrice, è poca cosa; Viddi le arme di Francia, ma erano scancellati i gigli. In fine non ci è cosa niuna rara. Si danno per quelle bande i cavalli a duo giuli per posta. La meglio osteria, o, a dir meglio, il meglio albergo dove io avessi albergo di Roma fin qui, fu la posta di Piacenza: e credo la meglio d’Italia, di quella di Verona in poi. La più cattiva di questo viaggio fu il Falcone di Pavia. Qui si paga, & in Milano, la legna a partito: e si manea materassi a i letti”. Voyages de Montaigne – Giornale del viaggio di Michel de Montaigne in Italia per gli Svizzeri, e per l’Allemagna nel 1580 e 1581.

OSSERVATORIO ITINERARI

zia divina il peccato dei suoi abitanti che sono in preda alla follia della discordia e della separazione, la cui malvagità è uscita dal ventre vale a dire dall’abbondanza di pane e di vino e di ogni altra delizia e tutti gli altri siano puniti con misericordia) forte di una moltitudine di uomini nobili e sapienti risplende entro una triplice cerchia di mura, di un numero di chiese superiore a centotrenta (…) Gli abitanti di Pavia sono davvero laboriosi in tutte le colture della terra, per il gran numero di campi e poderi che posseggono, e nella compravendita dei beni e in tutti i mestieri, quasi nessuno dei quali è assente (…) Gli abitanti di questa città, ben armati e valorosi, intelligenti ed accorti, finché rimasero concordi e unanimi fra loro sempre risultarono vincitori dei loro nemici”.


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5. Pellegrino Pellegrini “Come è detto, le colonne, coprendosi con li architravi, fregio e corinzie, siano alte come sarà la larghezza del ponte. Il tutto si farà di legname durabile e li travi farano ligamento et intertinimento delli colonati. Siano a sofitta, perché essendo voto sin alla sommità del tetto è perico-

loso, che, sperando da basso sofio di vento grande e trovando quella concavità rinchiusa, violente e con pericolo va che non si levi in un colpo tutto il tetto e riversi le colonate nel fiume. Come i’ ho visto succeder nel ponte di Pavia di Lombardia, il qual pasa il violanto e gran fiume Ticino, che è tal ponte non meno longo di 400 braccia, quale è in tutto coperto, sostenuto da colone, che vene un vento tanto teribile che portò in un soffio nel fiume tutto lo colonato” (“L’architettura”) (…) “L’architetto Pellegrino non è anchor comparso et si aspetta con desiderio per far li cavi dell’edificio del collegio di Pavia, sendo già tratto a terra tutto il vecchio. Et, per esser cresciuto il Ticino in tal maniera, che le barche vanno a Pavia a tutta carica, ho datt’ordine mandarli d’Arona et Angiera una buona quantità di calcine”.

può veramente dire che la sia una gloriosa Università (...) Non è alcuna città in Lobardia, la qual possa estinguere le novità, & i romori meglio della Città & paese di Pavia. Imperoche con il suo gran Territorio i fiumi che ei sono attorno, divide i Milanesi, Novaresi, & altri popoli Insubri dai Piacentini da quelli di Bodio, da’ Genovesi, Tortonesi, Alessandrini, & Casalaschi. Talmente che i suddetti popoli non possono accordarsi insieme, e congiungersi à lor beneplacito senza il consentimento di Pavia. Di più questa Città che è chiamata Fatale, Porta, e Chiave di Lombardia, domina il Po’, & il Tesino. La onde può concedere il passo dall’una e l’altra riva del Po’, & del Tesino, e parimente lo può facilmente negare per l’opportunità del sito”. Itinerario Overo Nova Descrittione de’ Viaggi Principali d’Italia di Francesco Scoto (…), 1658-59. 7. Domenico Laffi “Pavia, come dicono molti Auttòri, & in particolare il Solis, è delle più antiche Città del

te, oltre la fertilità del suo terreno, che produce ogni cosa necessaria al vivere humano (…) Dicono Luigi Contarini, Rosaccio al foglio 20. & il Sarcinara al cap.75. che in questa città del 674. Nacque un fanciullo, & una fanciulla attaccati insieme, l’uno con la testa di cane e l’altra di gatta, e parimente del 1474. Una Donna partorì una Gatta con la faccia humana; Andassimo poscia à vedere la Madonna, della Palla, questa è un’Immagine col Bambino in braccio dipinto nel muro della casa de’ Signori Gricciotti, la quale alli 10 di Settembre 1655 essendo li Francesi all’assedio di detta Città, fù percossa nel petto da una grossa palla di cannone, e detta palla miracolosamente restò nel muro come oggidì si vede, senza lasciare dalla parte d’avanti segno alcuno di rottura, ma bensì dall’altra parte, opposta à detta palla ruppe, e gettò a terra un pezzo di muraglia, tal che dall’una, all’altra parte dello stesso muro si vede detta palla”.

re, e la capitale del loro regno. Il castello è una vecchia massa quasi abbandonata e le fortificazioni della città sono in uno stato precario. Per visitare Pavia, non c’è che da attraversarla, percorrendo il corso principale: ciò che vi è a destra e a sinistra e miseramente abitato. Per quel che possiamo giudicare, l’Università è in uno stato di decadenza, come tutto il resto. Ci sono cinque collegi, tra cui, il Collegio Borromeo merita di essere menzionato, per la bellezza degli edifici. Gli studenti camminano per la città con le loro toghe, e quelli dei vari Collegi hanno stole differenti. Di fronte alla Cattedrale, che è una vecchia chiesa bassa, scura e costruita di traverso, c’è una statua equestre, in bronzo, che si presume sia di Antonino Pio”.

Dalla tomba alla culla è un lungo passo. Viaggio da Padova ove morse il glorioso S. Antonio a Lisbona ove nacque, di Domenico Laffi bolognese, 1691.

“Pavia, in latino ‘Papia’ o ‘Ticinum’, è una città di 30 mila abitanti, situata a sei leghe da Milano, e a diciannove da Genova (…) La statua equestre di bronzo che si eleva su una colonna, nella piazza dell’arcivescovado, passa per quella di Antonino Pio, ma è mediocre. La cattedrale è attualmente in ricostruzione; sono state terminate solamente l’abside e una parte della cupola: si sta ricostruendo per mezzo delle offerte spontanee e delle donazioni della città, il che rende l’opera molto lunga (…) Si notano anche delle torri molto antiche e molto alte, soprattutto quella del Palazzo Belcredi, che è di fronte al palazzo Mezzabarba; ce n’era una chiamata ‘Torre del pitz in zo’, cioè, sotto-sopra, poiché la cima era più larga della base, ma è caduta; 300 anni fa, in architettura piacevano queste cose singolari (…) La città si estende in lunghezza per circa un miglio, da occidente ad oriente (…) tale estensio-

Tullio Albonese a Carlo Borromeo, Milano, 19 aprile 1564. 6. Francesco Scoto (Franz Schott) “In questa Città vi è lo studio generale, postovi da Carlo Magno Imperatore (…) La onde per esservi l’aria sottilissima, la quale giova assai à studiosi, si

Mondo, e fù edificata da’ figliuoli di Noè, se bene alcuni hanno detto fa Galli al tempo di Assuero Rè de’ Persi, fu chiamata Ticino dal fiume che vi passa, qual la rende molto abbondan-

8. Maximilien Misson “La povera città di Pavia ha perso tutto l’antico splendore. Non si direbbe, vedendola, che fosse stata la residenza di venti

Nouveau Voyage d’Italie (…) 1702. 9. Jerôme Lalande


stri, ornato di bei bassorilievi in legno e sorretto dai dodici apostoli in funzione di cariatidi (…) Nella piazza vicina, in cima ad una colonna, c’è una statua di bronzo a cavallo di un antenato di Ronzinante, di bronzo anche lui. Mi dissero che è un’eccellente opera dei romani, raffigurante l’imperatore Antonino; ma a mio giudizio, non è invece che una detestabilissima opera di qualche ostrogoto (…) Mi volevano ancora condurre a

Viaggio di un francese in Italia fatto negli anni 1765 & 1766.

visitare il cimitero dei francesi uccisi nella battaglia di Pavia; ma la mia condiscendenza a quei baggiani non arrivò fino a questo punto (…) La facciata della Certosa, in marmo bianco, è una magnifica mostra di tutti gli ornamenti immaginabili; statue, bassorilievi, fogliami, bronzi, medaglie, colonne, campanili, ecc.; il tutto sparso senza scelta e senza gusto: non sarebbe possibile, da cima a fondo, mettere il dito su un posto che sia vuoto di ornati. E tuttavia l’insieme rallegra lo sguardo, perché qua e là vi sono delle cose belle; ma siamo sempre nel gotico. Non so se sbaglio, ma chi dice gotico, dice, quasi infallibilmente una cosa brutta (…) I bravi frati hanno centomila scudi di rendita. Ci avevano fatto credere che offrissero trattamenti magnifici a tutti i visitatori. Sulla base di questa convinzione, Lacurne digiunava regolarmente da tre giorni,

10. Charles de Brosses “Ci fermammo a Pavia. Non so perché mi fossi formato di questa città, che per molto tempo è stata la sede dei re longobardi, un’idea superiore alla realtà. È relativamente piccola, più lunga che larga, con brutti e tristi edifici di mattoni e vie larghe e deserte. Solo lo stradone che costituisce la parte principale della città, è affollato di gente e di botteghe. Questi bravi lombardi devono avere immaginato di abitare in una città interessante: orgoglio mal riposto, giacché le mille cose che si ostinarono a portarci a vedere erano estremamente misere. La cattedrale è una vecchia chiesa costruita di traverso, e dentro notai solo il pulpito, girante tutt’intorno ad uno dei pila-

Lettres Historiques et critiques sur l’Italie, de Charles de Brosses, premier président au parlament de Dijon (…)”, 1799.

11. Le Corbusier

Il 5 settembre 1907 Le Corbusier sosta a Pavia durante il viaggio in Italia; le tappe dell’itinerario seguito sono scandite dalla più famosa guida moderna per il viaggiatore, il Baedeker. Proprio osservando una pianta della chiesa e del monastero pavesi pubblicati sul Baedeker si reca a visitare il complesso della Certosa. Il 15 settembre, impressionato dalla visita alla Certosa pavese, si reca a Galluzzo presso Firenze, ove si trova la Certosa d’Ema, il cui impianto tipologico presenta molte affinità con l’esempio lombardo. “Pavia, Certosa, stalli con intarsi stupendi, che bella tecnica! (…) Nel chiostro, straordinario effetto della terracotta. Mi sono estasiato anche di fronte alle miniature di grandi Bibbie” (…) “Sabato sera a Fiesole, oh, quei monaci, come sono fortunati; la mia ammirazione è stata la stessa alla Certosa di Pavia, ed ho potuto convincermi che se essi rinunciano al mondo, sanno però garantirsi una vita deliziosa, e sono persuaso che, in fin dei conti, sono loro i fortunati, e ancor più coloro che hanno in vista il Paradiso”. Lettera a l’Eplattenier, Firenze, 19 settembre 1907 e Lettera ai genitori, Firenze, 14 settembre 1907, in: Giuliano Gresleri (a cura di) Il viaggio in Toscana, Marsilio, Venezia, 1987, p.14.

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ne è molto più grande di quanto serva per contenere 30 mila abitanti e 3000 uomini di guarnigione; quindi la città sembra un po’ deserta; la Strada Nuova, che la attraversa da nord a sud, è abbastanza dritta; essa è stata interamente ridipinta nel 1765 in occasione del passaggio dell’Infanta di Spagna, che andava a Insbruck a sposare l’Arciduca, allora Granduca di Toscana (…) L’Università di Pavia, dove un tempo insegnarono i più famosi giuristi di allora, viene oggi abbandonata; non c’è nell’Università, e nemmeno nella città, una biblioteca pubblica; vi si possono cercare in vano le tesi dei nostri Atenei e i libri che contengono le nuove scoperte fatte in campo scientifico; non si vede nessuno strumento di fisica, non ci sono né sfere, né pendoli, né osservatorio, né aula di storia naturale; per concludere, gli studi vengono fatti in un’estrema letargia; ciò dimostra il vantaggio che si avrebbe nel trasportare l’Università di Pavia in una grande città come Milano”.

calcolando di rifarsi qui del cattivo trattamento delle locande italiane; ma dopo esserci sfiancati le gambe, e gli occhi per sei ore, sempre in attesa dell’invito (…) ci toccò tornare indietro nel pieno della canicola, per mangiare delle uova sode ad un miglio di distanza. Uscendo scorgemmo attraverso un’inferriata le poche vecchie pergamene ch’essi chiamano biblioteca (…) e qui lasciammo queste miserabili canaglie per raggiungere Binasco”.


a cura di Walter Fumagalli

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Un caso di schizofrenia acuta: la pubblicità dei Piani attuativi Una volta le parole avevano un significato ed un peso, sia quando venivano pronunciate, sia, ed a maggior ragione, quando venivano scritte (scripta manent!, dicevano gli antichi). Da qualche tempo, però, la cronaca ci sta abituando ad una realtà quanto mai diversa: insensibili al più elementare senso del pudore (ed in qualche caso, insensibili anche al più elementare senso del ridicolo), personaggi pubblici di ogni estrazione fanno dichiarazioni e subito dopo le correggono, le smentiscono, o addirittura negano di averle fatte nonostante che tutti le abbiano perfettamente sentite e registrate. In questo clima, non c’è da stupirsi se ormai anche le parole scritte vengono spesso utilizzate in modo del tutto inappropriato, alle volte più per il loro piacevole suono che per il loro reale significato. Questo fenomeno diventa preoccupante, allorquando tale uso spregiudicato delle parole dà origine ad un testo di legge la cui corretta applicazione dipende proprio dal significato dei termini utilizzati dal legislatore. A questo difetto non sfugge purtroppo la Legge Regionale per il governo del territorio 11 marzo 2005 n. 12. Essa si apre con alcuni articoli nei quali fanno bella mostra di sé alcune parole dal suono accattivante e promettente. L’Articolo 2.5, per esempio, stabilisce che “il governo del territorio si caratterizza per: • la pubblicità e la trasparenza delle attività che conducono alla formazione degli strumenti; • la partecipazione diffusa dei cittadini e delle loro associazioni; • la possibile integrazione dei contenuti della pianificazione da parte dei privati”. Leggendo queste parole, al comune cittadino non può che aprirsi il cuore: la democrazia si consolida anche nella gestione urbanistica del territorio, e ancora più di prima gli strumenti urbanistici saranno il frutto di una “partecipazione diffusa” della società

civile, e non solo di un dialogo diretto (e non sempre condotto alla luce del sole) tra amministratori pubblici ed operatori del settore. Che cosa si può aspettare dunque quel cittadino dopo aver letto queste parole? Si aspetta che i successivi articoli della legge regolino i procedimenti preordinati alla formazione ed all’approvazione degli strumenti urbanistici in modo tale da garantire la pubblicità e la trasparenza delle relative attività, in modo tale da garantire che i cittadini e le associazioni in cui essi operano possano far sentire la loro voce, ed in modo tale che le amministrazioni locali siano tenute ad ascoltarla. Ma i successivi articoli mantengono queste promesse? Vediamo che cosa prevedono, per esempio, per il procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici attuativi dei piani di governo del territorio. A questo proposito giova una precisazione preliminare. La legislazione precedente la Legge Regionale n. 12/2005 attribuiva ai Piani attuativi una funzione importante, ma al contempo ne limitava considerevolmente il contenuto: i Piani attuativi dovevano sviluppare nel dettaglio le regole di per sé abbastanza dettagliate, dettate per le relative porzioni di territorio dal Piano regolatore generale. Con il Piano di governo del territorio tutto cambia: il documento di piano (elemento costitutivo del P.G.T.) individua gli ambiti di trasformazione definendo solo i relativi “criteri di intervento” (Articolo 8.2, lettera “e”), mentre i Piani attuativi regolano l’attuazione degli interventi di trasformazione e sviluppo indicati nel documento di piano, fissando fra l’altro in via definitiva gli indici urbanistico-edilizi neces-

sari ad assicurare detta attuazione (Articolo 12.3). Nel nuovo sistema, dunque, ai Piani attuativi viene riservata una funzione più incisiva di prima, tant’è che gli stessi devono addirittura stabilire gli indici ed i parametri di fabbricabilità da rispettare nella trasformazione del territorio. Ma a questa nuova, più importante funzione dei Piani attuativi, corrispondono adeguate garanzie di partecipazione? L’adozione del Piano attuativo In coerenza con le norme nazionali che regolano la competenza degli organi comunali (Articolo 42 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000 n. 267), la Legge Regionale 23 giugno 1997 n. 23 attribuiva ai consigli comunali il compito di adottare i Piani attuativi conformi ai Piani regolatori (Articolo 7); la Legge Regionale n. 12/2005 riserva invece alle giunte comunali il compito di adottare i Piani attuativi conformi ai Piani di governo del territorio (Articolo 14). A questa differente competenza corrispondono differenti forme di partecipazione dei cittadini: l’Articolo 38.7 del Decreto Legislativo n. 267/2000, infatti, stabilisce che le sedute del consiglio comunale sono pubbliche, il che implica che la cittadinanza viene preventivamente informata delle stesse e dei relativi ordini del giorno. Una regola analoga, invece, non vale per le sedute delle giunte comunali, le quali si svolgono nel chiuso delle segrete stanze dei bottoni, senza alcuna forma di pubblicità ed il più delle volte senza dibattito e senza contraddittorio. Il deposito del piano adottato Mentre l’Articolo 7.5 della Legge Regionale n. 23/1997 disponeva che le deli-


elaborati, la cui riproduzione fra l’altro risulta spesso abbastanza impegnativa. Spesso, pertanto, la documentazione indispensabile per redigere le osservazioni verrà consegnata agli interessati solo dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle osservazioni stesse.

La pubblicità del deposito L’Articolo 14.2 della Legge Regionale n. 12/2005 stabilisce che “del deposito è data comunicazione al pubblico mediante avviso affisso all’albo pretorio”. Trattandosi di una delibera della giunta comunale, questa è l’unica forma di pubblicità attraverso la quale i cittadini possono essere resi edotti dell’esistenza del procedimento di approvazione di un piano attuativo. Ma chi si reca periodicamente all’albo pretorio per verificare quali delibere ha assunto la giunta comunale? Praticamente nessuno, per cui l’unica forma di pubblicità prevista dalla legge è praticamente inesistente.

L’approvazione del Piano attuativo La Legge Regionale n. 12/2005 (Articolo 14.4) ha sottratto alla competenza del consiglio comunale anche l’approvazione definitiva dei Piani attuativi, e questo come si è già visto comporta un’ulteriore limitazione della partecipazione dei cittadini. A ciò si aggiunga che il citato Articolo 14.4 ha ridotto drasticamente i termini a disposizione della giunta comunale per approvare i Piani attuativi, in quanto non solo li ha dimezzati portandoli da sessanta a trenta giorni, ma addirittura ha stabilito che detti termini devono essere rispettati “a pena di inefficacia degli atti assunti”.

Il termine per le osservazioni L’Articolo 7.5 della Legge Regionale n. 23/1997 fissava in trenta giorni il termine entro il quale gli interessati potevano presentare osservazioni nei confronti del piano attuativo adottato; la Legge Regionale n. 12/2005 ha invece dimezzato anche questo termine, fissando per l’esercizio di questa facoltà il termine di quindici giorni (Articolo 14.3). Anche ammesso che per pura combinazione un cittadino venga a sapere per tempo che un certo piano attuativo è in fase di pubblicazione, ed anche ammesso che riesca a prenderne tempestivamente visione e ad acquisire copia dei relativi elaborati tecnici, per redigere le osservazioni gli residuano poi due settimane, sabati e domeniche (ed in certi casi, ulteriori giorni festivi) compresi. Questo senza contare che, una volta presentata la richiesta di acquisire copia degli elaborati tecnici costitutivi del Piano attuativo (cosa questa indispensabile, ove si intenda predisporre le osservazioni con adeguata cognizione di causa), il Comune ha a disposizione trenta giorni per consegnare detti

Morale Ognuno può valutare, a questo punto, se effettivamente il procedimento di approvazione dei Piani attuativi sia stato regolamentato dalla Legge Regionale n. 12/2005, in modo tale da garantire la pubblicità e la trasparenza delle relative attività, nonché la partecipazione diffusa dei cittadini e delle loro LEGGE REGIONALE N. 23/1997

associazioni e conseguentemente la possibile integrazione dei contenuti di tali piani da parte dei privati. L’impressione data dalle norme fin qui riportate è decisamente diversa, e cioè che la partecipazione dei cittadini al processo di formazione e di approvazione dei piani attuativi sia stata sacrificata sull’altare della velocità e della presunta efficienza della pubblica amministrazione. Qualcuno dovrebbe tentare di spiegare a politici, pubblici amministratori e privati imprenditori che efficienza non significa fare le cose in fretta a tutti i costi, che sovente “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”, e che spesso espletare in modo troppo veloce e quindi approssimativo i procedimenti amministrativi rende poi particolarmente complicata e quindi lenta la loro attuazione, tanto che per guadagnare qualche giorno nel corso del procedimento, alle volte si perdono mesi ed addirittura anni al momento dell’attuazione del piano. Da questo punto di vista, quindi, le solenni dichiarazioni di principio riportate nell’Articolo 2 della Legge Regionale n. 12/2005, risultano decisamente contraddette dal contenuto del successivo Articolo 14. Un bell’esempio di schizofrenia legislativa. W. F. LEGGE REGIONALE N. 12/2005

l’ordine del giorno del consiglio comunale viene pubblicizzato

l’ordine del giorno della giunta comunale non viene pubblicizzato

le sedute del consiglio comunale sono pubbliche

le sedute del consiglio comunale non sono pubbliche

il piano viene adottato dal consiglio comunale

il piano viene adottato dalla giunta comunale

il piano adottato viene depositato presso la segreteria comunale per trenta giorni consecutivi

il piano adottato viene depositato presso la segreteria comunale per quindici giorni consecutivi

del deposito è data notizia al pubblico mediante avviso affisso all’albo pretorio

del deposito è data notizia al pubblico mediante avviso affisso all’albo pretorio

gli interessati possono presentare gli interessati possono presentare osservazioni entro i successivi trenta giorni osservazioni entro i successivi quindici giorni il piano viene approvato dalla giunta il piano viene approvato dal consiglio comunale entro i successivi trenta giorni comunale entro i successivi sessanta giorni “a pena di inefficacia degli atti assunti”

47 PROFESSIONE LEGISLAZIONE

bere di adozione dei piani attuativi andavano depositate in segreteria per trenta giorni consecutivi, l’Articolo 14.2 della Legge Regionale n. 12/2005 ha dimezzato tale termine, ed ha stabilito che “la deliberazione di adozione è depositata per quindici giorni consecutivi nella segreteria comunale”.


a cura di Emilio Pizzi e Claudio Sangiorgi

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Il piano di evacuazione negli ambienti di lavoro Cosa dice la 626 Ai sensi dell’Art. 4 del DLgs 626/94, “il datore di lavoro, tenendo conto delle dimensioni dell’azienda e dei rischi specifici dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, designa preventivamente i lavoratori incaricati all’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di pronto soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza. Adotta le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dà istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa”. La vigente normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (DLgs 626/1994 e successive modifiche e integrazioni) prescrive che le misure da adottarsi devono essere adeguate alla natura della specifica attività in oggetto, alle dimensioni dell’azienda e al numero delle persone presenti. Il tema della progettazione di ambienti di lavoro ai fini della prevenzione dei rischi deve immancabilmente confrontarsi con il tema dell’emergenza, ovvero con la possibilità che si verifichino eventi indesiderati che esulano dalla normale attività lavorativa per la quale l’edificio è stato progettato. In questi casi una buona organizzazione, la predisposizione di misure di protezione efficaci e la disponibilità di personale addestrato e preparato, consentono di ridurre considerevolmente possibili conseguenze negative. Non c’è dubbio che sistemi di allarme e di protezione possono svolgere un ruolo importante per la prevenzione e difesa da tali eventi, ma parimenti bisogna anche considerare che la strutturazione di un piano di emergenza permette di organizzare quelle misure che possono consentire ai lavoratori e a eventuali visitatori presenti nell’ambiente di lavoro di affrontare situazioni di pericolo.

Pertanto un aspetto essenziale del luogo di lavoro è quello di fornire i criteri per una facile, chiara e sicura evacuazione. Criteri base per la sicurezza del luogo di lavoro Gli aspetti principali al fine di tutelare l’incolumità delle persone sono i seguenti: • vie di esodo adeguate; • presenza di segnaletica ben distribuita; • procedure di evacuazione; • informazione e formazione. I primi due punti vengono affrontati in ambito progettuale, mentre gli altri vengono affrontati a livello di gestione della sicurezza. Le ipotesi di fondo per la progettazione dei sistemi di esodo e della segnaletica fanno riferimento a situazioni con-

seguenti a un incendio, poiché lo scenario che deriva da tale emergenza è il più complesso per l’incidenza che ha sulla mobilità delle persone coinvolte, sia in relazione ai fattori fisici quali il fumo, sia quelli psicologici: visibilità ridotta e disorientamento. In primo luogo è necessario garantire un percorso di esodo senza ostacoli, assicurando un deflusso delle persone che occupano gli spazi tale da raggiungere il luogo sicuro. Ogni luogo di lavoro deve disporre di vie d’uscita alternative; ciascuna via deve essere indipendente dalle altre e distribuita in modo che le persone possano allontanarsi in maniera adeguata. Per l’identificazione dei parametri legati al numero di uscite di sicurezza, dimensionamento delle stesse, distanza da percorrere fino a una uscita di piano, la normativa è molto chiara, nel senso che fornisce formule e dimensioni in funzione dell’attività svolta, del massimo affollamento, ecc. (D.M. 10 marzo 1998). La segnaletica ci fornisce un’indicazione o una prescrizione da seguire, le vie di uscita devono essere evidenziate da apposita segnaletica, conforme alle disposizioni vigenti, durevole e collocata in luoghi appropriati. Discorso sicuramente più complesso e rilevante è rappresentato dalle procedure e dall’informazione e formazione fornita. Spesso si tende a limitare il concetto di “piano di evacuazione” alle sole planimetrie esplicative poste sulle pareti in vari punti dell’edificio con l’indicazione dei percorsi di esodo e dei mezzi estinguenti. Fermo restando l’importanza indubbia di tali piante, giova evidenziare tuttavia come le stesse costi-


Piano di evacuazione Un piano di evacuazione deve contenere le seguenti informazioni: • indicazione vie di esodo; • indicazione dei mezzi estinguenti; • dispositivi di allarme; • indicazione dei comportamenti da adottare in caso di emergenza; • chi è incaricato di ricevere l’allarme; • chi è incaricato di diffondere l’allarme; • chi ha il compito di utilizzare i dispositivi di difesa; • chi è incaricato dell’evacuazione, • chi deve avvisare le squadre di pronto intervento. Notevole valore assume l’informazione e la formazione che deve essere differenziata in relazione al destinatario, ovvero alla tipologia delle persone presenti: lavoratori, addetti alla gestione dell’emergenza, visitatori o pubblico. L’atteggiamento comune rivolto all’informazione e formazione nella maggior parte delle aziende è di tipo formale, quando invece può essere uno strumento molto valido per ottenere ottimi risultati. Il ciclo della sicurezza ipotizzato dal DLgs 626/94 prevede quale punto di partenza l’individuazione e valutazione dei rischi presenti nel luogo di lavoro, nonché l’individuazione e la definizione delle misure di prevenzione e protezione ad essi associate. Il passaggio successivo consiste nel trasferire le conoscenze ai lavoratori attraverso un percorso di informazione e formazione. La fondamentale importanza di tali obblighi, definiti dal D.M. 10 marzo 1998 e dal DLgs 626/94, rivolti sia alla generalità dei lavoratori sia a quelli designati a far parte dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, impone il fatto che ogni lavoratore debba conoscere i comportamenti necessari per prevenire un incendio e le azioni necessarie da

adottare a seguito di una emergenza. È compito degli operatori del Servizio di Prevenzione e Protezione elaborare la valutazione dei rischi, provvedere alla realizzazione delle procedure necessarie, proporre programmi di informazione e formazione dei lavoratori, nonché fornire in generale un supporto qualificato per l’organizzazione e la gestione delle misure di prevenzione e mitigazione dei rischi. Il risultato a cui queste attività devono tendere è la creazione di una situazione di equilibrio stabile tra le competenze di chi fornisce gli strumenti e chi deve applicarli. Spesso risulta di importanza primaria per il buon esisto delle operazioni di contenimento, la fase di predisposizione dei compiti, delle funzioni e delle modalità di attivazione, come complesso di attività da attuarsi al momento di un’emergenza. A conclusione della fase di predisposi-

zione del piano di emergenza l’unico modo per verificare concretamente l’efficacia dei sistemi di sicurezza progettati, dell’organizzazione dell’emergenza e della preparazione dei lavoratori e degli addetti al servizio di emergenza è quello di effettuare periodicamente delle esercitazioni, verificare ciò che funziona e cosa non va bene, conseguentemente implementare i sistemi di sicurezza, migliorare la segnaletica, modificare le procedure. Il dovere di apprestare idonee misure antincendio sussiste anche se l’azienda non è soggetta a controllo preventivo da parte dei vigili del fuoco. Poiché l’articolazione della normativa tecnica e organizzativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro esprime la fondamentale funzione sociale delle attività di prevenzione e protezione dei lavoratori, il generale dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro e sui vari soggetti dell’organizzazione aziendale (dirigenti e preposti) sono rafforzati dalla previsione di possibili sanzioni penali. È, infatti, la stessa legislazione di igiene e sicurezza sul luogo di lavoro ad introdurre specifiche ipotesi di responsabilità penale ogni qual volta la misura cautelare tassativamente imposta non venga rispettata. Carlo Siani Per saperne di più www.iims.it www.626.cisl.it www.ispesl.it www.uil.it www.vigilfuoco.it www.ecn.org

49 PROFESSIONE NORMATIVE E TECNICHE

tuiscano solo una parte del lavoro, che deve essere corredato di una serie integrativa di dati e specifiche.


a cura di Sara Gilardelli

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Cosa è oggi la privacy? Con la nuova normativa, DLgs 196/2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, privacy non significa soltanto il diritto di proteggere la propria sfera privata, ma anche di controllare l’uso e la circolazione dei propri dati personali che costituiscono il bene primario dell’attuale società dell’informazione. Il diritto alla privacy costituisce un diritto fondamentale delle persone, direttamente collegato alla tutela della dignità umana, come sancito anche dalla “Carta dei diritti fondamentali” dell’Unione Europea. Qui sono precisate le responsabilità di chi detiene i dati: vige il principio della “inversione dell’onere della prova”, ovvero si è colpevoli fino a prova contraria o a dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Occorre quindi porre in essere tutte le misure di prevenzione e controllo idonee a garantire la sicurezza del trattamento dei dati. Cosa prevede la legge? Adempimenti da parte del titolare (chi detiene i dati) • nomina delle figure richieste dalla legge; • protezione degli elaboratori contro il rischio di intrusione e di virus; • adozione delle misure fisiche di protezione (allarmi, stabilizzatori di corrente, armadi chiusi a chiave ed ignifughi, accesso selezionato ai locali, ecc.); • scrittura delle procedure da seguire e soprattutto di redazione del DPS (Documento Programmatico sulla Sicurezza), una documentazione che descrive quanto fatto ed individua quanto ancora resta da fare; solo il DPS è prova dell’avvenuto adeguamento alla normativa; • programmazione di un adeguamento progressivo; • adozione delle misure di sicurezza obbligatorie (fisiche, logiche ed organizzative); • adeguamento agli obblighi di informativa e consenso.

Controlli e sanzioni Il Garante per la protezione dei dati, prof. Pizzetti, è sempre più presente sui mezzi di comunicazione per esortare tutti all’applicazione della legge intendendo che non ci saranno altri rinvii e che i controlli saranno serrati. A tal fine ha stipulato un protocollo d’intesa con la Guardia di Finanza per le attività di controllo. In particolare, la Guardia di Finanza collaborerà alle attività ispettive attraverso: • la partecipazione di proprio personale agli accessi alle banche dati, ispezioni, verifiche e alle altre rilevazioni nei luoghi ove si svolge il trattamento; • lo sviluppo di attività delegate o sub-delegate per l’accertamento delle violazioni di natura penale ed amministrativa; • l’assistenza nei rapporti con l’Autorità Giudiziaria; • il reperimento di dati e informazioni sui soggetti da controllare; • la collaborazione nell’esecuzione di indagini conoscitive sullo stato di attuazione della legge in determinati settori. Cosa si rischia • per violazioni al DLgs 196/2003 rilevate tramite segnalazioni o controllo ispettivo si rischiano la reclusione e sanzioni pecuniarie fino a 124.000 euro oltre al risarcimento del danno causato; • l’Art. 2050 C.C. qualifica il trattamento dei dati come attività pericolosa e vige quindi la “inversione dell’onere della prova”, ciò significa che chi tratta i dati, per evitare ogni responsabilità, deve dimostrare (con prove documentate) di aver adottato “tutte le misure idonee ad evitare il danno” nella miglior versione possibile; • la Legge 547/93 ha introdotto nel nostro ordinamento vari “crimini informatici”, come l’accesso abusivo a sistemi informatici o telematici, la falsificazione di documenti informatici, la violazione di corrispondenza telematica, la detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso (...) Il titolare viene ritenuto in concorso col collaboratore perché la mancata adozione di tutte le misure idonee a ridurre al minimo i rischi viene consi-

derata agevolazione alla commissione del crimine. Il Documento Programmatico sulla Sicurezza (DPS) Chi deve adeguarsi alla normativa? L’Art. 34 del DLgs 196/03 indica con chiarezza che per tutte le società, imprese individuali, professionisti, possessori di partita IVA, cooperative, ONLUS, e tutti i soggetti giuridici che si avvalgono di strumenti elettronici per il trattamento di dati personali, è d’obbligo redigere entro il prossimo 31 marzo 2006 il DPS secondo le linee guida dell’allegato B della Legge. Cosa è il Documento Programmatico sulla Sicurezza? Il legislatore ha introdotto anche in materia di privacy l’istituto dell’autocertificazione, ormai largamente utilizzato in materia di sicurezza impiantistica, sanitaria, ecc.: il DPS è quindi sostanzialmente un documento tecnico di Autocertificazione. Volendo sintetizzare possiamo dire che il professionista o l’azienda deve procedere ad una auto-analisi delle strutture informatiche, dei trattamenti dati, delle banche dati e dei rischi per tutto il sistema, quindi deve descrivere in modo dettagliato i provvedimenti e le contromisure adottate che devono corrispondere ai “requisiti minimi di sicurezza”; l’analisi redatta va sottoscritta da parte del titolare e conservata tra i documenti contabili in quanto dovrà essere esibita in caso di controllo o contestazione. Il DPS è infatti un documento cartaceo complesso, che descrive analiticamente il trattamento dei dati da parte del professionista o dell’azienda. Sono messi nero su bianco archivi (informatici e cartacei), ambienti e strumenti con cui sono trattati (specie se sensibili), e individuate le persone fisiche e giuridiche, interne ed esterne, che sono chiamate a manipolarli, regolando la diretta assunzione di responsabilità in sede civile e penale. Vi sono anche descritte le misure di sicurezza adottate a protezione dell’integrità e riservatezza dei


Perché il DPS: concetto di Misura Minima Il DLgs prevede una serie di misure minime di sicurezza informatica, protezione degli accessi, previsione dei rischi e studio delle contromisure, misure prese in difesa della riservatezza e integrità dei dati sensibili. La misura minima è il minimo necessario da fare per legge a protezione dei dati sensibili, ma in sede giudiziale vale il principio che i dati devono essere protetti al massimo delle possibilità di chi li detiene. Ad esempio, non basta effettuare il salvataggio dei dati ogni 3 mesi, come la misura minima prevede, o cambiare le password ogni sei. Queste misure devono essere prese al massimo della possibilità tecnica, ad esempio in presenza di dati sensibili si consiglia di effettuare salvataggi giornalieri. Attenzione: proprio perché il DPS è considerata una misura minima la mancata redazione può avere conseguenze in sede civile e penale. Infatti l’Art. 169 (Misure di sicurezza) recita: “Chiunque, essendovi tenuto, omette di adottare le misure minime previste dall’Articolo 33 è punito con l’arresto sino a due anni o con l’ammenda da diecimila a cinquantamila euro”. Mario Tosetti Presidente della ALTO Consulenza s.a.s.

Il DLgs 196/2003 Codice sulla Privacy È un Testo Unico dal titolo “Codice in materia di protezione dei dati personali”, che sostituisce, integra ed accorpa tutte le precedenti normative sul tema (in particolare sostituisce la Legge 675/96 ed il DPR 318/99), è pienamente vigente dal 1 gennaio 2004 e prevede alcuni nuovi e significativi adempimenti i cui termini sono stati più volte prorogati fino alla definitiva scadenza del 31 marzo 2006. In particolare definisce: • cosa si intende per dati personali: “Qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”. Quindi racchiudono dati identificativi (nome, cognome, denominazione, codice fiscale, partita IVA) e qualificativi (età, sesso, religione, professione, grado di istruzione, ecc.). I dati personali sensibili sono quelli che indicano o “sono idonei” a rivelare caratteristiche personali quali le idee religiose, politiche e filosofiche, lo stato di salute o la vita sessuale. La questione non è ovvia. Solo un’analisi attenta dei trattamenti effettuati potrà rilevare se si trattano o meno “dati sensibili”, che dovranno essere gestiti con maggiore cautela rispetto ai dati personali non sensibili. Infatti, anche dati apparentemente innocui possono rivelarsi “idonei” a fornire informazioni personali sensibili; • cosa è il trattamento dei dati personali: “Qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati”;

• i diritti degli interessati, ovvero delle persone fisiche o giuridiche a cui i dati si riferiscono, fra cui fondamentali ci sono i diritti di “informativa” (conoscere come sono trattati i propri dati, chi e dove li tratta e a quali fini), diritti di “aggiornamento” (rettifica, integrazione, cancellazione, diffusione) ed i diritti di “consenso” per trattamenti le cui finalità non sono strettamente indispensabili all’esecuzione di un contratto, un obbligo di legge o un obbligo fiscale (es. l’invio di materiale pubblicitario o le ricerche di mercato); • il principio di necessità. La quantità e la qualità di dati personali e relativi trattamenti dovranno essere quelli necessari e sufficienti alle finalità dei trattamenti stessi (esecuzione di un contratto, ricerche di mercato, promozione commerciale, ecc.); • i limiti dei trattamenti a cui i dati personali devono e possono essere sottoposti, ovvero cosa l’organizzazione possa o non possa fare dei dati relativi ai suoi dipendenti, clienti, fornitori e a qualunque altro soggetto; • una serie di misure minime di sicurezza a cui questi dati personali devono essere sottoposti; fra le misure minime la più importante è la redazione del “Documento Programmatico sulla Sicurezza” (DPS). Per essere “in regola” con le misure minime o idonee indicate dal DLgs occorre quindi: • pianificare misure organizzative, amministrative e tecniche di sicurezza attraverso un documento formale (il DPS); • adeguarsi alle misure tecniche minime di sicurezza definite nell’allegato B del DLgs 196/2003; • dare informativa trasparente e completa (se e quando dovuta) dei trattamenti dei dati personali ai relativi interessati ed ottenerne il consenso (se e quando necessario). Trattare dati personali non in conformità alla legge espone il professionista o l’azienda sul piano civile e penale, con sanzioni amministrative fino a 90.000 euro (fatti comunque salvi i risarcimenti eventualmente dovuti in sede civile) e può esporre a sanzioni penali fino a tre anni di detenzione. Tutte le sanzioni sono triplicabili in caso di particolare gravità delle violazioni commesse.

51 PROFESSIONE ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE

dati, i rischi che corrono quotidianamente e le contromisure adottate in caso di disastro. Il Documento è Programmatico perché di natura previsionale, quindi sono da segnalare i provvedimenti in essere e quelli futuri, come ad esempio gli interventi di Formazione obbligatoria del personale richiesti dalla Legge. La data della prima stesura del DPS deve essere certa, annotata presso un notaio o pubblico ufficiale. Il DPS alla sua prima stesura non è da considerarsi un documento definitivo: la sua evoluzione deve essere seguita quotidianamente e va aggiornato ad ogni provvedimento o iniziativa intrapresa a difesa dei dati sensibili.


a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato

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Legge G.U. n. 265 del 14.11.2005 Serie generale Decreto 24 ottobre 2005 Aggiornamento delle direttive per l’incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ai sensi dell’Articolo 11, comma 5, del Decreto Legislativo 16 marzo 1999, n. 79 L’Art. 1 riguarda le finalità del Decreto in ottemperanza alla normativa vigente in materia. L’Art. 2 specifica le definizioni quali producibilità di un impianto, producibilità attesa, producibilità aggiuntiva, produzione lorda, netta e potenziamento degli impianti. L’Art. 3 stabilisce gli obblighi relativi alla produzione di energia. L’Art. 4 qualifica gli impianti alimentati da fonti rinnovabili. Gli Artt. 5 e 6 propongono la modalità di rilascio e la contrattazione dei certificati verdi. Gli Artt. 7 e 8 trattano delle verifiche annuali di adempimenti agli obblighi dei soggetti produttori. L’Art. 10 e successivi espongono le funzione dell’Ente Gestore in riferimento alla pubblicazione di un bollettino annuale informativo, con l’elenco degli impianti da fonti rinnovabili in esercizio, in costruzione ed in progetto e le procedure tecniche per l’espletamento delle funzioni assegnate al Gestore della rete. L’Art. 12 detta le disposizioni specifiche concerneti gli impianti alimentati da rifiuti. L’Art. 13 fissa le direttive dei Ministri delle attività produttive dell’ambiente e della tutela del territorio rivolte al Gestore della rete, alle quali il medesimo si atterrà nello svolgimento dei propri compiti istituzionali. Gli Artt. 14 e 15 riportano i possibili aggiornamenti sulle valutazioni in relazione all’ andamento di mercato e le disposizioni finali. G.U. n. 265 del 14.11.2005 Serie generale Decreto 24 ottobre 2005 Direttive per la regolamentazione dell’emissione dei certificati verdi alle produzioni di energia di cui all’Art. 1, comma 71, della Legge 23 agosto 2004, n. 239 Il Decreto stabilisce, in riferimento alla normativa vigente in materia, le direttive per la regolamentazione dell’emissione dei certificati verdi alle produzioni di energia. Ha diritto ai certificati verdi l’energia elettrica prodotta da impianti che utilizzano l’idrogeno, l’energia elettrica prodotta da impianti statici, vale a dire da celle a combustibile, l’energia prodotta da impianti

di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento, limitatamente alla quota di energia termica effettivamente utilizzata per il teleriscaldamento. G.U. n. 266 del 15.11.2005 Serie generale Decreto 2 novembre 2005 Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata Il Decreto, al capo I stabilisce i principi generali, al capo II le disposizioni per i titolari e per i gestori di posta elettronica certificata. G.U. n. 290 del 14.12.2005 Serie generale Determinazione 13 ottobre 2005 Indicazioni relative alla qualificazione delle imprese nella categoria generale OG12 (Determinazione n. 7/2005) Il Consiglio dell’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici in relazione al controllo su appalti di lavori di bonifica, ha affrontato alcune problematiche di carattere generale relative alla qualificazione delle imprese nella categoria OG12. In particolare il Consiglio ha ritenuto opportuno fornire indicazioni alle stazioni appaltanti ed alle SOA per un’interpretazione uniforme dei criteri da adottare per il rilascio dei certificati di esecuzione dei lavori e dell’attestazione nella predetta categoria. La categoria OG12 comprende quella pluralità di lavorazioni che concorrono a realizzare opere ed impianti di bonifica e di protezione ambientali quali le discariche, le impermeabilizzazioni con geomembrane dei terreni per la protezione delle falde acquifere, la bonifica di materiali pericolosi e l’esercizio di impianti di rilevamento e telerilevamento per il monitoraggio ambientale, oltre agli impianti necessari per garantire la sicurezza agli utenti. In relazione a quanto premesso il Consiglio ritiene che l’attività relativa al trattamento dei rifiuti può comprendere l’esecuzione di lavori quali la movimentazione di materia per la sistemazione delle aree destinate a discarica, la stabilizzazione dei terreni, l’esecuzione di strutture di contenimento, la realizzazione di barriere di imperemeabilizzazione, i sistemi di drenaggio del percolato, i pozzi di captazione di geogas. Altre indicazioni riguardano appalti misti, certificati di esecuzione lavori ed attestazioni di qualificazione da parte delle SOA riferibili alla esecuzione di lavori.

G.U. n. 290 del 14.12.2005 Serie generale Determinazione 13 ottobre 2005 Cessione del diritto di superficie su aree pubbliche per la realizzazione di parcheggi (Determinazione n. 8/2005) L’Autorita per la Vigilanza sui Lavori Pubblici ha preso in esame alcune richieste di parere da parte di enti pubblici e privati riguardanti la cessione del diritto di superficie sulle aree pubbliche per la realizzazione di parcheggi. La determinazione contiene interpretazioni e procedure da parte dell’Autorità sull’argomento. G.U. n. 302 del 29.12.2005 Serie generale La finanziaria ripropone lo sconto al 41% riguardante i lavori di ristrutturazione al fine di compensare il ritorno dell’IVA al 20%. Inoltre la proroga annuale e l’innalzamento della percentuale detraibile riguarda anche l’agevolazione per l’acquisto di immobili ristrutturati da imprese. B.U.R.L. 3° Suppl. straordinario al n. 44 del 4 novembre 2005 D.g.r. 27 ottobre 2005, n. 8/945 Proposta di istituzione della riserva naturale “Valsolda” (Artt. 2, 12, 13 della L.R. 30 novembre 1983, n. 86) Il Decreto riguarda la proposta di istituzione della riserva naturale “Valsolda”, in Comune di Valsolda (Co), stabilendo nell’area le norme di salvaguardia e dettando i relativi divieti di opere ed interventi. B.U.R.L 3° Suppl. straordinario al n. 48 del 2 dicembre 2005 D.d.s 25 novembre 2005, n. 17402 Direzione Centrale Programmazione Integrata Assegnazione contributi F.R.I.S.L 2005-07 iniziativa M) Edilizia scolastica Scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado – L.R. 14 dicembre 1991, n. 33 La presidenza della Giunta Regionale decreta di finanziare alcuni progetti riportati nell’elenco allegato, di assegnare una somma stabilita ai beneficiari, di dichiarare, relativamente ai progetti finanziati, la pubblica utilità. B.U.R.L. 1° Suppl. ordinario al n. 50 del 13 dicembre 2005 Legge Regionale 9 dicembre 2005, n. 18 Istituzione del Parco naturale della Valle del Lambro La Legge istituisce il parco naturale della Valle del Lambro. Le finalità della Legge si


B.U.R.L. 2° Suppl. ordinario al n. 46 del 18 novembre 2005 L.R.14 novembre 2005, n. 17 Istituzione del parco naturale Campo dei Fiori Oltre alle finalità relative alla tutela dell’ambiente, la Legge promuove e disciplina la fruizione dell’area a fini scientifici, culturali, educativi e ricreativi mediante l’attivazione di un marketing territoriale orientato ai processi di conservazione del patrimonio naturale. C. O.

mativa che regola oggi gli affidamenti di lavori, servizi e forniture. L’attuale disciplina viene salvata solo in parte dal nuovo Codice. Molti vincoli della legge postTangentopoli scompaiono. Tra questi i limiti alla trattativa privata e all’appalto integrato. Edilizia Se c’è il vincolo paesaggistico il nullaosta serve sempre (da “Edilizia e Territorio – Commenti e Norme” n. 50 del 27-31.12.05) Il contenuto della Sentenza n. 44275 del 5 dicembre 2005, della Corte di Cassazione, Sezione III penale, si riferisce ai reati edilizi e stabilisce che nelle ipotesi di interventi edilizi non autorizzati in zone soggette a vincolo paesaggistico è inibita ogni modificazione dello stato dei luoghi, dell’aspetto degli edifici e dell’assetto idrogeologico del territorio, senza la preventiva autorizzazione, ad eccezione degli interventi consistenti nella manutenzione ordinaria e straordinaria.

Regioni, no su ambiente e paesaggio. Parere sospeso sul codice unico (da “Edilizia e Territorio” del 26-31.12.05) Per ostacolare l’iter di approvazione del Testo unico sull’ambiente, le Regioni hanno deciso di praticare una sorta di ostruzionismo, non rilasciando alcun parere. La speranza è che il Parlamento si rifiuti di approvare lo schema di decreto non corredato del parere della Conferenza, ponendo “rimedio all’assurda idea di rivisitare gran parte della normativa ambientale senza una concertazione con le Regioni e le autonomie locali”, augura il presidente delle Regioni, Vasco Errani.

La Dia non si può impugnare. Ricorsi solo contro l’inerzia del Comune sulla vigilanza (da “Edilizia e Territorio – Commenti e Norme” n. 46 del 21-26.11.05) La Dia è un’istanza del privato e quindi non può essere impugnata dai soggetti che si ritengono lesi dall’attività edilizia. Il Tar Lombardia conferma l’interpretazione dei giudici del Consiglio di Stato (pronuncia n. 3916 del 22 luglio 2005) con la quale è stato escluso che la Dia possa essere equiparata a un atto amministrativo ovvero a un silenzio-assenso. Per quanto attiene la tutela dei terzi che si ritengano lesi dalla presentazione di una Dia e dalla conseguente realizzazione delle opere denunciate, l’unica forma di difesa diventa la richiesta al Comune di intervenire e reprimere gli abusi e, in caso di inerzia, presentare il ricorso contro lo stesso Comune per mancato esercizio della vigilanza.

Appalti

Milano

Appalti, azzerata la Legge Merloni. Rilanciati gli arbitrati (da “Edilizia e Territorio” del 12-17.12.05) È una vera e propria rivoluzione quella che si prepara per gli appalti. Con il testo unico elaborato dalla commissione De Lise, scompare la Merloni e tutta la nor-

A marzo via ai cantieri all’ex Fiera. I comitati dei residenti: ricorreremo al Tar (da “Il Sole 24 Ore” del 20.12.05) Il maxi progetto per riqualificare l’aera Fiera di Milano è sul punto di decollare. Si tratta di uno degli interventi di sviluppo immobiliare più imponenti e complessi

Stampa Ambiente

d’Europa che prevede un investimento da 1,5 miliardi di euro. Il via ai lavori dovrebbe essere il prossimo 31 marzo. I comitati di quartiere annunciano un ricorso al Tar e chiedono modifiche del progetto. Oneri di urbanizzazione, Milano sospende la delibera con gli aumenti (da “Edilizia e Territorio” del 12 –17.11.05). Viene rimandata la delibera che prevedeva l’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione primari e secondari, con l’aumento del 190% per il residenziale. Nonostante contenesse un meccanismo di sconto degli oneri fino al 50% per le strutture realizzate con risparmio energetico, aveva suscitato fortissime polemiche tra i costruttori. Professione Tirocinio sempre necessario. Sei mesi per gli architetti e un anno per gli ingegneri (da “Il Sole 24 Ore” del 6.12.05) Si complica il discorso per diventare professionisti. Con uno schema di Dpr, messo a punto dal Ministero dell’Istruzione, il tirocinio diventa uno dei requisiti per candidarsi all’Esame di Stato. La generalità delle professioni, compresi gli architetti, sarà subordinata a un tirocinio semestrale che non rientra nei crediti universitari. Fanno eccezione: gli ingegneri che avranno un praticantato di un anno. Tecnologie Edilizia, i materiali del futuro (da “Edilizia e Territorio” del 5-10.12.05) In occasione della presentazione a Torino del tredicesimo Rapporto congiunturale e revisionale del Cresme, si è fatto il punto sulle cinque grandi innovazioni che secondo gli esperti sono destinate a rivoluzionare il comparto: si va dalle tecnologie in grado di migliorare le prestazioni e le funzioni di materiali tradizionali ai materiali di nuova generazione che abilitino funzioni mai esistite prima. Si va dalla totale automazione dei processi produttivi alla cosiddetta innovazione di sistema per mettere a rete i know how e gli strumenti, per finire con le tecnologie dedicate a migliorare la sicurezza di edifici e strutture. M. O.

53 PROFESSIONE STRUMENTI

propongono di tutelare la biodiversità, conservare le potenzialità faunistiche, floristiche, vegetazionali, geologiche, ecosistemiche e paesaggistiche. Sono inoltre tutelate le risorse idriche e naturalistiche. La Legge promuove la ricostruzione dell’ambiente, laddove compromesso, tramite metodi di gestione e di restauro ambientale. Inoltre, si propone di realizzare un’integrazione tra uomo ed ambiente naturale mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici, architettonici e delle attività agrosilvo-pastorali e tradizionali.


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Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it

Cremona Attività dell’Ordine Nelle riunioni del Consiglio Direttivo dell’Ordine svoltesi nei mesi di novembre e dicembre, oltre all’attività di ordinaria amministrazione, si sono deliberati i seguenti argomenti: • Regolamento per il funzionamento del Consiglio Direttivo dell’Ordine; • Regolamento per il funzionamento della Commissione Parcelle dell’Ordine; • Componenti Commissione Parcelle; • Componenti Commissione Giovani; • Componenti Commissione Professione; • Componenti Commissione Cultura; • Componenti Commissione Territorio: • Componenti Commissione Lavori pubblici; • Componenti Commissione Internet. I regolamenti e i nominativi dei componenti sono pubblicati sul sito dell’Ordine www.architetticr.it Fiorenzo Lodi

Milano

a cura di Laura Truzzi Designazioni • COMUNE DI MONZA: richiesta nominativi per Commissione Giudicatrice Bando di gara a pubblico incanto “Lavori di ristrutturazione ex Scuola Media Pascoli di via Lecco per sede Biblioteca Circoscrizione 1”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Paolo FARINA, Sergio FUMAGALLI, Pierluigi SALVADEO. • ARBITRATO ARCOBALENO PLUS Soc. Coop a r.l./PARROCCHIA DI SAN PROTASO: nomina terzo arbitro con funzioni di Presidente. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Mario BISSON. • POLITECNICO DI MILANO Come da sorteggio effettuato per le commissioni degli esami di laurea relative all’Anno Accademico 2004-2005 e verifica

delle disponibilità, si nominano i seguenti architetti: – Laurea in Architettura del 21 dicembre 2005: Lucia BERGO, Adele BUGATTI, Enrico CHIAPPETTI, Chiara Maria FREYRIE; – Laurea Specialistica del Vecchio Ordinamento in Disegno Industriale del 21 dicembre 2005: Matteo Pietro CASATI, Marco Mario DUINA; – Laurea Specialistica in P.U.P.T. del 21 dicembre 2005: Oscar BONAFE’, Lorenzo PONTIGGIA: – Laurea Specialistica in Architettura delle Costruzioni del 22 dicembre 2005: Ezio Maria LISSONE; – Laurea Specialistica in Architettura del 21 dicembre 2005: Umberto ANDOLFATO, Lorenzo BARONI, Jacopo DELLA FONTANA, Giovanna FANNI, Franco GALAVOTTI, Paolo GOLINELLI, Massimo MALASPINA, Roberto MASCAZZINI, Carlo MILICIANI, Gianmarco MONTAGNA, Maurizio MONTI, Claudio REATO, Vittorio RIGAMONTI, Eugenio VENDRAMET: – Laurea Specialistica in Architettura del 22 dicembre 2005: Aldo TESTA. Serate • Volo a vista sull’Europa Olanda: tradizione e sperimentalismo 23 novembre 2005 Coordinatore: Adalberto Del Bo Hanno partecipato: Umberto Barbieri, Mario Fosso Quarto appuntamento, dopo la “ricognizione” su Roma, Venezia e la Svizzera, di Volo a Vista, formula aperta che vede l’analisi della situazione dell’architettura e dell’architetto, in Europa e in Italia, attraverso un protagonista e un deuteragonista. Il 23 novembre scorso si è parlato di Olanda, un Paese non più così lontano diviso tra tradizione e sperimentazione, con Umberto

Barbieri, professore di Composizione alla Scuola politecnica di Delft, e Mario Fosso, pioniere dei rapporti tra le scuole italiane e olandesi. Adalberto Del Bo, consigliere dell’Ordine e professore di Progettazione dell’Architettura presso il Politecnico di Milano, introduce i temi della serata citando, a proposito della tradizione, Igor Stravinskij: “Una vera tradizione non è testimonianza di un passato remoto, è una forza viva che anima e alimenta il presente. Lungi dall’implicare la ripetizione di ciò che è stato, la tradizione presuppone la realtà di ciò che è durevole, appare come un bene di famiglia, un’eredità che riceviamo a condizione di farla fruttare prima di trasmetterla ai posteri”. Secondo Del Bo, lo sperimentalismo dell’esperienza olandese assume un significato particolare se visto attraverso la tradizione intesa come qualcosa di vivo nella nostra storia. Per Umberto Barbieri lo sperimentalismo che vediamo in Olanda, uno dei Paesi leader dell’Unione Europea molto influenzato dalla pragmatica cultura calvinista, si basa su una continua ricerca di alternative ai modelli proposti. L’Olanda è quindi l’esempio di rapporto tra grande tradizione del modo con cui si opera a livello di territorio e città e questa tendenza a sperimentare continuamente nuove forme, nuove architetture, senza dogmaticamente inserire in questo processo un modo di pensare monodirezionale. Anche Mario Fosso ritiene che lo sperimentalismo olandese (origine a ciò che oggi vediamo sulle principali riviste del settore) sia il frutto di un processo di maturazione e di apertura della cultura olandese verso l’esterno nato dalla consapevolezza che


il valore aggiunto dell’architettura poteva risaltare solo dalla scelta di alternative di programmi e di soluzioni. Barbieri infine individua un’altra ragione al successo dell’urbanistica e dell’architettura olandesi: prendere decisioni alla scala giusta e al momento giusto e far seguire i fatti alle decisioni di carattere progettuale, economico e politico. Questo di solito avviene poco negli altri Paesi e per nulla nel nostro. Del Bo rilancia agli interlocutori della serata il tema dell’insegnamento: importante per il futuro e per il processo europeo in atto di differenziazione ed omologazione. In Olanda ci sono due Politecnici paragonabili a quello di Milano che laureano ingegneri in architettura e ci sono cinque accademie da cui escono architetti non laureati. Quindi uno studente, che ha fatto scuole superiori tecniche e che lavora in uno studio di architettura come assistente, può iscriversi all’accademia part-time con l’obbligo di lavoro per quattro anni ed alla fine acquista il titolo di architetto. In Olanda è solo in fase di introduzione il sistema europeo dei “3+2” anni di università. Tutti i laureati dei Politecnici e della Accademie hanno il diritto di iscrizione all’Albo e il diritto di avere il titolo di architetto. Un altro elemento molto importante e caratteristico di questo Paese consiste nella scarsa tutela della professione: chiunque può disegnare un progetto e realizzare una casa. Ecco quindi che la serata, con i suoi intervenuti, apre nuove questio-

ni sull’analisi delle differenze tra Italia e Olanda dovute principalmente ai rispettivi retaggi culturali. • Il Parco della Gorgone Un progetto eccentrico di riqualificazione urbana nella periferia di Gela 1 dicembre 2005 Ha presentato: Franco Raggi Hanno partecipato: Enzo Mari, Stefano Boeri, Antonio Borghi, Francesco Librizzi, Giovambattista Mauro Franco Raggi, consigliere dell’Ordine, ha introdotto la serata dello scorso 1° dicembre sul progetto di Enzo Mari a Gela con un interessante tema: la periferia come condizione urbana e sociale piuttosto che come luogo fisico. Il caso di Gela in effetti non tratta di un intervento in una tipica periferia di una grande città, ma consiste piuttosto in una nuova esperienza progettuale in un vuoto urbano a margine di una piccola città, un’area abbandonata a se stessa. Stefano Boeri, direttore di “Domus”, ha raccontato del viaggio a Gela con Enzo Mari dove ha potuto rendersi conto della consistenza dell’intervento e della straordinaria corrispondenza al contesto in cui si inserisce. Boeri la interpreta come uno delle esperienze più interessanti ed innovative in corso sul nostro territorio: il disegno di una radura in una zona periurbana del meridione nella quale Enzo Mari si rivela raffinatissimo pensatore dello spazio abitato, mettendo in atto intuizioni a vari livelli per la sua rivitalizzazione. L’oggetto: un’area di risulta di circa 40.000 mq, all’interno di una

lottizzazione abusiva, rimasta inedificata a causa di uno spesso strato argilloso che lo rende impermeabile e che quindi si trasforma in una palude per circa 6/7 mesi all’anno. Illustrando il progetto al pubblico presente in sala, l’autore punta il dito sull’architettura che oggi è sostanzialmente ridotta a “vetrina” e che spesso ignora la città collettiva; esattamente com’è successo a Gela, un accampamento di 80.000 abitanti dove la città è squallida anche dove l’architettura è di qualità. Giovambattista Mauro, architetto professionista di Gela che ha collaborato al progetto, mette in luce l’ampia partecipazione degli abitanti del quartiere delle cui esigenze il disegno ha tenuto conto puntualmente. In questo modo si è costruito il programma che prevede un luogo di aggregazione, l’estensione del museo archeologico, un giardino botanico ed un orto degli aranci che diventano piazza per i mercatini e sagrato della chiesa adiacente. Per Francesco Librizzi, giovane professionista siciliano che ha recensito il progetto per “Domus”, Enzo Mari ha trovato la giusta chiave di lettura di questa città, evitando ogni luogo comune e progettando per tutta la società civile: dal coraggioso sindaco che l’aveva chiamato per progettare un monumento fino ai comitati di quartiere, passando dal parroco alle mamme coi figli piccoli ai ragazzi che vogliono giocare a pallone. Chiude la serata Antonio Borghi, consigliere dell’Ordine, con un collegamento tra De Carlo ed Enzo Mari sull’urgenza di

una riconcettualizzazione dell’architettura attorno ai temi che interessano i cittadini. In una intervista per questo giornale De Carlo aveva infatti affermato: “Chi se ne infischia del progetto di Libeskind a Ground Zero, che assomigli o no alla Statua della libertà. Alla gente interessano i problemi reali che hanno a che fare con lo spazio in cui vivono. Come aveva fatto a suo tempo il razionalismo, l’architettura deve riformulare i problemi reali e cambiare i suoi linguaggi che hanno stufato tutti. Deve trovare il modo di coinvolgere di nuovo le persone con espressioni più dirette, deve scoprire modi di espressione che magari sembreranno ingenui, ma che invece rappresentano quello che la gente vorrebbe dire”.

INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

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A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Anno 2002 2003 2004 2005

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Febbraio Marzo Aprile 1470 1467,96 1471,72 1475,49 1510 1504,37 1509,40 1511,91 1540 1537,02 1538,28 1542,04 1560 1555,86 1560,88 1563,39 1568,42

Dicembre 1495,58

G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA

Base dell'indice-novembre 1969:100

Maggio

Giugno 1480 1478,00 1480,51

Luglio 1481,77

1513,16 1514,42

1518,19

1544,56 1548,32 1570 1570.93 1573,44

1549,58 1577,21

Tariffa stati di consistenza (in vigore dal dicembre 1982)

anno 1982: base 100

Anno 2004 2005

INDICI E TASSI

Gennaio 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)

Agosto

Settembre Ottobre Novembre 1490 1484,28 1486,79 1490,56 1494,33 1520 1520,70 1524,46 1525,72 1529,49 1550 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86 1580 1579,72 1580,97 1583,48 1583,48

1529,48 1555,86 1586

Gennaio 260 264,74

Febbraio Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre Ottobre

Novembre Dicembre

265,61

266,48

266,91

267,56

267,78

268,21

268,21

268,21

268,86

268,86

268,86

269,73

271,03

271,47

271,9

272,55

272,99

273,2

273,64

273,64

274,07

Novembre 116,89 118,90 121,01

Dicembre 116,89 118,90 121,20

265,82 270 270,17

2006 n.b. I valori da applicare sono quelli in neretto nella parte superiore delle celle

Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2003 2004 2005

Gennaio 114,77 117,08 118,90

Febbraio 114,97 117,46 119,28

Marzo 115,35 117,56 119,48

Aprile 115,54 117,85 119,86

anno 1995: base 100 Maggio 115,64 118,04 120,05

Giugno 115,73 118,33 120,24

Luglio 116,02 118,42 120,53

Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 2000: base 100

Anno 2003 2004 2005

Giugno 106,34 108,73 110,49

Gennaio 105,46 107,58 109,25

Febbraio 105,64 107,93 109,61

Marzo 105,99 108,02 109,78

Aprile 106,17 108,28 110,14

Maggio 106,26 108,46 110,31

Luglio 106,61 108,81 110,75

Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 1999: base 100

Anno 2003 2004 2005

Giugno 111,46 113,95 115,80

Gennaio 110,53 112,75 114,51

Febbraio 110,72 113,12 114,87

Marzo 111,09 113,21 115,06

Aprile 111,27 113,49 115,43

Maggio 111,36 113,67 115,61

Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

2001 103,07

2003 108,23

2004 110,40

1996 105,55

1997 108,33

1998 110,08

1999 111,52

Indice da applicare per l’anno

1998 101,81

Agosto 106,79 108,99 110,93

1999 103,04

Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978)

2000 105,51

Settembre 107,05 108,99 111,02

Ottobre 107,14 108,99 111,19

Novembre 107,40 109,25 111,19

Dicembre 107,40 109,25 111,37

Settembre 112,19 114,23 116,35

Ottobre 112,29 114,23 116,54

Novembre 112,56 114,51 116,54

Dicembre 112,56 114,51 116,72

gennaio 2001: 110,50

2005 112,12

2000 113,89

novembre 1995: 110,60 2001 117,39

2002 120,07

2003 113,87

2004 116,34

anno 1997: base 100 2001 108,65

Ottobre 116,60 118,61 121,01

gennaio 1999: 108,20 Agosto 111,92 114,23 116,26

anno 1995: base 100

Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano)

Settembre 116,50 118,61 120,82

dicembre 2000: 113,40

anno 2001: base 100

2002 105,42

Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

Luglio 111,73 114,04 116,08

giugno 1996: 104,20 Agosto 116,21 118,61 120,72

2002 111,12

2003 123,27

2004 125,74

2005 127,70

febbraio 1997: 105,20 2005 118,15

(si tralascia questo indice in quanto non più applicato)

Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa. Provv. della Banca d’Italia (G.U. 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 4,50% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 4,75% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 4,50% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 4,25% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 3,75% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 3,25% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 2,75% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 2,50% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003 2,00% Con riferimento all’art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.

Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003

3,35% +7 2,85% +7

Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) dal 1.7.2003 al 31.12.2003

2,10% +7

Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)

10,35% 9,85% 9,10%

Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159) dal 1.7.2004 al 31.12.2004

2,01% +7

Comunicato (G.U. 8.1.2005 n° 5) dal 1.1.2005 al 30.6.2005

2,09% +7

Comunicato (G.U. 28.7.2005 n° 174)

dal 1.7.2005 al 31.12.2005 9,02% dal 1.1.2004 al 30.6.2004 2,02% +7 Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.

2,05% +7

9,01%

Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove).

9,09% 9,05%

Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


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