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BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI PAESAGGISTI E CONSERVATORI LOMBARDI Direttore Responsabile Paolo Ventura Direttore Maurizio Carones Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori www.consultalombardia.archiworld.it Redazione Igor Maglica (caporedattore) Irina Casali Martina Landsberger Daniela Villa Direzione e Redazione via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 redazione@consulta-al.it
LUGLIO-AGOSTO I 2012
RICICLARE 4 RI.CICLO COME NON SPRECO E GESTIONE CONTROLLATA DEI RIFIUTI di Roberta Fasola 6 IL CIRCOLO VIZIOSO DEL RICICLO di Paolo Soleri 8 “ELEMENTOS YA USADOS” di Nico Ventura 10 IL DESIGN SECONDO I FRATELLI CAMPANA Intervista a cura di Manuela Verga 15 INTERVISTA A GADDO MORPURGO a cura di Roberta Fasola 17 LE VOCI DEGLI ORDINI: VARESE, PAVIA, MONZA E BRIANZA, MILANO, LODI
Progetto grafico 46xy studio, Milano Impaginazione Veronica Tagliabue, Action Group srl Service editoriale Action Group srl Concessionaria per la pubblicità Action Group srl via Londonio 22 - 20154 Milano tel. 0234538338 - 0234533086 fax 0234937691 www.actiongroupeditore.com info@actiongroupeditore.com Coordinamento pubblicità Riccardo Fiorina rfiorina@actiongroupeditore.com Pubblicità Romina Brandone Filippo Giambelli Salvatore Nocera Cinzia Riganti Stampa Tiber S.p.A. - Officine Grafiche via della Volta 179, 25124 Brescia www.tiber.it Autorizzazione Tribunale n. 27 del 20.1.1971 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 30.006 copie In base alla documentazione postale del numero di marzo 2010 sono state postalizzate 28.968 copie in Italia In copertina: Fernando e Humberto Campana, poltrona Corallo © Edra Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti PPC né la Redazione di AL Chiuso in Redazione: 17 settembre 2012 Il tema del numero 490 è stato curato da Roberta Fasola (coordinatrice) con Alberto Bosis, Ebe Gianotti e Manuela Verga
PROGETTI 22 LA FILOSOFIA DEL RICICLO Folke Kobberling e Martin Kaltwasser, Jellyfish Theatre, Londra di Ebe Gianotti 28 SCAVARE PER RICOSTRUIRE Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, ristrutturazione di una casa unifamiliare a Ragusa di Alberto Bosis
PROFESSIONE 34 CHE FATICA TENTARE DI SALVARE LE RISTRUTTURAZIONI FUORI SAGOMA! di Walter Fumagalli 35 EMANATO IL NUOVO REGOLAMENTO UE 305/2011 | INCONTRI SULL’ARCHITETTURA E IL PAESAGGIO di Manuela Oglialoro 36 ESPORTARE SI, MA ESPORTARE COSA? di Vito Redaelli 37 NEWS 38 NUOVO MUNICIPIO DI RODANO | ALTRI CONCORSI di Roberto Gamba
OMNIBUS 42 44 44 45
TRASFORMARE GLI SCARTI IN UN TESORO di Martina Landsberger ERRORE PERMANENTE: PIETER HUGO FOTOGRAFO di R.F. GLI SLUM DI CARTA | CASE DI RICICLO di Irina Casali ARCHITETTURA E PAESAGGIO DEL PIÙ GRANDE SANATORIO EUROPEO di Luca Micotti 46 YAP MAXXI, GIOVANI E INNOVAZIONE di Valeria Giuli 47 NEWS
DAGLI ORDINI I LETTERE 50 BREVI DAGLI ORDINI 51 A PROPOSITO DI EXPO 2015 di Piero De Amicis
RICICLARE
“L’uomo è il più potente dei creatori o dei trasformatori di ecologia: il cosmo nella natura, questo è lo scopo, ben più che l’intervento umano nella natura dei materiali” Paolo Soleri
RI.CICLO COME NON SPRECO E GESTIONE CONTROLLATA DEI RIFIUTI ROBERTA FASOLA*
*coordinatrice del gruppo di lavoro dell’Ordine degli Architetti PPC di Como composto da Alberto Bosis, Ebe Gianotti e Manuela Verga.
Nella pagina a fianco: Fernando e Humberto Campana, Firma Casa, 2011 © Maíra Acayaba. Nelle pagine precedenti: Paolo Soleri, costruisce con gli studenti Arcosanti nel deserto di Arizona, USA, © Cosanti Foundation. 4
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Questo numero di “AL”, fortemente e volutamente caratterizzato dal tema evocato nel titolo, vuole proporre una comune riflessione sulle implicazioni sociali e ambientali del progetto nei confronti del nostro pianeta e, conseguentemente, di noi stessi. È l'ambizioso tentativo di raccogliere esempi, a volte di denuncia, ma soprattutto propositivi, su metodologie alternative, non necessariamente da condividere, ma in grado, perlomeno, di tenere alta l’attenzione nei confronti della crisi ambientale che stiamo vivendo. I problemi che ci riguardano finiscono con l’interessare il metodo ed i valori del nostro agire nella società e, in quanto progettisti, ci responsabilizzano sugli effetti che i nostri progetti, inevitabilmente, determinano sul contesto. E per sollecitare interessi, si è voluto partire dall’essenzialità della copertina, capace di incuriosire, per spingere il lettore a scoprire dietro di essa, differenti formule di lettura della tematica, nel tentativo di interpretare il ruolo di stimolo di una rivista verso i suoi lettori. Prima i saggi di Paolo Soleri e Nico Ventura, ad introdurre le molteplicità dell’argomento (con un particolare riguardo all’architettura e alla sua memoria storica, quale possibile sostegno in un’epoca che vive una forte crisi di ideali); poi le interviste ai fratelli Campana e a Gaddo Morpurgo, per sviscerare alcune interessanti peculiarità del modo di intendere il Riciclo nel campo del design; quindi, l’illustrazione di due progetti (uno italiano e uno straniero) per marcare concretamente il percorso intrapreso; e, infine, una serie di sketch in grado di fornire (si spera) spunti e stimoli culturali alternativi e complementari ai percorsi tradizionali (attraverso l’arte, la fotografia, ecc.) per la nostra formazione di progettisti. Un numero, dunque, declinato con una lettura particolare sul tema “materia”, con una serie di contenuti di orientamento culturale oltre che tecnico, (e non solo esplicitamente architettonico) uniti tutti dalla caratteristica di avere un impatto di tipo pubblico, che vogliono evidenziare il Ri.Ciclo come trasformazione del bene (in termini non di proprietà ma di utilizzo): gli oggetti, e la materia che li compongono, da obsoleti possono così divenire “efficienti”. Questo numero di “AL” vorrebbe essere un invito, in un’epoca frenetica, ad un’ideale pausa riflessiva sul fare, per capire qual è lo scopo ultimo del nostro agire progettuale. La complessità dell’ambiente in cui viviamo, ci suggerisce che, spesso, è necessario l’apporto collaborativo di più saperi: l’architetto che disegna gli spazi dell’abitare, l’ingegnere che li rende sicuri, il designer che genera gli oggetti contenuti in essi, il ricercatore
che sperimenta nuovi sistemi di smaltimento e/o riutilizzo di elementi e/o materiali; l’artista che, con animo sensibile, interpreta tutto questo. Una ritrovata consapevolezza progettuale a ricordarci che il nostro impegno deve essere capace di relazionare il momento della riflessione teorica con l’uso, la ricerca scientifica con l’innovazione tecnologica; e questo non solo nel creare nuovi oggetti, ma anche nel dare rinnovato senso a quelli esistenti, nel tentativo di diminuire o, perlomeno non aumentare, il grado di saturazione degli spazi che viviamo. Da una parte siamo chiamati a conservare e tutelare i beni naturali e socio-culturali che fanno parte del nostro patrimonio di civiltà, dall’altra siamo invitati ad un processo di trasformazione controllata dell’ambiente e di gestione delle risorse, riducendone il consumo, riflettendo sull’accorciamento del ciclo di vita degli oggetti che generano velocemente nuovi rifiuti, evitando che le discariche prendano il sopravvento e diventino monito, anche del fallimento del progetto; per capire se, in un’era di tecnologia estetizzante come la nostra, l’obsolescenza formale sia inutilmente più veloce di quella funzionale. Il pianeta è saturo di oggetti, spesso carenti di qualità. Gli autori dei saggi raccolti, con approcci e sensibilità diverse ci invitano a ripensamenti strutturali anche dei modi di progettare, per non sovraccaricare ulteriormente il mondo, per cercare di convertire i tanti oggetti in qualcosa di meglio, in qualcosa di utile, se necessario smontandoli, per dare ai loro componenti e ai loro materiali nuovo utilizzo; un Ri.Ciclo, dunque che li reinterpreti, trasformandoli sia a livello funzionale che più propriamente materico. La nostra responsabilità per l’ambiente in cui viviamo è grande: gli oggetti sono inseriti in un contenitore ambientale che chiede rispetto per poter vivere, convivere e sopravvivere. “Fare il nostro ambiente e fare noi stessi è stato filogeneticamente e ontogeneticamente un unico processo (…) il modo in cui la coscienza si appropria della realtà ambientale influisce decisamente sulla conformazione ultima di questa realtà (…) I nostri rapporti con l’ambiente sono di reciproca corrispondenza: la condizione dell’uomo e del suo intorno sono il risultato di uno stesso processo dialettico, di uno stesso processo di mutuo condizionamento e formazione (…) Ma se il lavoro è, da un lato, un fattore di autorealizzazione, dall’altro è un fattore di alienazione. È ovvio ormai che il particolare modo con cui la coscienza si appropria della realtà ambientale influisce decisamente sulla conformazione ultima di questa realtà” (Tomás Maldonado).
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IL CIRCOLO VIZIOSO DEL RICICLO PAOLO SOLERI
In oltre cinquant'anni vissuti da architetto attento ai problemi dell'ambiente, ho imparato che agire sugli effetti – trascurando le cause – è una battaglia vana e spesso sleale. Ciò che rafforza la mia convinzione è il fatto che migliorare una cosa sbagliata comporta una 'soluzione' ancor più errata. È questo ciò che io definisco come un “errore migliore”. Si procede quindi, di male in peggio: infatti, i 'miglioramenti' producono un sollievo temporaneo e, in seguito, non fanno altro che provocare disastri ancor più durevoli e caotici. Il mondo degli speculatori, degli urbanisti, degli architetti e dei costruttori rappresenta un classico esempio; lo squallore di un'espansione urbana non sostenibile è la conseguenza. Il problema ambientale più importante riguarda l'attuale progettazione delle città composte da edifici alti solo pochi piani che si espandono senza so-
GLI AUTORI DEGLI INTERVENTI
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PAOLO SOLERI Attraverso il lavoro di architetto, urbanista, artista, artigiano e filosofo, Soleri (Torino 1919) ha esplorato le possibilità dell’ispirazione umana. Il futuro che ha immaginato ha preso forma in modi diversi. Uno sforzo notevole è rappresentato da Arcosanti, laboratorio urbano realizzato nel deserto dell’Arizona. Il progetto è esemplificativo della sua incrollabile devozione
luzione di continuità verso l'esterno per centinaia di chilometri. Questi artefatti trasformano la terra, mutano la campagna in parcheggi, e determinano sprechi di enormi quantità di tempo e di energia nel trasporto delle persone, dei beni e dei servizi, attraverso la loro enorme estensione. Riciclare gli edifici di questo tessuto perverso, migliorandone l'efficienza ma assecondandone il modo di costruire che separa gli uomini l'uno dall'altro, come anche dalla terra, non m’interessa. Noi possiamo essere partecipi della soluzione oppure del problema. Qui sta la difficoltà dell'urbanistica e dell'architettura. Per quel che riesco a capire, la condizione attuale è parte del problema, riciclarla, ad uso delle generazioni future, non è una soluzione. La paralisi logistica è solo uno dei guai del paesaggio americano causati dalla diaspora antiurbana del XX secolo. Cercare di riformare questo paesaggio
nella creazione di uno spazio in armonia con l’uomo. La sua filosofia, “Arcology” (architettura+ecologia) ha influenzato molti di coloro che si occupano di progetto dell’ambiente. NICO VENTURA Professore ordinario al Politecnico di Milano, è autore di saggi e pubblicazioni e progettista di architettura e design.
FERNANDO E HUMBERTO CAMPANA Fernando (1961), laureato in Architettura, e Humberto (1953), laureato in Giurisprudenza sono artisti eclettici nati a Brotas-São Paulo. Dal 1989 si misurano con il mondo del design ottenendo numerosi riconoscimenti internazionali ed esponendo i propri prodotti nei musei più prestigiosi del mondo come il MOMA di New York.
riciclandone il costruito, è un esercizio della serie: “troppo poco e troppo tardi”. Il mero riformismo non è sufficiente per affrontare adeguatamente le nuove situazioni causate dalla nostra fervida attività: infatti, una riforma non è altro che il tentativo di migliorare l'esistente per ottenere solo un errore migliore. Il riciclo e le riforme non produrranno una trasformazione sufficiente, perché ci si dedica a migliorare ciò che rappresenta un errore e quindi ci si incammina verso un prevedibile vicolo cieco. I trasporti, per esempio, sono fondamentali: dal sistema circolatorio del corpo umano fino ai sistemi collettivi di circolazione del nostro habitat comune. Tuttavia, noi viviamo la nostra vita come fossimo angeli, affrancati (redenti?) dalla soggezione alla gravità e alle condizioni della realtà planetaria. Per tutto il secolo scorso abbiamo costruito un paesaggio assurdo – gli exurbia, quartieri suburbani esterni alla città – fondati su una sequela di sistemi logistici errati, non sostenibili. La trionfale marcia tecnologica dell'homo faber sta sovraccaricando il modesto progetto delle reti logistiche venose e arteriose che abbiamo ingenuamente adottato. Specialmente in America – ma sempre più a livello planetario – la rete logistica suburbana si dimostra sclerotica e, quel che è peggio, condannata: per restare marginalmente efficiente, la vita della città, il suo organismo, diventa grottesca. Una veduta aerea della diaspora dagli exurbia mette in evidenza questa vita grottesca, monotona, di scarso spessore, deludente. È incivile – cioè priva di civitas, di valori civili – ma è utile al ciclo di produzione, di consumo, di segregazione, di inquinamento da rifiuti, della rampante avidità capitalista. Invece di riciclare gli edifici dobbiamo ripensare il rapporto tra la persona, l'edificio e l'automobile, e il fatto quasi ineluttabile che, dove l'urbanistica è stata progettata dall'automobile e per l'automobile – lo schema viario a griglia – non esiste una soluzione possibile. Siamo di fronte a un gigantismo che disegna l'habitat a una scala non più, umana. Le scelte riformiste si dimostrano incapaci di
GADDO MORPURGO Nasce a Trieste nel 1947; vive tra Venezia e Asola (Mantova). Professore associato in disegno industriale, ha sviluppato la sua attività di ricerca, di progettazione e consulenza nel campo del design, collaborando con enti e istituzioni culturali pubbliche. Ha esposto alla Biennale di Venezia e alla Triennale di Milano. Dal 2008 ha avviato, e coordina, a Kanombe in Rwanda (Kigali) l’ “AtelierRwanda” un centro studi e
progetti per l’innovazione nel sud del mondo. ROBERTA FASOLA Si laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Lavora a Como come libero professionista dividendosi tra progettazione privata e partecipazione a concorsi. Collabora come membro della Commissione Paesaggio con l’Ordine degli Architetti PPC di Como, per il quale è redattore di
correggere un sistema intrinsecamente sbagliato. Quello che si impone è una riformulazione, un riordinamento radicale delle priorità. In questo caso la parola 'riformulazione' (cioè 'formulare di nuovo’) si riferisce alla necessità di modificare le avide, incoerenti intenzioni che non sono altro che una gara verso il capriccio, l'incoerenza, la disuguaglianza, la distruzione, il collasso, la nemesi. In architettura gli spazi riusciti sono obiettivo ed effetto di realtà materiali rese ordinate e lievi – le cattedrali gotiche, le torri di cristallo – cioè, realtà materiali che si muovono nella direzione del pensiero. Le nostre città, e la maggior parte dei singoli edifici che le costituiscono, sono esempi rozzi, infantili, sciocchi, arroganti, di risultati urbanistici in cui un destino volontario può comprendere tutto il reale. Se si aspira al progresso, allora i milioni di architetti e di designer di tutto il mondo devono fermarsi a riflettere: “Se la mia missione consiste davvero in un contributo al patrimonio materiale, allora sarebbe meglio che mi prendessi un anno sabbatico in Congo, nella Corea del Nord, in mezzo ai massacri frequenti un po’ dappertutto, per scoprire qualcosa sulle condizioni dell'umanità, per cercare con un po' più di decisione di capire perché io sia un misto di grazia e dis-grazia. Per diventare un po' più saggio”. La nostra responsabilità in quanto creatori di un ambiente vitale, è grande. Alla fine ognuno di noi sarà chiamato a rispondere alla propria coscienza. Saremo i creatori oppure i distruttori della civiltà sostenibile del nostro pianeta? (traduzione di Dario Moretti)
“AL”. Scrive per la rivista “Tal&a”. ALBERTO BOSIS Nasce a Erba nel 1964; si laurea in Architettura nel 1989 a Milano. Si occupa prevalentemente di progettazione in ambito residenziale privato. Collabora con riviste e periodici ed è autore di opere di narrativa (tra gli altri, Premio Arché, Roma, 2006). EBE GIANOTTI Si laurea presso il Politecnico di
Nella pagina a fianco: Paolo Soleri, Lean Linear City, © Cosanti Foundation.
Milano con Giorgio Grassi. Vive a Como dove lavora come libera professionista. Collabora con alcuni quotidiani. MANUELA VERGA Si laurea in architettura al Politecnico di Milano. Ha collaborato con diversi studi d’architettura in Italia e all’estero (in particolare in Brasile). Attualmente lavora come libera professionista e scrive per riviste di settore.
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"ELEMENTOS YA USADOS" NICO VENTURA
Cordova, interno della Grande Moschea (o Mezquita).
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Córdoba, 785 d.C.: iniziano i lavori della moschea di Abd al Rahman I degli Omayyadi, emiro di El Andaluz, la Spagna islamica. Moschea, come Mezquita, deriva dall’arabo Masjid, a sua volta riferito a Sa-gia-da, luogo di prostrazione nella preghiera che, nella concezione originaria, poteva essere un rettangolo errante sul suolo, di volta in volta debitamente ripulito da eventuali impurità o dove distendere un tappeto in direzione della Kaaba. La parola del Corano si rivolgeva a popolazioni nomadi che si orientavano con le stelle e che non si ponevano “modelli né tanto meno obiettivi architettonici. Così la casa del profeta diviene modello esemplare” (B. Fletcher): un recinto a pianta quadrata delimitato da mura di argilla che eleggono una di loro, la quiblah, ad indirizzare verso la Kaaba e, in virtù di questo privilegio, le concedono di prodursi in una copertura realizzata con un impasto di rami d’albero e terra battuta sostenuta da tronchi di palma. Gli architetti di Córdoba, sia pure con riferimento alla moschea di Damasco, saranno capaci di tradurre questi elementi fondativi in una spazialità coerente al nuovo culto. Sul sedime della chiesa cristiana di San Vincente (per 60 anni luogo di culto, delle due religioni), si dispone un impianto murario a pianta quadrata che dal profano della città, riserva l’area consacrata. E qui si ritrovano due archetipi della natura, la radura a cielo aperto di un palmeto e per metafora, il bosco, nella penombra della sala di preghiera. È ipostila con colonnati che si orientano verso la quiblah di interasse ravvicinato per riprodursi in una spazialità isotropica. Le colonne sono di marmi variegati, provenienti da templi romani e visigoti. Sezione e altezza uguali, venature e colori leggermente diversi conducono a “una singolarità assoluta e ad una ripetizione inflessibile”, allegoria, secondo A. Muñoz Molina, (forse memore della metafora di Schiller sul colonnato del tempio greco come “muro vivente” e dunque “coro” della rappresentazione di una tragedia pietrificata), di “statue di un esercito di pietra”. Su quelle colonne si impone un doppio registro di archi (prima a ferro di cavallo per raccordarsi in continuità ai capitelli, poi liberi di svolgersi a tutto tondo) condotti da conci di laterizio e di pietra bianca che lasciano così andare verso l’alto un bicromatismo più intenso rispetto al marmo delle colonne. Un tale apparato di fabbrica, che sia riferito agli acquedotti romani o si rivolga alla mimesi degli alberi di palma, si afferma nella visione obliqua sfuggente all’oppressione di qualsivoglia direzionalità: ed è disorientamento, incertezza nella profondità di campo, curiosità e suggestione. Sarà questo impianto ad espandersi nei secoli successivi per rispondere alla crescita di Córdoba, che
attorno all’anno Mille sarà una delle città più importanti dell’epoca. La cosa non è inconsueta per gli edifici di culto che nel tempo si trasformano. Qui è singolare che la fabbrica originaria non solo rimanga invariata, ma si proponga per estrapolazione. Sia quando si produce in profondità at-
traverso la traslazione della quiblah, prima (850) sommessamente, poi (971) nella ricchezza di archi multilobati, di pareti vestite con drappi dorati, decorazioni policrome, incisioni di calligrafia cufica e di cupole che suggeriscono incursioni zenitali della luce in precedenza portata dalle
bucature sulle porte ormai remote. Sia quando l’ampliamento (987) si distende per recuperare la pianta quadrata. E sia pure con dichiarata discontinuità, quando la Reconquista vorrà affermare la cristianità, non con la distruzione, come era costume dei vincitori, ma con l’inclusione. Hernán Ruiz el Vejo (1530) imposta sull’allineamento dei colonnati, le strutture portanti di una chiesa cattolica a tre navate con transetto e cupola centrale: nel registro degli archetipi dell’architettura, una capanna. Ruiz non espande, eleva oltre il piano d’imposta delle falde. Cerca la luminosità del Redentore, nelle finestrature delle campate laterali e della cupola ed in particolare, nell’abside orientato verso il sorgere del sole, stabilito secondo il canone cristiano, dall’equinozio di primavera. Un “grande ragno arrampicato sopra le colonne della moschea” (T. Burkardt), un “blocco ottuso della cattedrale che interrompe le prospettive e i movimenti della luce” (Muñoz Molina). Raphael Moneo: “paradójiamente, la cathedral favorecia la unidad della mezquita”. In effetti, Ruiz si decide per una fabbrica del tutto inclusa e così non solo lascia inalterati i muri perimetrali e la facciata sul patio (dove le palme saranno sostituite da un giardino di agrumi più propriamente mediterraneo, il Patios de los Naranjos), ma rilancia l’impianto preesistente come premessa e contesto della nuova architettura. Quasi volesse che la cattedrale fosse ritrovata dalla luce cristiana nella penombra islamica. Il sincretismo architettonico sembra dare pari dignità a due concezioni religiose e di conseguenza, architettoniche, che si rivelano “concorrenti”: a partire da suolo versus cielo; processionale, con assi che corrono paralleli lungo le latitudini versus isotropico, che pure lascia andare un diagramma radiocentrico verso la Mecca; la croce latina del corpo di Cristo crocefisso versus il recinto quadrato della casa del Profeta; il coro dell’iconografia versus il silenzio di una presenza che non può essere rappresentata. E si direbbe proporre un’analisi comparata che cerca “le invarianti attraverso le varietà” (R. Jacobson), o magari, vuole esprimere, un’istanza di pace. “Elementos ya usados”, aveva detto Moneo per le colonne romane “riciclate” nella prima moschea, ma forse si può estendere all’intera mezquita-cathedral. Che oggi si presenta come processo di rigenerazione di un’architettura che non si è affidata alla fissazione storica del restauro conservativo e non ha confidato su flessibilità e multifunzionalità: sempre Moneo, la vita di un edificio si misura sulla fermezza dei meccanismi formali compositivi. Almeno a Córdoba: qui, nel bosco si ritrova una capanna, ma il bosco rimane incantato. 490 | 2012
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IL DESIGN SECONDO I FRATELLI CAMPANA INTERVISTA A CURA DI MANUELA VERGA
Fernando e Humberto Campana sono fantasiosi, allegri, ironici e dotati di grande sensibilità verso l’ambiente, due progettisti che hanno saputo rivoluzionare il mondo del design attirando l’attenzione con prodotti di forte carattere. I loro oggetti hanno sempre una storia da raccontare e spesso un Paese, l’amato Brasile. ll lavoro dei fratelli Campana si distingue per il ri-uso, l'abbinamento di materiali sintetici, naturali e riciclati, il saper contaminare e farsi contaminare a partire dalle culture locali tradizionali. Il tutto con una visione contemporanea e disincantata.
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Fin dall'inizio della vostra attività, che risale alla fine degli anni '80, siete stati molto attenti al tema della sostenibilità ambientale, esprimendo nello specifico una particolare sensibilità al riciclo e al riuso. Cosa vi ha spinto in questa direzione? Fernando: In verità inizialmente non era l’ecologia che ci muoveva, ma la necessità di esprimerci parlando la lingua di diversi materiali come ad esempio la plastica, il ferro o il legno, quest’ultimo in parte minore perché abbiamo
Poltrona Favela, 2003 © Edra. Nella pagina a fianco: poltrona Sushi IV, 2003 © Luis Calazans.
sempre avuto molto rispetto nei confronti dei nobili legni brasiliani. A quell’epoca non ci guidava l’intenzione, ma l’istinto e cominciammo a lavorare su prodotti che esistevano già o che erano stati scartati per dare loro una seconda vita, una seconda funzione. Sviluppammo così senza volere un “lavoro ambientale” di riutilizzo dei materiali. Noi proveniamo dall’entroterra di San Paolo, nostro padre è agronomo e la natura è sempre stata presente nella nostra educazione, l’ecologia innata nel nostro vocabolario. Oggi coltiviamo l’amore per la natura nella nostra piccola fazenda dove conserviamo e ripiantiamo specie arboree autoctone, ma negli anni ’80 riciclare non era per noi un obiettivo e nemmeno per il Brasile, nessuno immaginava cosa volesse dire questa parola. Da subito lo scopo è stato dare una seconda vita ai materiali, design di necessità e di emergenza. Non facciamo nulla di più che ripetere ciò che i fratelli brasiliani delle classi meno abbienti fanno ogni giorno, con maestria, per darsi conforto, proteggersi, sedersi, vivere. La necessità è la madre della creatività.
La poltroncina Favela (1990) è ancora oggi il simbolo della filosofia del riciclo, della creatività applicata allo scarto: cassette della frutta hanno fornito i listelli di legno delle poltroncine assemblate poi con rigore da una comunità tedesca del sud del Brasile. Com'è nato questo prodotto? F: Questa sedia è la rappresentazione della poesia e della bellezza che c’è nell’architettura di una favela. È un omaggio al design spontaneo, anonimo. In passato la prima che diede voce a queste forme di design fu l’architetto Lina Bo Bardi che scoprì l’eleganza della cultura brasiliana composta di indios, africani, europei, asiatici…questa è la nostra identità e la nostra forza. L’architetto italiano Lina Bo Bardi arrivò a Salvador – Bahia nel 1958 in un momento di grande effervescenza culturale e creativa. Affascinata dalla cultura popolare del nord-est del Brasile concepisce, insieme allo scultore Mario Cravo, il Centro de Estrudo do Trabalho Artesanal. Obiettivo del CETA è la creazione di un vero e proprio design industriale brasiliano a partire dalle forme dell’artigianato locale. Lina organizza una raccolta scientifica dei prodotti della regione baiana e sogna di creare laboratori, le Oficinas do Unhão, in cui artigiani e giovani designer possano incontrarsi e collaborare. Il progetto non si realizza, ma Lina ha ormai gettato un seme. Il Brasile che guardava ad altri modelli culturali inizia ad interrogarsi sulla propria natura di Paese tropicale e sulla propria ricchezza. Qual è stata la reazione delle persone quando l'avete presentata per la prima volta? F: La poltroncina Favela fu presentata nel 1990 e ora ti racconto una storia che ben risponde a questa domanda. La sedia fu progettata e prototipata nel 1990: vendemmo due pezzi, uno per un brasiliano e uno per un americano di Chicago. La Favela allora costava 500 dollari e impiegò circa 10 anni per entrare in produzione con Edra. Fu Massimo Morozzi, direttore creativo dell’azienda, che volle industrializzare questo prodotto. Lo definì il “trono dei poveri” e avrebbe voluto vederla esposta nel Palazzo Itamaraty di Brasilia, sede del Ministero degli esteri progettato da Oscar Niemeyer, con seduto l’ex presidente brasiliano Lula. Edra voleva che fosse prodotta in Brasile e non in Italia: avrebbe voluto mantenere il carattere comunitario dell’oggetto facendolo produrre da una comunità all’interno di una favela, una bellissima idea, ma all’epoca non realizzabile. Deci490 | 2012
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demmo quindi di far produrre i pezzi dalla fabbrica di una comunità tedesca del sud del Brasile. Riassumendo: la sedia Favela è prodotta in Brasile da una comunità tedesca, esportata in Italia, e rivenduta dall’Italia in tutto il mondo, anche in Brasile. I clienti brasiliani avrebbero potuta acquistarla direttamente dal nostro laboratorio di São Paulo, ma la gente sceglie di pagare 4.000 euro per comprare e importare dall’Italia. Ironico no? Questo è il potere del “made in Italy”, e questo è il Brasile, un Paese che non può essere letto in modo lineare, ma è bello così! Il Brasile è un Paese che sta scrivendo la storia e non può essere assolutamente paragonato con altre realtà. Humberto: Il primo impatto fu di straniamento. Ci riservavano un sorriso ironico. Noi però eravamo convinti del nostro prodotto, volevamo portare positività e uno sguardo alternativo sulle cose. Dopo che Favela è stata prodotta da Edra l’atteggiamento è cambiato: il giudizio nei nostri confronti è stato più positivo, fino ad arrivare, due anni fa, al padiglione del Brasile a Shangai che fu un omaggio alla nostra sedia: divenne “padiglione favela”. Prima resistenza poi omaggio..., molto divertente! 12
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Partendo da tecniche legate a un design dell'esigenza e dell'emergenza siete riusciti a produrre oggetti molto prossimi all'arte conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Qual è il Vostro rapporto con il territorio e le culture locali? H: Penso che la strada giusta per il design brasiliano sia proprio guardare alla nostra cultura popolare molto ricca di tradizioni. Lina Bo Bardi è stata una delle prime a porre l’attenzione su questo tipo di cultura. Lina aveva una grande collezione di arte popolare brasiliana di autori conosciuti. Vorremmo portare nuovi concetti a tecniche in via di estensione. In Brasile c’è una grande affinità con la manualità e noi, molto legati al territorio, vorremmo valorizzare la cultura tradizionale brasiliana. Nell’ottimizzazione delle risorsa è giusto pensare anche all'impiego di manodopera locale. Si può quindi parlare di ecologia sociale? H: Penso di sì. In Brasile ci sono aree che hanno un grande potenziale a livello artigianale, ma
Qui e nella pagina a fianco: vista degli interni di New Hotel, 2011 © Yes!Hotels
rimangono arretrate e non sono assolutamente organizzate da un punto di vista logistico; è necessario intervenire su queste realtà. Attualmente i Paesi europei sono in parte sopraffatti dalle economie emergenti come ad esempio quella cinese; penso sia utile, per uscire dalla crisi, ritornare all’artigianalità, alla lavorazione del vetro, del bronzo, del marmo. In Italia ci sono moltissime opportunità, una grande maestria, e per questo mi affascina trascorrere del tempo a Roma, come sto facendo ora, per lavorare con gli artigiani del bronzo. Ci contaminiamo…io imparo una tecnica raffinatissima e loro il mio caos!
La materia. Nelle vostre teste e poi tra le vostre mani assume nuove forme e una nuova vita. Come avviene il processo creativo? H: Spesso le persone parlano del nostro lavoro come di assemblaggio, in realtà c’è una fase di concepimento prima di arrivare al materiale. Si parte con una soluzione nella mente, una razionalizzazione dell’idea, visuale e mentale, e poi si giunge al progetto concreto. Sto progettando un divano, dopo un mese di lavoro concettuale sono giunto alla parte costruttiva e ora è tutto chiaro, razionale, eseguibile.
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Pensate che l'estetica dei vostri oggetti abbia in parte cambiato il gusto delle persone? Con i vostri prodotti avete aperto nuove frontiere, vi sentite dei precursori? H: Penso che alcune aziende come Edra abbiano capito il nostro lavoro e siano riuscite a tradurlo per comunicarlo correttamente al “consumatore” finale. Oggi il design non è solo funzionalità, è contaminazione. Tutto è cominciato con la necessità e oggi percorriamo ancora questa strada anche se con più maturità e ovviamente con più facilità. La creatività del terzo millennio è la contaminazione tra discipline.
Vermelha Chair, 1998 © Edra.
Una vostra frase: “la spontaneità necessita di molto pensiero”. Nel quotidiano dove, più spesso, trovate questa spontaneità che in realtà è frutto di grande maturazione? F: Pensiero e tecnica, anche nella sedia Vermelha; spontaneità e casualità hanno alle spalle molta ingegneria. In strada, osservando le persone, nei gesti quotidiani, grande complessità e magia della semplicità.
São Paulo: una città dura, caotica, inquinata, ma estremamente piena di energia. In cosa dovrebbe riciclarsi? In cosa dovrebbe migliorare? F: São Paulo è una città bipolare! In primo luogo penso che un grave problema sia l’educazione primaria di tutto il Paese. Negli anni ’70, periodo della dittatura militare, si aveva l’opportunità di studiare e di conoscere; dicendo questo non voglio assolutamente affermare che il regime risolva il problema dell’educazione primaria, è solo evidente come oggi la scuola pubblica non dia nulla. Un vero peccato, tantissimi giovani persi e consegnati alla droga e alla criminalità. Nella mia generazione tutti hanno avuto l’opportunità di studiare, imparare lingue straniere, e tutto senza pagare. Mio fratello Humberto, ad esempio, ha frequentato la migliore facoltà di Diritto di São Paulo senza pagare nulla; oggi è impossibile entrare in questa scuola. Tutto ciò è vergognoso, viviamo in un Paese ricco, con abbondanti materie prime e questa è la situazione. H: Il verde. In città mancano parchi e la speculazione immobiliare è a livelli record. La maggior parte delle persone non ha un’educazione ambientale. A São Paulo ad esempio non si fa la raccolta differenziata dei rifiuti: allucinante in una città di 20 milioni di abitanti. Ci sono però delle forme spontanee di riciclo, i catadores ad esempio vivono grazie alla raccolta di carta, plastica, alluminio. São Paulo è difficile a livello di affettività, è antropofaga, ma con il tempo si diventa buoni amici! Oggi la città ha molti architetti bravi, tra i migliori Marcio Kogan; abbiamo la possibilità di regolare la rotta. Su quali nuovi progetti state lavorando? F: Stiamo lavorando su diversi progetti: residenze, hotel, una collezione con Lacoste. Ora, nello specifico, siamo particolarmente impegnati per la preparazione della mostra Barocco Rococò che verrà inaugurata a Parigi alla Galerie d’Actualité des Arts Décoratif (13 settembre 2012–3 febbraio 2013), una bellissima opportunità. Quale prodotto della storia del design avreste voluto progettare e perchè? F: L’aereo! Se invece penso al design per la casa, la sedia Thonet del 1855 perché ha attraversato diverse epoche grazie alle eccezionali caratteristiche di leggerezza e sofisticata lavorazione del legno. E poi la Bic per la sua funzionalità! È dell’inizio del secolo e in tutti questi anni è sempre attuale: un ottimo design. H: La lampada olografica di Ingo Maurer perché coniuga arte, design e funzionalità… geniale!
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INTERVISTA A GADDO MORPURGO A CURA DI ROBERTA FASOLA
“Ogni cittadino della UE consuma in media 16 tonnellate di materiale all'anno... Dovremmo progettare più idee e meno oggetti”. Emblematica la frase con cui ci si “scontra” una volta entrati nel sito del prof. Morpurgo: essa riassume il concetto che la crisi vissuta dal design non è solo finanziaria e produttiva ma anche, e soprattutto, culturale. Per questo motivo non si può, banalmente ridurre il problema alla sola qualità degli oggetti prodotti in serie; è necessario sviluppare modelli di crescita che superino gli sprechi e le disuguaglianze che la “civiltà” industriale ha determinato: il ritorno a procedimenti di tipo artigianale, sviluppando nuovi sistemi di produzione e consumo, potrebbe essere una soluzione; tuttavia questa opportunità può nascere unicamente dalla presa di coscienza dei limiti delle risorse naturali.
Partendo da queste considerazioni Atelier Rwanda affronta alcune tematiche che possono aiutare a definire nuove linee di intervento. Vediamo come. Esattamente quando e a partire da quale volontà nasce Atelier Rwanda? Nel 2007 sono stato invitato in Rwanda per individuare un possibile intervento per valorizzare una tecnica tradizionale di intreccio con erbe locali, l’Agaseks K’uruhindu, con cui gli artigiani confezionavano un particolare cesto, simbolo del Rwanda, e che si stava perdendo perché complessa e molto lenta da eseguire. Per soddisfare le esigenze del mercato turistico lo stesso oggetto ora viene realizzato con altri materiali utilizzando un metodo più grezzo. Alla fine di questa missione abbiamo proposto 490 | 2012
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di avviare un programma formativo che tramite workshop coinvolgesse artigiani locali e studenti (ruandesi ed europei) per individuare nuove tipologie di prodotto per un mercato più remunerativo. Così nasce l’Atelier Rwanda, che inizia il proprio operato realizzando gioielli con un sistema locale che si stava perdendo per la complessità di esecuzione, per poi orientarsi anche verso l’utilizzo di sostanze naturali per la colorazione di stoffe e l’introduzione di sistemi costruttivi che consentano il riciclo di materiali locali che altrimenti verrebbero ridotti a essere rifiuti. Atelier Rwanda si occupa del trasferimento di tecnologie e di design per la valorizzazione di materiali naturali locali. Si potrebbe per questo definire un progetto di tipo sociale tra
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le tradizioni locali e il know how occidentale? Si certamente ma sottolineando il fatto che quando si lavora in questi contesti il trasferimento di know how è reciproco. Non si tratta tanto di trasferire dei saperi certi ma di avviare un lavoro comune che porta a un arricchimento di tutti: il problema non è insegnare ma ricercare insieme una possibile via d’uscita, studiando il rapporto tra design (o saperi tecnico-scientifici) e saperi locali, per valorizzare le capacità produttive delle cooperative artigianali e sfruttare al meglio le potenzialità dei materiali originari, permettendo così lo sviluppo di mercati locali sostitutivi all’importazione di materiali, oggetti e/o componenti da altri paesi. Lavorate in spazi costruiti da voi: in che modo l’utilizzo dei materiali locali
insieme a oggetti che potrebbero definirsi “di scarto”, vengono recuperati e re-interpretati a uso delle necessità locali? In realtà lavoriamo in spazi che non abbiamo costruito noi ma, nel 2010, abbiamo edificato un padiglione provvisorio per testare alcuni dei progetti su cui stavamo lavorando. Una sorta di piastra-laboratorio dove sperimentare il comportamento di componenti edilizie in scala 1:1, realizzate con materiali naturali presenti nell’area che, normalmente, verrebbero poco utilizzati o eliminati; ne sono un esempio i pannelli isolanti realizzati con le foglie e la corteccia del banano o gli incastri e le “viti” per unire il bambù fatti con legno di caffé. Il tema del Ri.Ciclo sembra stia alla base di questo progetto: potrebbe darci una sua interpretazione? A monte del Ri.Ciclo, e di altri procedimenti analoghi, c’è la necessità ormai non più rinviabile di ridurre il consumo dei materiali. Nel campo del design questo significa essenzialmente prolungare la vita dei prodotti, quindi oltre al Ri.Ciclo dobbiamo riconsiderare la necessità di riparare, di mantenere, di smettere di consumare per consumare. “Il problema – come spiega Jean-Pierre Olivier de Sardan – è comprendere in che modo il mondo si trasformi, piuttosto che pretendere di trasformarlo senza darsi mezzi per comprenderlo”. Questa affermazione, che nasce nell’ambito dell’antropologia dello sviluppo, può acquistare un particolare significato, se la riferiamo al lavoro di progettisti che operano nei paesi del Sud del mondo per migliorarne le condizioni di vita: il concetto di “Ri.Ciclo” deve essere inteso come trasferimento di alcuni saperi pratici (propri degli operatori allo sviluppo) a popolazioni dotate di sistemi di senso (culture) differenti. Se dovesse definire questo progetto, che è al contempo sociale, culturale, architettonico e di design, quale declinazione sceglierebbe? Il suo essere un programma formativo poco ortodosso. L’obiettivo formativo generale, oltre all’acquisizione di specifici saperi progettuali, è la capacità di comprenderne le potenzialità rispetto a scelte di sviluppo sostenibile: il fatto
che artigiani e studenti di mondi apparentemente lontanissimi, lavorando e vivendo insieme, si siano conosciuti scambiandosi i saperi, è assolutamente stimolante; da un lato la cultura, in buona parte cosmopolita e internazionale dei professionisti che agiscono in maniera pressoché identica in qualsiasi area operano, dall’altro una grande varietà di saperi locali; per andare verso un senso del progetto che sia in grado di interagire con la crisi del pianeta. Progetti per una crescita futura? Già nel 2012 da quest’esperienza è nato il Master in design per la cooperazione e lo sviluppo sostenibile promosso dalle università di Firenze e Genova insieme all’Università Iuav di Venezia e in Rwanda sono operative due cooperative di artigiane che producono gioielli. Il problema non è quello di crescere ma di riuscire a fare, e bene, queste cose.
Le immagini che illustrano questo articolo riguardano i lavori realizzati dall’Atelier Rwanda. 490 | 2012
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PROGETTO “ORTOLANA” PROMUOVE UN’AGRICOLTURA URBANA SOSTENIBILE
CARTONE E FELTRO PER ORTI VERTICALI VARESE a cura di Claudio Castiglioni e Carla Giulia Moretti
La produzione di cibo in ambito urbano non è una pratica nuova nella storia della città; esempi celebri sono gli orti urbani destinati alla sussistenza nella parte interna del lotto gotico o gli orti-giardino delle case a schiera viennesi di Adolf Loos, o ancora gli orti di guerra, promossi per incentivare l’autosostentamento. Da qualche anno si è avviata una nuova fase di ricerca di contatto tra cultura urbana ed
agricola e così gli orti verticali hanno iniziato a proliferare in tutto il mondo, Italia compresa. Un esempio è OrtoLana, progetto nato dalla matita di tre giovani architetti Rositsa Todorova Ilieva, Davide Sironi e Sara Tommasi, vincitori del primo premio del concorso nazionale Ortinparco 2010; con OrtoLana (www.ortolana. wordpress.com) viene formulata una proposta innovativa che va oltre l’immagine e il design come fine. Il singolo modulo rappresenta l’aiuola che seppur verticale, attraverso la sua forma arcuata, dialoga coll’orizzontalità del terreno lasciandovi traccia fisica della separazione avvenuta. Il progetto ha un’impronta ecologica minima grazie all’uso di materiali riciclati e riciclabili, quali cartone e feltro, ed il suo logo intenzionalmente ricorda il triangolo della sostenibilità: economica (costi di realizzazione molto bassi), ambientale (assemblaggio a secco) e sociale (coinvolgimento educativo). Nell’ampio panorama di materiali riciclati è stato scelto il cartone, in quanto copre una percentuale elevata sui quantitativi totali di rifiuti differenziati prodotti in ambito cittadino. Per l’impiego in ambiente esterno è sufficiente il trattamento con oli naturali. Il cartone è stato utilizzato come struttura portante a cui applicare lo strato di feltro, in cui vengono fatte crescere le piantine dell’ortolano. Il feltro è un materiale sostenibile in quanto realizzato con pelo animale e ottenuto tramite l'infeltrimento delle fibre, che vengono bagnate con acqua calda e sapone. Per la sua produzione si possono anche utilizzare materie seconde come scarti, prodotti di lana o lana tosata di bassa qualità, altrimenti trattata dagli agricoltori come rifiuto speciale da smaltire, con oneri aggiuntivi al costo vivo della tosatura. Inoltre, risulta adatto ad ospitare gli ortaggi in quanto è elastico e resistente alla pressione, impermeabile, isolante ed igroscopico rilasciando lentamente l’acqua assorbita, garantendo un’adeguata irrigazione delle piantine coltivate. C.G.M.
Scorcio di OrtoLana. 18
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“NUOVA VITA” DI MATERIALI E OGGETTI NELLA COSTRUZIONE DI UNA CHIESA DELLA PERIFERIA NORD DI VOGHERA
PIETRE MIGRANTI PAVIA a cura di Luca Micotti, Vittorio Prina, Alessandro Trevisan, Andrea Vaccari
“Nuova vita” sembra essere la caratterizzazione attorno alla quale ruota il “Villaggio”, quartiere della periferia occidentale vogherese, figlio dell’esponenziale crescita demografica degli anni ’60. “Nuova vita” era la speranza – consapevole e prepotentemente voluta – di chi, emigrato dal sud, veniva al nord in cerca di fortuna e trovava nell’edilizia economica popolare vogherese delle vie Cervi, Farini, Sturzio e Bixio, il luogo ove coltivare speranze e radicare nuove famiglie. “Nuova vita” è anche la definizione che può sinteticamente riassumere la modalità operativa attraverso la quale si attuarono risorse economiche finalizzate alla costruzione della locale Chiesa Parrocchiale “Natività di Maria Vergine”, luogo della centralità della crescente comunità. Più comunemente nota come “S. Vittore” o “Chiesa degli artisti”, in ragione delle numerose tele contemporanee ad opera di importanti artisti locali, la Parrocchia “Natività di Maria Vergine” nasce nel 1973 ad opera del Parroco Don Romersi. Nell’instancabile ricerca dei fondi necessari per la sua edificazione, un particolare apprezzamento va riconosciuto alla strategia adottata per il contenimento dei costi di costruzione ottenuta mediante l’impiego di materiali e oggetti provenienti da recuperi o demolizioni che, senza alterarne la visione di insieme, ven-
nero utilizzati per la costruzione dell’opera. Dalla struttura portante della copertura ottenuta per semplice accostamento di travi a doppia pendenza prefabbricate in cemento armato precompresso di vocazione industriale, al recupero di soglie, lastre e colonne in pietra da utilizzarsi quali sedute ed elementi di arredo, così come alle attorcigliate radici capovolte di un albero africano di un’opera scultorea raffigurante l’elevazione delle anime alla vita eterna, buona parte dell’edificio sembra sostenuto da forze dinamiche che assegnano a materiali destinati ad essere dismessi una seconda vita – ovvero rinascita – fino a condurli ad una sorta di elevazione spirituale. Esternamente, l’equilibrio del sagrato viene interrotto dall’impiego di lastre in granito che da desueti trottatoi appartenuti ad antiche strade lastricate divengono testimoni del trascorrere del tempo, quasi che il dinamismo rappresentato dagli evidenti segni di deterioramento – cagionati in passato dall’incessante transito delle ruote in ferro dei carri – contrapposto all’atto statico tipico della preghiera, così come l’azione migrante assegnata ad elementi di per sé votati all’immobilismo, ne costituiscano una moderna declinazione sinestetica. A.T.
SPUNTI DI ARCHITETTURE AUTOSOSTENIBILI CON L’UTILIZZO DI MATERIALI DI RICICLO
TERRA, BOTTIGLIE E PNEUMATICI MONZA E BRIANZA a cura di Cristina Magni
risposte di Massimo Duroni Bioarchitetto e designer
Nella nostra provincia opera Massimo Duroni, un collega che fin dai primi anni d’università si è sempre interessato ai sistemi costruttivi a basso impatto e bassa tecnologia per paesi in via di sviluppo. Puoi introdurre il tema della tua ricerca? Grazie alla cultura millenaria del bacino del Mediterraneo, alle tecnologie di controllo e all’uso di nuovi materiali, gli edifici potrebbero essere quasi completamente autosufficienti. In questo modo i costi sarebbero di gran lunga inferiori rispetto all’utilizzo delle tecnologie per l’impiantistica. Esistono sistemi che, se previsti in fase progettuale, riescono a fornire energia gratuita a costo zero, però non vengono mai utilizzati… per ignoranza, per convenienza o semplicemente per indifferenza. Duroni ha avviato un workshop ad Alzate Brianza per costruire un modulo abitativo a basso impatto ambientale da realizzare
in terra cruda e rifiuti, dotato di un sistema passivo di riscaldamento e raffrescamento e una mini serra per coltivare verdure durante tutto l'arco dell'anno. Puoi descriverci brevemente gli esiti del vostro lavoro? Il risultato del workshop porterà a definire le linee guida progettuali per la realizzazione di un piccolo villaggio sportivo realizzato in autocostruzione e a bassissimo budget presso la periferia di una township del Lesotho, in Sudafrica. I moduli abitativi serviranno inizialmente per il villaggio sportivo, poi, al termine dell’utilizzo, verranno destinati ad ambienti con finalità turistiche, in base alle esigenze delle tribù locali. Si può quindi parlare non solo di riuso dei materiali, ma anche di “riuso funzionale”. Tecnicamente come pensate di realizzare questo modulo abitativo? Per la costruzione dell'edificio stiamo usando un 490 | 2012
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cassero a perdere costituito da cassette di frutta in plastica contenenti terra e bottiglie di plastica. Queste ultime, sul fondo, saranno piene d'acqua per aumentare la massa termica (consideriamo che una parete costituita da migliaia di bottiglie di plastica riempite d'acqua, con uno spessore totale di 20 cm, ha una massa termica che equivale a 40 cm di cls). La “parete” sarà poi tutta intonacata con terra cruda e paglia. Il modulo dell'edificio è di 5x5 m; un'eventuale espansione sarà possibile con pilastri e travi in legno, per un'altezza massima
probabilmente pari a 2,40 m (al massimo 3 m), così da poter procedere in modo più veloce e semplice, senza impalcatura. Doteremo la struttura anche di un "frigorifero" costituito da una struttura interrata, a cilindro, composta da pneumatici: recuperando e facendo girare aria dal terreno, questo "apparecchio", utile anche come disidratatore, sarà atto a raffrescare (certo non a gelare) frutta, verdura, cibi vari ed anche eventuali medicinali. Sempre con i pneumatici andremo a costruire le fondazioni stesse del modulo abitativo.
L’ASSOCIAZIONE “TEMPORIUSO” PROMUOVE USI SPONTANEI DI COLONIZZAZIONE TEMPORANEA
RIATTIVARE AREE ABBANDONATE M ILAN O a cura di Roberto Gamba
Il Carroponte di Sesto San Giovanni. 20
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“Dove le forme più tradizionali di pianificazione non sono riuscite ad assorbire pienamente il potenziale di aree in abbandono, spesso usi spontanei di colonizzazione e riuso temporaneo, dando spazio a nuove pratiche abitative, lavorative e per il tempo libero, possono innescare processi di rigenerazione urbana imprevisti e talvolta progetti architettonici innovativi”: così dice l'Associazione Temporiuso.net, progetto di ricerca avviato nel 2008, dal laboratorio multiplicity.lab e dal DiAP Politecnico (www.temporiuso.org), che propone di riattivare immobili
e aree, da tempo abbandonate, con iniziative legate al mondo della cultura, dell’associazionismo, dell’artigianato, delle piccola impresa, dell’accoglienza per studenti, con contratti ad uso temporaneo a canone calmierato. 7jjhWl[hie kd XWdZe Z_ _Z[[" W I[ije IWd Giovanni, nell’ex portineria Breda, l’Assessorato alla cultura del Comune, l’Agenzia MilanoMetropoli e l’associazione Cantieri Isola hanno avviato, nel 2009, un bando per ospitare attività artistiche e di architettura del paesaggio (aveva vinto Ettore Favini e l'Atelier delle Verdure).
D[bb[ l[jh[h_[ L[jheXWbiWce" d[bbÊ[n Jehh[ dei Modelli e in alcune palazzine per uffici, sono stati organizzati, nel novembre 2009, un workshop e un seminario, con studenti del DiAP e della NABA-Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, che hanno ripensato gli spazi in abbandono come ostelli per giovani lavoratori. D[bb [ijWj[ (&'&" bÊWdj_YW ijhkjjkhW Z[b Carroponte è stata affidata all'Arci, che vi ha organizzato concerti musicali e raduni, legati ai Mondiali di calcio 2010. E]]_" _d Wjj[iW Z_ h[Wb_ppWh[ _ fhe]hWcc_ legati al nuovo masterplan Aree Falck di Renzo Piano e al PGT (circa 1.500.000 mq di aree dismesse), l’amministrazione pubblica ha approvato le proposte di multiplicity.lab
- DiAP Politecnico, per eventi socio-culturali. Da gennaio 2011 a dicembre 2013, presso gli ex Magazzini Generali Falck (Ma.Ge), è attivo MADE in MA.GE., incubatore della moda e design sostenibile. Sono messi a disposizione di 15 progetti selezionati, atelier e laboratori, in comodato gratuito e spese di gestione per 3 anni. L’obiettivo è quello di promuovere e sostenere le realtà artigianali e creative legate alla moda e al design sostenibile. Il progetto è stato attivato con la consulenza delle associazioni Cantieri Isola ed Esterni, della NABA e di Fa’ la cosa giusta. In questa fabbrica storica della città lavoravano circa 300 donne: l’iniziativa, gestita dall’ARCI, che coinvolge nuove funzioni giovanili e lavorative, è pertanto straordinariamente importante. R.G.
36 ORTI URBANI SU APPEZZAMENTI COMUNALI MESSI A DISPOSIZIONE DEI CITTADINI
RICICLARE IL SUOLO LOD I a cura di Anna Airoli
Con la collabirazione di: Silvia Gallani Cultore della materia presso il Politecnico di Milano, collabora con diversi studi professionali a Lodi e Milano (Studio di Bioarchitettura Fedeli, Lodi, Studio di Urbanistica Uggetti, Lodi, DaP studio, Milano).
Riccardo Macchioni Libero professionista dal 2003, svolge l'attività di progettazione architettonica e arredamento, studiando in particolare soluzioni architettoniche ed ecosostenibili per la riduzione di consumi energetici con l’impiego di materiali ecocompatibili.
Sono i materiali stessi che già esistono nel paesaggio a divenire potenziale per la sua riqualificazione, anche in termini di risparmio energetico ed economico. È partendo da questa riflessione che si recupera il legame con la terra, con la dimensione fisica e locale: l’economia in crisi non può che riagganciarsi alla natura, alle linee già tracciate, contaminandole virtuosamente e convertendole in usi nuovi e rinnovati. La strategia vincente, sia gestionale che progettuale, inventa nuove opportunità e ricostituisce urbanità (qualità dello spazio abitato e di vita) anche negli ambiti dell’abbandono, accogliendo interventi che mirano al riuso di materiali dimenticati, ma carichi di potenzialità e facilmente attivabili. Un passo avanti avviene nella misura in cui si concentrano nello stesso luogo utilità sovrapposte, garantite dalla messa in relazione di soggetti e forze differenti (pubblico-privato, tradizione-innovazione), ad esempio creando parchi pubblici – orti compresi – nelle aree periferiche o consolidando infrastrutture obsolete. In via delle Casalle, in località Albarola a Lodi, sono stati inaugurati nel mese di giugno 36 orti urbani. Gli appezzamenti di terreno, abbandonati o marginali, sono stati destinati all’orticoltura e alla floricoltura, realtà storicamente consolidate sul territorio, che ora assumono lo scopo ulteriore di incentivare la socializzazione dei cittadini e la rigenerazione urbana. Ogni orto è quadrato, di dimensioni di 6 x 6 m, dotato di un piccolo box attrezzato in legno: si tratta
di un’agopuntura mirata su appezzamenti di proprietà comunale, fatta di elementi semplici e materiali naturali (la terra in primis, l'acqua del sistema irriguo, il legno e le forme geometriche), dati in gestione alla cittadinanza. Determinante è la possibilità di educare così a una corretta alimentazione, favorire nuovi stili di vita in sinergia con l'ambiente, ridurre i consumi energetici e gli sprechi, valorizzando la conoscenza delle tradizioni produttive del proprio territorio. “Anche nella zona della Selvagreca è avviata la realizzazione di ben 112 orti” spiega l'assessore Simone Uggetti, “e per il futuro è prevista la rigenerazione di ulteriori aree di margine significative per la città”, per la quale è auspicabile un coinvolgimento a 360° di Amministrazione, enti, associazioni e tecnici, tra agronomi e progettisti del paesaggio. Lo sviluppo dei Gruppi di Acquisto Solidale integra questa sensibilità nascente – ormai operativa – che “ricicla e rigenera il suolo”, costituendo ulteriori realtà produttive locali, come nell'azienda agricola “Tre cascine” di Lodi, che produce e commercia ortaggi di stagione, o nell'azienda “Baronchelli” di Borgo S. Giovanni che produce latte e formaggi doc. Sono processi lungimiranti, capaci di rimettere in gioco l’agricoltura tradizionale, aprendola al pubblico e al terziario e favorendo la nascita di un sistema economico alternativo, legato al locale (“Lodigiano terra buona”), ma esportabile su larga scala, quella senza confini della cultura e dell'innovazione. A.A.
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LA FILOSOFIA DEL RICICLO
LONDRA
Una sede teatrale temporanea per 120 persone è stata realizzata con materiali di recupero e di scarto assemblati in uno spazio interamente sostenibile ed energeticamente autosuffciente DI EBE GIANOTTI FOTOGRAFIE DI FOLKE KOBBERLING E MARTIN KALTWASSER
FOLKE KOBBERLING E MARTIN KALTWASSER JELLYFISH THEATRE, LONDRA
Il Jellyfish Theatre non esiste già più. Costruito nel quartiere di Soutwork a Londra nel 2011, per ospitare due spettacoli sul tema dei cambiamenti climatici, dopo pochi mesi veniva smantellato e i materiali utilizzati per la costruzione, come previsto, nuovamente riciclati. Una fine perfetta, in sintonia con lo spirito che ne aveva permeata la nascita. L’opera effimera degli artisti berlinesi Martin Kaltwasser e Folke Koebberling è uno degli esempi migliori per capire il pensiero radicale alla base delle sempre più numerose operazioni di riciclo architettonico che vedono la luce in questi anni e che si inseriscono nel filone chiamato Junkitechture. Per i progettisti il teatro, opera a cavallo tra architettura e installazione artistica, costruito in una sorta di happening collettivo, esprime un valore che travalica l’esito formale e trova il suo fondamento, principalmente morale, nell’essere
espressione concreta, visiva, della critica sociale di cui i due artisti si fanno portavoce. Il Jellyfish è un manifesto più che un’architettura e il lavoro degli 81 volontari che con le loro mani in nove settimane, insieme ai progettisti, hanno costruito il teatro, ne costituisce un aspetto per niente marginale. Koebberling e Kaltwasser negli scritti teorizzano l’importanza del coinvolgimento dei fruitori finali dello spazio urbano e degli edifici, e l’importanza della partecipazione attiva financo nel processo di costruzione. L’ambiente costruito deve divenire preoccupazione di tutti, il processo partecipativo non deve limitarsi alla consultazione preliminare, ma coinvolgere architetti e artisti nella trasmissione di un sapere che consenta ad ognuno di costruire manualmente quello che serve nella vita di tutti i giorni, secondo una concezione del lavoro concepita come forma di resistenza contro l’“ideologia edonista militante”. Resistenza da
Pianta del teatro e disegno di studio. Nella pagina a fianco: scorcio di un fianco con passerella.
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SCHEDA TECNICA Progetto: Folke Köbberling e Martin Kaltwasser; Dimensioni: 28 x 12 m; h 4,5 m; 120 posti a sedere Importo: 17.000 sterline (12.000 permessi di costruzione, diritti, assicurazioni; 5.000 materiale di costruzione, strumenti, noleggio di attrezzi, noleggio auto) Cronologia: 25 giugno-22 agosto 2010, realizzazione; 26 agosto-9 ottobre 2010, tempo di utilizzo del teatro
Qui e nella pagina a fianco: vista laterale con ingresso. Sezione longitudinale.
applicarsi anche nella vita privata, contenendo al minimo le spese personali in una novella forma di autarchia che quasi nulla concede alla “autoschiavitù del consumismo”. “La spazzatura di qualcuno è il tesoro di qualcun altro”, ripete Kaltwasser e i tesori utilizzati per costruire il Jellyfish Theatre sono stati i più vari, dalle cassette della frutta provenienti dal mercato di Covent Garden, agli scarti dei cantieri edili, alle vecchie scenografie teatrali, ai chiodi di recupero, ai vecchi mobili di case e scuole, ai 750 mq di pannelli di compensato, assemblati per costruire uno spazio interamente sostenibile ed energeticamente autosuffciente, capace di contenere 120 persone e durare qualche mese, rispettando norme antincendio e regolamenti di sicurezza.
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Planimetria e vista del fronte con i “tentacoli della medusa�. Nella pagina a fianco: il fronte principale e, in basso, parti colorate di un interno.
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Il teatro, situato in un piazzale di risulta all’interno di un isolato comprendente scuole e istituzioni dedicate agli adolescenti, presentava una pianta quadrata e una doppia struttura perimetrale portante di “tubi Innocenti”, all’interno della quale erano stati ricavati dei piccoli locali di deposito. La struttura metallica verticale era chiusa alla sommità da una serie di travi reticolari leggere e mascherata da ambo i lati da una gabbia di pallet, a sua volta rivestita con pannelli di compensato, diversi per dimensione e colore. Il pallet trova impiego anche nello spazio interno adibito alle rappresentazioni, come pavimentazione e diversi tipi di legno di risulta sono stati utilizzati per realizzare parte delle sedute. Altri spazi accessori si addossano alla struttura principale: ad una estremità gli spogliatoi da cui si originano i “filamenti” disordinati della medusa (la medusa simboleggia la fragilità dell’ambiente), realizzati con cassette della frutta e, al capo opposto, il lounge di passaggio cui si attacca la testa della medusa.
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SCAVARE PER RICOSTRUIRE
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La ridefinizione di un volume esistente senza l’aggiunta di metri cubi: un’idea che prende forma dal modello simulato in polistirolo DI ALBERTO BOSIS - FOTOGRAFIE DI HÉLÈNE BINET
RAGUSA
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MARIA GIUSEPPINA GRASSO CANNIZZO RISTRUTTURAZIONE DI UNA CASA UNIFAMILIARE, RAGUSA L’intervento rappresenta un esempio riuscito di come sia possibile produrre architettura utilizzando materiali di scarto o economicamente contenuti. Il tema affrontato appartiene all’ambito della residenza, in particolare a una casa unifamiliare disposta su due livelli, inserita in una zona a prevalente destinazione residenziale nella periferia della città. Acquistato da una coppia, l’edificio originario non soddisfa i requisiti degli spazi di relazione
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richiesti, è carente di zone per gli ospiti e soprattutto non offre – anzi nega – un rapporto forte con il giardino. Esclusa da subito l’ipotesi di demolizione totale e ricostruzione, l’architetto propone alla committenza la riorganizzazione degli spazi interni ed esterni con il coinvolgimento dei prospetti. La scelta, accettata, consente l’avvio di un processo di riduzione con l’obiettivo di giungere al volume essenziale dell’edificio. Tale processo viene verificato e controllato mediante
SCHEDA TECNICA Progettista: M. Giuseppina Grasso Cannizzo Collaboratori: M. Flaccavento, S. Ingrao, S. Sgarlata Strutture: ing. I. A. Alrahman Impianti: ing. G. Ottaviano Materiali: pietra di Galizia, pavimentazioni interne; cocciopesto, pavimentazioni esterne; legno di quercia, serramenti; acciaio inossidabile, strutture metalliche e reti; miscela di azolo (polvere di lava), intonaco esterno Area del lotto: 1400 mq Superficie abitabile: 350 mq (piano terra 177 mq + primo piano 170 mq ) + 30 mq garage Volumetria: 1250 mc Importo: 490 mila euro Cronologia: 2001 progetto - 2004 fine lavori
La terrazza sospesa sull’acqua; in basso: particolare. Qui e nella pagina a fianco: quattro sezioni. Nella pagina a fianco: scorcio della casa dalla quota del giardino.
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Vista generale della casa. Il colore del non finito come conclusione del progetto di riduzione. Nella pagina a fianco: viste della scala esterna e (dall’alto) pianta di rilievo, di demolizione e ricostruzione e di progetto.
l’utilizzo di un modello di simulazione realizzato in polistirolo. È proprio il lavoro manuale e paziente sul modello a divenire – mediante fasi successive – elemento centrale e determinante del processo progettuale, attraverso la progressiva demolizione/riduzione del modello stesso. La produzione di macerie “virtuali”, in polistirolo, determina l’immediato controllo/ verifica di numerosi fattori, tra i quali l’innalzamento delle quote, la modifica della geometria, la riconfigurazione del volume sconnesso, le relazioni e le riparazioni. Sono proprio le macerie – accantonate in modo quasi casuale su un lato del plastico – a proporre il ridisegno del giardino e a porlo in rapporto diretto con la residenza, annullando la differenza di quota tra il piano primo e l’esterno. Anche le riparazioni, nate nel processo di simulazione, si traducono nell’uso di elementi in acciaio naturale, quasi a sottolineare la ricucitura degli “strappi”. Vengono inoltre introdotti alcuni elementi funzionali, quali la scala esterna, il percorso e i terrazzi sospesi sull’acqua, il volume e il pergolato con copertura di rete metallica, il cui contributo
va in più direzioni: un’ulteriore ridefinizione del volume, la riappropriazione di connessioni negate e l’estensione di superfici interne verso l’esterno. Il completamento dell’opera non ha previsto l’applicazione né dell’ultimo strato di intonaco, né del colore, coerentemente all’intero processo di riduzione (soprattutto il colore avrebbe comportato un “peso” tale da annullare le azioni di eliminazione). Il tempo e l’uso saranno poi capaci di introdurre una trasformazione graduale e progressiva dei nuovi spazi. L’importanza di questo intervento – come tiene a sottolineare la stessa Grasso Cannizzo – non è tanto, e solo, nel risultato finale, ma soprattutto nel processo creativo sviluppato sul modello simulato. Proprio l’azione simulata di riduzione/ ritaglio/eliminazione di aggetti, pensiline e falde in polistirolo ha consentito un accumulo temporaneo di scarti – prima su un fronte laterale, poi su quello principale – capace di suggerire quella linea di progetto che ha trasformato un anonimo edificio di periferia in un’opera nella quale le macerie della demolizione sono divenute materiale d’architettura. 490 | 2012
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PROFESSIONE
ALLE VOLTE SI RI-CICLANO ANCHE LE LEGGI
CHE FATICA TENTARE DI SALVARE LE RISTRUTTURAZIONI FUORI SAGOMA! Dopo aver rotto le uova il Consiglio Regionale lombardo ha cercato di riaggiustarle, ma è un’impresa disperata
A Palazzo Lombardia qualcuno deve essersi accorto che è stato combinato un bel guaio quando, con disposizioni di legge poi annullate dalla Corte Costituzionale e con una buona dose di fantasia, si è cercato di far passare per “ristrutturazione edilizia” la demolizione degli edifici esistenti e la costruzione al loro posto di fabbricati completamente diversi. Per tentare di rimediare ha quindi approvato l’Articolo 17 della Legge 18 aprile 2012 n. 7, il quale fra l’altro stabilisce che, “in relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza della Corte Costituzionale del 21 novembre 2011, n. 309, al fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati, i permessi di costruire rilasciati alla data del 30 novembre 2011 nonché le denunce di inizio attività esecutive alla medesima data devono considerarsi titoli validi ed efficaci fino al momento della dichiarazione di fine lavori, a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30 aprile 2012”. Anche questa disposizione dimostra però la scarsa dimestichezza del legislatore lombardo con le più elementari regole del diritto e della logica (definire “valido” un titolo edilizio a condizione che la relativa comunicazione di inizio dei lavori sia protocollata entro una certa data, è abbastanza umoristico). Cerchiamo dunque di dare un senso a questa ennesima trovata del Consiglio Regionale Lombardo. L’Articolo 117 della Costituzione stabilisce che la disciplina della giustizia amministrativa rientra nella legislazione esclusiva dello Stato, mentre in tema di governo del territorio spetta alla legge statale il compito di dettare i “principî fondamentali”, che le leggi regionali “di dettaglio” non possono violare. Ciò premesso, un titolo edilizio è
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“valido” quando rispetta le norme applicabili nel momento in cui esso nasce, e se non le rispetta è illegittimo e può essere annullato: ƫđƫ (ƫ#%1 % !ƫ ))%*%/0. 0%2+ƫ al termine di un processo, o dal Capo dello Stato al termine di un procedimento amministrativo particolare generalmente definito “procedimento giustiziale”; ƫđƫ (ƫ +)1*!ƫ +),!0!*0!ƫ,!.ƫ territorio, sempre che ciò sia indispensabile per soddisfare concrete esigenze di interesse pubblico; ƫđƫ (( ƫ !#%+*!ċ La disciplina della giustizia amministrativa, come già accennato, rientra nella competenza esclusiva dello Stato, e dunque l’Articolo 17 in esame non può riguardare l’annullamento di cui alla lettera “a”. L’annullamento d’ufficio di cui alla lettera “b”, a sua volta, è disciplinato dall’Articolo 21-nonies della Legge 7 agosto 1990 n. 241 e poiché, ai sensi dell’Articolo 118 della Costituzione, “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato …”, si deve ritenere che l’esercizio di tali funzioni non possa essere sottratto ai Comuni mediante una Legge Regionale, la quale sotto questo profilo può avere tutt’al più l’effetto di ufficializzare il “legittimo affidamento” generato in capo ai cittadini dalle norme di legge annullate con la citata sentenza della Corte Costituzionale, impedendo così ai Comuni stessi di annullare il titolo edilizio solamente in mancanza di un interesse pubblico all’annullamento tanto rilevante da giustificare il sacrificio di tale “legittimo affidamento”. L’Articolo 17 in esame può invece impedire l’esercizio del potere di annullamento attribuito alla Regione dall’Articolo 39 del D.P.R. 6 giugno
2001 n. 380, sempre che ovviamente l’eventuale illegittimità del titolo edilizio derivi proprio dalla qualifica attribuita all’intervento dalle norme di legge dichiarate incostituzionali, e non da altre ragioni che nulla abbiano a che vedere con tale qualifica. Walter Fumagalli
NORME EUROPEE: IL REQUISITO DELLA SOSTENIBILITÀ DELLE OPERE DI COSTRUZIONE
EMANATO IL NUOVO REGOLAMENTO UE 305/2011
I nuovi principî prevedono la riciclabilità, la durabilità e l’ecocompatibilità dei materiali da costruzione e l’obbligo per il fabbricante di redigere la dichiarazione di prestazione del prodotto.
Il nuovo Regolamento (UE) n. 305/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, fissa le condizioni per la commercializzazione dei prodotti da costruzione e sostituisce la precedente direttiva 89/106/CEE del Consiglio, già indirizzata ad “eliminare gli ostacoli tecnici agli scambi nel campo dei prodotti da costruzione per migliorarne la libera circolazione in seno al mercato interno” (è previsto un periodo di coesistenza tra le due fonti che terminerà il 1° luglio 2013). Il Regolamento 305/2011 sancisce dei nuovi e fondamentali principî relativi alle caratteristiche delle opere di costruzione. L’Art. 3 del Regolamento 305/2011, intitolato "Requisiti di base delle opere di costruzione e caratteristiche essenziali dei prodotti da
costruzione", rimanda all’Allegato 1° per la definizione dei sette requisiti di base. Le prime sei prerogative delle opere e dei prodotti sono sostanzialmente conformi a quelle descritte nell’Allegato 1° alla Direttiva 89/106. Il settimo requisito è nuovo e introduce l’importanza dell’uso sostenibile delle risorse: le costruzioni devono essere progettate in modo tale da rispettare un uso sostenibile delle risorse naturali nelle diverse fasi che costituiscono il periodo di vita delle opere, cioè durante la loro concezione, realizzazione e demolizione. In particolare, si deve prevedere il “riutilizzo o la riciclabilità” dei materiali con cui le opere vengono realizzate, dopo la loro demolizione. Inoltre si deve considerare la “durabilità delle costruzioni e occorre utilizzare materie prime e
secondarie ecologicamente compatibili”. Poiché l’obiettivo del presente Regolamento è il corretto funzionamento del mercato interno dei prodotti da costruzione, ottenuto grazie a specifiche tecniche armonizzate che descrivano la prestazione dei prodotti da costruzione, lo stesso Reg. 305/2011, all’Art. 4, prevede l’obbligo per il fabbricante di redigere la dichiarazione di prestazione del prodotto, in base alle norme stabilite dagli organismi europei di normalizzazione, oppure in base ad una valutazione tecnica europea rilasciata per il prodotto in questione. Ciò è necessario perché la marcatura CE potrà essere apposta solo sui prodotti da costruzione per i quali il fabbricante abbia redatto la dichiarazione di prestazione (Art. 8). Manuela Oglialoro
MATERIALI TRADIZIONALI O INUSUALI NELL’INTEGRAZIONE TRA NATURA E ARCHITETTURA
INCONTRI SULL’ARCHITETTURA E IL PAESAGGIO
Una serata sull’architettura naturale, illustra sistemi costruttivi basati sull’uso di materiali naturali e il rapporto tra arte, scultura e architettura Presso l’Ordine degli Architetti PPC di Milano, si è svolta in giugno la prima serata del ciclo d’incontri sull’Architettura del Paesaggio, organizzati da Raffaella Colombo, docente di “Analisi e progetto del giardino contemporaneo”, presso il Politecnico di Milano, dedicata al tema dell’architettura naturale. Nel corso del convegno, dal titolo "Natural and Mud Architecture" , introdotto da Franco Raggi, sono intervenuti Alessandro Rocca, Maurizio Corrado e Alessio Battistella. Sono stati presentati esemplari casi di armonizzazione tra architettura e paesaggio; in particolare, la delicata bellezza e fragilità di alcuni sistemi costruttivi tradizionali fatti di
legno, pietra, bambù, paglia e terra che descrivono con successo l’integrazione tra natura ed architettura. Negli interventi seguenti sono stati illustrati esempi di opere concepite con materiali tradizionali, come le architetture di fango indiane e i villaggi africani del Dogon e del Camerun, oltre a singolari esperienze di autocostruzione con sacchi di terra, e alcune architetture fatte di materiale vegetale. Si è infine arrivati ad esplorare il rapporto tra arte, scultura e architettura, con modelli di installazioni come i nidi di Nils Udo, creati con bacche, foglie e rami, o gli intrecci di rami di Patrick Dougerthy, sino alle cattedrali vegetali e alle zattere migranti di Giuliano Mauri. M.O.
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LE QUALITÀ CHE GLI ARCHITETTI ITALIANI POSSIEDONO IN GRADO DI INTERESSARE IL MONDO
ESPORTARE SI, MA COSA?
Quali possono essere considerate le qualità su cui investire per maggiori chance di successo all’estero e per introdurre innovazione culturale nel nostro Paese?
Vi è una precondizione da considerare prima di un qualunque programma di apertura della professione verso il mondo. Se infatti non ci sono dubbi sull’interesse – per opportunità, crescita culturale e business – di esportare nel mondo architetti e architetture, una domanda determinante è cosa siano effettivamente in grado gli architetti italiani di produrre per interessare il mondo. Esportare sì, dunque, ma esportare cosa? Ecco un’utile riflessione interna, all’Italia contemporanea, da porsi prima di affrontare il mercato estero: per capire attraverso quali expertise, valori etici, culturali e imprenditoriali rilanciare il ruolo dell’architetto nella società. Rafforziamo prima le qualità dell’architetto italiano con nuovi modelli di sviluppo culturale utili alla società del nostro tempo: esportiamo poi queste eccellenze nel mondo, nel rispetto delle diverse specificità. Anche perché esportare mediocrità non avrebbe senso o peggio ancora rischierebbe di replicare all’estero danni a volte già prodotti. Quali possono essere considerate, quindi, le qualità su cui investire per maggiori chance di successo all’estero (e per introdurre innovazione culturale
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nel nostro Paese)? Inizierei dalla capacità di fare disegno urbano, il progetto urbanistico e architettonico in grado di viaggiare tra le diverse scale, riconfigurare i luoghi esistenti e disegnarne di nuovi. Progetto finalizzato a una qualità urbana complessa, oltre al singolo episodio architettonico, caratteristica di alcuni grandi architetti della storia d’Italia: un sapere infradisciplinare che intercetta una domanda professionale che il mercato mondiale sempre più esprime. Penserei al know-how messo a punto nei secoli, in Italia, per risolvere la contraddizione tra conservazione (dei valori della storia) e trasformazione (introducendo del nuovo, ciò che la società del nostro tempo ci chiede). La rigenerazione delle città esistente nella stratificazione tra preesistenze e innovazioni, tra storia e anticipazione del futuro: altra opportunità di lavoro nel mondo, anche nei paesi a sviluppo recente che sempre più fanno i conti con la storia. Altri know-how? Il design e l’arredo italiano, nel rapporto straordinario tra innovazione, produzione e industria: una sinergia strategica, da declinare nel mondo in base a nuove opportunità. Le professionalità dell’architetto intrecciate all’editoria e alla comunicazione: settori nei quali la società milanese ha innovato, generando brand ambiti (“Casabella”, “Domus”, “Abitare”, ecc.). In generale, ogni forma di creativa imprenditorialità che – declinando progetto urbano, design, arredo e cultura con le esigenze della società di oggi in chiave ad esempio di eticità dei valori, di sostenibilità delle risorse, ecc. – offra un contributo attivo.
Sono alcuni appunti di un programma di professionalità vicine dell’architetto italiano che si possono rafforzare – magari con una nuova organizzazione di sistema che faciliti l’approdo all’estero – per una sua maggiore competitività nel mondo. Un programma non facile, ma necessario: che significa mettersi in gioco, inventare opportunità, studiare l’estero, essere imprenditori di idee a partire dalla nostra cultura. In questa sfida sta la difficoltà e il fascino di una apertura al mondo, ma anche di rilancio della società italiana: una sfida senza la quale il nostro mestiere rischia di diventare routine o sparire. Ricordava recentemente Riccardo Monti, presidente del riformato Istituto del Commercio Estero, come il cavallo di battaglia del made in Italy sia costituito dalle quattro “A”: Arredamento, Agroalimentare, Abbigliamento, Automeccanica. Può l’architettura diventare la quinta? Vito Redaelli Per segnalazioni o proposte di argomenti sulla professione all’estero: professionenelmondo@consulta-al.it
PROFESSIONE l NEWS
PORTALI D’ARCHITETTURA
EcoMaterial database MATREC nasce nel 2002, da un’idea dell’arch. Marco Capellini, come banca dati on-line dedicata ai materiali ecosostenibili, in collaborazione con i consorzi nazionali del riciclo CiAl, Comieco e CoRePla. Il portale, consultabile all’indirizzo www.matrec.it, è uno strumento che si rivolge ad aziende, liberi professionisti, designer, università e centri di ricerca come supporto allo sviluppo di prodotti innovativi, realizzati con materiali riciclati (alluminio, carta, gomma, legno, pellame, plastica, ecc.) o naturali (banana, caffé, bambù, canapa, carta, cotone, ecc.). Le categorie sono corredate da schede descrittive che ne riportano composizione, caratteristiche tecniche e applicazioni. MATREC organizza incontri di formazione, convegni, workshop e green feeds internazionali, in materia di green policy e green marketing. Nel 2006 guadagna uno spazio dedicato presso la Scuola Politecnica di Design a Milano, dove sono esposti al pubblico campioni di materiali riciclati provenienti da tutto il mondo. Dal 2009 la società allestisce mostre temporanee in diverse città italiane e all’estero.
LETTURE / 1
Un ritratto di Stefano Boeri
È disponibile nelle librerie specializzate il numero 62 della rivista spagnola “2G” dedicato al lavoro di Stefano Boeri. Attraverso la pubblicazione di una serie di progetti recenti – un quartiere di Social Housing a Seregno e altre abitazioni, un centro commerciale, un “Art incubator” a Milano, la sede di un quotidiano e il recupero dell’ex Arsenale della Maddalena, fra gli altri – la rivista intende percorrere il lavoro di un architetto impegnato sui molti fronti della vita civile. Due saggi di Alexei Muratov e Bart Lootsma si prefiggono il compito di presentare il “mondo” di Stefano Boeri che, a sua volta, conclude il volume con uno scritto intitolato “Cambiare paese… restare in Italia”.
insieme di verità parziali”. La sua doppia natura di componente essenziale della costruzione e di semplice immagine che si va ad aggiungere al puzzle urbano, la pone al centro delle più dibattute questioni di progetto. Il volume è una riflessione sui limiti e sulle potenzialità della ricerca architettonica intorno a quei pochi centimetri di spessore che compongono la facciata, in cui si esaurisce tutta la carica simbolica di una “zona di confine” tra il singolo edificio e la città. Daniela Villa
Moreno Gentili (a cura di) Barreca & La Varra. Questioni di facciata Skira, Milano, 2012 pp. 224, € 25,00
“2G” n. 62 Stefano Boeri Gustavo Gili Editore pp. 176, € 35,00
LETTURE / 2
Oltre la facciata Un’analisi retrospettiva sui progetti realizzati in questi anni dagli architetti Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra, che si sofferma sul tema della facciata, come l’elemento più ambiguo di un edificio. Coerente con la natura degli spazi che contiene, dissonante con la città, griffata, rappresentativa, sintetica, chiarificatrice rispetto a un tessuto complesso o coerente al contesto, la facciata è spesso “un
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PROFESSIONE | CONCORSI
COMUNE DI RODANO (Milano) via Roma 10 tel. 02.959595231 www.comune.rodano.mi.it Resp. sett. tecnico e RUP: arch. Monica Varallo Concorso di progettazione dicembre 2011 - aprile 2012 PROGETTO PRELIMINARE PER LA REALIZZAZIONE DEL NUOVO MUNICIPIO DI VIA ROMA E SISTEMAZIONE AREE ADIACENTI Commissione giudicatrice arch. Monica Varallo (presidente) geom. Dario Giuseppe Iraga ing. Moreno Oldani arch. Paolo Margutti arch. Giorgio Tagini geom. Matteo Alberti (Segretario verbalizzante) 1° premio € 7.800,00 2° premio € 3.500,00 3° premio € 2.000,00
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N U OVO M UNICIP IO D I RO DANO A pochi chilometri da Milano, lungo la statale Rivoltana, sorge Rodano (4.300 abitanti), centro industriale e residenziale, inserito nella zona dei fontanili, irrigata da un intrigo di rogge e canali, in parte derivanti dal naviglio Martesana. Il Comune ha scelto di sostituire l’attuale sede municipale, per rendere migliore la fruibilità dei servizi offerti e per contenere il più possibile le spese di gestione, contando sulla prospettiva di un progressivo incremento della qualità architettonica del costruendo edificio. Per affrontare la realizzazione della nuova sede, ha così bandito questo concorso di progettazione, richiedendo ai concorrenti un edificio uniformato all’abitato circostante, di altezza non superiore ai due piani fuori terra; capace di affrontare
il tema della sostenibilità e del risparmio energetico e di essere certificato con il protocollo Leed (almeno in categoria di merito Gold). È stato proclamato vincitore il gruppo Vecci architetti, con Getea Italia Ingegneria, composto da Tommaso Vecci, Giuseppe Di Costanzo, collaboratori Annalisa Rinaldi, Alessandro Graziano, Lia Zanda. Lo studio ha sede a Napoli e anche a Milano; nel 2008 è stato selezionato per partecipare alla Biennale giovani architetti italiani under quaranta, Rizoma e, nel 2010, a quella curata dall’Ordine degli Architetti di Roma, per la mostra al padiglione Italia dell’Expo a Shanghai. Il progetto da loro redatto ha l’obiettivo di innestare il nuovo edificio in un
1° classificato Vecci architetti (Napoli, Milano) con Getea Italia Ingegneria Tommaso Vecci, Giuseppe Di Costanzo collaboratori: Annalisa Rinaldi, Alessandro Graziano, Lia Zanda
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contesto consolidato e caratterizzato da alcune emergenze storiche, care alla cittadinanza; dovrà rammagliare la porzione di centro storico e rappresentare il punto di riferimento della collettività. Attraverso la sua forma compatta, diverrà quinta e filtro tra il nuovo spazio pubblico, nella nuova area pedonale, la nuova piazza e lo spazio retrostante da destinare a parcheggio; attraverso la sua geometria e la sua trasparenza, data dall’erosione del rivestimento in mattoni, si attesterà nella città, offrendosi ai suoi abitanti. La proposta ha tenuto conto dell’orientamento: così tutti i servizi e gli spazi accessori sono collocati sul fronte nord; mentre gli uffici sono sul fronte sud e sfruttano, con le ampie aperture al piano superiore, l’energia solare per l’illuminazione naturale degli ambienti. Le scelte materiche che ne configurano l’immagine sono legate al ruolo istituzionale dell’edificio e il mattone, che da sempre è l’“abito” durevole e caro alla tradizione lombarda, identificherà l’immagine dell’edificio e si contrapporrà ai limiti trasparenti, in vetro, che conformano diverse parti della costruzione, per accogliere l’esterno, fino a farlo divenire parte dell’interno. Intenzione meritoria dell’amministrazione municipale è quella di portare a compimento l’opera: la costruzione, finanziata con fondi comunali, mutui e con i proventi derivati dall’alienazione di aree pubbliche, dovrebbe essere appaltata nei prossimi mesi. Roberto Gamba
GLI ALTRI CLASSIFICATI
2° classificato Paolo Iotti, Marco Pavarani (Reggio Emilia) con AI engineering
3° classificato Studioa3architettiassociati (Tirano - SO), Silvano Molinari, Giampaolo Rinaldi, Giuseppe Sgrò
finalista: 3TI Progetti Italia Ingegneria Integrata SPA finalista: A++, Andrea Brivio, Andrea Cajani, Armine Arustamyan, Paolo Colombo, Svetlana Krstic
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ALTRI CONCORSI RESIDENZA PER ANZIANI AUTOSUFFICIENTI A CASTELLEONE (CREMONA) SETTEMBRE-NOVEMBRE 2011
Concorso di idee indetto dalla Fondazione Opere pie riunite di Castelleone Onlus – che agisce anche in nome e per conto della Fondazione Coniugi dr. Goffredo e Luisa Bertolotti Onlus e della Fondazione Bellani, per la realizzazione di una residenza per anziani autosufficienti, costituita da singole unità abitative e da aree di servizi comuni. La tipologia di residenza doveva prevedere bilocali con superfici dai 40 ai 50 mq privi di barriere architettoniche e facilmente adattati all’insorgere nel tempo di situazioni di disabilità da parte degli utenti. Il bando indicava la necessità di un locale mensa per circa 50 posti, un locale cucina, due-tre locali di soggiorno, due locali destinati ad ospitare la sede della Fondazione.
1° classificato Claudia Priolo (Pinerolo - TO), Walter Cordero, Patrizia Alliaud, Paolo Genero
“MERATEMENTRE”: INTERFACCIA URBANA TRA SALUTE, BENESSERE E SERVIZI - MERATE (MONZA-BRIANZA) GIUGNO 2011 - GENNAIO 2012
Concorso di idee finalizzato al fare emergere idee progettuali capaci di interpretare in chiave meta-progettuale la relazione tra Merate e il suo ospedale per valorizzare questa opportunità dal punto di vista economico, ambientale e sociale. L’ambito di concorso è l’area individuata tra l’asse storico costruito est-ovest e quello naturale nord-sud che si diparte dall’Osservatorio astronomico di Brera fino al comprensorio scolastico di via Dei Lodovichi, con collegamento al Parco Agricolo Urbano della zona sud di Merate, il cui fulcro è il sistema urbano definito dall’attuale ambito ospedaliero.
1° classificato Maddalena Buffoli, SMARCK studio (Milano - Brescia) collaboratori: Martina Casarini, Andrea Rebecchi, Mirza Sahman, Stefano Capolongo, Paolo Carli
2° classificato Federico Pella, Sering srl, Alessandra Puddu (Concorezzo - MB)
3° classificato Elisabetta Ginelli (Monza), Laura Daglio (Milano), Lucia Castiglioni (Novara), Warner Sirtori, Gianluca Pozzi, Romina Papa, Silvia Gobbi
RIQUALIFICAZIONE NUCLEO ANTICO PESCHIERA MARAGLIO, MONTE ISOLA (BRESCIA) DICEMBRE 2011 - FEBBRAIO 2012
Concorso di idee per la riqualificazione del nucleo antico di Peschiera Maraglio, frazione del Comune di Monte Isola, vincolato ambientalmente. La proposta doveva fornire indicazioni in merito ai possibili interventi che potranno interessare gli edifici privati, ma soprattutto quelli sul suolo (pavimentazioni) e sottosuolo pubblico (rifacimento reti) e l’arredo urbano di competenza del Comune. Doveva considerare l’assetto territoriale dell’area e il miglioramento della qualità dell’edificato interessato; la tipologia dei materiali e degli elementi di arredo urbano, da utilizzare in considerazione anche della sostenibilità ambientale.
1° classificato ex aequo Silvano Saleri (Brescia) collaboratore: Jacopo Saleri
1° classificato ex aequo Anna Mologni (Albino - BG) collaboratore: Paolo Carrara, Antonio Altieri, Rossano Longhi
2° classificato Elisabetta Fapanni (Brescia), Sergio Flamini
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OMNIBUS
Trasformare gli scarti in un tesoro Eco ARK Si tratta del primo padiglione al mondo ad essere stato totalmente realizzato utilizzando, al posto dei classici mattoni, solamente bottiglie di plastica. Di bottiglie ne sono occorse esattamente 1 milione e mezzo: una
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grande operazione di riciclo per realizzare un edificio di nove piani, capace di contenere fino a 6 campi da basket, in cui ospitare la 2010 Taipei International Flora Exposition che si è svolta dal 6 novembre 2010 al 25 aprile 2011 a Taipei (Taiwan). L’Esposizione, centrata sul tema dell’utilizzo consapevole delle risorse, ha dettato le “regole” per la realizzazione di un edificio sostenibile, riciclabile, smontabile. Per quel che concerne il comfort interno al padiglione, questo è stato garantito dalla ventilazione naturale e attraverso un sistema di raccolta dell’acqua piovana, fatta cadere, a cascata, lungo la facciata dell’edificio. A ciò va aggiunta l’alta proprietà di isolamento di questi “mattoni di plastica”. Anche l’illuminazione è stata garantita da sistemi sostenibili: l’accumulo di luce solare diurna ha permesso, infatti, l’alimentazione di un sistema a LED che ha garantito l’illuminazione notturna. Il padiglione Eco Ark è stato salutato come un nuovo punto di riferimento nell’orizzonte della costruzione degli edifici verdi oltre che uno spettacolare fiore all’occhiello per la Taipei International Flora Expo. Il giovane progettista, Arthur Huang, in tempi brevi e con un budget relativamente basso, grazie alla collaborazione di tutte le diverse competenze tecnico-ingegneristiche coinvolte, è riuscito a dare forma concreta allo slogan – ripetuto quasi fosse un mantra - “Reduce, Reuse and Recycle”. Il progetto ha una superficie di 2000 mq ma pesa il 50% in meno di un edificio di analoghe dimensioni e possiede una altissima resistenza di fronte alla forza della natura – terremoti, bufere, resistenza al calore, ecc. Un dato interessante è che la costruzione può essere smontata e rimontata altrove divenendo una vera e propria struttura itinerante. Una volta terminato l’utilizzo, il padiglione verrà, però, smontato e le sue componenti verranno distribuite in oltre 100 scuole, fra elementari e medie, con l’obiettivo di educare i bambini al riciclo dei materiali.
La casa di bottiglie Una struttura verticale in plastica e un tetto in tetrapak: questi i materiali utilizzati per realizzare una casa, piccola, ma perfettamente abitabile, ecologica ed economica, a costo zero fatta eccezione per la mano d’opera. La casa si trova al confine fra Argentina e Brasile, a Puerto Iguazu, ed è stata realizzata direttamente dai proprietari attraverso l’assemblaggio di 1200 bottiglie in Pet e oltre 1300 cartoni di tetrapack. Porte e finestre sono state realizzate riciclando 140 custodie di cd. Fra gli arredi il letto è stato ricavato da 200 bottiglie, e il divano da altre 120.
La scuola di bottiglie Anche una scuola composta da otto aule e una biblioteca è stata realizzata, questa volta nelle Filippine, a San Pablo in Laguna, riciclando il Pet delle bottiglie di plastica. In questo caso si tratta di un progetto sostenuto dal governo regionale insieme all’associazione
umanitaria My Shelter Foundation di Illiac Diaz, architetto ed ex attore, impegnato in operazioni umanitarie nelle Filippine. Data la penuria di aule – ne mancano più di 7000 nella zona – l’iniziativa dovrebbe incoraggiare la costruzione di edifici analoghi in considerazione della loro economicità. Evidentemente, per realizzare un edificio attraverso il recupero di materiale da smaltire, è necessario comprenderne, e metterne a punto, il sistema costruttivo adeguato. In questo caso le bottiglie sono riempite di sabbia e assemblate attraverso una mistura di cemento. La struttura che ne deriva, secondo quanto riferito alla Abs-Cbn News dal muratore che ha realizzato la scuola, è la più solida fra tutte quelle da lui realizzate. Il tempo, invece, impiegato è stato leggermente più lungo del solito: ai normali tempi di costruzione va, infatti, aggiunto quello di riempimento delle bottiglie e della loro “tappatura”, operazione, questa, compiuta da decine di volontari. Bottle Village In California Tressa Prisbrey fra il 1956 e il 1980 ha realizzato un intero villaggio attraverso il riutilizzo di oltre 1 milione di bottiglie di plastica (http://www.vanace.com). Tutto ha avuto inizio nel momento in cui “nonna Prisbrey” si è trovata di fronte alla necessità di collocare la sua collezione di più di 17.000 matite colorate. Da lì è partito tutto, e Tressa, di sua mano, ha conficcato a terra e composto in verticale, le bottiglie con cui ha poi realizzato i 23 elementi
del villaggio, compresi i viottoli e le fontane. Tressa Prisbrey è morta nel 1988 ma la sua “creazione” sopravvive a tutt’oggi, anche grazie alla tutela accordatele dal governo della California. Beer can house Anche le lattine di birra possono essere riciclate e divenire materiale da costruzione. John Milkovisch a Houston ha impiegato circa 30 anni e 50.000 lattine di birra per realizzare il rivestimento della sua casa. Milkovisch, nel 1968, ha cominciato a rivestire di sassi, vetri colorati e rottami vari, le pareti, il giardino e il pavimento del cortile della sua “anonima” casa, sita in un altrettanto anonimo quartiere dei sobborghi della capitale del Texas. Dopo aver ricoperto tutte le superfici a disposizione ha cominciato a raccogliere lattine vuote, le ha schiacciate e ha costruito delle ghirlande con cui ha iniziato a decorare ulteriormente l’edificio. Alla morte dei coniugi proprietari, la casa è stata rilevata dall’Orange Show Center for Visionary Art, che l’ha restaurata e aperta alle visite (http:// www.beercanhouse.org). Paper houses Costruire case, teatri, ponti e chiese in carta e cartone, è possibile. L’architetto giapponese Shigeru Ban, attraverso una tecnica costruttiva specifica, ha raggiunto la fama anche grazie all’utilizzo di questi insoliti materiali. La struttura portante dei suoi edifici è realizzata attraverso
uno scheletro in tubi di alluminio che successivamente vengono rivestiti di carta e cartone. Nel momento in cui il materiale di rivestimento sarà secco, solo allora, lo scheletro di alluminio potrà essere “sfilato” e la struttura sarà pronta. L’utilizzo di una struttura modulare, rende possibile praticamente un suo infinito riutilizzo; il recupero dalle discariche della carta di rivestimento – cerata naturalmente per renderla impermeabile all’acqua – aiuta l’ambiente e consente la costruzione di opere totalmente “riciclate”. Ricordiamo sul tema che anche la Bauhaus Universität di Weimar ha sviluppato un nuovo concetto di casa prefabbricata. Martina Landsberger
Particolare del Bottle Village e della Beer can house; paper bridge e Christchurch cardboard cathedral (Nuova Zelanda) di Shigeru Ban. Nella pagina a fianco: viste del Padiglione Eco ARK; la casa di bottiglie a Puerto Iguazu e la scuola di San Pablo in Laguna.
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Errore permanente: Pieter Hugo fotografo Discarica=rifiuti=riciclo? Quale argomento migliore per completare la visione sul tema proposto da questo numero. E quale modo migliore di interpretarlo se non attraverso gli occhi sensibili di un artista che osserva e indaga attraverso la fotografia? “Errore permanente” è l’ultimo libro di Pieter Hugo (60 immagini a colori – di cui 27 esposte al Maxxi di Roma – due saggi di Federica Angelucci e Jim Puckett). I suoi primi due libri, “La iena e gli altri uomini” e “Nollywood” sono stati realizzati in Nigeria; in questo invece sono raccolti una serie di scatti fatti tra il 2009 e il 2010, fotografie di persone e animali nel contesto di una discarica espansiva della tecnologia obsoleta in Ghana, alla periferia di una baraccopoli conosciuta come Agbogbloshie (trad.: Sodoma e Gomorra). Il lavoro di Hugo racconta in modo vivido il profondo straniamento di questo luogo: una terra desolata, dove le persone vivono, insieme al bestiame, su montagne di schede madri, monitor e hard disk di scarto; ben lontani dai benefici concessi dagli incessanti progressi della tecnologia, bruciano le componenti per estrarre pezzi di rame, ottone, alluminio e zinco per la rivendita;
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rifiuti elettronici di una tecnologia che, invece di contribuire a colmare i divari, si trasforma in rifiuto nocivo, minaccioso per la salute degli abitanti della zona, contaminando l’acqua e il suolo. Il Programma Ambiente delle Nazioni Unite ha denunciato che i paesi occidentali producono circa 50 milioni di tonnellate di rifiuti digitali ogni anno, dei quali, in Europa, solo il 25% viene raccolto ed effettivamente riutilizzato; il resto è accumulato in contenitori per essere venduto e riciclato in Cina, Nigeria, India, Vietnam e Ghana, con l’intento ufficiale di ridurre il divario digitale e di creare posti di lavoro per aiutare le persone. In realtà questi scarti diventano discariche abitate e i loro occupanti sopravvivono alla combustione dei dispositivi elettronici per estrarre rame e altri metalli dalla plastica utilizzata per la loro fabbricazione. Nel 2008 Green Peace ha prelevato campioni del terreno bruciato in Agbogbloshie e trovato drammatiche concentrazioni di piombo, mercurio, tallio, acido cianidrico e PVC. Le fotografie di Hugo vogliono farsi denuncia del crollo della nozione di progresso; scene e oggetti presenti nelle immagini riportano volutamente
Pieter Hugo, Federica Angelucci, Permanent Error Prestel – Random House, München, 2011 pp. 112, GBP 30 / US$ 49,95
alla fine apocalittica del mondo come lo conosciamo, sollecitando una nostra reazione di civiltà. Un cimitero di manufatti provenienti dal mondo industrializzato a memoria dei cicli di vita degli oggetti contenuti: Pieter Hugo ci restituisce un’atmosfera tra il bucolico e l’infernale, in cui le figure si aggirano tra falò e cumuli di rottami informatici, mentre vacche e buoi pascolano placidi tra i miasmi tossici del terreno. Questa distesa, avvolta da fumi velenosi e attraversata da figure spettrali, rappresenta la deriva di un’azione di riciclo disperatamente impropria e fine a se stessa, a totale discapito di qualunque atto positivo per la popolazione. Da colonne di fumo denso emergono, come apparizioni spettrali ed evanescenti, i ritratti delle persone e degli animali che vi transitano. Nel libro non appaiono né didascalie né i nomi delle persone fotografate: le fotografie sono immediatamente riconoscibili nei loro colori desaturati e, in quasi tutti i casi, sono di formato quadrato: i panorami di sfondo sono le cornici che aiutano ad evocare la vastità del luogo, sottolineando le scene apocalittiche che uniscono high-tech, trash, piume nere di fumo e il pascolo del bestiame. X Roberta Fasola
Architettura e paesaggio del più grande sanatorio europeo Storia, estetica e proposte di riuso del Villaggio Sanatoriale Eugenio Morelli di Sondalo: 1.000 m s.l.m., 25 ettari di parco, 3.000 letti, 600.000 mc di architetture costruite tra 1932 e 1940 in forza di una nuova coscienza dei costi sociali della tisi, del relativo successo delle terapie in altitudine e della messa in scena delle Alpi come ultimo luogo incontaminato (http://terraceleste. wordpress.com). Il progetto dell’ufficio tecnico dell’INFPS fa della modernità architettonica il manifesto della modernità clinica e invita i pazienti ad aderire allo spettacolo dell’igiene collettivo secondo la formula populista muscolare delle colonie balneari o delle case GIL: giardini e insieme prigioni – le alchemiche eterotopie di Foucault – dove l’architettura prende parte alla “guarigione” (seduzione anche lecorbusiana) di una società “malata”. Dal versante del Sortenna titanici padiglioni sovrastano Sondalo. Si misurano con la scala della sofferenza e delle montagne, non col paese. Nessuna malizia vernacolare o ripiego mimetico. Tanto meno indifferenza al luogo, ma rifondazione del rapporto architettura/contesto secondo la lezione di Adalberto Libera. Architettura e contesto forti, per una guarigione che può venire solo dalle forze della natura. Un piano razionale unisce in collezione architetture dalle diverse anime (tracce di più mani): declinazioni romane del funzionalismo nordeuropeo, citazioni
di Paimio e Zonnestraal, la chirurgia come un vascello ma ormeggiata da un pesante ingresso littorio (contraddizione tipicamente fascista), l’amministrazione novecentista, la chiesa italica, il laboratorio di anatomia patologica razionalista, la centrale elettrica e la piazza senza tempo metafisica, il padiglione servizi costruttivista come il Club Zuev di Golosov, la portineria panopticon, la villa del direttore, la stazione dei carabinieri... “invenzione di un paesaggio culturale” (Luisa Bonesio) straniante e suggestivo, colto tra Sironi, Carrà, De Chirico, Aalto e Piacentini. Riusare il Morelli – ora ospedale in parte in disuso – è la chiave per non smarrirne il vasto deposito di valori tangibili e immateriali. L’omissione di manutenzione è demolizione latente senza assunzione di responsabilità. Occorre salvare il razionalismo giunto quassù come in riviera, che mette ancora a disagio perché libera l’immaginazione anziché compiacerla con rassicurazioni folk e kitsch (vedi le sciatterie lungo la Valtellina). Occorre salvare lo stacco estetico tra il Morelli e i vicini sanatori: Pineta di Sortenna (1903), Abetina (1927) e Vallesana (1929) le cui decorazioni velavano la malattia-realtà. Il successo del riuso dipenderà dalla salvaguardia delle forti matrici collettive del Morelli: Darko Pandakovic immagina un centro studi che implichi residenzialità, un cenobio, un Monte Verità. Moniti al consumo immobiliare turistico parassita del
Luisa Bonesio e Davide Del Curto (a cura di) Il Villaggio Morelli. Identità paesaggistica e patrimonio monumentale Diabasis, Reggio Emilia, 2011 pp. 289, € 22,00
paesaggio alpino fino alla distruzione. Occorre coltivare il luogo, l’enigma paesaggio, la capacità di percezione ed emozione “Poiché a chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”. Mc 4,25 X Luca Micotti
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YAP MAXXI, giovani e innovazione “YAP MAXXI 2012” (Young Architects Program) è la seconda edizione di un programma annuale che il MAXXI Architettura produce in partnership con il MoMA PS1 di New York e con l’associazione culturale CONSTRUCTO di Santiago del Cile. Obiettivo dell’iniziativa è la promozione dei giovani talenti e della ricerca progettuale più originale e innovativa. Ogni anno una giuria internazionale seleziona cinque giovani studi e chiede loro di proporre un progetto per la sistemazione estiva dello spazio
esterno del MAXXI. Considerando temi quali sostenibilità e riciclo, il progetto, oltre ad assicurare ai visitatori ombra e sedute, deve offrire una soluzione spaziale e funzionale per il programma di spettacoli ed eventi estivi del museo. La mostra, allestita nella Galleria 1 del museo, ripercorre l’intera storia di YAP. In maniera non troppo esaustiva sono illustrate tutte le tredici edizioni di New York, a partire dal 1998 quando Frederick Fisher progettò il cortile del MoMA PS1. Esposti anche i cinque finalisti dell’edizione di Santiago del Cile, ma maggior spazio è dato alle cinque proposte progettuali per YAP MAXXI 2012, raccontate nel dettaglio attraverso disegni e render montati in video, modelli e videointerviste ai progettisti. Vincitore di questa edizione è il progetto Unire/Unite di Urban Movement Design, studio romanonewyorkese da tempo impegnato nell’analisi di quei sistemi tradizionali di arredo urbano che grazie allo studio della loro forma potrebbero trasformarsi in dispositivi d’interazione tra lo spazio e il corpo stesso del fruitore. Il maggiore interesse della mostra sta proprio nella realizzazione di Unire/ Unite: una lunga panca posta su di un piano inclinato di prato verde, che raccorda il salto di quota sul lato occidentale della piazza. La panca è costituita da una sequenza di costolature di compensato marino
le cui sezioni variano costantemente offrendo sedute ergonomiche ispirate alle posizioni yoga, parzialmente rivestite con un’innovativa tela in cemento. I codici QR applicati lungo la panca consentono, attraverso uno smartphone, di collegarsi al sito web del museo per conoscere le posizioni e gli esercizi possibili in quel tratto della panchina. Pensiline coperte di rampicanti e dotate di nebulizzatori creano ombra e refrigerio. “È un progetto giocoso, che ispira salute e movimento” e stimola il visitatore a prendere coscienza del proprio corpo. Provare per credere! X Valeria Giuli
YAP MAXXI 2012_Young Architects Program Roma, MAXXI 16 giugno – 23 settembre 2012
Fotografie di Cecilia Fiorenza
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OMNIBUS I NEWS
PROGETTI / 1
Luoghi e materiali abbandonati strumenti per la città di domani
per l’architettura, la città, il pianeta”, con l’installazione Officina Roma: un’abitazione realizzata con materiale di scarto, spesso recuperabile nelle discariche. Da qui l’uso di vecchie bottiglie a delimitare la cucina, quello di portiere di auto per le pareti della camera e l’impiego di vecchi barili di petrolio assemblati a comporre il tetto completando gli interni con parti di mobili usati. Un’opera di forte supporto alla cultura del riciclo, ma forse ancora più – parole degli stessi Raumlabor – a supporto dell’“architettura come strumento per la ricerca di una città delle possibilità, della città di domani”. Alberto Bosis PROGETTI / 2
NY: la più grande discarica del pianeta diventa un parco
L’attenzione per lo spazio e la città, l’importanza della storia: tratti comuni a chi si occupa di architettura e di urbanistica. Lo studio RaumlaborBerlin, traendo spunto da Berlino, affronta questi temi con un’ottica differente: quella di affrontarli come progetto culturale e come processo, ponendo alla base del lavoro i luoghi abbandonati, i luoghi da negare, quelli che appaiono come uno scomodo “di più” all’interno delle realtà urbane, eppure, malgrado ciò, luoghi reali, importanti, all’interno della stessa città. Si tratta di una ricerca orientata in direzione di modelli di utilizzo alternativi e di una differenza/diversità urbana che diviene protagonista. Gli otto architetti di RaumlaborBerlin (è però recentemente scomparso uno dei membri, Matthias Rick) sono stati protagonisti al MAXXI 2011 nell’ambito della mostra “Re-cycle – Strategie
Il concorso di idee promosso da LAGI 2012 (Land Art Generation Initiative), in collaborazione con il Dipartimento Parks & Recreation di New York si proponeva di trasformare in zona ecologica un’area del Fresh Kills Park – l’ex discarica di Staten Island (la più grande del mondo, con i suoi 890 ettari: circa 9 milioni di metri quadri). Fresh Kills Landis è anche la costruzione più grande che l’uomo abbia mai realizzato sulla terra dopo la Grande muraglia cinese. Situata a sud ovest dell’Isola di Manhattan, la discarica era stata aperta nel 1948 e, negli anni, era arrivata a raccogliere 29 mila tonnellate di rifiuti al giorno e aveva raggiunto un’altezza superiore a quella della statua della Libertà. È stata chiusa nel 2001 (e riaperta, in via del tutto straordinaria, dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, per far posto alle macerie).
Il concorso di idee si è aperto il 1 gennaio 2012 e si è chiuso il 1 luglio scorso con un premio di 20 mila dollari. Il progetto, rivolto ad artisti ed architetti, ingegneri e scienziati era finalizzato a dar vita ad un’opera d’arte pubblica capace di sfruttare le energie rinnovabili per la produzione di energia elettrica da mettere in rete. Prevedeva la conversione totale in una zona verde in cui ci fossero: parchi gioco, zone ristorazione, programmazione culturale ed educativa e una pista da sci. Con i suoi 2.200 ettari, il parco (3 volte Central Park) sarà il più grande mai realizzato a New York da oltre 100 anni. Il rinnovamento della discarica sarà indirizzato verso attività produttive e culturali “espressione di come la società è in grado di riequilibrare il suo paesaggio”. “Oltre a fornire una vasta gamma di opportunità ricreative, la progettazione del parco, il restauro ecologico e la programmazione culturale ed educativa, metterà in risalto la sostenibilità ambientale e un rinnovato interesse pubblico per il nostro impatto umano sulla terra”. Irina Casali PROGETTI / 3
Coltivati in casa
I prossimi progetti architettonici saranno rivolti alla creazione di suolo coltivabile nei centri urbani. Grandi firme dell’architettura, da tempo, si cimentano nella progettazione di “grattacieli verdi” destinati ad ospitare i campi agricoli del futuro. La vertical farming (agricoltura verticale) nasce dieci anni fa da un’idea di Dickson Despommier, professore di microbiologia e discipline ambientali alla
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Columbia University, ed è una risposta dell’agricoltura sostenibile all’emergenza alimentare. Secondo le stime della Fao, a breve, la terra non sarà più in grado di produrre risorse sufficienti al nutrimento dell’umanità, che entro il 2050 raggiungerà i nove miliardi di persone (di cui l’80 per cento vivrà nelle città), perché mancherà terreno coltivabile. Partendo da questa consapevolezza, Despommier ha pensato di ricavare superfici coltivabili all’interno di edifici, dove la terra sarà sostituita da coltivazioni idroponiche. Questi edifici saranno “centri di agricoltura urbana”, in grado di fornire il fabbisogno alimentare alla cittadinanza. Stando ai suoi calcoli, una fattoria verticale della superficie di un isolato urbano, moltiplicata per trenta piani (per un totale di 300.000 metri quadri), sarà in grado di sfamare 10.000 persone. Si tratta di sistemi autosufficienti dal punto di vista energetico e dove gli scarti organici vengono riciclati: grano, verdure e ortaggi forniscono il mangime per gli animali, mentre gli altri residui organici sono impiegati per produrre combustibili utilizzati per la fornitura di elettricità. L’illuminazione è fornita da un sistema a led, mentre l’irrigazione adotta impianti di accumulo delle acque piovane commisurate alla quantità d’acqua necessaria ad ogni pianta per evitare sprechi. Come le altre colture in serra, l’indipendenza dai cicli stagionali preserva queste coltivazioni dai danni del maltempo e l’ambiente controllato evita l’impiego di pesticidi. I vantaggi legati alla coltivazione indoor, uniti alla rotazione stagionale, accrescerebbero la produttività: un ettaro di vertical farm produrrebbe quanto quattro o cinque ettari di una coltivazione tradizionale. Ad oggi si tratta di teorie, ma si moltiplicano i progetti finalizzati a questo scopo: dalla vertical farm a forma di spirale di Eric Vergne, che vedremo presto a Manhattan, al “Toronto Sky Farm” di Gordon Graff, un grattacielo di 59 piani di coltivazioni idroponiche. Molti altri edifici analoghi caratterizzeranno le maggiori città del mondo: Amsterdam, Dallas e Stoccolma sono solo le prime. Anche a Milano verrà costruita “Skyland”, la prima fattoria verticale in Italia, progettata dagli architetti
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dell’Enea Gabriella Funaro e Giulio Mizzoni. La realizzazione è prevista per l’Expo 2015. Il progetto consiste in un grattacielo di 30 piani, per un totale di 10 ettari di superficie, per soddisfare il bisogno di venticinquemila persone. La distribuzione dei prodotti è prevista in un centro commerciale interno alla struttura: una filiera cortissima che un azzera i costi di trasporto. I.C. FOTOGRAFIA
Vik Muniz. Pictures of Garbage
nelle pose di celebri dipinti, madonne rinascimentali, Il seminatore di Millet, La morte di Marat di J. L. David e poi ha riprodotto la foto sul posto in scala gigante, utilizzando secchi, stracci, bottiglie, resti di cibo. Di nuovo l’installazione, destinata a durare solo un breve spazio di tempo, è stata fotografata dall’alto e l’intera operazione filmata. Il risultato sono il documentario, “The Waste Land”, candidato agli Oscar 2010, vincitore di numerosi premi internazionali, e la serie “Pictures of Garbage”. “Voglio cambiare la vita delle persone con lo stesso materiale con cui hanno a che fare ogni giorno” e condividere con loro “il momento magico in cui una cosa si trasforma in un’altra”, dichiara Vik Muniz e nelle sue parole traspare il senso di un fare artistico che non lascia spazio alla retorica del riciclo, ma piuttosto alla costruzione corale e poetica dell’arte e dell’abitare. Ebe Gianotti BOOKCROSSING
NY: i libri si scambiano al telefono
Vik Muniz, scultore e fotografo brasiliano che vive a New York, già alla fine degli anni ’80 utilizzava nel processo fotografico cioccolato, sporcizia e zucchero, sperimentando con libertà assoluta le potenzialità dei materiali più diversi. Non stupisce quindi che nella discarica che riceveva più spazzatura giornaliera al mondo, oltre 7000 tonnellate, Jardim Gramacho a Rio de Janeiro (chiusa lo scorso giugno per problemi ambientali dopo 34 anni di attività), abbia visto l’occasione per una operazione artistica molto sfaccettata. Protagonisti i ‘catadores’, la comunità spontanea di migliaia di persone che in quella spazzatura hanno vissuto e lavorato, ricavando sostentamento dalla vendita di materiali riciclabili. Muniz li ha dapprima ritratti o fotografati
BookCrossing è lo scambio gratuito di libri ideato dall’americano Ron Allen Hornbake nel 2001. Noto anche come BC, il BookCrossing consiste in una serie d’iniziative collaborative, volontarie e gratuite - alcune organizzate anche a livello mondiale - che legano la passione per i libri a quella per la condivisione dei saperi. L’idea è rilasciare libri nell’ambiente (naturale o urbano che sia) affinché possano essere ritrovati e letti da altre persone che ricambino il gesto. L’uso di questo termine è divenuto così diffuso da meritare, dal 2004, una voce nel Concise Oxford English Dictionary:
“BookCrossing: the practice of leaving a book in a public place to be picked up and read by others, who then do likewise”. L’idea dei libri in cabina telefonica è di John Locke, architetto della Grande Mela, che ha creato un progetto per riorganizzare la città, lavorando all’interno del Department of Urban Betterment. Una delle proposte è riqualificare le vecchie cabine telefoniche a gettoni e di trasformarle in una biblioteca on the road, in cui chiunque può prendere i libri che gli interessano, lasciandone però in cambio degli altri. Il progetto - parte della proposta collettiva degli USA - ha ricevuto una menzione speciale alla Biennale di Venezia “Common Ground”. I.C. LETTURE / 1
Valorizzare gli archivi di impresa
Nel 2003 il Gruppo Maire acquisisce la Fiat Engineering che opera in Italia e all’estero nel campo dell’edilizia civile e industriale, delle infrastrutture e dell’energia. Le origini di Fiat Engineering risalgono agli anni Trenta del secolo scorso, anni in cui la allora Divisione Costruzioni e Impianti del gruppo torinese inizia le proprie attività di progettazione e realizzazione di stabilimenti automobilistici. Nel 2009 Maire Tecnimont ha deciso di valorizzare questa eredità, recuperando l’intero fondo di Fiat Engineering inizialmente stimato intorno ai 35 mila disegni. Attualmente, dopo due anni di ricerche, sono a disposizione 200 mila elaborati grafici, documenti scritti, cataloghi, fotografie che coprono circa un settantennio di produzione, progetti realizzati in vari paesi europei ma anche in Africa, Asia, Medio-Oriente, Sud America ad opera di grandi firme dell’architettura e
dell’ingegneria: Pier Luigi Nervi, Riccardo Morandi, Franco Albini e Franca Helg fino ad arrivare a Gino Valle. Il volume, come scrive Fabrizio D’Amato nell’introduzione rappresenta “una prima rappresentazione concreta (…) Tuttavia, si tratta di un primo passo. Infatti, il lavoro di recupero delle nostre radici dell’identità conoscerà nuove fasi e nuovi risultati nel tempo a venire”. Michele Comba (a cura di) Maire Tecnimont. I progetti Fiat Engineering 1931-1979 Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano, 2011 pp. 262, € 35,00
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La fine della città Raccontare territori e popolazioni di un’America sconosciuta. Raccontare di persone che si inventano nuovi modi di vita perché sono in molti a “credere che il trovarsi ai margini dei grandi flussi dell’economia globale non sia più il problema da risolvere, ma la grande occasione da non sprecare”. Alessandro Coppola in questo libro, percorre le “praterie urbane” di Youngstown la cui amministrazione comunale sta pianificando con attenzione l’autodistruzione della città, arriva a Buffalo “patria” dell’industria del riciclo e della decostruzione in cui attivisti visionari smontano con precisione ciò che resta della città, passa per Detroit e Philadelphia dove non esistono più negozi e supermercati e gli abitanti si organizzano autonomamente in geniali imprese agricole, per arrivare a Cleveland dove fra le macerie delle città sta prendendo forma un nuovo progetto di paesaggio de-urbanizzato. Alessandro Coppola Apocalypse town. Cronache dalla fine della civiltà urbana Laterza, Roma-Bari, 2012 pp. 244, € 13,00
trasferisce a Torino dove, attraverso alterne vicende lavora come operaio alla Fiat, diventa direttore editoriale di una piccola casa editrice, ed è nume tutelare del Gruppo dei Sei. A Torino gli succede anche di dormire sulle panchine dei parchi. Giunto a Milano diventa condirettore di “Casabella”. Nonostante i pochi articoli scritti, Persico rappresenta un punto di riferimento per la vita artistica e intellettuale italiana. L’11 gennaio 1936, nel pieno del fascismo, Persico viene trovato morto nel bagno della sua abitazione. Si tratta di un infarto o di un omicidio, come sussurravano alcuni suoi amici? Un assassinio politico o un delitto passionale? Andrea Camilleri in questo suo nuovo libro, che esce parallelamente alla ripubblicazione da parte sempre di Skira del famoso “Profezia dell’architettura”, conducendo un’indagine in prima persona, presenta una soluzione che, d’ora innanzi, non si potrà più ignorare.
Andrea Camilleri Dentro il labirinto Skira, Milano, 2012 pp. 176, € 15,00
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Il giallo di Persico Edoardo Persico è stato uno dei massimi critici dell’architettura razionalista. Nato a Napoli nel 1900, si
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BREVI DAGLI ORDINI
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Corso di disegno a mano libera Inizia il 12 ottobre il corso “Il disegno a mano libera. Slow food per la mente dell’architetto”, ispirato al lavoro del professore dell’Architectural Association, Trevor Flynn. Un compatto workshop di tre sessioni che non si propone di insegnare a disegnare nel modo classico ma, partendo dall’idea che il disegno è innato in noi, vuole aiutare i partecipanti a trovare il piacere di disegnare. http://fondazione.ordinearchitetti. mi.it/index.php/page,Formazione. View/corsoID,739/year,2012
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La seconda parte degli Itinerari di Architettura milanese Sabato 6 ottobre si svolge la seconda parte della nona edizione degli Itinerari di Architettura milanese dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Milano, con tre itinerari monografici sui celebri maestri dell’architettura milanese: Gio Ponti, Luigi Caccia Dominioni, Mario Asnago e Claudio Vender. Ripercorrere le Gio Ponti, chiesa San Francesco vicende dei protagonisti al Fopponino, 1958-64 dell’architettura dell’ultimo (foto: Stefano Suriano). secolo costituisce uno spunto per riallacciarsi a un discorso sull’attualità dell’architettura e sul rapporto con la tradizione. http://fondazione.ordinearchitetti. mi.it/index.php/page,Notizie. Dettaglio/id,2457/type,fo
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Una conferenza di Jaqueline Osty sui parchi urbani Giovedì 11 ottobre alle ore 17, presso la sede dell’Ordine degli Architetti PPC di Milano, l’associazione culturale VerDiSegni organizza un incontro con l’architetto paesaggista di fama internazionale Jaqueline Osty, che terrà una conferenza sul tema “Nuovi modelli di parchi urbani”, illustrando i suoi numerosi progetti realizzati in Europa. http://fondazione.ordinearchitetti.mi.it/index. php/page,Notizie.Dettaglio/id,2510/type,fo
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Concorso di idee “Lo spazio pubblico, luogo per dare energia alla città” Il Collegio Ingegneri e Architetti della Provincia di Pavia con la collaborazione di Myenergy spa, il patrocinio della Provincia di Pavia, l’Ordine degli Architetti PPC e quello degli Ingegneri di Pavia, bandisce un concorso di idee dal titolo “Lo spazio pubblico, luogo per dare energia alla città” aperto a tutti gli iscritti under 35 degli Ordini provinciali degli Ingegneri e Architetti del territorio della Regione Lombardia. Un concorso nato per ricercare nuove “filosofie” di approccio al tema energetico, partendo dallo spazio pubblico inteso come luogo fisico di uso sociale e collettivo. Il concorso diventerà occasione per fornire “giovani” idee di intervento che facciano riflettere su nuove opportunità di sviluppo del nostro territorio, creando così un volano virtuoso di nuove proposte innovative sul tema energetico-ambientale. http://www.ordinearchitettipavia.it/concorsi/bandi-e-concorsi/
LETTERE
A proposito di EXPO 2015 Nella rubrica “Il dossier”, pag. V di “Milano Repubblica” di sabato 16 giugno, all’interno dell’articolo firmato da Alessia Gallione, ho letto alcune notizie relative all’EXPO 2015 che mi hanno suscitato sorpresa e, insieme, irritazione. Le notizie riguardano l’avvenuta predisposizione dei progetti di massima di parti importanti dell’EXPO e precisamente, dell’auditorium con 500 posti a sedere, delle sale conferenze, del palazzo degli uffici, dell’arena per spettacoli di 3.000 mq, il tutto insito nell’EXPO Centre, punto nodale dell’intera esposizione. Inoltre, secondo quanto riportato nell’articolo, risultano già redatti anche i progetti concernenti l’arena all’aperto per 9.000 persone, la ristrutturazione completa della Cascina Triulza, il complesso del Media Centre. Sorpresa, perché i progetti sono spuntati dal nulla, non si sa chi li abbia redatti, secondo quale procedura di incarico, i loro contenuti e la loro impostazione non sono stati preventivamente oggetto né di dibattito, né di verifiche, né di confronto di idee, nonostante le più volte ribadite affermazioni, in sedi pubbliche,
da parte dei responsabili di EXPO, di voler procedere, in un clima di totale trasparenza, al più ampio coinvolgimento delle risorse culturali e professionali interne ed esterne alla città. Irritazione, perché contraddicendo le ripetute conferme pubbliche, sempre da parte dei responsabili di EXPO, a partire dagli Stati Generali del 2010 in avanti, sulla assoluta volontà di procedere alle progettazioni mediante concorsi “aperti” così da coinvolgere, in un proficuo confronto, le forze vive della cultura architettonica milanese (e non solo), di concorsi non se n’è visto alcuno, né, stando a quanto riportato nell’articolo, se ne intende ancora parlare, dato che sono già previste, per le altre parti dell’EXPO, “gare” e non concorsi. È abbastanza facile prevedere cosa avverrà: con il consueto ripetitivo pretesto della ristrettezza dei tempi, delle urgenze organizzative, delle ricorrenti emergenze, verranno banditi i cosiddetti concorsi-appalto o appalti integrati, comunque riservati alle imprese esecutrici, affidando alle stesse anche la redazione dei progetti definitivi ed esecutivi dei vari interventi previsti, e
la procedura si concluderà, com’è ormai prassi abituale, con l’affidamento delle realizzazioni alle imprese presentatrici delle offerte economicamente più vantaggiose, con buona pace della qualità della progettazione stessa. È incredibile, e insieme, deprimente, dover constatare come le nostre Istituzioni Pubbliche persistano a rifiutare pervicacemente il ricorso alla procedura concorsuale, invece adottata con ovvia consuetudine in tutti i maggiori paesi europei, preferendo, in nome di non si sa quale economia, forme di affidamento che non danno alcuna garanzia sulla qualità delle architetture proposte e che, di converso, tolgono la possibilità di utilizzare le realizzazioni di importanti opere pubbliche, e in particolare, dell’EXPO, come occasione di crescita culturale della città. Piero De Amicis Milano, 20 giugno 2012
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Consiglieri: Mauro Armellini, Umberto Baratto, Stefania Buila, Franco Maffeis, M. Paola Montini, Roberto Nalli, Enzo Renon, Patrizia Scamoni, Lucio Serino (Termine del mandato: 15.10.2013)
Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori tel. 02 29002174 www.architettilombardia.com Segreteria: segreteria@consulta-al.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Angelo Monti; Segretario: Fabiola Molteni; Tesoriere: Sergio Cavalieri; Consiglieri: Laura Boriani, Laura Gianetti, Gianluca Perinotto, M. Elisabetta Ripamonti, Silvano Sanzeni, Giuseppe Sgrò, Franceso Valesini, Daniela Volpi Ordine APPC di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Franceso Valesini; Vice Presidente: Vittorio Gandolfi, Francesca Carola Perani; Segretario: Remo Capitanio; Tesoriere: Arianna Foresti; Consiglieri: Angela Giovanna Amico, Stefano Baretti, Fabio Corna, Francesco Forcella, Emilio Braian Giobbi, Carlos Manuel Gomes de Carvalho; Matteo Seghezzi, Elena Sparaco, Marco Tomasi, Roberto Francesco Zampoleri (Termine del mandato: 13.7.2013) Ordine APPC di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Gianfranco Camadini; Paola Faroni, Roberto Saleri; Segretario: Laura Dalè; Tesoriere: Luigi Scanzi;
Ordine APPC di Como tel. 031 269800 www.ordinearchitetticomo.it Informazioni utenti: info@ordinearchitetticomo.it Presidente: Angelo Monti; Vice Presidente: Angelo Avedano; Segretario: Margherita Mojoli; Tesoriere: Enrico Nava; Consiglieri: Matteo Ardente, Alessandro Bellieni, Stefania Borsani, Elisabetta Cavalleri, Alessandro Cappelletti, Alessandra Guanziroli, Veronica Molteni, Giacomo Pozzoli, Stefano Seneca, Marco F. Silva, Marcello Tomasi (Termine del mandato: 15.3.2014) Ordine APPC di Cremona tel. 0372 535422 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Silvano Sanzeni Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Andrea Pandini; Tesoriere: Claudio Bettinelli; Consiglieri: Giuseppe Coti, Luigi A. Fabbri, M. Luisa Fiorentini, Antonio Lanzi, Massimo Masotti, Nunzia Vanna Musoni, Vincenzo Ogliari (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine APPC di Lecco tel. 0341 287130 www.ordinearchitettilecco.it Presidenza, segreteria e informazioni: ordinearchitettilecco@tin.it Presidente: M. Elisabetta Ripamonti; Vice Presidente: Paolo Rughetto; Segretario: Marco Pogliani; Tesoriere: Vincenzo D. Spreafico; Consiglieri: Davide Bergna, Enrico Castelnuovo, Favio Walter Cattaneo, Alfredo Combi, Guido De Novellis, Carol Monticelli, Diego Toluzzo (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine APPC di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria:
architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Laura Boriani; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Guido Siviero; Tesoriere: Massimo Pavesi; Consiglieri: Paolo Camera, Simonetta Fanfani, Paola Mori, Chiara Panigatta, (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine APPC di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Vice Presidente: Alessandro Valenti; Segretario: Alessandra Fortunati; Tesoriere: Manuela Novellini; Consiglieri: Andrea Cattalani, Gianni Girelli, Cristiano Guernieri, Sandro Piacentini, Enrico Rossini, Pietro Triolo, Sabrina Turola (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine APPC di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidenti: Marco Engel, Franco Raggi; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Maria Luisa Berrini, Maurizio Carones, Maurizio De Caro, Rosanna Gerini, Paolo Mazzoleni, Alessandra Messori, Emilio Pizzi, Vito Mauro Radaelli, Clara Maria Rognoni, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 3.12.2013) Ordine APPC di Monza e della Brianza tel. 039 2307447 www.ordinearchitetti.mb.it Segreteria: segreteria@ordinearchitetti.mb.it Presidente: Fabiola Molteni; Vice Presidenti: Ezio Fodri, Fabio Sironi; Segretario: Mariarosa Vergani; Tesoriere: Carlo Mariani; Consiglieri: Francesco Barbaro,
Giuseppe Caprotti, Giuseppe Elli, Marta Galbiati, Enrica Lavezzari, Cristina Magni, Roberto Pozzoli, Biancalisa Semoli, Nicola Tateo (Termine del mandato: 1.2.2014) Ordine APPC di Pavia tel. 0382 27287 www.ordinearchitettipavia.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Aldo Lorini; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Alberto Vercesi; Consiglieri: Marco Bosi, Raffaella Fiori, Paolo Lucchiari, Luca Pagani, Gianluca Perinotto, Paolo Polloni, Andrea Vaccari (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine APPC di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Giuseppe Sgrò; Vice Presidente: Giovanni Vanoi; Segretario: Aurelio Valenti; Tesoriere: Claudio Botacchi; Consiglieri: Marco Del Nero, Andrea Forni, Marco Ghilotti, Carlo Murgolo, Nicola Stefanelli (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine APPC di Varese tel. 0332 812601 www.ordinearchitettivarese.it Presidenza: presidente.varese@awn.it Segreteria: infovarese@awn.it Presidente: Laura Gianetti; Segretario: Matteo Sacchetti; Tesoriere: Emanuele Brazzelli; Consiglieri: Luca Bertagnon, Maria Chiara Bianchi, Riccardo Blumer, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Ada Debernardi, Alberto D’Elia, Mattia Frasson, Ilaria Gorla, Carla G. Moretti, Giuseppe Speroni, Stefano Veronesi (Termine del mandato: 15.10.2013)
La rivista AL, fondata nel 1970, raggiunge ogni due mesi tutti i 27.635 architetti iscritti ai 12 Ordini degli Architetti PPC della Lombardia:
2.379 2.399 1.722 721 951 403 719 12.199 2.562 870 370 2.340
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iscritti dell’Ordine di Bergamo iscritti dell’Ordine di Brescia iscritti dell’Ordine di Como iscritti dell’Ordine di Cremona iscritti dell’Ordine di Lecco iscritti dell’Ordine di Lodi iscritti dell’Ordine di Mantova iscritti dell’Ordine di Milano iscritti dell’Ordine di Monza e della Brianza iscritti dell’Ordine di Pavia iscritti dell’Ordine di Sondrio iscritti dell’Ordine di Varese
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Ricevono, inoltre, la rivista: i 90 Ordini degli Architetti PPC d’Italia; 1.555 Amministrazioni comunali lombarde; Assessorati al Territorio delle Province lombarde e Uffici tecnici della Regione Lombardia; Federazioni degli architetti e Ordini degli ingegneri; Biblioteche e librerie specializzate; Quotidiani nazionali e Redazioni di riviste degli Ordini degli Architetti PPC nazionali; Università; Istituzioni museali; Riviste di architettura ed Editori.