aprile 2004
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Architettura degli interni Indici 2003
Mensile di informazione degli Architetti Lombardi Ordini degli Archit et t i delle Province di: Bergamo Brescia Como Cremona Lecco Lodi M ant ova M ilano Pavia Sondrio Varese
Consult a Regionale Lombarda degli Ordini degli Archit et t i via Solf erino, 19 - 20121 M ilano Anno 27 - Sped. in a.p. - 45% art . 2 comma 20/B - Legge 662/96 - Filiale di M ilano
AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 4 Aprile 2004
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Forum Architettura degli interni interventi di Luca Basso Peressut, Giampiero Bosoni, Andrea Branzi, Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Michele De Lucchi, Vico Magistretti, Gianni Ottolini, Maurizio Vogliazzo Bergamo Como Lecco M antova M ilano Pavia Varese
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Argomenti
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Concorsi
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Professione e aggiornamento Legislazione Strumenti
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Informazione Stampa Libri, riviste e media M ostre
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Itinerari
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Indici e tassi
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Direttore Responsabile: Stefano Castiglioni
Editoriale
Direttore: Maurizio Carones Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Martina Landsberger, Mina Fiore Segreteria: Augusta Campo Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico: Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa: Alberto Greco Editore srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 300391 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: age@gruppodg.com Concessionaria di Pubblicità: Profashion srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 30039330 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: profashion@gruppodg.com Stampa Diffusioni Grafiche, Villanova Monf.to (AL) Rivista mensile: Spedizione in a.p.- 45% art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 23.250 copie Abbonamento annuale (valido solo per gli iscritti agli Ordini) € 3,00 In copertina: Les mêmes conquêtes techniques... (da: François De Pierrefeu e Le Corbusier, La maison des hommes, Librairie Plon, Paris, 1942). Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL
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In allegato: Indici 2003
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Sommario
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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 w w w.consultalombardia.archiw orld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola, Ferruccio Favaron Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 18.3.03) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 2.10.02) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente e Tesoriere: Gianfranco Bellesini; Segretario: Franco Andreu; Consiglieri: Marco Brambilla, Giovanni Cavalleri, Gianfredo Mazzotta, Marco Ortalli, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 13.6.03) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 1.8.03) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 15.2.03) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi, Giuseppe Rossi (Termine del mandato: 10.7.03) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guernieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 25.5.03) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Giulio Barazzetta, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 30.6.04) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Quintino G. Cerutti; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Maura Lenti, Paolo Marchesi, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 2.10.03) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 19.2.03) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 3.7.03)
Maurizio Carones
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Editoriale
La disciplina architettonica si articola da sempre in molteplici campi di applicazione. Tali specificità sono state viste nel corso del tempo come concorrenti tutte a definire una scienza complessa e politecnica oppure come particolarità rappresentative di specializzazioni disciplinari molto definite. Negli anni più recenti l’architettura, in accordo con aspetti culturali e sociali di carattere più generale, sta vivendo una stagione in cui si tende a sottolineare tali differenti specificità. Ciò è riconoscibile, ad esempio, in una offerta formativa sempre più specialistica, caratterizzata dall’attivazione di corsi di laurea con denominazioni particolari, dal proliferare di master e di corsi di specializzazione. Logica della specializzazione riscontrabile anche nelle suddivisioni che le leggi di riforma delle professioni hanno introdotto negli stessi albi professionali, oppure nelle specializzazioni di fatto conseguenti ai meccanismi di giudizio previsti dalla legislazione che regola l’assegnazione della progettazione dei lavori pubblici. Questioni controverse che in tutti gli ambienti, professionali, accademici e culturali, generano discussioni che non sembrano poter essere definitivamente risolte: è sufficiente pensare alla questione delle competenze professionali in rapporto ai differenti livelli di laurea ed ai diversi indirizzi formativi per comprendere come spesso, anche in ambito legislativo, si proceda in modo sostanzialmente induttivo. Un campo che ben rappresenta una di tali “specializzazioni” è costituito dall’“architettura degli interni”. Ambito che probabilmente, più che ad una ardua distinzione fra ciò che oggi è considerabile “interno” oppure “esterno”, è rinviabile con più chiarezza ad una questione scalare, di scala del progetto. Ma nella definizione attuale di questa specificità disciplinare sembrano confrontarsi, da una parte, alcune concezioni dell’architettura moderna – “dal cucchiaio alla città” – che indicano proprio il rapporto scalare a differenziare l’uso di una stessa metodologia e, dall’altra, la evidenziazione di una distinzione fra metodologie proprie dell’architettura ed altre proprie del disegno industriale. Ciò ha prodotto, anche recentemente, serrati confronti nel mondo accademico – confronti che lasciamo a quegli ambiti – anche in rapporto alla suddivisione delle diverse Facoltà di Architettura. Ciò che, dal nostro punto di vista, è invece assolutamente da porre in rilievo è che numerosi architetti si occupano degli ambiti definiti dalla locuzione “architettura degli interni” e per molti, soprattutto per i più giovani, è forse il campo principale dell’attività. In una città consolidata che, apparentemente statica, ha continui processi di trasformazione “interna” dei suoi manufatti ed in un territorio che, probabilmente, dovrà porsi il problema di una trasformazione “interna”del già costruito, oppure di una sua sostituzione, piuttosto che procedere con nuove costruzioni, il tema dell’”interno” e della sua modificazione assume caratteri veramente estensivi. Il forum di questo numero è dedicato a tali temi e pensiamo – grazie anche al contributo di Giampiero Bosoni – di aver raccolto una serie di interventi di grande interesse che contribuiscono a riflettere sulla questione, in rapporto anche con gli scenari formativi di specializzazione che si vanno sempre più definendo. L’ambito dell’”architettura degli interni” costituisce infatti per Milano e per la Lombardia una specificità che dà un preciso contributo alla definizione della loro immagine nel mondo, in relazione con gli apporti di una particolare cultura architettonica precisatasi negli ultimi decenni, fatta di grandi e rappresentativi personaggi e di un “mestiere” a cui dà un riconoscibile contributo anche un ricco tessuto produttivo, in cui architetti e aziende collaborano in modo costante. In questo senso forse le istituzioni potrebbero impegnarsi maggiormente a rendere organico un “sistema” in qualche misura autoprodottosi ed a promuoverlo, valorizzandolo anche all’estero, come una particolare risorsa produttiva.
Architettura degli interni
Forum
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Il Forum di questo numero, alla cui realizzazione ha collaborato Giampiero Bosoni, professore associato presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano, è composto dagli interventi di Luca Basso Peressut, professore straordinario presso la Facoltà del Design e associato presso la Facoltà di Architettura Urbanistica Ambiente del Politecnico di Milano, Andrea Branzi, professore associato presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano, Arturo Dell’Acqua Bellavitis, professore ordinario presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano, Michele De Lucchi, professore ordinario presso la Facoltà di Design e Arti dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Vico Magistretti, designer, accademico di San Luca e docente al Royal College of Arts di Londra, Gianni Ottolini, professore ordinario presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, Maurizio Vogliazzo, professore ordinario presso la Facoltà di Architettura Urbanistica Ambiente del Politecnico di Milano. Ringraziamo tutti gli intervenuti per i loro contributi.
Quale futuro progettuale per la cultura dell’abitare? di Giampiero Bosoni Vuole essere questa l’occasione per la rivista “ AL” , ma anche per gli Ordini degli architetti in generale, di fare un punto sullo stato dell’arte relativo all’area di progetto comunemente definita “ architettura degli interni” . La redazione della rivista mi ha chiesto di coordinare un Forum su questo tema, tradizionalmente appartenente al mondo dell’architettura, tenendo anche presente le recenti evoluzioni dell’ampio campo progettuale a cu fa riferimento, che comprende l’area degli allestimenti e delle architetture provvisorie, il settore museografico e il disegno degli spazi commerciali e di molti spazi pubblici e collettivi, le nuove strategie di recupero delle aree industriali dimesse da riconvertire, per arrivare a connettersi in maniera particolarmente significativa, nel caso italiano, con il mondo del
design riferito al paesaggio domestico e alla cultura dell’abitare. Questa denominazione, da tempo divenuta anche materia universitaria (con alterne fortune nei decenni passati), se da una parte costituisce senza dubbio un contenitore storico entro il quale leggere un certo percorso della cultura architettonica italiana fortemente attenta ai valori spaziali elaborati nell’interno “ abitato” dell’architettura, (una cultura di progetto dedicata per molto tempo alla valorizzazione di una scala minore del progetto, una scala di “ dettaglio” degli spazi interni, entro la quale si è formata molta della ricca esperienza italiana del design), dall’altra parte questa terminologia, “ architettura degli interni” , si trova oggi ad essere per molti versi riletta con nuove prospettive, in quanto fortemente rimessa in di-
scussione dalla progressiva evoluzione che i temi del design e dell’allestimento, nelle diverse forme (dai sistemi flessibili delle “ pelli” multimediali dei grattacieli alla dimensione domestica dei nuovi modelli abitativi), immersi nel grande volano dell’attuale società postindustriale, stanno determinando sugli scenari del progetto contemporaneo. La formazione specialistica che l’università in primo luogo e diverse scuole professionali a contorno, stanno mettendo in campo per soddisfare il sempre maggiore interesse verso questo ambito progettuale, ci ha portato innanzitutto a fare il punto sull’attuale offerta di corsi proposti e sui valori progettuali contenuti. In tal senso abbiamo chiesto un contributo critico sul tema ad alcuni dei principali docenti di riferimento per questo ambito disciplinare all’interno dei programmi didattici attivati dalle due facoltà di architettura (Facoltà di Architettura Urbanistica Ambiente e Facoltà di Architettura Civile) e della Facoltà del Design del Politecnico di Milano. La questione è sicuramente aperta, considerato anche il fatto che questo indirizzo di studi porta nuova linfa in un campo professionale che mette in gioco diverse competenze con diversi ruoli anche istituzionali, un aspetto delicato questo che tocca da vicino anche lo stesso ordinamento professionale garantito dall’Ordine degli architetti. Tuttavia come si può leggere dai diversi interventi, il dibattito, vivace e articolato, offre molti spunti di riflessione assai interessanti per il futuro e la vitalità stessa di tutte le ricerche che si possono annoverare fra le pratiche progettuali tese a valo-
rizzare gli spazi abitati dall’uomo. Abbiamo ritenuto opportuno proiettare questo tema anche in un contesto professionale e per questo abbiamo coinvolto, in una sorta di chiacchierata a tema, due noti architetti-designer che hanno affrontato questo campo di progettazione in tempi diversi e in modi diversi. Potremmo dire due generazioni a confronto: Vico Magistretti rappresentante di un modo di fare appartenente a una certa tradizione colta dell’architettura italiana, soprattutto milanese, basata sugli insegnamenti della storia riletta alla luce dell’esperienza razionalista, a cui si aggiunge, nel suo caso (come in quello dei più noti designer della sua generazione), una punta di leggera ironia e trasgressione, e Michele De Lucchi rappresentante di un approccio progettuale molto più integrato con il sistema industriale e particolarmente predisposto a cogliere e manipolare quei caratteri di una modernità in continuo mutamento attraversata dai nuovi metalinguaggi post-industriali, contraddistinta dalla fluidità delle sempre più ibride categorie spaziali. A questi contributi critici seguono alcune schede relative alla formazione universitaria (indirizzi di laurea triennale e specialistica, Corso di Dottorato in Architettura degli Interni e Allestimento, Master di I livello in Interior Design) e ai corsi di specializzazione offerti da alcune scuole professionali. Fatte queste premesse rimandiamo quindi al lettore il piacere di confrontarsi con i diversi temi aperti da questi contributi e soprattutto con le interpretazioni, culturali e disciplinari, poste alla base di questi diversi orientamenti.
Tra architettura e museografia di Luca Basso Peressut Il museo, lo sappiamo, è una realtà in continuo divenire e di complessa fenomenologia. Abbiamo visto, negli ultimi anni, molti istituti museali avviare politiche di più forte relazione fra i propri contenuti e le differenti realtà nel circuito dell’internazionalizzazione degli eventi culturali. Sono anche emersi nuovi interessi, con la diffusione dei musei della divulgazione scientifica, delle
tecnologie avanzate, dell’informazione, delle automobili, del design, della televisione, del cinema, delle aziende, ecc. La teoria e la pratica museale operano oggi a diverse scale: dal piccolo allestimento della casa-museo, alla dimensione territoriale, dove si sono sedimentati segni e materialità meritevoli di una ricomposizione di bene culturale.
Illustrazione tratta da: François De Pierrefeu e Le Corbusier, La maison des hommes, Librairie Plon, Paris, 1942, p. 89.
Forum
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Il museo, partecipe dei modi d’uso degli spazi e degli edifici pubblici della città, dimostra di essere sempre più una “ casa comune” , un luogo da abitare. Non più frequentato solo da pochi chierici, ma anche da folle di curiosi, appassionati o turisti di passaggio, il museo è, al pari delle gallerie, dei teatri o dei caffè, un captatore del movimento urbano, allo stesso tempo piazza e stanza, spazio aperto alla convivialità di molti così come all’introspezione e alla meditazione individuale. Infine, l’esporre in museo partecipa della ricchezza della comunicazione della società contemporanea, espri-
mendo le proprie modalità di trasmissione dei saperi attraverso le collezioni, le strutture allestitive e le nuove tecnologie dei media che ne veicolano i messaggi. Nell’imagery delle esposizioni museali si riconosce il segno delle esperienze delle mostre e delle fiere merceologiche, che hanno rappresentato un efficace veicolo di sperimentalità, anche attraverso la valorizzazione di “ estetiche laterali” quali il design, la video art, l’high-tech, il virtuale. Così, in ambito museografico si attivano nuove progettualità, con l’ampliamento delle competenze
coinvolte, per esempio la scenografia (si pensi alla mostra di Armani al Guggenheim di Bilbao curata da Bob Wilson o il ruolo avuto da René Allio nell’allestimento della sala principale della Grande Galerie de l’Evolution di Parigi). Al contempo crescono gli studi professionali specializzati nell’allestimento di mostre temporanee e permanenti nei musei, dove l’articolazione dei contenuti richiede una diversificazione di strumentazioni e tecniche comunicative – grafiche, cinematografiche, interattive, sonore, ecc. – in grado di gestire questo nuovo genere di “ narrazione” espo-
sitiva per un pubblico sempre più globale. Questa situazione conferma l’importanza di un continuo aggiornamento dei saperi nel campo dell’architettura e degli interni espositivi, per definire un insieme di forme e “ figure” che siano rappresentative dei contenuti e dei valori che il museo esprime nei confronti della società, delle comunità scientifiche, della ricerca e dell’istruzione. Vanno cioè aggiornati i fondamenti di una disciplina museografica in grado di affrontare con competenza e propositività le dinamiche in atto in questo settore,
con una concordanza tra gli operatori nei confronti delle esigenze dell’intrapresa museale coinvolgente competenze museologiche, marketing culturale e nuove espressioni dell’architettura e dell’allestimento. Ma come e che cosa si insegna nelle università di tutto ciò? Quella che fino a non molti anni fa si chiamava “ Allestimento e Museografia” , disciplina erede della tradizione italiana della “ scuola di museografia” degli anni Cinquanta e Sessanta degli Albini, Scarpa, BBPR e Gardella, aveva portato le facoltà di Architettura a confrontarsi ad armi
pari con quelle di Lettere e Storia dell’Arte, tradizionalmente detentrici del sapere museologico, sul terreno della progettualità dell’“ arredamento delle case dell’arte” (per usare una bella definizione di Manfredo Tafuri riferita all’esperienza di quei maestri), cioè sulla necessità di vedere il museo non solo come spazio della conservazione ma anche come luogo nel quale saper cogliere la fondamentale necessità di un preciso rapporto tra opera esposta e architettura. Bisogna riconoscere che la riforma degli ordinamenti degli studi ha ri-
dimensionato questa tradizione di insegnamento. Con lo sdoppiatamento in due diversi corsi di “ Allestimento” e di “ Museografia” , teorici e non applicativi, dunque privi del momento progettuale, dimezzato il tempo della didattica (un semestre), la tematica si perde nell’offerta di corsi opzionali di valore assai diverso tra loro e di cui l’ultimo anno del secondo livello del nuovo corso di studi delle facoltà di Architettura è inflazionato. Certo si può affermare che la molteplicità attuale delle tematiche in gioco ha necessariamente spostato
verso i livelli superiori (post lauream) dell’iter universitario l’apprendimento delle teorie e delle tecniche della museografia. I master e le attività condotte nel Dottorato di Ricerca in Architettura degli Interni e Allestimento del Politecnico di Milano – che, per ora, rimane l’unico in Italia – sono le sedi naturali per l’approfondimento di una disciplina che meriterebbe però un rilancio anche in quella che adesso si chiama “ laurea specialistica” , come parte integrante, nell’ambito della cultura degli interni, della formazione dell’architetto.
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Illustrazione tratta da: François De Pierrefeu e Le Corbusier, La maison des hommes, Librairie Plon, Paris, 1942, p. 69.
di Andrea Branzi Il design degli interni è un’area di attività destinata ad avere in un immediato futuro un grande sviluppo professionale. In essa confluisce infatti un vasto repertorio di competenze tecniche e progettuali che vanno dal design dei sistemi di arredamento al controllo della luce e del micro-ambiente, all’ergonomia, alle problematiche del colore e dei materiali, del tessile per interni fino ai temi della sostenibilità degli ambienti, della comunicazione e della promozione commerciale, e anche alla scenografia; seguendo diagrammi d’uso che si estendono quindi dalle installazioni provvisorie e reversibili, agli interventi permanenti destinati a creare stabili condizioni di ergonomia e di immagine. La domanda che questo articolato mercato esprime, sta raggiungendo una dimensione fino ad oggi sconosciuta, perché il design degli interni non coincide più con la vecchia definizione di un’attività progettuale limitata ai perimetri di un mercato domestico sofisticato, o alla soluzione di problemi tecnici e funzionali delle aree tradizionalmente definite come contract; il design degli interni viene oggi capito e insegnato come una delle attività progettuali strategicamente centrali per il funzionamento della città contemporanea. Non esiste infatti funzione, destinazione o zonizzazione urbana che negli ultimi dieci anni non sia stata contraddetta; il fenomeno della dismissione industriale non è che il primo e più evidente fenomeno di un processo che coinvolge le altre funzioni urbane, dal commercio alla residenza, dal terziario ai servizi. Si lavora in casa, si abita in ufficio, si commercia nelle abitazioni, si studia nelle fabbriche, si fanno musei nei gasometri. Questi fenomeni di modificazione funzionale di intere aree urbane appartengono a ciò che viene definita modernità debole, ovvero una modernità che produce trasformazioni diffuse, poco evidenti, reversibili, ma di grande rilevanza complessiva. Una modernità caratterizzata dalla progettazione di sotto-sistemi architettonici, flessibili e temporanei, adatti ad assecondare un metabolismo urbano che produce una continua evoluzione dei codici funzionali. Architettura o design degli interni, arredamento, allestimento o analoghe titolazioni professionali concorrono quindi solo parzialmente a descrivere l’attuale attività di trasformazione degli spazi interni, in risposta a nuove necessità funzionali, produttive o di comunicazione della città contemporanea. Queste definizioni disciplinari non sono in grado di mettere nella necessaria evidenza il ruolo che il sistema oggettuale e allestitivo svolge all’interno della città contemporanea, come elemento di continuo
ri-assestamento funzionale di questa, a fronte del fenomeno del metabolismo dei sistemi d’uso e delle dismissioni in corso. È in questo scenario mutante che diventa importante mettere a fuoco il ruolo centrale che le tecnologie ambientali (arredo, componentistica, impianti, comunicazione) svolgono oggi nel sistema urbano, garantendone il funzionamento e soprattutto permettendogli di assorbire i continui spostamenti delle modalità produttive e abitative, messe in crisi dall’avvento di nuove tecnologie e di nuovi modi d’uso della città stessa. All’interno dei profondi cambiamenti che le evoluzioni tecnologiche hanno apportato al paradigma spazio/tempo, si delinea quindi la necessità di una concezione di progetto nella quale torni la componente tempo come variabile di un’equazione imperfetta e incompleta. Su queste basi operative e concettuali si fonda una nuova definizione di questa disciplina, una definizione che si basa sulla nuova autonomia del design di interni rispetto alle due grandi consorelle, l’architettura e il product design. Consorelle disciplinari con le quali coesistono le massime condizioni di collaborazione, ma verso le quali il design degli interni rivendica una nuova centralità. Nel senso che esso occupa, come detto, la vasta area centrale nel funzionamento complessivo della città contemporanea, e supera la sua vecchia definizione di spazio di verifica dei contenuti generali dell’architettura che lo contiene (perché al contrario è spesso chiamato a realizzarne un’alternativa praticabile), e anche di luogo dove si accostano semplicemente le offerte del mercato dell’arredo in tutte le sue declinazioni merceologiche. Il design degli interni è una vasta area progettuale impegnata in tutti i processi che realizzano il livello più verificabile della qualità della vita urbana e domestica, a livello teorico e antropologico. La laurea specialistica della Facoltà di Design del Politecnico di Milano, tende a formare la figura di un progettista in grado di inserirsi nei processi organizzativi dell’industria dell’arredamento, della realizzazione e dell’installazione, in tutte le sue gamme di specializzazione, dalla piccola alla grande serie, interloquendo con altri progettisti, con i tecnici specializzati e con il mercato (laurea di primo livello); sia di attivare processi di innovazione nella concezione e realizzazione degli ambienti specializzati, tra loro molto differenziati. Il perno centrale di questo processo formativo è costituito da una costante analisi delle trasformazioni della cultura dell’abitare, intesa come un insieme in continua trasformazione di comportamenti e necessità di espressione di un si-
stema economico, sociale, culturale e metropolitano. Da questo nucleo antropologico, sempre in evoluzione, emergono elementi che si estendono ad aree operative come l’ambiente domestico e i nuovi assetti nell’epoca del lavoro diffuso e dell’economia relazionale; degli spazi pubblici, come gli ambienti scolastici e quelli universitari nell’epoca dell’economia dell’apprendimento; gli spazi commerciali nell’epoca delle comunicazioni di massa e dell’e-commerce; gli spazi del terziario all’interno del fenomeno del lavoro diffuso e dell’economia virtuale; gli spazi dell’ospitalità di fronte al fenomeno del turismo di massa e del nomadismo contemporaneo; le nuove frontiere degli spazi museali tra le nuove forme dell’economia culturale e della con-
correnza urbana, e la realtà dei nuovi musei in rete; i nuovi scenari degli spazi ospedalieri adeguati alle nuove concezioni della malattia e della psicologia del malato. Un sistema avanzato di Laboratori tecnici di allestimento in scala reale, modellistica, prototipazione, fotografia e modellazione virtuale, unico in Europa, permette di approfondire anche tecnicamente le varie tematiche di ricerca. Il design degli interni si confronta quindi oggi con un vasto sistema problematico, che dalle nuove frontiere della città dimessa, si espande alla ri-definizione dei principali parametri della vita contemporanea; rispondendo alle domande che emergono dal cambiamento, spesso anticipando i nuovi assetti di una società che cambia.
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La riscoperta della cultura dell’abitare di Arturo Dell’Acqua Bellavitis In Italia la disciplina di architettura degli interni trova la sua genesi nell’ordinamento degli studi di architettura, negli anni Trenta, come omaggio personale alla figura di Gio Ponti, la cui pratica professionale spaziava dal progetto alla scala microurbanistica, a quello dell’oggetto industriale; quasi esplicitando nel fare professionale il dettato “ dal cucchiaio alla città” , per seguire l’indicazione di Muthesius. In particolare Ponti esplicita l’attenzione alla pratica arredativa come attività professionale autonoma rispetto al nascente disegno dell’oggetto industriale e all’architettura tout-court. L’attività arredativa si concentra infatti sul trattamento della pelle di un certo invaso architettonico, intesa questa come definizione e scelta degli orizzonti materici e delle tessiture di pareti, soffitto e pavimenti, e sulla definizione delle relazioni intercorrenti fra gli oggetti, e in particolare fra gli arredi, nel loro reciproco gioco e in quello fra questi e lo spazio. In prima istanza si potrebbe affermare che l’architettura di interni opera sull’invaso architettonico chiamando in causa gli elementi che conformano l’ambiente e lo configurano quale segno, secondo codici linguistici attinti da una pluralità di esperienze artistiche. In questo senso l’architettura di interni è caratterizzata da un codice linguistico multiplo in cui le diverse scelte di linguaggi espressivi, dei singoli componenti, del tipo di luce, dei colori, degli arredi, dei diversi materiali di pareti, pavimenti e soffitti esprimono sempre di più un forte sistema di valori in cui l’utente deve riconoscersi. Da qui l’ipotesi dell’architettura degli interni come disciplina capace di dare senso ai modelli comportamentali e di rendere direttamente leggibile il sistema di valori propri del committente e, indirettamente, del contesto socio-culturale in cui
questo è inserito. Ne nasce che forse lo specifico disciplinare non è tanto legato alla dimensione del luogo su cui si agisce o sulla sua internità in termini fisici, quanto sull’atteggiamento metodologico e mentale con cui viene affrontato il progetto di interni. La realizzazione, infatti, di una piazza segue le stesse metodiche di un invaso abitativo o commerciale. Lo specifico forse è l’attenzione pervasiva alle esigenze degli utenti e all’individuazione con loro di bisogni espressi ed inconsci e alla loro valutazione critica, accompagnata da una specifica sensibilità per le gestualità degli utenti stessi. La tematica degli interni comprende infatti il rapporto tra uomo, spazio e comportamento, tra qualità ed emozioni, materiali ed esperienze, arredi ed oggetti, dettaglio ed unità, forma-decorazione. Laddove molta architettura ha teso a privilegiare discorsi di manifestazione ideologica o ha incentrato il proprio interesse sul rapporto con il contesto e il territorio, prescindendo da qualsiasi rapporto con le specifiche esigenze del singolo, ma quasi rifiutando l’attenzione ergonomica o psicologica in nome di una visione generale se non collettiva del manufatto, l’architettura di interni riscopre la cultura dell’abitare, sia questo pubblico o privato. L’esperienza didattico-formativa della terza facoltà del Politecnico di Milano, ha evidenziato nella sua prassi operativa, come l’ambito di interesse della disciplina diventi quindi l’intera gamma degli interni in cui l’uomo agisce: da quello abitativo, a quello lavorativo, a quello dell’ospitalità, dell’accoglienza e della ricettività nelle varie forme, da quella turistica a quella sanitaria, a quello dei luoghi di commercio, dei mezzi di trasporto, delle attrezzature per i servizi pubblici fino ai cosiddetti non luoghi, spazi non definiti sui quali si incentra l’attuale interesse progettuale.
Forum
L’autonomia del Design degli Interni
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S.P.A. Lannemezan, 1940. Vue de la salle (da: Le Corbusier, Oeuvre complète 1938-1946, Les Éditions d’Architecture Erlenbach, Zurich, 1946, p. 31). Diventa specifico della disciplina lo studio delle parti e degli oggetti che concorrono a determinare lo spazio, del loro relazionarsi in un unico ambiente progettato perché le singole unità che lo compongono si collochino in esso e contribuiscano ad ottenerne una percezione unitaria e coerente In tale gioco si ampia sempre di più la gamma materica utilizzata con ciò postulando la necessità di figure professionali specifiche, capaci di gestire le nuove materie espressive. Il light designer, così come il progettista olfattivo od il texture designer operano nell’ambito internistico per dare corpo agli scenari espressivi che altre figure, i cosiddetti elaboratori di tendenze o cool hunters, avranno identificato. Accanto, infatti, ai tradizionali materiali degli interni acquisiscono sempre più valore le esperienze e i servizi che un interno può offrire, tanto che possiamo parlare di progetto esperienziale. L’atto progettuale parte dall’analisi dell’evoluzione della cultura dell’abitare per determinare sensi e significati nell’attualità. L’analisi dei bisogni costituisce il primo passo dell’iter progettuale al fine di definire uno scenario di riferimento in cui, di volta in volta verranno definiti i significati di tempo sottesi alle diverse scelte di progetto. Si è scoperto, o forse riscoperto, ad esempio, che la luce artificiale può essere sfruttata come parametro di definizione
spaziale e che, rispetto alla luce naturale, essa offre una maggiore possibilità di manipolazione. Infatti, la luce artificiale, oltre ad essere un elemento integrante dello spazio, modifica, sfruttando fenomeni ottico-percettivi, la percezione della “ distribuzione spaziale” . L’attività didattica sulla spazio retail porta a valorizzare il ruolo di nuove discipline come il visual merchandising valorizzando la coerenza tra l’offerta merceologica, le attrezzature di vendita e di esposizione che la supportano, e il personale di vendita che la rappresenta e illustra. Ne nasce una particolare attenzione agli aspetti evocativi e sensorialicomunicativi, intesi non solo come risposta funzionale a specifici bisogni ma come espressione di una parte di sé. Da qui l’importanza, nel progetto di interni, dei contributi di discipline quali la psicologia cognitiva, l’antropologia e la sociologia della comunicazione al fine di cogliere gli impianti motivazionali in rapporto alle strutture della personalità. Sempre di più il progetto di interni adotta una metodologia di sviluppo del progetto a partire dalle esigenze primarie dell’uomo (sistema dei bisogni, di valori, esigenze ergonomiche e prestazionali, valenze percettologiche e comunicative dei materiali, comfort) liberandola da precondizioni accumulate nel susseguirsi di apparati e codici appartenenti alla storia del costume.
Architetti degli interni di Gianni Ottolini Le ragioni per cui un architetto si dedica agli interni, cioè a un’area di cerniera fra progetto delle costruzioni e design di attrezzature e arredi, non dovrebbero dipendere solo dalle occasioni di lavoro, ma soprattutto da una particolare sensibilità e visione dell’architettura, che non vede frattura fra interni e esterni (tutta l’architettura è considerata “ di interni” , compresi quelli “ urbani” e paesaggistici), né fra spazi e oggetti (sempre considerati in relazione, anche nel caso di temi separati), né fra struttura e decorazione (quest’ultima vista come una sottolineatura espressiva della forma, per cui l’architettura “ non è una costruzione decorata, ma una decorazione costruita” , come diceva Perret). In questo atteggiamento poetico, la triade vitruviana di “ utilità, costruzione e bellezza” viene integralmente declinata in una singolare capacità di attenzione alle necessità e alle aspirazioni di chi abita, cioè alla “ preziosità della persona umana” (De Carli), e in una predisposizione fantastica e figurativa che ne consente un’interpretazione e traslazione simbolica nella concreta forma materiale di spazi, margini e attrez-
zature, e nella sua fattibilità tecnica. Dentro lo sviluppo secolare dell’ archit et t ura moderna, si potrebbe ricostruire una genealogia di progettisti che, in diverso modo, incarnano questa poetica: ci troveremmo quasi tutti i maestri del passato (da Laurana a Robert Adam, da Mackintosh a Aalto) e alcuni fra i maggiori protagonisti dell’architettura italiana del ‘900, come Ponti, Albini, De Carli, Scarpa. L’architetto “ generalista” (che è poi quello di sempre), formato fino a tutti gli anni ’60 in una sostanziale concordanza fra le università europee (la cattedra di Interni era tenuta da Gio Ponti a Milano, da Arne Korsmo a Oslo, da Dimitris Pikionis ad Atene) e poi disperso in Italia in una troppo povera e dequalificata università di massa, è da qualche anno tornato al centro dei programmi della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, in un provvisorio equilibrio fra pretese totalizzanti delle cosiddette discipline “ compositive” e rivendicazioni di pari dignità di altre scale ed ambiti del progetto, che è auspicabile si stabilizzi e rafforzi con una verifica nel tempo della qualità dei
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M.A.S. Maisons montées à sec, 1939-40. Vue de la salle (da: Le Corbusier, Oeuvre complète 1938-1946, Les Éditions d’Architecture Erlenbach, Zurich, 1946, p. 39). diversi contributi e soprattutto dell’efficacia della loro reciproca relazione. È stata così reintrodotta l’obbligatorietà per tutti gli studenti di un laboratorio progettuale di Architettura degli Interni, posto al primo anno delle lauree triennali in Architettura e in Architettura delle Costruzioni, e l’opzionalità di un analogo laboratorio biennale di Architettura degli Interni e Allestimento nella laurea specialistica in Architettura (a lato di quello di Progettazione Architettonica e in alternativa a quelli di Urbanistica, del Restauro e delle Costruzioni). Ad essi si affiancano alcuni corsi monografici opzionali del settore, come Museografia, Scenografia e Progettazione del prodotto d’arredo, che dovrebbero concorrere a una laurea in Architettura “ indirizzata” . Sono invece fallite finora al Politecnico le ipotesi di vere e proprie lauree, triennale e specialistica, in Architettura degli Interni, già avviate in altre Facoltà italiane, per la difficoltà di combinare insieme le attività formative di architettura e di disegno industriale nel rispetto sostanziale dell’ordinamento europeo sulla formazione dell’architetto. Appare infatti opportuno che un “ archit et t o degli int erni” , che non sia un semplice progettista di allest iment i o arredat ore o comunicat ore visuale, sappia
cos’è un edificio, sul piano cost rut t ivo e st orico-crit ico, ma anche su quello normat ivo, al minimo per curare una pratica edilizia di ristrutturazione di un alloggio o di un negozio, o di certificazione antincendio di un allestimento espositivo; e sappia cos’è urbanisticamente una piazza, per “ non sostituire l’architettura con i vasi da fiori” (Canella), senza sminuire (da parte mia) l’importanza di giusti vasi da fiori, e relativi fiori, come in Plec˘nik. Resta peraltro vero che, con l’attuale ordinamento degli studi in architettura, è troppo debole l’insieme di conoscenze relative al progetto dei componenti e dettagli edilizi, degli arredi fissi e mobili, dell’impiantistica e comfort ambientale, della trattazione morfologica dei materiali, del colore, ecc. in parte presenti nella didattica del design ed essenziali per il progetto di interni. Ma questa carenza, più che dalla giustapposizione di ulteriori materie a un corso degli studi già oberato, potrà essere superata soprattutto se i laboratori di progettazione architettonica sapranno sviluppare con coerenza (e in economia di tempi di lavoro per gli studenti) il preminente carattere urbano dei lavori proposti, e delle relative scale di progetto, fin negli ambiti più minuti dell’abitare pubblico e privato.
Architettura degli interni e senso dello spazio di Maurizio Vogliazzo Probabilmente la questione di fondo rimane, come del resto è sempre stato e sarà, quella dello spazio. L’osservazione può sembrare ovvia, oppure generica: non lo è per niente. Architettura degli interni e senso dello spazio sono quanto di più inscindibile si possa immaginare: l’una non può darsi senza l’altro e viceversa. I margini di indeterminatezza dei termini impiegati sono soltanto apparenti: la loro precisione è millimetrica, esattamente come quella di Peter Hoeg per definire la speciale capacità posseduta dalla protagonista del suo notissimo e ormai attempato bestseller, “ Il senso di Smilla per la neve” . Gli apparati di ragionamento abitualmente in uso nel nostro milieu non potrebbero raggiungere il medesimo nitore nel mettere a fuoco un fatto di per sé semplicissimo, palmare (eppure irto di grandi difficoltà, delle quali sarà appunto bene occuparsi una buona volta). Fissato questo punto di partenza potrebbe risultare più agevole muoversi nelle cose di oggi, segnate da mutamenti continui e di ogni natura. Che siano venute ad accavallarsi con cadenze accelerate trasformazioni profonde e certamente irreversibili, e schiere di nuove fa-
miglie tecnologiche abbiano dappertutto fatto irruzione sulla scena quotidiana; che nelle arti sia successo moltissimo, con ricadute rilevanti di sensibilità diffusa; che intere correnti di pensiero abbiano raggiunto stadi raffinati e affascinanti, incidendo parecchio sugli standard culturali; tutto questo lo si sa benissimo, o almeno si dovrebbe, anche in situazioni (temporaneamente? si spera ancora) stagnanti, periferiche, come quella che il nostro paese sta da qualche tempo attraversando. Molto meno note sono le vicende che nel frattempo hanno completamente modificato l’intera organizzazione degli studi in Italia, che per una sua cinquantennale immobilità era venuta a trovarsi, ad un certo punto, per la precisione proprio alla soglia degli anni dei grandi cambiamenti, nella fortunata (anche se immeritata) condizione curiosa di costituire un modello, per certi versi, d’avanguardia, proprio per essere finita al fondo della retroguardia. Paradossi, di quelli che piacevano a Eugenio Battisti, maestro nel coglierli. Oggi il misfatto è giunto a compimento: un ridisegno folle e dilapidatorio è finalmente giunto a comprendere anche l’università (e pre-
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Illustrazione tratta da: Franรงois De Pierrefeu e Le Corbusier, La maison des hommes, Librairie Plon, Paris, 1942, p. 139.
nere insieme le scale tanto diverse della progettazione in maniera così felice? Una cultura comune e forte dello spazio; la consapevolezza della sua enorme potenzialità trasversale e la conseguente appassionata attenzione dedicata agli intrecci con i mondi paralleli delle altre arti del fare. Una cultura di base solida e affascinante e una vitalità solare nelle nebbie della pianura. Caratteristiche per altro già in crisi e in progressiva colpevole frantumazione da tempo. Comunque: perché all’estero ci si strappano di mano le impareggiabili annate della “ Domus” pontiana? Cosa cercano oggi in città i colleghi in visita e i turisti acculturati? Forse fra poco potranno finalmente esplorare i poderosi spazi interni del grattacielo Pirelli; ma la Spluegen Brau in corso Europa non c’è più, e di Castiglioni mai più potranno esserci purtroppo neanche i meravigliosi allestimenti. I negozi di design e quelli di moda invece si trovano in tutto il mondo: anche parecchio più belli. Che fare allora? Una bella facoltà di architettura, ridisegnata senza paura, liberata del pattume e dai ricatti giugulatori dei vari attuali settori disciplinari, aggiornata quanto basta, aperta senza rinunciare alla propria identità, dove venga data davvero la possibilità di familiarizzarsi con il senso dello spazio. Ben vengano anche le piccole modifiche progressive, se non c’è altra via: purché non si traducano in gelose (e vane) rivendicazioni di orticelli riservati. Magari così si riuscirebbe anche a innescare un riscatto almeno parziale dell’opacità calata sulle scuole secondarie; o almeno ad appalesarne l’assoluta necessità. Qualcuno potrebbe salvarsi, e salvare così anche l’architettura degli interni. Tuttavia la strada non appare, al momento, né probabile né facile. E il design? Mah? Sarebbe già una gran bella cosa se si ricordasse più spesso di essere un pipistrello, come diceva Klaus Koenig, metà topo e metà uccello: una condizione invidiabile.
Intervista a M ichele De Lucchi di Giampiero Bosoni Quale rapporto secondo te c’è stato, e ancora ti sembra possa esistere, tra architettura (in particolare architettura degli interni) e design di oggetti per il mondo domestico? Qual è stata la tua esperienza in proposito? Parlare di architettura degli interni mi riporta subito a due mondi che nella realtà sono molto distinti: il mondo della casa e il mondo dell’industria. Questo dualismo, che richiama il mondo dell’architettura da una parte e quello del design dall’altra, è stato molto importante per la mia esperienza. Devo premettere che questi temi (l’architettura, l’architettura degli interni e il design) li ho vissuti con una certa ansietà, come credo li ab-
biamo vissuti tutti quelli che come me hanno studiato architettura e poi si sono trovati a fare un altro lavoro, che nel mio caso (quello del designer per esempio), non avevo mai pensato di fare e non ho scelto di fare. Per un certo periodo certamente ho vissuto male questa situazione: l’ho vissuta come una mia incapacità di diventare architetto, dato che i successi che in qualche modo arrivavano erano legati molto più al design che non al lavoro dell’architetto. Quello che mi turbava di più, se vuoi, era il fatto di non sentirmi né carne né pesce: di non sentirmi né un designer né un architetto. Tutto ciò l’ho vissuto male e per certi versi si può dire che mi ha sciupato la
bellissima sensazione provata nel lavorare per l’Olivetti nei tempi d’oro, o più recentemente per le Poste, per l’Enel o per la Telecom. Alla fine, una decina di anni fa (non a caso in coincidenza del mio matrimonio, che come spesso succede è una di quelle tappe che ti portano a riflettere su tutto quello che si è fatto, anche professionalmente), ho capito, rileggendo la mia esperienza, che non aveva senso pormi il problema di distinguermi in termini disciplinari tra architetto o designer, in quanto questi temi sono solo dei nuclei ai quali riferirsi come culture storiche o degli atteggiamenti mentali: in tutto quello che avevo fatto (design o architetture) non erano stati questi i problemi di fondo del mio modo di progettare. Per spiegarmi meglio devo aggiungere che per me è stata una rivelazione rendermi conto a un certo punto che i miei clienti erano tutte aziende: cioè che io non avevo clienti singoli privati. Ancora oggi non ho clienti di questo tipo. Se mi è capitato di fare qualche casa privata, questa esperienza la ricordo come una disgrazia, nel senso di progetti faticosissimi e sofferti a causa del complicato rapporto psicologico che occorre affrontare con chi ha deciso di fare costruire la propria casa ad un altro. In pratica ho scoperto che il mio mestiere non era tanto quello dell’architetto o del designer, ma piuttosto quello di chi sa “ interfacciare” le aziende e capirle. Mi sono accorto che la mia competenza alla fine non era tanto quella dell’architetto o del designer, ma di chi per vent’anni ha cercato di capire l’industria e di conseguenza capire meglio cosa i responsabili dell’industria vogliono dall’architetto in senso lato. Devo dire che per questo approccio sono particolarmente grato all’Olivetti, che mi ha introdotto nel mondo del lavoro come un architetto predisposto ad ascoltare le aziende, a capirle, ma soprattutto a lavorare con i progetti per far capire cosa è giusto fare e cosa non è giusto fare. Più di una volta mi è capitato di fare progetti di massima proprio per mettere in evidenza che certe cose non era giusto farle. Tra le tue prime esperienze nell’ambito del Radical design mi ricordo che c’era una piccola architettura nomade con una struttura fatta di travetti di legno inchiodati e con i tamponamenti costituiti da tende, che appariva come una sorta di portantina-casa viaggiante. Quanto ti ha segnato questa ricerca di architetture provvisorie, “ nomadi” , costruite “a secco”, all’opposto di quelle “a umido” tipiche della nostra tradizione architettonica? Mi piace molto questa distinzione che tu fai tra il costruire “ a secco” e “ a umido” . Per quanto mi riguarda posso dirti che ho in qualche modo ideologizzato una teoria dell’architettura temporanea, provvisoria, contro, sì contro, l’architettura fatta per l’eternità. Fondamentalmente per due ragioni: uno (consentimi a livello di battuta) per dire che oggi
non c’è più spazio al mondo per le cose che durano un’eternità, due, perché mi sento molto inserito culturalmente in questa condizione globale del continuo cambiamento, che poi a ben vedere è molto più tipica del design. Il mio lavoro nasce per molti versi da esperienze che tento di fare disperatamente fuori dal lavoro, più artistiche che non professionali, che mi nutrono moltissimo. Io non riuscirei a vivere se non avessi queste mie “ cose” laterali: progetti spesso senza committenza che hanno molto un connotato di ricerca teorica, figurativa, artistica. Questa ricerca ha tempi molto veloci, perché io le cose ho bisogno di vederle, di verificarle, di farle morire per andare avanti, per poi farle rinascere. Tu cosa ne pensi, e come lo immagini, un corso di studi specialistico dedicato all’architettura degli interni? Innanzitutto direi che non puoi pensare a un’architettura degli interni se non hai la stragrande maggioranza della tua attenzione rivolta verso l’uomo per quello che è, per quello che desidera e per quello che ambisce. Per noi italiani è abbastanza naturale questa attenzione ed è certamente legata alla sensibilità di ognuno e a un sistema deduttivo di lavoro piuttosto che non induttivo, di analisi secca. Noi italiani lavoriamo per visioni generali che suggeriscono intuizioni che trasformiamo in idee progettuali, poi lavoriamo intorno a queste idee facendole diventare la ragione d’essere di tutto un sistema progettuale. Nel mondo anglossassone, ma anche in Germania o in Giappone, il progetto deve arrivare alla fine di un processo logico di tappe continue, con il rischio anche di non raggiungerla mai quest’idea progettuale: cosa che a me angoscerebbe tremendamente. Di questi tempi si usa spesso parlare di “scenari abitativi” intendendo con questo termine richiamare l’attenzione su di una estensione sempre maggiore dello spazio abitato, che riguarda non più solo i luoghi privati con le sue grandi e profonde modificazioni degli usi e dei costumi dell’abitare, ma comprende molti, se non tutti, i luoghi pubblici (uffici, centri commerciali, luoghi di intrattenimento, ecc.) dove ormai si vive molto più tempo della nostra giornata. Tu che hai progettato molti ambienti in forma di sistema di carattere terziario e commerciale come leggi e come interpreti questa idea di scenario? Più che vero tutto questo discorso, anche se io credo che comunque noi continuiamo a rappresentarci con la nostra casa, per quanto la si viva poco. La casa è il luogo dove uno, in qualche maniera, costruisce il palcoscenico, non tanto per la scena della propria esistenza, come direbbe Sottsass, quanto piuttosto per la crescita della propria personalità; cioè uno spazio allestito per sentirsi stimolato dal proprio ambiente dalle proprie cose: per cre-
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vedibilmente sta avviandosi ad inghiottire senza difficoltà anche la nebulosa delle cosiddette offerte formative post lauream, così disperatamente desiderose di essere à la page culturalmente e managerialmente, che ora muovono i loro primi confusi passi). Slogan ideologici e scriteriati propagandano professionalizzazioni (questa è, ahimé, la parola abitualmente usata) inconsistenti o inesistenti; e immissioni fulminee e assolutamente improbabili sul mercato del lavoro, che invece richiede buone basi e larghe e doti di flessibilità, brandendo lauree della durata di tre anni e preparazioni neanche paragonabili a quelle d’antan, all’epoca raggiungibili tra l’altro in tempi assai più brevi. Come al solito non bisogna fare di ogni erba un fascio. Qualcosa di certo, da qualche parte, si salverà; purtroppo non è il caso dell’architettura, che da questa scellerata riorganizzazione risulta davvero colpita al cuore. Specialmente quando, come nel caso milanese, l’applicazione di una riforma già di per sé desolata è stata, pronubi gli ingegneri da sempre purtroppo padroni di casa, gestita generalmente in maniera occhiuta e micragnosa, con piccole astuzie da fureria dei vari settori disciplinari, agitando la minaccia largamente strumentale di una improbabile spada di Damocle, il mancato riconoscimento da parte di una distrattissima Unione Europea, in altre faccende affaccendata e comunque sensibile a ben altre cose nel dare o non dare i propri avvalli. Dato poi che forse l’unica declinazione italiana complessivamente originale dell’architettura degli interni la si trova compiutamente soltanto in quella specialissima enclave culturale e produttiva che è stata nel secolo appena concluso Milano, sempre derivando da studi compiuti nella sua allora unica Facoltà di Architettura o almeno da sue abituali frequentazioni, si può ben capire il perché del pessimismo di fondo che traspare da queste brevi note. Che cosa riusciva a te-
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Palais de Bois, juilliet 1924 (da: Le Corbusier, Almanach d’architecture moderne, Les Éditions G. Crès et C., Paris, 1925, p. 93). scere, per avere ulteriori ambizioni, ulteriori visioni. In tal senso devo dire che il valore più grande di un oggetto di design è quello di saper distribuire senso di libertà, nel senso di lasciare a ciascuno il piacere autentico di utilizzarlo come meglio crede nell’ambiente che preferisce. Ad ogni modo per quanto mi riguarda in vent’anni la mia progettazione degli interni si è concentrata quasi esclusivamente su quel particolare settore del terziario dove si offre un servizio diretto al pubblico, vedi banche, uffici postali o il caso delle biglietterie per le stazioni ferroviarie tedesche. Lì il grande problema è inventare un sistema di arredo che vada bene per tutta una gamma di contesti che varia moltissimo da filiale a filiale (dimensioni, proporzioni, caratteri storici dell’edificio, ecc.). La mia carta vincente è sempre stata quella di riuscire a ottenere questo, cioè di far diventare l’interno un prodotto industriale, con tutte le caratteristiche di cui un prodotto industriale deve godere.
Una cosa curiosa, su cui ho riflettuto recentemente, è che il mio primo lavoro di questo genere (gli interni per tutte le filiali tedesche della Deutsche Bank) mi è arrivato grazie all’Olivetti, nel senso che questa famosa banca tedesca per rifare la propria immagine architettonica degli interni ha fatto un concorso al quale ha invitato quattro studi, dei quali tre erano noti progettisti d’architettura e il quarto era il sottoscritto chiamato in quanto designer dei prodotti Olivetti che loro acquistavano. Per cui io posso dire che sono arrivato all’architettura degli interni non dallo studio degli spazi e degli ambienti tecnici o funzionali, ma ci sono arrivato con il design delle macchine: come se qualcuno avesse portato dentro le macchine disegnate da me e in seguito mi avessero chiesto di disegnarci intorno degli ambienti. Capisci perché allora parlo di design degli interni. Milano, 16 febbraio 2004
Intervista a Vico M agistretti di Giampiero Bosoni Nella tua lunga esperienza di architetto e di designer quale significato ha avuto la progettazione degli interni in architettura, e di conseguenza quale relazione si è creata tra questa scala del progetto e il disegno degli oggetti per la casa? In generale, potremmo dire, quale rapporto c’è stato tra il tuo fare architettura e il tuo fare design? Ho capito, ma ho bisogno di riflet-
tere, perché ai miei tempi non c’era l’“ architettura degli interni” (per lo meno con questo significato così disciplinare) ma non c’era neanche la parola design. Per esempio, mi verrebbe da dire che la parola design non so più se l’abbiamo creata noi o altri, ma certamente chi ha fatto un certo tipo di design è stata l’Italia, ed è stata l’Italia perché è andata in strettissimo contato con
la produzione. Ed è stato merito della produzione se l’italian design è durato tanto. Ecco, iniziamo a dire questo. Mi ricordo in particolare l’esperienza per me importantissima dell’edizione della Triennale del 1960, la XII, che ho curato insieme a Ignazio Gardella, dove è venuto fuori, secondo me, il design italiano con dei pezzi favolosi come la poltrona “ tre pezzi” di Albini per Poggi, alcuni pezzi di Tobia Scarpa e del padre Carlo, e poi una serie di pezzi meravigliosi, soprattutto d’illuminazione, dei fratelli Castiglioni. E a proposito di architettura degli interni, alcuni di questi pezzi erano nati per quell’altro prodigio dei Castiglioni che era il magnifico interno del Bar Splugen, che solo la cultura f....... di questa merda di città ha potuto consentirne la demolizione. Ecco così, io mi ricordo, è cominciato l’italian design, ma comunque, torno a dire, questo design non aveva niente a che vedere con la vecchia idea dell’arredamento per gli interni, si trattava di oggetti nati per essere prodotti in serie che a volte abbiamo usato per quello che avevamo bisogno noi. Però guarda ti posso dire questo: io non mi sono mai occupato dell’arredamento, cioè: metti quella sedia lì, no metti quella là. No, io, ai miei clienti, ho sempre detto la casa è vostra. A me quello che interessa quando faccio degli interni è avere, se posso, dei volumi, poi dopo, torno a dire, la casa è vostra! Quindi i tuoi celebri pezzi di design sono nati da un tuo contesto culturale e progettuale d’architetto, che, come tu dici, ha anche affrontato in maniera organica la que-
stione degli spazi interni, ma non sono mai nati appositamente per degli ambienti da te progettati. Ma per carità! Anzi, anzi, io non ho mai, dico mai, che io ricordi nella mia vita, disegnato un arredo per una certa persona, ma mai! Cioè nel senso di dire che quel particolare tavolo con in giro le sedie l’ho disegnato per il tal dei tali. No, al più ho proposto di mettere dei pezzi fatti magari trent’anni prima con il Poggi. Cioè non mi è mai interessato nell’interno, come dirti, l’immagine dell’arredo, perché quella è un’immagine che deve essere data da chi vive la casa, perché metterà il ritratto dello zio: cosa vuoi che me ne ..... io detesto quel modo: qui l’ha messa l’architetto. Direi piuttosto che il design italiano è nato al contrario dell’arredamento. Ecco. Quello che a me ha interessato è lo spazio, è il volume dell’interno. Anche quando mi chiedono consiglio degli amici, loro dicono se vuoi prendere una sedia così e così, prendi quella lì o prendi quella là, però soprattutto cerca di metterci dentro poca roba: più vuoto lo lasci meglio è. Quindi poi alla fine non penserei mai di dare una qualificazione al mio lavoro negli interni mettendoci dentro questo bellissimo divano che ho fatto io (n.d.a. l’intervista l’abbiamo fatta nello show-room De Padova seduti su un divano disegnato da Magistretti), non me ne può fregare di meno. L’arredamento per me non esiste, esiste lo spazio dove abiti. Direi che in fondo gli oggetti che ho disegnato, in linea puramente teorica, li ho disegnati per me. Milano, 4 febbraio 2004
Politecnico di M ilano - Facoltà di Architettura Urbanistica Ambiente Nel corso di Laurea in Scienze dell’Architettura (triennale) la disciplina di Interni compare come integrazione ai Laboratori di progettazione del primo anno, mentre al terzo anno è attivato un Laboratorio di Architettura degli Interni, coordinato con gli insegnamenti monografici riguardanti argomenti congruenti o affini. Il Corso di Laurea specialistica in Architettura (biennale) si struttura in sei Orientamenti didattici, di cui uno dedicato alla “ Progettazione architettonica degli Interni” che affronta le problematiche riguardanti il rapporto fra contesto, architettura e forma, misura e organizzazione degli spazi interni. L’abitare, i luoghi del lavoro, gli interni pubblici nella città, l’allestimento e la museografia sono i temi portanti delle esperienze progettuali dei Laboratori, orientate ad approfondire l’assetto spaziale dell’architettura, il controllo del dettaglio, l’uso dei materiali e del colore, il ruolo della luce e l’arredo come necessario completamento di un ambiente vissuto. Le definizioni dei termini quali “ arredamento” , “ spazio” , “ interni” , ecc. e la teoria e la storia dell’architettura degli interni, dell’allestimento, della museografia e della scenografia sono parte della formazione fornita dai corsi monografici, che operano in coordinamento con il Laboratorio di tesi di laurea e prevedono un’attività di tirocinio, a completare il profilo dell’orientamento. Politecnico di M ilano - Facoltà del Design Corso di Laurea di primo livello in Design degli interni - Classe di appartenenza: 42 (Disegno Industriale); Corso di Laurea specialistica in Design degli Interni - Classe di appartenenza: 103/S (Teorie e metodi del Disegno Industriale); due orientamenti: “ Interni e prodotto d’arredo” ; “ Allestimento e museografia per i beni culturali” . • Orientamento didattico: un interno di qualsiasi natura, domestico (casa), pubblico (museo, ospedale, ufficio di servizi, aeroporto, stazione), permanente o temporaneo (gli allestimenti in genere) è un insieme complesso di elementi che costruiscono la qualità della relazione tra gli individui e lo spazio che abitano: dimensione degli spazi, arredi, luci, colori, suoni, persino sensazioni olfattive, rappresentano gli elementi che un progetto di interni deve saper modulare e comporre. Progettare significa in questo caso assumere l’involucro dell’architettura come punto di partenza e lavorare al suo interno operando non solo sul sistema dell’arredo ma su qualsiasi componente che
permetta allo spazio di essere abitato. I territori in cui si sviluppa l’attività dell’interior designer sono numerosissimi, dallo spazio abitativo domestico agli spazi pubblici, dai non-luoghi di transito (aeroporti, porti, stazioni) ai luoghi pubblici di servizi (banche, uffici postali, ospedali, scuole) e ancora, i luoghi urbani. Un ulteriore ambito progettuale dell’interior designer è la progettazione degli allestimenti. L’exhibit design investe sia gli allestimenti dei musei, che gli allestimenti fieristici e degli spazi commerciali, intesi come luogo di comunicazione del marchio e d’interazione tra impresa e clienti. • Modalità didattiche: la struttura didattica è concepita sulla base di tipologie didattiche principali (corsi monodisciplinari, corsi integrati, laboratori di progetto, laboratori sperimentali, workshop) cui si affianca, nel piano degli studi di primo livello, un programma di attività professionalizzanti. Il Tirocinio professionale fa parte del piano didattico ed è un periodo di attività presso un’azienda o uno studio di design convenzionati con il Politecnico, sotto la guida di un tutor della Facoltà e di un tutor designato dall’azienda. SUPSI, Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana La scuola, fondata nel 1997, è una delle 7 scuole universitarie professionali svizzere, con statuto universitario, orientato alla formazione professionale e alla ricerca applicata. All’interno della sua offerta formativa, propone un ciclo di studi in Architettura d’Interni che comprende corso di laurea e successivo master e rilascia il titolo di designer SUP in Architettura d’Interni. Gli studenti sono di varia provenienza: ticinesi (50%), confederati (20%), italiani (20% ), altre nazionalità (10% ). Il ciclo di studi si inscrive nella tradizione delle Kunstgewerbeschulen svizzere. Il designer SUP deve sapere: progettare impiegando gli strumenti tecnici oggi disponibili; realizzare progetti con una dimensione espressiva e comunicativa efficace; interpretare e risolvere le esigenze di committenti e società; riunire elementi variegati a diversi livelli (tecnici, economici, storici e culturali) in modo razionale e coerente; collaborare con gli altri operatori. Ambiti della formazione: arredo di spazi abitativi, ristrutturazioni, design del mobile, allestimenti di spazi espositivi e museografici, design della luce. • Modalità didattiche: lezioni ex cathedra, visite-lezioni con l’apporto di specialisti, laboratori. • Indirizzo: SUPSI - Dipartimento Ambiente Costruzioni e Design - Cicli di arti applicate - via Brentani 18, 6900 Lugano, Svizzera. Tel: +41 91 8152091; e-mail: dacd@supsi.ch • Sito web: http://www.supsi.ch
Politecnico di M ilano - Facoltà del Design e Scuola Politecnica di Design Master di I livello in Interior Design è un master universitario nato dalla collaborazione tra la Facoltà del Design del Politecnico di Milano, la Scuola Politecnica di Design e il Consorzio POLI.design. Il master vuole formare professionisti completi grazie a un sistema equilibrato di conoscenze teoriche, testimonianze e pareri esperti, attività di ricerca e di progettazione. Il programma spazia dall’ambito domestico a quello della distribuzione, dell’ospitalità e del lavoro. Moduli di approfondimento sono dedicati a temi specifici: spazi della domesticità, del consumo, dell’ospitalità, del lavoro e della comunicazione; evoluzione degli interni nel Novecento; interni e scenografia tra cinema e fotografia; lighting design e illuminotecnica; impianti, normative e sicurezza; furniture design. L’organizzazione didattica comprende project work, articolate esercitazioni che sviluppano le competenze progettuali, e uno stage formativo presso imprese del settore, per trasferire in un contesto professionale le competenze acquisite. Il programma di specializzazione post-lauream, iniziato a gennaio 2003, si concluderà a novembre 2004, dopo i tre mesi di stage. I crediti formativi maturati nel corso del master sono sessanta. L’impegno richiesto è full time per un totale di 1.500 ore per ciascuno studente.
Politecnico di M ilano in consorzio con Università degli Studi “Federico II” di Napoli Corso di Dottorato di Ricerca in “ Architettura degli Interni e Allestimento” • Obiettivi formativi del Corso: Sviluppo delle capacità di programmazione e gestione di programmi di ricerca complessi; raccolta, ordinamento e rielaborazione a fini conoscitivi e divulgativi di materiali documentali storici e contemporanei inerenti i vari settori degli Interni (architettura, arredamento, decorazione, scenografia, allestimento, museografia); Accrescimento delle competenze di inquadramento problematico, programmazione, progettazione, coordinamento, sviluppo tecnico e gestione di interventi nuovi e di trasformazione dell’esistente di particolare complessità per le specifiche aree inerenti il settore disciplinare. • Modalità didattiche: Lezioni ex cathedra, sessioni di training, visite guidate e cicli seminariali tenuti da docenti del Collegio e da specialisti delle diverse discipline; Laboratori di ricerca nel campo storico critico e progettuale gestiti collegialmente dalla docenza, con attività di collaborazione e scambio tra i dottorandi dei differenti cicli; Attività seminariali e stage individuali tenuti presso sedi esterne di particolare importanza per l’avanzamento dei curricula di studio; Ricerca individuale assistita da tutor personali • Sito web: http://pcsiwa12.rett. polimi.it/~phdweb/
Corsi di specializzazione Domus Academy • Anno di fondazione: 1983. • Tipologia corsi: Master in Design, Master in Fashion Design, Master in Interactive Design, Master in Urban Management & City Design. Da ottobre 2004 Master in Interior and Living Design e Master in Business Design. • Titoli rilasciati: i master sono certificati dalla University of Wales. • Numero di studenti: 124 iscritti nel 2004. • Provenienza studenti: 31 paesi internazionali. • Orientamento didattico: concepiti per lo sviluppo di professionalità creative negli ambiti più avanzati del progetto, i master prevedono un numero chiuso di partecipanti e si sviluppano secondo la formula tipica della formazione DA, offrendo a ogni allievo l’opportunità di lavorare, in collaborazione con uno staff di tutor, progettisti, consulenti e visiting professor d’eccezione, su un progetto di ricerca originale e dando a chi partecipa l’opportunità di entrare in contatto con le realtà lavorative più stimolanti del panorama italiano e internazionale. Gli studenti entrano in con-
tatto con la molteplicità dei punti di vista presenti nell’attuale realtà professionale. • Modalità didattiche: Lezioni (l’area del percorso didattico in cui viene trasmesso il knowledge consolidato di DA); Esplorazioni del contesto (visite ad aziende, mostre, fiere, musei, incontri con manager, progettisti); Workshop con visiting designer e aziende (un laboratorio permanente di elaborazione teorica e progettuale); Tesi di master (impostate come i lavori dei grandi concorsi di progetto a tema). • Indirizzo: via Savona 97, Milano (da settembre 2004: via Watt 27). Telefono 02 42414001, e-mail: info@domusacademy.it • Sito web: www.domusacademy.it IDI - Interior Design Institute • Anno di fondazione: metà anni Sessanta. • Tipologia corso: corso di specializzazione Superiore in Architettura d’Interni. L’Istituto forma la figura dell’Interior Designer, professionista con vaste cognizioni di metodi costruttivi, di criteri distributivi degli spazi, di tecnologia e
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Formazione universitaria
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di materiali per l’arredamento. Il corso si rivolge a studenti dal 3° anno delle facoltà o delle scuole d’architettura e dura da ottobre a giugno. • Titolo rilasciato: gli attestati dell’Istituto hanno valore pubblico su tutto il territorio nazionale e nei paesi dell’Unione Europea. Il Corso Superiore di Architettura d’Interni è riconosciuto dall’Assessorato all’Istruzione Professionale della Regione Lombardia, dall’AIPI (Associazione Progettisti in Architettura d’Interni) e da ADI (Associazione per il Disegno Industriale). • Numero di studenti: due sezioni da 25 studenti. L’iscrizione è a numero chiuso. • Provenienza studenti: internazionale. • Orientamento didattico: l’obiettivo del Corso è la preparazione di specialisti del settore dell’Architettura d’Interni, pronti a essere inseriti nel mondo del lavoro con una solida competenza in fatto di progettazione strutturale, impiantistica, disegno e arredamento. Il Corso si compone di discipline d’insegnamento altamente specialistiche e dotate di contenuti avanzati che garantiscono agli allievi un alto grado di preparazione. Frequenti sperimentazioni pratiche predispongono alla formazione di specialisti con le capacità richieste da parte degli studi professionali. • Modalità didattiche: l’attività didattica comprende lezioni tenute da docenti professionisti del settore, esercitazioni pratiche ed elaborazioni complete dei progetti, proiezioni, visite guidate a mostre e sopralluoghi in cantiere, laboratorio di modellistica e uso di computer con software specifici. Durante l’anno si prevedono incontri con professionisti di spicco che svilupperanno brevi seminari di approfondimento tematico. Al termine dell’anno l’Istituto assicura stage presso importanti aziende nel settore e studi professionali. • Indirizzo: via Mazzini 10, Milano. Tel. 02 86463289, e-mail infoidi@ ateneo-idi.it • Sito web: www.ateneo-idi.it IED - Istituto Europeo di Design • Anno di fondazione: 1966. • Tipologia corso: corsi triennali post diploma, corsi master, corsi di aggiornamento e specializzazione (serali, summer, one year), corsi taylor made per aziende. • Numero di studenti: 3.000 circa. • Provenienza studenti: 90% Italia; 10% da 56 paesi stranieri. • Orientamento didattico: da più di trent’anni IED opera nel campo della Formazione e della Ricerca, nelle discipline del Design, della Moda, delle Arti Visive e della Comunicazione. Oggi è un Network internazionale in continua espansione, con Sedi a Milano, Roma, Torino, Madrid, Barcellona, che organizza corsi triennali post-diploma, corsi di aggiornamento e formazione permanente, corsi di formazione avanzata e master
post-lauream. La sezione IED Design è la risposta completa alle diversificate esigenze del mondo professionale del design. Arredo urbano, progettazione di accessori di moda, di automobili, di supporti informatici, sono alcuni dei temi di ricerca affrontati. I corsi di IED Design sono finalizzati all’acquisizione di approfondite competenze tecniche e progettuali attraverso workshop e grazie a numerose collaborazioni con aziende leader di settore. Oltre ai corsi triennali post-diploma, sono attivati corsi di aggiornamento e specializzazione, corsi intensivi a numero chiuso (rivolti a chi, già in possesso di una preparazione di base nel settore, desideri approfondire o aggiornarsi su temi specifici) e corsi master (rivolti a laureandi, neolaureati, operatori aziendali e professionisti. Attraverso esercitazioni su case history e stage in azienda, i partecipanti sviluppano competenze teoriche e operative specifiche). • Modalità didattiche: lezioni, laboratori, stage. • Indirizzo: IED Design e IED Arti Visive, via Sciesa 4, Milano; IED Moda Lab, via Pompeo Leoni 3, Milano; IED Comunicazione, via Pietrasanta 14, Milano. • Sito web: www.ied.it ISAD - Istituto Superiore Architettura e Design • Anno di fondazione: 1980. • Tipologia corso: corsi di formazione professionale di livello parauniversitario e corsi di specializzazione in Interior Design, Garden Design, Industrial Design, Cad Design e Restauro del Mobile Antico. • Titolo rilasciato: per il corso biennale in Interior Design: “ Attestato di Qualifica Post-Diploma Assistente Interior Designer” . Per il corso di Specializzazione in Interior Design: “ Attestato di Specializzazione Post-Diploma Interior Designer” . Per il corso biennale di Garden Design: “ Attestato di Qualifica Post-Diploma Tecnico dei Giardini” . Tutti gli attestati sono riconosciuti dalla Regione Lombardia ai sensi dell’ex-art.27 della L.R. 95/80. Per gli altri corsi si rilascia un Attestato di Frequenza. • Numero di studenti: 100. • Provenienza studenti: Italia 60%; estero 40% . • Orientamento didattico: l’obiettivo della didattica è quello di preparare gli allievi ad affrontare con competenza e sensibilità i concreti impegni della professione. Per questo, nell’ambito del percorso di formazione, un posto di rilievo è occupato dai corsi che affrontano tecnicamente l’uso dei materiali e degli impianti, ma anche le modalità grafiche e di comunicazione con cui presentare ed elaborare in maniera professionale il lavoro. All’attività didattica sono integrate durante l’anno visite guidate a mostre, manifestazioni culturali, cantieri e aziende, sopralluoghi presso edifici storici e inerenti alle materie trattate.
• Modalità didattiche: ogni materia è organizzata in atelier di lavoro che uniscono alle lezioni teoriche attività di laboratorio da svolgere in classe con l’immediato confronto e verifica con il docente e gli assistenti; un laboratorio con computer e programmi per la progettazione architettonica e per il rendering è a disposizione degli studenti; è previsto uno stage obbligatorio di un mese a completamento del ciclo di studi. • Indirizzo: via Balduccio da Pisa 16, Milano. Tel. 02 55210700, e-mail isad@isad.it • Sito web: www.isad.it NABA - Nuova Accademia di Belle Arti di M ilano • Anno di fondazione: 1979 • Tipologia dei corsi: scuole di Pittura, Scenografia, Graphic designAdvertising, Moda, Product design, Media, Arti e design. Corsi di diploma legalmente riconosciuti quadriennali, di primo livello (triennali) e di secondo livello (biennali specialistici), corsi master. • Titolo rilasciato: diploma accademico di I e di II livello equiparato alle lauree. • Numero di studenti: 600. • Provenienza studenti: Italia, Europa, America, Asia. • Orientamento didattico: il progetto formativo, attualmente orientato nei diversi campi della ricerca artistica, della comunicazione, della moda, del design e dei nuovi media elettronici, intende coniugare tre elementi fondamentali: l’adesione a una cultura umanistica nei termini di una sensibilità estetica e critica; la conoscenza e la pratica delle nuove tecnologie; un orientamento progettuale atto a rispondere alle richieste del mondo delle professioni. Vengono considerati come termini di una diffusa cultura del design, l’integrazione tra discipline canoniche della rappresentazione visuale (disegno, fotografia, modellistica) e nuove pratiche multimediali (computer grafica, disegno bidimensionale e tridimensionale, modellazione digitale). Alle attività didattiche vengono correlati progetti di scambio di studenti e docenti promossi dai network internazionali universitari. • Modalità didattiche: la frequenza ai corsi (fondamentali e complementari) è obbligatoria e prevede lezioni teoriche, attività di progettazione e di laboratorio. Il favorevole rapporto numerico tra studenti e docenti, stabilito dal numero programmato, e il clima di internazionalità sempre più diffuso all’interno delle Scuole Naba consentono di attivare un dialogo costante con il mondo delle imprese con cui vengono coordinati progetti di collaborazione e attività di stage, secondo.un modello didattico-operativo più vicino alla tipologia dell’atelier che al concetto di lezione ex-cathedra. • Indirizzo: via Darwin 20, Milano. • Sito web: www.naba.it
SPD - Scuola Politecnica di Design • Anno di fondazione: 1954. • Tipologia corso: l’offerta di specializzazione post-lauream comprende tre diversi master di I livello: Interior Design, Industrial Design e Interior Design, quest’ultimo in collaborazione con il Politecnico di Milano. • Titoli rilasciati: per il master in Interior Design e in Industrial Design si rilasciano un diploma di master universitario di primo livello (60 crediti formativi) e un diploma di master SPD; per il corso in Interior Design in collaborazione con il Politecnico, il titolo rilasciato ed i crediti acquisiti sono riconosciuti dal Politecnico. • Numero di studenti: circa 200 complessivamente. • Provenienza studenti: Italia, Europa, Sud America, U.s.a. • Orientamento didattico: Interior Design: il programma sviluppa solide capacità di progettazione degli spazi secondo un orientamento architettonico. L’obiettivo è creare la sensibilità verso l’efficacia dei percorsi fisici e ottici di un ambiente insieme all’attenzione per il suo valore ergonomico e comunicativo. Il lavoro prevede il coinvolgimento in aula di primarie realtà industriali. Durata corso: da ottobre a giugno, per un totale di 640 ore. Industrial Design: il master offre una competenza globale di Industrial Design, affrontando i temi della forma, della produzione, della fruizione individuale e sociale di un prodotto. È prevista la collaborazione con importanti realtà industriali attraverso project works progettuali. Durata corso: da ottobre a giugno, per un totale di 640 ore. Interior Design - master Politecnico: il corso vuole formare professionisti completi grazie a un sistema equilibrato di conoscenze teoriche, pareri esperti, attività di ricerca e di progettazione. Il programma spazia dall’ambito domestico a quello della distribuzione, dell’ospitalità e del lavoro e comprende inoltre temi specifici come il furniture design, l’illuminotecnica, l’impiantistica, le normative, la presentazione degli interni nei media. Durata master: da gennaio a novembre, per un totale di circa 1500 ore. • Modalità didattiche: i master sono strutturati in lezioni teoriche, laboratori di progettazione e corsi integrati. Per il master in collaborazione con il Politecnico è previsto uno stage formativo di tre mesi presso selezionate imprese partner. Gli studenti possono avvalersi di attrezzati laboratori di modellismo, di avanzati software di modellazione 2D e 3D e del supporto di strutture di prototipazione e ingegnerizzazione. • Indirizzo: via Ventura 15, Milano. • Sito web: www.scuoladesign.com
a cura di Antonio Cortinovis e Alessandro Pellegrini
Design: anatomia di un concetto Da un luogo reputato favorevole alla comunicazione subliminale, una pubblicità mi esorta all’acquisto di un prodotto evidenziando che la sua immagine è stata curata da un architetto: penso sia evidente che a giudizio di un probabile marketing, questa caratteristica sia un elemento di forza e un argomento a favore di un acquisto di qualità! Per qualche vago stereotipo globalizzato la professione di architetto è automaticamente associata anche all’attività di designer. Concettualmente la cultura dell’architetto dovrebbe aver assimilato quel tanto di storia dell’arte, di sociologia, antropometria, tecnica e conoscenza dei materiali, tale da potersi insomma porre di fronte a qualsiasi problema progettuale. Inverosimilmente questa laurea dovrebbe fornire le chiavi della conoscenza e il riconoscimento di quel talento leonardesco che non dia difficoltà o timore ad affrontare qualsiasi tema compreso fra un cucchiaio e una città. Illusorio. Illusorio almeno quanto sperare che la nostra carriera inizi da un piccolo utensile e porti nel tempo e con il crescere dell’esperienza alla progettazione di un’immensa architettura. Lasciamo agli studenti questa illusione e speriamo che la coltivino, semmai anticipiamo loro solo che anche alla realizzazione di un semplice cucchiaio non basta solo l’intuito, ma serve anche la partecipazione di quella multi-professionalità propria di ogni processo produttivo moderno. Noi, usati dalla vita professionale, sappiamo invece che il problema è assai più ampio e complesso e che oggi siamo forse una delle categorie che più soffre di crisi d’identità, non sapendo più quali professionalità dobbiamo assolvere. La nostra professione è talmente cambiata ultimamente che difficilmente si può ancora stereotipare in qualcosa di definito. Fortunatamente queste riflessioni fanno scaturire altri aspetti, e vie di fuga, per buona pace delle nostre inquietudini. Perché progettare qualsiasi cosa rimane comunque meraviglioso, tracciare la teoria per la soluzione di un problema attraverso un concetto e delle istruzioni è appagante. Progettare evidenzia la volontà di realizzare in modo analizzato, prestabilito e subordinato a delle volontà intellettuali acquisite con la cultura, la ricerca, la sperimentazione e l’intuito, non importa quale sia l’oggetto in questione. Anche se poter dialogare con una manualità extracorporea che non ci appartiene, ma che sentiamo no-
stra, e poterla dirigere proiettando la nostra, piccola e umana, in una scala industriale o urbana è talvolta un carico di responsabilità faticoso. Con buona pace di Dostojevskij, che, affascinato dallo spontaneo e dal casuale, al contrario giudicava negativamente una città meravigliosa come Pietroburgo, in quanto frutto di un progetto e pertanto predeterminata. Ad ognuno di noi il proprio giudizio. Con ogni probabilità non arriveremo mai a progettare una città, ma non per questo ci sentiamo inibiti ad un’evoluzione culturale e se invece, per esempio, quell’evoluzione innanzi citata non si materializzasse in termini quantitativi, e se quell’evoluzione, come a volte mi piace immaginarla, fosse per sottrazione come spesso lo è per l’arte, una progettazione che si sottrae alla norma, alla convenienza, al consono dal politicamente corretto, un’evoluzione che si libera dell’inutile, del falso, precisando se stessa nella qualità e purificandosi nell’essenziale, e che riuscisse a dire molto o tutto con poco, non sarebbe anch’essa un’evoluzione sublime, un’evoluzione che al contrario “ scende” dalla città al cucchiaio? È forse questa la genesi del design? Chiedo perdono, ma è con malcelato disappunto che mi accosto alla parola “ design” , storpiatura del vocabolo di cultura latina, che umiliato nelle vocali per l’importazione fonica nella cultura anglosassone, povera di vocaboli, viene assunto per quel disegno evoluto con un’anima colta e creativa e va così ad affiancare quel “ drawing” rimasto a denominare i disegni senza arte. Acquisito, nobilitato, fatto proprio e riesportato poi là dove ormai il vocabolo “ disegno“ esistendo già non può più rappresentare due nobiltà diverse, cosicché purtroppo viene adottata la storpiatura per la connotazione migliore. Nonostante l’anglicismo, i talenti “ disegnatori” italiani producono dal dopoguerra mobili, carrozzerie, oggetti, vestiti e immagini commerciali di grande qualità, il disegno industriale come quello grafico diventano una disciplina, nascono scuole e teorie accademiche. La prima occasione di porre delle teorie alla base di questa nuova disciplina è senz’altro il Bauhaus di Walter Gropius, che codifica e produce i primi studi moderni sul disegno industriale e grafico: sino a quel momento l’arte applicata a oggetti e immagine di consumo è trattata come un’estensione delle correnti di pensiero e stile nate nel mondo artistico, pertanto perlopiù artigianali. Tra queste ve ne sono alcune pregevoli, che hanno lasciato un prezioso contributo nella storia della progettazione di mercato, come quelle dei falegnami Mackintosh e Thonet o l’indotto artigianale della Wiener Werkstätte, o dei movimenti ben con-
notati nei singoli paesi come il Liberty, lo Jugendstjl o l’Art Nouveau, ma vi sono anche le individualità di alcuni architetti, che dalla decorazione architettonica “ scendono” al disegno di alcuni oggetti o arredi, come Frank Lloyd Wright e Alvar Aalto. La grafica pubbicitaria di qualità esordisce con artisti che “ scendono” al cartellonismo, quali Toulouse Lautrec o Koloman Moser. L’immediatezza della comunicazione attraverso l’immagine, non ancora estesamente usata per scopi commerciali, è subito recepita dalla propaganda politica, che se ne appropria producendo, esempio italiano per tutto il Ventennio, una nutrita serie di manifesti. Il nazismo chiude il Bauhaus e la seconda guerra mondiale dà un colpo di spugna al passato, gli anni ‘50 e ‘60 inaugurano la prima globalizzazione del mercato, delle mode, dell’architettura e ovviamente del design. La cultura dell’immagine prende specializzazioni legate alle produzioni specifiche. Nascono il “ visual” e il “ graphic” design nel campo della pubblicità e dell’editoria, “ l’industrial design” che progetta la veste della tecnologia domestica cresciuta esponenzialmente, “ il design” senza particolare specifica, acquisito per diritto dall’industria del mobile. Il design grafico si sviluppa in Italia con alcuni mostri sacri, fra cui Alfred Hohenegger, che pubblica nel 1973 Graphic Design. Estetica e funzione, tecnica e progettazione o Bruno Munari che già aveva pubblicato nel 1966 Arte come mestiere e dà alle stampe nel 1968 Design e comunicazione visiva un autore oggi scomparso e considerato fondatore della grafica moderna italiana, oltre che un raffinato artista. Se Munari ne fa un’arte, Albe Steiner ne fa un rigore accademico, studi come Testa e Boggeri – per citarne solo alcuni – ne fanno la storia contemporanea, professionisti come Minale, insediatosi a Londra, hanno successo all’ int erno di quel mondo anglo/statunitense da cui dipende tutto il mercato. Il design industriale celebrato più volte alla Triennale di Milano annovera infiniti esempi anche pionieristici di aziende come la Piaggio, l’Olivetti, la Brionvega, che sono già culto del modernariato. Il design contemporaneo italiano è fra i migliori nel mondo, dalle automobili alle lampade, dall’oggettistica alla moda, anche se so che citare solo Pininfarina, Zanuso e Armani è senz’altro riduttivo (gli stilisti si offendono ad essere considerati designers di vestiti?). L’arredo inoltre da solo costituisce una fetta di mercato considerevole, i prodotti di design sono esportati in tutto il mondo, con l’unico rammarico che la latente esterofilia di alcune ditte consiglia loro di utilizzare designer d’importazione non migliori dei nostri, perpetrando l’iter della storpiatura di un nome anche nei fatti.
L’evoluzione dei polimeri e l’introduzione delle materie plastiche nell’arredo ha scatenato una insospettata fertilità progettuale dei designer, è del 1975 la mostra internazionale, ospite al XII Salone del Mobile di Milano, in cui veniva esposta una selezione di 100 sedie in materia plastica. Oggi a processo globalizzante ormai completato, non senza morti e feriti, sembra che ogni oggetto, ogni immagine, sia meticolosamente studiata da un designer. Ciò è diventato necessario in quanto appunto quel marketing ordina un approccio subliminale penetrante e aggressivo per poter vendere qualsiasi cosa, in una sovrapproduzione di generi di consumo destinati a una vita breve e all’accumulo inesorabile di rifiuti. Ed è in quest o caleidoscopico mondo che gli architetti progettisti per passione e professione attribuiscono a questo tipo di problematica tutta l’importanza delle grandi opere, non solo, ma come innanzi detto, con la possibilità aggiuntiva di essere più artisti, ovvero: non solo tecnologia e problematiche di produzione, ma ergonomia, cultura, storia e molta personalità, magari tifando “ NO LOGO” , con una personalità che rimane fusa in un semplice utensile analizzato, prestabilito ed intellettuale, rendendolo utile, comodo e soprattutto affascinante. Non che il percorso del designer sia più facile di quello di un urbanista o di progettista di architettura vera e propria, ogni progetto ovviamente è soggetto alla selezione dei giudizi e percorre la prassi delle approvazioni: la convenienza è appannaggio di chi lo produce, il successo lo giudicherà il mercato, ma la grandezza sempre e solo il tempo. Sarà così che i progettisti, i designers (sic) se di talento e un po’ fortunati potranno realizzare quell’evoluzione rovescia auspicata e che è una delle possibilità di elevare e definire il ruolo di architetto, di quello che non progetterà mai una città, ma si rivelerà ottimo progettista di cucchiai inusuali, di poltrone funzionali, o di termosifoni artistici, comunque sopratutto di oggetti molto affascinanti, di cui amiamo circondarci. Edoardo Conte
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Como a cura di Roberta Fasola
Progettare la qualità della vita: una necessità contemporanea
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Negli ultimi anni si è imposto prepotentemente nella nostra società il concetto di “ qualità della vita” , con tutto quello che implica, che gli ruota attorno ed è essenziale per realizzarlo appieno. Anche per la casa si sono elaborati progetti capaci di favorire un nuovo modo di vivere, ossia un modo di abitare che privilegia e mette al centro il benessere psicofisico, motore propulsore e fine ultimo per il quale progettare gli oggetti che accompagnano la nostra quotidianità. La necessità di uno spazio in cui vivere comodi, sentendoci “ protetti” , rispecchia bene l’atteggiamento di chi convive con la percezione di essere “ uomo moderno” , inteso sempre più come “ cittadino del mondo” , a suo pieno agio in un mondo globalizzato e privo di barriere di ogni sorta, da quelle geopolitiche a quelle religioso-culturali, “ uomo moderno” che è al contempo però anche un uomo che si ripiega nel privato per trovare comfort e sicurezza. E la casa incarna il luogo privilegiato per ottenere tutto questo e diventa sempre più il luogo in cui si concretizza anche la dimensione lavorativa dell’individuo. Questa esigenza di sicurezza è una diretta conseguenza dei fatti minacciosi e violenti accaduti e che accadono nel mondo e che hanno profondamente inciso sugli at teggiamenti etico-sociali di ognuno di noi: hanno fatto sì che la precarietà e vulnerabilità esterna, fosse compensata (e ricercata) dalla sicurezza degli oggetti e dall’ambiente domestico. La contraddizione rinvenuta, ossia quella tra il sentirsi sempre più cittadini di un “ mondo aperto” e al tempo stesso sentirsi parte di un mondo “ parziale” è avvertibile anche dagli oggetti che abitano la casa. Comunicano l’idea di un “ arredamento libero” . Gli oggetti sono molto differenti tra loro, all’apparenza scoordinati, quando, in realtà, rivelano una loro coerenza intrinseca, un accordo che presenta un legame stretto tra la realtà, le mutate abitudini sociali e la concezione di abitazione che le rispecchia. Si pensi alle tendenze recenti a trasferire in ufficio o in macchina, ad esempio, “ i luoghi” principali della nostra giornata, una piccola parte di casa. Anche la casa è in modo analogo coinvolta nel cambiamento, che investe l’aspetto organizzativo di essa. Gli spazi in cui è organizzata la casa non sono predefiniti, divisi: la cucina e la zona giorno si fon-
dono sintetizzando l’efficienza gastronomica e la necessità del relax. Sono luoghi caratterizzati dalla multifunzionalità. Per questo, sono in genere molto larghi e modificano la loro funzione a seconda del momento e della circostanza in cui devono essere usati. Così, la casa perde la rigidità dello schema organizzativo giorno-notte: la cucina, arricchita di tutti i comfort, diviene lo spazio per ricevere gli amici, mentre la camera da letto quello per lavorare. Tale esigenza “ sociale” è colta e interpretata adeguatamente soprattutto dalle aziende italiane produttrici di mobili. Da un lato esse, infatti, in accordo e in sintonia con i designer, si sono sforzate di produrre tipologie d’arredo anche molto diverse tra loro, tese a soddisfare gusti diversificati, indici di un’utenza dalle caratteristiche multiculturali e multietniche, dall’altro, però, sanno che gli schemi tradizionali ben riconosciuti e accettati anche nelle regole della costruzione della casa sono ancora quelli che convincono di più l’utente medio. Il risultato è quello di un prodotto t eso a mediare t ra quest e due istanze antitetiche, ma entrambi presenti: da un lato si tende ad inibire significativamente il “ nuovo che avanza” , nei termini di elaborazione di un nuovo modo di concepire l’organizzazione degli spazi domestici, intesi come luoghi da “ consumare” , vivendoci, ma anche lavorandoci; dall’altro, il bilancio a favore dell’innovazione, però, è più che positivo se si considerano i sempre più frequenti sforzi al fine di produrre mobili in piena sintonia col contesto culturale in cui si inseriscono e rivolti ad un fruitore informato e intelligente: gli arredamenti si fanno “ liberi” nel loro modo d’uso, ormai privo di schemi ricorrenti. L’effetto è quello di ottenere una casa per questo più “ comoda” , rassicurante in quanto meno distante dalle esigenze di chi la sfrutta, più concreta e tattile. Grazie a questo aspetto di innovazione, ricerca e sensibilità verso le reali e trasformate esigenze del pubblico è giusto riconoscere alle aziende del mobile il merito di aver messo sul mercato prodotti con un alto livello di qualità intrinseca, sia dal punto di vista delle qualità materiali che formali. Si pensi, a questo proposito, all’utilizzo di materiali tradizionalmente usati nell’arredamento, ma combinati tra loro in una maniera niente affatto tradizionale tale da produrre effetti e tendenze nuove nel design: in particolare troviamo il vetro, la plastica e l’alluminio, posti accanto alle scure essenze del wengè e a quelle diafane del rovere sbiancato o ai laccati nelle tinte chiare o forti. L’effetto e il risultato di questa tendenza è quello di produrre innovazione e originalità nel prodotto e di dare risposte pratiche al variegato mondo delle aree di gusto, rendendo la casa contempo-
ranea, al di là delle differenze concrete, una casa, in ogni caso, più pratica, tattile, versatile, rispetto a quella tradizionalmente intesa. Analogamente gli spazi espositivi: negozi di mobili, di oggetti per la casa o di abbigliamento e gli stand fieristici non rappresentano più la cultura individuale del proprietario, ma una molteplicità di culture differenti. I negozi o gli stand si presentano sempre più con l’immagine dell’architettura contemporanea, che rappresenta in modo riconoscibile la cultura collettiva del nostro tempo e che sembra fatta apposta per accogliere in spazi prestabiliti i prodotti da proporre alla vendita. In questi luoghi fatti di semplicità, di dominanza di linee e di superfici
orizzontali e verticali, in cui non vi è nulla che non sia assolutamente indispensabile si svolge anche la comunicazione della cultura aziendale. Messo in crisi il concetto di forma che deriva dalla sola funzione espositiva diventa protagonista la ricerca estetica. Perciò non lavorando sulle forme determinate unicamente dalla funzione, diventa necessario, nell’attuale competizione commerciale, progettare spazi sofisticati in cui i dettagli tecnici e i materiali di finitura vengono esasperati al massimo, pur procedendo per continue sottrazioni sino ad arrivare al puro concetto espressivo. Carlo Marelli e Massimo Molteni
C. Marelli e M. Molteni, stand ditta Gab, gruppo Misura Emme, Salone 2003.
C. Marelli e M. Molteni, stand ditta Pamar, Sasmil 2003.
Carlo Marelli e Massimo Molteni.
a cura di Maria Elisabetta Ripamonti
Intervista a Tiziana Lorenzelli Il substrato culturale rappresenta il punto di partenza di una progettazione innovativa e consapevole. Così come in architettura non si può prescindere dal contesto così nel design industriale non si possono elaborare idee interessanti senza informarsi, leggere i mutamenti comportamentali, le evoluzioni di tendenza e i cambiamenti socioculturali del tessuto in cui si vuole operare. Dovendo prendere come esempio un architetto-designer del territorio lecchese, ho pensato a Tiziana Lorenzelli, nata e residente a Lecco con un iter che l’ha portata ad esplorare diverse realtà internazionali spinta dalla volontà di misurarsi con diverse culture, con un’esperienza fortemente radicata agli aspetti didattici e culturali della progettazione. Laureata in architettura al Politecnico di Milano con Marco Zanuso, gli ha fatto da assistente fino al suo ritiro dall’Università. Dopo aver collaborato come cultore nel corso del prof. Alessandro Ubertazzi, ha insegnato per alcuni anni alla Ucla e all’Art Center College of Design di Pasadena. Dal 1997 è Professore a contratto di Disegno Industriale presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano. Quali sono gli aspetti più significativi del lavoro in ambito universitario? L’insegnamento universitario rappresenta da sempre un continuo stimolo alla ricerca e all’esplorazione di nuove tecnologie, di materiali, è possibile instaurare una simbiosi con gli studenti per cui la tua esperienza, il tuo insegnamento metodologico e la freschezza delle loro idee generano progetti straordinari. L’avere acquisito esperienze di insegnamento in una realtà come quella californiana, all’avanguardia sotto alcuni aspetti della progettazione, e con una ricchezza di etnie internazionali, prezioso serbatoio di differenti culture e ideologie, affina la sensibilità verso l’intuizione delle differenze attitudinali degli allievi, esalta alcuni aspetti di approccio al progetto che possono diventare fondamentali. Si percepiscono differenze anche all’interno del Politecnico tra studenti di design della Facoltà di Architettura e della Facoltà del Design che impongono al docente di calibrare il proprio insegnamento verso aspettative differenti; nel primo caso la progettazione segue a priori lunghe fasi di ricerca e di analisi e un approccio metodologico molto delineato, la progettazione sembra non essersi svincolata del tutto dalla cultura del me-
taprogetto utopistico, in pratica ci si concentra molto sull’aspetto concettuale del prodotto; nel secondo caso le attrezzature stesse e i laboratori avveniristici messi a disposizione dalla struttura universitaria stimolano la volontà di visualizzare nel più breve tempo possibile l’oggetto che si vuole progettare, con un riscontro oggettivo immediato. Un errore diffuso è rappresentato dalla scarsa considerazione nell’importanza dell’informazione, che attraverso la lettura dei quotidiani ti aiuta a percepire l’ambiente, mentre attraverso la specificità delle riviste del settore ti evita di effettuare inutili elaborazioni su prodotti già esistenti. Fortunatamente i progetti Erasmus in forte espansione consentono agli studenti di confrontarsi con diverse realtà. Il pregio dell’insegnamento del design è rappresentato dal suo dinamismo, in una società fortemente tecnologica i bisogni degli utenti variano repentinamente e le risposte a tali bisogni devono ricambiarsi con la stessa velocità. Un docente dovrebbe modificare i contenuti del proprio insegnamento stando al passo coi tempi. Per esempio oggi non si può parlare di arredo senza introdurre la domotica. La casa intelligente è diventato un tema di discussione in diversi ambiti, come pensi possa cambiare il design del mobile in funzione delle trasformazioni sociali e comportamentali indotte dall’introduzione delle nuove tecnologie? Se uno dei compiti del progettista è quello di perseguire l’innovazione intuendo precocemente le modifiche comportamentali per rispondere meglio ai bisogni, è proprio l’ambito domestico il luogo che maggiormente risente dei nostri mutamenti di stile di vita, in quanto cuscinetto di ammortamento tra l’uomo in evoluzione e il mondo esterno lavorativo e di interrelazione col prossimo. Nel concepire le abitazioni del prossimo futuro ci si concentrerà maggiormente sul contenuto tecnologico di gestione, di controllo e di comfort che sull’espressione di nuovi linguaggi estetici; vivremo in abitazioni sempre più sotto l’egemonia informatica e ci troveremo nella necessità di progettare nuove tipologie di arredi che integrino le tecnologie o che siano di corollario ad esse. La casa si arricchirà di radar, di telecamere, di monitor e il problema dei cavi rappresenterà il punto difficile del progetto delle abitazioni e dell’arredo, anche in presenza di alcune tecnologie senza fili. In sintesi l’arredo nell’immediato futuro, in parte già accessibile e collaudato, si concentrerà sull’individuazione di nuovi prodotti, compatibili con il network informatico. L’industria del mobile rappresenta per l’Italia un forte indotto economico, ma purtroppo risente più
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Lecco
Witch, design Tiziana Lorenzelli (foto: Matteo Piazza). di altri settori della situazione di crisi internazionale. Come vedi la situazione attuale del contesto dell’arredo? Le aziende del mobile stanno vivendo un momento molto difficile. Negli ultimi mesi abbiamo visto il passaggio di mano di importanti ditte a grandi finanziarie, mi riferisco ad esempio a Frau del Gruppo Charme, a Cassina del Gruppo Fimalac, a B&B del Fondo Opera; non si contano le aziende che chiudono o che sono in vendita, attanagliate dalla concorrenza e molto spesso a causa della difficoltà a trovare la continuità gestionale in famiglia. In questo contesto il compito del designer è fondamentale, non a caso lo stesso Presidente Ciampi ha spinto il Governo a promuovere lo scorso novembre il Primo Incontro Nazionale sul Design, con la volontà di instaurare un dialogo tra imprese, progettisti e istituzioni affinché il design, che negli ultimi cinquant’anni ha contribuito fortemente alla crescita economica italiana, possa in un’unione di intenti contrastare il declino industriale. Un altro serio problema che mina la qualità del progetto è rappresentato dall’abbreviazione della vita dei prodotti che implica uno
sforzo aziendale di ricerca costante di nuove idee e di nuove linee praticamente annuale. La velocità con cui i nuovi mezzi di comunicazione e di interrelazione propagano le idee in tutto il mondo, oltre a facilitare il fenomeno della copia, suggeriscono idee simili in diversi contesti, creando un’omologazione diffusa che rende il prodotto presto obsoleto. In questo panorama è difficile per un designer concepire il pezzo giusto, anche perché sempre più spesso le aziende tendono a vendere famiglie di oggetti rappresentativi di un determinato lifestyle, a cui ogni prodotto deve attenersi. Ciò non toglie che la recente selezione dell’Adi Design Index abbia premiato progetti edificanti per il made in Italy, anche se purtroppo i designer sono per la maggior parte stranieri. Come affronta un architetto il mestiere del designer? Penso che l’impronta dell’architetto sia impressa indelebilmente nel suo approccio progettuale. Personalmente ho cercato di fare tesoro degli ottimi insegnamenti ricevuti. Ho avuto modo di bilanciare la cultura e la serietà professionale di Sergio Crotti, l’impronta metodologica ulmiana di Maldo-
nado o di Zanuso con l’intuitività geniale, l’entusiasmo e la creatività di Achille Castiglioni, il perfezionismo e la dialettica di Alessandro Ubertazzi. Quando affronto la progettazione di un oggetto mi concentro particolarmente sull’utilizzo che se ne fa, immagino molti altri modi per espletare la stessa funzione mettendo a fuoco quello che potrebbe essere il migliore, met t o in discussione tutto ciò che viene dato per scontato per esplorare nuovi modi d’uso nel tentativo di progettare un prodotto innovativo.
Intervista a Romeo Sozzi Doveroso è apparso in questa sede il confronto con una realtà produttiva nell’ambito del design, con un’azienda che ha scelto di mantenere la sede amministrativa e produttiva in provincia di Lecco: la ditta Promemoria. Tale scelta si è rivelata vincente alla luce della crisi che sembra aver coinvolto molte aziende del settore che hanno adottato politiche aziendali diverse. Se la Brianza, infatti, dopo aver rappresentato per anni la voca-
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Serie da bagno Venezia, design Tiziana Lorenzelli, produzione Nito.
Pratiko, design Tiziana Lorenzelli, produzione Promemoria.
zione mobiliera per eccellenza, sembra aver perso negli ultimi anni questo primato, l’interpretazione dell’abitare di Promemoria, emblematico esempio di made in Italy, è motivo di vanto nel mondo. La ditta Promemoria di cui Romeo Sozzi è ideatore e proprietario riporta il design consumato fisicamente e virtualmente da un mercato di massa ad un’attività sofisticata grazie al gusto eccelso per i materiali pregiati, alla cura dei particolari, all’attenzione quasi ossessiva del dettaglio. Nei suoi mobili e componenti d’arredo sembrano convivere armoniosamente due culture diametralmente opposte: quella dell’innovazione, del cambiamento della ricerca continua di materiali diversi e la cultura orientale dalle fondazioni inamovibili, dagli statuti religiosi che non possono essere modificati, dal culto per l’armonia, la pace interiore, la meditazione, il ricordo e l’esaltazione di un passato sempre attuale. Romeo Sozzi inizia la carriera di designer agli inizi degli anni Settanta quando, su richiesta di clienti che esigevano prodotti particolari non riscontrabili nell’offerta del mercato di allora, inizia a disegnare e produrre componenti d’arredo che richiedono interventi mirati di artigiani con competenze diverse. Nel 1988 fonda Promemoria, il cui nome evoca attenzione, ricordo di qualcosa, Romeo Sozzi spiega perché lo ha scelto come denominazione sociale della sua ditta: “ Metto grande passione nel mio lavoro, sono sempre nel vortice di una miriade di attività. Non ho mai tempo a sufficienza per realizzare tutti i miei progetti, di conseguenza mi occorre sempre un Promemoria che mi consenta di ricordarmi ogni idea da portare avanti giorno dopo giorno” . In un’epoca caratterizzata dal dirompente sviluppo tecnologico, dall’apparente abbreviazione del ciclo di vita del prodotto, che ruolo hanno i Suoi componenti d’arredo così solidamente seducenti ed eleganti? A chi sono destinati i Suoi prodotti, a quale mercato estero in particolare? Non concepisco i miei prodotti per uno o più mercati specifici. Rimango fedele ai miei intuiti ed ai miei valori soprattutto al rispetto della natura, delle risorse rare ed eccezionali che ci offre. Amo la materia nobile quale il legno, il bronzo. Immagino di condividere questi valori con i destinatari finali delle mie realizzazioni. Considerato, inoltre, il mondo frenetico in cui viviamo penso che i miei clienti, con attività professionali spesso molto impegnative, abbiano la necessità di raggiungere il proprio equilibrio attraverso il comfort ambientale della propria casa. Mi auguro che i miei mobili, grazie all’utilizzo dei colori caldi e l’ottenimento di un’atmosfera suggestiva e riposante, possano offrire loro questa opportunità. Concepisco l’interior design per es-
sere “ indossato” come un capo su misura. I miei mobili s’intonano armoniosamente con ambienti nei quali vi sono mobili antichi di grande valore e di eccezionale realizzazione. La crisi economica ha travolto il lavoro artigianale, che ha caratterizzato per anni le aziende nel nostro territorio, è scomparsa l’impronta dell’uomo a favore di una dilagante standardizzazione, della produzione a basso costo nei paesi dell’est o asiatici. In un tale scenario come riesce Promemoria ad essere motivo d’orgoglio nel mondo dell’ambito produttivo lecchese? Che cosa determina il suo successo? Nell’attuale scenario del design italiano convivono, a mio parere, due correnti, due realtà distinte. Il design industriale, più competitivo, più minacciato dalla concorrenza della produzione a basso costo ed un design artigianale, alla ricerca di autenticità, di una risposta “ su misura” con un forte desiderio di mantenere le tradizioni. Il mio design appartiene a quest’ultima corrente: forse risulta più difficile da mantenere ma è senza dubbio molto meno minacciata. Spesso ho la sensazione di andare contro corrente difendendo i valori del lavoro fatto con amore, con passione. Questo lavoro, inoltre, richiede tempo e, di conseguenza, una produzione in piccole serie. Aderisco alla logica di una produzione di qualità, tradizionale, non industriale. Il mio desiderio è quello di stare vicino al concetto di natura e delle sue meravigliose materie. Sono stato educato in un ambiente in cui vi era un grande rispetto per la tradizione d’ebanista: mio padre restaurava mobili di grande valore, mio nonno anche. Credo fortemente nella tradizione familiare ed oggi il mio compito è trasmetterla ai miei tre figli. Com’è stato l’incontro tra Tiziana Lorenzelli, designer, e Romeo Sozzi in veste di produttore? Lavorare insieme per la realizzazione di Pratiko si è rivelata un’esperienza interessante e stimolante. Ho colto in lei una preoccupazione per il dettaglio ed un’autentica conoscenza della materia, è una persona che condivide la mia stessa sensibilità... Augurando a Tiziana Lorenzelli e Romeo Sozzi molto altri successi professionali vanto per la nostra realtà lecchese Li ringrazio per la disponibilità e collaborazione, per il loro contributo all’analisi del mondo del design italiano e dell’arredamento degli interni. M. E. R. Promemoria Uffici ed amministrazione a Valmadrera (Lc). Show room: Lecco, via Roma 47; Milano, via Montenapoleone 8 e via Bagutta 13.
a cura di Sergio Cavalieri
La realtà mantovana Sebbene il territorio mantovano si presenti come prevalentemente agricolo, esistono realtà industriali importanti: queste, in alcuni casi, costituiscono un tessuto produttivo a tal punto rilevante nella propria zona che arrivano a caratterizzare aree precise. Si pensi al distretto della calza nella zona nordovest di Mantova, al distretto del legno nel Viadanese e a quello della metalmeccanica a Suzzara. Esistono poi singole aziende che, distribuite in modo puntiforme sul territorio, rappresentano realtà produt t ive import ant i che abbracciano diversi settori: dall’arredamento per interni, all’abbigliamento, alla lavorazione di materie prime, alla chimica, alle aziende alimentari. In alcuni di questi settori è comune l’uso del design come elemento di definizione del prodotto. Non esiste un’unica soluzione relativamente a chi si occupa di design nelle aziende: in certi casi queste si avvalgono di collaboratori esterni, in altri sono dotate, al loro interno, di un Centro Studi. Sono stati presi in esame, a titolo esemplificativo, alcuni casi aziendali del nostro territorio per capire il rapporto tra design e prodotto. Nel Gruppo Frati s.p.a., importante realtà internazionale nella produzione del pannello truciolare, Mdf, nobilitati e laminati plastici, il design è finalizzato a realizzare soluzioni decorative e nuovi modi di applicabilità del pannello. “ Il pannello d’arredo è per il mobile ciò che il tessuto è per l’abito: questo deve pertanto calzare con le necessità del prodotto finito e del mercato in generale” dice la Responsabile pubbliche relazioni Maria Luisa Frati. Per questo target lavora un team di dieci esperti con competenze differenziate che si occupa di cogliere tendenze di mercato, nuove metodologie e trend di applicazione del prodotto in una logica di continuo aggiornamento delle proprie conoscenze. Dal pannello d’arredamento si passi a considerare, sempre attraverso l’analisi di un caso aziendale, la sua concreta applicazione. Il gruppo Mario Saviola, leader europeo nella produzione del pannello truciolare, ha creato al proprio interno un’unità specifica, la Composad s.r.l., specializzata nella produzione di mobili in kit destinati alla distribuzione su larga scala. Dice Giuseppe Di Nunzio, Direttore operativo dell’azienda: “ I nostri sono prodotti di largo consumo e per questo la praticità è una caratteristica fondamentale che deve essere presente sia nell’uso del prodotto stesso, sia nella fase di mon-
taggio che avviene ad opera del consumatore” . Questo non significa che l’attenzione ad un buon design non sia un elemento importante: “ I prodotti proposti hanno contenuti estetici crescenti, in accordo con le esigenze del consumatore attuale” . Il disegno di prodotto è affidato, anche in questo caso, a sei disegnatori interni, con diploma prevalentemente tecnico e la cui formazione è avvenuta principalmente sul campo. Nell’ambito dell’arredo per interni l’azienda Gonzagarredi s.c.r.l. applica il design alla creazione di arredamenti di scuole di infanzia, ludoteche, e in genere a tutti gli ambienti destinati all’accoglienza dei bambini. In questo caso la filosofia di design è particolarmente strutturata in quanto attenta alle esigenze di un fruitore particolare: il bambino. Ne è diretta conseguenza non solo l’attenzione per funzionalità ed estetica, ma anche per sicurezza dei materiali, armonia cromatica e formale intesa come “ metafora del cambiamento armonioso che è crescita e sviluppo del bambino” . Continua il Presidente Giuseppe Marangon: “ Per rispondere a queste necessità all’interno dell’Azienda è stato creato un Centro Studi e ricerche che si avvale, oltre che di personale interno, anche della collaborazione di docenti universitari, professionisti ed esperti nei settori specifici in cui l’Azienda opera tra cui, oltre all’arredamento per il settore infanzia, anche quello dell’arredo multifunzionale di biblioteche ed edifici rivolti alla cultura” . Sempre nell’ambito del design di interni Ponti arredamenti s.a.s., che dal 1954 disegna e produce arredamento per interni, è strutturato, relativamente al settore progettazione, in due livelli: “ Il primo” afferma Ermes Silvio Ponti, titolare dell’Azienda “ è finalizzato al layout di prodotto, mentre il secondo è dato dalla progettazione di dettaglio, che permette di individuare nel particolare tutti i singoli componenti del prodotto di modo che esso possa essere concretamente realizzato” . Lo staff di disegnatori è composto principalmente da architetti per quanto riguarda il primo livello e da disegnatori tecnici per quanto riguarda il secondo. La filosofia aziendale, relativamente al design, è fedele all’analisi delle necessità del consumatore. Prosegue, infatti, il titolare: “ Il nostro progetto nasce dall’interpretazione delle esigenze funzionali ed estetiche del consumatore: non un generico consumatore ma il nostro cliente che cerca nei suoi arredi l’espressione del suo stile di vita e di se stesso” . Un design che nasce dallo studio del rapporto tra uomo, ambiente e tecnologia è il tratto caratteristico della Mastruzzi s.r.l., azienda che produce arredo d’ufficio. “ Nel realizzare le nostre idee” , dice il titolare Piergiovanni Mastruzzi, “ partiamo dallo studio delle esigenze dell’uomo nel proprio ambiente di lavoro per offrirgli rispo-
ste che rendano questo spazio funzionale, pratico, flessibile, adatto, cioè, a t enere il passo con un mondo, quello del lavoro, in costante mutamento” . Sempre nel settore dell’arredamento per ufficio, Manerba s.p.a. per la realizzazione delle proprie idee si avvale di uno studio di progettazione interno composto da circa quindici architetti e di collaborazioni esterne con designer specializzati nel settore. “ Ritengo che il design” dice Elisa Manerba, amministratore delegato dell’azienda “ sia un fattore di competitività aziendale: per raggiungere questo risultato è condizione imprescindibile un continuo aggiornamento dei nostri progettisti i quali studiano le nuove tendenze del design. Per facilitare il loro lavoro e per rispondere meglio alle richieste della committenza l’Azienda ha creato un nuovo pacchetto software per la progettazione del layout d’ufficio che verrà presentato in occasione dei prossimi eventi fieristici a carattere internazionale” . Nell’ambito del design d’interni un settore particolare è quello in cui opera Welonda: si tratta di un’unità organizzativa interna a Wella Italia s.p.a. che disegna arredo per negozi di parrucchieri. In questa Azienda il progetto di design si realizza in tre fasi: l’input, cioè l’ispirazione iniziale, nasce dall’ufficio product marketing che, studioso delle tendenze del design, definisce la strategia di prodotto. Il layout viene poi affidato a designer esterni all’azienda, mentre la realizzazione di dettaglio avviene ad opera dell’ufficio tecnico interno. La filosofia che sta alla base di ogni idea è, come spiega Manola Sgarbi, responsabile dell’unità organizzativa: “ semplicità formale in complessità tecnica” , cioè forme essenziali, mai ridondanti, coniugate ad un elevato grado di funzionalità” . Una realtà specifica del design di interni è quella del bagno: in questo ambito da oltre trent’anni Agape s.r.l. realizza prodotti che hanno segnato una svolta nel settore inaugurando nuove tendenze ed orientamenti. Anche in questo caso il concept design assume un ruolo centrale: il ricorso a materiali alternativi alla ceramica come legno, marmo, exmar porta ad una continua sperimentazione di forme e colori nuovi, quindi ad un progetto che nasce e matura assieme allo studio delle caratteristiche e potenzialità della materia. La fase della realizzazione pratica dell’idea iniziale, suggerita da designer interni o esterni all’azienda, è affidata all’ufficio tecnico interno composto da sei disegnatori progettisti, coordinati da un responsabile. “ Design a 360 gradi” è la caratteristica di Novellini s.p.a. azienda specializzata nel disegno e produzione di box, cabine doccia e vasche da bagno. In questa realtà, come spiega il Responsabile design Silvano Cuzzi, il settore de-
sign viene coinvolto non solo nell’ideazione e realizzazione concreta del prodotto, ma anche nel packaging e lancio pubblicitario del prodotto finito. Il tutto avviene ad opera di un ufficio tecnico composto da dieci persone formate sia sul campo, sia attraverso corsi aziendali. Un tipo di design particolare è quello legato alla illuminazione di grandi spazi: Coemar s.p.a. che da oltre settant’anni crea e produce sistemi di illuminazione per teatri, studi televisivi e grandi eventi in tutto il mondo, nella persona del Responsabile ufficio marketing Fausto Orsatti afferma: “ Creiamo proiettori che disegnano la luce, fonti inesauribili di proposte capaci di soddisfare le esigenze di ogni light designer” . In questo caso il design di prodotto si basa soprattutto sullo studio della potenzialità della luce, della sua performance, capacità di comunicare e diventare elemento materiale che disegna spazi. Anche l’arredo delle aree aperte è oggetto di studio e fase conclusiva di una filosofia di design che parte dall’analisi dell’ambiente esterno per creare soluzioni in armonia con esso ed “ idonee a risolvere le problematiche più ricorrenti nella progettazione degli spazi pubblici” spiega Fabio Bortesi, Responabile dell’ufficio commerciale di Calzolari s.r.l., azienda produttrice da oltre vent’anni di arredo urbano. Nel settore metalmeccanico la Berman s.p.a., uno dei principali produttori europei di componenti per l’industria dell’auto attua il proprio design in rapporto sinergico con le case auto per le quali lavora: da qui la stretta interazione tra reparto Sviluppo interno, nel quale lavorano venti persone tra disegnatori, gestori progetti, addetti alla prototipazione e Centri Stile delle case auto. Un altro settore che si vuole considerare in quanto esemplificativo del ruolo del design nelle aziende mantovane è quello tessile. Sergio Corneliani, direttore stilistico di F.lli Corneliani s.p.a. nella realizzazione delle proprie idee segue un concept design rivolto ad un consumatore attento, che sceglie e al quale piace scegliere. È in questo senso che si è mossa l’azienda creando la possibilità per il cliente di personalizzare il design Corneliani secondo il proprio gusto, potendo scegliere le finiture e i dettagli del capo d’abbigliamento. Impegno per un design vincente nell’ambito di un mercato complesso e differenziato è invece elemento caratteristico della filosofia di design di Lubiam s.p.a. “ Vivere dentro il mercato” , dice Mario Lencia, responsabile pubbliche relazioni “ significa disegnare prodotti vendibili, pensati per target diversi: le nostre proposte rispettano quella che in sociologia è chiamata stratificazione sociale” . Uno staff stilistico interno, composto da cinque elementi di formazione
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prevalentemente tecnica e da un coordinatore laureato in disegno tessile industriale costituisce il principale punto di forza dell’azienda. Lo stilista Gianluca Borgonovi titolare dell’Officina s.r.l. afferma “ in un settore frenetico dove cambiamento ed evoluzione portano a mutare velocemente i parametri di valutazione, il mio impegno è quello di disegnare capi ‘comprensibili’, messaggi chiari ed immediati, facili da recepire” . Il concept design parte dallo studio dei materiali, delle forme, dei colori ed arriva all’ambientazione dei capi realizzati. “ Per l’esposizione dei miei capi” continua lo stilista parlando del proprio show room mantovano “ ho voluto un’ambiente essenziale, minimalista, ma caldo e ricercato: un surplus che aiuta a recepire il mio messaggio” . Per completare il quadro del design nella nostra provincia, vogliamo ora soffermarci sui professionisti che fanno design. Benedini Associati composto da Giampaolo, Bibi e Camilla Benedini, studio attivo nel design in settori diversi progetta prodotti sia tecnici che prevalentemente estetici. “ Nel realizzare una nuova idea” dice Giampaolo Benedini “ parto dall’analisi delle abitudini delle persone. Questo significa adottare una prospettiva complessiva iniziando da quello che definisco il ‘carattere sociologico’ dell’oggetto; questo aspetto è la definizione della risposta che voglio dare alle necessità delle persone e alle loro aspettative” . Una filosofia di design che nasce, quindi, dalla vita di tutti i giorni, a partire dai particolari più semplici, indicativi di nuove istanze e desideri. Raffaello e Tobia Repossi, designer mantovani, svolgono attività di progettazione nel campo dell’interattività e della comunicazione in generale. La loro filosofia di design si basa sull’interazione oggetto-utente; pensano che fare sia l’anticamera della conoscenza ed il loro claim è “ Se odo dimentico, se vedo ricordo, ma se faccio capisco” . Massimo Canali, graphic designer, nel suo studio si occupa di corporate image, packaging, grafica editoriale, web e product design. Nella realizzazione delle proprie idee adotta una prospettiva a tutto campo, in cui la dimensione globale della comunicazione è punto di partenza per lo sviluppo di qualsiasi progetto. Afferma, infatti, il designer mantovano: “ Il mondo della grafica e del design vivono in una dimensione dove si integrano identità di marca, ricerca e produzione. Nel nostro lavoro sempre più spesso capita che il cliente non chieda solo un singolo prodotto, ma un intero sistema di comunicazione integrato. Questo significa unificare tutti gli aspetti della grafica e del prodotto, fino all’architettura e alla consulenza per aiutare l’azienda ad individuare una giusta identità di corporate” . Prospettiva di insieme è anche quella di Chiara Bondavalli, desi-
gner mantovana specializzata in disegno industriale: “ Il design, inteso come processo di progettazione ha una valenza che trascende il singolo settore di applicazione: ha la stessa importanza sia che si parli di un mobile, di un pacchetto di software o di un servizio. Il design è spazio di riflessione in cui confluiscono stimoli, esperienze, sensazioni e relazioni appartenenti ad uno spazio di 360°. Concretizzare al meglio questa riflessione sta poi nell’abilità del progettista” . Questo excursus sul design nel territorio mantovano, lontano dal voler essere una ricerca esaustiva, dimostra come questo, nato inizialmente come studio per le produzioni in serie ed esteso poi anche al prodotto di nicchia, sia oggi un aspetto imprescindibile di ogni realtà produttiva. Esso è ricerca di una risposta significativa che l’azienda e il professionista vogliono dare ad un mercato complesso e costituisce il comune denominatore per la buona realizzazione delle proprie idee. In questa logica il design è analisi che parte dalla nostra cultura civile intesa come tradizione, modo di vivere il presente e aspettative per il futuro. Giampaolo Benedini
Milano a cura di Roberto Gamba
Design e architettura d’interni a M ilano Milano, metropoli al centro di una regione altamente produttiva in ogni settore, è stata culla del disegno industriale. Sono contigue al suo territorio aree di specializzazione per la creazione di arredi, di oggetti e di “ moda” . In questo senso, già da alcuni decenni ha lanciato una significativa immagine di sé, nel mondo. L’attività di progettazione che vi si svolge, nell’ambiente professionale dell’architettura civile, di quella di interni, della grafica editoriale e dello stile, è portatrice di “ tendenze” e stimolo ideativo per vari campi produttivi. Oggi, pur se questa originalità si è attenuata, la città è sempre la sede delle riviste di architettura più prestigiose e il centro della finanza produttiva di ogni tipo di manufatto. Essa esprime questa sua creatività in modi e forme diversi. Per lungo tempo la città ha vissuto un blocco delle grandi opere e solo da alcuni mesi le idee di sviluppo sembrano avere ricevuto nuovo impulso. Però esse sono presentate in molti casi con un provincialistico aspetto di grandiosità, che è manifestato da coloro che si fanno ammaliare più dal prestigio dei grandi studi internazionali (società di progettazione, di cui è odierna abitudine in Italia lamentare la scarsità), piuttosto che dalla qualità “ di sostanza” di tanti professionisti, abituati – qui – a cimentarsi con le “ piccole opere” . Per questo motivo, Milano stenta a instaurare, con la sua numerosa comunità di architetti, un rapporto che onori del tutto l’aspetto culturale della disciplina del buon costruire. Essa offre, almeno con le opere di arredo, di allestimento, di produzione in serie, un campo di applicazione “ minimalista” sempre assai significativo. In queste pagine, vengono presentati alcuni esempi di impegno progettuale, per il design e l’arredo di interni, di differente metodo applicativo: quelli di Fabio Novembre, di Edoardo Guazzoni, di Michele De Lucchi e un saggio di Anty Pansera, storica del design, che non fa parte della comunità degli architetti, ma che è voce assai autorevole sull’argomento. Fabio Novembre, in pochi anni di carriera, ha raggiunto un successo internazionale: nato nel 1966 e laureato nel ’92, ha realizzato, oltre che in Italia, a Hong Kong, Londra, Singapore, Taipei, Stoccarda, Barcellona, New Orleans, Parigi, New York, Berlino, negozi, bar-ristoranti, discoteche, alberghi (Anna Molinari – Blumarine Store; Tardini Store; B Square Multibrand
Store; ON natural wellness center); ha disegnato per B&B, Cappellini, Bonacina, Uliveto; a Milano ha realizzato il Cafè l’Atlantique, in viale Umbria 2, nel 1995, lo SHU Cafè, nel 1999; il negozio di via Spiga 1a, Milano 1999; il Mia Divina Club, nel 2001; il Bisazza Store, nel 2002. Nelle foto di Alberto Ferrero: il centro espositivo Bisazza in via Senato 2 a Milano 2002 (pavimenti e rivestimenti a parete in opus romano/glass mosaic, artistic mosaic); lo SHU Cafè in via Crocefisso 27 a Milano 1999 (pavimenti opus di Bisazza e resin di Fabio Carlesso, rivestimenti black velvet, broken glass sheet, and alluminium spray); Divina Disco, via Crocefisso 27, Milano 2001 (pavimenti e rivestimenti a parete in glass mosaic Bisazza – grés ceramico). Edoardo Guazzoni da alcuni anni trasforma i negozi “ Vergelio” , a Milano meta tradizionale, per l’acquisto delle calzature. Numerosi sono i punti vendita che l’omonimo imprenditore commerciale ha ereditato dal padre e che uno per volta sta rinnovando; un gruppo di locali, che si trovano in varie zone della città (e nel centro di Monza), che trasmettono alla clientela la sicurezza del marchio, senza appartenere a una società distributrice di un unico prodotto. Sono nuovi allestimenti attuati con passione e con estrema cura; ripetono uno “ stile” , senza proporre elementi di arredo fatti in serie; sono realizzati da artigiani qualificati, che il progettista coordina per esprimere un’idea d’architettura e non solo un “ concept” commerciale (via Montenapoleone, Vierre 1998; via Torino, Marilena 1998; corso Vittorio Emanuele, Marilena 1999; corso Vittorio Emanuele, Vergelio 2000; Monza, piazza Roma, Marilena 2001; piazza Baracca, Vergelio, 2003). M ichele De Lucchi è un disegnatore affermato da molti anni; è nato nel 1951 a Ferrara e si è laureato a Firenze. Ha disegnato lampade, elementi d’arredo e prodotti per Olivetti, Compaq Computers, Philips, Siemens, Vitra; ha progettato e ristrutturato edifici per uffici, in Giappone, Germania e Italia; è stato incaricato della riqualificazione di alcune centrali elettriche Enel. Suoi interni sono in uso per Deutsche Bank, Deutsche Bundesbahn, Enel, Telecom Italia, Banca Popolare di Lodi. Ultimamente ha ottenuto notorietà per aver trasformato con razionale eleganza non solo gli ambienti delle agenzie postali (PT italiane) disseminate per la penisola, ma per aver impresso positività e allegria al rapporto tra i cittadini e gli sportelli delle poste; inoltre per aver riproposto unitarietà e autorevolezza di immagine a queste strutture istituzionali, nello stile degli enti pubblici della migliore Italia. Rispetto ai termini del progetto, centrale è stata la ridefinizione del
E. Guazzoni, disegno prospettico dell’ingresso del negozio Marilena di via Torino, Milano.
F. Novembre, SHU Cafè, Milano, 1999 (foto di Alberto Ferrero).
E. Guazzoni, negozio Vergelio di piazza Baracca, Milano.
F. Novembre, Divina Disco, Milano, 2001 (foto di Alberto Ferrero).
E. Guazzoni, negozio Vergelio di corso Vittorio Emanuele II, Milano.
M. De Lucchi, l’ufficio postale di via San Simpliciano, Milano, 1999.
M. De Lucchi, Caffè Fast Web, allestito all’interno del Teatro Franco Parenti, Milano, 2002 (foto di Santi Caleca).
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F. Novembre, centro espositivo Bisazza, Milano, 2002 (foto di Alberto Ferrero).
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M. De Lucchi, salone delle Poste italiane in piazza Cordusio, Milano, 2002 (foto di Santi Caleca). bancone di sportello, composto di un elemento di fronte e da uno schienale concepiti insieme come modulo unico standardizzato facile da produrre immagazzinare e installare; sostituisce il tradizionale bancone blindato che costituiva una barriera percettiva molto negativa tra azienda e pubblico; è composto da tre piani distinti predisposti ciascuno per l’operatore, il cliente e il transito dei documenti. Suo è anche il merito della recente proposta grafica che distingue per strada le insegne di “ Banca Intesa” . Lo scorso anno ha realizzato i nuovi allestimenti per gli spazi di ingresso della Triennale di Milano. R. G.
Il design italiano: definizioni, riflessioni, prospettive... Se tutti i nostri gesti più quotidiani, dallo spegnere la sveglia al mattino al farsi il caffè, dal prendere la metropolitana al guidare l’automobile, dal guardare l’orologio al sedersi a pranzo o in poltrona, dall’accendere il televisore al digitare sulla tastiera del computer, al seguire indicazioni per girare una città (ma non solo) continuano a essere “ serviti” dal design – “ progettati” anche i quotidiani o i magazine che sfogliamo e i files che apriamo o nei quali navighiamo – e se questo termine anglosassone continua a definire internazionalmente e a concretizzare il rapporto progetto/prodotto, meglio, forse, progettazione/produzione ancora nel XXI secolo, sono probabilmente “ altre” le definizioni che si possono dare di “ quella particolare categoria di progettazione per l’industria (ossia per gli oggetti da prodursi in serie attraverso metodi e sistemi industriali) dove al dato tecnico si unisca un elemento estetico” , come scriveva Gillo Dorfles agli inizi di quegli anni Cinquanta che hanno sancito l’esordio del design made in Italy. “ Altre” definizioni perché quasi ogni termine di quella definizione è mutato, nello scorrere dei decenni e ci si deve ormai interro-
gare su cosa significhi oggi “ progettare” : per un mondo “ globale o locale?” ; per l’industria: piccolamedia-grande?; con quali valenze/elementi “ estetici” ? E su chi è (cosa incarni) il committente e/o il fruitore, il designer ancora “ a cerniera” tra i bisogni dell’utente e i meccanismi del processo produttivo, in un ruolo, in fin dei conti, di mediatore – come ebbi modo di scrivere – a sintetizzare dunque, quasi, l’antica cultura della forma con l’arte applicata e la tecnologia in un trinomio ben caratterizzato che lasciava intravedere perché proprio il disegno industriale del nostro Paese abbia conosciuto e continui a conoscere (?), t ant a f ort una nel mondo? Altre definizioni, anche perché si è decisamente allargato il campo d’intervento di questa figura professionale, il designer, che è ormai “ uscito” dall’ambito domestico e da una microscala elaborativa – anche se sono ancora troppo numerosi gli studenti che continuano a sognare di cimentarsi con quella “ palestra” che è stata la seduta – sta confrontandosi e intende intervenire (per quel che le è permesso) anche con gli spazi e i servizi pubblici, nonché con il “ virtuale” . Figura professionale che se ai suoi esordi affondava la sua formazione/preparazione sia nel campo delle arti figurative anche tradizionalmente intese (sia pur nelle “ avanguardie” : e ricordiamo Nizzoli e Munari, Colombo e Mari) che nelle Facoltà d’Architettura (e come non citare Albini, i fratelli Castiglioni, Minoletti e Zanuso? o, ancor prima di loro, Gio Ponti impegnato in una complessità di settori, dalla microscala del soprammobile alla pianificazione urbanistica alla divulgazione! ), ma coinvolgeva anche degli outsider (Rodolfo Bonetto batterista, per non fare che un nome): un designer, allora – il designer italiano – che non è mai “ specialista” e sempre protagonista. Nessuna scuola ad hoc a prepararlo: oggi, invece, e fin dall’ultimo decennio del secolo breve che si è appena concluso, il designer ha a propria disposizione più luoghi di formazione. A Milano una terza
Facoltà del Politecnico appositamente costituita per questo scopo, in Bovisa. Ha più di sessant’anni, ormai, la storia del disegno industriale italiano, a coincidere, in molti casi, con quella milanese, meglio lombarda (attenzione però ad una lettura troppo milanocentrica! ): se datiamo la sua nascita a quel 1940 quando, nel Palazzo dell’Arte della Triennale di Milano, per la VII edizione, l’architetto Giuseppe Pagano sancì il passaggio dall’artigianato meccanizzato – che caratterizzava il protodesign (un termine che ebbi a coniare in occasione della rassegna milanese “ Gli anni Trenta: arte e cultura in Italia” , nel 1983) – alla produzione industriale, presentando i primi prodotti di aziende che tenevano esplicitamente conto, appunto,del processo industriale come modello metodologico di progettazione. E allora Fiat, Olivetti, Triplex, Caproni, Lagomarsino, Brigatti, Pirelli, Richard-Ginori, Salmoiraghi: il tema era lo standard, che per i razionalisti concretizzava il principio di socialità e qualità, una scelta morale e pedagogica, più che economica e produttiva. “ Socialità e qualità” : compie proprio quest’anno il mezzo secolo uno dei premi più prestigiosi di questo settore, il Compasso d’Oro, voluto da un grande magazzino milanese, La Rinascente, su convinto suggerimento di Ponti e Alberto Rosselli. Come a dire prodotti di buona qualità materiale e formale e a disposizione di tutti. La strada “ etica” che invitava a seguire la “ Domus” storica (auguri alla nuova serie! che ritrovi la “ contemporaneità” degli esordi) e, poi, nel secondo dopoguerra, la testata dalla troppo breve vita, “ Stile Industria” , diretta da Rosselli, molti i servizi e le riflessioni che varrebbe la pena di rileggere. Il design, comunque, come progetto – non possiamo nascondercelo – di una Milano orgogliosa e forte nata dalla Ricostruzione, dove il rapporto fra arte e industria risaliva agli anni Trenta, alimentato dalla fittissima rete di laboratori artigiani, pubblicazioni di settore, e soprattutto nella promozione di grandi istituzioni come la Triennale e di vetrine internazionali come la Fiera campionaria; il design come ricerca nei “ favolosi” anni Sessanta e come laboratorio, anche ideologico, nei Settanta. Dopo, la storia italiana, anche quelle del progetto, sarà un’altra cosa. Anche il disegno industriale italiano, fenomeno di cultura, progettualità e produttività che ha sempre costituito una specificità italiana proprio perché profondamente innestato sulla storia complessiva del Paese, mai avulso da quanto si pensava e si immaginava, si creava e si disgregava nella società è stato travolto dalla complessità – e ambiguità – della nostra storia recente. Anty Pansera
Pavia a cura di Vittorio Prina
Poggi e il design italiano Ho incontrato di nuovo Roberto Poggi, un “ giovanotto” di 79 anni titolare dell’omonima ditta, ad alcuni anni di distanza dall’ultima intervista. Poggi ha contribuito sostanzialmente alla storia del design italiano, producendo la maggior parte degli arredi mobili progettati da Franco Albini (una collaborazione durata una vita), e realizzando opere per Franca Helg, Marco Zanuso, Vico Magistretti, Marco Comolli, Ugo La Pietra, Gianf ranco Gasparini, Af ra e Tobia Scarpa e altri, con un catalogo di più di ottanta pezzi in produzione e decine di progetti, studi, prototipi; sette pezzi di sua produzione sono esposti al Museo della Triennale di Milano, quattro fanno parte di una mostra itinerante nel mondo sui cento migliori esempi del design italiano e, dallo scorso anno, la poltroncina “ Luisa” di Albini è espost a permanent ement e al MOMA di New York. Ho ritrovato in lui l’entusiasmo di sempre che mantiene frequentando giovani architetti che fanno stage presso la sede della ditta e studenti che redigono studi e tesi sulle opere di design o sulla storia della ditta stessa, collaborando con il Politecnico di Milano e offrendo consulenze per altre industrie di design, anche se t raspare uno sconforto dettato dalle difficoltà sempre maggiori nel proseguire con la continuità e la qualità che contraddistingue il suo lavoro a causa della mancanza di personale specializzato. La produzione di Poggi, sempre affidata ai migliori progettisti, è sempre stata sostenuta da falegnami con un altissimo livello di specializzazione e di capacità esecutiva, e non vi è stato assolutamente l’opportuno ricambio. L’operaio specializzato secondo Poggi deve avere la consapevolezza dell’importanza del lavoro che svolge e dei “ pezzi” che realizza, in un rapporto dialettico con il progettista e il produttore, sia che si tratti di un falegname, di un imbottitore o di un lucidatore; oggi manca totalmente la possibilità di apprendistato. A Pavia, secondo Poggi, l’artigianato è scomparso: quattro aziende con 500 operai specializzate in arredo per la casa sono state chiuse, e qualsiasi iniziativa è lasciata al privato senza alcuna sovvenzione. Alla fine degli anni Ottanta era stata creata una “ scuola del legno” di ottima qualità e con un iniziale entusiasmo che si era allargato anche alla provincia, ma dopo due anni è stata chiusa per carenza di allievi. Poggi critica anche alcune industrie che costringono il giovane progettista ad adattarsi a mate-
Vorrei approfondire meglio il rapporto che secondo lei esiste tra progetto e produzione, quel particolare confronto che viene a crearsi tra “ Poggi progettista” ed un progettista “ esterno” , credo, infatti, che non si possa mai parlare di una richiesta “asetticamente” separata da un diretto rapporto progettuale con lei. La produzione è legata in maniera inscindibile alla progettazione intesa non come indotto di una committenza distaccata e non partecipativa, ma come insost it uibile relazione di complementarietà. Tutto ciò è molto vero. Noi non abbiamo mai sentito la necessità di progettare per “ committenza” ; la progettazione determinata soltanto da necessità commerciali non ha in sé alcuna carica: se da una parte c’è il progettista e dall’altra soltanto il realizzatore, l’unica mediazione è quella della matita o del tavolo da disegno. Io credo invece ci debba essere il desiderio da parte di entrambe di creare qualcosa assieme. Desiderio e non necessità, altrimenti il fatto progettuale diventa meno poetico. (...) Noi ad esempio produciamo in piccole serie, a lotti dai trenta ai cento pezzi. È quindi una scelta motivata quella di non programmare una produzione su vasta scala, di non acquisire semplicemente dei diritti d’autore, di contenere le dimensioni della azienda per una migliore qualità? Io non posso che “ esprimermi” così, conservando il piacere di lavorare senza particolari scadenze. Questo atteggiamento può costituire una limitazione? Certo ma a me è sufficiente che alcuni architetti, progettando un oggetto, pensino che potrebbe essere prodotto solo da noi: allora si comincia a lavorare assieme. Lavorare insieme in un senso quasi esclusivamente artigianale... Ma sempre con dei contenuti altamente tecnologici; un progettista che entra in contatto con questo tipo di artigianato trova senz’altro il miglior modo per esprimersi. Ogni nostro prodotto è stato pensato e realizzato dal progettista qui con noi. Mai abbiamo messo
a catalogo pezzi sviluppati secondo altre strade (...) Questo processo di chiarificazione e risoluzione fa sì che analizzando i novanta pezzi prodotti dalla nostra azienda sino ad oggi posso affermare che tutti sono stati mantenuti esattamente come erano nati, non hanno mai avuto bisogno di modifiche. Pensi alla libreria “ LB7” di Albini del 1957: ha ancora gli stessi componenti, le stesse viti, il pezzo di ricambio è identico al primo che è stato prodotto. Quanto è lecito, allora, rimettere in produzione un mobile disegnato per esempio negli anni ’50 apportandovi modifiche suggerite da ragioni commerciali? Per quanto mi riguarda non è lecito. Le spiego analizzando ancora la “ LB7” : in essa non è necessario apportare alcuna modifica perché non vi è nulle da aggiungere e nulla da togliere; potrei forse realizzare i mobiletti che si inseriscono tra i montanti in maniera più economica, ma non con un eguale “ valore” artigianale. Prendiamo poi il “ Cicognino” . L’unica esigenza che sento è quella di renderlo smontabile. Ma il “ Cicognino” è nato smontabile! Si trattava originariamente di un trespolo con un vassoio che si poteva togliere. La “ Luisa” è nata anch’essa smontabile, solo in seguito, a causa di alcune difficoltà poste dai rivenditori e di problemi insiti nella tecnologia del tempo, è stata realizzata tramite incollaggio; oggi la “ Luisa” è nuovamente smontabile, le giunzioni delle spalle con le traverse sono ottenute meccanicamente. Nella prima edizione vi erano, nel bracciolo e nelle traverse, tre spine, delle quali una di bloccaggio in metallo e le altre due in legno che impedivano la rotazione; ora è stato deviato l’asse del bloccaggio e rimangono solo due spine, l’asse di rotazione è neutro. Il sedile del 1950 è in tutto uguale a quello del 1990. La scrivania “ Stadera - SC27” , sempre di Albini, nasce negli anni ’50 con base in marmo, colonna in metallo e piano in legno: poi per ragioni economiche, con Albini, abbiamo realizzato una base in fusione. Se dovesse essere rimessa in produzione, come prevediamo, si ritornerebbe all’idea originale: tornire il marmo trenta anni fa costava moltissimo, ora decisamente meno. (...) Tornando invece ai progettisti, oltre che con Albini con chi ha collaborato in questi anni? Prima di tutto voglio far notare come ogni architetto, lavorando con noi, ha progettato in maniera decisamente diversa rispetto a quando disegnava per altri: questo proprio per quella particolare atmosfera di collaborazione di cui abbiamo parlato. Magistretti ci conosceva per i lavori che avevamo realizzato, la nostra collaborazione nasce alla fine degli anni Sessanta: è un progettista di grandi capacità riflessive che pone particolare at-
Franco Albini, Sdraio a dondolo PS16, 1959.
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riali, tecnologie e alla “ linea” del produttore, senza possibilità di orientarsi verso tecnologie particolari e meno standardizzate. I pezzi della più recente produzione di Poggi (anni Novanta), sono un tavolo con struttura in acciaio e piano in legni vari di Gianfranco Gasparini, una libreria componibile in noce e mogano di Marco Zanuso, un mobile contenitore di Ugo La Pietra e, nel 1999, un tavolo allungabile in mogano e noce con inserti di ebano di Marco Comolli. Di seguito riporto alcuni stralci di un’intervista da me fatta a Roberto Poggi e pubblicata sul numero 729, del luglio-agosto 1991, di “ Domus” .
Franco Albini, Franca Helg, poltrona “ Tre pezzi” PL19, 1959. tenzione al dettaglio. Con Edoardo Vittoria abbiamo vissuto un’ottima esperienza alla XV Triennale di Milano dove facevo parte del Comitato di coordinamento della sezione italiana (“ Lo spazio vuoto dell’habitat” ). Marco Comolli ha anticipato molte espressioni di attuali tendenze: abbiamo realizzato insieme diversi arredamenti, una sezione della IX Triennale e molti pezzi singoli, nessuno dei quali purtroppo è entrato in produzione. La collaborazione con Marco Zanuso è nata con la realizzazione della sedia “ SD57” del 1973 ed è continuata con un dialogo bellissimo determinato dal piacere di discutere guardandosi negli occhi con un foglio di carta bianca davanti. Con Afra e Tobia Scarpa abbiamo realizzato alcuni pezzi ed iniziato una ricerca complessiva che vogliamo continuare. Tra i giovani è con Ugo La Pietra che ho condotto negli anni Sessanta una delle più belle operazioni di ricerca. Abbiamo messo in produzione soltanto la libreria “ Uno sull’altro” , che purtroppo ha avuto scarso successo commerciale. Ricordiamo infine Franco Albini. Vorrei poterlo fare in poche parole: è stato mio maestro di lavoro e di vita (...) Sia io che mio fratello, che ora non c’è più, eravamo in un momento di formazione quando conoscemmo Albini; io inoltre lasciavo gli studi a causa dell’improvvisa morte di mio padre nel 1949. La nostra ditta aveva già condotto alcuni lavori di ricerca
vincendo un concorso indetto dalla Società del Linoleum nel 1948. L’incontro con Albini è stato per noi determinante; era ciò che cercavamo ed è proseguito per ventisette anni di lavoro assieme, continuati poi con Franca Helg, Marco Albini, Antonio Piva. L’incontro avvenne per merito di un comune amico, Pirovano, per il quale abbiamo realizzato gli arredi del rifugio di Cervinia progettato appunto da Albini. Albini aveva ideato oggetti per alcuni concorsi; da questi siamo partiti, lavorando e trasformando senza praticamente tener conto del mercato. La prima prova fu la sedia “ Luisa” , premiata con il Compasso d’Oro. Da questa esperienza nacquero: la “ Luisella” (una Luisa senza braccioli), una sedia pieghevole e la poltroncina “ Adriana” ; all’incirca la stessa struttura della “ Luisa” venne adottata, in metallo questa volta, per la seggiola dell’Istituto Universitario di Venezia, dotata di piani di scrittura e il cui sedile era in un particolare legno compensato imbevuto di resine. Un’altra grande esperienza fu l’allestimento della sala consiliare del Comune di Genova; vennero realizzate diverse sedie e poltroncine tra le quali una girevole dotata di dispositivo di ritorno automatico alla posizione d’origine, di sedile ribaltabile e fissata a terra per mezzo di una base circolare eccentrica e così via via per tutte le altre esperienze compiute assieme. V. P.
Recenti allestimenti ai musei civici del Castello Visconteo di Pavia
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Sono qui illustrati i tre ultimi allestimenti permanenti che rientrano nel riordino del Castello la cui conclusione è prevista nei prossimi anni. Attualmente i Musei civici offrono un panorama continuo della pittura nazionale dal Duecento in poi: a conclusione dell’itinerario storico rappresentato, al primo piano in continuità con la pinacoteca antica e pinacoteca del Sei e Settecento, è stata allestita nel 2000 la Quadreria dell’Ottocento, con importanti opere di Hayez, Appiani, Trècourt, Massacra, Faruffini, Piccio e Cremona, e nel 2001 la Collezione Morone, provvisoriamente collocata al piano terra e in futuro spostata a conclusione del percorso, che aggiunge opere relative alla ritrattistica e al paesaggio romantico, al realismo, alla scapigliatura sino al post-impressionismo e all’avanguardia divisionista e simbolista. Un ulteriore elemento che, al piano terra, completa il tassello mancante tra la sezione archeologica e la sezione del romanico è costituito dall’allestimento della sala VI che ospita reperti altomedievali (VIII secolo) tra i quali sigilli tombali e iscrizioni funerarie, pilastrini, colonne e capitelli provenienti da chiese pavesi demolite, ori dei corredi funerari, armi longobarde, la “ sella plicatilis” e i plutei del monastero della Pusterla e della Corte Regia di Corteolona. Allestimento della collezione M orone Progetto e direzione lavori: Vittorio Prina, Rosi Toma Il progetto di allestimento è pensato per un salone del Castello Visconteo di Pavia (attualmente al piano terra e in seguito trasferito al primo piano) destinato ad accogliere i quadri della donazione Morone, una collezione privata donata ai Musei Civici di Pavia costituita da sessantasei opere tra dipinti, pastelli e disegni di diversi autori, prevalentemente di epoca ottocentesca, tranne due tele del
‘700; l’ordinamento scientifico è stato curato dalla dott.ssa Susanna Zatti. La planimetria complessiva, suddivisa da una serie di strutture modulari che opportunamente disposte creano ambienti di dimensioni contenute, è mutuata dal PAC milanese di Gardella: pareti lineari disposte a pettine, perpendicolarmente al lato maggiore del salone dove si aprono le grandi finestre, sono concluse da apici con pianta a V che determinano una sequenza di stanze semichiuse alle quali corrispondono nuclei tematici omogenei delle opere esposte. La costituzione di queste stanze, le cui pareti sono in legno tinto di rosso con basamento in serpentino di colore verde scuro, è pensata in relazione al carattere privato della collezione, e cerca di alludere alle stanze dell’abitazione di un collezionista, luogo nel quale sono state precedentemente ospitate. Le concavità create dalle V sono occupate da panche dalle quali si possono osservare i tre dipinti più importanti (“ Riflessione” dello Zandomeneghi, “ La falconiera” di Segantini e “ Lucilla - La Ninina” di Nomellini) sorretti da esili montanti e racchiusi entro concavità determinate da pareti basse semicircolari in pianta, in legno di acero, che racchiudono lo spazio e concentrano la visione. L’ingresso alla sala espositiva avviene dalla porta centrale localizzata lungo uno dei due lati più corti dell’ambiente. La sala, di dimensione 19.40 x 9.70 m, ha una scansione spaziale modulata da due volte a crociera e dalle grandi finestre disposte in posizione assiale ad ogni campata lungo uno dei lati maggiori. Sulla parete opposta a quella in cui si aprono le finestre esistono quattro porte che mettono in comunicazione la sala con il portico esterno. Nella sistemazione del percorso espositivo si prevede di utilizzare la prima e la seconda di queste porte come uscite di sicurezza, mentre le due rimanenti sono state chiuse, utilizzando lo spazio della nicchia per l’alloggiamento delle unità di trattamento dell’aria dell’impianto di climatizzazione. Le strutture espositive sono di tre tipi.
Allestimento della collezione Morone.
La prima è costituita da pannelli con un modulo costante, assemblati con una pianta in forma di Y, con diverse lunghezze totali. La struttura è realizzata con una base in acciaio costituita da una piastra di spessore 30 mm sulla quale viene fissato un doppio profilo a L, destinato ad accogliere il pannello vero e proprio. La struttura metallica è verniciata con vernice ferromicacea metallizzata di colore scuro, mentre il pannello bifacciale è previsto in tamburato rivestito con pialliccio di legno Bolivar tinto rosso. La struttura è completata da un basamento in pietra (serpentino) trattato con cera, che oltre ad un’importante funzione figurativa assume anche quello di stabilizzazione statica e consente in questo modo di evitare il fissaggio a pavimento della struttura. I quadri vengono fissati con un giunto regolabile ad un tondino d’acciaio scorrevole all’interno di una guida, sempre metallica, collocata in sommità. La seconda è realizzata mediante nicchie a pianta semicircolare destinate a accogliere un solo quadro. È costituita da una struttura curva in tamburato rivestita con pialliccio di legno di acero Sycomore frisè naturale. In posizione centrale rispetto al semicerchio è collocato l’elemento di sostegno vero e proprio del quadro, realizzato con una struttura metallica cruciforme, con base circolare, sempre metallica; completano la
struttura quattro elementi di sezione quadrata, realizzati in MDF rivestito con pialliccio di legno Bolivar tinto rosso. La terza è realizzata mediante pannelli con una struttura in tamburato (tranne una fascia di 50 cm in legno multistrato per consentire il fissaggio dei quadri ai pannelli), rivestita con pialliccio di legno di acero Sycomore frisè naturale fissati alla parete mediante squadrette a scomparsa. Completano la struttura espositiva tre sedute, collocate in posizione frontale alle nicchie, realizzate con una struttura metallica costituita da un piatto piegato, mentre la seduta vera e propria è realizzata con un pannello di MDF rivestito con pialliccio di legno di acero Sycomore frisè naturale. V. P. Allestimento della quadreria dell’Ottocento Progetto e direzione lavori: Enrico Valeriani con Vittorio Prina Allestita per ospitare parte della collezione dei quadri ottocenteschi dei Musei Civici pavesi, la quadreria occupa uno dei grandi saloni al primo piano del castello. I supporti realizzati per l’esposizione sono costituiti da grandi telai in ferro tinteggiati con vernice ferromicacea, all’interno dei quali è tesa una lamiera di alluminio na-
Due vedute dell’allestimento della quadreria dell’Ottocento.
V. P. Allestimento della Sala longobarda Progettazione e D.L. dello “ Studio Associato di architettura SacchiChiolini” in esecuzione di un progetto museologico dei Musei Civici di Pavia diretto dalla dott. Donata Vicini L’allestimento della sezione longobarda dei Musei Civici di Pavia nella Sala VI del Castello Visconteo, conclude una parte cospicua della più estesa riforma in atto di tutto il sistema distributivo del Museo, avviata nel lontano 1984. È di quell’anno infatti il varo, da parte della Direzione dei Musei, del Piano Quadro che ribaltava il sistema dei percorsi museali spostando l’ingresso dal lato sud a quello ovest. Si stabiliva finalmente un più razionale punto di partenza dei percorsi museali che non interferiva con quelli connessi alla direzione, alla biblioteca, alla fototeca, ecc. Successivamente il piano trovava ulteriore attuazione nell’allestimento della Sala XII (1995) destinata ai reperti tra Medio Evo e Rinascimento eliminando un’annosa enclave del percorso occupata da una mostra “ temporanea” degli anni Settanta sui restauri del S. Michele. Tutt’ora il Piano Quadro è in attuazione con la realizzazione degli impianti di risalita sulla testata dell’ala nord-est. La conclusione di questa importante opera che prevede il singolare ascensore con vista panoramica sull’area dello storico Parco Visconteo, permetterà di ricostituire l’unità funzionale del Castello, interrotta all’epoca della famosa battaglia di Pavia con l’abbattimento dell’ala nord. Questo collegamento verticale darà finalmente esito al percorso museale del piano terreno connettendolo con le sale della pinacoteca del primo piano. Anche il piano sottotetto, nel quale è stato da
non molto allestito il Museo del Risorgimento ed ancor prima la Gipsoteca, attendono quest’opera per la loro agibilità. Siamo quindi in una fase attiva di formazione del museo pavese, anche se una quota di potenzialità “ sepolte” , come nel caso del lato nord demolito nel Cinquecento e di cui sopravvive la parte basamentale riempita di detriti, attende la riscoperta. Da questo punto di osservazione appare chiaro come il Castello di Pavia abbia una dimensione proporzionata al rango di polo di riferimento territoriale che il sistema dei musei regionali gli ha assegnato. La nuova Sala VI è stata inaugurata l’estate scorsa (maggio 2003) ed ha sostituito un precedente allestimento della fine degli anni Cinquanta. Val la pena di citare questo allestimento curato dalla stessa Soprintendenza, proprio perché non piacque alla stessa direzione dei musei di allora, rivelando quindi un contrasto tra l’indirizzo museologico e l’esito museografico. Quell’allestimento aveva privilegiato il tradizionale ancoraggio alle pareti di tutte le epigrafi ed in particolare dei numerosi sigilli tombali, tipicamente terragni. Ne era risultato un effetto riduttivo di seriazione di “ targhe alla memoria” per nulla pertinente alla natura dei reperti. Inoltre il progettista aveva ideato per le sculture isolate come plutei e capitelli, supporti realizzati in mattoni ” a vista” presupponendo quindi un ideale rapporto tra i due elementi. Il nuovo allestimento contraddice questa impostazione. Innanzi tutto le scelte fondamentali sono scaturite da un lavoro interdisciplinare tra la Direzione del Museo, la Direzione dei Lavori e gli specialisti del restauro degli affreschi, dei preziosi e dei reperti lapidei. Si sono così messe a fuoco non solo le sequenze cronologiche in cui esporre il materiale, ma soprattutto i nuovi criteri espositivi che hanno privilegiato i contesti di ritrovamento. Trattandosi prevalentemente di materiale di reimpiego si veniva a dare così evidenza ad un dato che nella tradizione museale non sempre viene rispettato, perdendo una tappa importante delle vicende del reperto. Si è anche discusso sui temi più strettamente pertinenti ai criteri e alle tecniche museografiche, quindi sulla progettazione. Si è cercato un nuovo rapporto tra le apparecchiature espositive e i reperti. Non più rustici muretti in mattoni, frutto di una romantica ed erronea immagine dell’arte altomedioevale, ma superfici ad intonaco lisciato dai colori luminosi per riprodurre una realtà che l’architettura altomedioevale ha praticato in maniera esemplare. La raffinatezza degli interni a stucchi ed intonaco del S. Salvatore di Brescia o del tempietto di Cividale sconfessano decisamente l’uso allusivo all’arte “ barbarica” del mattone a vista.
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Particolare della Sala VI del Castello Visconteo di Pavia dedicata alla sezione longobarda del Museo Civico. Un ulteriore elemento di accordo è stato l’assunzione dell’intangibilità delle pareti che nel nostro caso erano addirittura affrescate, anche se in parte. Dopo aver rimosso i numerosi ancoraggi del precedente allestimento e risarcite le superfici, si è sostenuto l’intero apparato espositivo con un’unica barra di ferro che corre a parete. Questa talora aderendo alla parete e talaltra allontanandosi a sbalzo, ad una altezza di m.1,50 dal pavimento, ha offerto, in modo continuativo ed unitario una linea di appoggio dei pannelli di legno ignifugato ed intonacato che costituiscono lo schermo espositivo dei reperti di piccole dimensioni, mentre i pezzi più grandi vengono ancorati direttamente alla barra. I pannelli modulari sono intervallati da un breve tratto libero attraverso cui si può raggiungere la retrostante struttura in ferro per l’ancoraggio dei singoli reperti. Per i sigilli tombali il sistema della barra ha offerto la possibilità di una disposizione allusiva a quella originaria; questi appaiono come appoggiati e leggermente inclinati, in una posizione intenzionalmente “ provvisoria” . Gli oggetti preziosi hanno avuto una sistemazione specifica ed una collocazione separata nelle due piccole, ma suggestive, salette ricavate nel sottoscala dello scalone che porta al primo piano. La loro esposizione avviene in vetrinette progettate e realizzate ad hoc di alto livello tecnologico. In esse il materiale prezioso, di natura prevalentemente metallica, viene tenuto in ambiente a saturazione di azoto. Il gas, notoriamente inerte, viene erogato da una centrale separata attraverso una rete di ali-
mentazione in leggera pressione: tale sistema è monitorato da uno dei quattro diversi sistemi di allarme e controllo di cui è dotata la sala. L’illuminazione delle vetrine è in parte a fibre ottiche ed in parte ad incandescenza con schermi protettivi dai raggi ultravioletti. L’illuminazione della sala avviene mediante corpi illuminanti portati a diverse altezze da dei lampioni in ferro che hanno permesso di garantire l’intangibilità delle pareti, eliminando la necessità delle tracce verticali; i lampioni portano anche le microcamere collegate col circuito di controllo visivo interno. Le pavimentazioni sono duplici: nel caso della grande sala si è optato per il rinnovo della pavimentazione a “ coccio pesto” , applicando la tecnica della tradizione antica nella scelta degli inerti e dei leganti a base di calce: nel caso delle due piccole salette si è optato invece per una pavimentazione in grandi lastre di arenaria di Bedonia tirata a lucido in opera. Questa, di notevole resistenza all’usura, ben si accoppia al rigore tecnologico delle apparecchiature espositive. Infine un accenno al trattamento superficiale delle parti in ferro: l’intento è stato quello di ottenere l’effetto dell’ossidazione naturale, ma stabilizzata. Pertanto il materiale è stato immerso in bagni acidi per un accurato decapaggio, successivamente è stato esposto all’esterno per ottenere un giusto livello di ossidazione che poi è stato fissato attraverso l’applicazione in laboratorio di una pellicola di vernice trasparente. Marco Chiolini
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turale trattata chimicamente così da ottenere una superficie percorsa da macchie “ nuvolate” più o meno chiare e formatesi in modo assolutamente casuale. Il basamento dell’elemento modulare così ottenuto è costituito da lastre di pietra dorata incastrate come zavorra nel telaio. Un altro elemento espositivo, pensato per singole opere, è costituito dalla metafora di un cavalletto da pittore, anch’esso realizzato in ferro dipinto con vernice ferromicacea e basamento in lastre sagomate di pietra dorata connesse con barre filettate. Collegando tra loro gli elementi modulari è stato realizzato il percorso espositivo, il cui ordinamento scientifico è stato curato dalla dott.ssa Susanna Zatti, articolato in una serie di “ stanze” disposte a pettine lungo un percorso tangenziale, così da ottenere degli ambiti specifici senza peraltro perdere la continuità dell’intero spazio.
Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni
Varese Design
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Il legame tra la Provincia di Varese ed il design è un legame antico. Nella nostra provincia sono nati e vissuti personaggi che hanno lasciato un segno progettuale forte nel mondo dell’Arte, dell’Architettura e del design. Come non ricordare Flaminio Bertoni, genio creativo nato a Masnago di Varese nel 1903 che, com’è noto, ha firmato dal 1934 al 1963 le più interessanti e belle auto dell’azienda automobilistica Citroën (2CV, la Ds 19 e la AMI 6)? L’opera di Flaminio Bertoni è stata recentemente “ ricordata” in un seminario tenutosi presso il Museo della Triennale di Milano. Passando a tempi più recenti possiamo citare il grande e meticoloso percorso progettuale svolto da Marcello Morandini nel campo dell’Arte, dell’Architettura e del Design. Una carriera ricca di importanti mostre, riconoscimenti e collaborazioni con prestigiosi musei, gallerie e aziende produttrici (Rosenthal, Lanital, Silent Gliss, Magis, Philip Morris, Kartell, Sawaya & Moroni, Furstenberg, Belux, Abitare Baleri ecc.). Ambrogio Pozzi, che da anni indaga il tema della ceramica progettando e realizzando oggetti di grande bellezza e di straordinaria funzionalità. Riccardo Blumer varesino d’adozione, grande sperimentatore, fa della leggerezza e della trasparenza i suoi cavalli di battaglia; vincitore del premio Compasso d’Oro nel 1998 con la sedia Laleggera prodotta da Alias. Ha realizzato importanti progetti di design per Danese, Artemide, Alias oltre a interessanti interventi in campo architettonico. Francesco Lucchese anche lui varesino d’adozione, il quale collabora da numerosi anni con importanti realtà produttive: Inda, Respect, Fabbian, Cappellini, Egoluce, Venini, Luxo, FontanaArte, Rapetti, Rapsel, Swan, Nason & Moretti. Interessante esperienza è data dal gruppo di designer interni del centro stile Whirlpool, i quali sotto la guida di Richard Eiserman (Design Director Whirlpool Europe), da alcuni anni indaga il futuro degli elettrodomestici legati all’ambiente casalingo. Negli ultimi anni sono stati presentati da Whirlpool due progetti relativi all’innovazione nel settore dei forni a microonde e nel settore delle lavatrici. Microwave e Project F, questi i nomi assegnati ai due progetti, hanno coinvolto oltre ai designer interni all’azienda Whirlpool, designer di livello internazionale tra i quali possiamo citare: Konstantin Grcic, Cristophe Pillet, James Irvine, Riccardo Giovannnetti, Deep Design, Design Raw, ecc. Parlare oggigiorno di design è molto complicato; con la nascita di scuole specializzate nel
progetto del Disegno Industriale e con l’avanzare perenne delle tecnologie si sono formate interessanti figure professionali fino ad ora inesistenti. Al giorno d’oggi il design non si limita al progetto dell’oggetto, design può significare tantissime cose: comunicazione, grafica, web design, moda, strategie d’impresa, art direction, architettura d’interni, ecc. Ognuna delle categorie descritte può a sua volta essere suddivisa in migliaia di sub categorie o specializzazioni; ad esempio nel design di prodotto vi sono designer che si occupano di yacthing design, di food design, di lighting design, di sport design, di car design, health care design, design di elettrodomestici. Fino al 1993, anno di nascita del primo Corso di Laurea in Disegno Industriale presso il Politecnico di Milano, la figura del designer era praticata da architetti, artisti, ingegneri. Generalmente il settore maggiormente inflazionato era quello legato alla casa: mobili, lampade, complementi d’arredo. Il successo del design Italiano è da sempre il risultato del binomio designer-industria; il genio creativo dei designer unito alla lungimiranza di imprenditori più o meno grandi. La storia del design Italiano è ricca di questi successi: nel settore casa possiamo ricordare la grande storia di aziende quali Cassina, B&B Italia, De Padova, Kartell, Cappellini, Driade; nel settore illuminazione possiamo ricordare Artemide, Flos, Fontana Arte; infine possiamo ricordare altri brillanti esempi in cui il binomio designer-industria ha contribuito alla crescita aziendale: Fiat, Olivetti, Piaggio, Alfa Romeo, Lancia. La caratteristica che accomuna tutte queste storie è la presenza di un progettista o di un gruppo di progettisti che instaurano legami fortissimi con le aziende e molto spesso con il proprietario stesso dell’azienda; un rapporto che in molti casi si trasforma da professionale in familiare. Anche la nostra provincia di Varese era rinomata per la presenza di importanti strutture produttive che hanno segnato in parte la storia dell’industria italiana. La provincia di Varese è stata ad esempio la terra adottiva di Giovanni Borghi, padre padrone della IGNIS, la grande industria dei frigoriferi e non solo. Oltre alla IGNIS possiamo citare altre grandi realtà produttive, alcune ancora presenti sul territorio: AerMacchi, Siai Marchetti, Agusta, Bassani Ticino, Cagiva, Caproni, tutte le industrie del comparto del tessile comprese nella zona di Busto Arsizio, Legnano, Olgiate Olona, Castellanza, Birreria Poretti, Lindt & Sprungli, DiVarese, Shimano, Merlett Tecnoplastic, Mascioni, Richard Ginori, Missoni, Inda, Salviato, Rossi di Albizzate, Saporiti, Paul & Shark, Malerba e tante altre ancora. Purtroppo oggigiorno alcune di loro sono state assorbite da grandi multinazionali (IGNIS-Whirlpool, birreria Poretti-Carlsberg), altre sono definitivamente scomparse dal no-
stro territorio (tra le tante Richard Ginori e DiVarese) generando un nuovo riassetto nella nostra Provincia. Fin dai tempi di Flaminio Bertoni i progettisti della Provincia di Varese hanno avuto più riconoscimenti all’estero che non nella propria provincia. Ricordiamo che lo stesso Bertoni emigrò sin da giovane in Francia. Simile avventura l’ha vissuta Marcello Morandini osannato in molti paesi esteri (Germania e Giappone su tutti), solo da qualche anno la nostra provincia sembra aver riscoperto la sua importante figura di artista-designer dedicandogli due importanti mostre una svoltasi presso il Museo del Castello di Masnago di Varese e l’altra svoltasi presso il Museo internazionale della Ceramica di Cerro. Attualmente la situazione della Provincia di Varese ha subito molti cambiamenti rispetto agli anni della grande IGNIS. Numerose strutture produttive sono state spostate in altre zone del nostro paese o addirittura all’estero, le poche rimaste ovviamente guardano non solo all’interno della Provincia di Varese, ma bensì vanno alla ricerca di figure professionali a livello internazionale per una maggior competitività globale. Ai tempi di Flaminio Bertoni e della grande IGNIS la nostra provincia viveva in un clima molto effervescente sia dal punto di vista industriale che dal punto di vista culturale. Ed è proprio questo che manca al giorno d’oggi, un clima effervescente, positivo e propositivo, il coinvolgimento dei giovani, il coinvolgimento delle poche strutture produttive rimaste sul territorio, il coinvolgimento di professionisti (non solo architetti e designer) che con la loro esperienza possano aiutare i giovani a traghettare la nostra Provincia di Varese verso nuove esperienze, verso nuove realtà verso nuove sfide. Si parla tanto della vocazione turistico-universitaria della Provincia di Varese. È verissimo, la Provincia di Varese ha tutte le carte in regola per diventare una provincia turistico-universitaria. Per diventare tale è necessario avere strutture universitarie che attualmente vi sono in minima parte, strutture alberghiero-ricettive che attualmente esistono ma andrebbero potenziate, musei i quali necessitano un nuovo progetto di rilancio globale unito al progetto di istituzione di un museo legato alla storia dell’industria varesina. Non si può pensare di relegare l’importantissima storia della nostra industria ai singoli archivi delle aziende, troppo onerosi e complicati da gestire. L’industria e il design della nostra provincia hanno il diritto di avere una propria casa, che guarda caso farebbe parte dell’ipotetico sistema-circuito comprendente tutti i musei della nostra provincia; ognuno di essi caratterizzato da un differente tema. Da tempo si parla della volontà di istituire un Museo del design nella nostra provincia; purtroppo come spesso accade il tutto viene rele-
gato alle volontà politiche. Anche in questo caso altre nazioni purtroppo ci insegnano tantissimo; nazioni quali la Danimarca, la Svizzera, l’Inghilterra, la Francia, la Svezia solo per fare alcuni esempi, cercano di valorizzare la loro storia, la rendono visibile attraverso grandi mostre, istituzione di musei storici o contemporanei e altro ancora. La nostra provincia di Varese possiede un patrimonio storico importantissimo: abbiamo importanti realizzazioni di edifici dell’epoca Liberty (ad esempio il Gran Hotel del Campo dei Fiori, arch. Sommaruga), importanti realizzazioni architettoniche dell’epoca moderna (arch. Muzio, arch. Gardella, arch. Ravasi, arch. Enrico Castiglioni, arch. Brunella, arch. Vermi citando soltanto coloro i quali sono scomparsi), una grande storia nel settore dell’aviazione, una importante storia nel settore tessile e moda, una importante storia nel settore della meccanica e dei motocicli, una importante storia nel settore alimentare, una importante storia nel settore degli elettrodomestici, una importante storia nella lavorazione delle materie plastiche, e tanto altro ancora. Tutto questo legato ad un territorio catalogato fra i più belli a livello internazionale. L’augurio è che un giorno un genio illuminato, non importa se architetto, ingegnere, designer, industriale, politico, avvocato... capisca quanto importante è restituire alla Provincia di Varese e non solo, la ricca storia che l’ha caratterizzata e resa importante a livello internazionale per molti decenni. La sfida non è impossibile, l’importante è iniziare. Andrea Ciotti
INDICI 2003
AL 1/ 2, Governo del Territorio
INDICE CRONOLOGICO 2003
Stefano Castiglioni, Editoriale, p. 3 Regione Lombardia. Direzione Territorio e Urbanistica, Legge per il Governo del Territorio, pp. 4-8 Colophon del Seminario del 15 novembre 2002, p. 9 Stefano Castiglioni, Introduzione, pp. 10-11 Massimo Giuliani, Tempi e rapporti con la committenza nello sviluppo delle pratiche urbanistiche, pp. 12-14 Alessandro Moneta, Princìpi e obiettivi della nuova proposta di articolato per la riforma urbanistica regionale, p. 15 Claudio Baracca, Gianni Beltrame, Marco Engel, Massimo Ghiloni, Gaetano Lisciandra, Gianfredo Mazzotta, Fortunato Pagano, Laura Pogliani, Mario Rossetti, Iginio Rossi, Giulia Rota, Giuseppa Sala, Maria Cristina Treu, Primo modulo. Valutazioni problematiche nodali e “strutturali” della Proposta di Legge, pp. 16-39 Angelo Bugatti, Fausto Curti, Marco Engel, Fiorella Felloni, Giuseppe Franco Ferrari, Claudio Maffioli, Elio Mauri, Michele Monte, Bruno Mori, Pierluigi Properzi, Giulia Rota, Alfredo Viganò, Piergiorgio Vitillo, Secondo modulo. Gli aspetti applicativi nella nuova legge, pp. 40-69 I.N.U. Lombardia, Disamina della proposta di “Legge per il Governo del Terrritorio”, pp. 70-78 Silvio Delsante, Quesito sulla valutazione della sostenibilità dei Piani, p. 79 Paolo Frenna, Pro-memoria per un percorso verso la nuova legge urbanistica nazionale, pp. 79-80 Aldo Vecchi, Note sul progetto di legge regionale “per il governo del territorio”, p. 80
AL 3,
AL 4,
AL 5,
Archivi di architettura
Il tirocinio
Architetti e Soprintendenze
Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Roberto Sordina, La documentazione della cultura architettonica, pp. 4-5 Letizia Tedeschi, Un archivio internazionale, pp. 5-6 Gloria Bianchino, Lo CSAC e il progetto, pp. 6-7 Anna Torricello, L’archivio progetti dello IUAV: un centro al servizio della didattica e della ricerca, pp. 7-8 Paola Pettenella, Gli archivi di architettura al Mart, p. 9 Elena Tamagno, La Biblioteca Centrale di Architettura del Politecnico di Torino e la sua sezione “Archivi”, p. 10 Gli archivi del Politecnico di Milano: Gloria Paoluzzi, DAP Dipartimento di Architettura e Pianificazione; Giuliana Ricci, Fulvio Irace, Carlo Mariani, Graziella Leyla Ciagà, Anna Chiara Cimoli, Maria Vittoria Capitanucci, DCSA - Dipartimento di Conservazione e Storia dell’Architettura; Graziella Tonon, Augusto Rossari, DPA Dipartimento di Progettazione dell’ Architettura, pp. 11-15 Eugenio Guglielmi, Uno sguardo agli archivi di “Novecento”, p. 16 Paola Tonelli, Archivi a Brescia, p. 16 Roberta Fasola, Tre archivi nella Provincia di Como, p. 17 M. Teresa Feraboli, Archivi privati di architettura a Cremona e ricerca storica, pp. 17-18 Carmen Carabus, L’archivio Cereghini, p. 18 Giuseppe Pettinari, I fondi degli archivi lodigiani, pp. 18-19 Roberto Gamba, Gli archivi professionali milanesi, p. 19 Monica Lattuada, L’archivio Asnago-Vender, p. 19 Francesca Cadeo, Cassettiere on line?, pp. 19-20 Elena Lingeri, Archivio di disegni e documenti dell’architetto Pietro Lingeri, p. 20 Zita Mosca Baldessari, Archivio di Luciano Baldessari, pp. 20-21 Luca Molinari, Archivio Piero Portaluppi, p. 21 Red., L’archivio Giovanni Muzio, p. 21 Paolo Monti, Una personale messa a fuoco sugli archivi, p. 21 Vittorio Prina, Archivi di architettura del moderno in Pavia e provincia, p. 22 Fabio Della Torre, Il fondo ligariano del Museo Valtellinese di storia e arte della città di Sondrio, pp. 22-23 Enrico Bertè, Archivio Enrico Castiglioni, p. 23 Antonio Borghi, Assemblea Generale del CAE, Stoccolma, 9-10 maggio 2003, pp. 24-25 Marina Messina, Censimento degli archivi di architettura lombardi, p. 25 Politecnico di Milano e Ordini degli Architetti della Regione Lombardia, I tirocini di formazione, p. 26 Roberto Gamba (a cura di), Nuovo Ospedale di Bergamo, pp. 27-28 Roberto Gamba, Riqualificazione di tre spazi urbani a Giussano, pp. 29-30 Roberto Gamba, Progetto agorà a Ceriano Laghetto, pp. 30-31 Roberto Gamba, Agrate Brianza: riqualificazione della piazza Sant’Eusebio e delle zone limitrofe, pp. 31 Walter Fumagalli, Sottotetti: la partita di ping pong si allarga, p. 32 Debora Folisi e Rossana Rossi, Il recupero abitativo dei sottotetti, pp. 32-34 Margherita Bolchini, Compensi e onorari del C.T.U., pp. 34-35 Gabriele Nizzi, Progettazione esecutiva, pp. 36-37 Camillo Onorato, Leggi, p. 38 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 39 Milano (Deliberazioni della 122° seduta di Consiglio del 16.12.2002; Deliberazioni della 124° seduta di Consiglio del 27.1.2003; Designazioni), p. 40 Michele Annaloro, Il nuovo sito della Consulta: www.consultalombardia.archiworld.it, pp. 41-42 Ferruccio Favaron, Ancora sulla Fallingwater, pp. 42-43 Enrico Maria Ferrari, Conservare il Moderno. La Maison Carré di Alvar Aalto, p. 43 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 44 Antonio Borghi, La Bocconi a Milano, Luigi Caccia Dominioni, l’Archicultura, e i Piani Integrati d’intervento, pp. 45-46 Red., Rassegna (Libri, riviste e media); Roberto Gamba, Tutto sulle parcelle; Manuela Oglialoro, Archivi storici milanesi; Giuseppe Mazzeo, Alle volte capita; Alessandro Trivelli, Spazio e tecnologia nell’architettura; Silvia Malcovati, I quartieri milanesi del dopoguerra, Martina Landsberger, Comporre il silenzio; Ilario Boniello, Maestri americani, pp. 47-48 Ilario Boniello, Martina Landsberger, Rassegna mostre; Rassegna seminari; Franco Raggi, Ricordando Achille Castiglioni; Michele Caja, In quale stile dobbiamo costruire?; Sonia Milone, Obiettivo kARTell; Manuela Oglialoro, Agricoltura e pianificazione; Comune di Brescia (a cura di), Un concorso per Brescia, Matteo Baborsky, Al di sotto della superficie urbana; Maurizio Carones, “Mi piace questo mestiere”, pp. 49-51 Vittorio Prina, Carlo Morandotti e Pavia, pp. 52-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56
Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Stefano Castiglioni, Difficoltà e aspettative nell’attivazione del tirocinio, pp. 4-5 Adalberto Del Bo, Il tirocinio: un’occasione di trasmissione dei contenuti dell’architettura, pp. 5-6 Valerio Di Battista, Un invito alla collaborazione tra Università e mondo del lavoro, pp. 6-7 Maria Grazia Folli, Facoltà di Architettura Civile e tirocini, p. 7 Osvaldo De Donato, Riforma degli studi e tirocinio universitario, p. 8 Giuseppe Turchini, La pratica del tirocinio nella VI Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, pp. 8-9 Carlo Ciaponi, Il tirocinio nella formazione dell’ingegnere civile e ambientale, pp. 9-10 Francesca Turri, Attività di tirocinio dei laureati in Ingegneria Edile-Architettura, pp. 10-11 Pier Luigi Magnani, Didattica ed esercizio professionale, p. 11 Roberta Castiglioni, Offerta didattica in Lombardia e iscrizione all’Ordine, pp. 12-15 Massimo Masotti, Il tirocinio a Cremona, p. 16 Ferruccio Favaron, L’importanza del tirocinio, pp. 16-17 Sergio Cavalieri, Il Tirocinio a Mantova, p. 17 Daniela Volpi, Tirocinio: tra formazione universitaria e professione, pp. 18-19 Guido Morpurgo, L’esperienza della Gregotti Associati International, p. 19 Adele Bugatti Di Maio, Tirocinio e piano formativo, p. 19 Robero Gamba, Premio stage ai vincitori del “Giovani Architetti 2002” presso San Marco Laterizi, p. 20 Marco Bosi, Il tirocinante e l’architetto, p. 21 Laura Gianetti, Il tirocinio tra Università e Ordini, p. 21 Daniele Vitale, “Milano costruzione di una città”, p. 22 Antonio Borghi, Il principe nudo e l’architetto svelto, pp. 22-23 Giulio Barazzetta, Itinerari urbanistici per Milano, p. 23 INDICI 2002, pp. 24-31 Roberto Gamba, Il gabinetto dei disegni e stampe dell’Accademia di Brera, p. 32 Fernando De Filippi, Architettura un “viaggio” tra i linguaggi, pp. 32-33 Farruccio Dilda, Archivio storico della Triennale, p. 33 Massimo Giuliani, XXIV Convegno I.N.U., p. 33 Roberto Gamba, Settimo Milanese: progetto planivolumetrico del nuovo lotto del Piano di Zona Consortile, pp. 34-35 Riccardo Marletta, Il tirocinio professionale degli architetti, pp. 36-37 Riccardo Marletta e Graziano Braga, Gli architetti e l’Unione Europea, pp. 37-38 Camillo Onorato, Leggi, p. 39 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 40 Lodi (Laura Di Benedetti, Graham Rust terrà a battesimo il primo Festival internazionale del Trompe l’oeil), p. 41 Milano (Deliberazioni del Condiglio 127° seduta di Consiglio del 10.3.2003, Convenzione con l’Ospedale San Raffaele, Convenzione con “Il Sole 24 Ore” ), p. 42 Lodovico Meneghetti, Un esame rigoroso, pp. 42-47 Enrico Freyrie, Lettera ai neolaureati. Professione e progetto nel dopoguerra, pp. 47-49 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 50 Antonio Borghi, La nuova alba di Milano, p. 51 Giuseppe Magini, Enrico Castiglioni: “in un percorso d’arte tra passato e futuro”, pp. 52-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56
Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Pietro Derossi, Dialogo tra due “progettisti”, p. 4 Marco Dezzi Bardeschi, Sul rapporto “difficile” tra architetti e soprintendenze, pp. 4-7 Carla Di Francesco, Architetti, Soprintendenza, restauro, pp. 7-9 Sandro Rossi, La conservazione e il progetto, pp. 10 Amedeo Bellini, La scuola di specializzazione in “Restauro dei monumenti” , pp. 12-13 Susanna Bortolotto, Laboratorio di diagnostica per la conservazione e riuso del costruito, p. 13 Martina Landsberger, Il caso di Brescia: una mostra, un progetto, un libro, p. 14 Silvia Malcovati, Le domus dell’Ortaglia e l’Afrodite ritrovata, p. 14 Darko Pandakovic, Restauro della chiesa di San Vincenzo a Cucciago, p. 15 Massimo Masotti, Architetti e Soprintendenza. Intervista a Flavio Cassarino, pp. 16-17 Carlo Dusi, Il Torrazzo di Cremona. Intervista ad Amedeo Bellini, pp. 17-18 Domenico Palezzato, A proposito di rapporti fra soprintendenze e tutela ambientale, p. 18 Lorenzo De Stefani, Le problematiche relative alla tutela con riferimento alla Provincia di Lecco, pp. 18-20 Silvana Garufi, Istruzioni per l’uso, pp. 20-21 Giovanni Zandonella Maiucco, Architetto: un linguaggio interrotto, pp. 21-22 Antonio Borghi, Carlo Capponi, Gli architetti e la Soprintendenza, pp. 22-23 Roberto Gamba, L’opera di salvaguardia della Soprintendenza a Milano durante i bombardamenti, pp. 23-24 Giuseppina Vago, L’esperienza di un funzionario della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio nel pavese, pp. 25-26 Enrico Bertè, Le Soprintendenze e gli architetti: alcune considerazioni, p. 27 Martina Landsberger, Casa Museo Boschi-Di Stefano, pp. 28-29 Emanuela Daffra, Il restauro del patrimonio storico-artistico, p. 29 Sonia Milone, Xfaf - Decennale della fondazione della facoltà di architettura di Ferrara, pp. 29-30 Roberto Gamba, Riqualificazione funzionale della frazione di Cepina, Valdisotto (So), pp. 31-32 Roberto Gamba, Realizzazione del ponte pedonale sul fiume Brembo a San Pellegrino Terme (Bg), pp. 33-34 Roberto Gamba, Riqualificazione della piazza IV novembre di Barbata (Bg), pp. 34-35 Roberto Gamba, Concorso per la realizzazione del Centro polifunzionale di Grosio (So), pp. 35-36 Roberto Gamba, Concorso per una zona produttiva artigianale e industriale a Fontanella (Bg), p. 37 Marco Gelmetti, Le Soprintendenze, pp. 38-39 Walter Fumagalli, L’annullamento dell’Autorizzazione Paesaggistica, pp. 39-40 Luigi Carlo Ubertazzi, Concorsi di progettazione e diritti d’autore, pp. 41-43 Camillo Onorato, Leggi, p. 44 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 45 Lecco (V settimana della Cultura: il romanico e le sue tracce; Carmen Inès Carabùs, Un edificio di matrice razionalista a Lecco), p. 46 Milano (Deliberazioni della 131° seduta di Consiglio del 7.4.2003), p. 47 Enrico Bertè, Ricordando Gio Ponti, p. 47 Antonio Negrini, Gio, architetto di grande umanità, p. 48 Bruno Bianchi, Alison e Peter Smithson: pensare alla realtà degli uomini e disegnare, disegnare, p. 48 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 49 Antonio Borghi, Conferenze parallele in Darsena, p. 50 Red. Rassegna (Libri, riviste e media), Giulio Barazzetta, Il Piano come strumento; Tomaso Monestiroli, Un’architettura perduta; Martina Landsberger, Il teatro della città; Maurizio Carones, Architettura come costruzione; Ilario Boniello, “...maestri italiani”; Igor Maglica, La realtà e il gioco nell’opera di Munari; Ilaria Valente, Architettura e tekné, pp; 51-52 Ilario Boniello e Martina Landsberger, Rassegna mostre; Rassegna seminari; Pier Maria Giordani, La rappresentazione dell’immagine; Maria Vittoria Capitanucci, Il design di Magistretti a Genova; Francesco Fallavollita, Il mondo del SAIE; Roberta Castiglioni, Un’architettura che non c’è; Roberto Gamba, Il mondo di Gio Ponti; Marco Pozzo, Incontri con l’architettura ticinese, pp. 53-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56
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Territorio e rappresentazione Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Patrizia Gabellini, Le rappresentazioni del territorio tra tecnicismo e pubblicità, pp. 4-5 Luciano Lussignoli, Pianificazione territoriale e sistemi informativi, pp. 5-6 Giancarlo Motta, La cartografia nel progetto di architettura, pp. 6-7 Paola Viganò, Dessein/dessin, pp. 7-8 Donata Dal Puppo, Il Sistema Informativo Territoriale della Regione Lombardia: un nuovo S.I.T., p. 8 Piero Nobile, L’esperienza del P.I.M., pp. 8-9 Cristiana Achille, Susanna Bortolotto, Paolo Ferrario, Giancarlo Motta, Le scuole, pp. 9-11 Giovanmaria Lechi, Sandra Leonardi, Una associazione, una rivista, pp. 11-12 Silvio Cominardi, I S.I.T., p. 13 Giuseppe Ferretti, Paola Tonelli, Il G.I.S. della provincia di Brescia, pp. 13-14 Roberta Fasola, La rappresentazione del territorio: interpretazione e problematiche, p. 14 Gianni Beltrame, Gianfredo Mazzotta, Interpretare e rappresentare il paesaggio, pp. 14-15 Andrea Pozzi, Il territorio: la conoscenza strumentale oggettiva e soggettiva, pp. 16-17 Fabrizio Donadini, Esperienze transfrontaliere nell’affrontare le problematiche dei Sistemi Informativi Territoriali, p. 17 Gianluca Beltrame, Un nuovo sistema cartografico per la lettura del territorio, pp. 17-19 Antonino Negrini, Il territorio Lodigiano come un puzzle. I P.R.G., tessere di un unico mosaico informatizzato, p. 19 Diego Costantini, Relazione del Convegno organizzato dalla Provincia di Lodi, pp. 19-21 Antonio Borghi, G.I.S. e altre questioni, conversazione con Luigi Mazza, pp. 21-22 Roberto Gamba, Sistema Informativo Territoriale della Provincia di Milano, pp. 22-23 Roberto Gamba, Il nuovo Sistema Informativo Territoriale (S.I.T.) del Comune di Milano: SIgisMONDO, pp. 21-23 Paolo Carena, Il S.I.T. di Pavia: aspetti positivi e negativi del controllo della complessità, pp. 23-24 Gian Andrea Maspes, Difficoltà di diffusione dei nuovi sistemi di rappresentazione, p. 25 Manuela Oglialoro, Rappresentazione del territorio e cartografia storica, p. 26 Carlotta Coccoli, Il G.I.S. per la conservazione del patrimonio architettonico, pp. 26-27 Francesca Cognetti, Nasce Isola dell’Arte. Per la costruzione sociale della città e del quartiere Isola, p. 27 Mario Antonio Arnaboldi, L’esperienza dell’architettura di Tito Bassanesi Varisco: razionalismo o non razionalismo?, p. 28 Roberto Gamba, Sistemazione di spazi pubblici in due ambiti urbani di Gorgonzola (Mi), pp. 29-30 Walter Fumagalli, I termini di validità dei piani di lottizzazione, pp. 31-32 Bergamo (Maria Antonietta Crippa, L’architettura di Gaudì; Antonio Cortinovis, L’immagine della città), pp. 33-35 Lecco (Ferruccio Favaron, Arnaldo Rosini, Carmen Carabùs, Cartografia tematica degli enti sovracomunali: dal Piano paesistico ai Piani Territoriali della Provincia di Lecco), p. 36 Milano (Serate di architettura; Deliberazioni della 134° seduta di Consiglio del 19.5.2003), pp. 36-37 Roberto Spreafico, Un quesito, p. 37 Susanna Bortolotto, Fondo Archivio laboratorio di Diagnostica D.P.A. - Politecnico di Milano, p. 37 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 38 Antonio Borghi, Sguardi su Milano, p. 39 Red. (a cura di), Rassegna (Libri, riviste e media); Vittorio Ugo, Una questione teorica; Antonio Borghi, Sessant’anni di critica operativa; Giulio Barazzetta, Urbanistica a Milano; Pierluigi Marchesini Viola, Identità per gli spazi aperti; Matteo Baborsky, Evoluzione della tecnica; Mario Caldarelli, Tremezzo e il giovane Lingeri, Alessandra Spada, Le figure del progetto, pp. 40-41 Ilario Boniello, Martina Landsberger, Sonia Milone, Rassegna mostre; Rassegna seminari; Luca Gelmini, Modernità e tradizione dell’architettura ticinese; Alessandro Vicari, Un salone d’eccellenza; Sonia Milone, Utopie urbane; Pisana Posocco, I disegni di Ridolfi; Carlo Ravagnati, Architetture per l’architettura, pp. 42-43 Andrea Disertori, Tito Varisco Bassanesi e Milano: tra immaginario e reale, pp. 44-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48
AL 9, Architettura sostenibile
Stefano Castiglioni, Editoriale, p. 3 Barbara Asperti, Valeria Maffioletti, Felicittà 2002. Emozioni urbane di Giovani Architetti, p. 4 Antonio Cortinovis, Venezia e l’entroterra lombardo, pp. 4-7 Barbara Asperti, Attività dell’Ordine, pp. 7-9 Consiglio dell’Ordine di Bergamo, Rendiconto finanziario preventivo, p. 9 Paola Tonelli (a cura di), L’attività dell’Ordine nel 2002, pp. 10-14 Darko Pandakovic, Nell’architettura con impegno civile: ricordo di Lucio Saibene, pp. 15-16 Giovanni Valassina, Il ricordo di un committente, p. 16 Paola Tonelli (a cura di), Attività del Consiglio nel biennio 2002/2003, pp. 16-17 Franco Andreu, Premio Maestri Comacini VI edizione 2003, p. 17 Paola Tonelli (a cura di), Bando di concorso premio di architettura Maestri Comacini, 2003, p. 17 Gianfredo Mazzotta, Il nuovo Piano Regolatore “strategico”: il ruolo delle politiche e delle strumentazioni ambientali, p. 17 Gianni Beltrame, Sintesi dell’intervento del prof. Gianni Beltrame, p. 18 Alessandro Balducci, Il Piano dei Servizi, pp. 18-19 Roberta Fasola (a cura di), Nuovo sito internet, p. 19 Roberta Fasola (a cura di), Alleanze per lo sviluppo condiviso, p. 19 Roberta Fasola (a cura di), Viaggio studio Madrid 2002, pp. 19-20 Roberta Fasola (a cura di), Elenco delle Commissioni dell’Ordine degli Architetti di Como 2002, p. 20 Marco Brambilla, Natalia Rossi, Albino Pozzi, Commissione sviluppo sostenibile, pp. 20-21 Giovanni Cavalieri, Marco Brambilla, Commissione Concorsi, pp. 21-22 Roberta Fasola (a cura di), Architettura moderna contemporanea: Helsinki 2003, p. 22 Roberta Fasola (a cura di), Viaggio studio in Svizzera e Austria, p. 22 Roberta Fasola (a cura di), Corso di aggiornamento alla professione, aprile-maggio 2003, p. 22 Massimo Masotti, Attività dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Cremona, periodo maggio 2002-maggio2003, p. 23 Carmen Carabùs, Giorgio Melesi, Oleg Zastrow, Un commento sul crescente interesse lecchese per l’arte romanica, pp. 23-24 Giovanna Virgilio, Il Romanico e le sue tracce nel territorio lecchese, p. 24 Bruno Bianchi, Cantico delle pietre, pp. 24-25 Angela Piga, Il colore del Romanico, p. 25 Carmen Carabùs, L’architettura dei canti gregoriani, p. 26 Monica Corti, Stefano Leidi (a cura di), Raccolte differenziate. Pagine da rigenerare per punti di vista atipici, p. 26 Sergio Cavalieri, 2002-2003. L’attività dell’Ordine, p. 27 Antonio Borghi, Roberto Gamba (a cura di), Commissione Parcelle e Sportello di consulenza sulle Tariffe, pp. 27-28 Antonio Borghi, Roberto Gamba (a cura di), Le “serate” della Fondazione dell’Ordine degli Architetti, p. 28 Antonio Borghi, Roberto Gamba (a cura di), Attività dell’Ordine degli architetti della provincia di Milano, pp. 28-29 Silvia Greco, Luca Micotti, Commissioni Giovani e Cultura riunite. Attività in corso nel 2003, pp. 29-30 Elisabetta Morandotti, Gli architetti pavesi alla scoperta del porfido trentino, pp. 30-31 Enrico Scaramellini, Attività dell’Ordine, pp. 31-32 Laura Gianetti, Il concorso “Prospettive di architettura”, p. 32 Laura Gianetti, Emanuele Brazzelli, Il corso di formazione per neo iscritti, p. 32 Consiglio dell’Ordine di Varese, Convegno “Restauro, Recupero e riuso”, pp. 32-33 Associazione Architetti Varese, Grandi opere per Varese, pp. 33-35 Maria Vittoria Capitanucci, Architetti o designer?, p. 36 Martina Landsberger, Vicenza, una nuova architettura, una nuova città, p. 36 Roberto Gamba, Milano: concorso “Piazze 2001”, pp. 37-38 Roberto Gamba, Nuovo edificio scolastico a Capiano Intimiano (Co), pp. 39-40 Roberto Gamba, Concorso di idee per la realizzazione di una nuova scuola media ad Asola (Ma), pp. 41-42 Milano (Deliberazioni della 135° Seduta di Consiglio del 9.6.2003, Tariffe professionali, Convenzione), p. 43 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 44 Antonio Borghi, Una “nebulosa di monadi accatastate”, p. 45 Ilario Boniello, Martina Landsberger, Sonia Milone (a cura di), Rassegna mostre; Rassegna seminari; Martina Landsberger, Auguste Perret: forma e struttura; Maria Teresa Feraboli, Architettura d’oggi; Matteo Baborsky, Committenza privata; Ilario Boniello, Ricerche sulla nuova città; Olga Chiesa, La lunga strada del moderno; Filippo Lambertucci, Atlante fotografico, pp. 46-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48
Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Elisa Benacoli Bazzero, Edilizia sostenibile per la qualità degli alloggi di edilizia residenziale pubblica in Lombardia, pp. 4-6 Emilio Pizzi, La sostenibilità come recupero di antiche regole costruttive, pp. 7-9 Gianni Scudo, Architettare la sostenibilità, pp. 9-10 Alessandro Trivelli (a cura di), Associarsi con l’ambiente, pp. 11-14 Martina Landsberger (a cura di), Corsi e master, p. 14 Paola Tonelli, Alcuni esempi di architettura bioclimatica bresciana, p. 15 Roberta Fasola, Problematiche del costruire e sensibilizzazione nei confronti della bio-architettura, pp. 15-16 Marco Brambilla, Trent’anni di esperienza nel campo della bio-architettura, pp.16-18 Massimo Masotti, Sosteniamo la bio-architettura!, pp. 19-20 Claudio Bettinelli, Difficoltà nella diffusione della bio-architettura, p. 20 Alessandra Valsecchi, Qualità ambientale: il luogo dei sensi, pp. 20-21 Alessandra Valsecchi e Angelo Perego, Qualità ambientale e pubblica amministrazione, pp. 21-22 Carlo Castelli, L’esperienza del processo di Agenda 21 a Lecco. Ruolo delle forme di partecipazione per la crescita della qualità urbana e la formazione del Piano di Azione, p. 23 Stefano Parancola, Armonie del costruire: verso la Bio-architettura e il Feng Shui, p. 24 Maurizio Spada, Istituto Uomo Ambiente, Scuola di Ecologia dell’Architettura della Società Umanitaria di Milano, pp. 24-25 Alessandra Valentinelli, Milano produce ambiente, pp. 25-26 Luca Micotti, Architettura ambiente. Relazioni o confidenza?, pp. 26-27 Leopoldo De Rocco, Palascieghi a Sondrio, pp. 29-30 Pierfrancesco Pizzini, Casa bioecologica a Vergiate, p. 30 Sara Biffi (a cura di), Integrazione fotovoltaica nell’edilizia, p. 31-32 Stefano Castiglioni, Visita all’edificio bioclimatico dell’ENEA e all’impianto fotovoltaico del JRC, p. 33 Francesco Fallavollita, La città secondo Massimo Cacciari, p. 33 Antonio Borghi, Intervista a Luca Molinari, p. 34 Roberto Gamba, Riqualificazione dell’area-sistema delle tre piazze di Casalpusterlengo (Lo), pp. 35-36 Roberto Gamba, Riqualificazione tessuto urbano della zona del centro di Marone (Bs), pp. 36-38 Roberto Gamba, Nuova scuola materna comunale a Piadena (Cr), pp. 39-40 Roberto Gamba, Concorso di idee per la riqualificazione del centro urbano di Stradella (Pv), pp. 40-41 Riccardo Marletta, La normativa in tema di architettura sostenibile: a che punto siamo, pp. 42-43 Walter Fumagalli, La decadenza del permesso di costruire e della denuncia di inizio attività, pp. 43-44 Alessandro Trivelli, Regolamenti edilizi e innovazione sostenibile, pp. 44-45 Camillo Onorato, Leggi, p. 46 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 47 Milano (Deliberazioni della 139ª seduta di Consiglio del 21.7.2003; Designazioni; Laura Truzzi, Serate di architettura), pp. 48-49 Antonio Ornati, Archivio Antonio Ornati, p. 49 Pietro Campora, Chi è l’Architetto?, p. 50 Francesco Fallavollita, A proposito di distanze..., p. 50 Francesco Castiglioni, Giugno 2003 sarà da ricordare..., p. 50 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 51 Agnese Maffioli, Rassegna (Libri, riviste e media); Sonia Milone, La biblioteca de-finita; Manuela Oglialoro, Milano tra austriaci e francesi; Maurizio Ceriotti, Reti e città; Martina Landsberger, Una moderna città di fondazione; Antonella Bellomo, Vegetazione e comfort ambientale; Maurizio Carones, Letture comparate; Roberto Gamba, Modernità a Pavia, pp. 52-53 Red., Rassegna mostre, Rassegna seminari; Michele Caja, La costruzione dell’immagine; Alessandro Vicari, Design valdostano; Laura Montedoro, Quei frammenti razionalisti...; Marco Grassi, Canada versus Milano; Sonia Milone, I luoghi dell’arte; Sergio Poggianella, Lo spettatore come vittima, pp. 54-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56
AL 10,
AL 11,
AL 12, VI Congresso nazionale degli Architetti,
Gare di affidamento
Grandi progetti
Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori
Beppe Rossi, Editoriale, p. 3 Giovanni Cavalleri, Regole incerte, spese variabili, pp. 4-7 Massimo Gallione, La situazione attuale degli affidamenti di servizi, pp. 7-10 Carlo Ratti, Riformare per peggiorare? Il passaggio alle Regioni delle competenze su appalti e lavori pubblici promette di rendere irreversibile la crisi dell’architettura in Italia, pp. 10-15 Richard Rogers, La mia esperienza italiana, pp. 15-16 Silvano Martinelli, Gaudenzio Occhipinti, Affidamento di incarichi esterni per la realizzazione delle opere pubbliche, p. 17 Massimo Masotti, L’ampliamento del Polo scolastico di Casalmaggiore. Licitazione privata per affidamento dei servizi di progettazione, pp. 18-19 Maurizio Bracchi, Il Responsabile del Procedimento, pp. 19-20 Michele Annaloro, I bandi di affidamento nella Provincia di Mantova, pp. 20-23 Roberto Gamba, Gare di progettazione e qualità architettonica, pp. 23-24 Marco Engel, La Commissione di Bandi di Gara al lavoro presso l’Ordine di Milano, p. 24 Gianfranco Pizzolato, VI Congresso nazionale degli Architetti italiani, p.25 Alessandro Vicari, Una donazione e l’occasione di una mostra, p. 26 Sonia Milone, Le città visibili, pp. 26-27 Antonio Borghi, Intervista a Ettore Sottsass, p. 28 Roberto Gamba, Concorso per la nuova piazza civica di Concorezzo (Mi), pp. 29-31 Roberto Gamba, Concorso per il progetto dell’Auditorium di Bussero (Mi), pp. 31-33 Roberto Gamba, Riqualificazione delle aree centrali dell’abitato del Comune di Opera (Mi), pp. 33-35 Roberto Gamba, Progetto per la sistemazione di nuovi uffici nella villa comunale di Casorezzo (Mi), p. 35 Roberto Gamba, Concorso di idee per la riqualificazione urbanistica ed ambientale dell’area ex-Avir, Comune di Sesto Calende (Va), pp. 35-36 Riccardo Marletta, Quali tariffe professionali per le opere pubbliche?, pp. 37-38 Graziano Braga, Nessuna imposta di bollo per le osservazioni agli strumenti urbanistici, pp. 38-39 Camillo Onorato, Leggi, p. 40 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 41 Lecco (Silvio Delsante, Il Ventiquattresimo congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica), p. 42 Milano (Laura Truzzi, Serate di architettura; Servizi agli iscritti; Sedute di Consiglio; Designazioni; Convenzione), pp. 43-44 Consulta Reg. Lombarda, Lavori di ristrutturazione degli Uffici della Consulta Regionale Lombarda e della Redazione di “AL”, p. 44 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 45 Antonio Borghi, Nuovi mercanti in fiera, pp. 46-47 Agnese Maffioli, Rassegna (Libri, riviste e media); Maria Antonietta Crippa, Il romanico a Bergamo; Martina Landsberger, Tipo e funzione; Ilario Boniello, La costruzione di un territorio; Roberto Gamba, Antolini ritrovato; Andrea Palmieri, L’architetto e la sua circostanza; Maurizio Carones, Teorie e progetti; Franco Raggi, Non solo la luce, pp. 48-49 Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; Luciano Bolzoni, La valle della modernità; Sergio Poggianella, Da Caillebotte a un punto di domanda; Barbara Brugola, “ Parigi vista dalla mia finestra”; Matteo Baborsky, Col tempo: gli Anni ’60; Gabriella Capitanucci, Fabbriche e territorio a confronto; Silvia Malcovati, Opera completa, pp. 50-51 Laura Micheletti, Luciano Roncai, Egidio Dabbeni a Brescia, pp. 52-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56
Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Giulio Barazzetta, Per un dibattito sulla trasformazione urbana, p. 4 Emilio Battisti, La trasformazione urbana dell’area metropolitana milanese, pp. 4-5 Claudio De Albertis, Infrastrutture e città, p. 6 Patrizia Gabellini, Tre momenti di una stagione urbanistica, pp. 6-7 Marco Lanata, Il punto di vista di un promotore immobiliare relativamente alla riconversione di aree dismesse, pp. 8-11 Gianni Verga, Milano: la trasformazione delle aree dismesse, p. 11 Paola Tonelli, Progettare per “evidenza”, p. 12 Dario Valli, La ricerca dell’identità urbana a Como, p. 12 Maria Elisabetta Ripamonti, Progetto urbano di grande scala: il nuovo Politecnico, pp. 13-14 Luigi Trabattoni, Concorso di idee per la riqualificazione dell’area Oltre Adda, p. 15 Giovanni Jacometti, La vicenda progettuale del quartiere Fiera Catena, pp. 15-16 Roberto Gamba, Il nuovo Polo Esterno della Fiera di Milano, p. 16 Roberto Gamba, Il parcheggio per il Polo Esterno della Fiera di Milano, pp. 16-17 Roberto Gamba, Concorso per la riqualificazione del Polo Urbano di Fiera Milano, p. 17 Roberto Gamba, Programma Integrato di Intervento (P.I.I.) Portello a Milano, p. 17 Roberto Gamba, Progetto Garibaldi Repubblica, pp. 17-18 Roberto Gamba, Villasanta: progetto per l’area Lombarda Petroli, p. 17 Massimo Giuliani, Processi di riqualificazione urbana di Pavia, pp. 18-19 Enrico Scaramellini, Grandi progetti di trasformazione urbana, pp. 19-20 Fabio Della Torre, P.I.I. Area Carini-Marzotto (So), pp. 20-21 Daniele Vanotti, Nodo di interscambio e di riqualificazione urbana (So), p. 21 Patrizia Buzzi, Claudio Castiglioni (a cura di), Opere “dentro” o “per” la città?, p. 22 Daniela Volpi, Grandi eventi, pp. 23-24 Umberto Vascelli Vallara, Workshop “Disegno delle Infrastrutture e qualità del progetto”, pp. 25-26 Andrea Palmieri, La “particolare importanza” del patrimonio culturale, p. 26 Antonio Borghi, Intervista a Dejan Sudjic, p. 27 Roberto Gamba, Brescia: riuso del “comparto Milano”, pp. 28-29 Roberto Gamba, Nuovo complesso scolastico di Costa Volpino (Bg), pp. 29-30 Walter Fumagalli, Il regime contributivo dei parcheggi privati, p. 31 Graziano Braga, La realizzazione di parcheggi a scomputo degli oneri di urbanizzazione, pp. 31-32 Camillo Onorato, Leggi, p. 33 Manuela Ogliadoro, Pubblicistica, p. 34 Bergamo (Roberto Sacchi, Le frontiere della progettazione. Riflessioni sull’etica della progettazione bio-ecologica), pp. 35-36 Milano (Sedute di Consiglio; Designazioni; Convenzioni; Laura Truzzi, Serate di architettura), pp. 36-37 Andrea Disertori, Il teatro di Mortara, p. 37 Enrico Bertè, Una lottizzazione impazzita, p. 37 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 38 Antonio Borghi, 2003: fuga da Milano, p. 39 Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna (Libri, riviste e media); Michele Faglia, Urbanistica a Monza; Flaviano Celaschi, Il design secondo Argan; Manuela Ogliadoro, Pianificazione e paesaggi agrari; Alessandra Spada, Arcipelago paesaggio; Emilio Pizzi, Il “diario” di Mario Botta; Adalberto Del Bo, Progetto e contemporaneità; Maurizio Carones, Costruzioni nel territorio, pp. 40-41 Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; Maria Demetra Casu, Tutte le forme della ceramica; Maria Teresa Feraboli, Meta.fisica in architettura; Claudio Sangiorgi, Il mondo del marmo; Enrico Maria Ferrari, Fotografare il moderno; Maurizio Carones, I numeri di Milano; Martina Landsberger, Le “soluzioni” di Vincenzo Scamozzi, pp. 42-43 Anna Chiara Cimoli, Lo studio Monti GPA: una storia milanese, pp. 44-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48
Stefano Castiglioni, Editoriale, p. 3 Raffaele Sirica, Bari - VI Congresso nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, pp. 4-6 Massimo Gallione, Etica della professione e qualità della progettazione, pp. 6-7 Gianfranco Pizzolato (a cura di), Professionalismo - Terza logica, pp. 7-8 Stefano Castiglioni, Paolo Ventura, Gianfredo Mazzotta, Gianclaudio Di Cintio, Giovanni Cavalleri, Adalberto Del Bo, Michele Annaloro, I temi esposti dalla Consulta Lombarda a Bari, pp. 9-14 Antonio Cortinovis, Alessandro Pellegrini, L’Ordine di Bergamo per il Congresso di Bari, p. 15 Carlo Varoli, Da Bari a Milano “senza passare” da Roma?, p. 15 Ferruccio Favaron, Il concorso come ricerca di qualità, p. 16 Daniela Volpi, Gli architetti e l’Europa, p. 16 Il Documento finale del Congresso, p. 17 Antonio Borghi, Intervista a Leopoldo Freyrie, p. 18 Stefano Castiglioni, Editoriale Dvd “11 punti per costruire una linea”, p. 19 Bergamo (Antonio Cortinovis), Per l’attenzione alla persona, pp. 20-21 Brescia (Mario Mento), Il concorso appalto, pp. 22-23 Como (Giovanni Cavalleri e Gianfredo Mazzotta), Committenza privata, pp. 24-25 Cremona (Stefania Manni e Massimo Masotti), Concorso, strumento di qualità, pp. 26-27 Lecco (Girolamo Ferrario), Per un recupero ambientale, pp. 28-29 Lodi (Samuele Arrighi e Vincenzo Puglielli), Progettare il concorso, pp. 30-31 Mantova (Gianni Bombonati e Manuela Novellini), Concorso di idee: strategie e programmi, pp. 32-33 Milano (Maurizio Carones e Valeria Cosmelli), Il ruolo degli Ordini, pp. 34-35 Pavia (Paolo Menudo e Luca Micotti), Concorso di idee, benefici per la comunità, pp. 35-37 Sondrio (Andrea Forni e Aurelio Valenti), Dalla proposta alla realizzazione, pp. 38-39 Varese (Maria Chiara Bianchi e Claudio Castiglioni), Per nuove identità urbane, pp. 40-41 Roberta Castiglioni (a cura di), Rassegna stampa, pp. 42-43 Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna (Libri, riviste e media); Roberto Gamba, Fotografia e rilievo; Martina Landsberger, Percorrendo il medioevo; Michele Caja, Sulla città contemporanea; Maurizio Carones, Viaggio intorno alla mia architettura; Giulio Barazzetta, Usi d’Europa; Igor Maglica, Dieste: non solo volte in laterizio; Enrico Morteo, La costruzione di una fabbrica, pp. 44-45 Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; Olga Chiesa, Marco Introini: diario di viaggio; Marco Grassi, Sommaruga e il liberty milanese; Maria Teresa Feraboli, Tra storia e composizione; Alessandro Trivelli, Quotidiano solidale; Massimo Ferrari, Sull’archetipo dell’arte; Sonia Milone, Storia di un’arte danzata, pp. 46-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48
INDICE PER ARGOMENTI 2003 EDITORIALE • Stefano Castiglioni, Editoriale, n. 1/2, p. 3 • M aurizio Carones, Editoriale, n. 3 p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 4, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 5, p.3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 6, p. 3 • Stefano Castiglioni, Editoriale, n. 7/8, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 9, p. 3 • Beppe Rossi, Editoriale, n. 10, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 11, p. 3 • Stefano Castiglioni, Editoriale, n. 12, p. 3
FORUM • Roberto Sordina, La documentazione della cultura architettonica; Letizia Tedeschi, Un archivio internazionale; Gloria Bianchino, Lo CSAC e il progetto; Anna Torricello, L’archivio progetti dello IUAV: un centro al servizio della didattica e della ricerca; Paola Pettenella, Gli archivi di architettura al Mart; Elena Tamagno, La Biblioteca Centrale di Architettura del Politecnico di Torino e la sua sezione “Archivi”, n. 3, pp. 4-10 Gli archivi del Politecnico di Milano: Gloria Paoluzzi, DAP - Dipartimento di Architettura e Pianificazione; Giuliana Ricci, DCSA - Dipartimento di Conservazione e Storia dell’Architettura, Graziella Tonon, DPA - Dipartimento di Progettazione dell’Architettura, n. 3, pp. 11-15 BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Eugenio Guglielmi, Uno sguardo agli archivi di “ Novecento” ; BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Paola Tonelli, Archivi a Brescia; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, Tre archivi nella provincia di Como; CREMONA (a cura di M. Masotti): M . Teresa Feraboli, Archivi privati di architettura a Cremona e ricerca storica; LECCO (a cura di C. Carabùs e G. Melesi): Carmen Carabùs, L’archivio Cereghini; LODI (a cura di A. Negrini): Giuseppe Pettinari, I fondi degli archivi lodigiani; MILANO (a cura di A. Borghi e R. Gamba): Roberto Gamba, Gli archivi professionali milanesi; M onica Lattuada, L’archivio Asnago-Vender; Francesca Cadeo, Cassettiere on line?; Elena Lingeri, Archivio di disegni e documenti dell’architetto Pietro Lingeri; Zita M osca Baldessari, Archivio di Luciano Baldessari; Luca Molinari, Archivio Piero Portaluppi; Red. (a cura di), L’archivio Giovanni Muzio; Paolo Monti, Una personale messa a fuoco sugli archivi; PAVIA (a cura di V. Prina): Vittorio Prina, Archivi di architettura del moderno in Pavia e provincia; SONDRIO (a cura di C. Botacchi e F. Della Torre): Fabio Della Torre, Il fondo ligariano del Museo Valtellinese di storia e arte della città di Sondrio; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Enrico Bertè, Archivio Enrico Castiglioni, n. 3, pp. 16-23 • Stefano Castiglioni, Difficoltà e aspettative nell’attivazione del tirocinio; Adalberto Del Bo, Il tirocinio: un’occasione di trasmissione dei con-
tenuti dell’architettura; Valerio Di Battista, Un invito alla collaborazione tra Università e mondo del lavoro; M aria Grazia Folli, Facoltà di Architettura Civile e tirocini; Osvaldo De Donato, Riforma degli studi e tirocinio universitario; Giuseppe Turchini, La pratica del tirocinio nella VI Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano; Carlo Ciaponi, Il tirocinio nella formazione dell’ingegnere civile e ambientale; Francesca Turri, Attività di tirocinio dei laureati in Ingegneria Edile-Architettura; Pier Luigi M agnani, Didattica ed esercizio professionale; Roberta Castiglioni, Offerta didattica in Lombardia e iscrizione all’Ordine, n. 4, pp. 4-15 CREMONA (a cura di M. Masotti): Massimo Masotti, Il tirocinio a Cremona; LECCO (a cura di C. Carabùs e G. Melesi): Ferruccio Favaron, L’importanza del tirocinio; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Sergio Cavalieri, Il Tirocinio a Mantova; MILANO (a cura di A. Borghi e R. Gamba): Daniela Volpi, Tirocinio: tra formazione universitaria e professione; Guido M orpurgo, L’esperienza della Gregotti Associati International; Adele Bugatti Di Maio, Tirocinio e piano formativo; Roberto Gamba, Premio stage ai vincitori del “Giovani Architetti 2002” presso San Marco Laterizi; PAVIA (a cura di V. Prina): Marco Bosi, Il tirocinante e l’architetto; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Laura Gianetti, Il tirocinio tra Università e Ordini, n. 4, pp. 16-21 • Pietro Derossi, Dialogo tra due “progettisti”; Marco Dezzi Bardeschi, Sul rapporto “ difficile” tra architetti e soprintendenze; Carla Di Francesco, Architetti, Soprintendenza, restauro; Sandro Rossi, La conservazione e il progetto; Amedeo Bellini, La scuola di specializzazione in “ Restauro dei monumenti” ; Susanna Bortolotto, Laboratorio di diagnostica per la conservazione e riuso del costruito; Martina Landsberger, Il caso di Brescia: una mostra, un progetto, un libro; Silvia M alcovati, Le domus dell’Ortaglia e l’Afrodite ritrovata, n. 5, pp. 4-14 COMO (a cura di R. Fasola): Darko Pandakovic, Restauro della chiesa di San Vincenzo a Cucciago; CREMONA (a cura di M. Masotti): M assimo M asotti, Architetti e Soprintendenza. Intervista a Flavio Cassarino; Carlo Dusi, Il Torrazzo di Cremona. Intervista ad Amedeo Bellini; LECCO (a cura di C. Carabùs e G. Melesi): Domenico Palezzato, A proposito di rapporti fra soprintendenze e tutela ambientale; Lorenzo De Stefani, Le problematiche relative alla tutela con riferimento alla provincia di Lecco; LODI (a cura di A. Negrini): Silvana Garufi, Istruzioni per l’uso; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Giovanni Zandonella M aiucco, Architetto: un linguaggio interrotto; MILANO (a cura di A. Borghi e R. Gamba): Antonio Borghi, Carlo Capponi, Gli architetti e la Soprintendenza; Roberto Gamba, L’opera di salvaguardia della Soprintendenza a Milano durante i bombardamenti; PAVIA (a cura di V. Prina): Giuseppina Vago, L’esperienza di un funzionario della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio nel pavese; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Enrico Bertè, Le Soprintendenze e gli architetti: alcune considerazioni, n. 5, pp. 15-27
• Patrizia Gabellini, Le rappresentazioni del territorio tra tecnicismo e pubblicità; Luciano Lussignoli, Pianificazione territoriale e sistemi informativi; Giancarlo M otta, La cartografia nel progetto di architettura; Paola Viganò, Dessein/dessin; Donata Dal Puppo, Il Sistema Informativo Territoriale della Regione Lombardia: un nuovo S.I.T.; Piero Nobile, L’ esperienza del P.I.M.; Cristiana Achille, Susanna Bortolotto, Paolo Ferrario, Giancarlo Motta, Le scuole; Giovanmaria Lechi, Sandra Leonardi, Una associazione, una rivista, n. 6, pp. 4-12 BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Silvio Cominardi, I S.I.T.; BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Giuseppe Ferretti, Paola Tonelli, Il G.I.S. della provincia di Brescia; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, La rappresentazione del territorio: interpretazione e problematiche; Gianni Beltrame, Gianfredo M azzotta, Interpretare e rappresentare il paesaggio; Andrea Pozzi, Il territorio: la conoscenza strumentale oggettiva e soggettiva; Fabrizio Donadini, Esperienze Transfrontaliere nell’affrontare le problematiche dei Sistemi Informativi Territoriali; LECCO (a cura di C. Carabus e G. Melesi): Gianluca Beltrame, Un nuovo sistema cartografico per la lettura del territorio; LODI (a cura di A. Negrini): Antonino Negrini, Il territorio Lodigiano come un puzzle. I P.R.G., tessere di un unico mosaico informatizzato; Diego Costantini, Relazione del Convegno organizzato dalla Provincia di Lodi; MILANO (a cura di A. Borghi e R. Gamba): Antonio Borghi, G.I.S. e altre questioni, conversazione con Luigi Mazza; Roberto Gamba, Sistema Informativo Territoriale della Provincia di Milano; Roberto Gamba, Il nuovo Sistema Informativo Territoriale (S.I.T.) del Comune di Milano: SIgisMONDO; PAVIA (a cura di V. Prina): Paolo Carena, Il S.I.T. di Pavia: aspetti positivi e negativi del controllo della complessità; SONDRIO (a cura di C. Botacchi e F. Della Torre): Gian Andrea Maspes, Difficoltà di diffusione dei nuovi sistemi di rappresentazione, n. 6, pp. 13-25 • BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Barbara Asperti, Valeria M affioletti, Felicittà 2002. Emozioni urbane di Giovani Architetti; Antonio Cortinovis, Venezia e l’entroterra lombardo; Barbara Asperti, Attività dell’Ordine; Consiglio dell’Ordine di Bergamo, Rendiconto finanziario preventivo; BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): L’attività dell’Ordine nel 2002; COMO (a cura di R. Fasola): Darko Pandakovic, Nell’architettura con impegno civile: ricordo di Lucio Saibene; Giovanni Valassina, Il ricordo di un committente; Roberta Fasola, Attività del Consiglio nel biennio 200203; Franco Andreu, Premio Maestri Comacini VI edizione 2003; Roberta Fasola, Bando di concorso premio di architettura Maestri Comacini, 2003; Gianfredo Mazzotta, Il nuovo Piano Regolatore “ strategico” : il ruolo delle politiche e delle strumentazioni ambientali; Gianni Beltrame, Sintesi dell’intervento; Alessandro Balducci, Il Piano dei Servizi; Roberta Fasola, Nuovo sito internet; Alleanze per lo sviluppo condiviso; Viaggio studio Madrid 2002; Elenco delle Commissioni dell’Ordine degli Architetti di Como 2002; Marco Brambilla, Natalia Rossi, Al-
bino Pozzi, Commissione sviluppo sostenibile; Giovanni Cavalieri, Marco Brambilla, Commissione Concorsi; Roberta Fasola, Architettura moderna contemporanea: Helsinki 2003; Viaggio studio in Svizzera e Austria Corso di aggiornamento alla professione, aprile-maggio 2003; CREMONA (a cura di M. Masotti): Massimo Masotti, Attività dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Cremona, periodo 200203; LECCO (a cura di C. Carabùs e G. Melesi): Carmen Carabùs, Giorgio Melesi, Oleg Zastrow , Un commento sul crescente interesse lecchese per l’arte romanica; Giovanna Virgilio, Il Romanico e le sue tracce nel territorio lecchese; Bruno Bianchi, Cantico delle pietre; Angela Piga, Il colore del Romanico; Carmen Carabùs, L’architettura dei canti gregoriani; Monica Corti, Stefano Leidi (a cura di), Raccolte differenziate. Pagine da rigenerare per punti di vista atipici; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): 2002-2003, l’attività dell’Ordine; MILANO (a cura di A. Borghi e R. Gamba): Commissione Parcelle e Sportello di consulenza sulle Tariffe; Le “ serate” della Fondazione dell’Ordine degli Architetti; Attività dell’Ordine degli architetti della Provincia di Milano; PAVIA (a cura di V. Prina): Silvia Greco, Luca Micotti, Commissioni Giovani e Cultura riunite. Attività in corso nel 2003; Elisabetta Morandotti, Gli architetti pavesi alla scoperta del porfido trentino; SONDRIO (a cura di E. Scaramellini): Attività dell’Ordine; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Laura Gianetti, Il concorso “Prospettive di architettura”; Laura Gianetti, Emanuele Brazzelli, Il corso di formazione per neo iscritti; Consiglio dell’Ordine, Convegno “Restauro, Recupero e riuso”; Associazione Architetti Varese, Grandi opere per Varese, n. 7/8, pp. 4-35 • Elisa Benacoli Bazzero, Edilizia sostenibile per la qualità degli alloggi di edilizia residenziale pubblica in Lombardia; Emilio Pizzi, La sostenibilità come recupero di antiche regole costruttive; Gianni Scudo, Architettare la sostenibilità; Alessandro Trivelli (a cura di), Associarsi con l’ambiente; Martina Landsberger (a cura di), Corsi e master, n. 9, pp. 4-14 BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Paola Tonelli, Alcuni esempi di architettura bioclimatica bresciana; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, Problematiche del costruire e sensibilizzazione nei confronti della bio-architettura; M arco Brambilla, Trent’anni di esperienza nel campo della bio-architettura; CREMONA (a cura di M. Masotti): Massimo Masotti, Sosteniamo la bio-architettura; Claudio Bettinelli, Difficoltà nella diffusione della bio-architettura; LECCO (a cura di C. Carabùs e G. Melesi): Alessandra Valsecchi, Qualità ambientale: il luogo dei sensi; Alessandra Valsecchi e Angelo Perego, Qualità ambientale e pubblica amministrazione; Carlo Castelli, L’esperienza del processo di Agenda 21 a Lecco. Ruolo delle forme di partecipazione per la crescita della qualità urbana e la formazione del Piano di Azione; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Stefano Parancola, Armonie del costruire: verso la Bio-architettura e il Feng Shui; MILANO (a cura di A. Borghi e R. Gamba): Maurizio Spada, Istituto Uo-
mo Ambiente, Scuola di Ecologia dell’Architettura della Società Umanitaria di Milano; Alessandra Valentinelli, Milano produce ambiente; PAVIA (a cura di V. Prina): Luca M icotti, Architettura ambiente. Relazioni o confidenza?; SONDRIO (a cura di E. Scaramellini): Leopoldo De Rocco, Palascieghi a Sondrio; Pierfrancesco Pizzini, Casa bioecologica a Vergiate, n. 9, pp. 15-30
mo per il Congresso di Bari; CREMONA (a cura di M. Masotti): Carlo Varoli, Da Bari a Milano “ senza passare” da Roma?; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Ferruccio Favaron, Il concorso come ricerca di qualità; MILANO (a cura di R. Gamba): Daniela Volpi, Gli architetti e l’Europa, n. 12, pp. 15-17
• Giovanni Cavalleri, Regole incerte, spese variabili; Massimo Gallione, La situazione attuale degli affidamenti di servizi; Carlo Ratti, Riformare per peggiorare? Il passaggio alle Regioni delle competenze su appalti e lavori pubblici promette di rendere irreversibile la crisi dell’architettura in Italia; Richard Rogers, La mia esperienza italiana, n. 10, pp. 4-16 BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Silvano M artinelli, Gaudenzio Occhipinti, Affidamento di incarichi esterni per la realizzazione delle opere pubbliche; CREMONA (a cura di M. Masotti): Massimo Masotti, L’ampliamento del Polo scolastico di Casalmaggiore. Licitazione privata per affidamento dei servizi di progettazione; LODI (a cura di A. Negrini): M aurizio Bracchi, Il Responsabile del Procedimento; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Michele Annaloro, I bandi di affidamento nella provincia di Mantova; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, Gare di progettazione e qualità architettonica; Marco Engel, La Commissione di Bandi di Gara al lavoro presso l’Ordine di Milano, n. 10, pp. 17-24
• Antonio Borghi, Assemblea Generale del CAE, Stoccolma, 9-10 maggio 2003; M arina M essina, Censimento degli archivi di architettura lombardi; Politecnico di Milano e Ordini degli Architetti della Regione Lombardia, I tirocini di formazione, n. 3, pp. 24-26 • Daniele Vitale, “ Milano costruzione di una città” ; Antonio Borghi, Il principe nudo e l’architetto svelto; Giulio Barazzetta, Itinerari urbanistici per Milano; Roberto Gamba, Il gabinetto dei disegni e stampe dell’Accademia di Brera; Fernando De Filippi, Architettura un “ viaggio” tra i linguaggi; Ferruccio Dilda, Archivio storico della Triennale; Massimo Giuliani, XXIV Convegno I.N.U., n. 4, pp. 22-33 • Martina Landsberger, Casa Museo Boschi-Di Stefano; Emanuela Daffra, Il restauro del patrimonio storico-artistico; Sonia Milone, Xfaf - Decennale della fondazione della facoltà di architettura di Ferrara, n. 5, pp. 28-30 • M anuela Oglialoro, Rappresentazione del territorio e cartografia storica; Carlotta Coccoli, Il G.I.S. per la conservazione del patrimonio architettonico; Francesca Cognetti, Nasce Isola dell’Arte. Per la costruzione sociale della città e del quartiere Isola; Mario Antonio Arnaboldi, L’esperienza dell’architettura di Tito Bassanesi Varisco: razionalismo o non razionalismo?, n. 6, pp. 26-28 • Maria Vittoria Capitanucci, Architetti o designer?; Martina Landsberger, Vicenza, una nuova architettura, una nuova città, n. 7/8, p. 36 • Sara Biffi (a cura di), Integrazione fotovoltaica nell’edilizia; Stefano Castiglioni, Visita all’edificio bioclimatico dell’ENEA e all’impianto fotovoltaico del JRC; Francesco Fallavollita, La città secondo Massimo Cacciari, n. 9, pp. 31-33 • Gianfranco Pizzolato, VI Congresso nazionale degli Architetti italiani; Alessandro Vicari, Una donazione e l’occasione di una mostra; Sonia M ilone, Le città visibili, n. 10, pp. 25-27 • Daniela Volpi, Grandi eventi; Umberto Vascelli Vallara, Workshop “Disegno delle Infrastrutture e qualità del progetto”; Andrea Palmieri, La “particolare importanza” del patrimonio culturale; n. 11, pp. 23-26
• Giulio Barazzetta, Per un dibattito sulla trasformazione urbana; Emilio Battisti, La trasformazione urbana dell’area metropolitana milanese; Claudio De Albertis, Infrastrutture e città; Patrizia Gabellini, Tre momenti di una stagione urbanistica; Marco Lanata, Il punto di vista di un promotore immobiliare relativamente alla riconversione di aree dismesse; Gianni Verga, Milano: la trasformazione delle aree dismesse, n. 11, pp. 4-11 BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Paola Tonelli, Progettare per “evidenza”; COMO (a cura di R. Fasola): Dario Valli, La ricerca dell’identità urbana a Como; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Maria Elisabetta Ripamonti, Progetto urbano di grande scala: il nuovo Politecnico; LODI (a cura di A. Negrini): Luigi Trabattoni, Concorso di idee per la riqualificazione dell’area Oltre Adda; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Giovanni Jacometti, La vicenda progettuale del quartiere Fiera Catena; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, Il nuovo Polo Esterno della Fiera di Milano; Il parcheggio per il Polo Esterno della Fiera di Milano; Concorso per la riqualificazione del Polo Urbano di Fiera Milano; Programma Integrato di Intervento (P.I.I) Portello a Milano; Progetto Garibaldi Repubblica; Villasanta: progetto per l’area Lombarda Petroli; PAVIA (a cura di V. Prina): Massimo Giuliani, Processi di riqualificazione urbana di Pavia; SONDRIO (a cura di E. Scaramellini): Enrico Scaramellini, Grandi progetti di trasformazione urbana; Fabio Della Torre, P.I.I. Area Carini-Marzotto; Daniele Vanotti, Nodo di interscambio e di riqualificazione urbana; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Patrizia Buzzi, Claudio Castiglioni, Opere “ dentro” o “per” la città?, n. 11, pp. 12-22 • BERGAMO (a cura di A. Cortinovis, A. Pellegrini): Antonio Cortinovis, Alessandro Pellegrini, L’Ordine di Berga-
ARGOM ENTI
CONVERSAZIONI • Antonio Borghi, Intervista a Luca Molinari, n. 9, p. 34 • Antonio Borghi, Intervista a Ettore Sottsass, n. 10, p. 28 • Antonio Borghi, Intervista a Dejan Sudjic, n. 11, p. 27 • Antonio Borghi, Intervista a Leopoldo Freyrie, n. 12, p. 18
• Roberto Gamba, Settimo Milanese: progetto planivolumetrico del nuovo lotto del Piano di Zona Consortile, n. 4, pp. 34-35 • Roberto Gamba, Riqualificazione funzionale della frazione di Cepina, Valdisotto (So); Realizzazione del ponte pedonale sul fiume Brembo a San Pellegrino Terme (Bg); Riqualificazione della piazza IV novembre di Barbata (Bg); Concorso per la realizzazione del Centro polifunzionale di Grosio (So); Concorso per una zona produttiva artigianale e industriale a Fontanella (Bg), n. 5, pp. 31-37 • Roberto Gamba, Sistemazione di spazi pubblici in due ambiti urbani di Gorgonzola (Mi), n. 6, pp. 29-30 • Roberto Gamba, Milano: concorso “Piazze 2001”; Nuovo edificio scolastico a Capiano Intimiano (Co); Concorso di idee per la realizzazione di una nuova scuola media ad Asola (Ma), n. 7/8, pp. 37-42 • Roberto Gamba, Riqualificazione dell’area-sistema delle tre piazze di Casalpusterlengo (Lo), Riqualificazione tessuto urbano della zona del centro di Marone (Bs); Nuova scuola materna comunale a Piadena (Cr); Concorso di idee per la riqualificazione del centro urbano di Stradella (Pv), n. 9, pp. 35-41 • Roberto Gamba, Concorso per la nuova piazza civica di Concorezzo (Mi); Concorso per il progetto dell’Auditorium di Bussero (Mi); Riqualificazione delle aree centrali dell’abitato del Comune di Opera (Mi); Progetto per la sistemazione di nuovi uffici nella villa comunale di Casorezzo (Mi); Concorso di idee per la riqualificazione urbanistica ed ambientale dell’area ex-Avir, Comune di Sesto Calende (Va), n. 10, pp. 29-36 • Roberto Gamba, Brescia: riuso del “comparto Milano”, Nuovo complesso scolastico di Costa Volpino (Bg), n. 11, pp. 28-30
LEGISLAZIONE • Walter Fumagalli, Sottotetti: la partita di ping pong si allarga (e si allunga); Debora Folisi e Rossana Rossi, Il recupero abitativo dei sottotetti, n. 3, pp. 32-34 • Riccardo Marletta, Il tirocinio professionale degli architetti; Riccardo Marletta, Graziano Braga, Gli architetti e l’Unione Europea, n. 4, pp. 36-38 • Marco Gelmetti, Le Soprintendenze; Walter Fumagalli, L’annullamento dell’Autorizzazione Paesaggistica, n. 5, pp. 38-40 • Walter Fumagalli, I termini di validità dei piani di lottizzazione, n. 6, pp. 31-32 • Riccardo Marletta, La normativa in tema di architettura sostenibile: a che punto siamo; Walter Fumagalli, La decadenza del permesso di costruire e della denuncia di inizio attività, n. 9, pp. 42-44 • Riccardo Marletta, Quali tariffe professionali per le opere pubbliche?; Graziano Braga, Nessuna imposta di bollo per le osservazioni agli strumenti urbanistici, n. 10, pp. 37-39 • Walter Fumagalli, Il regime contributivo dei parcheggi privati; Graziano Braga, La realizzazione di parcheggi a scomputo degli oneri di urbanizzazione, n. 11, pp. 31-32
CONCORSI • Roberto Gamba, Nuovo Ospedale di Bergamo; Riqualificazione di tre spazi urbani a Giussano; Progetto agorà a Ceriano Laghetto; Agrate Brianza: riqualificazione della piazza Sant’Eusebio e delle zone limitrofe, n. 3, pp. 27-31
NORM ATIVE E TECNICHE • M argherita Bolchini, Compensi e onorari del C.T.U., n. 3, pp. 34-35 • Alessandro Trivelli, Regolamenti edilizi e innovazione sostenibile, n. 9, pp. 44-45
ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE • Gabriele Nizzi, Progettazione esecutiva, n. 3, pp. 36-37 • Luigi Carlo Ubertazzi, Concorsi di progettazione e diritti d’autore, n. 5, pp. 41-43
STRUM ENTI • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 3, pp. 38-39 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 4, pp. 39-40 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 5, pp. 44-45 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 9, pp. 46-47 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 10, pp. 40-41 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 11, pp. 33-34
DAGLI ORDINI • Milano: Deliberazioni della 122° seduta di Consiglio del 16.12.2002; Deliberazioni della 124° seduta di Consiglio del 27.1.2003; Designazioni, n. 3, p. 40 • Lodi: Laura di Benedetti, Graham Rust terrà a battesimo il primo Festival internazionale del Trompe l’oeil; Milano: Deliberazioni del Condiglio 127° seduta di Consiglio del 10.3.2003, Convenzione con l’Ospedale San Raffaele, Convenzione con “Il Sole 24 Ore” , n. 4, pp. 41-42 • Lecco: V settimana della Cultura: il romanico e le sue tracce; Carmen Inès Carabùs, Un edificio di matrice razionalista a Lecco; Milano: Deliberazioni della 131° seduta di Consiglio del 7.4.2003, n. 5, pp. 46-47 • Bergamo: Maria Antonietta Crippa, L’architettura di Gaudì; Antonio Cortinovis, L’immagine della città; Lecco: Ferruccio Favaron, Arnaldo Rosini, Carmen Carabùs, Cartografia tematica degli enti sovracomunale: dal Piano paesistico ai Piani Territoriali della Provincia di Lecco; Milano: Serate di architettura; Deliberazioni della 134° seduta di Consiglio del 19.5.2003, n. 6, pp. 33-37 • Milano: Deliberazioni della 135ª Seduta di Consiglio del 9.6.2003, Tariffe professionali, Convenzione, n. 7/8, p. 43 • Milano: Deliberazioni della 139ª Seduta di Consiglio del 21.7.2003; Designazioni; Laura Truzzi, Serate di architettura, n. 9, pp. 48-49 • Lecco: Silvio Delsante, Il Ventiquattresimo congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica; Milano: Laura Truzzi, Serate di architettura; Servizi agli iscritti; Sedute di Consiglio; Designazioni; Convenzione, n. 10, pp. 42-44 • Bergamo: Roberto Sacchi, Le frontiere della progettazione. Riflessioni sull’etica della progettazione bio-ecologica; Milano: Sedute di Consiglio; Designazioni; Convenzioni; Laura Truzzi, Serate di architettura, n. 11, pp. 35-37
DALLA CONSULTA • Michele Annaloro, Il nuovo sito della Consulta: www.consultalombardia.archiworld.it, n. 3, pp. 41-42 • Lavori di ristrutturazione degli Uffici della Consulta Regionale Lombarda e della Redazione di “AL”, n. 10, p. 44
LETTERE • Ferruccio Favaron, Ancora sulla Fallingwater; Enrico Maria Ferrari, Conservare il Moderno. La Maison Carré di Alvar Aalto, n. 3, pp. 42-43 • Lodovico M eneghetti, Un esame rigoroso; Enrico Freyrie, Lettera ai neolaureati. Professione e progetto nel dopoguerra, n. 4, pp. 42-49 • Enrico Bertè, Ricordando Gio Ponti; Antonio Negrini, Gio, architetto di grande umanità; Bruno Bianchi, Alison e Peter Smithson: pensare alla realtà degli uomini e disegnare, disegnare, n. 5, pp. 47-48 • Roberto Spreafico, Un quesito; Susanna Bort olot t o, Fondo Archi-vio Laboratorio di Diagnostica D.P.A. - Politecnico di Milano, n. 6, pp. 36-37 • Antonio Ornati, Archivio Antonio Ornati; Pietro Campora, Chi è l’Architetto?; Francesco Fallavollita, A proposito di distanze...; Francesco Castiglioni, Giugno 2003 sarà da ricordare..., n. 9, pp. 49-50 • Andrea Disertori, Il teatro di Mortara; Enrico Bertè, Una lottizzazione impazzita, n. 11, p. 37
STAM PA • M anuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, La Bocconi a Milano, Luigi Caccia Dominioni, l’Archicultura, e i Piani Integrati d’intervento, n. 3, pp. 45-46 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, La nuova alba di Milano, n. 4, pp. 50-51 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, Conferenze parallele in Darsena, n. 5, pp. 49-50 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, Sguardi su Milano, n. 6, pp. 38-39 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, Una “ nebulosa di monadi accatastate”, n. 7/8, pp. 44-45 • M anuela Oglialoro, Rassegna, n. 9, p. 51 • Manuela Ogliadoro, Rassegna; Antonio Borghi, Nuovi mercanti in fiera, n. 10, pp. 45-47 • Manuela Ogliadoro, Rassegna; Antonio Borghi, 2003: fuga da Milano, n. 11, pp. 38-39 • Roberta Castiglioni, Rassegna stampa, n. 12, pp. 42-43
LIBRI, RIVISTE E M EDIA • Red. (a cura di), Rassegna; Roberto Gamba, C. Panza, Le parcelle degli architetti e degli ingegneri; M anuela Oglialoro, A. Buratti Mazzotta, I Disegni dell’Archivio storico diocesano di Milano; Giuseppe Mazzeo, Aiòn; Alessandro Trivelli, Gehry Partners, M. Friedman (a cura di) Gehry architettura + sviluppo; Silvia M alcovati, AA. VV. Quartieri Milano, Martina Landsberger, C. Martì Arìs, Silenzi eloquenti; Ilario Boniello, K. Frampton, Maestri americani, n. 3, pp. 47-48 • Red. (a cura di), Rassegna; Giulio Barazzetta, F. Oliva, L’urbanistica a Milano, quel che resta dei piani urbanist ici nella crescit a e nella t rasformazione della città; Tommaso Monestiroli, G. De Amicis, Giulio Minoletti. Mensa impiegati alla Bicocca; Martina Landsberger, G. Malacarne, P. Montini Zimolo (a cura di), Aldo Rossi e Venezia. Il teatro e la città; Maurizio Carones, E. Pizzi (a cura di), Renzo Piano; Ilario Boniello, F. Purini, L. Sacchi (a cura di), Dal Futurismo al futuro possibile nell’architettura italiana; Igor M aglica, G. Maffei, Munari. I libri; Ilaria Valente, V. Gregotti, Architettura, tecnica, finalità, n. 5, pp. 51-52
• Red. (a cura di), Rassegna; Emanuele Severino, V. Ugo, Tecnica e architettura; Antonio Borghi, M. V. Capitanucci, Agnoldomenico Pica, 1907-1990; Giulio Barazzetta, B. Bonfantini (a cura di), Urbanistica a Milano; Pierluigi M archesini Viola, P. Nicolin, F. Repishti, Dizionario dei nuovi paesaggisti; M atteo Baborsky, G. Bosoni (a cura di), La cultura dell’abitare. Il design in Italia 1945-2001; M ario Caldarelli, L. Pini, Tremezzo, il paese dove fioriscono i limoni; Alessandra Spada, R. Palma, A. Pizzigoni, C. Ravagnati (a cura di), Cartografia e progetto, n. 6, pp. 40-41. • Agnese Maffioli, Rassegna; Sonia Milone, G. Pigafetta, Parole chiare per la storia dell’architettura; M anuela Oglialoro, Provincia di Milano, il laboratorio della modernità. Milano tra austriaci e francesi; M aurizio Ceriotti, G.P. Corda, La città policentrica lombarda... dal 1888 ad oggi; M artina Landsberger, F. Achleitner, P. Biadene, E. Gellner, Edoardo Gellner; Antonella Bellomo, G. Scudo, J.M. Ochoa de la Torre, Spazi verdi urbani...; M aurizio Carones, M. Petranzan, Gae Aulenti; Roberto Gamba, V. Prina, Architettura moderna di Pavia e Provincia 1925-1980, n. 9, pp. 52-53 • Agnese Maffioli, Rassegna; Maria Antonietta Crippa, M. Lorenzi, A. Pellegrini, Sulle tracce del romanico in Provincia di Bergamo; Martina Landsberger, AA. VV., Angiolo Mazzoni (1894-1979): Architetto Ingegnere; Ilario Boniello, G. Scudo, L. Roncai, Argille ghiaie pietre calci; Roberto Gamba, M.G. Marziliano, Giovanni Antonio Antolini architetto e ingegnere (1753-1841); Andrea Palmieri, A. Esposito, G. Leoni, Eduardo Souto de M oura; M aurizio Carones, G. Damiani, Bernard Tschumi; Franco Raggi, D. Scodeller, Livio e Piero Castiglioni. Il progetto della luce, n. 10, pp. 48-49 • Valentina Cristini, Giulia M iele, Rassegna; M ichele Faglia, F. Bottini (a cura di), Monza. Piani 1913-1997; Flaviano Celaschi, G. C. Argan, Progetto e oggetto; M anuela Ogliadoro, C. Debelli (a cura di), Il paesaggio agrario; Alessandra Spada, A. Lanzani, I paesaggi italiani; Emilio Pizzi, M. Botta, Quasi un diario. Frammenti intorno all’architettura; Adalberto Del Bo, P. Barbieri, Metropoli piccole; Maurizio Carones, L. Zanzi, P. Zanzi (a cura di), Atlante dei Sacri Monti prealpini, n. 11, pp. 40-41 • Valentina Cristini, Giulia M iele, Rassegna; Roberto Gamba, G. D’Annibale, Fotogram. Restituzione 2D e 3D dalle fotografie; M artina Landsberger, C. Bertelli, Lombardia medievale. Arte e architettura; M ichele Caja, C. Bianchetti, Abitare la città contemporanea; M aurizio Carones, C. Anguissola d’Altoè e S. Biffi (a cura di), Luca Scacchetti. Disegni 1983-2002; Giulio Barazzetta, Multiplicity, USE; Igor M aglica, M. Daguerre (a cura di), Eladio Dieste. 1917-2000; Enrico Morteo, C. Lussana (a cura di), Dalmine dall’ impresa alla cit t à, n. 12, pp. 44-45
M OSTRE E SEM INARI • Ilario Boniello, M artina Landsberger, Rassegna mostre; Rassegna seminari; Franco Raggi, Ricordando Achille Castiglioni; M ichele Caja, In quale stile dobbiamo costruire?; Sonia M ilone, Obiettivo kARTell; M anuela Oglialoro, Agricoltura e pianificazione; Comune di Brescia (a cura di), Un concorso per Brescia, Matteo Baborsky, Al di sotto della superficie urbana; Maurizio Carones, “Mi piace questo mestiere”, n. 3, pp. 49-51
• Ilario Boniello e M artina Landsberger, Rassegna mostre, Rassegna seminari; Pier Maria Giordani, La rappresentazione dell’immagine; M aria Vittoria Capitanucci, Il design di Magistretti a Genova; Francesco Fallavollita, Il mondo del SAIE; Roberta Castiglioni, Un’architettura che non c’è; Roberto Gamba, Il mondo di Gio Ponti; M arco Pozzo, Incontri con l’architettura ticinese, n. 5, pp. 53-55 • Ilario Boniello, Martina Landsberger, Sonia Milone, Rassegna mostre; Rassegna seminari; Luca Gelmini, Modernità e tradizione dell’architettura ticinese; Alessandro Vicari, Un salone d’eccellenza; Sonia Milone, Utopie urbane; Pisana Posocco, I disegni di Ridolfi; Carlo Ravagnati, Architetture per l’architettura, n. 6, pp. 42-43 • Ilario Boniello, M artina Landsberger, Sonia Milone, Rassegna mostre; Rassegna seminari; Martina Landsberger, Auguste Perret: forma e struttura; M aria Teresa Feraboli, Architettura d’oggi; Matteo Baborsky, Committenza privata; Ilario Boniello, Ricerche sulla nuova città; Olga Chiesa, La lunga strada del moderno; Filippo Lambertucci, Atlante fotografico, n. 7/8, pp. 46-47 • Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; M ichele Caja, La costruzione dell’immagine; Alessandro Vicari, Design valdostano; Laura M ontedoro, Quei frammenti razionalisti...; M arco Grassi, Canada versus Milano; Sonia Milone, I luoghi dell’arte; Sergio Poggianella, Lo spettatore come vittima, n. 9, pp. 54-55 • Red., Rassegna mostre; Rassegna master; Luciano Bolzoni, La valle della modernità; Sergio Poggianella, Da Caillebotte a un punto di domanda; Barbara Brugola, “ Parigi vista dalla mia finestra” ; Matteo Baborsky, Col tempo: gli Anni ’60; Gabriella Capitanucci, Fabbriche e territorio a confronto; Silvia Malcovati, Opera completa, n. 10, pp. 50-51 • Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; Maria Demetra Casu, Tutte le forme della ceramica; Maria Teresa Feraboli, Meta.fisica in architettura; Claudio Sangiorgi, Il mondo del marmo; Enrico M aria Ferrari, Fotografare il moderno; Maurizio Carones, I numeri di Milano; M artina Landsberger, Le “ soluzioni” di Vincenzo Scamozzi, n. 11, pp. 42-43 • Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; Olga Chiesa, Marco Introini: diario di viaggio; Marco Grassi, Sommaruga e il liberty milanese; Maria Teresa Feraboli, Tra storia e composizione; Alessandro Trivelli, Quotidiano solidale; Massimo Ferrari, Sull’archetipo dell’arte; Sonia M ilone, Storia di un’arte danzata, n. 12, pp. 46-47
ITINERARI • Vittorio Prina, Carlo Morandotti e Pavia, n. 3, pp. 52-55 • Giuseppe Magini, Enrico Castiglioni: “in un percorso d’arte tra passato e futuro”, n. 4, pp. 52-55 • Andrea Disertori, Tito Varisco Bassanesi e Milano: tra immaginario e reale, n. 6, pp. 44-47 • Laura Micheletti, Luciano Roncai, Egidio Dabbeni a Brescia, n. 10, pp. 52-55 • Anna Chiara Cimoli, Lo studio Monti GPA: una storia milanese, n. 11, pp. 44-47
INDICI E TASSI • • • • •
Indici e tassi, n. 3, p. 56 Indici e tassi, n. 4, p. 56 Indici e tassi, n. 5, p. 56 Indici e tassi, n. 6, p. 48 Indici e tassi, n. 7/8, p. 48
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Indici e tassi, n. 9, p. 56 Indici e tassi, n. 10, p. 56 Indici e tassi, n. 11, p. 48 Indici e tassi, n. 12, p. 48
ATTI DEL SEM INARIO • Regione Lombardia. Direzione Territorio e Urbanistica, Legge per il Governo del Territorio, n. 1/2, pp. 4-8 • Colophon del Seminario del 15 novembre 2002, n. 1/2, p. 9 • Stefano Castiglioni, Introduzione; M assimo Giuliani, Tempi e rapporti con la committenza nello sviluppo delle pratiche urbanistiche; Alessandro Moneta, Princìpi e obiettivi della nuova proposta di articolato per la riforma urbanistica regionale, n. 1/2, pp. 10-15 • Primo modulo. Valutazioni problematiche nodali e “strutturali” della Proposta di Legge: interventi di Claudio Baracca, Gianni Beltrame, Marco Engel, M assimo Ghiloni, Gaetano Lisciandra, Gianfredo Mazzotta, Fortunato Pagano, Laura Pogliani, Mario Rossetti, Iginio Rossi, Giulia Rota, Giuseppa Sala, M aria Cristina Treu, n. 1/2, pp. 16-39 • Secondo modulo. Gli aspetti applicativi nella nuova legge: interventi di Angelo Bugatti, Fausto Curti, Marco Engel, Fiorella Felloni, Giuseppe Franco Ferrari, Claudio Maffioli, Elio Mauri, Michele Monte, Bruno Mori, Pierluigi Properzi, Giulia Rota, Alfredo Viganò, Piergiorgio Vitillo, n. 1/2, pp. 40-69 • I.N.U. Lombardia, Disamina della proposta di “Legge per il Governo del Terrritorio”, n. 1/2, pp. 70-78 • Silvio Delsante, Quesito sulla valutazione della sostenibilità dei Piani; Paolo Frenna, Pro-memoria per un percorso verso la nuova legge urbanistica nazionale; Aldo Vecchi, Note sul progetto di legge regionale “ per il governo del territorio” , n. 1/2, pp. 79-80
VI CONGRESSO C.N.A.P.P.C. • Raffaele Sirica, Bari - VI Congresso nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori; M assimo Gallione, Etica della professione e qualità della progettazione; Gianfranco Pizzolato (a cura di), Professionalismo - Terza logica, n. 12, pp. 4-8 • Stefano Castiglioni, Paolo Ventura, Gianfredo M azzotta, Gianclaudio Di Cintio, Giovanni Cavalleri, Adalberto Del Bo, Michele Annaloro, I temi esposti dalla Consulta Lombarda a Bari, n. 12, pp. 9-14 • Il Documento finale del Congresso, n. 12, p. 17 • Stefano Castiglioni, Editoriale Dvd “11 punti per costruire una linea”, n. 12, p. 19 • Bergamo (A. Cortinovis), Per l’attenzione alla persona; Brescia (M. Mento), Il concorso appalto; Como (G. Cavalleri, G. Mazzotta), Committenza privata; Cremona (S. Manni, M. Masotti), Concorso, strumento di qualità; Lecco (G. Ferrario), Per un recupero ambientale; Lodi (S. Arrighi, V. Puglielli), Progettare il concorso; Mantova (G. Bombonati, M. Novellini), Concorso di idee: strategie e programmi; Milano (M. Carones, V. Cosmelli), Il ruolo degli Ordini; Pavia (P. Menudo, L. Micotti), Concorso di idee, benefici per la comunità; Sondrio (A. Forni, A. Valenti), Dalla proposta alla realizzazione; Varese (M. C. Bianchi, C. Castiglioni), Per nuove identità urbane, n. 12, pp. 20-41
INDICE • Indici 2002, n. 4
Salone e Fuori Salone, la Settimana del Design a Milano Il Salone Internazionale del Mobile milanese, inaugurato nella sua prima edizione nel 1954, è diventato nel tempo il punto di riferimento per verificare lo “ stato di salute” prima del design italiano e con il passare degli anni del design internazionale. Negli ultimi vent’anni la crescita del
l’interno del recinto fieristico si è affiancato il fenomeno del “ Fuori Salone” , sostenuto in modo “ militante” anche da riviste del settore di cui “ Interni” è stata capofila, registrandone il nome e mantenendo nel tempo il suo ruolo di riferimento con la Guida al Fuori Salone e con iniziative-eventi
ziative esterne. Quest’anno, accanto al “ Salone Satellite” delle giovani promesse e all’evento dedicato al cibo e curato da Adam Tihany all’interno della Fiera, “ Interni” , con il sostegno del Cosmit, propone una grande mostra alla Triennale Street Dining Design con dieci chioschi sperimentali, proposti in scala reale e calati all’interno di un paesaggio urbano pensato da Studio Azzurro. Come nella mostra distribuita nelle piazze della città del 2002 (Interni in Piazza) con microarchitetture temporanee, sintesi di spazi abitabili possibili pensati da architetti internazionali del calibro di Peter Eisenman e Bernard Tschumi, la sperimentazione progettuale suggerirà possibili soluzioni, nuove figure per il paesaggio urbano frutto di un procedimento progettuale che alla composizione architettonica unisce la cultura e la creatività del design firmata da giovani protagonisti. Insieme alla mostra una guida aggiuntiva a quella del “ Fuori Salone” , proporrà un itinerario ragionato su bar e ristoranti, alberghi ad “ alto grado di design” individuati nella realtà milanese; Street food rest design è il nuovo strumento offerto da “ Interni” per scoprire la città e valorizzarne i suoi luoghi anche meno conosciuti. Matteo Vercelloni Eventi
Alcune immagini dei choschi della mostra Street Dining Design. “ design” nel mondo – come fenomeno di produzione, di consumo e di “ espressione” in senso lato – è un tema su cui riflettere. Come afferma Vanni Pasca: “ in epoca di mondializzazione, società dell’informazione, postfordismo, in altre parole nella terza fase della rivoluzione industriale, il ruolo del design cresce e si espande. Ciò è connesso proprio alle caratteristiche di questa fase: la mondializzazione provoca l’ingresso d’intere aree geografiche nel mercato internazionale, ne deriva una crescita di competitività che chiede risemantizzazione ed estetizzazione degli oggetti e incisività dell’immagine aziendale, e il design diventa sempre più plus competitivo per le imprese” . A questo fenomeno di espansione del design che supera, all’interno del rapporto tra industria e artigianato, tra arte e tecnica, la dicotomia tra design e industrial design, con il prevalere del valore dell’idea che sta alla base della creazione dell’oggetto a prescindere dalle sue tecniche e modalità di produzione, il modo di proporsi del design anche durante l’appuntamento annuale del Salone del Mobile milanese è sostanzialmente cambiato. Dalla fine degli anni ’80 alla manifestazione “ canonica” al-
di grande richiamo. Il “ Fuori Salone” consiste nel trasformare l’intera città in una sorta di museo attivo e itinerante dedicato alla sperimentazione internazionale sul design in senso lato, gallerie d’arte, spazi pubblici e della moda, magazzini e fabbriche in disuso, durante la “ Settimana del Design” si attivano e si popolano di un pubblico internazionale che fino a tarda notte compie il suo rito mondano tra vernissage e mostre organizzate anche da aziende presenti sino pochi anni fa solo all’interno dei padiglioni della Fiera, ma che ormai, non possono esimersi di far parte del “ circuito parallelo” , più accattivante per proposte e alto grado di sperimentazione di quello tradizionale. Un uso della città diverso e collettivo che grazie alla spinta data dalla cultura del design ha fatto riscoprire e valorizzare zone della città considerate prima marginali e periferiche tra cui ad esempio il quartiere dell’Ansaldo-via Tortona. “ Salone” e “ Fuori Salone” hanno in realtà da sempre operato in sinergia, ma, se questa non veniva forse percepita nella giusta misura dalla manifestazione fieristica del Cosmit, da un paio d’anni la manifestazione ufficiale appoggia in modo diretto ini-
Designing Designers Convegno Internazionale tra le scuole universitarie di design, 5ª edizione. Appuntamento dedicato al mondo accademico internazionale. Presentazione di progetti relativi al tema dell’ospitalità, con intervento di docenti e professionisti che hanno sviluppato queste tematiche nei propri corsi. Fiera Milano, Padiglione 17, Sala Blu 1 17 aprile 2004 (ore 10.00 - 17.00) Dining Design Evento dedicato alla ristorazione. Presentazione di sedie create da grandi designers; allestimenti di spazi da parte di stilisti famosi; esposizione di progetti di allestimento di 10 selezionate Università e scuole di design internazionali. Fiera Milano, Padiglione 9 14-19 aprile 2004 (ore 10.00 - 19.30) Street Dining Design (in partnership con “ Interni” ) 10 spazi progettati da altrettanti architetti e designers intorno al tema del cibo consumato “ di fretta” . Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 14-19 aprile 2004 (ore 10.00 - 22.00) 20 aprile - 2 maggio 2004 (ore 10.00 - 20.30) Intrecci. Florencia Martinez e Helen Murray: work in progress Due affermate artiste, Florencia Martinez e Helen Murray esplorano le potenzialità del tessile con i materiali messi a disposizione dalle aziende espositrici. Fiera Milano, Padiglione 17/1° 14-19 aprile 2004 (ore 10.30 - 13.30; 14.30 - 17.30)
Seminari di Eimu Dibattiti dedicati al rapporto design - spazi lavorativi. Fiera Milano, Padiglione 15/1, area convegni 14 aprile: “Human Touch” 15 aprile: ”No stress” 16 aprile: “Intelligent Space” (ore 10.00 - 13.00) Installazioni celebrative del Premio Compasso d’Oro ADI. Mostra e convegni ADI sui grandi temi del design: etica, ambiente, mercati, finanza, formazione. Al Salone Internazionale del Mobile di Milano e Salone Satellite Milano, Spazio del Progetto ADI, EastEnd Studios via Mecenate 84 14-19 aprile 2004 Green Island. Piazze, isole e verde pubblico. Progetto urbano di fotografia, architettura e design Milano, via Pepe, quartiere Isola, zona Porta Garibaldi Opere di Ettore Sottssas, Aldo Rossi, Andrea Branzi, Boris Podrecca, Toyo Ito, Futur System, A12, Studio EU, ma0, Marco Romanelli, StalkAgency, 2a+p, Francesco Jodice, Marco Introini, Silvio Wolf, Alessandra Spranzi, Francesco Zucchetti, Luigi Ghirri, Paolo Rosselli, Maria Mulas, Francesco Radino, Cesare Colombo 18 aprile 2004 (inaugurazione: ore 12.00; cocktail: ore 13.00 sul binario ferroviario n. 20 della Stazione Garibaldi, Milano) Urban Stone Design Antichi e nuovi percorsi della pietra trentina Fondazione Piero Portaluppi Milano, via Morozzo della Rocca 5 14-19 aprile 2004 (ore 11.00 - 22.00) “Rencontre 2004”, incontro biennale con un designer William Sawaya Collection per Baccarat Presentazione della collezione di cristalli disegnata da William Sawaya per Baccarat, società di articoli in cristallo di alta qualità. Milano, Sawaya & Moroni via Manzoni 11 14-19 aprile 2004 (ore 10.00 - 20.00) Design scandinavo. Al di là dei miti Esposizione della produzione storica e contemporanea del design di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia. Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 22 marzo - 15 giugno 2004 Takeaway Design Il gruppo Takeaway Design presenta 10 progetti di design nati dalla collaborazione con alcune aziende cinesi e realizzati sotto forma di prototipi. Milano, Spazio Mitoka Samba via Forcella 7 15 - 17 aprile 2004 (ore 16.00 - 22.00) inaugurazione: 15 aprile (ore 18.00)
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Argomenti
A cura della Redazione
Artigiani come artisti Maestri. Design italiano dalla Collezione Permanente, Triennale di Milano Grand - Hornu Images ASBL 12 ottobre 2003 - 1 febbraio 2004 Provincia di Hainaut (Belgio)
Argomenti
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La stanza delle meraviglie, composta dai pezzi d’autore chiamati a raccolta da Silvana Annicchiarico ed allestita da Italo Lupi all’interno della cittadella industriale du Grand - Hornu, (realizzata dalla Compagnia d’Hornu a partire dal 1821, caduta nel tempo in disuso e recentemente riqualificata in centro di sviluppo economico e culturale), oltreché racchiudere in un solo ambiente fisico i più significativi contributi alla formazione dell’Italian style, offre un’occasione singolare: quella di scegliersi dei maestri. Questo potrà avvenire per istintiva simpatia ed inclinazione, così come per condivisione della ricerca teorica e di contenuto che si nasconde dietro gli esiti formali di ciascun maestro; in entrambi i casi chi si cimenterà nella ricerca di un maestro si misurerà inevitabilmente con una particolare categoria della progettazione: quella della storia. Se è vero dunque che, al di là delle simpatie per le poetiche personali, la scelta di un maestro coincide con la condivisione di un punto di vista originale e comune, tale punto d’osservazione non potrà mai prescindere, sia per continuità così come per negazione, dal rapporto con la storia, qui intesa come patrimonio stratificato di una moderna disciplina che affonda le sue radici nella cultura ingegneristica di fine Ottocento. Sarebbe allora più corretto parlare di tradizione della tecnica e dei nessi che essa trattiene con la progettazione e con i filoni espressivi che emergono da questa mostra, essendo il Design una disciplina incentrata sui valori espressivi del singolo pezzo sul
quale il più delle volte le poetiche artistiche e personali finiscono per trovarsi assoggettate ai valori funzionali cui il pezzo deve necessariamente rispondere. Passando in rassegna i molti e svariati pezzi di cui la mostra si compone, pare, infatti, emergere una costante lungo la linea di confine che demarca gli atteggiamenti espressivi dei vari maestri, la quale riconduce lo scarto linguistico tra ciascuna poetica essenzialmente ai modi in cui il progetto rende evidente o meno il proprio atteggiamento nei confronti della tecnica. Sapendo bene che i molti e differenziati esiti formali messi in mostra, rispondendo ad una molteplicità di temi lungo realtà temporali differenti, richiederebbero ciascuno un’analisi particolare (analisi che peraltro l’accurato catalogo che accompagna la mostra affronta, affiancando saggi introduttivi all’opera di ciascun maestro), ci pare che dal contributo d’ogni singolo maestro si possa desumere come l’evoluzione dell’Italian design verso le promettenti terre della produzione seriale sia avvenuta secondo modi affatto lineari ma, piuttosto, per sussultori stadi d’avanzamento, compresi tra celebrazioni della tecnica e recuperi della tradizione. Attorno a tale delicata questione ci pare ancora oggi oscillare il destino dell’Italian design, non più certamente coinvolto in un dibattito collettivo come quello che vide a metà degli anni 50 il movimento del Neoliberty contrapporsi all’applicazione delle metodologie del mobile razionalista, ma semmai “ congelato” sotto l’autorità della firma d’autore. Così ad esempio il “ peso” della tradizione anonima e artigianale delle sedie di Chiavari, abilmente smaterializzato da Gio Ponti nel 1952 con il disegno della Superleggera per Cassina, pare riaffiorare nell’ossatura logica della sedia Milano disegnata nel
Prospettiva Stanze: le firme di Gio Ponti, Pininfarina, Franco Albini, Bruno Munari, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Marco Zanuso e Richard Sapper, Ettore Sottsas, Anna Castelli Ferrieri, Vico Magistretti, Cini Boeri, Gae Aulenti, Joe Colombo, Alessandro Mendini, Aldo Rossi, Enzo Mari, Mario Bellini, Gaetano Pesce, Alberto Meda e Paolo Rizzato, Antonio Citterio, Denis Santachiara, Michele De Lucchi, siglano i pezzi esposti in apposite nicchie che Italo Lupi ha riservato a ciascun autore selezionato.
1988 da Aldo Rossi per Molteni & C., così come una seduta rinascimentale pare aver ispirato Michele De Lucchi nel bellissimo disegno della sedia 1993 per Produzione Privata. Il gioco dei sottili rimandi potrebbe applicarsi a molti altri pezzi estratti dalla Collezione Permanente della Triennale di Milano e, varcando i confini nazionali (si pensi ad esempio alla dissoluzione inflitta da Philippe Starck all’archetipo Luigi XV con il progetto della poltroncina Luis Ghost per Kartell), finirebbe per rilevarci come le operazioni più accattivanti nella disciplina del disegno industriale rimangano sospese tra tecnica e cultura, tra artigianato ed industria e come tale stato d’equilibrio sia tutto sommato prerogativa del buon Design. Matteo Baborsky
Corridoio con Boeri: al centro dell’allestimento il tunnel coperto, animato dalle interviste a video realizzate da Silvana Annicchiarico.
Il gran teatro di Giovanni Testori Giovanni Testori. I segreti di Milano Milano, Palazzo Reale 28 novembre 2003 - 15 febbraio 2004 Per chi ama Milano e la Lombardia, e ancor più per chi voglia penetrarne i segreti al di là della scorza di superficie, la figura e l’opera tutta di Giovanni Testori costituiscono un riferimento imprescindibile. E giustamente la mostra, che qui si recensisce, si intesta al titolo del primo ciclo letterario di Testori, quei Segreti di Milano che sublimano in un linguaggio corroso e dirompente l’autenticità di vita, le storie umili e derelitte, le vicende, i personaggi, i paesaggi, i toponimi che costituivano il teatro vivente della periferia milanese. Ma una simile chiave di lettura risulterebbe assai limitativa non solo dell’opera e della figura di Testori, come è del tutto evidente, ma della mostra stessa, che di Testori riesce con grande efficacia e suggestione a far rivivere le vicende umane, l’impegno intellettuale e civile, la rete fittissima di amici, corrispondenti, interlocutori, l’ampiezza davvero stupefacente della sua attività di narratore, poeta, drammaturgo, critico d’arte, pittore, intellettuale, moralista. Ampiezza alla quale in qualche misura si era abituati quando, Testori ancora in vita, si leggevano sulla prima pagina del “ Corriere della Sera” , a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, i suoi interventi di critica civile, sempre sferzanti contro ogni conformismo, e poi, qualche pagina dopo, le sue critiche d’arte, concentrato di illuminazioni interpretative e lampi di scrittura, e poi ancora nei teatri cittadini o, sempre più frequentemente, in teatri “ impropri” , l’eco delle rappresentazioni delle sue prove drammaturgiche, ogni volta eversive degli statuti codificati, e infine anche la segnalazione di qualche mostra di sue opere pittoriche. Ma oggi un’ampiezza che, a distanza di dieci anni dalla morte, e con la possibilità di guardare alla sua opera con sguardo più distaccato e sintetico, lascia dav-
vero sgomenti e quasi increduli di fronte a una tale capacità di praticare strumenti e registri così diversi, eppure tutti pervasi da una specie di visinteriore univocamente tesa nello sforzo di tracciare un percorso, verrebbe da dire, visceralmente esistenziale ancor prima che critico o creativo. Non a caso Giovanni Raboni, ricordando la figura di Testori all’indomani della morte sulle pagine del “ Corriere della Sera” del 17 marzo 1993, ne parla come di chi “ si è messo in discussione di continuo, pagina dopo pagina, libro dopo libro” e che “ nell’imminenza o nell’attesa di una nuova impresa creativa, ha cavato fuori dal pozzo di San Patrizio delle sue strepitose risorse naturali lo scrittore che poteva dare la forma giusta all’urgenza di quel determinato contenuto, di quella nuova passione” . C’è un passaggio molto bello, nel saggio dedicato a Ricordi figurativi del e dal Manzoni, del 1985, nel quale Testori, parlando della civiltà figurativa e letteraria lombarda, sembra parlare di sé, e precisamente là dove rileva la necessità di “ riconoscere (...) le infinite intersecazioni che, sempre, si stabilirono fra arte in figura e arte in parola (...) e come, tali intersecazioni, ebbero a segnare l’inter et intus della tradizione lombarda” . Ecco, tutta la sua opera sembra impregnata, ossessivamente e inestricabilmente, di questa tensione tra arte in figura e arte in parola. Talché i suoi scritti d’arte, come è già stato osservato, sembrano voler ridare vita vissuta all’opera e al mondo dell’artista, sviscerati entrambi come organismi viventi di una scena teatrale in presentia, prima ancora che indagati, e senza alcuno sconto filologico, come oggetti critici; e fatti rivivere attraverso una scrittura che operava una personalissima rimeditazione della scrittura longhiana (“ Adoravo Longhi, anche perché scriveva in modo divino”, ricorderà sul “ Corriere della Sera” nel 1980). E, reciprocamente, i suoi testi letterari, siano essi racconti, romanzi, poesia o testi teatrali, sono attraversati da un “ gusto pre-
si inaugura la collaborazione con Franco Parenti e la stessa sede del Salone Pier Lombardo, e nella quale gli eroi del teatro classico e shakespeariano, con uno stupefacente trasalimento linguistico-ambientale, dai mitici luoghi d’origine atterrano nei borghi macheronici della Brianza, a Lomazzo, a Meda, a Camerlata, a Novate, storpiandosi in Ambleto, Macbetto, Edipus, dove Giocasta sarà sposata a un mobiliere di Meda (“ Passando da Elsinore a Lomazzo (...) l’Amleto ha preso un “ intopicco” ed è diventato Ambleto: in questo “ intopicco” forse è nascosto tutto il mistero dell’opera” , scrive sul “ Corriere della Sera” alla vigilia della prima rappresentazione). Enel frattempo gli innumerevoli scritti e mostre d’arte, da quelli dedicati all’arte antica, molti dei quali rimangono come punti fermi, e di svolta, nella storia e nella critica (basti ricordare le storiche mostre: I pittori della realtà in Lombardia, a Palazzo Reale a Milano, 1953; Mostra del manierismo piemontese e lombardo del Seicento, a Torino, 1955; Il Seicento lombardo, a Palazzo Reale a Milano, 1973, con allestimento di Ignazio Gardella), a quelli dedicati a pittori moderni e contemporanei, secondo “ militanti” predilezioni artistiche (da Morlotti a Guttuso, da Bacon a Lucian Freud, da Varlin a Sutherland, da Frangi a Velasco, a molti altri); e le mostre dei suoi stessi dipinti, tra le quali alcune introdotte dai bellissimi saggi di Luigi Carluccio, Torino 1971, Pietro Citati, Milano 1974, Cesare Garboli, Milano 1975, Carlo Bo, Parigi al Centre Pompidou, 1987. E poi, a partire dal 1975 con Ottone, la collaborazione continuativa al “ Corriere della Sera” , come elzevirista di terza pagina, come “ moralista” sulla prima, come direttore della pagina domenicale dedicata all’arte, con interventi quasi sempre di rottura e di sfida alla cultura dominante, estremi e anticonformisti (impossibile non compararli a quelli corsari di Pasolini, che su quelle medesime pagine l’aveva preceduto e con intransigenza simile, e con l’opera del quale quella di Testori ha più di un punto in comune) (“ Se così pensando, sono tacciato di stare con l’antico, bene, sto con l’antico. Sulla modernità che ha tramutato la rivoluzione in capitale e in consumo, sputo. (...) L’anima non la vendo. E, men che meno, la morte” scriverà sul “ Corriere” nel settembre 1977, in un articolo intitolato La cultura marxista non ha il suo latino, in risposta a un intervento su “ l’Unità” di un importante dirigente del Partito Comunista). E infine l’intensissima stagione degli anni Ottanta, con i testi teatrali scritti per Franco Branciaroli (Branciatrilogia prima e Branciatrilogia seconda), tra cui quell’In exitu, prima romanzo e poi rappresentazione teatrale (memorabile quella sulle scalinate della Stazione Centrale di Milano del dicembre 1988), che per molti, nella deflagrata, lirica violenza della lingua e delle situazioni, è una specie di punto di approdo, di testimonianza estrema della sua ricerca formale e del suo sentimento della condizione umana (“ Mia città! Mia contristata,
mia umiliata, mia derelitta, mia assediata, mia esacerbata città!“ ). La mostra, che è una bella mostra e accompagnata da un bel catalogo entrambi a cura di Alain Toubas, ha il merito di mettere in scena, in una sequenza di stanze dense e concentrate, belle in sé e per la chiarezza didascalica, le vicende della vita di Testori, vita privata, civile, artistica. Quasi stazioni di una biografica via crucis, le stanze, partendo e concludendosi nella topografia del regno familiare tra Novate e Valassina, Lasnigo e Sormano (paesi natii dei genitori e della sua infanzia), nel tragitto intercluso,
diare Milano e la Lombardia, progettare nelle sue città, nelle sue campagne e nei suoi borghi, senza averli prima percorsi attraverso le pagine di Testori, averli conosciuti attraverso le sue storie d’arte e di vita. Con la sua voce fasciata di bruma (come egli stesso diceva di quella di Tino Carraro, interprete di Conversazione con la morte), con quel suo aspetto tra frate e ergastolano (“ Il loro volto è sereno, il sorriso dolcissimo, e nel chiaro celeste degli occhi si stempera fino a cancellarsi il ricordo di un lontano fatto di sangue. Una misteriosa venerabilità li circonda” ,
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minentemente visivo (...) che ha nell’occhio il suo uncino principale” , come scriveva Vittorini nel risvolto di copertina di Il dio di Roserio, il primo racconto pubblicato nel 1954; testi di chi viene alla narrativa dalla pittura, per passare poi alla poesia, al teatro e di nuovo, o nel mentre, alla critica d’arte, alla pittura, financo alla recitazione, in un attivismo creativo quasi spasmodico eppur lucidissimo, costantemente espresso in una lingua “ che sembra davvero penetrare nelle carni e nel sangue dei suoi personaggi” (o dei “ suoi” artisti, nelle critiche d’arte), come ebbe a notare Giancarlo Ferretti nel 1961. È davvero impossibile riepilogare in poche righe la multiforme, travolgente attività di Testori; e ancor più azzardato presumere di parlare del valore dell’opera testoriana, dei testi letterari e teatrali, degli scritti di storia e critica d’arte, delle sue pitture, della sua lingua. Illustri critici e alcuni suoi amici ne hanno scritto con cognizione di causa e profondità di argomenti, da Mario Apollonio a Carlo Bo, da Giovanni Raboni a Pietro Citati, da Giancarlo Ferretti a Cesare Garboli, da Geno Pampaloni a Cesare Segre, da Stefano Crespi a Fulvio Panzeri, ad altri ancora; e alle loro pagine si rimanda, ricche di illuminazioni interpretative e di ammirata partecipazione, affettiva e intellettuale. Ma quello che qui si vorrebbe almeno fare, da lettore comune a lettore comune, da comune visitatore della mostra a comune visitatore della mostra, è di segnalare una specie di indice, un pro-memoria, sia pure sommario, dei molti campi di attività in cui ha operato Testori, lasciando ogni volta un segno profondo e memorabile, e sui quali la mostra ha il merito di aprire degli squarci densi e suggestivi, che invogliano il visitatore ad approfondire, una volta uscito, questo o quell’episodio della sua vita artistica e civile, questo o quel nucleo particolare della sua opera. Ed ecco allora scorrere, in una sequenza che in realtà è un intreccio indissolubile: la commedia umana della periferia del dopoguerra, perlustrata, rivissuta, condivisa nelle vicende e nei personaggi dei Segreti di Milano, ciclo di racconti, romanzi e dei primi testi teatrali La Maria Brasca e Arialda; l’incontro determinante con Longhi, in occasione della storica mostra di Palazzo Reale su Caravaggio nel 1951 (il famoso “ Tel chi el Testùr” ), sulla scia della passione per i “ pestanti” , per i pittori di San Carlo, dei Sacri Monti, del Seicento lombardo, riscoperti e praticati in un continuo pellegrinaggio per valli, chiese, cappelle, sacrestie tra Piemonte e Lombardia, e infine narrati in testi appassionanti, tra cui su tutti l’epopea commovente del Gran teatro montano; i fotogrammi di Rocco e i suoi fratelli, e le successive collaborazioni con Visconti; le foto di scena delle prime rappresentazioni teatrali, all’inizio degli anni Sessanta, con i grandi attori dell’epoca, Franca Valeri, Paolo Stoppa, Valeria Moriconi, Rina Morelli e altri grandi nomi del teatro italiano; la Trilogia degli Scarozzanti, con cui nel gennaio 1973
Giovanni Testori ai piedi del Ponte della Ghisolfa, fine anni ’50. con una selezione davvero coinvolgente di testi e dipinti autografi, interventi critici, documenti, testimonianze, quadri e opere degli artisti amati e studiati per tutta la vita, mettono in mostra il gran teatro della vita di Testori, gli affetti privati, la produzione artistica e intellettuale, il ruolo pubblico svolto per cinquant’anni nella vita culturale milanese e italiana. L’ordinamento e l’allestimento, con l’alternanza di quadri e disegni di Testori, opere di artisti contemporanei spesso suoi amici o sue scoperte e grandi capolavori dei maestri della peste e del Seicento lombardo, comunicano un sentimento corale, di rigore critico ma anche di affetto e ammirazione, al cui afflato per il visitatore è difficile sottrarsi, in una partecipe e commossa adesione. Per chi ha frequentato negli ultimi decenni la Facoltà di Architettura di Milano, docente o studente che fosse, questa mostra ha poi un significato particolare: perché è impossibile stu-
come scrisse di lui in un bellissimo ritratto Cesare Garboli), tante volte Testori ha calcato le aule della Facoltà, invitato a partecipare a seminari, parlare d’arte o di teatro, leggere sue opere; e fino agli ultimi giorni, persino dalla stanza d’ospedale, con una generosità estrema di cui anche chi scrive è testimone, non ha rifiutato il suo contributo, con uno stralcio dei suoi Trionfi e con un ritratto del Santo comunicante gli appestati fatto per l’occasione, al fascicolo di una rivista di architettura che si stava occupando del suo Sacro Monte di San Carlo sopra Arona, una tema da lui tanto e tante volte amato e studiato. Per tutte queste e tante altre ragioni, e non certamente per la sola cultura degli architetti lombardi, la mostra ospitata a Palazzo Reale è un degno e affezionato omaggio alla vita e all’opera del grande artista e studioso, nel decennale della sua scomparsa. Enrico Bordogna
Conversazioni a cura di Antonio Borghi
Intervista a Mario Bellini • Un’intervista a Mario Bellini può toccare mille temi, “dal cucchiaio alla città”, dai radicali anni Sessanta alla liquidità del nuovo millennio, dall’editoria alla museografia; ma, visto il contesto, ci limiteremo ad alcune battute su temi particolarmente attuali. Iniziamo dai processi di trasformazione che investono la Fiera di Mi-
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lano e coinvolgono l’intera città. Che impressione ha della gestione e delle potenzialità dei progetti in corso? • La prima operazione al Portello partiva da una situazione molto vincolata con un programma ben preciso. I tre padiglioni biplanari collegati da un passaggio pubblico sul fronte strada – che sono il risultato di quel programma – volevano dare un valore simbolico e narrativo a questo intervento urbano, collocato in corrispondenza di un accesso importante alla città. Anche la grande capriata che abbraccia sia la parte pubblica sia la parte logistica dell’edificio, esprime questo valore di “ presenza” conferendo alla Fiera un nuovo volto. Qualcuno ne ha parlato come di un timpano: ma non c’è stata da parte mia nessuna intenzione postmoderna quanto piuttosto il riferimento alle grandi architetture industriali come quelle di Peter Behrens. A qualche anno di distanza mi pare che l’intervento sia molto ben integrato nell’ambiente. Addolcito dal verde degli alberi, il percorso pubblico esterno è diventato un vero loggiato urbano. Ogni volta che ci passo di fianco sento una sorta di nuova curiosità per questo edificio, lo sento animato, vivace. Il concorso per il polo esterno, invece, è stata per noi un’esperienza controversa. Abbiamo partecipato al concorso in consorzio con grandi imprese di costruzione e credevamo in un giudizio che bilanciasse più efficacemente la qualità architettonica con l’offerta economica. In realtà è stato premiato il gruppo che ha fatto un’offerta economica di gran lunga inferiore alle altre, e non è bastato l’essere in testa alla graduatoria architettonica. Come si vede, mischiare
architettura ed economia è una questione delicata, anche perché il pubblico dei non addetti ai lavori finisce per vedere solo la gara d’architettura, senza poter rilevare le motivazioni economiche: ed è esattamente ciò che è accaduto in questo caso. Per il recupero del polo interno della Fiera non siamo invece più in gara perché il gruppo al quale eravamo associati si è ritirato, non ritenendo l’operazione sufficientemente vantaggiosa. Una ulteriore conferma del fatto che l’architettura è sempre l’anello debole di queste operazioni miste, con investitori e progettisti. Dunque mi trovo a essere spettatore di questo concorso e mi auguro che ne esca un buon progetto abbinato ad una giusta offerta economica e alle migliori scelte urbanistiche. • Certo, quando si parla di concorsi d’architettura, bisogna fare molte distinzioni, ma secondo lei quale può essere la formula giusta, tenendo conto che le questioni economiche hanno un peso sempre maggiore? • È difficile individuare una formula, ogni concorso ha una storia a se, ma negli ultimi anni abbiamo fatto anche molte esperienze positive. In dicembre abbiamo inaugurato la National Gallery of Victoria a Melbourne, lavoro iniziato con un concorso pubblico internazionale nell’agosto 1996. Un intervento da 35.000 metri quadri dove abbiamo mantenuto l’involucro esterno, rifacendo integralmente l’interno e raddoppiando la superficie espositiva del museo per ridare nuova vita alla più importante collezione di arte dell’emisfero australe. È stato un lavoro molto impegnativo, che abbiamo attentamente seguito dal progetto preliminare all’allestimento delle opere d’arte. Tra gli invitati all’inaugurazione c’era il direttore del Louvre che ha rilasciato un’intervista al quotidiano “ The Australian” , dicendo che questo può considerarsi oggi uno dei più bei musei del mondo e un modello di riferimento per il modo di mostrare l’arte. Un riscontro che ci ha fatto molto piacere. Un’altra esperienza straordinaria la stiamo facendo a Torino, anche lì in seguito alla vittoria conseguita in un concorso internazionale. La prima fase era un concorso di idee anonimo e aperto a tutti e alla seconda sono stati invitati un numero ristretto di architetti con un minimo di rimborso spese. A mio parere è questo il miglior modo di applicare la Merloni. Stiamo ora completando il progetto definitivo, con gli aggiustamenti e le correzioni che sempre intervengono in questi grandi progetti, ma la committenza è molto competente e ciò rende il nostro lavoro più stimolante; Torino mostra di reagire con grande interesse nei confronti di questo progetto. • In questo periodo è d’obbligo una domanda sul design, disciplina nella quale è un maestro riconosciuto in tutto il mondo. Cosa pensa del design italiano contemporaneo? Viviamo di rendita o ci sono nuove idee in giro? • Prima di rispondere devo precisare
che io non so cosa sia il design. Con questa parola intendiamo tutti una certa cosa, ma io non accetto l’uso che si fa di questo termine dal punto di vista scientifico. Cos’è il design? Forse quella disciplina nata come conseguenza della rivoluzione industriale, grazie ai nuovi modi di produzione? Allora avremmo dovuto cambiar nome anche all’architettura, che ha subito la stessa evoluzione. Quando avevo ventisei anni Gregotti mi ha fatto un’intervista per un numero speciale di “ Edilizia moderna” dedicato appunto al design. Allora ero un giovane progettista emergente e risposi allo stesso modo a questa domanda. Certo, tutto ciò che noi chiamiamo impropriamente design esiste, ma cos’è? Non è altro che il disegno di oggetti e macchine per la casa, per l’ufficio, per il lavoro, di mezzi di trasporto e così via. Dal mio punto di vista non c’è niente – in questo campo – che sia cominciato negli anni Trenta. Gli artigiani del Faraone disegnavano sedie, suppellettili e arredi, mentre case, tombe e monumenti erano disegnati da architetti, come si fa ancora oggi. Cosa succede nel design in Italia? Succede che ogni anno c’è qualcuno che disegna degli oggetti, che rappresentano di volta in volta la nostra società nelle sue mille sfaccettature. Oggi non c’è uno stile dominante, come non c’è un solo modo di vestire, né in Italia né in Europa. Dappertutto ci sono diverse tendenze che corrispondono ai diversi modi di vivere che caratterizzano i diversi “ habitat” da cui è composta la società contemporanea, e ognuna ha i suoi riti. Seguendo questa logica si disegnano gli oggetti, esattamente come si disegna l’architettura. Tutto quello che disegniamo oggi, domani connoterà lo stile del nostro tempo. Forse – come vado ripetendo da anni – lo “ stile” della nostra epoca verrà chiamato design. Il design non è la catarsi dello styling in qualche cosa di più nobile: è semplicemente il modo di progettare che ci appartiene, e che, probabilmente, verrà utilizzato come l’etichetta dello stile del nostro tempo, così come è avvenuto ai tempi di Luigi XIV, del Barocco, del Bidermeier, del Neoclassico, dell’Art Decò, eccetera. Personalmente continuo a disegnare e non mi preoccupo di come ciò venga etichettato. Attorno a questo si fa un sacco di mistificazione, come quando si parla della “ metodologia del design” nei termini “ oggettivi” che appartengono alla scienza, mentre invece essa rappresenta l’ennesima “ dichiarazione di poetica” , priva di fondamento scientifico. I designer della scuola di Ulm ritenevano che il risultato della loro attività progettuale fosse il frutto di una corretta metodologia: mettendo a confronto le necessità funzionali con i condizionamenti della tecnologia di produzione e le proprietà dei materiali pretendevano di raggiungere una forma non formalmente intenzionata, la giustezza della forma. Ma anche questo è un assunto poetico!
Anche quella forma era fortemente intenzionata, e infatti ora connota stilisticamente quegli anni. Mi sta benissimo che ci sia gente che disegna così, è un modo di disegnare che ha connotato un’epoca, ma non è né più giusto né più sbagliato degli altri. La sua “ giustezza” fa parte della mitologia del design. Per fare un altro esempio, essere minimalisti non significa affatto avere ridotto al minimo la carica figurativa e formale del progetto. Un rubinetto che è un tubo cilindrico con una semplice levetta ha una carica figurativa fortissima, non ne ha necessariamente meno di un oggetto “ organico” . Un cubo, bello o brutto che sia, non è formalmente meno “ carico” – con tutte le intenzioni figurative che questo comporta – e ovviamente possiede anche una forte connotazione “ stilistica” . Dobbiamo rivalutare lo “ stile” superando finalmente la vecchia polemica tra styling e design. Io sono dell’opinione che lo “ stile” è una delle categorie estetiche di massimo rilievo, significativa sin dal termine che la designa, che viene da stilo, il bastoncino con cui si incidevano le tavolette di cera o di creta per scrivere, per trasferire il pensiero. • Dunque il design, come del resto la moda, non sono altro che espressioni della cultura progettuale del nostro tempo nella quale Milano riveste un ruolo di primo piano a livello globale. Come mai questi valori non si riesce a convertirli in valori culturali ampiamente condivisi trasferendoli, ad esempio, anche nel disegno degli spazi pubblici, nel paesaggio urbano milanese? • Milano è piena di bellissime case – soprattutto negli interni – ma si ha l’impressione che chi esce per attraversare lo spazio pubblico debba andare col “ fazzoletto al naso” . Lo si vede ad esempio anche nella zona della moda, dove le boutique vengono rinnovate continuamente con grandi investimenti, mentre le strade sono molto più modeste. È un ambiente un po’ sciatto – negli arredi, nella segnaletica e nelle recinzioni dei cantieri – come raramente si riscontra nelle grandi capitali europee. L’idea di città come luogo dell’orgoglio dei cittadini è tipicamente italiana – l’Italia è il paese delle cento città – ma quella stagione è finita. Basta guardare, ad esempio, i pavimenti dei portici intorno a San Babila con i suoi bei disegni intarsiati nel marmo. Ora sono tutti rotti e rattoppati quasi non si sapesse più di chi sono. Forse i proprietari non ritengono più opportuno spendere per riparare questi spazi pubblici e nemmeno i cittadini e la città li sentono propri. Insomma, in Italia viviamo in questo paradosso: da una parte inventori e depositari del concetto di qualità urbana e dall’altra parte sempre più cattivi custodi di questi valori a favore della qualità dei nostri interni, in case e negozi raffinatissimi. Ma le esortazioni non portano a nulla: questi valori si diffondono quando se ne sente l’urgenza interiore e questa, evidentemente, non c’è più.
A cura di Roberto Gamba
Brescia: bando per la progettazione e l’assegnazione di aree PEEP edificabili
renziazione tipologica ha il compito di aumentare la qualità compositiva dei volumi nelle parti costruite. Nel progetto del comparto si sono affrontate le peculiarità di ogni singola tipologia, arricchendo ulte-
riormente la differenziazione degli affacci già contenuta nel bando e studiando edifici “ B” con impaginati di facciata ed articolazioni volumetriche alternative, con la conseguente diversificazione nel taglio degli alloggi offerti.
Nel 2000 il Comune di Brescia, ha approvato un nuovo Piano per l’Edilizia Economico Popolare, che prevede la realizzazione di due insediamenti residenziali, denominati Zona A/19 Violino, Zona A/21 San Polo. Nel primo sono da realizzare circa 136 alloggi, mentre nel secondo sono previsti 1873 alloggi e la realizzazione di terziario e artigianato di servizio. Nel 2002 l’Amministrazione ha disposto un concorso per l’assegnazione di una prima parte degli alloggi previsti. Le aree messe a bando, relative a circa 851 alloggi riguardavano l’intera Zona A/19 Violino, i comparti 14,15,21 della Zona A/21 San Polo. La procedura, seppure indirizzata a operatori – cooperative edilizie e imprese di costruzione – ha posto come elemento centrale dell’offerta l’elaborazione da parte di gruppi di progettisti professionisti, associati per l’occasione, di progetti preliminari su tutte le aree edificabili messe a bando. Il tema progettuale affrontato ha riguardato le “ nuove forme dell’abitare e la sostenibilità ambientale degli insediamenti residen-
ziali” . Specificatamente gli obiettivi conseguiti sono stati un’adeguata qualità edilizia, in grado di valorizzare il rapporto tra tipologia abitativa e quartiere, tra spazio privato e pubblico, tra edificato e non; una qualificata prestazione tecnica costruttiva, atta ad assicurare uno sviluppo urbano sostenibile, in relazione all’utilizzo di fonti energetiche alternative e materiali eco-compatibili; una valorizzazione delle tipologie destinate all’affitto in relazione alle esigenze sociali rilevate nell’ambito del territorio comunale. I nuovi interventi edilizi del Violino e di San Polo, si pongono idealmente e fattivamente come episodi di sviluppo e completamento dei quartieri di edilizia residenziale pubblica già realizzati e intendono valorizzare: il ruolo dimostrativo dell’edilizia residenziale pubblica nel disegnare una porzione di città; la qualità dello spazio abitabile in relazione alle domande che emergono entro la struttura sociale presente sul territorio. Illustriamo i progetti vincitori dei singoli comparti.
Comparto A21: lotto di progettazione “A” Pippo Cantarelli, Umberto Baratto, Mario Mento, Giulio Baratto, Elisabetta Drera, Tiziana Rizzi, Francesca Ziliani, Stefano Bordoli, Francesca Castagnari, Silvano Marrelli, Bruno Tonelli, Giordano Pedrazzoli, Alessandro Anelotti, Simone Catano, Francesco De Caria, Ciro Dusi, Antonio Lavo, Laura Pedrazzoli
zione della metropolitana leggera automatica; in secondo luogo tali elementi divengono assi ordinatori delle quantità standard interne al comparto, relative a spazi pubblici pavimentati e a parcheggio, riconfigurate anch’esse a formare degli “ squares” attrezzati ed alberati che spezzano il continuum edificato e che creano un sistema articolato di pause lungo le strade di penetrazione del comparto stesso. A rimarcare l’assialità longitudinale introdotta dai nuovi percorsi si è ipotizzato un analogo asse coperto con portici ad uso pubblico ai piedi dei tre edifici “ B” e che termina nell’edificio B6, elemento di raccordo con il tessuto di S. Polo vecchio. Il tema dell’assortimento tipologico ha nel bando una centralità particolare: si tratta, attraverso la varietà tipologica, di ampliare le possibilità di scelta dell’alloggio da parte di un’utenza fortemente diversificata; in aggiunta, la diffe-
La proposta per il comparto 21 intende aggiungere un’ulteriore articolazione del telaio dei percorsi ciclopedonali, ipotizzando nuove aste longitudinali che abbiamo definito percorsi di connessione. Il ruolo di questi nuovi elementi è duplice: si tratta di connessioni interquartiere, colleganti le zone a bassa densità del comparto (isolati con tipologie L1 ed L2) con le zone ad alta densità (edificio “ D” e Mall con i prospicienti edifici “ E” ), in cui si trovano rilevanti quantità terziarie e commerciali con la sta-
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Comparto A19: Quartiere Violino Franco Micheletti, Valeria Boschi, Giovanni Cigognetti, Michele Piccardi, Luigi Serboli, Clara Vitale, Dario Ferrari, Giancarlo Allen, Jorrit Tornquist, Francesco Bardelli, Nicola Benedetti, Germana Gavazzoni, Nicola Ghislanzoni L’impianto urbanistico del comparto Violino, presenta un andamento Nord-Est Sud-Ovest; l’esposizione degli edifici, previsti dal Peep, sfrutta in modo limitato il potenziale termico del soleggiamento.
Lo schema viabilistico, composto da tre assi principali carrabili e da un reticolo, sovrapposto, di percorsi pedonali, non ha comunque subito modificazioni. Il parametro della qualità è stato perseguito valorizzando i percorsi pedonali come luogo di incontro e socializzazione: i punti di intersezione sono stati sottolineati dall’introduzione di un pergolato. Una piazza pavimentata, in prossimità dell’ingresso principale al comparto Violino, individua il punto di connessione tra la precedente edificazione e la nuova progettazione.
Concorsi
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Il margine Nord-Est è stabilito da due corpi di fabbrica che costituiscono anche il terminale prospettico dei tracciati viabilistici e pedonali del comparto A/19. All’interno del comparto sono presenti due tipologie di corpi di fabbrica: l’edificio a quattro piani e la casa a schiera. Le case a schiera presentano alcuni parametri variabili dipendenti sia dal posizionamento rispetto agli assi viari e alla schiera stessa, sia da una differente interpretazione delle linee guida dell’architettura bioclimatica. Ogni unità è affiancata da un vano autorimessa e si sviluppa su tre livelli. Anche gli edifici a quattro piani sono organizzat i secondo uno
schema di funzionamento basato sulla logica dell’edilizia bioclimatica. La porzione fredda del fabbricato è stata destinata al corpo scale e allo spazio di accesso agli appartamenti che affacciano tutti sul lato Sud-Ovest e sono dotati di una piccola serra ad accumulo indiretto e, in alcuni casi, ad accumulo diretto. Le scelte cromatiche basate sulla tetrade di colori, nella tonalità più chiara e nella tonalità più scura, concorrono nel sottolineare sia l’articolazione volumetrica delle singole unità, evidenziando i rapporti tra pieni e vuoti, sia il funzionamento stesso degli organismi edilizi in relazione all’efficienza bioecologica.
Comparto 15 Francesco Caprini, Corrado Borsoni, Donato Aquilino, Giuliano Venturelli, Franco Cerudelli, Luciano Lussignoli, Barbara Ferrari, Stefano Giacobini, Enrico Guastaroba, Enrico Fermi, Paolo Greppi, Pierluigi Bianchetti, Roberto Greppi, Stevan Tesic, Milena Veljkovic Tesic, Paolo Boni
alla sequenza puntuale delle case singole, che forma un tessuto puntuale, minuto, variegato ma non improvvisato. • Lotto di progettazione “ A” Il lungo fronte compatto del complesso degli edifici indicati con la sigla “ E” , caratterizzato dal trattamento a logge, affacciato sul sistema della viabilità centrale con la linea della metropolitana e l’esplanade verde, ma anche il fronte strada dell’edificio “ E1” , chiuso, compatto, con aperture schermate e di dimensioni controllate, istituiscono la valenza urbana di questa quinta. Al contrario, i fronti e i corpi di fabbrica interni giocano su una scala diversa, sono frammentati, resi complessi dalla presenza di diversi elementi architettonici e funzionali, che sono ancora logge, ma anche vani scala, ballatoi, affacci diretti, terrazze. La complessità e la flessibilità dello schema funzionale e distributivo, che impiega vani scala e ballatoi, interpreta il tema della sostenibilità risolvendo con la morfologia dell’edificio, nel progetto architettonico, i problemi relativi all’orientamento, all’esposizione e alla ventilazione.
I grandi spazi aperti (la via centrale e il “ corso verde” ad essa ortogonale) sono individuati come gli assi ordinatori della nuova città. La struttura morfologica e funzionale dei singoli comparti è stata poi riconosciuta nell’elemento forte, a forma di “ L” , che si appoggia ai grandi spazi pubblici. Il collegamento e l’integrazione fra spazi centrali del piano, spazi pubblici dei comparti e tessuto residenziale è affidato alla localizzazione degli spazi aperti e ad una serie di percorsi. L’architettura degli edifici, infine, caratterizza e rende riconoscibili gli spazi aperti, evidenziando nella composizione degli elementi architettonici le differenti valenze dei lunghi edifici che formano le “ quinte” costruite, dei grandi spazi centrali, rispetto
L’impianto strutturale degli edifici è modulato su un reticolo quadrato di 5,60 metri di lato. In tal modo si prevede di realizzare gli orizzontamenti con strutture a piastra a comportamento bidirezionale con eliminazione di travi e solai. • Lotto di progettazione “ B” Il principio del progetto della tipologia “ B” è ispirato all’integrazione volumetrica con le altre tipologie: prevede volumi complementari, che articolano planivolumetricamente l’edificio principale (edificio in linea). Elementi caratterizzanti sul piano della sostenibilità sono: lo sfruttamento della doppia esposizione grazie all’introduzione della distribuzione a ballatoio, con conseguente possibilità di doppio affaccio e quindi di ventilazione trasversale naturale a tutti gli alloggi; la massimizzazione dell’apporto di luce naturale grazie all’utilizzo di logge sul lato sud; i ballatoi dotati di lamelle orizzontali al fine di impedire la vista sugli alloggi sottostanti e ridurre le variazioni di temperatura tra l’interno dell’alloggio ed esterno (effetto intercapedine) con miglioramento di prestazioni in termini di risparmio energetico. La “ pelle” esterna dell’edificio, intonacata, è caratterizzata da elementi in legno naturale, sia per il ballatoio (lamelle orizzontali mo-
dulabili) che per le logge (ante esterne impacchettabili). Per le tipologie “ L1” , le case singole presentano un’ampia variabilità tipologica e funzionale, che, oltre allo studio delle testate, permette l’articolazione dello schema base di piano (stecche di case singole) in isolati urbani composti da una materia edilizia permeabile. La scelta del tetto piano (finito con ghiaia chiara, per evitare eccessivo assorbimento termico estivo) permette la disposizione sugli ultimi orizzontamenti di altane, terrazze e deflettori regolabili per il dosaggio della ventilazione naturale. I volumi edificati sono realizzati in muratura intonacata. • Lotto di progettazione “ C” Il principio fondatore del progetto della tipologia “ B” è ispirato all’integrazione volumetrica con le altre tipologie: prevede la realizzazione di volumi complementari. Sul piano della sostenibilità c’è lo fruttamento della doppia esposizione (distribuzione a ballatoio); la massimizzazione dell’apporto di luce naturale (logge); i ballatoi dotati di elementi di protezione (lamelle orizzontali). La “ pelle” esterna dell’edificio, intonacata, è caratterizzata da elementi in legno naturale, sia per il ballatoio (lamelle orizzontali modulabili) che per le logge (ante esterne impacchettabili).
storica; da trasformare l’incrocio stradale di largo Manzella in una piazza urbana, risolvendo il groviglio determinato dall’intersecarsi delle differenti funzioni e ridisegnando lo spazio esistente oggi ricavato esclusivamente dalla viabilità dei bordi; da creare un’area di fermata per gli autobus di linea. Erano attese proposte di interramento dell’autorimessa, dei parcheggi, di altre funzioni; lo spostamento del distributore di benzina e del ristorante; il recupero della pedonabilità; la revisione degli elementi di arredo, con even-
tuali proposte di fontane o monumenti; il rifacimento dell’illuminazione pubblica. Nella frazione di Gallignano, era da ripensare tutta l’area di entrata e di contorno al cimitero e all’acquedotto, con proposte articolate e integrate che prevedessero la presenza di verde di protezione, di un’area a piazza sufficientemente ampia per contenere anche manifestazioni pubbliche; il recupero dell’area privata attorno alla chiesa; da proporre la riqualificazione della strada centrale, via Regina della Scala.
Comparto 14: Zona A21, San Polino Mauro Galantino, Marco Frusca, Mauro Agosti, Marco Ticozzi, Brunella Guizzi Collaboratori: Angelo Bettoni, Ivan Ciocchi, Thomas Ballhaus, Sergio Biscaccianti, Nicola Bonissoni, Paola Bossini, Andrea Busi, Alessandro Campioni, Gualtiero Cigolini, Marco Cillis, Massimo Colosio, Alessandro Dalaidi, Emanuela Festa, Mauro Mariotto, Sergio Martire, Massimo Mosconi, Elena Re, Federico Rodella, Gabriele Rubagotti, Luca Saiani, Annalisa Tagazzini, Mauro Taglietti, Lorenzo Valvason, Ottavia Zanetti, Francesca Zubani L’articolazione volumetrica vede un corpo longitudinale a sette livelli fuori terra E1, un corpo longitudinale a quattro livelli fuori terra (corrispondente al sedime E2), tre corpi pressoché paralleli innestati a pettine sull’E2, l’edificio E4 (sempre a sette livelli fuoriterra complessivi) nel sito indicato nelle norme.
L’edificio E1 comprende un livello terra terziario e sei livelli residenziali destinati all’affitto, distribuiti in orizzontale da un ballatoio situato sul fronte nord alimentato da due corpi scala. L’edificio E2 è situato sull’allineamento prospiciente la rambla ed incorporando nella griglia di travi che caratterizza la facciata un volume cilindrico terziario, gira nella strada interna ad est. Dietro questo corpo un parallelepipedo più corto, orientato non più parallelamente alla rambla ma secondo la maglia viaria del comparto, sempre appoggiato sul giardino di copertura della piastra commerciale, accoglie 6 alloggi duplex a schiera più piccoli, sovrastati da altri 4 alloggi duplex con distribuzione dal ballatoio sul lato opposto. Altre superfici destinate a terziario sono localizzate, oltre che nel piano terra dei corpi E3, al primo e secondo piano della piccola schiera posta sulla piastra-giardino nel volume del cilindro d’angolo.
Soncino, riqualificazione urbana del capoluogo e della frazione Gallignano Ai concorrenti era richiesta una proposta che permettesse, attraverso la riprogettazione dei suoi elementi costitutivi, una migliore fruizione dello spazio aperto pubblico, in vari ambiti urbani: nel capoluogo, la via Brescia - via N. Sauro - via XXV Aprile - Largo Manzella - via Milano - via Cremona - via Bergamo; nella frazione di Gallignano, invece, l’asse viario principale via Regina della Scala - zona cimitero - monumento caduti/acquedotto - largo Covi (sagrato) via Fiorano.
Nel capoluogo, particolare attenzione doveva essere posta ai temi del recupero della nuova strada urbana, conferendo ad essa un aspetto cittadino e di unione tra le due diverse parti, con l’organizzazione di una passeggiata e con un’attenta suddivisione degli spazi, distinti tra di loro in veicolari, pedonali, per sosta, pista ciclabile. Era da valorizzare l’area a ridosso delle mura con un percorso paesaggistico ben articolato e compatibile con l’importante presenza
Concorsi
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1° classificato Roberto Spagnolo, Manuela Bandini, Mauro Di Giorgio; collaboratori: Marco Contardi, Francesco Guarini In piazza Manzella, nella porzione attualmente occupata dagli alberi, verrà mantenuta la terra e le piantumazioni; la porzione più spostata verso est, con i due piani di autorimesse sottostanti, sarà invece pavimentata in pietra naturale secondo un disegno a grandi partiti. Il progetto colloca sul lato est un piccolo edificio commerciale, che funga da fondale architettonico alla nuova piazza. L’organismo è costituito da quattro/cinque unità commerciali su un piano e mezzo. La parte alta è servita da un “ soppalco pubblico” che su una estremità contiene l’ascensore per scendere nelle autorimesse interrate, mentre all’opposto si conclude con una scalinata in pietra, che “ mira” al centro della fontana. La nuova stazione-fermata degli autobus è organizzata su tre corsie di sosta, coperte da una pensilina e affiancate da un padiglione vetrato di circa 30 mq per la collocazione delle biglietterie.
Lungo la via Zanardi si è ritenuto di costruire un semplice porticatopergola. Al centro della piazza, in fronte alla fontana circolare, è collocato un padiglione di forma libera, (circa 200 mq) adatto a ospitare il ristorante oppure una “ postazione” comunale, per piccoli eventi pubblici. La lunga strada che connette piazza Manzella alla splendida cinta muraria è stata considerata come unico viale: in un primo tratto la proposta progettuale consiste nella definizione di un grosso cordolo a sezione trapezia, atto a separare nettamente la viabilità carraia da quella ciclopedonale; in un secondo tratto, una semplice ripulitura e manutenzione del “ pratone” , con una leggera movimentazione di terra, dà luogo a una discesa gradonata. A Gallignano si realizza un sottile filo d’acqua affiancato al tracciato stradale che ne sottolinea la correlazione fisico-morfologica e, al tempo stesso, evoca la rilevanza rappresentata dai tracciati d’acqua nella struttura della produttività agricola. Attraverso un gesto simbolico, l’ac-
qua è inglobata in un quadrato, disegnato al suolo nella pavimentazione e segnalato da blocchi di pietra chiara (panche). L’attuale percorso d’accesso al cimitero viene elevato al rango di viale; ne vengono rafforzate le piantumazioni fino a definire una massa verde che costituisce un diaframma di distinzione tra lo spazio silenzioso del recinto sacro e lo spazio rumoroso della viabilità meccanica. Il viale, in asse al cancello del cimitero, si apre in una piazza a forma di losanga tronca, ove c’è una piccola fontanella.
A sud del cimitero si apre una piazza destinata alle manifestazioni pubbliche. Sul limite sud è stato collocato un piccolo padiglione per attrezzature di servizio. Il sagrato della chiesa viene rimodellato, attraverso l’eliminazione dei tre gradini antistanti la porta della chiesa e la costruzione di un unico piano leggermente inclinato, in lastre di pietra. La parte centrale del nuovo sagrato è incisa, secondo un arco di cerchio molto ampio, dal solco contenente l’acqua, che termina poi in una fontanella.
donale tutta la strada centrale di attraversamento nord-sud, accerchiando il borgo con una strada carrabile a doppio senso. La circolazione interna all’anello, di servizio ai residenti è prevista per piccoli settori rotatori a senso unico che partono e ritornano al suddetto anello.Vengono ridisegnate strade e ordinati spazi con diverse destinazioni, cercando di ottenere
degli spazi gradevoli e scenografici. Il cimitero viene inserito in un parco all’inglese, denso nei margini e separato con discrezione dal paese. Viene formata una nuova piazza di circa 1600 mq di accesso al paese che apre la prospettiva verso il centro del borgo; viene valorizzata la piazza della chiesa che attualmente presenta un sagrato confuso e opprimente.
3° classificato Roberto Silvestri, Maria Previti
in rapida evoluzione (la futura lottizzazione) e di fornire alla comunità uno spazio multifunzionale polivalente. Da un lato si propongono soluzioni architettoniche di grande qualità, contemporanee, ma basate su una lettura storica della città; dall’altra si mantiene un elevato grado di realismo, relativo alla realizzabilità degli interventi e alla loro adeguatezza al contesto in cui sorgono. L’idea di proporre la costruzione di un edificio residenziale e commerciale che coroni e chiuda la nuova piazza dà la possibilità all’amministrazione pubblica di reperire fondi.
Concorsi
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2° classificato Letizia Lionello; collaboratori: Sara Callioni, Elisabetta Bodrito; consulente: Mario Bonomo Il progetto si concentra sull’area di Largo Manzella, area di risulta derivante dall’espansione degli ultimi cinquant’anni con la proposta di trasformare questa grande area, esterna al nucleo storico, nel centro urbano della città di oggi. L’area viene ridisegnata in modo radicale anche con l’inserimento di nuove costruzioni, per definire
una nuova piazza ridisegnando il margine della via XXV Aprile e il raccordo tra le vie per Milano e per Cremona; per delineare i flussi del traffico e i percorsi pedonali; per individuare chiaramente gli spazi liberi, da destinare a piazze pubbliche, fontane, parcheggi e per introdurre nuove funzioni pubbliche (auditorium, mercato coperto, giardino d’inverno) e private (residenza, uffici, negozi). Il progetto prevede di liberare il piccolo centro di Gallignano dal traffico viabilistico e rendere pe-
Soncino è un centro importante, con emergenze storiche di rilievo che non solo devono essere valorizzate, ma che devono essere anche integrate e correlate con la nuova espansione della città fuori dalla cinta muraria. Occorre quindi lavorare creando sia un sistema di fruizione delle testimonianze del passato, creando un nodo di giunzione tra le due anime della città: antica entro le mura e moderna fuori le mura. Gallignano diversamente necessita di un intervento capace di “ riordinare” una situazione esistente,
a cura di Walter Fumagalli
Qualcosa cambia nella tutela del paesaggio Il Testo unico delle leggi sui beni culturali e ambientali ha appena compiuto quattro anni, ma anziché prepararsi ad andare all’asilo è già stato mandato in pensione: sulla Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 2004 è stato pubblicato il Decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 contenente il “ Codice dei beni culturali e del paesaggio” , che appunto abroga il Decreto Legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 contenente il Testo unico. È difficile non riconoscere che le leggi stanno attraversando un periodo di vorticosi cambiamenti: speriamo che ciò non risponda alla strategia gattopardesca di cambiare tutto, affinché tutto rimanga come prima. In realtà, molte delle norme sulla tutela del paesaggio comprese nel nuovo Codice entreranno in vigore a scoppio ritardato, e cioè solo dopo che le competenti amministrazioni pubbliche avranno esperito gli adempimenti di loro competenza. Tuttavia è bene prepararsi fin d’ora alle principali novità che, in un tempo più o meno breve, entreranno fatalmente in vigore. Il piano paesaggistico Fin dalla Legge 29 giugno 1939 n. 1497 il piano paesistico è stato concepito come strumento di fondamentale importanza, anche se per molti anni poco utilizzato, nel sistema approntato al fine di tutelare e valorizzare i beni di valore paesaggistico. Con il nuovo Codice tale piano non solo cambia nome, assumendo quello forse più appropriato di “ piano paesaggistico” , ma cambia anche per molti versi i suoi contenuti e la sua stessa natura. Finora il piano paesistico doveva perseguire l’obiettivo di sottoporre “ a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale” i beni dotati di particolare pregio paesaggistico, individuati come tali dalle competenti amministrazioni, e per le cosiddette “ bellezze d’insieme” la pianificazione paesistica era addirittura facoltativa (vd. l’Articolo 149 del Testo Unico). Con il Codice il piano paesaggistico diventa invece uno strumento generalizzato, di cui ciascuna regione
deve obbligatoriamente dotarsi e che deve riguardare “ l’intero territorio regionale” , e quindi non solamente i beni espressamente vincolati dalla legge o da specifici provvedimenti amministrativi (Articolo 135.1 del Codice). Questa sua portata risponde probabilmente al nuovo concetto di paesaggio che da qualche tempo va facendosi strada, e che ha trovato riscontro nella Convenzione Europea del Paesaggio, presentata per la sottoscrizione degli Stati membri del Consiglio d’Europa il 20 ottobre 2000 a Firenze (Articolo 2: “ la presente Convenzione si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani (...) Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati” ). In questa sua nuova veste, pertanto, il piano paesaggistico deve ripartire l’intero territorio da esso considerato, secondo ambiti omogenei determinati a seconda dei differenti livelli di valore paesaggistico che in ciascuno di essi vengono riscontrati, “ dagli ambiti di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente compromessi o degradati” (Articolo 143.1 del Codice). Nel compiere tale operazione, il piano può anche individuare eventuali categorie di immobili che, pur non essendo ancora vincolati come beni paesaggistici, siano ritenuti ugualmente meritevoli di essere sottoposti a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione (Articolo 143.3, Lettera “ h” ). Fatto ciò, il piano deve dettare prescrizioni generali ed operative, finalizzate a garantire la tutela e l’uso del territorio compreso in ciascun ambito. Le previsioni dei piani paesaggistici così approvati, prevalgono su quelle contenute negli strumenti urbanistici, i quali devono essere man mano aggiornati per essere uniformati a tali previsioni. Le autorizzazioni paesaggistiche A regime, cioè una volta che gli strumenti urbanistici saranno stati adeguati alle previsioni dei piani paesistici, il procedimento per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche subirà un considerevole sovvertimento. La relativa richiesta, anzitutto, dovrà obbligatoriamente possedere alcuni contenuti tipici, e cioè dovrà
obbligatoriamente indicare (Articolo 146.4): • lo stato attuale del bene interessato dall’intervento; • gli elementi di valore paesaggistico presenti in esso; • gli impatti che le trasformazioni progettate siano suscettibili di produrre sul paesaggio; • gli elementi di mitigazione e di compensazione ritenuti eventualmente necessari per rendere l’intervento compatibile con il paesaggio. Ricevuta la richiesta, la competente amministrazione dovrà anzitutto verificare la completezza della documentazione prodotta a corredo della stessa e dovrà chiedere quella eventualmente mancante; nel caso in cui dovesse ritenerli indispensabili per la più corretta valutazione dell’intervento, inoltre, potrà chiedere la produzione di ulteriori documenti ed effettuare particolari accertamenti (Articolo 146.6). Completata questa fase preliminare dell’istruttoria, sulla base del parere espresso da un’apposita commissione, denominata “ Commissione per il paesaggio” , l’amministrazione dovrà verificare (Articolo 146.5): • la conformità dell’intervento progettato alle prescrizioni dettate dal piano paesaggistico; • la sua compatibilità rispetto ai valori paesaggistici riconosciuti mediante il provvedimento di vincolo; • la sua congruità con i criteri di gestione dell’immobile stabiliti dal piano paesaggistico; • la sua coerenza con gli obiettivi di qualità paesaggistica fissati sempre dal piano paesaggistico. Svolti questi accertamenti, l’amministrazione dovrà assumere la propria determinazione: se la valutazione sarà negativa, emetterà un motivato provvedimento di diniego, mentre se sarà positiva emetterà un’altrettanto motivata proposta di autorizzazione paesaggistica (Articolo 146.6). Tale proposta di autorizzazione, insieme con il progetto e la relativa documentazione, dovrà quindi essere inviata alla competente soprintendenza, la quale dovrà esaminarla ed entro i successivi sessanta giorni dovrà comunicare all’amministrazione procedente il proprio parere in merito; in mancanza, detta amministrazione assumerà comunque le proprie determinazioni prescindendo dal parere della soprintendenza (Articolo 146.7). L’amministrazione competente, entro venti giorni dal ricevimento del parere o dalla scadenza del predetto termine di sessanta giorni, dovrà emettere il provvedimento conclusivo, rilasciando l’autorizzazione paesaggistica oppure respingendo la richiesta presentata (Articolo 146.8). In entrambi i casi, il provvedimento dovrà essere adeguatamente motivato, e nel caso in cui il suo contenuto fosse in contrasto con i pareri assunti nel corso del relativo procedimento, la motivazione dovrà indicare in modo particolarmente approfondito le ragioni di tale contrasto.
Ma non sarà finita qui. L’autorizzazione dovrà essere inviata “ senza indugio” (cioè, il giorno stesso della sua emanazione) alla soprintendenza, alla regione e alla provincia competenti (nonché alla comunità montana ed all’ente di gestione del parco, per gli interventi ricompresi nel territorio di competenza di tali enti) e diventerà efficace solo dopo il decorso di venti giorni dalla sua emanazione (Articolo 146.10). L’autorizzazione dovrà essere rilasciata separatamente dal permesso di costruire, e prima che sarà diventata efficace non potrà essere rilasciato il permesso stesso né potrà essere inoltrata la relativa denuncia di inizio di attività (Articolo 146.8). In mancanza di autorizzazione paesaggistica i lavori non potranno essere neppure iniziati (Articolo 146.6) e, se verranno iniziati, non potranno essere regolarizzati a posteriori, in quanto l’autorizzazione “ non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi” (Articolo 146.10). Gli estremi dell’autorizzazione rilasciata, con la sintetica indicazione dell’intervento assentito e l’espressa indicazione del suo eventuale contrasto con il parere emesso dalla soprintendenza, dovranno essere inseriti in un apposito elenco tenuto presso il comune di appartenenza, elenco che dovrà essere aggiornato almeno una volta alla settimana e che sarà “ liberamente consultabile” da chiunque (Articolo 146.12). Ovviamente l’autorizzazione paesaggistica potrà essere impugnata con ricorso al tribunale amministrativo o con ricorso straordinario al Capo dello Stato, ma in tal caso si verificheranno due inedite conseguenze (Articolo 146.11): • il ricorso e l’eventuale appello saranno comunque decisi, anche se il ricorrente avrà dichiarato di rinunciarvi o di non avere più interesse alla sua decisione; • le sentenze e le ordinanze del tribunale amministrativo potranno essere appellate da chiunque avrebbe avuto titolo per impugnare l’autorizzazione, anche se non abbia proposto il ricorso di primo grado. Le sanzioni Contrariamente a quanto previsto dalla normativa vigente, come già evidenziato, a regime non sarà più possibile rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, delle opere relative. Per le opere eseguite senza autorizzazione o in difformità della stessa, dunque, si aprirà inevitabilmente il capitolo delle sanzioni. In tal caso, dunque, il trasgressore sarà tenuto a rimettere in pristino lo stato dei luoghi a proprie spese, oppure a pagare una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la trasgressione (Articolo 167.1). La scelta fra le due sanzioni, ovviamente, spetterà non al trasgressore,
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Legislazione
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ma all’amministrazione competente alla tutela paesaggistica, la quale dovrà decidere tenendo conto esclusivamente dell’interesse alla protezione dei beni tutelati. La riduzione in pristino dovrà essere eseguita dal trasgressore nel termine a tal fine assegnato dal provvedimento sanzionatorio, ed in caso di inadempienza l’amministrazione competente provvederà d’ufficio per mezzo del prefetto, facendosi poi rimborsare dal trasgressore stesso le spese relative (Articolo 167.3). Le somme riscosse a titolo di sanzione, invece, dovranno essere utilizzate “ per finalità di salvaguardia, interventi di recupero dei valori paesaggistici e di riqualificazione delle aree degradate” (Articolo 167.4). Ma, oltre alle sanzioni amministrative, il trasgressore sarà soggetto anche a sanzioni penali. In proposito stabilisce l’Articolo 181.1 del Codice che “ chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità dalla stessa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall’Articolo 20 della Legge 28 febbraio 1985 n. 47” . Alla luce di questo rinvio, è da ritenere che le pene applicabili siano quelle stabilite dalla Lettera “ c” del citato Articolo 20, vale a dire l’arresto fino a due anni e l’ammenda da € 15.494,00 a € 51.646,00. Comunque, “ con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato” (Articolo 181.2). Al giudice penale, quindi, non viene lasciato alcun margine di scelta tra la riduzione in pristino e l’applicazione della sanzione pecuniaria; resta da vedere che cosa succederà nei casi in cui, prima della sentenza di definitiva condanna, l’amministrazione competente avrà ritenuto più opportuno, nell’interesse della protezione dei beni tutelati, comminare detta sanzione in luogo della demolizione. W. F.
La disciplina transitoria del Codice dei beni culturali e del paesaggio Si prevede che occorreranno almeno quattro anni prima che le disposizioni in tema di tutela del paesaggio introdotte dal “ Codice dei beni culturali e del paesaggio” , approvato lo scorso 16 gennaio 2004, entrino definitivamente “ a regime” . Benché infatti l’Articolo 183.7 del nuovo Codice fissi al 1° maggio 2004 l’entrata in vigore del Codice stesso, alcune delle disposizioni in esso contenute potranno trovare applicazione soltanto una volta che le pubbliche amministrazioni interessate avranno prov-
veduto ai necessari adeguamenti. In considerazione di ciò, il Codice detta una serie di disposizioni di prima applicazione e di norme transitorie, volte a disciplinare la fase di passaggio al nuovo ordinamento. In particolare l’Articolo 156.1 del Codice dispone che, entro il 1° maggio 2008, le regioni dovranno adeguare i piani territoriali paesistici, da esse redatti a norma dell’Articolo 149 del Decreto Legislativo n. 490/1999, ai contenuti dei “ piani paesaggistici” indicati dall’Articolo 143 del Codice. A tal fine è previsto che, entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del Codice, il Ministero per i beni e le attività culturali, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, predisponga uno schema generale in vista della stipulazione di accordi con le regioni per lo svolgimento delle attività necessarie per provvedere a tale adeguamento. Tali accordi dovranno stabilire “ il termine entro il quale sono completate le attività, nonché il termine entro il quale la regione approva il piano adeguato” . In caso di mancato rispetto di tale ultimo termine, il Ministro provvederà all’approvazione del Piano in via sostitutiva. L’Articolo 159 del Codice prevede poi un “ procedimento di autorizzazione in via transitoria” , che dovrà essere seguìto fino al momento in cui i nuovi piani paesaggistici saranno stati approvati e gli strumenti urbanistici saranno stati adeguati alle prescrizioni contenute in tali piani. Lo schema previsto, dal sopra citato Articolo 159, ricalca quello di cui all’Articolo 151 del Decreto Legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 (il Testo unico dei beni culturali e ambientali) e si differenzia notevolmente dal nuovo procedimento “ a regime” previsto dall’Articolo 146 del Codice. Quest’ultimo stabilisce che il parere della soprintendenza venga acquisito anteriormente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e che, una volta decorso il termine di sessanta giorni dal ricevimento, da parte della soprintendenza, della proposta d’autorizzazione, l’amministrazione competente prescinda dall’acquisizione di tale parere e assuma comunque le determinazioni in merito alla domanda d’autorizzazione. Viceversa la disciplina dettata dall’Articolo 159 del Codice per la fase transitoria, analogamente alle norme vigenti, prevede il coinvolgimento della soprintendenza soltanto nella fase successiva al rilascio dell’autorizzazione. Precisamente, a norma del secondo comma di tale articolo, nella fase transitoria l’autorizzazione paesaggistica dovrà essere rilasciata o negata nel termine perentorio di sessanta giorni dalla relativa richiesta e costituirà atto presupposto per il rilascio del permesso di costruire o per la presentazione della denuncia d’inizio d’attività; in assenza di tale autorizzazione, i lavori non potranno neppure iniziare. Ove si renda necessario procedere alla richiesta d’integrazione docu-
mentale, ovvero ad accertamenti, il termine di sessanta giorni per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica potrà essere sospeso per una sola volta, fino alla data del ricevimento della documentazione richiesta, ovvero fino alla data di effettuazione degli accertamenti. Una volta decorso inutilmente il termine di sessanta giorni sopra citato, gli interessati potranno richiedere direttamente l’autorizzazione alla competente soprintendenza, che dovrà pronunciarsi entro sessanta giorni dal ricevimento della relativa istanza. Anche in questo caso è prevista la sospensione del termine per provvedere, al fine di consentire l’integrazione documentale o l’esperimento di accertamenti, secondo modalità del tutto analoghe a quelle sopra descritte. Sulle amministrazioni competenti graverà altresì l’obbligo di dare “ immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall’interessato, nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti” , secondo quanto prevede l’Articolo 159.1 del Codice, e ciò al fine di consentire l’esercizio del potere d’annullamento delle autorizzazioni stesse da parte del Ministero. Tale norma prevede altresì che la stessa comunicazione venga inviata contestualmente anche agli interessati, per i quali rappresenterà “ avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della Legge 7 agosto 1990, n. 241” . Questa disposizione è coerente con le numerose pronunce giurisprudenziali che hanno sancito il principio secondo cui l’annullamento ministeriale delle autorizzazioni paesaggistiche deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento (da ultimo, TAREmilia Romagna, Parma, 2 febbraio 2004 n. 35), nonché con il Decreto Ministeriale 13 giugno 1994 n. 495, che detto principio aveva puntualmente recepito, ma che è stato poi modificato ad opera del Decreto Ministeriale 19 giugno 2002 n. 165, che ha sancito l’opposto principio della non necessità di tale comunicazione per questo procedimento. Peraltro la comunicazione prevista dall’Articolo 159 del Codice non sembra assolvere pienamente agli scopi cui è preordinata la comunicazione di avvio del procedimento prevista dall’Articolo 7 della Legge n. 241/1990. Con l’avvio del procedimento di cui all’Articolo 7, infatti, l’amministrazione porta a conoscenza degli interessati la propria intenzione di assumere un determinato provvedimento, così da consentire agli stessi di far valere eventuali ragioni contrarie all’adozione di tale atto. Viceversa, la comunicazione prevista dall’Articolo 159.1 non è finalizzata a dar notizia dell’intenzione del Ministero di provvedere all’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, ma solamente ad infor-
mare dell’avvenuta trasmissione alla soprintendenza dell’autorizzazione stessa. Èquindi evidente che in quel momento l’interessato non sarà posto nelle condizioni di produrre con sufficiente cognizione di causa scritti a difesa della legittimità dell’autorizzazione rilasciata non sapendo se, e sotto quali profili, tale legittimità verrà mai contestata. Per cautela, una volta ricevuta la comunicazione, gli interessati potranno semmai avere cura di contattare il responsabile del procedimento, per verificare l’esistenza di eventuali dubbi circa la legittimità dell’autorizzazione, e poter così cercare di “ correre ai ripari” per tempo. L’Articolo 159.3 prevede poi che “ il Ministero può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa, completa documentazione” . La norma in questione ricalca la previsione contenuta nel Testo Unico dei beni culturali e ambientali, seppure con qualche differenza. Anche l’Articolo 151 del Testo Unico demandava al Ministero la possibilità di provvedere “ in ogni caso” all’annullamento dell’autorizzazione, tuttavia prevedeva che ciò potesse avvenire entro “ i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa comunicazione” . Effettivamente la formulazione della norma non appariva particolarmente felice, in quanto faceva decorrere il termine per l’annullamento dell’autorizzazione non già dal momento in cui il Ministero aveva preso conoscenza degli effettivi contenuti degli interventi autorizzati, bensì dalla semplice comunicazione dell’avvenuto rilascio dell’autorizzazione stessa. Nell’evidente intento di risolvere questo problema, il nuovo Codice ha previsto che il termine per provvedere all’annullamento dell’autorizzazione decorra dal ricevimento della “ relativa, completa documentazione” . Nemmeno questa soluzione è però priva di controindicazioni, non essendo per nulla agevole stabilire il momento in cui la documentazione possa considerarsi “ completa” , con conseguente inizio della decorrenza del termine per l’annullamento dell’autorizzazione. Quanto poi alla previsione, contenuta nel Testo Unico e ripresa dal Codice, secondo la quale il Ministero, entro il termine previsto, può provvedere “ in ogni caso” all’annullamento dell’autorizzazione, essa non è da intendersi nel senso di attribuire all’amministrazione una discrezionalità assoluta in proposito. Anche l’atto di annullamento di un’autorizzazione paesaggistica, infatti, deve basarsi su valutazioni conformi a logica e fondate su un’adeguata istruttoria, e soprattutto può essere assunto solamente qualora venga riscontrato un vizio di legittimità dell’autorizzazione, e deve essere sorretto da una puntuale motivazione. Riccardo Marletta
Strumenti a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato
G.U. n. 2 del 10.1.2004 - 3ª Serie speciale Legge Regionale 29 settembre 2003, n. 17 Norme per il risanamento dell’ambiente, bonifica e smaltimento dell’amianto Il Consiglio Regionale ha approvato la seguente legge. L’Art. 1 espone le finalità. La presente legge attua le disposizioni della Legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto) in osservanza al D.P.R. 8 agosto 1994 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni ed alle province autonome di Trento e Bolzano per l’adozione di piani di protezione, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica dell’ambiente, ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall’amianto), estendendo il campo di intervento anche all’amianto in matrice compatta. Gli obiettivi della legge sono la salvaguardia del benessere delle persone rispetto all’inquinamento da fibre di amianto, la prescrizione di norme di prevenzione per la bonifica dell’amianto, la promozione di iniziative di educazione ed informazione finalizzate a ridurre la presenza dell’amianto. L’Art. 2 tratta della bonifica di piccoli quantitativi di amianto, gli articoli seguenti del Piano Regionale Amianto Lombardia (PRAL). G.U. n. 11 del 15.1.2004 - Serie generale Decreto Legislativo 8 gennaio 2004, n. 3 Riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi dell’Art 1, della Legge 6 luglio 2002, n. 137 Il Presidente della Repubblica emana il seguente decreto legislativo che modifica l’organizzazione dei Dipartimenti del Ministero. I Dipartimenti esercitano le proprie funzioni nell’ambito di aree funzionali quali i beni culturali e paesaggistici, i beni archivistici e librari, la ricerca, innovazione e organizzazione, lo spettacolo e sport. Il Ministero si articola in diciassette uffici dirigenziali generali, costituiti dalle direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici, e negli altri uffici dirigenziali. Sono inoltre organi
consultivi del Ministero il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, i Comitati tecnicoscientifici, i Comitati regionali di coordinamento, gli altri organi istituiti in attuazione delle vigenti disposizioni di legge. G.U. n. 11 del 15.1.2004 - Serie generale Deliberazione 12 novembre 2003 Tempi e modalità di invio delle informazioni che le società d’ingegneria e le società professionali devono trasmettere all’Autorità (Deliberazione n. 293) Il Consiglio, vista la relazione del settore valutazione di processo, considerato che l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha dato comunicazione della scheda e delle istruzioni per l’invio delle informazioni che società di ingegneria e società professionali devono trasmettere; preso atto delle difficoltà oggettive riscontrate nella trasmissione e dell’elaborazione dei dati relativi alle società di ingegneria e professionali, delibera che tutte le società di ingegneria e professionali, indipendentemente dal fatto che operino nel settore privato e/o pubblico e indipendentemente dall’aver svolto o meno, alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della presente Deliberazione attività di cui all’Art. 50 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999 debbono comunicare i propri dati all’Autorità. I tempi e la modalità di trasmissione sono oggetto della presente deliberazione. G.U. n. 13 del 17.1.2004 - Serie generale Legge 24 dicembre 2003, n. 378 Disposizioni per la tutela e la valorizzazione dell’architettura rurale Il Presidente della Repubblica promulga la seguente legge. Le finalità della legge sono la salvaguardia e la valorizzazione delle tipologie di architettura rurale, quali insediamenti agricoli, edifici o fabbricati rurali, presenti sul territorio nazionale, realizzati tra il XIII e il XIX secolo e che costituiscono testimonianza dell’economia rurale tradizionale. Ai fini dei benefici previsti dalla presente legge le tipologie di architettura
rurale sono individuate, con decreto avente natura non regolamentare del Ministero per i beni e le attività culturali, di concerto con i Ministri delle politiche agricole e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta delle regioni interessate, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’Art. 8 del Decreto Legislativo 28 agosto 1997, n. 281. G.U. n. 14 del 19.1.2004 - Serie generale Decreto 14 gennaio 2004 Versamento delle somme dovute a titolo di oblazione per la definizione degli illeciti edilizi Il versamento delle somme dovute a titolo di oblazione prevista dall’Art 32, comma 32, del Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 novembre 2003, n. 236, è effettuato nei termini indicati nell’Allegato 1 alla stesso decreto, con le modalità di cui all’Art. 17 del Decreto Legislativo 9 luglio 1997, n. 241, esclusa in ogni caso la compensazione ivi prevista. G.U. n. 31 del 7. 2.2004 - Serie generale Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 30 M odificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali In attuazione dell’Art. 9 e nel rispetto del titolo V della Costituzione, le disposizioni del presente decreto dettano la disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni mobili ed immobili e gli interventi sugli elementi architettonici e sulle superfici decorate di beni del patrimonio culturale, sottoposti alle disposizioni di tutela di cui al Decreto Legislativo 29 ottobre 199, n. 490, al fine di assicurare la conservazione e protezione di detti beni. Tali disposizioni si applicano anche all’esecuzione di scavi archeologici. La disciplina delle attività dei lavori pubblici riguardanti detti beni è demandata alle regioni. B.U.R.L. del 30 dicembre 2003, 2° Suppl. Straordinario al n. 53 D.g.r. 21 novembre 2003 - n. 7/ 15184 Progetto definitivo relativo alla ristrutturazione dello svin-
colo di Lambrate e al completamento della viabilità del Centro Intermodale di Segrate. Assunzione delle determinazioni conclusive della Conferenza di Servizi indetta con D.g.r. n. 7/ 13824 del 25 luglio 2003. Obiettivo PRS 8.5.1. La Giunta Regionale delibera di prendere atto degli esiti favorevoli della Conferenza di Servizi relativa al progetto definitivo di ristrutturazione dello svincolo di Lambrate e di completamento della viabilità del Centro Intermodale di Segrate e di approvare il progetto oggetto di Conferenza. C. O.
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Catasto Catasto ai Comuni in sette mesi. Sono in arrivo i provvedimenti per disporre il decentramento delle funzioni agli Entri locali (da “ Il Sole 24 Ore“ del 12.2.04) Il D.P.C.M. per passaggio del Catasto dall’Agenzia del Territorio ai municipi è in dirittura di arrivo ma corre un rischio. L’opposizione dei sindacati, poco convinti del meccanismo ideato per trasferimenti. Il Dipartimento per il federalismo amministrativi, istituito lo scorso novembre presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, sta bruciando le tappe per pubblicare il Decreto. Condono Solo quattro le leggi sulla sanatoria. Regioni più severe su vincoli e oneri. A confronto le norme di Puglia, M arche, Toscana e Friuli V.G. (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti del 19-24 gennaio 2004) Al momento sono solo quattro le Regioni che hanno adempiuto al dettato del D.L. 269/2003 regolamentando sul proprio territorio il condono edilizio. Dal confronto delle normative emergono tendenze di segno opposto. La più rigida è la Toscana, che vieta la sanatoria in modo che l’unico beneficio concesso a chi si autodenuncia sarà la cancellazione degli effetti penali dell’abuso. La Puglia sceglie una strada intermedia limitando la sanatoria a chi ha presentato domanda entro gennaio. I condoni fanno rotta sulla proroga. Verso il rinvio dei termini di marzo per perdoni fiscali, concordato preventivo e regolarizzazione degli abusi edilizi (da “ Il Sole 24 Ore“ del 18.2.04) Comincia a circolare l’ipotesi di un decreto legge per prorogare il termine del concordato al 30 aprile. Uno slittamento potrebbe arrivare anche per il condono edilizio. Numerose sono le misure che potrebbero fare ingresso nel decreto. Interventi dovrebbero riguardare la sanatoria per gli sconfinamenti sulle aree demaniali e la cartolarizzazione degli immobili attraverso le operazioni Scip.
Energia Risparmio energetico, edilizia regina degli sprechi. Libro bianco Finco-Enea: il 45% dei consumi è assorbito dalle attività di costruzione, recupero e gestione degli immobili (da “ Edilizia e Territorio” del 9-14 febbraio 2004) È nelle attività di costruzione e gestione del patrimonio immobiliare italiano che si annida il consumo maggiore dell’energie prodotta nel nostro paese. A dispetto dei passi avanti compiuti sul fronte della tecnologia dei materiali negli ultimi anni, il sistema edilizio, considerato nel suo complesso, è anche uno dei maggiori responsabili degli sprechi di energia, e di conseguenza una delle principali cause dell’inquinamento atmosferico legato alla produzione di anidride carbonica. Le analisi, i numeri e l’invito a studiare politiche di controllo degli sprechi di energia legati alla vita degli immobili sono contenuti in un libro frutto della collaborazione tra la Federazione nazionale delle industrie per le costruzioni (Finco) e l’Enea. Opere pubbliche Sbloccati i fondi per le opere locali. Disponibili 290 milioni in tre anni (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti del 2631 gennaio 2004) Si sbloccano i minifinanziamenti a pioggia per piccoli lavori in tutto il territorio nazionale. Con il “ Finanziamento di interventi per opere pubbliche” arrivano 290 milioni nel triennio 2003-2005 per una valanga di piccole infrastrutture. Si tratta dei fondi della Tabella b allegata alla vecchia Finanziaria spalmati su una miriade di piccoli interventi. Aree retroportuali, progetti innovativi costruiti con i pochi soldi disponibili (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti del 26-31 gennaio 2004) All’interno dei maxiprogrammi avviati dalla Legge 21/2001, e sbloccati dai tre D.M. Infrastrutture del 27 dicembre 2001, per combattere il “ disagio abitativo” (Contratti di quartiere II, Ventimila alloggi in affitto, Alloggi per anziani)
c’era anche il piccolo, ma non meno importante, programma per la riqualificazione dei quartieri degradati, limitrofi ad aree portuali e ferroviarie. Il direttore del Dicoter, Gaetano Fontana, illustra i programmi in fase di elaborazione su 22 città. Paesaggio Codice per beni protetti e paesaggio. Iter abbreviato per l’ok ambientale. Con il Decreto Urbani modificate anche le procedure di vincolo (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti del 2-7 febbraio 2004) Un passaggio in meno per il nullaosta paesaggistico: l’iter si concluderà infatti tutto in Regione o nel Comune delegato, perché in questo ambito la Sovrintendenza è chiamata a esprimere il proprio parere. Il codice unico per i beni culturali e il paesaggio abolisce quindi l’ulteriore passaggio alla sovrintendenza, accorpandolo nell’iter regionale. Entrano tra le categorie di beni tutelabili anche vie, piazze e spazi aperti urbani. Il vincolo sugli immobili non è più automatico, ma interviene dopo la dichiarazione della sovrintendenza. Il codice sarà in vigore dal 1° luglio. Via il veto del sovrintendente. La Regione può superare il no al nullaosta paesaggistico (da “ Edilizia e Territorio” del 2-7 febbraio 2004) Non sarà più vincolante il parere del sovrintendente per ottenere l’autorizzazione sui progetti di opere in aree protette. Ma, oltre ad aver eliminato un passaggio, il codice ha cancellato il potere di veto del rappresentante dei Beni culturali. Al sovrintendente vengono assegnati 60 giorni per pronunciarsi, scaduti i quali “ l’amministrazione assume comunque la determinazione in merito alla domanda di autorizzazione” . Per quanto riguarda la Legge Galasso, l’impostazione della protezione viene capovolta. Le aree pregiate (8 territori costieri, fiumi, montagna, parchi e zone coperte da boschi e foreste) restano infatti tutelate per legge “ fino all’approvazione del piano paesaggistico da parte della Regioni.
Restauro In vigore la “M erloni” del restauro. Trattativa privata fino a 500 mila euro (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti del 16-21 febbraio 2004) La legge “ Merloni“ del restauro è in vigore dall’8 febbraio. Il decreto legislativo, che detta le procedure di progettazione e appalto dei lavori sui beni vincolati e negli scavi archeologici, è stato pubblicato in “ Gazzetta” . Tra gli effetti c’è la possibilità di affidare i restauri di importo fino a 500 mila euro a trattativa privata con gara informale tra almeno 15 concorrenti. Tra i criteri di aggiudicazione prevale l’offerta economicamente più vantaggiosa, obbligatoria quando vengono affidati insieme progetto e lavori, procedura questa che viene indicata come preferibile dal D.Lgs. Urbanistica Nelle S.T.U. privati scelti solo con gara. Stop alla circolare dei Lavori Pubblici (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti del 19-24 gennaio 2004) Nelle Società di Trasformazione Urbana la scelta dei soci privati può e deve avvenire solo tramite gara. Il dettato dell’Articolo 120 del Testo Unico enti locali è chiaro e non ammette alternative all’evidenza pubblica. A queste conclusioni è giunto il TAR Umbria con la sentenza che blocca l’operato del Comune di Terni. Negata la validità dell’interpretazione data dalla circolare del ministero dei Lavori Pubblici. Le indicazioni ammettevano infatti l’ingresso dei privati senza gara, ma attraverso la cessione delle aree da riqualificare. M. O.
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a cura di Manuela Oglialoro Ambiente Depuratori e smog, la sfida di M ilano. Attesi per 32 anni, gli impianti per pulire le acque saranno attivi entro il 2005 (dal “ Corriere della Sera” del 6.2.04) Se i lavori per i tre impianti di Milano finiranno prima del previsto si dovrebbero ottenere due effetti: il Comune avrà scongiurato le multe della UEe gli ambientalisti dovranno onorare la scommessa persa con il sindaco tuffandosi nella Vettabbia. Durante il sopralluogo ai cantieri di Milano Sud e Nosedo, Albertini è di buon umore e annuncia: “ già a giugno la depurazione delle acque supererà ampiamente le necessità della popolazione di Milano e nel 2005 tutti gli impianti funzioneranno a pieno regime” . Beni culturali Beni culturali, muro contro muro. Il riordino delle norme alla firma del capo dello Stato: contrari gli ambientalisti che si radunano per spiegare il loro dissenso sul codice Urbani (dal “ Corriere della Sera” del 20.1.04) Il nuovo Codice dei beni culturali divide il mondo degli addetti ai lavori. In ballo c’è una partita gigantesca: le privatizzazioni del demanio statale e degli enti locali, le procedure per poter intervenire nel paesaggio vincolato, il potere delle soprintendenze e la loro possibilità di utilizzare efficacemente lo strumento dei vincoli. In buona sostanza il futuro stesso della tutela e i limiti della valorizzazione. Spiega Irene Berlingò, presidente dell’Assotecnici, “ il codice azzera la tutela assicurata non solo dalle straordinarie leggi di Giuseppe Bottai del 1939, ma anche dalla precedente del 1913. Il patrimonio ora è sottoposto a tutela, ma solo fino a verifica” . Per Berlingò il nuovo codice abroga il D.P.R. Melandri del 2000 che permetteva fino alla fine del 2004 alle soprintendenze regionali di esaminare, per una possibile vendita, gli elenchi dei beni pubblici comunque vincolati e in gran parte di proprietà degli enti locali.
“Un tesoro da tutelare”, le dieci regole del Fai. Appello agli italiani: svegliatevi e difendete il paesaggio (dal “ Corriere della Sera” del 24.1.04) Anche il Paesaggio ha i suoi comandamenti. Li ha scritti il Fai che ha invitato gli italiani a vegliarsi e difendere il patrimonio italiano, quel panorama unico di arte e natura “ sopravissuto a ogni invasione barbarica e a due guerre mondiali, giunto quasi intatto agli anni Cinquanta e poi sgretolato dall’improvviso benessere” per dirla con Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente del Fondo per l’Ambiente. M ilano L’architetto di Ground Zero in corsa per la Fiera. Otto i progettisti pronti a riqualificare la zona (dal “ Corriere della Sera” del 18.2.04) Entra nel vivo la gara per selezionare chi, tra le otto cordate di progettisti-imprenditori, si aggiudicherà il concorso per la riqualificazione del Polo interno della Fiera, uno degli appalti più prestigiosi degli ultimi anni. La gara per questo progetto urbanistico prevede la presentazione dei progetti entro il 31 marzo e l’aggiudicazione dell’opera entro il 31 luglio. L’intervento che verrà effettuato su un’area di 250.000 metri quadrati, di cui il 50% sarà destinato a verde pubblico, richiederà un investimento di circa 1,5 miliardi di euro.
La città non ha stile. Serve un marchio. Il Comune: va migliorata l’immagine di Milano. “Un concorso per architetti” (dal “ Corriere della Sera” del 31.1.04) Manca un marchio per Milano. L’assessore all’Urbanistica Gianni Verga lo ammette: “ Bisogna mettere a punto un modello Milano. Cercare uno stile che identifichi la città pur rispettando la varietà dei vari quartieri” . Rilancia il presidente della Commissione arredo urbano, Gianfranco Lucini: “ Anche in sede di Commissione monumenti abbiamo proposto più volte di bandire un concorso di idee a livello internazionale per scegliere un ‘marchio’ distintivo della nostra Milano, che possa accomunare tutti i diversi pezzi dell’arredo. Gara da aprire a giovani architetti e designer” . C’è una città da rilanciare. Non chiamiamola “periferia”. M ilano e i suoi vecchi quartieri (dal “ Corriere della Sera” del 30.1.04) Periferie. La parola è moderna, i loro problemi modernissimi, ma la loro origine è spesso antica. Non chiamarle più “ periferie” è una tesi praticabile. Le periferie milanesi sono tutte nate come corpi separati dalla città, erano comuni autonomi. Il dibattito è aperto. Varie sono le iniziative (mostra alla Triennale, convegni). Secondo molti esperti il ridisegno delle periferie va pensato in chiave non di città, ma di area metropolitana. Provincia
Un grande parco a GaribaldiRepubblica. Parte il progetto per il recupero dell’area: un polmone verde di 100 mila metri quadrati con botanico (dal “ Corriere della Sera” del 7.2.04) Parte dal verde l’operazione Garibaldi-Repubblica e i primi cantieri apriranno entro l’anno. Il progetto firmato da un gruppo olandese promette un immenso orto botanico con tanto di museo degli insetti e dei fiori e propone di salvare la “ stecca degli artigiani” del quartiere Isola: il programma attuale del Comune ne prevede l’abbattimento, ma i cittadini stanno facendo una battaglia per difenderla. Anche l’amministrazione sta cercando una soluzione per non demolirla, senza incorrere in contenziosi con i titolari di diritti volumetrici.
Parco e autodromo, Monza boccia il progetto Botta. Il sindaco: troppi alberi da abbattere, siamo all’anno zero (dal “ Corriere della Sera” del 6.2.04) Il Sindaco di Monza, architetto di professione, ha stroncato senza riserve il progetto messo a punto dal collega ticinese per far coesistere parco e autodromo. Per realizzare il famoso “ stadio” di Formula Uno, il celebre architetto di Mendrisio aveva previsto di sbancare una fascia di 40 metri attorno alla pista che è in mezzo a un bosco. Improponibile per la Giunta che ha in squadra una componente ambientalista molto forte e che ha fatto della conservazione di ogni metro quadro di verde in città uno dei capisaldi della vittoriosa campagna elettorale del 2002.
Via al restauro, risorge Villa Reale. M onza riaprirà gli appartamenti di Umberto e M argherita, la biblioteca e le sale del piano nobile (dal “ Corriere della Sera” del 17.1.04) Sui cancelli del cortile d’onore della Villa Reale sono spuntate le palizzate del nuovo cantiere. L’intervento consentirà di far decollare quel progetto del “ Museo della Villa” , sul quale la Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Milano ha puntato le sue carte per il rilancio dell’ex “ dimora di campagna” dell’arciduca Ferdinando d’Asburgo. Recupero aree dimesse. Scommessa in Provincia. Un’occasione per i comuni dell’hinterland (dal “ Corriere della Sera” del 8.2.04) La fiera a Pero. L’università a Sesto. Il polo dell’auto ecologica ad Arese, le piccole medie imprese a Desio. Sono alcuni dei progetti che interessano le grandi aree dimesse della Provincia di Milano. Immensi spazi un tempo occupati dalle fabbriche, stanno diventando nuove città fuori dalla città. Alcune di queste zone, su una superficie pari a 300 ettari circa, ospiteranno funzioni che fino a non molti anni fa erano appannaggio solo del capoluogo; altre cercano una nuova vocazione che salvi i posti di lavoro. Tecnologia Comoda, chic, ecologica. Ecco la casa del futuro. Le nuove tendenze dell’arredamento al Macef. “Non solo tecnologia” (dal “ Corriere della Sera” del 1.2.04) Nella casa del futuro la parola d’ordine è comodità. La tecnologia si sposa con prodotti in plastica riciclabile, pavimenti in “ riverstone” (ciottoli di marmo racchiusi in un materiale trasparente), tavoli in legno dalla lavorazione eco-sostenibile. Ecco le tendenze 2004 per la casa. A fotografarla è il Macef con oltre 3.700 stand e 47 chilometri di vetrine. I prodotti in mostra provenienti da ogni parte del mondo sono almeno un milione e mezzo.
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Informazione
Rassegna
Libri, riviste e media a cura della Redazione
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Rassegna di Valentina Cristini e Giulia Miele Marco Facchinetti, Giorgio Ferraresi, Anna Moretti Reti, Attori, Territorio. Forme e politiche per progetti di infrastrutture Franco Angeli, Milano, 2004 pp.158, € 16,00 AA.VV. La progettazione accessibile Franco Angeli, Milano, 2004 pp.140 con CD rom, € 13,00 Lodovico Barbiano di Belgiojoso Frammenti di una vita Archinto, Torino, 2004 pp.120, € 12,50 Marina Dragotto, Carmela Gargiulo Aree dimesse e città. Esperienze di metodo e di qualità Franco Angeli, Milano, 2004 pp. 304, € 18,00 Francesco Repishti, Richard Schofield Architettura e controriforma. I dibattiti per la facciata del Duomo di Milano, 1582-1682 Electa, Milano, 2004 pp. 472, € 50,00 Antonio Pizza Alberto Campo Baeza. Progetti e costruzioni Electa, Milano, 2004 pp. 232, € 43,00 AA.VV. Architettura e Arte dei gesuiti Electa, Milano, 2004 pp. 210, € 28,50 Anna Luisa Bellina, Michele Girardi La Fenice. 1792,1996. Il teatro, la musica, il pubblico, l’impresa Marsilio, Venezia, 2003 pp. 228, € 58,00 Richard Weston Materiali e forme in architettura Logos, Modena, 2003 pp. 240, € 34,95 Luciano Patetta Ario l’eretico Giovanni Tranchida, Milano, 2003 pp. 212, € 15,00
Il senso dilatato del paesaggio
L’utopia dell’architettura
“Il futuro ha un cuore antico”
“ La strategia di ricerca più efficace per non perdere di vista il paesaggio” , scriveva Carlo Socco “ è quella dove ciascuno dal proprio punto di vista lavora liberamente a disvelare il senso del paesaggio nell’intento comune di dilatarne il senso” . È questa la strada percorsa da Luisa Bonesio e Luca Micotti, nel curare una pubblicazione composta di saggi che invitano a riflettere sul significato attuale di paesaggio attraversando i campi dell’architettura, delle arti e delle scienze. Il libro propone un paesaggio “ culturale” che non si limita al solo aspetto estetico ma acquista consapevolezza attraverso le diverse chiavi di lettura del tema. Il paesaggio non esiste senza percezione. È frutto di una costruzione personale, legata al proprio sistema culturale, sociale ed emotivo. I “ paesaggi musicali” di Ottavio De Carli analizzano la rappresentazione dell’ambiente nell’interpretazione dei compositori, passando da rapporti descrittivi – i Pini di Roma di Respighi - ai paesaggi intimi – Quadri di un’esposizione di Musorgskij. Massimo Morasso analizza la rappresentazione del paesaggio nel cinema di Lars Von Trier, nelle poesie di Pasolini e nei quadri di Franz Marc. Fredrick Steiner scriveva che “ il paesaggio è costituito più da processi che da luoghi. La sua vera essenza comporta interazioni e integrazione” . Le relazioni e le integrazioni tra architettura e paesaggio sono ricercate da Vittorio Ugo approfondendo il significato di abitare un luogo, e ulteriormente esplicitate dal saggio di Remo Dorigati in cui la soglia diventa l’elemento di relazione tra la casa e l’ambiente esterno. Le linee guida della Regione Lombardia evidenziano come “ ogni intervento che opera una trasformazione del territorio è potenzialmente un intervento di trasformazione del paesaggio” ; questa raccolta di saggi rappresenta uno strumento utile per una progettazione più consapevole.
Il tentativo del libro è quello di analizzare la questione, non certo originale, del rapporto tra utopia e architettura. La novità, tuttavia, sta nel metodo utilizzato: non tanto termini narrativi, quanto piuttosto “ grafici” , con disegni letti come esplicitazione di una possibile architettura funzionale. Per Santuccio la riflessione utopica sul Novecento si potrebbe dividere in tre grandi ambiti, caratterizzati da temi distinti, chiari e cronologicamente susseguenti: l’entusiasmo per il progresso industriale, la fiducia nelle possibilità tecnologiche e il rifiuto di un trend di crescita. L’analisi comincia con la lettura dei progetti di Chiattone, Sant’Elia, Garnier; l’autore, poi, continua con indagini curate e rispettose, sempre nell’ambito delle possibilità di crescita industriale, del Funzionalismo e della Nuova Oggettività. Riporta con precisione ardite soluzioni grafiche, riguardanti specifici problemi dell’abitare e degli ambiti per vivere, lavorare, svagarsi. Tra ideali e realtà si passano in rassegna dettagliati e intensi progetti di Hilberseimer, Ferris, Van Doesburg, Neutra, ecc. conclusi dai più noti programmi di Le Corbusier e Wright, Une Ville Contemporaine e Broadracre City. A questi si aggiungono soluzioni meno conosciute, pensate con una onestà progettuale quasi disarmante, fondate su di un genuino impegno intellettuale che a volte fa sorridere e altre volte fa riflettere. Forse, per questo, il grado di realizzabilità dei disegni non è un termine che va considerato per il suo valore assoluto, né tanto meno va valutato al di fuori dell’epoca in cui i progetti sono stati prodotti. Ne risulta una indifferenza programmatica che va oltre l’esercizio professionale. Èproprio questo autentico disincanto a far sì che il testo meriti un po’ di attenzione.
Negli anni 2001-02, per iniziativa dell’Assessorato alla Programmazione Territoriale della Provincia di Cremona, si è svolto un accurato censimento dell’intero patrimonio edilizio agricolo esistente nei 115 comuni in cui è suddiviso il territorio provinciale cremonese. Il lavoro sottolinea la consistenza numerica e qualitativa dei fabbricati rurali presenti nell’area e si pone come punto di partenza per una successiva riflessione sul destino di questi ultimi. La rapida trasformazione dei sistemi produttivi agricoli nel corso del XX secolo, infatti, ha inficiato la funzionalità della “ cascina” , modificandone il ruolo in rapporto alla gestione del territorio. A tale scopo è stato approntato uno specifico sistema di schedatura che identifica e descrive nei suoi tratti essenziali ogni singolo complesso edilizio, di cui vengono evidenziati gli eventuali valori architettonico-ambientali, lo stato di conservazione, il livello di utilizzo delle strutture, la presenza di residenti fissi e di allevamenti. Tale indagine ha riconosciuto come degni di interesse anche i complessi e gli interventi realizzati nella prima metà del ‘900, distinguendoli da quelli di più recente impianto e annoverandoli nel patrimonio “ storicizzato” quali testimonianza dell’evoluzione costruttiva e sociale degli ambienti agricoli. Il censimento ha contribuito ad approfondire le peculiarità costruttive e naturalistiche di Cremonese, Casalasco, Soresinese e Cremasco, le quattro aree territoriali in cui si suddivide la provincia, estesa tra i corsi dei fiume Po, Adda e Oglio. L’attualità dell’impegno assunto dal settore Territorio della Provincia di Cremona è comprovata dalla recente approvazione della Legge n. 378, 24.12.2003, “ Disposizioni per la tutela e la valorizzazione dell’architettura rurale” , che, per ora, limita il campo di azione alle strutture costruite entro il XIX secolo.
Valentina Cristini
Maria Teresa Feraboli
Salvatore Santuccio L’utopia nell’architettura del ‘900 Alinea, Firenze, 2003 pp. 110, € 14,00
Provincia di Cremona Cascine. Frammenti del ricordo. Ricognizione del patrimonio edilizio agricolo Cremona Produce, Cremona, 2003 pp. 206, € 30,00
Carlo Berizzi
Luisa Bonesio, Luca Micotti Paesaggi di casa. Avvertire i luoghi dell’abitare Mimesis, Milano, 2003 pp. 168, € 15,00
La lezione di Pavia
Classicismo romantico milanese
Il progetto come dimostrazione
Il Dizionario della Lingua Italiana di G. Devoto e G. C. Oli, definisce la parola utopia come: “ ideale etico-politico destinato a non realizzarsi dal punto di vista istituzionale, ma avente ugualmente funzione stimolatrice nei riguardi dell’azione politica” . Ciò che caratterizza l’utopia è un impegno applicato a tutto ciò che riguarda la collettività. L’architettura, scriveva Aldo Rossi, è in primo luogo un fatto collettivo, è connaturata al formarsi della città, è un fatto necessario e permanente ed ha come obiettivo la creazione di un ambiente più propizio alla vita, oltre che “ una intenzionalità estetica” . L’utopia consiste nell’impegno a conoscere e rappresentare la “ scena fissa” della collettività. Paolo Giandebiaggi, analizzando 100 anni di storia parmense (gli anni corrispondenti al passaggio dal periodo luigino a quello borbonico) evidenzia la corrispondenza di ideali politici e pensiero artistico e culturale. In questo senso, per esempio, il lavoro di Petitot non può essere letto a prescindere dall’impostazione politica illuministica di Maria Luigia: si tratta di un disegno utopico di costruzione di città, che in alcune sue parti, soprattutto quelle pubbliche, ha avuto la fortuna di realizzarsi. Un disegno che non può prescindere da una precisa conoscenza della città esistente. È del 1767 l’Atlante Sardi, un rilievo cartografico della città “ attraverso cui fu possibile pianificare con estrema precisione ogni singolo intervento” . Il volume verifica la costruzione di questa idea di città in due modi. Innanzitutto, ricostruendone le vicende politiche e culturali. In secondo luogo pubblicando una raccolta di schede analitiche relative a edifici e luoghi realizzati fra il 1750 e il 1850, con l’obiettivo di verificare come un’utopia politico-culturale abbia preso forma nella realizzazione di una città e delle sue architetture.
Il libro è costruito sulla compresenza di due livelli di contributi: uno di carattere generale in cui sono affrontate le questioni teoriche del progetto, l’altro legato alla conoscenza di una realtà specifica, il luogo dell’esercitazione progettuale. È questa una prassi consolidata: definire la generalità delle questioni entro cui operare e affrontarle in un caso specifico di studio. Il testo presenta il lavoro e i progetti prodotti sulla città di Pavia all’interno del laboratorio di progettazione del prof. Rosaldo Bonicalzi della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano. L’area di studio è scelta per la generalità delle questioni presenti al suo interno, generalità necessaria in un corso universitario, alla trasmissibilità della conoscenza della disciplina. Pavia possiede una caratteristica precisa che consiste nell’esemplarità ed evidenza delle parti che la compongono, dove la regola insediativa evidente nella parte di città romana e nell’area dei collegi, permane fino ad oggi nella città attuale. Tale regola è ogni volta riconfermata dalle idee di città che nelle varie epoche si sono succedute, modificando ogni volta, tramite nuove architetture e nuovi rapporti lo stato di fatto, ma precisandone il carattere, individuabile nel rapporto tra permanenza del piano e forma della città. Una nota che si evidenzia in questo contributo è come Pavia in modo analogo ad altre città possieda un suo preciso carattere, definito nella storia dalla natura del luogo, dal piano e dalle architetture, che la identifica rispetto ad altri contesti. Un’identità propria di ogni luogo dell’abitare, da ricercare all’interno della sua storia e tramite le architetture riconfermare in forme nuove, necessarie e corrispondenti.
Penso che il dettaglio del basamento dell’ordine gigante della facciata sul corso di Palazzo Serbelloni disegnato da Simone Cantoni sia, per gli architetti milanesi, una delle più grandi testimonianze dell’architettura neoclassica costruita in quella fortunata stagione e del suo rapporto con il romanticismo ottocentesco. L’astrazione dal partito dell’ordine diviene qui – nella sottrazione di qualsiasi decorazione dalla sommità dei pilastri binati, ingaggiati nella muratura al di sotto della trave dorica – diretta espressione della forza del granito contenuta nell’apparato della forma costruita. Tale qualità è programmaticamente enfatizzata dalla iconografia civile del fregio celebrante la vittoria sul Barbarossa, citazione civica della rimozione dell’arco di porta romana che Cantoni ripropone polemicamente sub specie analogica. Penso anche che possa essere una delle emozioni più intense incontrare, in un itinerario ai borghi di fondazione che costellano il paesaggio della pianura del Po, la mole elegante del fornice bugnato dell’arco di ingresso a Corte Sant’Andrea nella depressione sotto l’argine del grande fiume. È di tale capacità di parlar-cantando nel proprio lavoro che si è nutrita la scuola dell’accademia milanese in tutta la prima metà del sec. XIX. Ora questa nostra passione per uno dei migliori architetti neoclassici può rifocillarsi alla fonte della prima seria monografia sull’opera sua e sulla sua esperienza di Nicoletta Ossanna Cavadini presentata recentemente nel salone del Circolo delle Stampa a palazzo Serbelloni da Werner Oechslin e da Carlo Bertelli. È stata gran cosa ascoltare gli oratori lasciando vagare lo sguardo sull’architettura del salone. È gran cosa leggere delle sue opere nel rapporto fra maestranze architetti e committenti guardando le foto che accompagnano il testo. Ci sarebbe piaciuto poterle confrontare con i disegni conservati nell’Archivio Cantonale ordinati e classificati in catalogo. Ma forse questo sarà un prossimo libro.
Il volume - numero speciale (n. 23, ottobre 2003) di “ Studi e documenti di architettura” , rivista fondata da Luigi Vagnetti, con testi in italiano e inglese - costituisce un’importante sistematizzazione dell’opera progettuale di Gianfranco Caniggia. Il lavoro segue il convegno svoltosi a Cernobbio nel 2002 “ Gianfranco Caniggia: dalla lettura di Como all’interpretazione tipologica della città” (cfr. “ AL” n. 11, 2002), durante il quale una mostra documentava specificamente anche l’attività progettuale di Caniggia. Il libro, dopo la presentazione del curatore Gianluigi Maffei, si divide in tre sezioni. La prima parte, attraverso una serie di autorevoli contributi di studiosi tutti legati, anche se in modi differenti, alle articolate vicende della scuola muratoriana, si propone di riflettere sulla figura di Caniggia, da un lato chiarendo il suo ruolo all’interno del gruppo guidato da Saverio Muratori, dall’altro sottolineando la specificità e la riconoscibilità dell’opera caniggiana. La seconda parte del testo illustra i progetti con brevi schede e alcune rappresentazioni. La terza è costituita da regesti e bibliografie. Oltre ad essere testimonianza della continuità di una scuola che ha affrontato in modo rigoroso lo studio dell’architettura, della città e del territorio, il volume fa emergere con evidenza la esemplare coerenza dei progetti di Caniggia rispetto alla sua elaborazione teorica, relazione che, anche nella inevitabile parzialità del materiale pubblicato, è particolarmente riconoscibile nei progetti a scala urbana e nel progetto del dettaglio costruttivo. Da una parte gli analitici studi tipologici producono infatti rappresentazioni planimetriche che, memori dei “ riammagliamenti” muratoriani, affermano un preciso rapporto con il tessuto e, dall’altra, l’attenzione alla questione costruttiva trova nei dettagli di sezione e facciata il luogo dove il progetto tende a dimostrare la sua vicinanza ad una “ verità” sempre inseguita dal progetto.
Giulio Barazzetta
Gianluigi Maffei (a cura di) Gianfranco Caniggia. Architetto (Roma 1933-1987). Disegni, progetti, opere Alinea, Firenze 2003 pp. 248, € 26,00
Ilario Boniello
Martina Landsberger
Paolo Giandebiaggi Il disegno di un’utopia. Il ruolo del disegno e del rilievo nel progetto di architettura e nelle trasformazioni urbane di Parma tra il XVIII e XIX secolo Mattioli 1885, Fidenza, 2003 pp.185, € 14,00
Rosaldo Bonicalzi (a cura di) Progetti per Pavia Libreria Clup, Milano, 2003 pp. 300, € 18,00
Nicoletta Ossanna Cavadini Simone Cantoni architetto Milano, Electa, 2003 pp. 376, € 80,00
Maurizio Carones
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Informazione
Un’utopia realizzata
Mostre e seminari
Le radici del naturalismo lombardo
a cura della Redazione
Informazione
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Pittori della realtà. Le ragioni di una rivoluzione. Da Foppa e Leonardo a Caravaggio e Ceruti Cremona, Museo civico Ala Ponzone 14 febbraio - 2 maggio 2004
Rassegna mostre
Rassegna seminari
Cesare Andreoni futurista e milanese Milano, Banca Popolare piazza Meda 4 14 febbraio - 2 maggio 2004
Righe d’acqua. Il design nautico tra interno ed esterno raccontato da alcuni protagonisti Serate di architettura della Fondazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Milano Milano, sede dell’Ordine via Solferino 19 15 aprile 2004, ore 21.00
Dreams. I sogni degli italiani in 50 anni di pubblicità televisiva Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 17 febbraio - 30 maggio 2004 Van Dyck. Riflessi italiani Milano, Palazzo Reale, Sala delle Otto Colonne piazzetta Reale 19 febbraio - 20 giugno 2004 Ruggero Savinio. Momenti nel tempo 1980-1992 Sondrio, Galleria Credito Valtellinese piazza Quadrivio 8 Museo Valtellinese di Storia e Arte via Maurizio Quadrio 27 20 febbraio - 10 aprile 2004 Federico Zandomeneghi impressionista veneziano Milano, Fondazione Mazzotta Foro Bonaparte 50 20 febbraio - 6 giugno 2004 Milano Giardini di porta Nuova, area Garibaldi/Repubblica Milano, Urban Center Galleria Vittorio Emanuele 11/12 5 marzo - 15 aprile 2004 Alessandro Mendini, scritti e disegni Palazzolo sull’Oglio, Fondazione Ambrosetti Arte Contemporanea Palazzo Panella 8 marzo - 1° maggio 2004 Clorindo Testa. L’Architettura animata Milano, Facoltà di Architettura Civile, via Durando 10 17 marzo - 2 aprile 2004 Abitare il mondo. Europe. 60 fotografie di Giovanni Chiaromonte Legnano, Palazzo Leone da Perego corso Magenta 1 14 marzo - 25 aprile 2004 La medusa del Caravaggio Milano, Palazzo Bagatti Valsecchi via Gesù 5 / via Santo Spirito 25 marzo - 23 maggio 2004
• Architettura e pragmatismo critico Gli incontri con gli architetti proposti da Josep Acebillo 21 aprile 2004: Toyo Ito; 19 maggio: Frank O. Gehry; ore 20.30 • Il bene comune Le conferenze di ecologia umana di Riccardo Petrella 28 aprile 2004: Pensare gli otto miliardi di esseri umani nel 2020. Le nuove regole della casa ore 20.30 Università della Svizzera italiana. Accademia di architettura Mendrisio, Villa Argentina Edificio Canavée (aula C 0.63/64) tel. +41 91 6404848 e-mail: info@arch.unisi.ch Architettura, restauro, tutela, arte e storia Ciclo di conferenze (ore 17.00) 19 aprile 2004: Marcello Fagiolo, Bernini e la Roma di Alessandro VII; 26 aprile 2004: Letizia Pani Ermini, La trasformazione degli spazi pubblici a Roma nell’Alto Medioevo; 3 maggio 2004: Corrado Bozzoni, La Basilica di S. Pietro nelle origini; 4 maggio 2004: Paolo Portoghesi, Restauri borrominiani; 10 maggio 2004: Paolo Rocchi, Il complesso del S. Michele; 17 maggio 2004: Paolo Marconi, Restauri recenti: la Fenice di Venezia SBAPPSAD , Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il Paesaggio e per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico Roma, via di S. Michele 25 tel. 06 588951 Le bonifiche ambientali. Normative di riferimento e ricadute sui processi operativi Ciclo di seminari ESEM (Ente Scuola Edile Milanese) Milano, ESEM via Newton 3 13 maggio 2004 ore 15.00 - 18.00 tel. 02 40070217
La mostra proseguirà, poi, a New York presso il Metropolitan Museum of Art: ciò testimonia non solo la collaborazione con uno dei più prestigiosi musei del mondo, ma anche il livello culturale della manifestazione e il pregio delle opere esposte. È doveroso, a tale proposito, ricordare l’impegno appassionato dei curatori, Keith Christiansen, Andrea Bayer e, soprattutto, di Mina Gregori, originaria di Cremona, città che ha dato i natali anche ad alcuni degli artisti presenti in mostra: i fratelli Giulio e Vincenzo Campi e Sofonisba Anguissola. L’esposizione raccoglie un centinaio di lavori, tra dipinti e disegni, che attestano la profonda sensibilità naturalistica propria delle regioni settentrionali e il suo costituirsi quale presupposto della rivoluzione pittorica attuata da Caravaggio. Si tratta di una rinascenza attenta agli aspetti della quotidianità in cui l’uomo “ misura di tutte le cose” viene visto nelle attività minute della vita di tutti i giorni: dalla vecchia che impara l’alfabeto di Sofonisba Anguissola ai bambini che giocano con il gatto di Annibale Carracci, al cavadenti di Caravaggio. L’importanza della componente naturalistica, affermata per la prima volta da Roberto Longhi, viene ora ribadita dai curatori che ne individuano ulteriori tracce nei lavori milanesi di Leonardo e in quelli di Vincenzo Foppa per giungere fino alle rappresentazioni di Ceruti detto il “ pitocchetto” . La mostra è, infatti, articolata in quattro sezioni e pone il proprio punto di partenza nell’interesse scientifico per la natura manifestato da Leonardo, per poi dedicarsi al rapporto tra naturalismo, arte e riforma religiosa sviluppati da Lorenzo Lotto, Savoldo, Moretto e Previtali, e introdurre così il rinnovamento caravaggesco, concludendo con l’affermazione della ritrattistica e della natura morta, dove si distingue in particolar modo la felice mano di Fede Galizia. Maria Teresa Feraboli
L’uomo e la credenza Adalberto Libera. Disegni del Centre Pompidou e dell’Archivio Centrale dello Stato Roma, Archivio Centrale dello Stato Piazzale degli Archivi, 27 30 gennaio - 14 marzo 2004 Restituisce il senso di una desolante attualità ascoltare la viva voce di Libera che, ancora più di quarant’anni fa, lamentava l’inadeguatezza dei compensi alla complessità e all’impegno dell’esercizio professionale e ancora, a fronte di un numero enorme di “ architetti capacissimi” , l’ineluttabile difficoltà di accedere ad occasioni significative. L’attualità di Libera emerge così, anche nella ricca raccolta di filmati che costituiscono parte non accessoria della mostra, tra professioni di fede nel fare architettura e testimonianze dell’essere dell’architettura come teatro dell’azione politica e civica o come supporto di un agire elegante. I filmati suppliscono in effetti ad una certa parsimonia del numero dei disegni esposti, ma che, proprio per questo, solleticano la curiosità di saperne di più, di scavare in quella messe di note al margine che, insieme ed oltre al bel disegno, testimoniano di quel ricercare puntiglioso l’assoluto attraverso la concretezza dei centimetri e l’umanità dei dettagli. La vena di un moderno autentico attraversa con coerenza l’opera di Libera, sottesa sempre tra la “ dimensione spirituale della bellezza” , fissata con nitidezza dalla sintesi delle figure della composizione e la minuzia di un dettaglio meticolosamente indagato. I fogli restituiscono puntualmente questo doppio registro: la ricerca di una struttura, di una ratio, che allinea l’apparente immediatezza degli impianti accanto all’ossessiva verifica geometrica, costruttiva, funzionale, provata e riprovata fino ad estendersi ad una antropometria che non diventerà mai un manifesto astratto, ma manterrà piuttosto una commovente simpatia per la banalità di gesti umani e universali, come chinarsi di fronte a una credenza; gesti, alcuni, forse desueti ma con un denominatore comune ancora estremamente attuale. Filippo Lambertucci
Racconti dalla città senza fine
Giovani architetti per Bergamo Alta
European Union top 41
Ukiyoe. Il mondo fluttuante Milano, Palazzo Reale 7 febbraio - 30 maggio 2004
La città infinita. Ipermodernità-spaesamenti del vivere e produrre in Lombardia Milano, Palazzo della Triennale 13 gennaio - 7 marzo 2004
Premio di Architettura Città dei Mille 2003. Proposte e idee di giovani architetti per un percorso di architettura contemporanea a Bergamo Alta Bergamo, ex Teatro Sociale di Città Alta 14 febbraio - 7 marzo 2004
European Union Prize for Contemporary Architecture Mies van der Rohe Award 2003 Triennale di Milano 14 gennaio - 22 febbraio 2004
“ Vivere momento per momento, volgersi interamente alla luna, ai fiori di ciliegio o alle foglie rosse degli aceri, cantare canzoni, bere sake, dimenticando la realtà, non preoccuparsi della miseria che ci sta di fronte, non farsi scoraggiare, essere come una zucca vuota che galleggia sulla corrente dell’acqua, questo io chiamo ukiyo” . È racchiuso in queste parole il senso di questa bella mostra che documenta un particolare periodo storico, quello compreso fra il XVII e il XIX secolo, che vede la diffusione a Edo – l’attuale Tokyo – di una nuova cultura (alternativa a quella rigida dei samurai) cui corrisponde un nuovo modo di vivere della società. In questi anni Edo diviene la città più importante del Giappone, sostituendosi a Kyoto. Nonostante numerosi incendi la distruggano si popola velocemente arrivando a contare più di un milione di abitanti. Qui, i nuovi cittadini hanno la possibilità di sperimentare una nuova vita, “ fluttuante” appunto, fatta di piaceri e di svaghi. È la città stessa a offrire queste possibilità; i teatri, i “ locali alla moda” , le case da tè, gli stessi ponti che la strutturano, sono i luoghi di questo “ mondo fluttuante” . Le numerose stampe esposte, raggruppate in sei diverse sezioni, ci permettono di partecipare alla vita di questa società. Viene così documentato il ruolo del teatro kabuki e la sua costruzione, in quanto architettura; il senso della storia e della tradizione, così importante nella cultura occidentale come pure in quella orientale; il legame con la natura e il ruolo del paesaggio, all’interno del quale la vita della città, ma non solo, si svolge; vengono rappresentati i luoghi “ pubblici” frequentati da questa nuova e facoltosa società, la loro architettura, le parti di cui si compongono, la loro relazione con l’ambiente circostante e soprattutto gli attori, uomini e donne, che, come in un film, li popolano. Martina Landsberger
Pur avendo come fondamento una ricerca condotta dai sociologi Aldo Bonomi e Alberto Abruzzese e come oggetto una porzione di territorio, la mostra semplifica i linguaggi propri di sociologia e architettura per coinvolgere chiunque nel racconto della “ città infinita” . Tale è la denominazione “ inventata” dai due curatori per designare la regione a nord di Milano e compresa tra Varese e Bergamo, città che restano programmaticamente escluse da questa singolare area che la mostra intende rappresentare. Una serrata successione di centri urbani, luoghi di produzione, servizi, infrastrutture fisiche e virtuali, che inducono letture simultanee, in cui infinite sono le connessioni. In tal senso, è legittimo definire “ ipermoderna” la condizione di chi abita questa regione, ma anche di chi visita la mostra e stabilisce sinergie – o si smarrisce – tra gli eterogenei materiali presenti. La rappresentazione di questo territorio è affidata a cinque sezioni tematiche (e a supporti diversi, quali video, fotografie, oggetti, testi, sculture): “ tracce di comunità” , “ capitalismo personale” , “ imprese-molla” , “ trame” , “ flussi” . È così narrata la compresenza di abitanti comuni e, soprattutto, di soggetti eccellenti che, partendo da una dimensione locale, esportano prodotti e idee in tutto il mondo. Tra questi protagonisti, designers come Citterio, Magistretti e De Lucchi, aziende come BTicino, Bracco e Brembo, artisti come Pomodoro e Tenchio. Esempio tra gli altri, quello dell’automobile-scultura dell’artista César, pressata nello stabilimento della Ranger: l’eccezionalità di questo territorio consiste proprio in una congiuntura virtuosa tra vivere, fare, produrre e pensare. Fulcro dell’esposizione è una grande foto aerea, con i prodotti della città infinita significativamente sospesi sopra di essa. Lo “ spaesamento” è semanticamente duplice: smarrimento nel territorio, ma anche slancio dalla dimensione del paese verso una dimensione internazionale. Mina Fiore
La mostra presenta tutte le proposte progettuali pervenute al “ Premio di Architettura Città dei Mille 2003” iniziativa proposta dall’assessorato all’Edilizia Privata del Comune di Bergamo con la collaborazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bergamo. Tema del Premio: la definizione di otto ambiti micro-urbanistici individuati a Bergamo Alta, lungo un “ Percorso delle Architetture e dei Servizi” che potrebbe costituire un’alternativa all’asse tradizionale di via Colleoni lungo il versante nord di Città Alta. Nessun vincolo di Piano o restrizione normativa di sorta; un’occasione incondizionata per affrontare il tema dell’inserimento di nuove architetture o l’adeguamento a nuovi utilizzi di alcune già esistenti. La mostra si articola in otto sezioni corrispondenti agli ambiti. Il visitatore può identificare l’ambito di appartenenza del progetto e confrontare le soluzione elaborate. Quello che emerge dai progetti in mostra è un complesso di proposte progettuali tutte interessanti e riconoscibili nel tessuto urbano esistente. In tutte vi si ritrova una approfondita analisi del contesto pur arrivando ad elaborare soluzioni di progetto fra loro molto differenti. La mostra rappresenta senz’altro un appuntamento significativo, che meriterebbe ulteriori approfondimenti, sul difficile tema della convivenza in un rapporto di reciprocità/complicità fra due espressioni architettoniche: quella della storia e quella contemporanea. Tutti gli elaborati progettuali sono stati raccolti in un catalogo, presentato e distribuito in occasione dell’inaugurazione della mostra. Barbara Asperti
Il premio, creato nel 1987 come Mies van der Rohe Award, ora European Union Prize for Contemporary Architecture, con cadenza biennale, è dedicato alle opere progettate in Europa da architetti europei e costruite entro i due anni precedenti al bando. I partecipanti sono selezionati dalle istituzioni nazionali di settore (per l’Italia la Biennale di Venezia e la Triennale di Milano) e da un comitato di esperti (S. Boeri, P. Ciorra, F. Dal Co, L. Molinari, M. Zardini, quelli nostrani), sulla base di criteri quali “ autenticità del disegno” o “ carattere genuino e innovativo” . Obiettivo del premio, è “ scoprire e mettere in luce quei lavori il cui carattere innovativo agisce come un orientamento o come un manifesto” . Sembra di capire che questo premio si sia assunto l’arduo e ingrato compito di decretare qual è l’architettura che fa “ tendenza” (secondo il presidente della giuria, D. Chipperfield per questa edizione, il premio deve acquisire il senso di una “ direzione” ). Infatti, delle 41 opere presentate nel catalogo (sulle 269 in concorso) molte sono note e ampiamente pubblicate sulle riviste più in voga. Il premio è andato a Zaha Hadid con il progetto Car Park and Terminus Hoenheim North a Strasburgo. Un progetto anomalo dal punto di vista del tema, che appartiene a quella categoria di “ oggetti metropolitani” che stentano a rientrare nei tradizionali confini dell’architettura. Nessun rapporto col contesto, nessuna caratteristica tipologica rilevante, solo un grande lavoro sulla forma che avvicina il risultato a una scultura più che a un edificio, in cui gioca un ruolo di primo piano il ricorso ad artifici di tipo visivo. Nuove strategie e nuove idee: provocazione, insomma, sembra essere la parola chiave di questa “ tendenza” . Mi chiedo cosa c’entri in tutto questo Mies. Me lo chiedo seriamente. Unici architetti italiani in catalogo: M. Navarra (Parco lineare a Caltagirone) e F. Venezia (laboratorio prove materiali dello IUAV a Mestre). Silvia Malcovati
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Informazione
La città che fluttua
L’architettura delle centrali elettriche in Provincia di Sondrio di Luciano Bolzoni
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La colonizzazione dei territori valtellinesi da parte dell’industria di sfruttamento delle risorse idriche avvenne al contrario e cioè risalendo la corrente dell’Adda; se nell’immaginario comune la costruzione della centrale idroelettrica alpina è da sempre legata al concetto delle difficoltà operative necessarie per compiere l’ardimentosa azione produttiva, in questo caso si optò per la più pratica (e veloce e meno dispendiosa) alternativa di costruire partendo dal basso, sfruttando le parti libere e pianeggianti di terreno. Giova citare le parole di Giovanni Bettini al riguardo sulla pubblicazione dell’AEM Fortezze gotiche e lune elettriche, le centrali elettriche della AEM in Valtellina: “ La centrale idroelettrica rappresenta dunque la nuova alleanza fra pianura e montagna (...) Il nuovo patto che la centrale idroelettrica realizza abbattendo uno dei soggetti classici della paura umana, spiana la strada al turismo alpino” . L’architettura della centrale idroelettrica nel territorio alpino diviene l’elemento sovvertitore del dualismo tipico tra l’uomo e la montagna, sia in senso morale sia in senso più squisitamente sociale in quanto l’elemento della centrale rappre-
senta una novità nel paesaggio, non solo attraverso la propria imposizione architettonica e il proprio aspetto di innovazione tecnologica ed economica, ma, anche e soprattutto, per la capacità di inserire nella storia dell’uomo di montagna una nuova modalità di dominio sulla natura, prima sconosciuta, mediante la possibilità di controllo e di regolazione delle forze dell’acqua. Ma è altresì facile comprendere il ruolo di apripista che la tipologia della centrale ebbe nei confronti dei fenomeni di sfruttamento di massa delle vallate alpine, tanto da suscitare una giustificata diffidenza da parte delle popolazioni locali, spaventate non per il rapido cambiamento del paesaggio bensì per la concorrenza portata alle attività produttive locali, abituate da sempre a sfruttare le risorse idriche in modo naturale ed autonomo. La prima grande centrale costruita in Valtellina fu quella di Campovico sulla riva destra dell’Adda nel 1900; già nel 1910 si concluse la prima fase del processo di costruzione con la realizzazione dei nuovi impianti dell’AEM. Non a caso questo fenomeno sociale, cioè lo sfruttamento delle ri-
sorse da parte di società urbane, lontane dai luoghi di produzione, divenne una costante. Costante che si ripetè in quasi tutte le realtà periferiche territoriali italiane per cui lo sfruttamento delle risorse fu gestito da grandi società a scala urbana come la SADE, la Ettore Conti, la SIP, la Edison e la stessa Enel. A questa modalità ne seguì un’altra ancora più stimolante sul piano dell’architettura e cioè il ricorrere, da parte della ricca committenza imprenditoriale, al lavoro professionale delle firme del momento della disciplina edilizia. Chiamati a dare forma a molteplici strutture industriali (e non solo) nei territori alpini, tali professionisti hanno comunque ricavato da questa occasione una modalità di proposizione di un linguaggio moderno seppur compreso nel fatale ed enigmatico (e per questo non ancora risolto) rapporto tra il vecchio in senso lato – natura, ambiente e costruzioni – ed il nuovo da costruire. Le centrali progettate e realizzate in Valtellina non sfuggono a tale particolarità; ciò non toglie che l’ampio respiro posto alla base del lavoro progettuale, basato sulla necessità più che sulla possibilità di costruire, e per certi versi l’e-
sperienza di taluni architetti, hanno restituito un lavoro che nel suo insieme risulta essere di assoluto rilievo. Va anche ricordato che, per quanto riguarda i primi due decenni del secolo scorso, nella realizzazione delle grandi centrali idroelettriche valtellinesi è prevalsa la logica architettonica di ricorrere a linguaggi che rimandavano a stilemi storici, non tanto per l’impossibilità di rappresentare la tecnologia con una nuova architettura quanto per rendere più assimilabili al pubblico (gli abitanti e non solo) queste nuove realtà ambientali; architetture che diventarono un ponte tra la tradizione – non costruttiva ma solo storica – e la nuova realtà industriale. La centrale elettrica diviene un anello di congiunzione tra l’ambiente e il complicato e invasivo sistema di interventi ingegnerist ici indispensabili per la produzione e il trasporto della nuova risorsa, l’energia elettrica, costituito dai bacini artificiali, dalle condutture, dagli impianti aerei di trasporto dell’elettricità. Le centrali divennero uno dei segni distintivi del nuovo ambiente che venne a delinearsi; i professionisti milanesi ebbero un ruolo fondamentale in tal senso. Su tutti va ricordato il rapporto tra lo studio di Gio Ponti e il proprio committente imprenditoriale – soprattutto la Edison di Milano – legame così stretto e fiduciario tale da far discendere un discorso coerente in termini di proposizione di architetture nel paesaggio (e nei villaggi), una sorta di catalogo architettonico che ascrive nuove forme per la montagna e dove la decorazione è assente, le superfici sono assolutamente lisce e piane, i volumi ben distinguibili nel paesaggio ma mai troppo presenti. Bibliografia essenziale Bolzoni L., Architettura moderna nelle Alpi italiane dal 1900 alla fine degli anni Cinquanta, “ Quaderni di cultura alpina” , Priuli & Verlucca, Ivrea, 2000 Bolzoni L., Gio Ponti sulle Alpi, “ Ottagono” , n. 142, 2001 Bolzoni, L., Architetture alpine di Giovanni Muzio, “ Frames” , n. 101, 2002 Monteforte F., L’età Liberty in Valtellina, Mevio Washington & Figlio, Sondrio, 1988 Polatti F., Centrali idroelettriche in Valtellina: architettura e paesaggio 1900-1930, Laterza, Bari, 2003 Songini G., L’energia elettrica in provincia di Sondrio 1883-1993, Consorzio dei Comuni del bacino imbrifero montano dell’Adda, Sondrio, 1995 AA.VV., Fortezze gotiche e lune elettriche, le centrali elettriche della AEM in Valtellina, AEM, Milano, 1987 AA.VV., Paesaggi elettrici - territori architetture culture, ENEL, 1998
1. Centrale di Campovico, 1899-1901 Morbegno Località Campovico VITTORIO GIANFRANCESCHI
2. Centrale Giuseppe Ponzio, 1907-10 Grosotto via Centrale 1 GAETANO M ORETTI
3. Centrale del Mallero, 1909-12 Sondrio Località Arquino DARVINO SALMOIRAGHI
5. Centrale del Roasco, 1917-20 Grosio via Milano 158 PIERO PORTALUPPI
4. Centrale del Boffetto, 1917-19 Piateda Località Baghet di Chiuro AFL FALCK
6. Cabina elettrica Falck, 1918-20 Morbegno via Stelvio 198 AFL FALCK
1. La centrale fu costruita tra il 1899 e il 1901 dalla Società Strade Ferrate Meridionali, su commissione del governo del re in carica e doveva fornire l’alimentazione elettrica per la ferrovia Sondrio–Chiavenna. L’impianto sfruttava le acque del vicino fiume Adda e l’energia prodotta veniva convogliata alle sottostazioni elettriche collocate lungo l’asse ferroviario Lecco-Colico-Sondrio e Colico-Chiavenna. Rispetto all’esempio del castello turrito che Portaluppi suggerirà più tardi nella centrale del Roasco a Grosio, la centrale di Campovico presenta un’architettura dal semplice impianto volumetrico dove l’elemento contrassegnante dell’edificio è l’impiego della pietra a vista, scelta che non solo indicava una precisa volontà stilistica, ma piuttosto economica, in quanto il ricorso ai materiali lapidei ricavati dagli scavi propedeutici alla costruzione dell’impianto consentì, oltre che l’economia di scala, l’utilizzo delle maestranze del posto.
2. La centrale di Grosotto è la prima centrale costruita dalla AEM, costituitasi nel 1910 per contrastare il nascente mercato dei piccoli produttori privati di energia. Come molte strutture analoghe del periodo l’architettura della stessa rimanda a forme del passato; tale impostazione, come già riportato nella nota introduttiva, è una concezione di base che sottintende l’uso di un eclettismo forzato per restituire al territorio – e quindi all’ambiente naturale – non tanto un esempio della nuova architettura industriale quanto una presenza architettonica che diviene elemento accettabile proprio per il suo legame con una tradizione riscontrabile anche nelle aree su cui insiste. Ed è comunque il castello e il palazzo signorile il riferimento architettonico; da rilevare in tal senso il gioco grafico dei mattoni colorati e l’impianto contraddistinto dalle enormi vetrate verticali. Significativa l’opzione di ricorrere al fregio che corre lungo tutto l’edificio, citandolo all’esterno della struttura edilizia nelle opere di recinzione e nelle cancellate che delimitano l’area.
3. La centrale superiore del Mallero, conosciuta anche come centrale di Arquino, fu dalla Società Idroelettrica Italiana. L’impianto architettonico della centrale è costituito da due edifici accostati lungo il lato lungo, contraddistinti dal tradizionale tetto a falde. Nel volume maggiore trova collocazione la sala macchine che ospitava i gruppi delle turbine; nel secondo edificio, più piccolo, era stata prevista la sala trasformatori. La centrale di Arquino si contraddistingue per le dimensioni monumentali, ma soprattutto per le innumerevoli varietà di incisioni decorative. La stessa imposizione del corpo di fabbrica nel paesaggio preesistente sembrò derivare, più che dalla mole dell’edificio, dalle molteplici citazioni storiche degli apparati decorativi.
4. L’impianto venne realizzato dalla Falck utilizzando le acque del fiume Adda, per fornire l’alimentazione elettrica per i propri stabilimenti di Sesto San Giovanni. L’impianto strutturale si presenta come un semplice volume unitario con il tetto a due falde; nell’unico edificio trovarono collocazione tutti gli apparati tecnologici, solitamente distribuiti in più volumi edilizi. Le ridotte dimensioni e il ricorso ad un solo volume delegano l’effetto monumentale ad una veste decorativa affidata ad elementi ornamentali che si ripetono all’esterno dell’impianto nei fronti e che continuano all’interno della sala macchine attraverso la proposizione di una fascia floreale che confluisce, in corrispondenza della parte in muratura infrapposta tra i grossi finestroni, in eleganti lampade in ferro battuto.
5. La centrale di Grosio viene presentata dall’architetto milanese sotto forma di edificio turrito; l’impianto diviene un simulato castello a mascheramento degli apparati tecnologici collocati all’interno dell’involucro edilizio. Non sfuggirà all’osservatore la vicinanza dell’impianto con i ruderi del castello dei Visconti Venosta. Portaluppi prende le distanze dai tipici concetti ingegneristici legati alla costruzione di centrali elettriche attraverso l’adozione di un linguaggio che ricorre a continui richiami stilistici, condizione che peraltro lo stesso architetto sperimenterà nelle Valli dell’Ossola, dove progetterà sei centrali per Ettore Conti.
6. Nonostante la mole e gli stilemi classici impiegati nel progetto, l’edificio di Morbegno, era costituito da una semplice sottostazione intermedia atta allo smistamento della corrente elettrica, una sorta di impianto di passaggio fra le installazioni a monte e gli impianti collocati più in basso rispetto ai punti di sfruttamento dell’energia idraulica. Come nei casi già citati è evidente il ricorso ad uno stile derivato da forme prese dall’architettura lombarda del tardo medio-evo. Singolare il fregio posto sotto la copertura che sembra voler sottolineare la presenza e la rilevanza del corso d’acqua da cui attingere l’energia.
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7. Centrale Venina, 1919-23 Piateda Località Vedello CARLO M INA
9. Centrale di Fraele, 1922-28 Valdidentro Località Isolaccia-Fraele GIULIO PALENI
8. Centrale San Francesco, 1922-27 Mese via Cappella Grande 6 ANGELO OMODEO
10. Centrale di Lovero, 1938-48 Lovero via della Piana AEM - ING. GALLIOLI
7. La centrale fu realizzata dalle Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck, derivandosi dalle acque dei torrenti Venina e Caronno e quelle della Valle di Arigna e della diga di Venina. Con questa realizzazione viene ultimata la stagione delle centrali che derivano l’aspetto formale dai linguaggi eclettici. Il fabbricato affida la propria imposizione nell’ambiente a una marcata monumentalità, dovuta a un’imponenza insita nelle dimensioni e nell’impiego di soluzioni architettoniche differenti da quelle fino ad allora viste in valle (i finestroni ad arco ribassato, le lesene, le cornici in pietra artificiale) e soprattutto alla veste formale della facciata, coincidente con l’accesso all’impianto, dove le grandi aperture scompaiono sostituite da finestrelle incorniciate e da oblò.
9. Nel 1928 entrò in servizio la nuova centrale di Fraele, realizzata dalla AEM, che utilizzava le acque del torrente Viola e del fiume Adda, raccolte nel bacino della diga di Cancano. Di fatto con questo impianto si concluse la prima fase di costruzione di centrali elettriche in Valtellina. Anche nel caso di Fraele la veste formale dell’involucro edilizio non si distacca dalle architetture del periodo che richiamano esperienze linguistiche differenti e che, in questo caso, derivano le proprie modalità a servizio di un fabbricato che diventa palazzo nordico e al tempo stesso castello alpino. Gli ampi finestroni ad arco insistono sulla facciata principale, caratterizzata dall’impiego dei blocchi a bugnato che conferiscono all’architettura una sembianza influenzata dal contesto montano circostante.
11. Centrale Mera I salto e case dei dipendenti, 1948-50 Chiavenna, Prata Camportaccio Località Tanno GIO PONTI, ANTONIO FORNAROLI, ALBERTO ROSSELLI
12. Cabina elettrica Mera II salto, 1948-50 Prata Camportaccio Località Ponte dei Carri GIO PONTI, ANTONIO FORNAROLI, ALBERTO ROSSELLI
Itinerari
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8. La centrale rappresentava il più importante impianto idroelettrico mai costruito in Europa e costituiva la parte terminale del sistema di sfruttamento delle risorse idriche che faceva capo ai bacini di Montespluga e di Truzzo e alla sottostante centrale di San Bernardo. Tali opere furono realizzate, per conto della Edison, dal progettista, autore di numerosi altri esempi simili, come la centrale di Pont Saint Martin in bassa Valle d’Aosta. La centrale di Mese è formata da due fabbricati distinti, la sala macchine e la sala trasformatori; l’architettura utilizza un linguaggio scevro da decorazioni e formalismi e, particolarità dovuta alla formazione professionale del progettista, non ricorre affatto a stilemi che possano rendere più ammissibile nell’ambiente il nuovo volume.
10. L’impianto è entrato in funzione nel 1948 con le acque restituite dalle due centrali di Grosio e Grosotto. Nel dopoguerra si assiste ad una graduale ma marcata trasformazione in fatto di centrali; l’architettura acquisisce un linguaggio che riveste caratteri di modernità e di rigore espressivo. Modificato il rapporto con la tecnologia, l’architettura accetta i canoni della modernità e produce esempi come quello di Lovero, dove addirittura il corpo della centrale in caverna fuoriesce dalla montagna per divenire l’immagine di una sorta di diga dove la monumentalità dell’impianto crea una suggestione in assoluta aderenza con l’ambiente circostante.
11. L’impianto, realizzato dalla Edison, è parte di un articolato sistema di sfruttamento delle risorse idriche che fa capo al bacino artificiale di Villa di Chiavenna e si basa sull’utilizzo delle acque del fiume Mera. Lo studio di Ponti è chiamato per la prima volta in Valchiavenna a collaborare al progetto di una centrale elettrica, località dove nel 1946 aveva già progettato un intero complesso scolastico (scuola e abitazioni, 194652). La centrale di Chiavenna suggerisce subito l’idea del maestro milanese in tema di impianti industriali di questo tipo: duplice volume, assenza di ornamento, aperture regolari nella disposizione, poste a filo delle murature esterne. Unica concessione all’edilizia montana, il rilievo in pietra dei due portali sovrapposti, nella facciata principale, in coincidenza con le entrate all’interno della sala, quasi a sottolineare un filtro di passaggio tra l’ambiente esterno e l’impianto collocato in caverna, particolarità riscontrabile anche nelle piccole abitazioni costruite per il personale della centrale.
12. La superficie esterna della scatola della piccola cabina è caratterizzata dall’incidenza della grande apertura superiore del serramento a nastro che consente l’affluenza della luce all’interno della sala, vera conquista in una tipologia tanto legata alla sua modalità di organismo industriale, così duro e vincolato agli aspetti produttivi dell’architettura. Ponti e i suoi soci si limitano comunque al progetto di un semplice, quanto funzionalmente corretto, lavoro di proposizione di un piccolo manufatto asservito allo scopo tecnologico. Accanto alla cabina, sul lato destro rispetto all’asse della facciata, è presente un piccolo edificio sempre progettato dallo studio di Ponti che costituisce la cabina di manovra della paratoia all’imbocco delle tubature dell’acqua, caratterizzato dal rivestimento in pietra che richiama lo stesso assetto formale dei portali di accesso alla centrale di Chiavenna.
13. Casa del guardiano della diga, 1949-50 Villa di Chiavenna Diga di Villa GIO PONTI, ANTONIO FORNAROLI, ALBERTO ROSSELLI
15. Centrale di Prestone, 1951-53 Campodolcino Località Prestone GIO PONTI, ANTONIO FORNAROLI, ALBERTO ROSSELLI
14. Centrale di Isolato (Isola Spluga) e case dei dipendenti, 1951-53, 1960-64 Madesimo Località Isola GIO PONTI, ANTONIO FORNAROLI, ALBERTO ROSSELLI
16. Centrale Mera III salto, 1951-53 Gordona Località Boggia GIO PONTI, ANTONIO FORNAROLI, ALBERTO ROSSELLI
17. Centrale di Sondrio, 1955-60 Sondrio via Adamello 1 GIOVANNI M UZIO
18. Centrale Pizzoni, 1955-62 Lanzada via Palù GIOVANNI M UZIO
13. Rispetto ai linguaggi eclettici ricorrenti nella progettazione delle centrali nell’ambiente alpino, il lavoro professionale di Ponti non si limita a dare una forma accettabile all’involucro tecnologico ma, anzi, individua una sorta di nuovo catalogo architettonico contenente la proposizione di forme completamente estranee al contesto e nel quale viene messa in evidenza soprattutto la funzione precipua dell’organismo edilizio cioè il contenuto. Non sfugge a questa regola la singolare casa del guardiano della diga di Villa, una sorta di casa mobile, quasi sull’acqua, dove l’unica concessione all’edilizia montana è rappresentata dal tetto monofalda e dal rivestimento in legno delle superfici esterne.
14. L’impianto, realizzato dalla Edison, utilizza le acque del torrente Liro e dei bacini di Suretta e Montespluga. Rispetto alle centrali in bassa valle la centrale di Madesimo vede la presenza degli impianti sviluppati in galleria e ciò consente lo svolgimento di una redazione progettuale completamente libera da concetti legati alla tecnologia; la piccola centrale è contraddistinta da un solo involucro edilizio disgiunto dalla montagna, ma a questa unito da un ponte tecnico in calcestruzzo che maschera le condutture e gli apparati tecnologici. Completano l’allestimento progettuale le quattro case per il personale di servizio dell’impianto che rimandano, come nella centrale di Santa Giustina (Tn), alla forma e alle proporzioni della centrale stessa. Adiacente verrà realizzata dalla Edison-Volta (1960-64) un’altra piccola centrale, il cui progetto può essere attribuito allo stesso studio di Ponti.
15. Il progetto individua la tipologia del corpo edilizio a doppio volume, soluzione che verrà adottata anche nell’impianto di Gordona; i due corpi di fabbrica, differenti per forma e dimensioni, racchiudono all’interno la sala macchine e il locale quadri elettrici. La centrale è collocata alla base della montagna; nelle facciate sono evidenti le fessure delle aperture, scandite secondo ritmi, tipologie e forme tipiche della logica pontiana che contrassegnano l’architettura dell’impianto. La parte superiore dei fabbricati è caratterizzata dal segmento della grande finestratura a nastro che sottolinea in larghezza la dimensione del fronte, mentre nei fianchi insistono piccole aperture necessarie per l’illuminamento della sala quadri.
16. La centrale di Gordona trova collocazione al di fuori dei centri abitati, ma sostanzialmente l’architettura dell’involucro edilizio non si modifica rispetto all’impianto di Campodolcino. Rimane una costante formale l’adozione del duplice corpo di fabbrica anche se in questo caso la differenza di scala fra i due volumi è più accentuata. Ed anche nella centrale di Gordona trova spazio lo stesso processo progettuale che impone le semplici aperture costituite da finestrature a nastro nell’edificio principale (la sala macchine) che non divengono motivo di ornamento, peraltro completamente assente nella scatola della centrale, ma modalità di affluenza della luce all’interno della sala operativa.
17. Il tema della centrale è affrontato da Muzio in modo non difforme da come ha affrontato in ambiente urbano il tema dell’architettura civile; alla forte inclinazione delle scelte progettuali alle dimensioni urbane Muzio unisce una propria, forte interpretazione dei temi formali dell’edilizia tradizionale, traducibili in maniera perentoria all’interno del manufatto della centrale elettrica. La centrale di Sondrio costituisce la parte terminale a valle dell’intero sistema che fa capo al bacino di Campomoro, collegato con la centrale di Lanzada; l’edificio è costituito dal corpo principale della centrale situato all’esterno rispetto alla montagna, dove sono posizionati la sala quadri e gli uffici di gestione. Gli apparati tecnologici dell’impianto trovano collocazione in galleria; tale aspetto funzionale della struttura suggerisce l’adozione del grosso portale inquadrato a ridosso dell’entrata alla sala operativa e coincidente con la conformazione della galleria stessa, che diventa elemento probante dell’architettura.
18. L’impianto è costituito da un grande corpo di fabbrica contraddistinto dalla coincidenza formale tra l’entrata delle condutture dell’acqua provenienti dalla montagna ed il corpo rialzato a chiusura dell’ampia sala macchine elevata di un piano rispetto al livello della copertura. L’architettura dell’esterno mostra, date anche le monumentali dimensioni della centrale, un’ampia finestratura superiore che diviene il motivo d’ordine del grande complesso e che funge da elemento di divisione tra la parte sottostante, contraddistinta dalle tipiche aperture delle centrali di Muzio, e la grande copertura a più falde. Rispetto alle altre centrali progettate dallo stesso progettista nell’arco alpino, il solido edilizio sembra avere il sopravvento rispetto all’intero sistema tecnologico dell’impianto, particolarità che sembra voler riprendere le modalità formali adottate nella centrale di Vizzola Ticino, progettata dallo stesso Muzio nel 1937.
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A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)
Variazione Indice Istat per l'adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice - novembre 1969:100 Anno 2001 2002 2003 2004
Gennaio 1430 1430,28 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00
Febbraio
Marzo
Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre 1440 1435,31 1436,56 1441,59 1445,35 1446,61 1447,86 1447,86 1449,12 1470 1480 1467,96 1471,72 1475,49 1478 1480,51 1481,77 1484,28 1486,79 1510 1520 1504,37 1509,4 1511,91 1513,16 1514,42 1518,19 1520,7 1524,46
2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978) Anno 2001
56
2002 2003
Indici e tassi
2004
Gennaio Febbraio
Marzo
novembre 1978: base 100
Ottobre Novembre Dicembre 1450 1452,89 1455,4 1456,65 1490 1490,56 1494,33 1495,58 1525,72 1529,49 1529,48
dicembre 1978:100,72
Aprile
Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre 500 495,00 496,74 497,18 498,91 500,22 500,65 501,09 501,09 501,52 502,83 510 506,30 508,04 509,35 510,65 511,52 512,39 512,82 513,69 514,56 515,86 520 519,78 520,64 522,38 523,25 523,69 524,12 525,43 526,29 527,6 528,03 530 530,21
Novembre Dicembre 503,70 504,13 517,17 517,6 529,34 529,34
3.1) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Milano)
anno 1995: base 100
Anno
Gennaio Febbraio
Giugno
2002 2003 2004
111,80 112,18 112,47 112,76 112,95 113,14 113,24 113,43 113,62 113,91 114,2 114,29 114,77 114,97 115,35 115,54 115,64 115,73 116,02 116,21 116,50 116,60 116,89 116,89 117,08
Marzo
Aprile
Maggio
Luglio
giugno 1996: 104,2
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
3.2) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) anno 2000: base 100 Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno 2002 2003 2004
Gennaio Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
dicembre 2000: 113,4
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
102,73 103,08 103,35 103,61 103,79 103,96 104,05 104,23 104,4 104,67 104,93 105,02 105,46 105,64 105,99 106,17 106,26 106,34 106,61 106,79 107,05 107,14 107,40 107,40 107,58
4) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
gennaio 1999: 108,2
Anno
Gennaio Febbraio
2002 2003 2004
107,67 108,04 108,31 108,59 108,78 108,96 109,05 109,24 109,42 109,7 109,98 110,07 110,53 110,72 111,09 111,27 111,36 111,46 111,73 111,92 112,19 112,29 112,56 112,56 112,75
5) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
anno 2001: base 100
gennaio 2001: 110,5
2001 2002 2003 2004 103,07 105,42 108,23 110,40
6) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno
Luglio
anno 1999: base 100
anno 1995: base 100
1996 1997 1998 105,55 108,33 110,08
7) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno
1998 1999 2000 101,81 103,04 105,51
novembre 1995: 110,6
1999 2000 2001 2002 2003 2004 111,52 113,89 117,39 120,07 123,27 125,74 anno 1997: base 100
2001 2002 2003 108,65 111,12 113,87
febbraio 1997: 105,2
2004
Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all'art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l'elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d'Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.
Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv.
della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U.
3,25% 3,75% 4,25% 4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%
8.2.2000 n° 31) dal 9.2.2000 3.5.2000 n° 101) dal 4.5.2000 14.6.2000 n° 137) dal 15.6.2000 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003
Con riferimento all'art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “ Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.
Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003
3,35% +7 2,85% +7
Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) 10,35% 9,85%
dal 1.7.2003 al 31.12.2003
2,10% +7
9,10%
Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)
dal 1.1.2004 al 30.6.2004 Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.
2,02% +7
9,02%
Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10% . Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato) G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, re-lativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione per-centuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove).
Applicazione Legge 415/ 98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.