AL 4, 2005

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AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi

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FORUM Arte e città interventi di Marco Casamonti, Pietro Derossi, William Xerra Tre domande a... Gillo Dorfles

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OSSERVATORIO Argomenti Concorsi Riletture Libri Mostre e Seminari Itinerari

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PROFESSIONE Legislazione Strumenti

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INFORMAZIONE Dagli Ordini

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INDICI E TASSI

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INDICI 2004

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Direttore Responsabile Stefano Castiglioni Direttore Maurizio Carones Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione Igor Maglica (caporedattore) Irina Casali, Sara Gilardelli Martina Landsberger Direzione e Redazione via Solferino 19 – 20121 Milano tel. 02 29002165 – fax 02 63618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa Mancosu Editore spa via Alfredo Fusco 71/a – 00136 Roma tel. 06 35192255 – fax 06 35192260 e-mail: mancosueditore@mancosueditore.it http://www.mancosueditore.it Concessionaria per la Pubblicità via Alfredo Fusco 65 – 00136 Roma tel. 06 35192280 – fax 06 35192269 e-mail: isi.spa@mancosueditore.it Agente pubblicità per il Triveneto: Mass Media – Giacomo Lorenzini via Silvio Pellico 1 – 35129 Padova – tel. 049 8088866 per la Lombardia: Media Target – Michele Schiattone viale Italia 348 – 20099 Sesto S. Giovanni, Milano tel. 02 22476935 Graphic Point – Alessandro Martinenghi via Haussmann 11/d – 26900 Lodi tel. 0371 32158 – cell. 335 5258146 per le Marche: Elisabetta Arena via del Mare 59 – 62019 Recanati, Macerata tel. 071 7573099 – cell. 335 8134146 per il centro sud: Alexander Tourjansky via Francesco Satolli 30 – 00165 Roma – tel. 06 630427 Stampa ati spa – Pomezia, Roma Rivista mensile: Spedizione in a.p. – 45% art. 2 comma 20/b – Legge 662/96 – Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 29.000 copie Abbonamento annuale (valido solo per gli iscritti agli Ordini) € 3,00 In copertina Mario Merz, Suite de Fibonacci, installazione permanente, Strasburgo. 3 serie di numeri di Fibonacci al neon. Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL

EDITORIALE

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FORUM GLI INTERVENTI APRILE 2005

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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidenti: Daniela Volpi, Giuseppe Rossi, Ferruccio Favaron; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Angelo Monti; Segretario: Marco Francesco Silva; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Franco Andreu, Renato Conti, Gianfredo Mazzotta, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 31.3.06) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guernieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Giulio Barazzetta, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 14.12.05) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Quintino G. Cerutti, Maura Lenti, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 30.6.05)


Maurizio Carones

3 EDITORIALE

I rapporti tra architettura e altre arti ben rappresentano una di quelle questioni che riguardano il nostro mestiere e che lo definiscono come una disciplina che intrattiene rapporti con molti altri saperi, traendo dal rapporto con questi una delle principali ragioni del suo operare. Già Vitruvio descriveva l’architetto come figura che nella sua preparazione non poteva prescindere dallo studio delle scienze, delle lettere e delle altre arti, per giungere a quello che lui definiva il “sommo tempio dell’architettura”. L’architettura intesa quindi come disciplina che si costruisce sulla relazione con altri ambiti scientifici, di cui l’architetto ha conoscenza, senza in essi dover necessariamente eccellere. Ancora oggi tale accezione dell’architettura indica una sorta di problematica centralità all’interno del nostro mestiere, caratterizzata dai rapporti oscillanti e alternati con gli altri campi del sapere. Descrizione che ben si riferisce alle condizioni del progetto contemporaneo, sempre più attraversato da una molteplicità di competenze, con una “politecnicità” che, da una parte, considera positivamente l’apporto delle diverse tecniche e, dall’altra, mantiene centrale il ruolo del progetto. Il rapporto con le altre discipline è quindi condizione strutturante il progetto stesso: le diverse tecniche, con le strumentazioni che sono loro proprie, indicano una serie di problemi a cui il progetto propone soluzioni. Il rapporto con l’arte rientra certamente in questa serie di relazioni che l’architettura ha con le altre discipline, anche se, forse più di altri, esso è particolarmente articolato e problematico. Ne sono testimonianza la stessa storia dell’architettura, i rapporti con l’estetica, come la vicenda dei rapporti fra Scuole di Architettura e Accademie di Belle Arti. Questione quindi inesauribile – e, senza dubbio, irrisolvibile in questa sede – che ci interessa proporre, come abitualmente facciamo, al fine di raccogliere una serie di contributi ed esemplificazioni da sottoporre ad una discussione collettiva. In questo senso sono importanti le corrispondenze dai singoli Ordini provinciali. Che esempi si traggono da una ricognizione nella nostra regione, da una indagine su arte, città e architettura? Qual è il contributo reale che le nostre città danno a questo rapporto? Interrogativi che è utile porre in un momento in cui i rapporti tra arte e architettura sembrano riproporsi con la ricchezza già conosciuta in altre stagioni. Riproposizione che avviene sia in ambito critico – si pensi alla recente mostra a Genova su Arti e Architettura – che in quello progettuale, in cui il progetto di architettura assume spesso modalità che si avvicinano molto alla pratica artistica. Avvicinamento reciproco, praticato infatti anche dalle stesse “arti figurative” contemporanee che sono sempre più prossime alle esperienze, corporee, spaziali e temporali, proprie dell’architettura e della città. Da tutto ciò, ancora una volta, la possibilità di pensare al nostro lavoro come ad un mestiere che è manifestazione di un pensiero articolato e che si arricchisce dalla complessità dei rapporti perché in grado di accogliere, con la sua solidità disciplinare, la molteplicità dei campi del sapere, traducendola in un atto progettuale.


Arte e città

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Nel Forum di questo numero intervengono Marco Casamonti, professore ordinario di Progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura di Genova; Pietro Derossi, professore ordinario di Composizione architettonica ed urbana alla Facoltà di Architettura Civile di Milano; William Xerra, pittore e artista che si dedica all’esplorazione delle poetiche del segno e della materia. Gillo Dorfles, critico d’arte, ordinario di estetica e artista ha risposto alle tre domande di Maurizio Carones. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.

L’architettura è un’arte di Marco Casamonti

Leon Battista Alberti è architetto, teorico dell’arte, scrittore, umanista nella pienezza dei suoi valori, intelligenza in grado di esprimere, con una multiforme attività, l’ideale rinascimentale dell’uomo-artista impegnato contemporaneamente tanto nell’attività creativa, quanto nell’individuazione di un fondamento scientifico dell’operare artistico; sono una stessa mano e uno stesso pensiero quelli che scrivono il De Pictura, De re aedificatoria e De statua. Michelangelo è pittore, scultore, architetto e poeta, difficile dire, oltre la letteratura, quale tra queste attività fosse preminente o se sia rintracciabile un confine tra le diverse discipline artistiche, certo è che, negli ultimi vent’anni della sua vita, i suoi interessi furono catturati dall’architettura – dal completamento della Laurenziana, a Palazzo Farnese, alla Fabbrica di San Pietro, fino all’apoteosi urbana con la sistemazione della piazza del Campidoglio – secondo un crescendo di assoluta contemporaneità che esprime nella città la sintesi di ogni decisione artistica in grado di influire, attraverso nuove immagini e configurazioni spaziali, sulla vita e le emozioni quotidiane. Si potrebbe obiettare che un’attività così composita e complessa, capace di mescolare in un tutt’uno arti e architettura, e resa possibile da un’esistenza – quasi novant’anni – straordinariamente lunga e articolata, tuttavia non è nel tempo la ragione dell’assieme, se Raffaello, morto appena trentasettenne, ebbe l’opportunità di integrare alla pittura una straordinaria attività come architetto e cultore dell’antichità, una conoscenza che influenzò certamente Palladio, e con lui – primo artista sulla cui opera si sono sperimentati gli effetti di una preglobalizzazione – il trionfo del classico e del classicismo nel mondo occidentale. Le convergenze arte-architettura, a cui è bene sottrarsi per evitare l’inutilità dell’elenco, quanto di una superflua e conosciuta ricostruzione cronologica, sono talmente ampie e totalizzanti da domandarsi dove e quando ma, soprattutto, perché e per quale disegno ideologico l’architettura abbia iniziato quel lento distacco dal novero delle arti propriamente riconosciute, per rifluire in un sapere tecnico-scientifico che oggi sentiamo così decontestualizzato e lontano dalle esigenze di una contempo-

Il volo dei numeri, installazione permanente, Torino, Mole Antonelliana. Serie di Fibonacci al neon (foto: Paolo Pellion di Persano).

raneità che chiede all’arte la riappropriazione di uno spazio critico e dialettico completamente abitabile. Inoltre, nonostante una specializzazione disciplinare sempre più serrata, l’epopea del XX secolo segna, per ogni variazione significativa degli orizzonti culturali, un ricompattarsi delle arti finalizzato alla riappropriazione, nello spostamento dei valori riconosciuti e riconoscibili, di quell’alimento comune da cui traggono energia creativa le diverse espressioni artistiche e, con esse, l’architettura. Alla prima domanda, a cui è facile ricondurre gli esordi della modernità, secondo una consolidata ricostruzione storico-critica che torna agli esiti e agli stravolgimenti conseguenti la Rivoluzione industriale, tra le molte considerazioni plausibili possiamo rispondere attraverso il contributo di Oswald Mathias Ungers che usa, come incipit di un breve saggio scritto oltre vent’anni fa, la distinzione kantiana fra pulchritudo vaga e pulchritudo adhaerens, letta come linea di demarcazione all’interno della teoria estetica, di una prima separazione tra le arti pure, le arti con la “A” maiuscola, le belle arti, e l’architettura intesa come un’arte di servizio, che assolve il compito appunto di essere utile per uno scopo. È evidente che se l’ideale estetico dell’arte, perdurante fino all’avvento delle avanguardie del primo Novecento, è l’imitazione della natura, delle sue proporzioni, della sua armonia, all’architettura, come disciplina dell’abitare, che sfugge al puro diletto, altro non resta se non un ruolo di secondo piano, che d’altronde ne caratterizza gli esiti per tutto il XIX secolo. Se viceversa con l’arte si compie, secondo una visione condivisa e attuale, quella straordinaria azione critica della quotidianità che apre al futuro attraverso la propulsione creativa generata dal contributo della rivoluzione estetica allora l’architettura ritrova quella forza espressiva che nelle intenzioni delle avanguardie, dal Bauhaus in poi, è un tutt’uno con la città, vero campo di applicazione e di vita di una società nuova o attesa, intenzionalmente e politicamente, come nuova. Da questo punto di vista alcune figure risultano illuminanti come lo sono le immagini e le costruzioni ideali di Malevich, il suo passaggio dal futurismo al cubismo fino alla supremazia della sensibilità pura nelle arti figurative, posta al servizio, attraverso l’architettura e l’attività progettuale, di nuovi modelli abitativi e costruttivi, mentre altre ricompongono, con diverse sfaccettature, quell’ideale umanistico dell’artista totale che ha in Le Corbusier il suo artefice principale e instancabile. Tuttavia, poiché la realtà è più complessa e resistente ai mutamenti di quanto non lo siano le intuizioni “sovversive” delle avanguardie, l’ipotesi complessiva che mette intorno allo stesso progetto didattico – ideato da Gropius nel 1919, con la fusione della Scuola di Arti Applicate e dell’Accademia d’Arte di Weimar – artisti, architetti, designer, come Feininger, Meyer, Kandinsky, Moholy-Nagy, Klee, Marks, Muche, Albers, Breuer e più tardi Mies van der Rohe, che ne assunse la direzione prima della soppressione nazista, fatica ad affermarsi nella quotidianità.


FORUM GLI INTERVENTI

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Senza titolo, installazione permanente, San Casciano, Mura. Fusione in alluminio, serie di Fibonacci al neon (foto: Attilio Maranzano).

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Così è noto che quel progetto, ereditato dalla tradizione del Deutcher Werkbund, di superare la separazione, iniziata nell’Ottocento, tra arte e artigianato, per estendere i valori della ricerca estetica alla produzione di massa, bollato di bolscevismo, visse solo per alcune élite privilegiate, non riuscendo veramente a incidere con la propria carica innovativa nella società e in un mercato che, per estendere il proprio potere, è necessariamente e contraddittoriamente legato alle forze della conservazione. Per questa via, se il XX secolo vive storicamente nei rapporti di influenza che muovono dalle ipotesi figurative reciprocamente individuate da Léger e Le Corbusier per arrivare alle metafisiche visioni di Aldo Rossi, è nella geografia di un territorio ovunque devastato dallo sviluppo feroce e dalla speculazione che si perpetua il distacco arte-architettura, o meglio tra arte e mercato, intendendo l’architettura come il simulacro di un’arte di cui il mercato si serve per costruire l’abitare collettivo. Conseguentemente, mentre l’arte utilizza il proprio linguaggio come rilevatore delle incongruenze di una società in divenire, l’architettura è lo strumento con cui la parte dominante della società edifica la propria arroganza coincidendo con la rappresentazione stessa del potere, è strumento ideologico e di propaganda – non solo per i regimi totalitari – una deriva da cui la cultura architettonica, compresa una modernità ben presto ricondotta a international style, non può che rifuggire attraverso l’utopia e le ipotesi più radicali. Se infatti gli anni Cinquanta, in questa continua tensione attrattiva tra le arti che attraversa il secolo scorso fin dagli esordi, segnano, in particolar modo per l’Italia, il ritorno alla realtà e al realismo populista, da De Sica a Rossellini, da Pratolini a Rosai, da Ridolfi a Gardella, è con gli anni Sessanta e Settanta che l’architettura, esaurita nel vernacolare la propria carica critica, scopre nuovi territori. Immagina scenari fantastici e ipertecnologici, con gli Archigram, o addirittura ponti tra la terra e la luna, manifesto pop e surreale ideato da Superstudio come rappresentazione “dell’architettura della superproduzione, del superconsumo, della superriduzione del consumo, del supermarket”. In questo scenario la ricerca architettonica più avanzata, contrapponendosi alla fase più decadente di una modernità che ha ormai esaurito la propria carica propositiva, rifiutando l’arretratezza tecnologica e culturale dei processi di crescita urbana tradizionali, sceglie, al pari delle arti figurative, di rappresentarsi per immagini autoironiche e pubblicitarie, raggiungendo quella consapevolezza, tutta pop, che pone l’iconografia al centro di una contemporaneità dominata da una sola stringente esigenza: comunicare. È nella comunicazione che arte e architettura trovano, sul finire del secolo scorso, uno strumento sinergico e potente, perché utilizzano, attraverso il privilegio dell’immagine gli stessi codici interpretativi di un mercato divenuto globale, in cui non esistono né vincitori né vinti, poiché gli uni e gli altri si alimentano reciprocamente rendendosi vicendevolmente necessari.


Le immagini delle opere di Mario Merz, gentilmente concesse dall’Archivio Merz, riguardano tutte installazioni esterne, interventi che l’artista fece sul tessuto urbano. Se si esclude l’opera del Passante di Torino, che è un igloo, tutti gli altri lavori sono installazioni di numeri al neon secondo la serie di Fibonacci. Per il suo carattere nomade, Merz dal 1968 cercò di costruire il suo nucleo creativo in relazione agli spazi e all’ambiente che gli vennero offerti o che riuscì ad occupare. Da qui la necessità di una Fondazione, per offrire la possibilità di vedere raccolte le opere dell’artista, altrimenti impossibili da ammirare in modo unitario.

La Fondazione Merz, costituita a Torino nel ’99, aprirà al pubblico nei primi di maggio ‘05. Oltre alla collezione e ai progetti espositivi temporanei, ospiterà convegni e attività educative, per diventare un luogo d’incontro con altre discipline legate alla cultura contemporanea, anche attraverso la produzione di pubblicazioni e la creazione di un centro studi, nel quale saranno a disposizione del pubblico una biblioteca specializzata ed un archivio di opere di artisti contemporanei. Accanto ad un nucleo di opere di Merz in esposizione permanente a rotazione, si affiancherà, di volta in volta, la personale di un’artista in aperto dialogo con il suo lavoro.


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Ogni manifestazione d’arte di oggi agisce, di conseguenza, all’interno di un sistema fondato sul mercato e, pur muovendosi all’interno di un ambito antagonista, finisce per rifletterne, inevitabilmente, regole e meccanismi divulgativi fondati sull’efficacia della propria diffusione. Pertanto lo spazio in cui ogni immagine si genera e si riproduce è costituito da territori ad alta densità che hanno nella metropoli la propria residenza naturale; per questa via l’arte si identifica, attraverso la città, nell’architettura e, conseguentemente, l’architettura diviene, nell’iperaccelerazione, comunicativa, essa stessa opera d’arte, soggetto e oggetto del medesimo messaggio. Non stupisce allora, ed è ciò che sta accadendo negli ultimi anni, l’affermazione dell’esistenza di un reciproco sovrapporsi di linguaggi e metodi operativi attraverso cui l’operare artistico mostra una propensione, sempre più marcata, a intervenire e modificare lo spazio urbano, mentre l’arte del costruire si riflette in architetture totalmente autoreferenziali in grado di manifestare, come monumento, la propria eccezionalità di opera d’arte, espressione di un originale, autonomo, valore plastico e sculturale.

Musei e/o arte pubblica di Pietro Derossi

L’arte e la committenza Da sempre l’arte (in particolare l’architettura e l’arte statuaria) hanno contribuito consapevolmente a decorare (nel senso di dare decoro) alle città. Questa prestigiosa funzione dell’arte realizza i suoi obiettivi quando l’opera proposta, escludendo ogni tentazione autoreferenziale, si propone come intervento dialogante con il luogo o il tempo della sua esistenza. Se è così (e così è stato nella storia) un’opera nella città manifesta il proprio senso interpretando il contesto in cui è situata e attribuendo a questo nuovi significati. Ovviamente senza cadere in formalismi vernacolari ma dando spazio all’ambito di riflessione che connette il particolare (luogo–tempo) con il generale (la cultura dell’umanità). Se queste condizioni si manifestano la presenza dell’arte dovrebbe divenire parte costitutiva della progettazione della città, non solo per una contemplazione da esterni, ma per la fruizione interna e quotidiana degli abitanti. Difficilmente l’arte potrebbe essere distinta dalla funzionalità ma anzi integrarsi con questa in un unico proponimento: fare una bella città (o fare bella la città esistente) che ci faceva vivere più intensamente. In quanto elemento essenziale per la nascita (trasformazione) della città e per la sua durata le problematiche dell’arte dovrebbero essere presenti in tutto l’iter che un processo di trasformazione della città deve percorrere dai piani regolatori, ai piani direttori, (viabilità, commercio, servizi pubblici, ecc.) sino agli edifici grandi e piccoli che si posano nella città (che possono essere fatti da architetture, da sculture, da pitture o da tutte queste arti insie-

me). La presenza dell’arte può considerarsi protagonista a tutti i livelli nel viaggio complesso della costruzione degli spazi abitati e non solo una superfetazione successiva, aleatoria quasi a giustificare la carenza di un valore, (l’arte non è la ciliegina su una torta mal riuscita!). In questa prospettiva sono (e siamo) tutti operatori culturali che si occupano di arte, nel senso che dobbiamo sentire il problema, attivare le procedure, seguire i risultati, sia che siano amministratori progettisti, esecutori, finanziatori, o artisti, ma anche semplici abitanti. Potrebbe sembrare che se si verificasse questa generale tensione verso l’arte si produrrebbe una limitazione dell’attività specifica dell’artista. Questo è un importante tema da trattare che mette in discussione il rapporto tra l’artista e la committenza (sia specifica che sociale). Le due posizioni più esplicite sono: la prima, nella tradizione delle avanguardie che hanno sempre l’intento (e la presunzione) di produrre rottura e spaesamento, l’arte richiederebbe totale libertà; la seconda, che privilegia l’intento di comunicare entrando nel merito delle contraddizioni esistenziali esistenti (anche con funzione di mediazione), vede nella committenza l’interlocutore indispensabile per un dialogo e, di conseguenza, accetta una libertà condizionata. Discutere di questo tema è necessario anche per rivedere alcuni equivoci che contribuiscono a tenere lontane le diverse categorie di protagonisti. Si tratta di andare oltre la consuetudine di ritenere gli artisti scontrosi, solitari ed ermetici e il pubblico indifferente ed ignorante. Solo se si instaurano rapporti dialoganti tra artisti e committenza si può avere una crescita del ruolo dell’arte nella città, beninteso che dialogare non vuol dire aderire ma vuol dire esprimere il proprio pensiero (perché l’arte è anche pensiero), sia per consentire che per opporsi, ma sempre avendo presente la necessità di un referente. I musei e la città I musei come contenitori e come contenuti, sono diventati negli ultimi anni presenze importanti nel paesaggio urbano. Alcuni li hanno definiti le nuove cattedrali. Dalla funzione tradizionale di luoghi per la custodia, la protezione e la memoria di eventi d’arte espulsi dai luoghi della società che li ha prodotti, i musei si sono sempre più trasformati in centri di promozione dell’arte sia proponendosi come esempi di architettura pubblica, sia svolgendo attività di committenza diretta per gli artisti. L’incarico di un progetto per un museo pare oggi il premio più ambito da un architetto (molto di più di un Municipio, un Centro sociale, un Ospedale, ecc.) e la collocazione di un’opera in un museo importante il premio più ambito per un artista (molto di più che in un palazzo pubblico, in una scuola, in una casa, ecc.). I musei si presentano come catalizzatori del dibattito sull’arte e come luogo (quasi esclusivo) in cui l’arte si offre al pubblico.


Igloo Fontana, installazione permanente, Torino, Passante Ferroviario. Acciaio, porfido, marmo, rame, scritte al neon (foto: Maurizio Bosio, Agenzia Reporters).

Questa concentrazione sulla gestione e promozione dell’arte può avere lati positivi o negativi e di conseguenza sostenitori e denigratori. La qualità positiva consiste nel segnare nella città questi “monumenti” che diventano fattori di attrazione, nel raccogliere interessi e sponsorizzazioni, nel favorire operazioni di pubblicazioni che attraggano la moltitudine pubblica. Inoltre, sempre più gli spazi museali sono completati da attività commerciali da cui è nata la definizione di musei dell’iper–consumo, con buoni risultati economici. I lati negativi possono essere rilevati nella funzione, quasi involontaria, di concentrazione (almeno per le arti figurative) di tutte le energie che all’arte si vorrebbero dedicare e dare credito ad una concezione del fare artistico come fatto elitario, specializzato, che solo in secondo tempo, offre i suoi prodotti al pubblico. Detto in altri termini (più romantici) che l’arte venga sottratta dal flusso complessivo della vita e “incarcerata” nelle splendide cattedrali. (Pensiero crudele: come sono possibili gesti avanguardistici di rottura nello spazio super protetto delle cattedrali?) Intorno a questo tema è in corso un interessante dibattito tra architetti e artisti. Per ambedue questi soggetti l’antinomia può essere ricondotta all’alternativa tra concentrazione e dispersione, alternativa che non ha solo un senso spaziale (o urbanistico) ma corrisponde ad un’alterativa nella concezione della città e del ruolo dell’arte. La prospettiva di una concentrazione piramidale porta al rischio di una settorializzazione specialistica. In alternati-

va si può proporre un avvicinamento ai luoghi e di sperimentare rapporti con le differenze presenti sul territorio. Nel primo caso significa privilegiare le attività straordinarie attribuendo a queste e alle loro sedi (monumenti) tutto il valore di identità simbolica. Per caso l’arte significa attribuire a poche istituzioni il compito di scelta e di promozione. Nel secondo caso si può pensare alla città diffusa, pluricentrica, dinamica, ricca di eventi anche imprevedibili e pensare un’attività artistica che faccia da alleata e compagna di strada della trasformazione di questa città. Su questi temi da tempo architetti e artisti esprimono le loro posizioni e a queste diverse posizioni corrispondono diverse realizzazioni sull’architettura e nelle arti figurative. In particolare negli Stati Uniti negli anni ’80 diversi artisti hanno dichiarato la loro contrarietà alla funzione istituzionale dei musei ed hanno realizzato mostre ed eventi in luoghi esterni anche strade e piazze della città. Ora anche in Europa le installazioni artistiche esterne volte a celebrare luoghi e fatti urbani sono diventate consuetudine. È evidente che queste tendenze avvicinino ancor più l’arte all’architettura e viceversa. Questi interventi esterni se non si limitassero ad essere delle mostre all’esterno come propaggine dei musei, ma si assumessero il compito di dialogare con nuove interpretazioni degli spazi urbani, si otterrebbe quell’integrazione delle arti che tanti straordinari risultati ha dato nella storia. L’arte e l’architettura potrebbero rafforzare il loro ruolo di intensificatori della nostra esistenza.

FORUM GLI INTERVENTI

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Fibonacci sequence 1/55, installazione permanente, Turku. 10 numeri al neon secondo la serie di Fibonacci.

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Esperienze architettonico-spaziali di William Xerra

Il mio pensiero è spesso rivolto allo spazio, così come la memoria funziona da filtro tra corpo e misura, tra pieno e vuoto, tra realtà e immaginazione. Il mio operare è inteso all’equilibrio instabile che invade l’abitato percorribile, come si trattasse di attraversare una città teorica, costruita nella nostra mente e fatta di aspetti economici, di relazione, ed intesa soprattutto come prodotto culturale. La città letta, definita, interpretata, capita attraverso la cultura di chi ci abita. E la città trova il suo equilibrio funzionale tra il costruito e il non costruito, tanto più gli aspetti architettonici e artistici rispondono ad un’idea organizzativa dello spazio urbano. La città diventa riconoscibile quando assume una propria soggettività attraverso soprattutto il prodotto artistico culturale che segna la sua storia. Cosa possiamo dire di quei “tagli” di case e palazzi che troppo spesso si affacciano ai nostri occhi? E quelle squallide periferie? Fortunatamente chi rimedia a questi scempi sono i grandi cartelloni pubblicitari più interessanti di certi trompe-oeil che esulano completamente dal contesto urbano. Immagini pubblicitarie che a volte sono i veri ponti di comunicazione assumendo il ruolo di decorazione-scrittura: almeno un volto ti guarda, ti sorride, ti trasmette – al di là del messaggio – un gesto amicale che entra nel gioco contemporaneo di una virtuale comunicazione affettiva. Dopo questi brevi appunti, frutto di una riflessione attorno all’organizzazione dello spazio, entro più direttamente nel

mondo del mio lavoro. Le mie esperienze pittoriche e tridimensionali, all’interno ed all’esterno di luoghi urbani, sono indicazioni spaziali, soluzioni diverse sullo studio spaziale architettonico e decorativo. Dialogare con l’architettura costituisce energia tra la trama delle antiche “regole” ed una spinta ad “innesto” che modella il racconto. L’amico e poeta Corrado Costa spesso sottolineava che la pittura si ascolta, così come l’architettura. Con questo voglio significare che i sensi, tutti i nostri sensi si svegliano quando viviamo un vero spazio comunicativo. Quando Lucia Miodini mi invitò – in occasione del “Festival dell’Architettura” tenutosi a Parma nel 2004 – a parlare della mia esperienza pittorica del 1991 nell’antica Villa di Piediprato vicino ad Ascoli Piceno, mi fece un regalo inaspettato. Ho potuto così raccontare alcuni particolari: ad esempio che nell’affrescare le volte di questa bellissima villa, affiorarono in alcune parti, vecchi frammenti dipinti in corrispondenza delle nervature che dividono gli archi; e quanto questi frammenti mi avessero stimolato ed emozionato nel proseguio del lavoro. La mia esperienza artistica spesso ha attraversato la “poesia visiva” e quindi la mia attenzione si è rivolta – dopo aver visitato la bella e superba Ascoli e letto in parte l’Acerba di Cecco d’Ascoli – ad una decorazione-scrittura o pittura-scrittura, come sosteneva Filiberto Menna. Ciò contribuì ai miei giochi visivi nelle volte a crociera apparentemente chiusi. E come dice Lucia Miodini “È d’uopo considerare come il concetto moderno di confine corrisponda sempre meno a quello di termine e si avvicini sempre più a quello di linea di demarcazione, inteso come limite condiviso (…) Il tratto liminare assume, invero, lo statuto di luogo, di peculiare importanza per intendere i nessi, gli intrecci tra differenti idee di spazio, siano essi dipinti o costruiti”. Mi confrontai con quello spazio che segnò poi parte del mio lavoro successivo. Sviluppai l’idea di luogo che avevo già concettualmente approfondito nel 1977 intorno a collage fotografici ed innesti disegnati. Il lavoro di Ascoli mi portò a riflettere e sviluppare anche l’idea di cornice come soglia. Soglia non come confine ma come orizzonte di transito e territorio di frontiera: abitare la soglia come senso di appartenenza ad un luogo nella condizione di nomade. Idea di luogo custode di memoria e idea di cornice come ordine di spazio che diventa racconto. Penso ad affreschi rivelatori dove la cornice è la scrittura vera tra lo spazio dipinto e lo spazio costruito. Una composizione di cornici s/composte, un piede che fuoriesce dalla cornice, che vuole dialogare col pavimento, ed un’ala che vuol volare oltre la volta, frammenti di parole che concertano. Vere installazioni come diremmo oggi. Ascoli e Villa Piediprato hanno rappresentato per me una ricca esperienza che ha riconosciuto e riconquistato il senso della decorazione al di là del tempo e dello spazio, quasi come concetto metafisico.


Gillo Dorfles M. C. La Sua illustre attività di artista, teorico e critico d’arte Le consente di godere di un punto di vista privilegiato: da questo speciale osservatorio come considera i rapporti che l’architettura ha con l’opera d’arte? G. D. Intendere l’architettura in rapporto con l’opera d’arte può essere un non-senso: l’architettura stessa è, o forse dovrebbe essere, opera d’arte, quindi il rapporto è dell’architettura con se stessa. Se però, come opera d’arte consideriamo pittura e scultura e quindi il rapporto dell’architettura con queste arti, allora dobbiamo evidenziare la differenza tra quello che era il rapporto di ieri e quello che è il rapporto di oggi. Nell’antichità più remota l’architettura ha sempre avuto una componente che la univa alle altre arti: molto spesso l’architettura e le altre arti erano tutt’uno. Con la nostra età avviene un divorzio dovuto alla tecnologia e alla produzione in serie; quando l’architettura smette di essere “arte” e diventa qualche cosa di puramente materiale ed utilitario, allora perde quel carattere di artisticità che le era proprio. In questo caso abbiamo una dicotomia: da un lato la vera architettura, oggi come ieri, Lloyd Wright e Gehry come Vitruvio e Alberti, dall’altro un’architettura puramente funzionale e pratica, che potremmo chiamare “edilizia”, dove l’arte scompare quasi completamente. In questo secondo caso l’architettura può avere un rapporto con le altre arti, può esserci l’immissione di elementi pittorici e scultorei in quell’architettura che non è arte ma edilizia, ma non vi sarà più quella sintesi, quel sincronismo e quella sintonia tra le “arti”. M. C. Nella città l’inserimento delle opere d’arte non è sempre facile: alcune sperimentazioni hanno prodotto dissensi pubblici anche clamorosi. Nella città contemporanea qual è il ruolo del monumento? E questo è ancora interpretato dall’opera d’arte? G. D. Purtroppo oggi il problema dell’immissione di opere d’arte nella città moderna è estremamente pericoloso. Molto spesso i Comuni accettano delle donazioni di opere d’arte ma questa è una condizione che non dovrebbe mai esistere, ossia l’opera d’arte può essere richiesta, comandata e provocata da una commissione artistica, ma l’accettazione del dono deve essere sempre sottoposta ad una giuria molto severa. Nei casi migliori una vera opera d’arte viene immessa nella città: è il caso del Museo di Gehry a Bilbao dove

Jeff Koons ha realizzato di fronte all’ingresso una grossa scultura vegetale a forma di cane che dialoga con la presenza del museo. Bisognerebbe che scultori o pittori venissero sempre chiamati appositamente dal progettista per integrare l’architettura già in partenza, solo allora avremmo effettivamente una vera collaborazione tra le diverse arti. Esempi di questo genere ce ne sono parecchi. A proposito del santuario di Padre Pio Renzo Piano si era rivolto a Robert Rauschenberg per una decorazione ma il progetto presentato non era adatto ad un luogo religioso e quindi non è stato finora messo in opera. In compenso abbiamo una statua di uno scultore che non nomino, e che io non apprezzo, che rovina la bellezza architettonica del santuario: questo per dire che è molto difficile che un’opera d’arte possa migliorare un’architettura se non è scelta dall’architetto o da una commissione apposita molto esperta. M. C. Nella definizione del progetto architettonico e urbano il rapporto con l’arte presuppone ancora la figura di un architetto “umanista” che sappia dialogare con tutte le discipline, oppure in questo rapporto oggi prevale l’occasione, con un atteggiamento induttivo e sperimentale? G. D. Domandarsi se si può ancora parlare di un architetto umanista che disciplini le varie figure porta a considerare caso per caso. Prendiamo un positivo esempio italiano: la città di Salerno, rivolgendosi a Oriol Bohigas, oltre al restauro del centro antico ha dato avvio ad un’operazione dove si perfeziona la zona del porto attraverso la distruzione di alcune opere inopportune e la costruzione di un grande edificio di David Chipperfield per il nuovo palazzo della giustizia. Ecco un esempio dove per la guida di un architetto illuminato abbiamo un miglioramento urbanistico della città e anche l’immissione di monumenti quale l’opera in ceramica di Ugo Marano in mezzo alla città. Anche a Barcellona lo stesso Bohigas ha dato prova di riuscire a migliorarne in maniera esemplare il quadro urbanistico, risollevando la situazione di alcuni quartieri come il Barrio Chino e trasformando completamente il degradato fronte-mare in un lungomare abitabile e percorribile e promuovendo la costruzione di nuove forme architettoniche importanti come il museo di Richard Mayer, o come la prosecuzione della Sagrada Familia.

FORUM GLI INTERVENTI

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Tre domande a…


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Bergamo a cura di Antonio Cortinovis e Gabrio Rossi

L’arte e la città: riflessioni a cielo aperto Guardando e vivendo le nostre città contemporanee, ci accorgiamo che fisicamente e psicologicamente ci manca qualcosa. Siamo spaesati, senza riferimenti visivi, la qualità del dettaglio che contribuisce in maniera sostanziale a formare l’immagine urbana è appannata, dispersa dalle ampie superfici vetrate, come nelle anonime ortogonalità cementizie credute erroneamente “funzionaliste”. Ma cos’è quella forca magnetica, quel desiderio che ci attrae verso le città storiche, verso i centri urbani di antica memoria, cioè verso il nostro passato? Di questo si è ormai dibattuto da tempo e ancora si dibatte. La nostra fortunata genesi culturale ci riporta al Rinascimento che per Jacob Burckhardt era “la Madre e la Patria dell’uomo moderno” sia nel pensiero che nella sensibilità della costruzione delle forme. È la sua una visione ampia, profetica che stabilisce il necessario rapporto tra le arti, la loro integrazione, come confluenza di interessi nel processo progettuale che considera lo spazio fisico come un grande scenario che esprime la capacità dell’uomo a rappresentarsi. Come spiegare se non in questi termini il rapporto ineluttabile, fluido, ininterrotto tra architettura, scultura e pittura nella città idealmente pensata e vissuta nel secolo XV? Solo così può realizzarsi un progetto come quello della Roma Sistina che assunse il nuovo volto negli anni del pontificato di Sisto V (1585-90) considerata tra lo stupore dell’Europa intera la prima città moderna che influì nelle scelte successive di centri come Parigi, Londra, Vienna, Berlino, quella fase che Giulio Carlo Argan definì “l’Europa delle capitali”. Cinque anni bastarono a Domenico Fontana e alla volontà papalina per dettare le regole della nuova “Urbis ornamento Civium commoditati” (motto non a caso usato da Marcello Piacentini per il nuovo Centro di Bergamo) a cavallo tra la fine della rinascenza e la nascita del barocco. Non senza fatica ideologica ho già sostenuto come in epoca contemporanea dobbiamo arrivare agli anni Trenta del Novecento per ritrovare in modo articolato il vero dibattito sull’integrazione tra le arti coinvolgendo lo stesso progetto di città. La cosa che più stupisce è che tutto questo sia stato affrontato all’interno di due poli culturali apparentemente contrapposti, come “classicismo” e “funzionalismo”. La mostra realizzata nel 2003 dall’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bergamo L’immagine della città, il Novecento architettonico a Bergamo ha ridimensionato la credenza che assegnava ai Razionalisti il quasi maniacale rifiuto verso la decorazione. In effetti le cose erano più complesse come ricordò Alberto Sartoris sostenuto dagli amici Terragni e Le Corbusier. Il vero razionalismo al quale i veri razionalisti

guardavano era quello non a caso del tempio greco dove il capitello veniva considerato addirittura proseguo della stessa architettura, così anche per l’architettura romanica. Veniva invece rifiutato l’elemento decorativo fine a se stesso, debordante, inutile che rendeva una facciata volgare, ma non la texturizzazione cromatica delle superfici, gli spazi tra edifici intercalati da sculture o da colti richiami figurativi, da giardini o da piazze “metafisiche”. Si rinnovavano magari i tradizionali temi dei generi artistici precedenti, ma sostanzialmente rimaneva ben salda l’intenzione di collaborazione tra architetti, scultori e pittori. I primi, da Brunelleschi in poi, prediligevano quasi tutti i lavori ornamentali, mentre gli scultori considerarono per secoli il decorativo ed il figurativo sullo stesso piano. Ai pittori veniva affidata infine la decorazione degli esterni e degli spazi interni, dalle piccole alle grandi fabbriche. La città in questo civile fervore diventava di fatto una rappresentazione diffusa di se stessa, museo aperto, nostra peculiarità culturale che ci distingueva dalle tristi ed inquietanti città gotiche del nord Europa. Riguardo l’aspetto finale della decorazione architettonica certamente il rischio rimane, quello che le vecchie maestranze chiamavano “della cornice”, sostanzialmente una ricerca troppo edonistica dell’immagine progettuale, un suo ripiegarsi su se stessa nell’ambiguità estetica e non funzionale al suo specifico ruolo. Ma una possibile decorazione d’arte come completamento previsto dall’architetto come partner architettonico, la ritroviamo per esempio nell’architettura genovese e in quella bavarese, sostanzialmente molto povere, dove l’architetto ha previsto riccioli, partiture geometriche, finestre che addirittura non ci sono perché – se è vero che questo è un gioco d’inganni – è anche vero che si stabiliscono proporzioni e ritmi che diventano essenziali contributi di vera architettura. Nella città tra gli anni Trenta e Quaranta, del secolo appena trascorso, si ritorna al progetto globale di spazio civico. Basterebbe aderire al percorso sul territorio milanese proposto dalla recente mostra Milano gli anni Trenta organizzata dalla Provincia per ritrovare parte di quel grande programma sull’integrazione tra le arti che doveva culminare a Roma con l’E42, l’Esposizione universale che doveva celebrare il primato del genio italico nel mondo. Il ritorno all’arte come norma per la ricomposizione dello spazio civico rinsaldava anche la frattura romantica del ruolo subalterno dell’artigianato nei confronti dell’artista. Con la drammatica cesura della guerra tutto questo si è poi vanificato. Siamo così arrivati alle “performance” degli architetti-designer e/o, peggio ancora, dei designer-architetti. Marco Zanuso, figura singolare nell’interpretare un particolare ruolo professionale in questi ultimi quaranta anni, definiva l’architettura “come realtà ineffabile che deve essere vissuta, abitata, percorsa, vista nelle tre dimensioni” ma la riteneva anche una grande occasione colta, nella quale si possono inserire, ma non necessariamente, delle simbologie dettate dai tempi, dove lo spazio è di natura


didattica, luogo di apprendimento e di crescita collettiva. La presenza di un pittore come Arduino Cantafora tra le testimonianze che ebbi modo di riportare nell’ambito di questo dibattito, dovrebbe fornire ulteriori motivi di riflessione circa il rapporto “artistico” con l’architettura ricercato dai grandi maestri del Novecento. Un ritorno perciò di interesse verso “l’arte della città” con una nuova politica illuminata, finalmente disinteressata, favorirebbe nei suoi ambigui programmi di “arredo urbano”, la riqualificazione estetica degli spazi civici. Architetti, pittori, scultori, artigiani ritroverebbero così una nuova centralità nella riprogettazione della città futura, armonizzandosi al grande ineluttabile progresso tecnologico. Non era forse questo il sogno degli umanisti? Eugenio Guglielmi

Brescia a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli

“Brescia, segnali d’arte”: luce e colore Tra i lampioni di acciaio dal sostegno verde o grigio-verde, che a Brescia come in ogni città, si allineano numerosi e con varie fogge lungo le strade, nel 1999, in tre luoghi distinti, alcuni di loro hanno cambiato look. Via Labirinto: nell’aiuola spartitraffico, sono stati colorati di bianco gli steli, sino all’ultimo segmento in alto, il quale, assieme ai due bracci che si protendono verso le carreggiate, sono stati dipinti di arancione. Via San Zeno: righe di diversa altezza, gialle e nere, si alternano sugli steli che terminano nei due bracci l’uno giallo, l’altro nero. Cavalcavia Kennedy: bianchi fino alla quota della sommità del cavalcavia, cosicché il fusto di quelli posti alle due estremità risulta essere quasi tutto bianco, mentre quelli alla sommità sono completamente colorati; si alternano poi, al di sopra di questa quota, uno rosa e uno arancio, mentre le carenature delle lampade sono rispettivamente lilla e gialle; in questo caso si alterna anche il colore della luce emessa: bianca ed arancio. Si è trattato di una proposta nata all’interno del programma comunale Brescia, segnali d’arte nell’ambito di un più vasto piano di ammodernamento dell’illuminazione pubblica cittadina, che ha previsto altresì anche interventi di tipo tradizionale come l’illuminazione di palazzi storici, monumenti e percorsi pedonali. Il critico Alberto Veca ha coordinato gli interventi dei tre artisti: Attilio Marcolli per via Labirinto, Grazia Varisco per via San Zeno, e Jorrit Tornquist per il cavalcavia Kennedy; in questo esperimento, unico in Italia, e che tale è rimasto anche in città, vuoi perché l’estensione dei nuovi

Alcuni elementi di arredo lungo il percorso della LAM in via XX Settembre a Brescia.

colori dei pali farebbe venir meno la caratteristica di “segnale d’arte” strettamente connesso ad una zona ben delimitata, vuoi perché la manutenzione risulterebbe economicamente troppo onerosa. Spiega Tornquist: “L’idea dominante è proprio questa: rallegrare l’arredo urbano e renderlo leggero, ravvivando una strada importante senza intristire ed appesantire l’esistente. Mi auguro che l’intervento corrisponda alle attese dei bresciani i quali mi hanno offerto l’occasione di dimostrare quanto valga un uso razionale del colore nella comunicazione, e ottenga lo stesso consenso della “torre” del termoutilizzatore. In quest’ultimo caso l’intervento si era concentrato sul rivestimento in pannelli, in tonalità degradanti di grigioazzurro, della ciminiera della grande struttura per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani realizzato dalla Azienda Municipalizzata a lato della tangenziale sud, intervento generalmente apprezzato e che pare abbia trasformato il termoutilizzatore dell’ASM nella più alta…scultura europea”. Continua tuttavia: “Finora, per la maggior parte dei Comuni e delle aziende, l’uso corretto del colore per le grandi strutture è un optional, un qualcosa in più, in qualche caso addirittura superfluo: pochi prestano attenzione a questo aspetto, non rendendosi conto che l’immagine è la prima comunicazione che la struttura fornisce a chi la utilizza. Provate a percorrere l’autostrada BresciaMilano: questo tragitto potrebbe offrire di sé uno spettacolo meraviglioso, se solo si studiassero i colori giusti per gli stabilimenti che sorgono ai lati del percorso”. Il colore quindi come un vestito che trasforma e rende diversamente espressivi edifici e luoghi accanto alla collaborazione tra l’artista e Brescia è proseguita anche negli anni successivi: nel gennaio 2001, nell’ambito dei lavori per la messa in sicurezza della galleria Tito Speri, (collegamento sotto il colle Cidneo che pone in relazione il centro storico e la zona nord della città) ne sono stati rivestiti i fianchi con pannelli di diversi colori, dal rosa all’arancione, dall’azzurro al verde, donandole così un aspetto più luminoso.

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Sempre pannelli, similmente colorati, ritmano la superficie dell’imponente barriera fonoassorbente, recentemente realizzata all’interno di un più complesso sistema di riqualificazione ambientale: l’area industriale dell’Alfa Acciai. Quest’importante realtà produttiva bresciana in fatto di acciaio, si è ritrovata ad essere a ridosso del quartiere residenziale di S. Polo e da questo divisa solamente da una strada di grande scorrimento. La barriera, negli anni a venire, verrà poi coperta e mascherata da una fitta fascia di alberi già messi a dimora che si caratterizzeranno per una differente coloritura del fogliame e delle fioriture. Concludiamo questa nostra piccola cronaca con un argomento di cui ci eravamo occupati nel marzo 2002, a proposito delle infrastrutture LAM (Linee Alta Mobilità), allora nella fase di progetto esecutivo e che ora vedono le prime realizzazioni in alcuni punti della città. Abbiamo quindi fatto conoscenza concreta degli oggetti di arredo urbano che caratterizzano il sistema e che si ripetono nei vari contesti: la pensilina, la palina, i lampioni, i paracarri, i marciapiedi gialli; nel “LAM Preliminary concept project” l’arch. Italo Rota, progettista, li descrive: “oggetti come personaggi urbani che vivono la città di giorno e di notte diffondendo colore e luce, ognuno con la propria personalità, ma tutti rispondenti ad un’attitudine che li vede gentili protagonisti del paesaggio urbano; pensati per essere inseriti in contesti differenti si declinano e completano per assolvere dalla più semplice funzione di segnale a quella più articolata per ingannare il tempo di attesa del LAM, tutti comunque presenti ma non invadenti ed aggressivi, nati per instaurare con l’utente e la città un rapporto intrigante di familiarità e convivenza.” Certo col tempo riusciremo ad instaurare questo rapporto di familiarità e convivenza, ma, al momento, si sono schierati con una tale densità da suscitare un certo turbamento; sembra poi che questi segni non siano sufficienti a compensare una carenza di disegno e a risolvere situazioni pratiche di alcuni nodi cruciali. P. T.

Como a cura di Roberta Fasola

Arte e città: dare un senso alla molteciplità di parti singole Credo che si debba innanzitutto partire da una riflessione generale di fondo: l’arte deve essere vissuta sia come pensiero estetico che come elemento costruttivo, anche se la sinergia che vuole e deve intrattenere con l’architettura ha avuto intensità differenti nel corso del tempo e dei luoghi. Detto ciò bisogna ricordare che Como è una città di pro-

Half Square / Half Crazy, Dan Graham, ex Casa del Fascio, piazza del Popolo, 2004 (foto Pino Musi).

vincia in cui l’integrazione delle arti è sempre stata legata al pubblico – prevalentemente con l’arte sacra – e solamente negli anni ’30 col Terragni, incaricato di progettare la Casa del Fascio, vengono interpellati anche degli artisti (prima Sironi poi Radice, più vicino a lui come pensiero): si avvia in tal modo un percorso interattivo, fatto di reciproco scambio tra l’architetto e l’artista; una ricca documentazione testimonia il loro lavoro parallelo ed unito di reciproca collaborazione nella correzione dei bozzetti di progetto. Purtroppo questo discorso si è presto interrotto e, a livello pubblico, non ci sono più stati esempi di sinergia progettuale tra architettura ed arte sino agli anni ’50: entrambe le discipline hanno proseguito il loro cammino seguendo velocità diverse, congelando la “rivoluzione progettuale” messa in atto dal Terragni. Si è così venuta a creare una sorta di profonda lacerazione tra chi costruisce la città e chi la immagina su tela. Purtroppo i casi di vera sovrapposizione tra queste due discipline sono stati molto rari e troppo spesso deboli. Solamente alcune singole figure sono riuscite ad andare oltre, tentando di comprendere i sottili e reali funzionamenti della città e dei suoi comportamenti di vita, facendo in modo che l’architettura diventasse gesto creativo: la produzione di stimoli visivi e di percezioni corporee ne fa materia sensoriale. Tra questi è sicuramente da ricordare Ico Parisi: con lui c’è una nuova spinta a superare l’impasse di questo dialogo interrotto, anche se non bisogna scordare che si sta comunque parlando di una figura ibrida, che esula da quello che si può considerare essere l’architetto nel senso tradizionale del termine: laureato in architettura fuori Italia, è stato anche fotografo, pittore, ceramista e decoratore di vetri. Grazie alla sua amicizia con artisti del calibro di Melotti, Fontana e Burri, ha sempre pensato all’architettura come


R. F. con Roberta Lietti esperta d’arte moderna e contemporanea

Cremona

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a cura di Massimo Masotti

Scultura e città: un’esperienza da ripetere Se è vero che si sta sempre di più riaffermando un’istanza di interazione tra arte e città, il progetto Scultura & Città, coordinato dagli architetti Francesco Pagliari e Pier Vincenzo Rinaldi, s’inserisce perfettamente in questa corrente di pensiero. Il progetto, promosso da Attraversarte, circuito di espressività giovanile che fa capo al Comune di Cremona, è stato appoggiato con entusiasmo dall’Ordine degli Architetti di Cremona, che ha attivamente partecipato al progetto soprattutto nella parte ideativa e logistica iniziale, oltre che sotto il profilo economico, assegnando simbolici rimborsi spesa ai giovani architetti che hanno partecipato al progetto. In questo laboratorio di architettura e scultura l’obiettivo principale è stato quello di “rendere l’arte partecipe della città e rendere nel contempo gli spazi pubblici più chiari, gradevoli, forse anche belli, colloquiali, frequentabili e propri di ciascun cittadino che può avvicinarsi all’arte nella forma dell’espressività giovanile e ad un luogo che la accoglie” (F. Pagliari, Scultura & Citta – attraverso la forma, Convegno Edizioni, Cremona, 2004; fotografie di Elena Baila e Annamaria Lupi). Durante l’happening Opera in corso dell’aprile 2003, giovani

Il prototipo di una scultura collocata nel Parco al Po di Cremona.

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completata dall’intervento artistico (ne sono un esempio la villa Bini a Monte Olimpino o quella di Fino Mornasco, strutturata ed arricchita dalle colonne di Francesco Somaini). Altri anni di fermo: non si ricordano a livello locale grandi proposte di interazione tra arte ed architettura e lo stesso famoso contributo del 2% dell’arte che si dovrebbe riscontrare negli edifici a carattere pubblico, troppo spesso è confinato alla sola introduzione di una struttura accessoria. È solamente nel gennaio del 2000 che un altro artista ha la possibilità, in occasione dell’intervento celebrativo legato al bicentenario della scoperta della pila, di proseguire questo tipo di discorso: Merz viene incaricato di progettare un intervento artistico su un edificio. Purtroppo per Porta Torre non accade ciò che si è invece verificato alla Mole Antonelliana di Torino o al Foro di Traiano a Roma, vale a dire che l’allestimento da temporaneo non diviene permanente. Nel 2004 l’installazione temporanea dell’artista americano Dan Graham in omaggio a Giuseppe Terragni sul sagrato dell’ex Casa del Fascio è un altro felice esempio di dialogo tra arte e città. Altra interessante realtà è stata quella offerta dalla recente Biennale di Architettura, dove due giovani comaschi, l’architetto Paolo Brambilla e l’artista Andrea Sala, sono stati invitati nella sezione “notizie dall’interno”. Il primo ha saputo reinterpretare una chiesa sconsacrata per renderla contenitore ideale per l’arte, capace di valorizzare con la sua genuinità storica e semplicità stilistica qualsiasi intervento artistico. Il secondo, invece, con la sua rivisitazione scultorea di un allestimento di Castiglioni, piuttosto che della Ville Savoye di Le Corbusier, affronta in maniera differente il discorso alquanto sottile sul binomio artearchitettura, attingendo da quest’ultima per fare arte. I comaschi alla Biennale sono testimonianza di questo vicendevole scambio che si sta rafforzando tra il campo delle arti e quello dell’architettura. Attualmente c’è, da parte degli architetti, una maggiore attenzione verso ciò che non ha mai avuto una funzione costruttiva ma solo puramente evocativa: dall’arte vengono suggerite emozioni e strade nuove praticabili. Ciò che attualmente necessita a Como è forse una maggiore opportunità di insistere non solo con le iniziative divulgative ma anche con “azioni artistiche” (anche se minute) sul tessuto urbano, che siano in grado di accrescere il valore culturale e di migliorare la qualità della vita. Un po’ come è stato fatto per Torino dove in occasione del Natale si sono incaricati una serie di artisti di individuare un percorso d’arte fatto di luci all’interno della città o, anche se si tratta di una scala di riferimento decisamente differente, a New York, dove il grande nove rosso appoggiato da Chermayeff nella 57° strada di Manhattan, da numero civico si fa pretesto per diventare oggetto d’arte quale segno nel disordine metropolitano.


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scultori e architetti, professionisti e laureandi, hanno interagito, si sono scambiati opinioni, suggerimenti tecnici e idee al fine di ri-qualificare alcune aree di Cremona, in particolare quelle a verde. L’attenzione è stata focalizzata su cinque zone: il parco al Po; il parco del Morbasco di via Trebbia; i giardini di Largo Ragazzi del ’99; il passaggio pedonale e limitrofo giardino di via Cavo Coperto (tra via Giuseppina e via Buoso da Dovara); il futuro passaggio pubblico che collegherà via Rialto con via Ghisi. Gli architetti e gli scultori si sono avvalsi di un metodo lavorativo estremamente valido e costruttivo: quello dell’autocritica e del confronto. All’analisi preliminare delle aree eseguita dagli architetti con rilievi fotografici, schizzi e disegni, è seguita poi la fase di realizzazione concreta delle opere, avvenuta appunto durante l’happening. In quel contesto, infatti, sono stati realizzati i modelli in scala reale delle sculture, utilizzando un materiale “provvisorio” ma altamente plasmabile (e soprattutto trasportabile) come il polistirolo. Le sculture, una volta concluse, sono state poi trasportate nei luoghi identificati. Il rapporto diretto tra scultura e luogo (si tenga conto anche dell’estrema somiglianza, da lontano, tra polistirolo espanso e marmo, materiale definitivo previsto per le sculture) ha permesso di lavorare in costante riscontro con gli elementi fondamentali del progetto, come l’integrazione con il luogo e l’impatto estetico della scultura. L’originalità di questo metodo di lavoro ha permesso di verificare più soluzioni, di analizzare l’effettiva rispondenza delle ipotesi di progetto, di selezionare le proposte e di confrontarle tra loro. Al termine del lavoro alcune soluzioni si sono rivelate davvero felici, altre forse un po’ meno. In ogni caso non ci si può dimenticare di opere come quella di Francesco Panceri, una sorta di grande finestra sul paesaggio dai lati irregolari e sinuosi, che propone un divertente gioco tra materia e immaginazione, senza escludere una forte valenza ludica dell’opera. Se si vuol tentare di dare una valenza all’iniziativa, si può affermare che gli esperimenti di Genova 2004, con le installazioni legate alla mostra Arti & Architettura (la cui organizzazione e messa in opera nei diversi spazi della città è stata curata proprio dall’architetto cremonese Pier Vincenzo Rinaldi, coautore della manifestazione Scultura & Città) non sono certo il parametro di riferimento più adatto. Diverse le finalità: per Cremona la volontà di inserire nel luogo un’opera d’arte per dare qualità al luogo stesso, a Genova la volontà di celebrare l’arte e di provocare. Lontani quindi da tentazioni di paragonare l’iniziativa con altre manifestazioni più ambiziose, possiamo mettere in luce come il progetto Scultura & Città abbia avuto il merito di evidenziare il percorso che porta a far interagire l’arte con lo spazio pubblico. Il percorso non è semplice, certo, ma necessario se si vuole che siano espressi in forma autentica e convincente tutti i valori di cui è portatrice l’opera d’arte.

L’arte contemporanea ha oramai perso i caratteri di una sua chiara e univoca identificazione estetica, collocandosi in un ruolo più sociale, nel quale predominano il rapporti tra materia, forma e valore simbolico, in costante dialogo con il contesto. Vive in noi la speranza che iniziative di questo genere portino a riconsiderare il rapporto tra arte e città, soprattutto alla luce delle ultime scelte fatte a Cremona in tale direzione, come ad esempio la collocazione della statua di Stradivari nell’omonima piazza, scelta discutibile non certo per il valore dell’opera d’arte in sé, ma per la scelta di inserire un’opera figurativa tradizionale in una piazza dal disegno urbano e dalle caratteristiche architettoniche moderne. I giovani architetti che hanno preso parte all’iniziativa Scultura & Città, molti dei quali all’epoca non ancora laureati, sono stati: Elena Baila, Silvia Catelli, Stefano Ferla, Cristian Greppi, Annamaria Lupi, Benedetta Mori e Andrea Patto. M. M.

Lecco a cura di M. Elisabetta Ripamonti

L’Arte a Lecco Lecco ha tre musei cittadini: Villa Manzoni, Torre Viscontea e Palazzo Belgiojoso (Museo Archeologico e di Storia Naturale). La villa del celebre scrittore fu trasformata in museo Manzoniano e Galleria d’arte per ospitare le collezioni artistiche del patrimonio comunale. Pur conservando e documentando le caratteristiche peculiari del territorio lecchese, la villa è un raro esempio di perfetta sinergia tra museo territoriale, custode della storia passata, ed arte contemporanea. La Torre Viscontea è uno spazio espositivo per mostre di autori emergenti. Fervida è l’attività organizzativa, molteplici sono state le iniziative espositive passate ed altrettanto ricca risulta la programmazione futura. La dott. Barbara Cattaneo, Conservatore dei Musei Civici di Lecco, che ringrazio vivamente per la collaborazione, cita alcune iniziative: “Ricordo la mostra di Vitali, quella di Stefanoni, il Papetti e due grandi eventi: Ennio Morlotti. Dal naturalismo lombardo all’informale ed Alfredo Chiappori con Sacro e profano”. Inoltre, ci spiega come l’impegno istituzionale di legare arte e città si concretizzi con il continuo intervento finanziario del Comune per promuovere l’arte sul nostro territorio. Lecco, nella figura del Sindaco, partecipa attivamente alla scelta degli artisti che prenderanno parte alle mostre nei musei cittadini. Un esempio d’iniziativa che vede interazione tra città e arte è un accordo di pro-


M. E. R.

Edificare con Arte Città d’arte. Così viene definita una città che riconosce l’importanza della cultura nella configurazione della sua crescita dimensionale e sociale. Le città che ancor oggi rendono l’Italia famosa a livello internazionale, devono il loro prestigio a grandi mecenati del passato, che hanno investito tempo e denaro nello sviluppo di tutte le arti. Un esempio di ciò che l’arte può significare per una città si riscontra a Bilbao, una città industriale a indirizzo metallurgico per molti versi simile a Lecco. La realizzazione di un museo di fama come il Guggenheim, inserito in un edificio fortemente caratterizzante progettato dal nome più risonante dell’architettura contemporanea, una campagna stampa strategica, ha trasformato l’anonima operosa città in un luogo di culto del pellegrinaggio internazionale. La natura di Bilbao è stata stravolta completamente da un’architettura destinata a contenere arte testimoniando come gli architetti rivestano un ruolo fondamentale dando un contributo alla promozione e alla selezione di opere d’arte che qualifichino le loro architetture oltre che il contesto urbanistico. A Lecco Renzo Piano sceglie di collocare sul Centro Commerciale Le Meridiane da lui progettato, le vele rotanti dello scultore giapponese Susumu Shingu, che svettano sulle torri dell’edificio connotandolo e configurandosi come un suggestivo segnavento. Un esempio storico a Lecco di sinergia tra arte e architettura è la Chiesa dell’Airoldi e Muzzi, vero gioiello del razionalismo lombardo progettato da Mario Cereghini nel

1939, al cui interno la processione del Corpus Domini è stata affrescata da un giovane Morlotti. Per la sua valenza commemorativa del periodo, l’edificio religioso è stato scelto dall’Ordine degli Architetti di Lecco, come teatro della recente mostra sul Novecento architettonico a Bergamo. Interventi importanti a scala urbana sono conseguenti alla visione lungimirante di persone dotate dello spessore culturale necessario per rendere i grandi eventi possibili. È fondamentale che il ruolo pubblico sia assolto da persone in grado di gestire e promuovere il patrimonio culturale del proprio contesto, perché l’arte è un patrimonio la cui comprensione implica non solo sensibilità ma delle conoscenze approfondite non improvvisabili. A Lecco, nel 1991, esordisce l’iniziativa Città di Lecco per l’arte: alcuni esponenti della realtà produttiva locale accolgono l’appello dell’artista Tino Stefanoni, in collaborazione con la direzione dei Musei Civici, e contribuiscono offrendo una cifra simbolica agli artisti che cedono le loro opere alla collezione di Villa Manzoni. L’iniziativa inaugura una vincente nuova formula a tre: imprenditori privati, pubblica istituzione museale ed artisti, in grado di offrire alla città di Lecco una collezione d’arte in continuo crescendo. La cultura di una città si riconosce nel suo profilo, nella coerenza architettonica, nell’arredo urbano, e l’arte ne rappresenta un aspetto fondamentale, manifestandosi in diverse forme: nell’acquisizione di opere d’arte di fruizione pubblica, nell’organizzazione di mostre che illustrino l’avanguardia artistica contemporanea, nella promozione degli artisti che operano nel proprio territorio. Non si può inoltre scindere l’arte dall’architettura, perché sono sempre state complementari e gli architetti assolvono un ruolo importante, perché da essi deriva l’impronta della città. Tiziana Lorenzelli

Vele rotanti di Susumu Shingu, Centro Commerciale Le Meridiane, Lecco.

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gramma, discusso al tavolo territoriale regionale, con il quale parte dell’area ex-Faini verrà adibita a nuovo spazio espositivo della città destinato ad accogliere importanti eventi. Villa Manzoni e la Torre Viscontea rappresentano splendidi connubi tra architettura del passato e arte contemporanea. Ci interroghiamo sull’attuale ruolo di un museo d’arte in un momento di carenza di una teoria estetica predominante: “I musei d’arte – spiega Barbara Cattaneo – rappresentano l’ultimo baluardo contro il nulla dominante, contro il tecnologismo esasperato, contro la negazione della memoria stessa della creatività dell’uomo. In tale direzione i musei d’arte contemporanea, tentano di documentare, decodificare, ordinare, rendere intelligibili le miriadi di correnti, che si alternano velocemente, alla ricerca di nuovi moduli compositivi e cromatici. Le mostre temporanee a Villa Manzoni e recentemente anche alla Torre Viscontea, offrono importanti occasioni per conoscere artisti che hanno operato ed operano oggi nella nostra provincia da cui ha avuto inizio un cammino artistico internazionale”.


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Lodi a cura di Antonino Negrini

Lo spazio in continua mutazione Arte e città: un binomio difficile da indagare nei suoi diversi aspetti. Certo è che, mentre è scontato parlare d’arte astraendola dal contesto urbano, difficile risulterebbe parlar di città senza riferimento alcuno all’espressione artistica. Addirittura, sino ad una certa data, arte architettura e città potevano apparire fattori inscindibili. Ovvia la conseguenza per l’espressione del concetto urbano. Sembra di ribadire un’ovvietà affermando che, anche in questo caso, il ruolo che nell’accezione comune viene assegnato all’espressione artistica in un contesto urbano è prevalentemente ornamentale e celebrativo. Gli episodi più diffusi e percepiti sono appunto i monumenti celebrativi: equestri e non, figurativi o meno, al padre della patria, allo scienziato, al poeta, al campione sportivo, agli invalidi, all’artigiano e al professionista, al carabiniere, ai caduti della prima guerra, della seconda guerra e della Resistenza. Si tratta di opere puntuali, di foggia e dimensioni diverse, diverse per i materiali impiegati in relazione alle diverse forme dell’espressione artistica, generalmente collocati in un sito per il valore intrinseco che essi esprimono, indipendentemente dal conte-

Lodi, corso Umberto: opera luminosa di Giulio Paolini.

sto di collocazione. Oltre ad un significato ornamentale, essi assumono spesso un ruolo statico rispetto al contorno: collocati lì o altrove non avrebbe mutato di significato né per se stessi né per i luoghi. Se dovessimo redigere un catalogo di queste opere, pure auspicabile e utile per la storia urbana, anche nella città di Lodi, ora capoluogo di Provincia, prima solo provincia, potremmo ritrovare quasi emblematicamente tutte le categorie cui prima si è fatto riferimento. Ritroviamo infatti il monumento al carabiniere, quello agli invalidi sul lavoro, il monumento a Paolo Gorini (scienziato), quello a Giuseppe Mazzini e quello a Eugenio Castellotti (campione di formula uno), quello ai barcaioli e lavandaie e naturalmente e doverosamente il monumento alle medaglie d’oro, ai caduti della prima guerra mondiale, della seconda guerra mondiale e della Resistenza. Se non fosse per la memoria collettiva di alcune generazioni di cittadini, questi episodi potrebbero essere reciprocamente rilocalizzati senza che nessuno ne possa avvertire alcuna particolare mutazione. Più recentemente si è fatto strada invece un nuovo concetto del rapporto tra arte e spazio urbano, più dinamico, dove l’espressione artistica dovrebbe essere in grado di dialogare con gli spazi in cui viene collocata o si trova a performare, dove quindi assetto urbano e opera d’arte assumono simbioticamente la stessa capacità espressiva. Nella storia recente della città di Lodi ci sembrano da ricordare tre episodi di questa natura ed un quarto di sintesi generale. Il primo episodio riguarda la collocazione nel parco dell’isola Carolina, in pieno centro cittadino, di una grande scultura in acciaio di Carlo Ramous. La collocazione di quest’opera fece sì che quel parco, da parco prettamente naturale, divenisse un ambiente urbano con una forte immagine di riferimento. L’opera d’arte si era talmente integrata nell’ambiente naturale da costituirne una parte essenziale in grado di comunicare un’immagine nuova di uno spazio urbano. Il secondo episodio riguarda l’installazione di un opera luminosa di Giulio Paolini, maestro dell’arte concettuale tra i più noti all’estero, anche questa nel pieno centro cittadino. “Dalle tele alle stelle” è il tema che Paolini aveva dichiarato di svolgere con un’installazione lunga circa 700 mt. che dalla Piazza del Castello si sviluppava lungo l’asse principale di attraversamento della città sino al ponte sul fiume Adda. Questo intervento occupava totalmente il campo visivo di chi si trovava a percorrere quelle vie tanto da coincidere con la percezione stessa che si aveva dello spazio attraversato. Il terzo episodio riguarda la posa di una grande anfora vegetale realizzata da Giuliano Mauri (sua l’opera all’esterno del Palazzo della Triennale in occasione della Mostra Le città invisibili) sul luogo di alcuni ritrovamenti delle strutture dell’antico Castello lasciati in vista su un lato della piazza omonima. Questo strano rapporto tra il minerale e il vegetale riconfigurava la percezione di un sito “immobile” e poco vissuto assegnandogli al contrario una sorta di efficace contemporaneità.


Luigi Trabattoni dirigente del Settore Gestione Territorio del Comune di Lodi

Mantova a cura di Sergio Cavalieri

Mantova città d’arte Arte e architettura sono state per lungo tempo, nell’opera complessa della costruzione della città, discipline indivise. Mantova, intesa come città d’arte, ne è una testimonianza tangibile. Sono i luoghi stessi della città, le proporzioni delle sue piazze, le facciate e le forme architettoniche dei palazzi del centro storico a farle meritare il titolo di città d’arte, a testimonianza di un passato illustre. In questo caso non è quindi possibile affermare che pittura, scultura e architettura partecipino a una stessa idea di spazio a partire da angolazioni disciplinari diverse. Questo punto di vista, infatti, non tiene conto di tutte le attività di confine, delle ibridazioni che oggi, come nel passato, hanno reso il tema della specificità disciplinare particolarmente complesso; infatti, qui come altrove, le architetture che ci ha tramandato la storia non possono essere lette se non come un unicum all’interno del quale le differenti discipline concorrono alla formazione di un organismo complesso. E la città offre, da questo punto di vista, esempi che possono essere considerati emblematici per tutta la storia dell’architettura: dai capolavori di Leon Battista Alberti, a quelli di Andrea Mantegna, a quelli di Giulio Romano, solo per ricordare i più conosciuti. Purtroppo, osservando le espansioni urbane costruite nell’ultimo mezzo secolo, si può solo genericamente parlare di una demarcazione data dalla relazione fra spazio urbano e no, fra città e periferia, fra periferia e campagna (o quello che rimane oggi di essa). Spesso è solamente la riproposizione di un rapporto mai risolto fra storia e contemporaneità. Cucire queste separazioni, a volte pro-

fonde, che il tempo ha definito e stratificato è un’operazione difficile ed ambiziosa se si affida questo compito solo all’opera d’arte o a quella architettonica. La strategia di sviluppo e recupero urbano che la città sta perseguendo, del resto, pare non interrogarsi rispetto a queste questioni, puntando piuttosto alla commercializzazione del patrimonio artistico ereditato dal passato. Quella che si sta vivendo è una stagione di rinnovato entusiasmo culturale e di sensibilità nei confronti delle forme artistiche, in cui la promozione del patrimonio storico è demandata, oltre che a mostre d’arte di grande richiamo, anche a formule innovative come quella dei festival. Il pregio maggiore di queste manifestazioni, oltre che l’indubbio richiamo turistico, è quello di utilizzare come sede delle manifestazioni luoghi spesso misconosciuti da larga parte della cittadinanza. Questa politica culturale ha fatto sì che, di fatto, non esista angolo del centro che non possa essere rivitalizzato, o occupato, per la durata degli eventi. Restano, però, del tutto estranei a questi avvenimenti grandi porzioni di città, il limite del centro storico, infatti, sembra risiedere al confine delle espansioni dell’urbano del primo novecento. Si innesca quindi un circolo vizioso, tale per cui quello che comunemente viene considerato il pregio artistico dei luoghi ne costituisce un valore aggiunto. Va però contemporaneamente rilevato anche un atteggiamento complementare a quello che si è appena esposto: se da una parte si promuove la rivitalizzazione del centro attraverso la valorizzazione dei suoi pregi artistici, dall’altra si persevera nella costruzione di espansioni residenziali sempre più anonime, trasferendo gran parte delle attività terziarie e commerciali che popolavano proprio il centro storico in anonimi contenitori in periferia. La città dell’arte, il centro storico della città di Mantova, a forza di perdere funzioni, e contenuti, finirà con il conservare solo la possibilità di una estatica contemplazione, diventerà museo di se stesso, a sua volta vuoto contenitore di eventi che lo occuperanno solo temporaneamente a uso e consumo di un popolo di consumatori delle bellezze architettoniche e artistiche della città. L’ipotesi, per promuovere la valorizzazione di questi nuovi spazi, potrebbe passare proprio attraverso operazioni che coniughino alla loro rilettura e riprogettazione le possibilità di inserimento dell’arte nel contesto urbano contemporaneo della città. A questo proposito occorre però avanzare alcune considerazioni. La prima riguarda la sostanziale atipicità del rapporto tra arte contemporanea e territorio di una città, dove il contesto urbanistico e ambientale è interamente dominato dalla presenza dell’arte antica che rende estremamente complesso l’inserimento di presenze artistiche contemporanee, costrette giocoforza ad un confronto impari. La seconda riguarda la natura stessa delle opere d’arte che potrebbero essere inserite. La nascita di alcune avanguardie artistiche (la land art piuttosto che l’arte concettuale, l’arte povera piuttosto che la video arte, la body art e la performance) ha favorito la reinvenzione della scrittura

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L’episodio di sintesi è il Progetto di Renzo Piano per la Bipielle City, ovvero per la nuova sede della Banca Popolare di Lodi. L’edificio sviluppa l’idea di ricostruire l’isolato urbano che si affaccia su una grande piazza coperta dove è collocata un’opera di Shingu che comunemente definiremmo “fontana”. Si tratta di uno specchio d’acqua che alimenta una struttura in acciaio costituita da una ruota di imbuti il cui moto varia al variare del carico d’acqua che viene ricevuto. Al moto è associata una sonorità che varia al variare del moto. Lo spazio è in continua mutazione e così la sua percezione. Forse da queste riflessioni sarebbe opportuno ripartire per discutere del rapporto arte e città.


Loris Cecchini, istallazione a Gallarate.

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artistica come interazione con l’ambiente, ma anche la messa in crisi del concetto di centro come luogo fisico, di emanazione e conservazione delle diverse forme d’arte. Sono esempi in cui a predominare è la forte consapevolezza dell’intorno (urbanistico, storico, sociale) abbinata a una grande sensibilità nel cogliere e inserire l’opera in situazioni talvolta degradate. Ma occorre, prima di tutto, la presa di coscienza da parte delle amministrazioni locali della necessità di rinnovate progettualità, che attraverso la costruzione di un rapporto virtuoso tra opera e contesto, contribuiscano a “dare un senso” condiviso ai luoghi della città diffusa. Cinzia Calanca

Milano a cura di Roberto Gamba

Arte e città Gli interventi qui presentati commentano lo stato della diffusione dell’arte in una metropoli come quella milanese. Essa sempre più raramente si manifesta attraverso oggetti scultorei, pittorici o comunque plastici, che si integrano e si contrappongono agli spazi urbani e all’architettura; tende a esprimersi piuttosto con forme, che perseguono dissacrazione estetica e talvolta protesta sociale, basandosi su improvvisazioni, sul coinvolgimento del pubblico, sull’uso sofisticato di particolari mezzi ed effetti tecnici. Avremmo voluto anche testimonianze rispetto a quel modo espressivo tradizionale, ma contributi sono arrivati solo da Roberto Pinto, curatore (insieme a Jean Hubert) della mostra Spazi atti – Fitting spaces; inoltre da Decio Guardigli, che ha seguito al Politecnico l’incontro Bridge the Gap?2, dedicato alle connessioni tra arte, scienza ed architettura. Della città, sono stati inquadrati gli aspetti della ricerca, dell’avanguardia e delle “performances”. R. G.

Public Art (e non più scultura pubblica) Negli ultimi anni, il concetto di scultura pubblica e di monumento ha subito una messa in discussione del proprio ruolo: da una parte la società non si riconosce più in simboli eternamente fissati, troppo propagandistici, come la tradizione monumentale richiede; dall’altra le persone fanno fatica a comprendere opere con un carattere marcatamente intellettuale. I monumenti ci sembrano retorici quindi e la scultura più “astratta”, nel migliore dei casi, una decorazione.

Però, prima di abbandonare completamente le piazze e le strade, l’arte ha cercato di giocare la carta della trasformazione e si è diffusa la parola Public Art per definire una serie di interventi artistici urbani che prendono le distanze da modi più tradizionali. Se è semplice definire cosa la Public Art non deve/può più essere, risulta più arduo delineare le funzioni di quest’arte. Questi interventi, depauperati della loro funzione di memoria collettiva, di simboli di potere e gloria, di elementi in cui riconoscersi, di valori appartenenti a quella comunità, hanno acquisito una dimensione che potremmo definire etica. Spesso si tratta di istallazioni temporanee, che si avvalgono delle caratteristiche del luogo stesso – dalle peculiarità architettoniche, alla storia del luogo – per instaurare un rapporto (almeno di complicità) con gli abitanti. Solo da tale dialogo possono scaturire forme, racconti e metafore. Allo stesso tempo, proprio in virtù di questa costante tensione ad uscire dall’autoreferenzialità, per avvicinarsi allo spettatore, la Public Art si scontra con un’idea, ancora molto diffusa, di funzione artistica che rimanda al concetto di bello e a quello di decoro urbano. In quest’ottica il cittadino si aspetta che l’arte sia una sofisticata forma di abilità artigianale, in grado di trasformare alcuni luoghi pubblici in spazi più piacevoli e per questo convincimento si troverà spiazzato, perché essa, al contrario degli obiettivi perseguiti dall’arredo urbano, non vuole facilitare o rendere confortevole il passaggio delle persone nei luoghi condivisi e neppure (almeno prioritariamente) rendere “bella” la città. Roberto Pinto

Diesel Wall Diesel, azienda vicentina di moda, lancia la 2° edizione del Diesel Wall – Premio di arte temporanea, per qualunque forma espressiva e per proporre nuovi percorsi espositivi, recuperando e attualizzando un spazio storico.


R. G.

Arte & Architettura Il 14 gennaio scorso si è svolto al Politecnico di Milano Bridge the Gap?2, un incontro promosso da Domus e dal Center for Contemporary Art di Kitakyushu (Giappone). Gli invitati, (curatori: Stefano Boeri, Akiko Myake, Hans Ulrich Olbrist; tra gli speakers: Bruno Latour, Enzo Mari, Tullio Regge, Luc Steels, Carsten Höller, Armin Link, Philippe Parreno, Maurizio Vogliazzo; ospiti Maurizio Cattelan) presentavano le proprie ricerche, allo scopo di riflettere sui possibili rapporti tra arte, scienza e architettura. Andrebbe intanto considerato come arte e architettura, un tempo indissolubili, si trovino ora a contemplare da dirimpettaie quell’entità chiamata spazio. Ma se è facile notare quanti artisti contemporanei ragionino in termini di spazio e lavorino attorno alla sua nozione, così come non mostrino imbarazzo alcuno a incidere sul suo assetto fisico o sappiano includere dispositivi tecnologici magari raffinati assai, è dell’architettura di questi ultimissimi tempi presentarsi come oggetto; più affine a una scultura astratta della scultura stessa. Quasi che, dopo tanto dibattere, tra arte e architettura si fossero invertiti i ruoli. Nella nostra città poi è proprio lo spazio pubblico a sembrare in via di estinzione; seppellito dalle auto o scomparso nell’elettrolisi metaforica di residenze e centri commerciali. Qualora esso arrivi a fregiarsi di un’opera d’arte, è più facile che questa assomigli a un impossibile risarcimento simbolico, che all’auspicabile redenzione di quanto di desolante resta sul terreno. Caso emblematico recente è pur sempre piazza Cadorna. Alla sistemazione progettata da Gae Aulenti corrispondono l’ago e filo fuori-scala di Claes Oldenburg, l’arte sarebbe la perla, l’architettura l’ostrica. Era senza dubbio più sospeso, la primavera scorsa, il monumento di Maurizio Cattelan in Piazza XXIV maggio. I tre simulacri-bambini appesi all’albero senza tanti complimenti e rimossi senza pietà hanno presto rivelato cosa succede a lasciare incustodito qualcosa di irrisolto, provocatorio, aperto – magari dolorosamente. L’arte sarebbe un allergene introdotto a bella posta nello spazio pubblico altrimenti sotto anestetico e accolto prontamente da shock anafilattico. L’opera è stata voluta dalla fondazione di una casa di moda.

Milano rifletterebbe la ferrea alleanza istituita tra artisti e stilisti, qui a dispetto del buon gusto convenzionale proprio come certe collezioni. Forse è destino dei monumenti scivolare sullo sfondo, quando non trovano fieri oppositori, come il cubo gradinato in marmo di Candoglia di Aldo Rossi in via Manzoni che, nonostante i gelsi, tanto spiacerebbe a Giorgio Armani in persona, incline a uno smantellamento, ai suoi occhi riparatore. L’arte sarebbe un corpo estraneo, da rimuovere. Infine un episodio della storia più vicina che, minore com’è, renderebbe visibile all’istante l’empatia tra gli artisti e gli architetti attivi a Milano un tempo e sembra capace di restituirne ambiente e comunione: è una tomba al Cimitero Monumentale, la scultura di Lucio Fontana, alata e acefala, come le antiche decollate, è di possente ceramica azzurrovioletta, spicca in mezzo alla popolazione dolente di statue bianche grigie di marmo, o verdi nere di bronzo, sospesa al centro dell’architettura minima di quattro pilastri e due quinte perimetrali in pietra scura, disegnata da Renzo Zavanella. Era il 1949, al confronto di quel che non avviene oggi l’opera si direbbe classica. Decio Guardigli

Pavia a cura di Vittorio Prina

Contaminazioni artistiche e trasformazioni urbane Molteplici sono le intersezioni o contaminazioni tra arte contemporanea, in tutte le sue forme, e città; cito solo qualche esempio maggiormente significativo, sia in generale che in particolare, per una realtà refrattaria al contemporaneo quale è Pavia. 1. Decisamente interessante appare una corrente pittorica di artisti italiani la cui opera, limitatamente definita nuova figurazione neo-espressionista, è dedicata alle periferie urbane e restituisce tensioni e dinamiche della città contemporanea. Tra le proposte migliori: i paesaggi periferici e le dinamiche prospettive a volo d’uccello di metropoli infinite eseguite da Jonathan Guaitamacchi; i reticoli di pennellate incrociate in bianco e nero, con un occhio a Kline, che toccano gli opposti dell’astrazione o della perfezione fotografica; le vedute di edifici-simbolo e della smisurata periferia di Milano nelle tele del comasco Velasco recentemente esposte a palazzo della Ragione; le ossessive stratificate e deserte prospettive, restituite su tela da fotografie, di interni di edifici industriali dismessi di Andrea Chiesi, recente vincitore del Premio Cairo Communication; i paesaggi urbani, restituiti con grandi pennellate e con l’uso della spatola guardando a Rauschenberg,

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Il concorso mette un muro di Milano – 360 metri quadrati – a due passi dalle colonne di San Lorenzo, a disposizione degli artisti. Il muro è un testimone storico di Milano: danneggiato durante la guerra, è ora oggetto delle attenzioni del comitato di quartiere, che vuole preservarlo. La giuria, composta da Jérôme Sans, Wilbert Das, Stefano Boeri, Patrick Tuttofuoco e Helena Kontova, selezionerà tre progetti che, da aprile a gennaio 2006, trasformeranno la parete vuota dell’edificio in via Pioppette.


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di Bernardo Siciliano; le intense cromie di stazioni e spazi urbani a ridosso di linee ferroviarie, memoria di viaggi in treno, del brindisino Massimiliano Alioto; i dipinti di infrastrutture urbane di Paolo Picozza, dinamiche rappresentazioni al limite dell’informale restituite da vaste pennellate gocciolanti di bitume e smalto; i dipinti di Günter Pusch, pittore e architetto tedesco che vive e lavora a Pavia, composizioni astratte con inserti di viste o frammenti di archeologia industriale pavese. 2. Un ulteriore aspetto è costituito da sculture o installazioni in punti nodali della città: lo scultore pavese (di adozione) Carlo Mo, recentemente scomparso, è autore a Pavia di alcune sculture astratte di grandi dimensioni in acciaio inox tra le quali ricordiamo “Alboino e Teodolinda re Longobardi”, simbolica composizione collocata al centro della rotatoria di ingresso alla città per chi proviene da Milano. Mo inoltre aveva recentemente proposto un grande portale mobile sul prospetto del Duomo. Purtroppo la maggior parte della cittadinanza ha sempre risposto con toni polemici, a volte derisori, agli interventi di arte contemporanea, gradendo peraltro bieca paccottiglia pseudofigurativa locale. Ricordo la posa in opera nel 1986, al centro della rotonda di Borgo Calvenzano, della “Triade” di Arnaldo Pomodoro, modello in poliestere della fusione in bronzo: tre grandi colonne bianche scavate e corrose che costituivano un magnifico segno urbano d’ingresso alla città per chi provenisse da nord lungo il Naviglio. Contemporaneamente l’allestimento in piazza della Vittoria di una mostra di grandi sculture in bronzo, sempre di Pomodoro, regalava uno spettacolo unico di forme primarie, scavate e segnate da ferite, con i toni caldi del bronzo che ben si sposavano con i colori della piazza e della città. Pesanti e insensate polemiche, che proseguono ancora oggi, con raccolta di firme per la rimozione dell’opera, hanno provocato, dopo la rimozione della Triade nel 2002 per restauro, la decisione da parte dell’autore amareggiato di revocare il dono alla città. 3. Attualmente le operazioni artistiche più significative coinvolgono parti urbane estese: si pensi alle luci d’artista di Torino, che hanno contaminato anche il cinema con la serie numerica di Fibonacci in neon colorati di Mario Merz lungo la Mole Antonelliana, ripresa nello stupendo film “Dopo mezzanotte” di Davide Ferrario. Nuove iniziative, innovative per modalità ed estensione, sono condotte soprattutto in spazi o edifici periferici che ospitano installazioni a scala architettonica trasformati per innescare una sorta di volano di attrazione di pubblico e proliferazione di eventi che coinvolgono un contesto maggiormente esteso; un esempio emblematico è costituito dai sette giganteschi “palazzi celesti” di Anselm Kiefer (che negli anni Ottanta dipinge temi architettonici inquietanti e drammatici) pensati appositamente per l’Hangar Bicocca di Milano. 4. Un ulteriore e più complesso esempio ha coinvolto Umberto Petrin (nasce e vive in provincia di Pavia, uno dei maggiori pianisti jazz italiani che ha suonato con Lee Konitz, Steve Lacy, Cecil Taylor, Enrico Rava, Lester

Bowie… e che collabora quale compositore ed esecutore negli spettacoli di Stefano Benni e Giuseppe Cederna e nelle proiezioni di film muti restaurati dalla Cineteca Italiana). Petrin è l’ideatore di “Beuys Voice”, video-concerto/performance con proiezioni di filmati su Joseph Beuys eseguito durante le manifestazioni dedicate all’opera del grande maestro tedesco promosse da Lucrezia De Domizio Durini, testimone e depositaria dell’intera sua opera. La serie di giornate-evento completate da opere, fotografie, conferenze, piantumazioni simboliche di querce (in ricordo dell’operazione “7000 querce a Kassel”), si svolge in luoghi particolari di città: Monte Verità ad Ascona in Svizzera; il Teatro Arsenale di Pisa; una torre cinquecentesca a Punta Campanella vicino a Capri; una galleria d’arte a Sarzana; una ex discoteca abbandonata che diventerà una galleria d’arte a Laigueglia; la casa museo di Lucrezia De Domizio a Bolognano (Pe) dove Beuys diede inizio al suo ultimo capolavoro “Difesa della Natura” (1984); in Liguria seguiranno mesi di performances ed happenings che coinvolgeranno intere città. Ci auguriamo che anche Pavia possa ospitare in futuro tali eventi. Vittorio Prina

Umberto Petrin, Beuys Voice, Galleria Cardelli & Fontana a Sarzana, performance del 9 dicembre 2004 (foto di Massimo Biava).

Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni Abbiamo chiamato, per affrontare il tema, Paolo Zanzi che da molti anni opera, con impegno e passione, in vari campi d’arte. E. B. e C. C.

No Città No Arte. No Arte No Città Applicando l’arte come esponente della città, elevata al quadrato, divisa per un “P greco” orfano di un raggio di sole, ti ritrovi in un pacco di cartone fatto casa, eletto a


Veduta del Sacro Monte sopra Varese (foto di Paolo Zanzi).

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perseguiva un progetto etico. Quindi arte come ruolo di convinzione sorretta da un pensiero che aveva individuato lo spazio dell’uomo. La città è spazio dell’uomo e l’arte non esiste come prodotto confezionato da collocarsi a consumo, anche se per disegno utopico eterno, perché la condivisione presuppone un percorso storico che è il contrario del consumo. Così, facendo un salto di 300 anni indietro al ’600, possiamo vivere l’epopea della fabbrica della via sacra al Sacro Monte sopra Varese. Arte come strategia per la convinzione ben si accompagna alla volontà del committente (la chiesa cattolica con i Borromeo) che sa interpretare l’humus storico e così attuare un disegno politico che assurge a progetto etico. Ed è così che centinaia di maestranze, molteplici artisti, architetti e benefattori civici si aggregarono in “miraculosa” impresa consegnando un esempio mirabile di corretto rapporto fra arte e città; dove qui per città eleggiamo il territorio tra il borgo e il Sacro Monte in analogia a quanto, come abbiamo visto nell’epoca liberty e prima ancora nel ’700 nella cosiddetta civiltà di villa, avviene per Varese. Una città che si legge distribuita e condizionata dal rapporto ambiente cultura e ovviamente dalle vicende storiche (forse anch’esse condizionate dal territorio) in maniera non predeterminata tanto da faticare ad essere definita città. E ancora venendo ai più recenti anni, 1969, l’arte muove in Varese come occasione di indirizzo e/o presa di coscienza e d’identità. A titolo di esempio cito, mio malgrado, una mia esperienza giovanile concretizzata in una mostra d’arte contemporanea – 31, nel centro storico di Varese, che strappa, nell’occasione, lo spazio alle automobili che ne soffocavano la vivibilità e la sua lettura storico-architettonica, per essere teatro d’arte; costituì quindi mirabile presa di coscienza del concetto di pedonabilità di un area nevralgica. Da quegli anni il centro è zona pedonale. Così come le pareti di casa non sono fatte per appendere i quadri le città non sono fatte per subire opere d’arte ora sulle facciate ora a spartitraffico o trespoli per piccioni, ecc. L’arte è il respiro della città; però non collochiamo nella città bombole d’ossigeno riciclato. Paolo Zanzi

FORUM ORDINI

dignità di barbone. Così ti svegli che vuoi essere persona e non trovi dove fare pipì e ti consumi a misurare le distanze tra te e le pissoir; l’hanno messo in museo, firmato, e l’ironia dei più testimonia l’epifania dell’arte uscita dal bagno ed entrata in città. Scendono dai maximanifesti scatole di pelati a posarsi tra le trine di carta bouffant per accordi di dollari sonanti ad arte polifonica, pop-arte dai pensieri impudichi di coinvolgente sessosociale. Numerando, milioni di individui rotolano il loro consenso quali stercorari impenitenti, amatori di pallottole a consumo gratificante. La città, senza sole come fratello, senza cielo come tetto, si decolora in un’arrugginita identità esibizionistica. Ci siamo ritrovati tutti in fila per tre incolonnati nelle spire del labirinto, archetipo mostro, immagine dell’ultima città. C’è un filo rosso trasfigurato nel segno dell’amore e della bellezza che può consegnare speranza nella ripresa del filo della storia che riporti a pensare alla città come il luogo in cui l’individuo si riconduce a persona. Così questa nuova città che è l’intimo respiro della persona, come suggerisce Maria Zambrano, trasforma l’individuo in persona consegnandolo alla società per la ragione stessa che la città è il luogo deputato per la società. Questa società che corre verso un salto evolutivo rivoluzionario, per questo colmo di classicità su cui progettare il suo futuro, questa società sollecitata dalla tecnologia dirompente nella sua assenza di ruoli gerarchicamente etici, può solo ipotizzare una città prodotto d’Arte, dove per arte qui si intende quell’istante in cui appare quel qualche cosa che chiamiamo bellezza. E allora il rimando, a titolo di esempio, per stare nella nostra città non può che essere il progetto liberty calato sul suo territorio in un modo così paradigmatico di quanto sopra detto da essere oggetto di rivisitata attenzione. Considero, forse non condiviso da molti, la realtà liberty l’esempio di una visione capace di annullare la distanza con il passato e di riproporsi in un disegno di vibrante e vivificante proiezione verso il futuro. A Varese il liberty è voglia di volo, visione che si fa progetto; è concretezza di uomini sospinti dall’incalzante esuberanza dei mezzi e delle idee; è rigore etico che modula il trionfo della natura ed interpreta il territorio). Questo progetto si concretizza ottimizzando le tecnologie per la mobilità, ferrovie, tramvie e funicolari, che nel segno dell’efficienza e nel rispetto ambientale insediavano residenze ed industrie in un armonico rapporto per la qualità della vita che, ancorché pensata da un ceto privilegiato, aveva come obiettivo, in parte attuato, di consegnare a tutti momenti di bellezza straordinaria, che assurgevano ad arte concreta e tangibile. Si sono attuati lì, in quel tempo e su questo territorio, una sorta di concomitanze virtuose che poggiavano il loro “successo” sulla commistione dei ruoli forma e funzione concretamente vissuti in un’ottica etica che vedeva artigianato, industria ed economia gestiti in equilibrio verso la realizzazione di un progetto per la persona: persona non più solo “individuo” in quanto referente di una società che


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Darsena: un’occasione per Milano La partecipazione alla giuria del concorso di progettazione internazionale “Darsena” come rappresentante dell’Ordine degli Architetti di Milano mi consente alcune riflessioni. Innanzitutto la straordinaria importanza del tema che è allo stesso tempo un tema con grandi valenze storiche ma anche di grande attualità. Il luogo della Darsena di Milano oltre ad essere uno dei pochi luoghi rimasti della Milano storica, la Milano “bellissima” di cui parlava Stendhal, è anche un luogo oggi molto frequentato e un nodo di traffico complesso, punto di incrocio di due importanti radiali con la cerchia dei bastioni che sappiamo essere una delle infrastrutture più congestionate della città. Sciogliere questa contraddizione, la necessità di ritrovare ed esaltare i caratteri storici della città, e risolvere i problemi infrastrutturali del luogo, non è un compito da poco. Tutto ciò è reso più difficile dalla presenza di un prossimo parcheggio sotterraneo che non si capisce per quale motivo sia stato progettato sotto la Darsena e non altrove e sia diventato un vincolo del concorso. Per un tema di questa complessità sono stati selezionati dieci gruppi di progettazione di alto profilo culturale, con un’esperienza professionale che garantisse la serietà della risposta progettuale. I gruppi selezionati sono stati quelli di Culotta, Souto de Moura, Schuwerk, Bohigas, Segantini, Chipperfield, Parodi, Torricelli, Morassutti, Bodin. Cinque gruppi italiani e cinque stranieri, tutti conosciuti a livello internazionale. La prima considerazione da fare, che riguarda i concorsi internazionali in genere ma in particolare questo concorso, è che si sono distinti i progetti che si fondavano su una conoscenza approfondita del luogo, che ne hanno saputo cogliere il carattere, le sue radici storiche e interpretarne un possibile sviluppo nel futuro. Si sono distinti quei progetti che hanno riconosciuto nel luogo una grande

Una Fondazione per Mario Merz

Jean François Bodin, Edoardo Guazzoni, Paolo Rizzatto, Sandro Rossi, e con: Vittorio Cazzaniga, Emmanuelle Braud, Lucia Mainardi, Francesca Musa, Concorso internazionale di progettazione Darsena, planivolumetrico.

Angelo Torricelli, Giovanni Cislaghi, Vincenzo Donato, Marco Stanislao Prusicki, e con: Edmondo Vitiello, Paolo Bassi, Stefano Mambretti, Gabriele Amadori, Marco Robecchi, Concorso internazionale di progettazione Darsena, planivolumetrico.

piazza, il grande luogo di incontro a sud del centro storico, e che hanno tentato di dare a questo luogo una forma evocativa di questo carattere. Qui bisogna riconoscere che fra i dieci gruppi si sono distinti due progetti: quello con capogruppo Jean François Bodin e quello con capogruppo Angelo Torricelli che, pure con scelte molto diverse fra loro, hanno assunto il tema nel senso più ampio. La giuria ha discusso molto questi due progetti, indecisa fino all’ultimo su quale dei due premiare. A mio parere questo era un concorso da concludere con un ex aequo, invitando i progettisti dei due gruppi, che evidentemente conoscono a fondo Milano, a fare un unico progetto. Purtroppo, il bando non prevedeva una soluzione del genere, così la commissione ha deciso di assegnare il premio al gruppo Bodin e di assegnare una

menzione speciale al progetto Torricelli. I lavori si sono conclusi con un voto unanime, tuttavia credo ancora che i due progetti abbiano più valore se visti insieme piuttosto che separatamente, perché propongono soluzioni differenti che confrontandosi potrebbero definire un nuovo progetto più completo e convincente. Forse al di fuori delle condizioni inevitabilmente vincolanti del bando di concorso i progettisti che hanno vinto potrebbero avvalersi del contributo di chi ha fatto il progetto menzionato. Perché no? In ogni caso il tema merita una discussione pubblica che potrebbe essere fatta presso l’Ordine degli Architetti oppure presso la Facoltà di Architettura Civile dove diversi dei partecipanti dei due gruppi di progettazione lavorano. Antonio Monestiroli

L’ampia retrospettiva dedicata a Mario Merz recentemente allestita al Castello di Rivoli e alla GAM di Torino in collaborazione con la Fondazione Merz, ha reso omaggio al grande artista da poco scomparso preannunciando l’apertura, a maggio 2005, della Fondazione a lui dedicata. La Fondazione è presieduta da Beatrice Merz, figlia dell’artista, e vanta un comitato scientifico di primo ordine; vi fanno parte Vicente Todoli, direttore della Tate Modern di Londra, Dieter Schwarz, direttore del Kunstmuseum di Winterthur, Richard Flood, direttore del Walker Art Center di Minneapolis. L’istituzione sorge nel capoluogo piemontese, nella superficie dell’ex-Centrale termica Lancia: un complesso architettonico monumentale, di proprietà comunale, dove trovano posto aree espositive, spazi per la ricerca e la gestione di archivi d’artista, eventi ed incontri. Mario Merz (Milano1925-Torino 2003) è tra le personalità artistiche più rilevanti del Novecento. Esordisce nel ’53, autodidatta, con una pittura di segno astratto-espressionista. Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta è protagonista dell’Arte Povera italiana. In questo periodo lascia la pittura per l’installazione e la sperimentazione con materiali naturali o tecnologici, con cui allude agli esplosivi e apparentemente caotici processi di crescita esistenti in natura, di cui indaga la struttura profonda. La sua ricerca è volta a sottolineare la trasmissione d’energia tra il mondo organico a quello inorganico. Tra le soluzioni iconiche dell’artista ricordiamo l’igloo e il neon. L’igloo, forma metaforica e reale, rappresenta nello spazio tridimensionale il dinamismo della spirale, simbolo dell’energia cosmica; questa è una figura in cui egli riconosce l’energia “strutturale” della Natura e attraverso cui crea uno “spazio esterno” che è “misura di uno spazio interno” e che replica la forma del mondo a cui appartiene. L’artista usa invece il neon per inserire lampi concettuali o


Irina Casali Fondazione Merz v. Limone 24 10141 Torino www.fondazionemerz.org

Leon Battista Alberti teorico e architetto

Il 24 gennaio scorso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano ha inaugurato il proprio anno accademico. Come negli anni precedenti l’attività didattica è stata sospesa per permettere agli studenti e ai docenti di seguire la lezione inaugurale e la consegna del Premio Mantero. Nella prima parte della mattinata gli interventi del Preside, professor Antonio Monestiroli, e dei due presidenti di Corso di Laurea, professoressa Chiara Molina per il corso in Architettura delle Costruzioni e professor Angelo Torricelli, per il corso di Scienze dell’Architettura, hanno presentato la Facoltà e i suoi obiettivi. Si è trattato di una sorta d’introduzione alla prolusione del professor Luciano Patetta dal titolo “Leon Battista Alberti teorico e architetto”. Patetta attraverso il confronto fra i testi teorici di Alberti e i suoi progetti ha evidenziato come nelle grandi architetture esista sempre una relazione precisa e forte fra idea e realizzazione. Nello scorrere la vita e l’opera del Maestro si è soffermato soprattutto su tre questioni. La prima di queste ha riguardato il ruolo della storia e la necessità di conoscere ciò che è stato per riuscire a interpretare la realtà contemporanea. La lezione ha chiarito il pensiero di Alberti in merito all’antico considerato come insegnamento vitale da studiare e reinterprere nel progetto, per evitare di cadere nella banale imitazione di un modello. La seconda questione ha riguardato il rapporto che nell’opera albertiana esiste fra ideazione e costruzione, ovvero il rapporto con la tecnica: il leitmotiv albertiano è imperniato sul potere rappresentativo della costruzione e quindi sulla necessaria relazione di costruzione e forma. Tema questo attuale e assolutamente vicino agli obiettivi che la Facol-

Martina Landsberger

Esperimenti urbani “Galleria d’arte a cielo aperto”, “isola pedonale istantanea”, “orto di tutti”, “obbligo di saluto”. Negli ultimi anni questi ed altri slogan sono comparsi – spesso accompagnati da eloquenti immagini segnaletiche – in strade e piazze di Milano, per esortare i cittadini a una fruizione inconsueta dello spazio pubblico. Ne è artefice Esterni, una giovane organizzazione che incentra il proprio operato sul recupero della naturale vocazione dello spazio pubblico a essere luogo di aggregazione e partecipazione. In questi scenari urbani ripensati e riscoperti, Esterni ambienta eventi legati al mondo della cultura, dell’arte e della comunicazione. Alcune manifestazioni hanno raggiunto un rilievo internazionale, come il concorso cinematografico Milano Film Festival; da alcuni anni una parte di tale evento si svolge nel fossato del Castello Sforzesco, che, reso percorribile per assi-

stere a proiezioni e concerti, offre punti di vista inediti verso la città, divenendo uno spazio “nuovo”. In altri casi l’attenzione investe luoghi abbandonati: nel maggio 2004 il progetto per un “Nuovo Museo di Arte Momentanea” ha messo una vecchia fabbrica di lamiere a disposizione di artisti, architetti e designers, affinché potessero esporre le proprie opere o crearne di nuove. Ma è il Salone dell’Arredo Urbano, organizzato in concomitanza con il Salone del Mobile, l’evento che per antonomasia rilegge in maniera creativa gli spazi della città, facendone luoghi attivi di scambio e incontro. Così, nelle passate edizioni, piazza Affari è stato teatro di un “esperimento di socializzazione indotta”, installazione basata sull’interazione del pubblico; il piazzale della Stazione Centrale, sotto lo slogan: “Questa è e sarà una piazza”, si è illuminato di performance e installazioni; piazza Freud ha ospitato “Città in rivoluzione”, invito a costruire una città a misura d’uomo, con tanto di acquisizione, per i più meritevoli, del “diritto di cittadinanza attiva”. Quest’anno il “controsalone” (13–18 aprile) assumerà carattere itinerante, con l’obiettivo di attirare milanesi e visitatori fuori dagli abituali spazi della Fiera e degli show-room. Esiste anche un catalogo – in costante aggiornamento – delle idee e dei progetti sperimentati finora, che Esterni sta promuovendo presso amministrazioni e aziende, attori da sensibilizzare per un concreto ripensamento degli spazi e dell’idea stessa di comunità urbana. Mina Fiore

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proporre sistemi di numeri ordinati in progressione secondo la serie matematica di Leonardo Fibonacci, che, svolgendosi anch’essa in spirali, rimanda ad un’idea d’espansione e ritorno ciclico dello spazio-tempo. Merz colloca le cifre luminose sia sulle proprie opere, sia negli ambienti espositivi, come nel ’71 lungo la spirale del Guggenheim Museum di New York, nel ’84 sulla Mole Antonelliana di Torino e nel ‘90 sulla Manica Lunga del Castello di Rivoli. Sul finire degli anni Settanta si assiste ad un rinato interesse per la pittura e la figurazione, che è anche alla base delle complesse installazioni dell’artista degli anni Ottanta e Novanta. In queste opere compaiono animali primordiali come coccodrilli, zebre, tigri o chiocciole, replica dell’interesse per la forma a spirale e l’avvolgersi del tempo su se stesso. Gli igloo di Merz sono esposti nei musei d’arte contemporanea più importanti d’Europa, dal Guggenheim di Bilbao alla Tate Modern di Londra.

tà di Architettura Civile si pone. Da ultimo è stata affrontata la questione del ruolo civile dell’architettura e la conseguente responsabilità cui è sottoposto l’architetto in quanto trasformatore dello spazio pubblico. Terminata la lezione si è proceduto alla proclamazione del vincitore del premio Mantero per la migliore tesi di laurea e alla consegna degli attestati di partecipazione ai dieci progetti selezionati dalla commissione composta da Antonio Monestiroli, Pasquale Culotta e Carlo Magnani.


a cura di Roberto Gamba

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Riqualificazione del centro storico di Nave (Bs) Il concorso, bandito alla fine del 2003, aveva per oggetto la ridefinizione degli spazi aperti, posti in corrispondenza dell’asse della strada provinciale del Caffaro: aree per viabilità, aree per opere di urbanizzazione (parcheggi, piazza/parco, verde di arredo urbano) e di due aree edificate per le quali era prevista la demolizione e la ricostruzione. Il progetto doveva essere articolato in tre diversi blocchi: ridefinizione degli spazi ad uso pubblico; ristrutturazione e riutilizzo del primo e del secondo ambito costruito. Si doveva tenere conto della previsione viabilistica prevista dal piano regolatore e conseguentemente prevedere un nuovo assetto viario, di valenza solo interna comunale, con sensi unici appositamente progettati.

Si dovevano fornire previsioni riguardo ad aree a parcheggio, aree pedonali (all’angolo tra due vie, per il sagrato della chiesa parrocchiale, per una nuova piazza); prevedere la demolizione dell’edificio prospiciente la strada e dell’ex oratorio femminile; ricomporre i volumi in modo da creare una piazza aperta. Nel secondo comparto, arretrare i fabbricati e creare un collegamento pedonale (anche protetto), per favorire un facile utilizzo di un nuovo parcheggio. La giuria era costituita da Silvano Buzzi, Giampietro Messali, Agostini Luigi, Marco Rossi, Daniela Marini. Come premi sono stati attribuiti 15.500 € (al vincitore 9.500 €; al 2° classificato 3.500 €; al 3° 2.500 € ). Terzo classificato è risultato Corrado Borsoni; menzionato Pietro Agosto.

1° classificato Dario Scanavacca (Bassano del Grappa), Claude Petarlin, Diego Zonta collaboratore: Michele Marchetti

La “Piazzetta della Pace” è stata sopraelevata di circa 50 cm dal piano stradale; la pavimentazione è in porfido con un disegno che converge verso la fontana e lo stelo della pace. Il sagrato, modificato solo dal sistema di rampe per disabili, è integrato allo spazio urbano mediante un rialzo della carreggiata, che trasforma la strada in un unicum con la piazza. L’edificio progettato a sud della piazza, persegue un dialogo con le preesistenze e ripropone un tipico sottoportico. La canonica è arricchita da un piccolo giardino posto a -1,5 m dal piano di campagna. Al centro della piazza, si trova uno specchio d’acqua di rigorose forme geometriche.

Lo spazio che collega i due poli segnati dalla “Piazzetta della Pace”, dal parcheggio e dal piccolo giardino pubblico è identificato da un tracciato colorato di rosso, attorno al quale si dispongono i vecchi e i nuovi edifici, generando così un sistema di piazze. Il progetto propone una più stretta relazione tra chiesa, sagrato, piazze e costruito, sia con la distribuzione dei pieni e dei vuoti (chiesa/piazza e piazza/edifici), sia con alcuni elementi di connessione.

2° classificato Diego Toluzzo (Santa Maria Hoè) Si prevede di chiudere i blocchi edilizi dei due comparti, in modo da creare, sul fronte interno, una cortina lineare. Questo garantisce la definizione di uno spazio esteso e diversificato che racchiude il blocco edificato. Con il continuum dei portici al piano terra, si realizza una nuova soluzione urbana di vero e proprio “centro”. Necessario il superamento dell’altezza indicata nel bando con un quarto piano a mansarda. Si propone altresì, in continuazione con la linea dei nuovi edifici, la ricostruzione di un piccolo blocco

sul cortile interno, lato ovest, del comparto 1. Per quanto concerne l’arredo urbano, si procederà con un disegno unitario in continuazione con quanto previsto per i due comparti edificatori. Zone a verde, parcheggio, riposo vengono serviti da una serie di percorsi pedonali, in maggior parte coperti (portici), anche sfruttando parte di edifici esistenti, salvaguardando comunque la cortina storica della ex strada statale. Verrà realizzato un parcheggio interrato, nella piazza, che resterà libera e sarà interessata solo da alberature, panchine e da una piccola fontana.


Nuovo Palazzetto dello sport di Pizzighettone (Cr) Le proposte progettuali riguardavano la realizzazione del nuovo Palazzetto dello sport e la riqualificazione del centro sportivo di Pizzighettone, per farlo diventare un centro per tutte le fasce d’età. Quindi per svolgervi e per vivervi momenti di socializzazione e di relax. Questo verrà costruito nell’area sportiva comunale di viale De Gasperi. Il concorso di idee è stato suddiviso in due fasi successive: la presentazione da parte dei candidati degli elaborati progettuali

di carattere generale, riguardanti gli aspetti urbanistici e di riqualificazione funzionale della zona del centro sportivo e la progettazione vera e propria. La giuria era composta da Pierantonio Ventura, Pierre-Alain Croiset, Angelo Micheletti, Italo Lena, Marcello Melicchio, Massimo Masotti, Adriano Faciocchi. Oltre ai due progetti qui presentati, si è classificato terzo Paolo Mancini; quarto Mauro Manfrin; quinto Giovanni Conti, con Emilio Comencini, Maria Teresa Rodriguez, Angelo Volpi.

1° classificato Emilio Caravatti (Monza) con Matteo Caravatti, Emanuele Panzeri, Andrea Carmignola, Maddalena Merlo, Andrea Meregalli

ni richieste, in un unico volume, collegato sull’asse x da un percorso coperto, reso manifesto dall’alto segno dell’acquedotto, in relazione spaziale con lo spazio pubblico creato all’interno. Limite al lungo segno urbano su viale De Gasperi, il volume introduce agli spazi del centro sportivo raccordando vuoti e ambiti funzionali. Così l’ingresso allo stadio è filtrato da una piazza aperta, disegnata sul modulo dell’edificio stesso, collegamento tra il nuovo palazzetto e la zona più verde dei campi all’aperto (basket, calcetto, tennis, ecc.), inseriti nel disegno di un nuovo parco urbano.

Un segno, immediato e semplice, come una traccia verde, accompagna il percorso. Un tappeto verde, per le necessità sia del quartiere che del centro sportivo, introduce e comprende tutta l’area di concorso. Una linea e un volume compatto, piatto e riconoscibile è il segno del progetto. Su una maglia modulare il comparto edilizio riassume le funzio-

2° classificato Mariano Biazzi Alcantara (Cremona), Paolo Pinardi con Luigi Frazzi, Stefania Manni, Paolo Moretto, Andrea Treu, Linda Parati Il nuovo palazzetto dello sport nasce come meccanismo spaziale integrato al progetto generale e svolge il passaggio di scala tra infrastruttura e figura umana, un vero spazio pubblico di transito. Lo spazio costruito costituisce il prolungamento dei percorsi del parco e della piazza, che penetra nell’edificio con i suoi materiali. La grande copertura accoglie una parte consi-

stente dello spazio pubblico aperto dove la concentrazione di occasioni di incontro dà vita a un luogo. Entrando nell’edificio una serie di percorsi consentono di raggiungere la quota dell’argine su cui il palazzetto è appoggiato e da cui è possibile dominare visivamente l’intera area verde. Da qui il percorso può proseguire in due direzioni: continuare la salita verso la copertura praticabile; ridiscendere verso il parco e riprendere la passeggiata. La massa solida delle murature perimetrali accoglie le funzioni di servizio recuperando l’idea che ha generato l’uso promiscuo.

OSSERVATORIO CONCORSI

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Riqualificazione del nucleo antico di Taino (Va) Oggetto del concorso è il nucleo antico di Taino; tema la riqualificazione funzionale di tutte le strade e dell’immagine del centro abitato per farne un polo di attrazione. La progettazione doveva riguardare uno dei lotti indicati nel bando, con una sistemazione a raso di raccordo con il suolo destinato alla viabilità. Il concorso era in due fasi. Per la seconda fase sono stati selezionati 6 concorrenti, che hanno presentato un progetto preliminare (tre tavole formato A0). Il 1° premio era di 7.000 € , più l’incarico professionale per il progetto esecutivo. Ulteriori 19.000 €

sono stati corrisposti al 2° e 3° classificato (5.000 €) e al 4°, 5° e 6° (3.000 €). La giuria era formata da Carlo Castiglioni (presidente), Laura Gianetti, Roberta Besozzi, con membri supplenti Enrico Bertè, Franco Rabuffetti; segretario GianLuca Giarola; esperto beni ambientali Giovanna Brugnoni. Oltre ai primi tre classificati, qui presentati, in graduatoria ci sono: 4° classificato Pierfrancesco Seclì; 5° classificato Fabio Pravettoni, con collaboratori Gaia Cerlati, Emilio Cimma, Veronica Visigalli; 6° classificato Claudio Scilieri.

1° classificato Nicola Gibertini (Milano), Daniele Borin, Marino Matika

si frange in innumerevoli cascate, aggiungendo un’importante componente uditiva. Il lato sud della piazza, caratterizzato da due edifici di scarsa qualità, viene rafforzato da un doppio filare di aceri rossi. Al centro tendono pure gli elementi di seduta, rigorosi parallelepipedi lapidei di lunghezze differenti, che ripropongono i monoliti granitici, sparsi nel parco del paese; sono integrati nella pavimentazione e, recuperando il livello della quota stradale, suggeriscono soluzioni aggregative differenti.

S’interviene imponendo un’ampia isola pedonale, al centro dell’area, ribassata rispetto al piano stradale, ma accessibile da ampie rampe e da lievi gradinate. Sul fronte nord, una fontana limita la lieve depressione. Dal lato del municipio la fontana è un muretto rivestito da un flusso continuo d’acqua; dal lato interno, il fluido, spezzato nella sua caduta dal corrugarsi del materiale di rivestimento (acciaio Corten trattato),

2° classificato Giuseppe Ambrosetti (Varese), Clara Ambrosetti, Claudio Colombo, Lorenzo Custer, Fausto Tagliani, Jordi Riegg Si realizza una “bretella” in trincea che introduce una circolazione a senso unico e dimezza il traffico in attraversamento del centro urbano. Si recuperano circa 2.500 mq per piazze civiche in collegamento spaziale con il parco; l’attuale parcheggio/mercato è recuperato a verde; s’inserisce un porticato sull’edificio magazzino comunale. Il fronte del parco verso il nucleo storico diventa un bastione, i cui due versanti, verso il piano e verso il paese, formano il parcheg-

gio. Il sentiero che dal cimitero porta alla piazza del Municipio viene integrato da un autosilo nell’angolo sud-ovest. Sopra il bastione il prato verde del parco si estende sul tetto dell’autosilo ed è accentuato della presenza di un piccolo padiglione che ospita scale e ascensore; è appoggiato “leggermente” sul piano del parco e funge da elemento cerniera tra viale, piazza del municipio, parco e centro storico. In analogia al “bastione”, l’autosilo a tre piani è formato da pilastri massicci, rivestiti con mattoni sabbiati rosso chiaro. All’esterno si leggono le solette di calcestruzzo come tagli orizzontali tra le colonne.


L’elemento che conferisce unità al progetto è il muro, realizzato con una faccia in calcestruzzo a vista e l’altra in serizzo antigorio a spacco. Tutti gli altri elementi, sedute, tavoli, fontana, sono concepiti come solidi puri in pietra. La concentrazione in un solo gradino dei dislivelli oggi diluiti sull’intera piazza, consente di realizzare un nuovo salto di quota, finalizzato a strutturare l’area an-

tistante il municipio, separato da un muro. La piazza diventa un grande piano orizzontale, piattaforma, con spessore variabile tra 60 e 0 cm. Una terza piazzetta è ricavata a nord, a fianco della biblioteca, caratterizzata dall’alternanza tra sedute di pietra e pruni da fiore. Una pedana in legno stacca di pochi centimetri l’area esterna del bar, ombreggiata da una struttura leggera in ferro e vetro. Il collegamento tra le due parti della piazza è sottolineato da una filetta di granito bianco di Montorfano e da un filare di pruni.

nell’ottica della nuova forma educativa che vede il complesso scolastico nel suo assieme generale. L’importo dei lavori da realizzare era indicato orientativamente in 1.000.000 €. Il monte premi era di 8.300 € così suddivisi: 5.000 € al primo classificato; 1.800 € al secondo; 1.500 € al terzo. La giuria era composta da Clau-

dio Filippini (vicesindaco-presidente), Vilcher Andreotti, Bruno Filippini, Riccardo Palma, Dionisio Morinelli, Piercarlo Viterbo, Maria Chiara Bianchi. Oltre ai tre progetti primi classificati, sono stati segnalati gli elaborati di Alessandro Fusetti e Giorgio Burragato e quelli di Riccardo Colli Franzone, con collaboratore Mariarosa Croce.

1° classificato Andrea Motta (Milano), Paola Maria Caneva, Alessandro Conca collaboratori: Laura Pavesi, Alberto Maria Dal Lago

terizzante il progetto, si sviluppa secondo la direzione nordsud e collega idealmente l’edificio della materna con gli edifici esistenti delle medie ed elementari (a sud), separando fisicamente sia il parcheggio e l’area a verde di progetto, che le aree a verde delle scuole medie ed elementari. Un percorso pedonale, protetto da una pensilina, collega, secondo la direzione est-ovest, gli edifici alla mensa, collocata in posizione baricentrica. In sostanza, il progetto “ricuce” e integra gli spazi con una direttrice “forte”, orientata da nord a sud, ed una orientata da est a ovest, più articolata, ma non meno significativa.

Nella progettazione della scuola dell’infanzia si è tenuto conto che l’esperienza dello spazio è fondamentale nello sviluppo del bambino sia in relazione alle sue competenze affettivo-relazionali e cognitive, sia per i significati che comunica, per i modelli di comportamento, le regole e gli usi che induce. Tale scuola viene inserita a nord, assecondando naturalmente la conformazione dell’area. Un “muro-setto”, elemento carat-

Nuovo complesso scolastico integrato ad Arsago Seprio (Va) Il concorso, bandito alla fine del 2003, aveva come obiettivo la creazione di un nuovo plesso scolastico integrato, con scuola materne (120 bambini), elementari e medie inferiori, da realizzarsi in 3 o 4 lotti. Esso dovrà comprendere, oltre alla palestra esistente, una nuova mensarefettorio, un collegamento protetto tra gli edifici, un nuovo posteggio pubblico.

La proposta doveva indicare i tipi di pavimentazione, la rete di illuminazione, gli arredi, gli spazi adatti alle attività scolastiche e ricreative da effettuarsi all’aperto. Doveva essere considerata l’integrazione con gli edifici esistenti e la possibilità di sopraelevazione dell’edificio delle scuole elementari. Il tutto per creare un gradevole assetto unitario con le aree limitrofe esistenti,

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3° classificato 8interno3 studio (Milano): Annalisa Melzi, Lorenzo Fabian, Andrea Costa


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2° classificato Maurizio Carones (Milano) con Paolo Carones, Anna Dal Sasso, Paola Del Re, Francesco Fallavollita Il progetto individua alcuni temi conseguenti l’analisi del bando di concorso: i rapporti con il contesto, gli aspetti tipologici, quelli funzionali, economici, normativi e costruttivi. Esso propone soluzioni formali che rispondano ai problemi descritti dal bando, cercando di evidenziare soprattutto il carattere di generalità delle risposte progettuali. Il progetto coglie l’ubicazione di Arsago Seprio su una direttrice di “crinale” da Gallarate sino al

Ticino e riconosce la regola insediativa che attesta l’edificato parallelamente alla strada e, ortogonalmente, un sistema di partizioni parallele dei lotti. La definizione dei nuovi edifici si pone in rapporto con la trama del “tessuto” esistente attraverso una sorta di “riammagliamento”, individuando la possibilità di riconsiderare anche gli edifici esistenti come appartenenti ad uno stesso sistema. Questa griglia modulare determina la costruzione del porticato a doppio livello sul passaggio pubblico, i collegamenti e la ridefinizione degli spazi aperti. Il progetto precisa ambiti riconoscibili ed autonomi prevedendone una realizzazione per parti.

3° classificato Roberto Ventura (Pizzighettone), Antonio Molinelli, Roberto Pagani, Alfonso Ventura La sola realizzazione della scuola non è da considerarsi l’unico tema: qualunque sia la sua architettura, si devono risolvere le relazioni con gli altri edifici scolastici esistenti e con l’area del vicino centro sociale, in una sorta di percorso ideale. Si deve consentire una chiara identificazione di tutto il plesso. Si deve risolvere l’ambiguità dell’edificio che ospita le scuole medie inferiori, che per tipologia costruttiva e per posizione deve essere destinato ad altre funzioni quali:

biblioteca, mediateca e/o museo civico-archeologico. Si deve risolvere il percorso pubblico delle vie adiacenti, che costituisce, di fatto, una frattura insormontabile tra due scuole. La nuova scuola materna e la mensa sono costruiti tra due “muri”, che delimitano tutta l’area: un muro più portico determina il nuovo fronte del plesso scolastico; è limite/confine di tutto il plesso e contemporaneamente suo fronte principale; è anche muro “di relazione”, rivolto verso il centro storico di Arsago. Un percorso-atrio corre internamente all’area del plesso, a fianco del muro/facciata, e collega tutti gli edifici e tutte le funzioni.


Una caratteristica dei bergamaschi è esplicitata in un antico adagio popolare: “Sotto la cenere, cova la brace”. In ciò si suole evidenziare come la società civile all’apparenza quieta come quella bergamasca in realtà possa improvvisamente ravvivarsi e prendere fuoco: così è stato per la Torre dei Venti. L’inizio – il soffio che solleva la cenere e ravviva la brace – è costituito da un vivace articolo di un giovane giornalista bergamasco, Cristiano Gatti, il quale, inaugurando una rubrica settimanale su “L’eco di Bergamo” (il quotidiano di maggiore diffusione in provincia) dal titolo Tornando a casa, del 12 settembre 2004, lancia provocatoriamente la proposta di abbattere la Torre dei Venti di Alziro Bergonzo (1940) posta alle porte della città tra gli svincoli autostradali e in stato di abbandono. L’articolo lascia poco spazio ai dubbi e, se da un lato invita i bergamaschi a riflettere su chi siano e cosa stiano diventando, chiedendo loro quale sia la loro anima, dall’altro li sprona a mettere mano – e piccone – al siluro dell’autostrada. Davvero possiamo considerarlo il nostro biglietto da visita? Ma la voluta provocazione del giornalista era evidente quando asserendo che nessuno sa più dire che cosa sia, che cosa rappresenti, chi e quando l’abbia costruito così concludeva l’articolo (…) se è importante per la nostra memoria, perché lasciamo che sia solo un covo di piccioni?. È stato un subbuglio strepitoso che ha portato ad un vivace confronto. Colpiti nel vivo rappresentanti di partiti ed istituzioni, molti cittadini e abitanti della zona, hanno preso posizione aprendo un dibattito civico molto animato che ha trovato ampio spazio nelle pagine de “L’eco di Bergamo”. In una sintetica rilettura si possono sottolineare questi aspetti. Alcuni ritengono che grazie a monumenti di questo tipo si evidenzi e si debba conservare una memoria storica (anche se realizzata durante il ventennio) che non deve essere cancellata,

poiché per coerenza andrebbe raso al suolo l’intero “Centro piacentiniano” della parte bassa di Bergamo con gli edifici pubblici di quel periodo; inoltre con l’abbattimento si trasmetterebbe un’idea distorta della città.

Un intervento molto articolato, inquadrando l’opera e l’architettura del periodo in città in un ottica estetica e non politica, sottolinea come esse abbiano lasciato un’impronta precisa nella definizione del suo pae-

saggio urbano e architettonico. Auspica che si giunga alla riabilitazione delle opere che, come tante, furono inizialmente oggetto di ostilità preconcetta nei confronti dell’autore o del contesto storico in cui furono costruite. Altri, auspicano che il processo di cementificazione selvaggia del dopoguerra si possa considerare concluso e consolidato l’orientamento volto alla tutela e conservazione dei beni e del patrimonio storico anche di tempi a noi prossimi. Una sottolineatura riguarda l’atteggiamento d’osservazione superficiale di una città e di un’opera da parte di chi le vuole giudicare senza accettare la possibilità di non riuscire ad apprezzarle, rifiutando di conoscerle e di poterle capire. Non sono mancate proposte anch’esse provocatorie. Infatti, un intervento favorevole all’abbattimento della torre, sostiene che in tal modo si “ripulirebbe” il paesaggio in direzione di Milano lasciando la possibilità di una vista migliore dell’autostrada e delle “moderne colline” poste a copertura delle discariche. Altri lettori, stimolati dalla provocatorietà dell’intervento si sono ripromessi di studiare la torre e il suo autore insieme agli altri edifici dell’epoca cosicché alla prossima uscita del giornalista saremo più preparati (“Le Lettere” del 17 settembre 2004) ed anche per approfondire la conoscenza della storia recente della città. Il dibattito si è provvisoriamente chiuso con la presa d’atto de “L’eco di Bergamo” della diffusa volontà dei cittadini di conservare e restaurare la torre. Infatti, così si apriva l’intervento conclusivo: “E va be’, carissimi lettori, teniamocela la Torre dei Venti. In fondo è lì da 64 anni” ammettendo che il senso della rubrica e dell’intervento del giornalista era quello di gettare uno sguardo critico sulla città che per certi versi è in rapido cambiamento e per altri resta radicata alle sua tipicità. Ma questo non è un difetto. Resta solo da passare alla fase di restauro e conservazione e qui giocherà un ruolo propositivo e pregnante anche l’Ordine degli Architetti di Bergamo. Antonio Cortinovis

31 OSSERVATORIO RILETTURE

La Torre dei Venti a Bergamo


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L’angelo di Wright Francesco Dal Co Il tempo e l’architetto. Frank Lloyd Wright e il Guggenheim Museum Electa, Milano, 2004 pp.168, € 29,00

Al centro di questo libro c’è la vicenda della progettazione e della costruzione del Guggenheim Museum, l’ultimo capolavoro di Frank Lloyd Wright, inaugurato a New York il 21 ottobre 1959, qualche mese dopo la scomparsa del maestro. Nel ripercorrere la quasi ventennale storia dell’edificio, Dal Co allarga lo sguardo al complesso intreccio tra il meccanismo di costruzione della città e quello del museo; tra la politica delle istituzioni museali americane, i difficili rapporti con i committenti (Solomon R. Guggenheim e Hilla Rebay) e l’ostilità della critica e dell’opinione pubblica; i problemi del cantiere, le soluzioni costruttive, le piccole furbizie dell’anziano ma sempre battagliero maestro. Infine, dietro il “muro del tempo” che segna la storia, Dal Co ci svela “l’angelo particolare che protegge i grandi architetti”, come scrive da New York Luis Carré – collezionista d’arte e committente di Aalto – parlando dei numerosi ostacoli superati da Wright per vedere compiuta la sua ultima grande fatica. Ma a ricoprire un ruolo di primo piano nel Guggenheim Museum c’è anche a Hilla Rebay, pittrice tedesca vicina ai movimenti di avanguardia, referente artistico di Solomon Guggenheim e direttrice dell’istituzione. Il libro approfondisce sia le richieste della Rebay, che non si orientano su un museo tradizionale, sia le interpretazioni di Wright, che elude non solo la consueta tipologia museale ma anche la stessa logica costruttiva della città. La soluzione adottata da Wright, la notissima galleria a spirale, compone una sorta di ziggurat

capovolta. La spirale è quasi avvitata al suolo, mentre all’interno Wright ribalta ancora la logica compositiva, disegnando un grande invaso definito da due tronchi di cono orientati in direzioni opposte. Per quanto concerne il rapporto con l’ambiente urbano, l’alterità dell’edificio rispetto al contesto è volutamente accentuata in ogni particolare. Numerose immagini (disegni e fotografie d’epoca), spesso inedite, accompagnano il testo, mentre i riferimenti bibliografici e archivistici sono riportati in una apposita sezione nella quale troviamo più ampie riflessioni sui musei contemporanei e soprattutto sul ruolo del tempo che, come conclude Dal Co, “riprende definitivamente possesso delle cose che ha consentito agli architetti di creare e le affida temporaneamente in custodia alla miseria della storia”. Federico Bucci

Sguardo, immaginazione, psicologia Joël Magny Il punto di vista. Dalla visione del regista allo sguardo dello spettatore Strumenti Cahiers du Cinema, Lindau, Torino, 2004 pp. 96, € 12,80

culare definita nel XV secolo e l’immagine capovolta nel parallelepipedo nero sono in connessione diretta con il principio dell’occhio, con la camera oscura, con la cinepresa. La prima parte percorre l’evoluzione del punto di vista: unico nei film di Méliès e Lumière nei quali lo spettatore ha un’unica posizione che non può scegliere nonostante il racconto possa svilupparsi senza cambiare posizione alla cinepresa mettendo nell’immagine il massimo di inquadrature come in una vera e propria sequenza; segue lo spazio in, ciò che si vede sullo schermo, e lo spazio off, ciò che si percepisce al di là dei bordi destro, sinistro, alto e basso grazie alle entrate e uscite di campo degli attori o ai loro sguardi, le inquadrature dall’alto o dal basso che enfatizzano lo stato psicologico dei personaggi; l’inquadratura “ad altezza di tatami” di Ozu; lo “sguardo in macchina”, inizialmente vietato e poi trasgredito da Godard con l’attore che si rivolge direttamente allo spettatore; il punto di vista multiplo legato non solo alla nascita del montaggio ma anche alla differenza fondamentale tra il tempo del cinema e della pittura, mentre lo spettatore non si trova più di fronte allo spettacolo ma all’interno dello spazio cinematografico e la stessa storia può essere vista dallo spettatore attraverso gli occhi suoi, di un personaggio o di più personaggi: una carrellata può corrispondere al movimento degli occhi del personaggio come Cary Grant che guida ubriaco in Intrigo Internazionale di Hitchcock. La seconda parte propone documenti di lavoro e testi relativi a tutte le concezioni visive con analisi di sequenze, da quando il cinema è considerato “arte del tempo” a quando diventa “arte dello spazio”. Vittorio Prina

“Esiste uno strumento più efficace del cinema per avere e offrire un punto di vista sul mondo?”. Il toro dalla testa alata di Khorsbad in Irak ha cinque zampe: può essere visto correttamente di fronte o di profilo con quattro zampe mentre la quinta compare da punti di vista non previsti. La prospettiva mono-

Costruire il vuoto Fernando Espuelas Il Vuoto. Riflessioni sullo spazio in architettura Christian Marinotti, Milano, 2004 pp. 234, € 16,00

La parola “vuoto”, nel suo significato primo esprime l’idea di mancanza, ha cioè insita in sé una sorta di accezione negativa. Ma vuoto è anche la condizione in cui si trova uno spazio libero da corpi solidi, uno spazio comunque definito nei suoi confini, nei suoi limiti. È proprio questo l’aspetto che Fernand Espuelas, architetto e preside della Facoltà di Architettura dell’Università Europea di Madrid, intende indagare. Confrontando esperienze e culture diverse e anche molto distanti fra loro (la cultura occidentale rispetto, per esempio, a quella orientale) il libro mette in evidenza come in architettura il vuoto sia sempre frutto di una precisa idea e definizione dello spazio, cioè come solamente la costruzione di un oggetto possa determinare la creazione del vuoto e come nei grandi progetti sia proprio il vuoto a caratterizzare con la sua presenza l’oggetto costruito. Il Pantheon è un esempio particolarmente appropriato per spiegare il senso di quest’ultima affermazione. La grande cupola di copertura di quest’aula con la sua forma e la sua precisa collocazione (il Pantheon è inscrivibile in un cerchio e la cupola si imposta praticamente sull’asse dello stesso) definisce quello spazio “vuoto”, fortemente caratterizzato che continua “a meravigliarci a duemila anni dalla sua costruzione”. Allo stesso modo si possono leggere anche le composizioni urbane, le agorà greche per esempio op-


Martina Landsberger

Dedalo, tra simbolo e storia Marco Maria Sambo Labirinti. Da Crosso ai videogames Castelvecchi, Roma, 2004 pp. 432, € 22,00 L’architetto Marco Maria Sambo esplora il valore simbolico del labirinto attraverso le sue manifestazioni storiche. Un viaggio ambizioso volto a decifrare il senso di una tra le figure più antiche e persistenti della civiltà. Si vola dal tempio cretese di Cnosso ai meandri tridimensionali dei videogames, passando

Coi suoi cunicoli e bivi, il labirinto ci parla di confini, rischi e sfide dell’esistenza umana: esso diviene rappresentazione del tempo e della morte, supremo limite. Ad ogni diramazione s’impone una scelta, irreversibile. Sebbene i possibili siano infiniti, una sola è la via, il destino. Sambo dimostra come la struttura del dedalo, presente in natura, sia un linguaggio che si ripete nelle costruzioni umane: dalla casa al palazzo, dal tempio alla città. La forma reticolare del labirinto si replica all’infinito, autentico frattale, come una sorta di necessità organica ed ermeneutica. In coda al saggio, l’autore raccoglie alcune interviste ad es-

perti in diversi ambiti disciplinari che declinano il concetto di labirinto, ampliandone la nozione e il campo di figure. Il volume è corredato da un significativo apparato iconografico che, tuttavia – vista la frequente sovrapposizione con il testo e le ardite soluzioni grafiche – ostacola la lettura, sfidando la tenuta del lettore, quasi a duplicare le asperità strutturali e semantiche del dedalo. Irina Casali

Progetto e scelta tipologica Antonio Monestiroli Il cimitero maggiore di Voghera Federico Motta, Milano, 2004 pp. 84, € 25,00 Il libro, a cura di Massimo Ferrari, presenta, con testi in italiano ed inglese, l’edificio progettato da Antonio Monestiroli per il quinto ampliamento del Cimitero maggiore di Voghera. In forma di album, oltre ad alcuni saggi dell’architetto milanese, vengono pubblicati una introduzione di Luciano Semerani, uno scritto di Daniele Vitale, disegni e numerose fotografie a colori, appositamente realizzate da Marco Introini. Il volume è un chiaro contributo ad una concezione del progetto inteso come operazione logica che si fonda su uno studio dei caratteri di generalità degli edifici. In questo caso il progetto di

Monestiroli per il Cimitero di Voghera – oltre alla sua interna coerenza formale, confermata sino alla fase costruttiva – dichiara la sua appartenenza ad una famiglia tipologica ben definita, di cui fanno parte i precedenti progetti dello stesso Monestiroli per il cimitero di Puegnago e quello, esemplare, per il cimitero dell’Isola di San Michele a Venezia, entrambi pubblicati nel libro. Così come a questa serie appartengono anche i progetti per i piccoli cimiteri ottocenteschi della zona attorno a Voghera, qui raccolti ed impaginati alla maniera di una tavola durandiana. Dunque la storia di un progetto – dagli inizi della progettazione nel 1994, sino alla conclusione dei lavori nell’ottobre 2003 – rappresentata da disegni e schizzi di studio, in cui si riconoscono i temi che costantemente sono presenti in tutto il lavoro, ai progetti esecutivi, alle fotografie di cantiere (una testimonianza di Tomaso Monestiroli racconta la sua esperienza di “apprendistato” nel collaborare al progetto), alle fotografie dell’edificio utilizzato, “con i segni degli affetti privati”. Ma anche una storia di altri progetti che sono a sfondo di questo e che stanno dentro a questo progetto, come a significare che, pur parlando di un solo progetto, non è possibile evitare di inserirlo in una serie, costituita da ripetizioni: atteggiamento proprio di un pensiero architettonico che considera il progetto come attività razionale e non frutto di estemporanee intuizioni. Maurizio Carones

33 OSSERVATORIO LIBRI

pure l’Acropoli costruita dal rapporto di diversi edifici disposti nello spazio, o ancora il campo dei Miracoli di Pisa in cui battistero, cattedrale, torre e cimitero costruiscono una composizione a partire dai rapporti che intessono nella loro disposizione, collocandosi su una sorta di vassoio verde rappresentato dal giardino. Le questioni che Espuelas intende indagare con il suo saggio sono riassunte nell’introduzione e riguardano il ruolo del vuoto nella vita di un luogo, la sua realizzazione e la “trama tanto di relazioni che di suggestioni che il vuoto produce o nelle quali interviene”.

per catacombe romane, cattedrali medievali, giardini rinascimentali, avanguardie artistiche novecentesche e metropoli futuribili per rintracciare la dimensione archetipica del dedalo, là dove realtà ed immaginazione tendono a convergere. Il labirinto è una forma architettonica che racchiude speranze e paure umane. Sin dall’immagine ancestrale racchiusa nel rito iniziatico dell’uccisione del Minotauro, il dedalo inscena il cammino dell’uomo dall’ignoto verso la conoscenza, dal buio alla luce. Punto di coincidenza simbolica tra microcosmo e macrocosmo, il labirinto rappresenta il paradigma dell’esistenza umana e insieme la struttura della mente. Esso svela come il ritrovamento di sé coincida con lo smarrimento nel mondo: è necessario errare, perdersi, per ritrovarsi; si deve morire, lasciare il noto, per rinascere.


a cura di Sonia Milone

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Per Albe Steiner Mostra permanente presso l’Archivio Albe e Lica Steiner Milano, Facoltà di Architettura Civile via Durando 38/A tel. 0223995812 e-mail: archivio.steiner@polimi.it

Si è aperto al Dipartimento di Progettazione dell’Architettura di Milano l’Archivio Albe Steiner. Il fondo è ora consultabile, disposto in armadi, cassettiere e cornici, in un limpido e gioioso allestimento che ricorda – nell’essere a disposizione di ricordi, opere e materiali di lavoro – l’atmosfera dello studio di Albe e Lica Steiner, il loro modo di lavorare aperto e stimolante, pronto a costruirsi nel dialogo fra le cose e le idee. Le immagini per la Rinascente e Olivetti, gli espositori delle penne Aurora e le confezioni Pierrel stanno assieme alla grafica de Il Contemporaneo e di Rinascita, alle edizioni del Politecnico di Vittorini e di Milano Sera, alle collane disegnate per Feltrinelli ed Einaudi. I manifesti e gli allestimenti per la Triennale si confrontano con quelli per il Partito Comunista, la campagna per la Pace con le installazioni del Museo Monumento della deportazione di Carpi. Infine libri e lavoro raccolti assieme alle immagini della vita quotidiana, ci danno la sensazione che gli oggetti e le cose fatti per le case delle vacanze non siano mai stati troppo discosti da quelli prodotti ogni giorno nel mestiere di grafico, nell’attività con le scuole dell’Umanitaria e nell’impegno personale nella società civile. Con la propria esistenza e la

sua opera Albe Steiner è stato testimone del nostro tempo, come pochi altri intellettuali. Risulta evidente il tentativo di coniugare progresso economico e sociale nel quotidiano lavoro della comunicazione visiva in una attività artistica svolta con grande lucidità e senza scostar-

si dalla propria linea di ricerca. Ma se “per Albe il piacere dell’invenzione formale e il senso globale di trasformazione delle società non erano mai disgiunte” (I. Calvino) è anche evidente che l’arco temporale della sua vita e l’intreccio delle diverse attività svolte, come testimoniano i materiali raccolti, sono esemplari sintomatici dell’ambiente culturale di Milano. Di quella molteplice esperienza che si può riconoscere come peculiare della nostra città. Giulio Barazzetta

Albers: per una grammatica del colore Josef Albers. Omaggio al Quadrato Bologna, Museo Morandi piazza Maggiore 6 28 gennaio – 30 aprile 2005 Il Museo Morandi di Bologna, affacciato su piazza Maggiore dalle stanze di palazzo d’Accursio, ospita la prima vera monografica italiana dedicata a Josef Albers, nata da uno scambio con il Museum Quadrat di Bottrop, sua città natale, e curata da Peter Weiermair e da Giusi Vecchi. Attraverso una sessantina di opere, tra cui diversi

Homages to the Square, la serie di quadri “piatti per servire i colori” che Albers realizzò a partire dal 1950, anno del conferimento della cattedra a Yale, si propone un confronto con l’opera di Giorgio Morandi. L’astrazione del moderno professore e la figurazione dell’antico maestro dialogano, a partire da comuni precedenti (fra tutti Monet e Cézanne), sull’esplorazione della variabilità cromatica come generatrice di interazioni e forme. Di Albers appaiono tutta la profondità dell’incessante ricerca e l’apporto didattico all’arte del dopoguerra in America, attraverso allievi diretti, Rauschenberg e De Kooning, che lo hanno necessariamente tradito e accompagnatori dichiarati e non, Rotko, Op Art, minimalisti, più avventurosi o più ingenui, meno inclini di lui a configurare con tenacia una grammatica del colore. Di straordinario interesse la serie delle fotografie: tra queste due ritratti di Klee ed El Lissitzky del periodo eroico del Bauhaus, di cui Albers fu vicedirettore, nel triennio ultimo della direzione di Mies van der Rohe, e una serie di foto da viaggi avventurosi in Messico, del periodo del Black Mountain College, dove approdò, su invito di Philip Johnson, al suo arrivo in America. I fotogrammi rivelano il decisivo rapporto con l’architettura, forma e percorso della vita, e fonte di una ricerca compositiva che culmina, nel ciclo finale, nella sublimazione della forma nel colore. Il catalogo, con saggi dei curatori sulle intenzioni della mostra, di Gillo Dorfles sul rapporto con l’Italia, di Fox Weber e di Wißmann sul procedimento degli Homages, si presta ad affiancare la fondamentale Interaction of Color (1970), vera e propria Teoria dei colori del

moderno. Gli aforismi: “Colore a fuoco diretto, frontale e, se percepito da vicino come qualcosa che respira e pulsa da dentro” ci raccontano tutta una vita: “Lo scopo della vita: creature viventi. Lo scopo dell’arte: creazioni viventi”; tutta la sua vita. Stefano Cusatelli

La Sicilia greca L’urbanistica e l’architettura nella Sicilia greca Agrigento, Museo Archeologico Regionale 14 novembre 2004 – 14 maggio 2005 Lo studio delle strutture insediative urbane delle colonie greche di Sicilia individua un percorso che dalle prime fondazioni delinea in fase matura la nascita della città strutturata. Viene posto come lettura il caso di Megara Iblea. Si prosegue con le fondazioni relative al VII e VI secolo a.C., esaminando il caso di Selinunte, per poi trattare gli spazi privati e pubblici e le strutture di Nasso del V secolo a.C. Si prosegue con lo sviluppo della città nel IV e III secolo a.C., presentando il caso della città di Morgantina. Nella tematica è contemplato anche lo studio delle strutture portuali con le rotte di navigazione e i percorsi di collegamento viari terrestri. La sezione dedicata all’architettura affronta una classificazione particolareggiata che analizza le categorie di studio relative alle varie elaborazioni dei temi dell’edificazione secolare. Dalle costruzioni funerarie alle civili, pubbliche e private, con un approfondimento sulle storiche e locali dell’architettura domestica. Un tema di approfondimento specifico è dedicato all’architettura sacra. Si presenta uno studio tipologico dei templi, peripteri e non, in relazione alle età, ai luoghi di edificazione, all’analisi dei materiali e delle tecniche esecutive, allo sviluppo di schemi esplicativi che espongono l’affascinante tema della metrologia e delle proporzioni euritmiche dell’architettura templare siceliota. I periodi presi in esame tra i secoli VI e la prima metà del V a.C. affrontano lo studio


Salvatore Rapisarda e Michele Romano

La descrizione di un territorio Itinerari lunghi un Fiume Milano, Triennale viale Alemagna 6 14 febbraio – 13 marzo 2005 Alla Triennale si è aperta la mostra “Itinerari lunghi un Fiume: il Po e le sue immagini”. Un’occasione questa per vedere i documenti cartografici più rappresentativi del grande fiume e del suo territorio: la mostra presenta quattro carte provenienti

da differenti luoghi di conservazione: l’Archivio di Stato di Vienna, l’Agenzia Interregionale Po di Parma e l’Istituto Geografico Militare di Firenze. Le carte non fanno solo mostra di sé, anche se la loro fattezza tecnica di disegno conferisce loro lo statuto di vere e proprie opere d’arte, bensì ci danno motivo per riflettere sull’utilità del lavoro cartografico e di rilievo del territorio; mai fine a stesso ma sempre svolto per motivi di necessità vitale; basti pensare alle attività organizzative e strutturali per il rilievo e la conoscenza del proprio dominio che Napoleone istituì. È certo che le carte non danno ragione di tutta la storia di un luogo, se poi è lo scenario di un fiume ancor meno, ma con la loro tecnica e la rappresentazione formale dei fenomeni, ne raccontano le caratteristiche particolari. Penso ad esempio alle piccole cittadine rifondate in epoca rinascimentale secondo le regole dell’epoca, Gualtieri, Guastalla, Sabbioneta e Pomponesco raffigurate nella loro topografia ma anche nella loro morfologia, così da comprendere il rapporto urbano e architettonico che queste hanno con il fiume. E così anche le grandi fortificazioni delle vere città sul fiume come Torino, Piacenza e Cremona, e poi il grande paesaggio a ventaglio, tra terra e mare, verso l’Adriatico e la “magica” Ferrara, lontana fisicamente, ma legata al grande fiume dall’acqua. Insomma, guardare la carta, non solo per registrarne la sua “bellezza oggettiva”, (e lo statuto di documento che oggi riconosciamo) bensì per capirne il suo valore strutturale e strumentale, il piano della rappresen-

tazione della natura geometrica, topografica, corografica e anche d’ambiente del fiume, che non dev’essere la figura da ridisegnare con nostalgia ma il presupposto per un’idea di progetto. Francesco Fallavollita

Giacometti e la Lombardia Alberto Giacometti. Percorsi lombardi Sondrio, Galleria Credito Valtellinese e Museo Valtellinese di Storia e Arte 21 gennaio – 22 aprile 2005 “Con l’animo innocente del montanaro che è cresciuto tra i prati, le pietre e le rocce e le grandi difficoltà di disegnare una montagna che è sempre imprendibile” (Soavi), Alberto Giacometti tornava ripetutamente nella nativa Val Bregaglia, a pochi chilometri dal confine italiano. Una vita scandita dunque dalla linea Parigi-Stampa, a cui, a partire dal ’57, si interseca una direzione lombarda, grazie all’amicizia con lo scultore valtellinese Mario Negri. In un percorso espositivo che si snoda intrecciando opere d’arte e testimonianze biografiche (attraverso una ricca documentazione di lettere, foto, disegni, ecc.), la mostra allestita nelle due sedi di Sondrio si propone di esplorare per la prima volta i “percorsi lombardi” del grande artista svizzero ricostruendone le esperienze e i legami con l’ambiente culturale milanese, come, ad esempio, la partecipazione all’organizzazione della

mostra di scultura nel Parco all’XI Triennale di Milano. Esplorazione tesa anche a rintracciare la mappa dei luoghi da lui più amati: a Milano più che i musei, lo attiravano le architetture, “più immesse nella vita dell’uomo” diceva. “Quante volte, la notte, abbiamo sostato in Piazza Vetra deserta a guardare suggestionati… la basilica di San Lorenzo” ricorda Negri. E, fuori città, le numerose abbazie medievali, ma “era sempre a Santa Maria del Tiglio a Gravedona e a San Fedelino sul lago di Novate (…) che tornava a fermarsi” (Negri). Ma ancor più del paesaggio artificiale, Giacometti cercava le vette, gli avvallamenti, la morfologia topologica di questo tratto della Lombardia, mossa e irregolare come la superficie tormentata e corrugata della sua plastica. “Quando le mie dita palpeggiano l’argilla, le montagne ricominciano a ondeggiarmi intorno” ha scritto una volta. E in effetti, dietro la sua opera, si può sempre scorgere l’orizzonte frastagliato, il profilo frattale dei monti della sua terra o il silenzio vertiginoso dei suoi picchi. “Qualcosa della sua terra, sino all’ultimo è rimasto in lui come limo depositatosi sulle radici più profonde della sua personalità” (Negri). Una mostra rigorosa e affascinante, al confine fra inquadramento geografico di un capitolo della biografia dell’artista e sconfinamento cui le opere d’arte conducono, territori del silenzio verticalizzato, al di là di ogni luogo raggiungibile. Sonia Milone

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dell’architettura jonica nell’isola. Una lettura comparativa confronta le diverse categorie edificatorie dell’architettura greca sviluppando il tema sulla “ricezione dei modelli dell’architettura greca nel mondo indigeno” tra lo spazio funerario, le strutture abitative, gli edifici di culto e le opere di difesa. Di particolare interesse è la sezione dedicata ai “rivestimenti architettonici di terracotta” che invita all’analisi di alcuni edifici di culto ellenico e ad una ricca serie di elementi decorativo-funzionali policromi di derivazione greco-siceliota. Si evidenzia l’evoluzione del sistema di copertura con forme più articolate: una sima dalla curvatura accentuata, delimitata da listelli alla base e al coronamento, e una cassetta che riveste il geison, soluzione individuata dalle officine siceliote, forse siracusane. Parallelamente si evolvono i motivi decorativi delle sime, dalle più semplici lingue alle foglie alternate, con motivi geometrici sui listelli, mentre trecce semplici o doppie sono dipinte sulle cassette. Di straordinario interesse è la ricca produzione di opere di coroplastica che integrano la decorazione degli edifici templari, dal VI secolo i gocciolatoi a tubo con protome leonine, gorgoneia nel triangolo frontonale o nei campi metopali e acroteri con figure di cavalieri sui kalypteres heghemones del colmo del tetto e una ricca serie policroma di sfingi e leoni.


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Rapporti tra architettura e arti visive in esempi milanesi

di Claudio Camponogara e Maria Elisabetta Dulbecco “Fra gli intenti che si posero gli architetti negli anni che seguirono la fine della guerra, i quali coincisero con la ripresa dell’attività edilizia, vi fu quello di riesaminare (con il celato proposito di confutarla) la nota intransigenza del funzionalismo più rigido contro la decorazione in architettura. A taluni architetti sembrò infatti che la decorazione non fosse proprio, o non fosse affatto, quel ‘delitto’ di cui s’era detto”. Così inizia la relazione tenuta da Carlo Perogalli al convegno sull’Architettura e le Arti visive, tenutosi a Roma la sera del 22 marzo 1958. Perogalli afferma che il centro di tale dibattito era Milano città in cui si tenevano riunioni, conferenze, si organizzavano associazioni, riviste ed esposizioni che avevano posto all’ordine del giorno il tema della “sintesi delle arti”; città, inoltre, che rappresentava il luogo dove maggiori erano state le realizzazioni. “Anche se c’è da sospettare che quanto fino ad ora conseguito in questa direzione possa rappresentare soltanto una serie di esperimenti, i quali abbiano i difetti ai quali sempre essi si accompagnano, seppure unitamente al fascino che pure ne costituisce una innegabile prerogativa”. Sempre in quell’occasione Perogalli aveva proiettato immagini di edifici in cui la sintesi delle arti era applicata in modo eloquente. Dalle immagini e da questo breve itinerario dedicato a quelle architetture si individuano due vie: la prima prefigura una collaborazione tra architetto e pittore o scultore, in altre parole il progettista “regala” all’artista le facciate che da lui vengono decorate; la seconda in cui l’architetto è impegnato nella ricerca di composizioni più rigorose, nel tentativo di trasformare il manufatto architettonico in scultura. È opportuno osservare il carattere di originalità di questo fenomeno sia nell’attuazione pratica che come progetto culturale; questa originalità è espressa in

quegli anni solo dal Movimento Arte Concreta, MAC. Questo movimento si fa portatore di una potente istanza di rinnovamento in grado di superare il monopolio creato dal razionalismo-funzionalismo in vista di un modo nuovo e più dialettico di intendere la progettazione. Milano diventa così, per un breve arco di tempo, per architetti e artisti la città dove poter sperimentare una nuova concezione dei rapporti fra le arti. Bibliografia essenziale C. Perogalli, Aspetti dell’architettura contemporanea, Milano, 1952; P. Fossati, Il movimento arte concreta, 1948-1958, Torino, 1980; MAC, Movimento arte concreta 1948-1958, a cura di L. Caramel, Milano, 1984; Arte a Milano 1946-1959. MAC e dintorni, a cura di M. Corgnati, Verona, 1999.

1. ROBERTO MENGHI, MARCO ZANUSO Palazzo per uffici, 1947-48 via Senato 11 Situato nel centro di Milano, l’edificio destinato a sede di una società e ad uffici, è caratterizzato da un allestimento e da finiture di lusso. Le facciate, perfettamente lisce, rivestite in granito rosa lucidato sono percorse dal motivo verticale e parallelo delle finestre a ghigliottina, collegate l’una all’altra, verticalmente dagli sfondati rivestiti in grès marrone. Il fronte su via Senato è tagliato in tutta la sua altezza, da un’ampia vetrata continua che corrisponde alle sale di rappresentanza dei vari piani. “Il gioco delle trasparenze – è scritto su ‘Domus’ – anima questa facciata senza rilievi: attraverso la parete in cristallo si intravedono, ad ogni piano, le fasce orizzontali del pannello, posto come bancale sotto la finestra, in grès colorato di Lucio Fontana, e le quinte, trasparenti anch’esse delle ‘venetion blinds’ in acciaio che schermano all’interno i serramenti delle finestre”. I serramenti interni sono in legno o in cristallo, questi ultimi dotati di maniglie in ceramica modellate sempre da Fontana. L’organizzazione distributiva tipo è a corpo doppio con corridoio

centrale. Il piano terra è invece caratterizzato dal raggruppamento dei servizi verso la corte, vicino al vano scala, dai collegamenti verticali e dalla grande sala per riunioni, compresa fra le due pareti vetrate, quella esterna in facciata e quella interna che da luce all’atrio centrale. Una nuova architettura nel vecchio centro di Milano, in “Domus”, n. 242, gennaio 1950, pp. 1-14; Immeuble de boureaux, Milan, in “l’Architecture d’aujourd’hui”, n. 48, giugno 1953, pp. 52-53.

2. ROBERTO MENGHI, MARIO RIGHINI Cinema Arlecchino, 1948 via San Pietro all’Orto 9 Il profondo processo di rinnovamento che pervade la cultura milanese negli anni della Ricostruzione vedono impegnati un gruppo di architetti e artisti coinvolti nel dibattito sul concetto di “sintesi delle arti”, concetto che prevedeva l’integrazione tra architettura, pittura, scultura. E quale occasione migliore per la realizzazione di un cinematografo? Il compito affidato a Menghi e Righini era quelle di ricavare da un preesistente rustico cantinato, un cinematografo che doveva avere il carattere e l’aspetto accogliente di un circolo più che di una semplice sala da spettacolo. Dall’ingresso una scala scende al ridotto dove si trovano: la biglietteria, il guardaroba e il bar. La sala di proiezione, di ridotte dimensioni, è ingrandita e movimentata dall’andamento del soffitto a grandi lamine in gesso bianco, dal gioco delle parete anch’esse bianche, e dal motivo a spina di pesce dei dorsi colorati delle poltrone. Il pannello di Lucio Fontana sotto lo schermo è pensato come spettacolo esso stesso, non una cornice ma un quadro: un pannello in ceramica, coperto di vernice, che illuminato da lampade a luce Wood, doveva as-

sumere colorazioni diverse nell’ambiente buio. Inoltre all’ingresso, appesa al soffitto è collocata la scultura da cui deriva il nome del cinema: un Arlecchino a mosaico in rilievo in modo da essere particolarmente sensibile alla luce artificiale. Nell’atrio, vicino al bar, infine, si trovano cinque grandi pannelli laccati di Fornasetti che rappresentano scene tratte dalla vita di Arlecchino. Cinema Arlecchino, in “Domus”, n. 231, giugno 1948, pp. 18-23.

3. TITO VARISCO, MARIO GUERCI Autorimessa, 1949 via De Amicis 20 Presentando il progetto sulla rivista “Spazio”, Vittorio Bini scriveva che “il peculiare e positivo carattere di questa autorimessa dell’architetto Tito Varisco e dell’ingegnere Mario Guerci è la assoluta elementarità: è un tipico esempio di funzionalismo chiaramente e compiutamente inteso che per tale sua qualità raggiunge termini espressivi notevoli. Nulla di questa costruzione ha origine al di fuori del campo delle necessità tecniche, costruttive e distributive. Ne è risultato un complesso con un’estetica viva, esattamente dosata al soggetto, senza mestiere e senza miseria. La chiarezza distributiva in pianta e in alzato ha determinato un organismo volumetrico chiaro, fedelissimo specchio dell’organizzazione statica e dinamica della costruzione”. D’altra parte era tipica di Varisco la decisa presa di posizione nel risolvere problemi specifici che si presentassero in sede di progetto: ne nasce un’architettura che può sacrificare raffinate soluzioni di particolari, ma che insiste su pochi, chiari, sicuri concetti. Al piano terreno sono collocati una stazione di servizio, l’ingresso e l’officina seminterrata; mentre ai piani, i saloni di posteggio e la rampa. “Questi gli elementi e ognuno di essi è caratterizzato dalle sue proprie necessità. Il modo di armonizzarli tra loro ha tenuto conto sia che non stridessero in sede formale per rispettare la propria funzione, sia che non sfalsassero le funzioni per rispettare pretesti d’estetica” anche


4. VITO LATIS, LUCIO FONTANA (decorazioni plastiche) Casa per abitazioni, 1951-52 via Lanzone 6, via Ghisleri 2

Gio Ponti, Una casa d’abitazione: esterni e interni, in “Domus”, n. 273, settembre 1952, pp. 20-24; Piero Bottoni, Antologia degli edifici moderni in Milano, Editoriale Domus, Milano, 1954, pp. 163-165.

meva Ponti su “Domus”: “Beato Zanuso che ha dedicato la sua facciata ad un pittore, Giovanni Dova, ed a quelle figurazioni che si dicon astratte, e con linguaggio più esatto si direbbero concrete (…) questa di Zanuso non è una architettura che si estroflette dall’interno all’esterno dove il fatto della pianta si annulla, direi, nel suo determinare l’apparenza visuale esterna totale, cioè anche in penetrazione, dell’edificio: questa è invece una architettura chiusa, che porge al paesaggio urbano una figurazione, una figurazione lirica; questa figurazione è ancora timida (nonostante che Zanuso sia arditissimo, e finora il solo da noi, nel volerla e nell’attuarla) ma il fatto è importantissimo, ed il suo esempio va seguito (…) Zanuso ci mostra che se l’architettura va ritrovando le sue pure forme, le sue forme vere, cerca anche i modi di immergerci un’altra volta nel fantastico, nelle leggende, nelle figurazioni gigantesche, al vero: in ambiente nella realtà figurativa e non nelle ipotesi ridotte di realtà che sono ancora i quadri. Forse qui, in queste pareti in Fulget e non nel fare qualche parete “a fresco” è la soluzione di quella cooperazione fra pittura ed architetti della quale tanto si discute. Zanuso ha mostrato la via”.

Il complesso sorge in una zona centrale della città, colpita pesantemente dai bombardamenti del 1943 e si articola in due edifici, con strutture in cemento armato, uno di 4 e l’altro

5. MARCO ZANUSO, GIANNI DOVA (pittura murale) Casa per abitazioni e uffici, 1950-51 viale Gorizia 14/16

Marco Zanuso, Architettura e pittura, in “Edilizia moderna”, n. 47, dicembre 1951, pp. 43-48; Gio Ponti, Astrattismo in facciata, in “Domus”, n. 267, marzo 1952, pp. 2-3 e 61.

se è evidente un riferimento all’architettura neoplastica. Il fronte su via De Amicis è caratterizzato da una parete completamente vetrata di interessante fattura. La parete vetrata è inoltre sporgente e inclinata rispetto a quella verticale della facciata e si presenta, nella sequenza dei piani superiori, come a denti di sega. Le facciate sono rivestite in mosaico greificato, i serramenti sono in ferro, le pavimentazioni delle rampe in grès ceramico zigrinato, quelle dei solai in cemento armato bocciardato. Pochi anni fa l’edificio è stato ristrutturato su progetto di Vincenzo Montaldo e Franco Morini. Vittorio Bini, Struttura di una Autorimessa, in “Spazio” n. 6, dicembre 1951 – gennaio 1952, pp. 31-35; Piero Bottoni, Antologia di Edifici moderni in Milano, Editoriale Domus, Milano, 1954, pp. 168-170.

L’edificio sorge in parte allineato sul filo stradale e in parte arretrato, dando vita ad un’architettura interessante oltre che per le soluzioni distributive e funzionali anche per la sua carica espressiva. All’interno di un’architettura definita in una composizione spaziale a schema simmetrico, organizzata all’interno di una modulazione impostata sul quadrato, viene sviluppata una composizione pittorica autonoma che per la sua tesi cromatica e dimensionale risulta particolarmente dinamica. Così si espri-

6. GIGI GHÒ Edificio ad abitazioni, 1951 via S. Antonio Maria Zaccaria 25 Gio Ponti scriveva su “Domus”: “Il carattere e lo stile di questo atrio d’ingresso dell’architetto Gigi Ghò, per una casa a Milano, è dato dalla sua composizione plastica e dal colore. L’atrio di questo edificio non è perciò fine a se stesso, ma esprime una continuità di composizione dell’interno con l’esterno, e dell’esterno con l’interno. Il marmo

qui impiegato entra come nota di colore: in bianco statuario le pareti ed il pavimento a piano terra, in rosso Collemandina la scala librata elicoidale ed il pavimento al piano rialzato: due materiali che sembrano dello stesso blocco avendo venature uguali e differenziazioni solo nel colore di fondo: due colori che si compongono già di per sé molto felicemente (…) I fiori sul pavimento a piano terra aumentano non solo, la vivacità dell’atrio, ma esprimono una reale continuità d’ambientazione e di visuale; di esterno con interno, di “momento” e di fusione”. Anche nello studio delle

piante sono evidenziate le vedute dell’esterno verso l’interno. Lo studio della più razionale distribuzione delle aerazioni, lo sbalzo dei terrazzi, il rapporto con le insolazioni e la ricerca delle più ampie visuali, sono concetti informatori di questo schema compositivo. Il fronte su strada è caratterizzato dallo sbalzo dei balconi che hanno pure funzione di schermo per il sole. Rivestimento: pilastri in granito verde, blocco superiore in tessere grès nei colori bianco-giallo-azzurro con motivo a fase ondulatorio”. Gio Ponti, Il marmo è colore, in “Domus”, n. 285, agosto 1953, p. 30.

7. ATTILIO MARIANI, CARLO PEROGALLI Edificio per abitazioni, 1951-52 viale Beatrice d’Este 24 Uno degli edifici più ricchi di suggestioni e più significativi di tutto il movimento per l’arte concreta è probabilmente la casa d’abitazione di via Beatrice d’Este chiamata anche “Casa astratta” ispirata all’opera di Alberto Magnelli, pittore astratto di origini toscane, ma attivo a

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di 8 piani, isolati nel giardino e arretrati rispetto al filo stradale. L’edificio più alto, parallelo alla via Ghisleri, presenta una composizione dinamica, un fronte compatto, caratterizzato da aperture regolari che lo interessano interamente, e rivestito in marmo bianco Perlino. Questa preminenza delle aperture ha fatto scrivere a Ponti: “una facciata leggera davanti alla facciata: la facciata delle terrazze, della vita all’aperto, della vita sospesa”. Tale scelta stilistica si avvalora nel contatto con il giardino che circonda il complesso. Di particolare pregio sono anche le finiture interne, i marmi delle scale e degli spazi comuni, i parquet degli appartamenti, i doppi infissi in legno. I balconi in ferro sono ornati da lastre di ceramica orizzontali con figurazioni astratte di Lucio Fontana, in forme fluide ispirati a motivi organici, nei toni del rosso, verde cupo, giallo e blu. L’incontro tra questi colori e il bianco della facciata conferisce all’edificio quella “festosità” di cui parla Piero Bottoni nella sua Antologia che definisce “un senso moderno di abitabilità” ottenuta dall’unione degli elementi tecnico-costruttivi con gli elementi plastico-coloristici della decorazione.


Anna chiara Cimoli, “Milan Builds”: Professionisti, Architetti, Istituzioni, Tesi di Dottorato in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica, volume II, XIV ciclo, Politecnico di Torino, pp. XXXI-XXXII. Giuliana Ricci, Guardare l’architettura. Passato e presente negli scritti di Carlo Perogalli, un architetto moderno, Unicopli, Milano, 2002, p. 52.

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8. CARLO PACCAGNINI, ERNESTO E. BIANCHI, ROBERTO CRIPPA (decorazioni) Casa in condominio, 1953 via Canova 15

Parigi. Mariani stesso in un’intervista rilasciata nel 2001 affermava: “Considero quel condominio il nostro migliore risultato in quest’ambito: l’idea non era quella di far ‘scomparire’ il condominio, ma di vederlo il meno possibile una composizione di soli elementi architettonici coincidenti con le parti strutturali della casa. Abbiamo così creato il motivo astratto dei balconi blu, giocando sul motivo del colore e su quello dei pieni e dei vuoti”. Lo stesso disegno viene ripreso in negativo all’interno dell’androne dove un intarsio nel pavimento di gomma ha lo scopo di istituire uno stretto rapporto tra la facciata e lo spazio interno, dove si trova inoltre una scultura di Mariani. Anche Perogalli giudica questa realizzazione una delle più originali e significative in cui “la sintesi delle arti (…) si segnala anche per la forte componente cromatica: la facciata dell’edificio possiede un rivestimento in spaccato di marmo bianco e tessere di ceramica blu (…) La decorazione si esprime sia nella libera composizione sia nella scelta dei colori in facciata”. Gli architetti rilevano che “la maggior parte delle architetture da noi profetate è stata purtroppo modificata; l’unica in cui c’è stata la volontà dei condomini di preservare la decorazione esistente è stata la casa di via Raffaello Sanzio”.

L’edificio sorge allineato al filo stradale a pochi passi dal Parco Sempione. La ricerca di una buona composizione architettonica è stata determinata sia dalla necessità di svincolarsi dagli schemi usuali, sia dalle poco gradevoli proporzioni del rettangolo comprendente la facciata: il fronte del terreno si presenta molto stretto in rapporto all’altezza del filo di gronda (m. 13 e m. 30 rispettivamente). Ne nasce un fronte in cui i progettisti hanno cercato di contrapporre un complesso di elementi più vivi, creando delle profondità volumetriche e tenendo presente l’importanza dei giochi d’ombre nel sottolineare pieni e vuoti. L’immobile si presenta come una serie di ville sovrapposte, in quanto tutti gli alloggi si ripetono uguali, anche gli elementi esterni sono uguali e ricorrenti fino alla gronda che riunisce due ritmi diversi e paralleli: tre pilastri

continui in vista dividono il fronte in due parti diseguali, e la parte più larga delle terrazze è suddivisa a sua volta in tre campi da due pilastri arretrati. Il piano rialzato, destinato ad uffici e ai servizi generali dell’abitazione, è arretrato rispetto alla strada e supporta l’aereo ritmo delle terrazze. Anche i serramenti metallici sono arretrati, per esaltare la presenza al piano terreno di un pannello decorativo opera del pittore Roberto Crippa. Infine, tutta la facciata è rivestita di tesserine di grès colorate, verde acqua per i pilastri, bianco per i tamponamenti. Nell’atrio è collocato, su di una parete di fondo dietro il cristallo, una composizione sempre di Crippa. Casa in condominio a Milano, in “Edilizia Moderna”, n. 52, giugno 1954, pp. 45-50.

9. BOBI BRUNORI, MARIO RAVEGNANI, ANTONELLO VINCENTI Casa sperimentale B 24 alla X Triennale di Milano, 1954 “Per questo tipo di casa sperimentale ci siamo posti tre problemi: 1 quello della vita pensando l’abitazione in modo differente da quello tradizionale in ragione delle esigenze molteplici e varie della vita di oggi; 2 quello tecnico dei materiali e dei mezzi di costruzione; 3 quello dell’arte con speciale riferimento alla concezione del nostro studio B 24. Questa casa l’abbiamo realizzata quanto più leggera e ‘aerea’ possibile; come una automobile e un aereo essa è smontabile e trasportabile. Abbiamo cercato inoltre, con una ricerca di volume e di forma con l’aiuto di elementi puri come il triangolo e l’esagono e l’apertura delle due estremità della casa, di rendere il suo interno accogliente. Abbiamo utilizzato i materiali più moderni e altri che non erano mai stati utilizzati prima e che hanno dato i risultati migliori. L’architettura ha di nuovo bisogno del contributo dell’arte. Dopo il metodo ‘nichilista’ che spinse l’architettura ad usare i muri nudi e bianchi si domanda oggi molto di più, l’elemento decorativo non può essere eliminato. Bisogna che vada d’ac-

cordo con il suo tempo, che sia integrato e non sovrapposto. La nostra creazione, lo studio B 24, da tempo ricerca in questo senso la sintesi delle arti, favorisce l’incontro di artisti, studia con essi i problemi speciali di architettura e di ‘industrial design’. Abbiamo conservato all’interno della casa sperimentale i muri grigi, senza alcun oggetto e decorazione per mettere in valore il parquet in linoleun di differenti colori con forme ad incastro (disegno di De Fusco) e il soffitto in perspex luminoso realizzato da Pantaleone. Per richiamare la semplicità essenziale della casa con la purezza delle loro linee alcune sculture del gruppo Espace furono collocate all’esterno. Un impianto ideato da Veronesi con gli stessi colori della casa è stato purtroppo mal eseguito. Il risultato è sicuramente imperfetto ma è necessario insistere con questi tentativi”. La casa sperimentale B 24, in “Aujourd’hui: Art e architecture” n. 1 gennaiofebbraio, 1955, pp. 15-19.

10. VITTORIANO VIGANÒ Galleria Apollinaire, 1954-55 via Brera La Galleria, situata un tempo in via Brera, oggi andata distrutta, era formata da una sola stanza quadrata, con porta e vetrina sulla strada, realizzata in modo semplice e austero. Tutte le pareti sono state lasciate grezze; con questa materia ruvida e incolore il muro scompare ed è questa soluzione per l’architetto il modo di esporre. Il muro grezzo non fa superficie, non avvicina, non lega, rendendo più preziosa la pittura esposta senza cornici. I quadri vengono fissati a montanti di alluminio, sospesi, staccati sia dal soffitto sia dal


Allestimento di una mostra, allestimento di una galleria, in “Domus”, n. 315, febbraio 1956, pp. 49-51.

11. GIANDOMENICO BELOTTI, SERGIO INVERNIZZI CON VITTORIO KORACH E FRANCO REGE-GIANAS (strutture). GINO CASENTINO (decorazioni) Casa d’abitazione, 1954-56 via Cimarosa 7 La particolare forma planimetrica ha condotto alla soluzione di un appartamento per piano, così composto: soggiorno, che occupa tutta la parte della costruzione prospettante su strada, locali letto con bagno con prospetto verso l’interno, cucina, guardaroba e bagno di servizio. L’edificio è di otto piani, con struttura portante in cemento armato a telaio a vista e tamponamento in mattoni. La struttura verticale e orizzontale in calcestruzzo armato gettato entro casseforme metalliche quando possibile è stato lasciato nel suo aspetto reale. Le solette verso strada e i pilastri dell’atrio, sono stati realizzati con casseforme di gesso nelle quali erano stati inseriti in negativo elementi plastici dello scultore Casentino. Le sculture, inserite nei pilastri, sono state collocate sui lati maggiori, tra loro distanziate e sporgenti, perché non violassero il significato dell’elemento strutturale e divenissero plasticamente più strumentali. L’esigenza di proiettare all’esterno lo spazio interno dell’ingresso ha determinato la realizzazione della scala tagliata diagonalmente. Il prospetto su via Cimarosa dichiara una superficie completamente vetrata, scandita regolarmente dalle semplici partiture dei serramenti. La fronte poste-

riore è invece coloristicamente giocata col mattone e col cemento della struttura. Presentando su “Architettura e cantiere” questo edificio Belotti scriveva che: “la purificazione razionalista in contrapposizione al caos strutturale del periodo precedente, ha maturato la necessità di introdurre nell’equazione architettonica, in dialettico contatto, la scultura e la pittura, non per un passivo ritorno alla decorazione, ma per una vitale istanza dello spirito. La necessità di rompere plasticamente e di dare una profondità cromatica alle superfici sono motivi storicamente coesistenti di una profonda coerenza linguistica, maturata per includere altre espressioni d’arte nell’organismo architettonico, non di reazione a che gli elementi puri dell’architettura assumano l’assoluto ed incontrastato predominio, bensì per realizzare la perfetta simbiosi”.

il vuoto del serramento e il bianco del copricassonetto: un piacevole effetto certamente”. Un ulteriore elemento che determina la dinamicità del fronte è dato dallo sfalsamento delle aperture. Al piano terreno trovano ubicazione, oltre alla portineria e alla relativa abitazione del custode, due uffici e un appartamento di 5 locali. Il piano tipo è suddiviso in due appartamenti di sei e di cinque locali, ciascuno con doppi servizi e ingressi.

Giandomenico Belotti, Sergio Invernizzi, Una casa in via Cimarosa a Milano, in “Architettura cantiere”, n. 13, giugno 1957, pp. 18-23.

Inserito in un lotto lungo e stretto delimitato da via Canova e dal tracciato delle Ferrovie Nord, l’edificio si innalza per nove piani con struttura in cemento armato e a corpo doppio. Anche in questo intervento i progettisti risolvono il volume architettonico trattando i due fronti con la stessa attenzione compositiva. Questo intento prende forma attraverso la realizzazione di grandi aperture da parete a parete, scandite dal grigio della struttura portante in cemento e dal bianco dell’intonaco. Il prospetto su via Canova è trattato ancora una volta mettendo in evidenza il contrasto strutturale della partitura e il rivestimento in maiolica bianca; compare inoltre un coronamento formato da leggere mensole aggettanti. Lo scheletro della struttura oltre che caratterizzato da

12. ATTILIO MARIANI, CARLO PEROGALLI Casa di abitazione, 1956-57 via Beatrice d’Este 26 L’edificio a pianta rettangolare, contiguo alla “Casa astratta” è costituito da una sola manica doppia di otto piani fuori terra più il seminterrato. La struttura portante è in cemento armato con solai misti e copertura a terrazza. La facciata verso il viale Beatrice d’Este è trattata a balconate continue collegate verticalmente da montanti metallici verniciati di nero. Il prospetto del fianco è invece rivestito a scacchi di litoceramica a colori alternati avana e bruno. E questa caratterizzazione del colore è l’elemento principale. “Allora: colore sì, ma in funzione architettonica, il che è seguir l’esatta via. In questa casa una tessitura minuta e sottile, segnata, con motivo conosciuto ma ben usato, dai montanti che legano i balconi, si accompagna una scacchiera di pannelli di clinker bicolori, alternativamente uguali, fra questi due colori funziona da separazione

Renato Bazzoni, Gioco coloristico in una costruzione, in “Edilizia Moderna”, n. 61, agosto 1957, pp. 77-80.

13. GIANDOMENICO BELOTTI, ACHILLE BORASCHI, SERGIO INVERNIZZI, con VITTORIO KORACH (strutture). GIÒ E ARNALDO POMODORO (decorazioni plastiche) Casa d’abitazione, 1958-60 via Canova 7/A

rastremature verso l’alto è “enfatizzato dalle sculture decorative di Arnaldo e Giò Pomodoro, che si inseriscono organicamente negli elementi portanti, perdendo ogni carattere di sovrapposizione ornamentale”. Anche gli spazi interni – è previsto un unico alloggio per piano, con doppio affaccio – rispecchiano questo spartito: “Ogni spazio elenca la genesi dell’edificio e comunica il recupero dei valori reali e psicologici dei materiali. I muri normali alla strada sono in mattone, quelli paralleli in legno. Il cemento armato porta l’edificio. Gli argomenti strutturali non si esibiscono in forma presuntuosa, ma ricchi di umiltà della loro funzione priva di ambiguità, accettano la testimonianza della storia”. L’atrio, arretrato dalla strada, si apre verso l’ingresso in modo da estendere e definire lo spazio pubblico. Fulvio Irace, Milano moderna, Milano, Federico Motta, 1996, p. 65; Giandomenico Belotti, Abitare l’ultimo piano, in “Artecasa”, n. 55, 1964, pp. 4-10.

14. Pitture e sculture al QT8, 1948 Si può rilevare, al fine di offrire un quadro il più ampio possibile del movimento, che esso non toccò solo alloggi signorili in quartieri eleganti, ma coinvolse anche zone destinate ad un’utenza più comune, dominata quindi da insediamenti di minore pretese. Ad esempio al QT8 si riscontrano inserimenti di opere scultoree e pittoriche di artisti, taluni ignoti, altri invece, in qualche modo riconducibili all’esperienza del MAC. È possibile ritrovare sia opere figurative sia decorazioni a mosaico a porcellana smaltata, e ad altre tecniche eseguite su disegni appositi studiati dai pittori Roberto Crippa, Gianni Dova e Atanasio Soldati e dell’architetto Bottoni e poste nel sottoportico della grande Ina casa di Lingeri e Zuccoli o nelle pareti del Padiglione per Mostre e della casa Incis di via Bertinoro di Bottoni stesso. Piero Bottoni, Antologia di edifici moderni in Milano, editoriale Domus, Milano, 1954.

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pavimento. Pareti a muro grezzo, a intonaco rustico naturale, soffitto bianco, illuminazione a lampade fluorescenti a vista. Sembra di veder concretizzato il pensiero di Le Corbusier quando affermava a proposito dello “spazio indicibile”: “Architettura, scultura e pittura dipendono in modo specifico dallo spazio, hanno necessità di controllarlo, ciascuna secondo i propri mezzi. Ciò che intendo sostenere è che la chiave delle emozioni estetiche è una funzione spaziale”.


a cura di Walter Fumagalli

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Decreto Legislativo 42/2004 L’Articolo 1.2 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 stabilisce che “la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”. Per la prima volta il legislatore codifica un esplicito e inscindibile legame tra l’opera d’arte (fattore fondamentale del “patrimonio culturale”) e il territorio, sancendo il principio per cui la preservazione del territorio è garantita grazie non solo ad un ordinato sviluppo urbanistico ed edilizio, ma anche alla cura con cui gli enti preposti tutelano e valorizzano il patrimonio culturale. Non a caso il successivo Articolo 10 dispone che costituiscono beni culturali anche “le pubbliche piazze, vie strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico”. La città, dunque, non è più solo una espressione territoriale che ospita un numero più o meno nutrito di opere d’arte, ma diventa essa stessa, quantomeno in certe sue parti, un bene culturale di interesse artistico e storico. È quindi importante capire quale ruolo l’ente che amministra la città (ovvero il Comune) può giocare nella tutela delle opere d’arte, e quali strumenti a tal fine possiede. Le funzioni riguardanti le opere d’arte possono essere raggruppate in due insiemi: le funzioni di tutela e quelle di fruizione e valorizzazione. La tutela Essa comprende l’attività volta a individuare i beni costituenti il patrimonio culturale, e quella volta a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione. Ai sensi dell’Articolo 4 del Decreto Legislativo 42/2004, l’esercizio della funzione di tutela è attribuito soltanto al Ministero per i beni culturali, il quale però può decidere di adempiere direttamente a tale compito, oppure di affidarlo alle regioni. Per quanto riguarda l’individuazione dei beni culturali, i comuni:

• possono chiedere al soprintendente di avviare il procedimento volto alla dichiarazione dell’interesse culturale di un bene (Art. 14); • devono aiutare il Ministero a catalogare i beni culturali, e devono provvedere alla catalogazione diretta dei beni di loro proprietà (Art. 17); • possono sottoscrivere con il Ministero accordi finalizzati all’esecuzione di interventi sui loro beni (Art. 24); • possono istituire, in collaborazione con il Ministero e le regioni, centri di ricerca, sperimentazione, studio e documentazione (Art. 29). Per quanto riguarda la protezione e la conservazione dei beni, il codice impone agli enti locali l’obbligo di garantirne la sicurezza e la conservazione, ma subordina sempre la loro attività alla preventiva autorizzazione ministeriale, fermo restando che in presenza di una situazione di assoluta urgenza i comuni, al pari degli altri enti locali e dei privati, possono effettuare direttamente gli interventi provvisori indispensabili per evitare danni ai beni tutelati, dandone immediata comunicazione al Ministero, ma senza dover attenderne l’autorizzazione. La valorizzazione Essa consiste nell’esercizio delle funzioni dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica. L’Articolo 111 del Decreto Legislativo 42/2004 dapprima stabilisce che “le attività di valorizzazione dei beni culturali consistono nella costruzione e organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all’esercizio delle funzioni”, e successivamente precisa che l’attività di valorizzazione è a iniziativa pubblica o privata. La valorizzazione a iniziativa pubblica, in particolare, deve conformarsi ai princìpi di libertà di partecipazione, pluralità di soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione. A quanto si può capire, tutte le am-

ministrazione pubbliche, al fine di svolgere nel modo migliore le funzioni di cui sono titolari in materia, devono dotarsi di uno specifico ufficio e fornirgli tutti i mezzi all’uopo necessari, destinando stabilmente a bilancio le risorse relative. In concreto, le attività pubbliche di valorizzazione possono essere gestite in forma diretta o indiretta, e i comuni ricorrono ordinariamente alla gestione indiretta affidandola, nel rispetto delle leggi regionali emanate in conformità ai princìpi dettati dal Decreto Legislativo 42/2004, a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri soggetti, oppure mediante concessione a terzi laddove una attenta valutazione comparativa in termini di efficienza ed efficacia lo consigli. Nell’ambito della gestione indiretta il Decreto n. 42/2004 annovera, evidenziandone la strategicità mediante l’Articolo 121, la sottoscrizione di protocolli di intesa con le fondazioni bancarie, ovvero quegli enti pubblici che, fin dal momento in cui furono creati per consentire la privatizzazione di gran parte del sistema bancario del Paese, includono tra i propri scopi istituzionali proprio la conservazione e la valorizzazione del patrimonio artistico delle comunità di riferimento. Emanuele Ratto

I beni culturali dei Comuni Se è vero che l’arte è città (e forse anche che la città è arte), è altrettanto vero che l’ente deputato prioritariamente alla gestione della città, cioè il Comune, spesso è anche il maggior proprietario di beni immobili facenti parte del patrimonio culturale, presenti nel territorio di competenza. Anzi alcuni di tali beni, come per esempio “le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico”, per loro stessa natura appartengono principalmente, se non in via esclusiva, ai Comuni.


“disposizioni della presente legge” senza eccezione alcuna, il terzo comma dell’Articolo 4 in esame aveva inteso fare riferimento anche ai precedenti primo e secondo comma del medesimo articolo, e quindi i beni culturali di proprietà pubblica erano da considerare soggetti alle norme della legge n. 1089/1939 solo dopo il loro inserimento negli elenchi e nelle dichiarazioni indicate da tale articolo (Consiglio di Stato, Sezione VI, 8 gennaio 2003 n. 20; 8 febbraio 2000 n. 678; 2 novembre 1998 n. 1479). Un contemperamento fra i due orientamenti era stato invece tentato da chi riteneva che un provvedimento amministrativo fosse superfluo solo per quei beni che presentavano “inequivocabilmente” interesse storicoartistico (T.A.R. Umbria, 15 dicembre 1995 n. 510), e che negli altri casi il mancato inserimento negli elenchi imponesse quanto meno “un’attività di ricognizione della preesistente situazione fattuale volta all’accertamento dell’esistenza dei presupposti per la qualificazione del bene come bene di interesse artistico e storico” (Consiglio di Giustizia Amministrativa Regione Siciliana, 29 marzo 2000 n. 148). Entrato in vigore il Decreto Legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, sostitutivo della Legge 1089/1939, in pratica la situazione non subiva modifiche: l’Articolo 5 di tale decreto, infatti, riproduceva sostanzialmente il contenuto dell’Articolo 4 della citata legge. Il quadro normativo è invece cambiato con il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 anche se, come si vedrà fra poco, qualche margine di dubbio comunque è rimasto. Quest’ultimo decreto disciplina infatti come segue la materia: • “sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti (…) agli (…) enti pubblici territoriali (…) che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico” (Articolo 10.1); • “le cose immobili e mobili indicate all’Articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre cinquanta anni, sono sottoposte alle

disposizioni del presente Titolo fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2” (Articolo 12.1); • “i competenti organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono (…), verificano la sussistenza dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1” (Articolo 12.2); • nel caso in cui sia stata accertata la sussistenza di tale interesse, “i beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni del presente Titolo” (Articolo 12.7); • invece, “qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l’interesse di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente Titolo” (Articolo 12.4). A fronte di queste norme, ci si domanda: poiché il riportato Articolo 12.1 sottopone alle disposizioni del decreto “le cose immobili e mobili indicate all’Articolo 10, comma 1”, e poiché quest’ultimo si riferisce solo alle cose “che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”, in assenza della verifica ministeriale sono da considerare soggetti alle norme del Decreto Legislativo n. 42/2004 tutti i beni di proprietà dei Comuni e degli altri enti pubblici che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquant’anni, oppure solo quelli che in più presentino detto interesse? La risposta può essere rintracciata nell’Articolo 12.4: se la verifica ministeriale accerta che il bene è privo di interesse “culturale”, tale bene “è escluso” dal campo di applicazione del decreto. Ma se a partire da quel momento “è escluso” da tale campo di applicazione, evidentemente prima vi era “compreso” per cui sembra logico ritenere che, in assenza della verifica ministeriale, tutti i beni dei comuni di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquant’anni siano soggetti al Decreto Legislativo n. 42/2004. W. F.

41 PROFESSIONE LEGISLAZIONE

Stando così le cose, non è certo di importanza secondaria stabilire quando un bene di proprietà comunale debba essere considerato di valore culturale, e quindi sia soggetto alle disposizioni dettate dalla normativa vigente in materia. Per i beni di proprietà privata il problema è generalmente di facile soluzione: sono di rilevanza culturale quelli individuati espressamente dal Ministero, al termine dell’apposito procedimento a tal fine disciplinato dalla legge. Per i beni di proprietà pubblica in genere, e per quelli di proprietà comunale in particolare, la situazione è invece un po’ più complicata. Vigente la Legge 1° giugno 1939 n. 1089, trovava applicazione l’Articolo 4 della stessa, il quale fissava le seguenti regole: • “i rappresentanti (…) dei comuni (…) devono presentare l’elenco descrittivo delle cose indicate nell’Art. 1 [NdA cioè, di quelle aventi interesse artistico e storico] di spettanza degli enti (…) che essi rappresentano” (primo comma), ed “hanno altresì l’obbligo di denunziare le cose non comprese nella prima elencazione e quelle che in seguito vengono ad aggiungersi per qualsiasi titolo al patrimonio dell’ente” (secondo comma); • tuttavia, “le cose indicate nell’Art. 1 restano sottoposte alle disposizioni della presente legge, anche se non risultino comprese negli elenchi e nelle dichiarazioni di cui al presente articolo” (terzo comma). Proprio quest’ultima disposizione aveva generato dubbi e discussioni. Secondo un orientamento infatti, essa stava a significare che i beni culturali di proprietà degli enti pubblici erano soggetti alle disposizioni contenute nella Legge n. 1089/1939, anche se non erano stati ancora inseriti negli elenchi e nelle dichiarazioni previsti dall’articolo 4 (Corte di Cassazione penale, 20 novembre 1998 n. 12003; Consiglio di Stato, Sezione VI, 22 marzo 1993 n. 255; Corte di Cassazione civile, 26 giugno 1990 n. 6496). Secondo un altro orientamento, invece, avendo dichiarato applicabili le


a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato

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Leggi G.U n. 302 del 27.12. 2004 Serie generale Legge 15 dicembre 2004, n. 308 Delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione L’Art. 1 della seguente legge stabilisce che il governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e materie, anche mediante la redazione di testi unici: gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati; tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche; difesa del suolo e lotta alla desertificazione; gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e fauna; tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente; procedure per la valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), per la valutazione ambientale strategica (V.A.S.) e per l’autorizzazione ambientale integrata (I.P.P.C.); tutela dell’aria e riduzione delle emissioni di atmosfera. G.U. n. 306 del 31.12.2004 Serie generale Legge 30 dicembre 2004, n. 311 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2005) All’interno della finanziaria c’è un unico articolo con 572 commi non omogenei. Essi riguardano le norme per l’edilizia, gli appalti e il settore immobiliare. Sono numerose le disposizioni della legge con le quali si tenta di far emergere i redditi immobiliari anche tramite la segnalazione degli agenti immobiliari su affitti e vendite. Riguardo alle norme per l’edilizia è necessario allegare alla denuncia di inizio attività la denuncia delle domanda di variazione catastale o una dichiarazione che attesti che i lavori non hanno comportato modifiche di classamento. G.U. n. 5 del 5.2.2005 3a Serie speciale L.R. 28 ottobre 2004, n. 27 Tutela e valorizzazione delle superfici, del paesaggio e dell’economia forestale Il capo I° della presente legge tratta delle fi-

nalità e norme generali. L’Art. 1 riguarda finalità e obiettivi, l’Art. 2 le funzioni amministrative, l’Art. 3 la definizione di bosco. Il capo II° stabilisce la difesa del patrimonio silvo-pastorale. L’Art. 4 riguarda la tutela e trasformazione del bosco, l’Art. 5 il vincolo idrogeologico e trasformazione d’uso del suolo, l’Art. 6 la protezione dagli incendi boschivi e la difesa fitosanitaria. Nel capo III° sono riportate l’inventario e la carta forestale regionale, la programmazione e la pianificazione. L’Art. 7 tratta dell’inventario, carta forestale e sistema informativo silvo-pastorale, l’Art. 8 della programmazione e pianificazione forestale, l’Art. 9 dei raccordi con la pianificazione territoriale. Il capo IV° riguarda la gestione delle risorse silvo-pastorali. L’Art. 10 stabilisce i criteri per la ricerca, formazione e assistenza tecnica. L’Art. 11 definisce le attività silvicolturali, le norme forestali regionali e la certificazione ecocompatibile, l’Art. 12 si riferisce all’apicoltura, l’Art. 13 alle sistemazioni idraulico forestali, l’Art 14 al materiale forestale di base e di moltiplicazione, tutela alberi di pregio, l’Art. 15 al patrimonio forestale regionale e al patrimonio degli enti locali, l’Art. 16 al progetto grandi foreste. Il capo V° si occupa della promozione dell’economia forestale e delle infrastrutture territoriali, il capo VI° della vigilanza, sanzioni e delle norme finali. G.U. n. 5 del 5.2.2005 3a Serie speciale L.R. 28 ottobre 2004, n. 28 Politiche regionali per il coordinamento e l’amministrazione dei tempi delle città La seguente legge all’Art. 1 stabilisce le finalità, l’ambito e l’oggetto, all’Art. 2 il ruolo dei comuni, delle province e della regione, all’Art. 3 i princìpi di cooperazione e di sussidiarietà, all’Art. 4 i criteri generali di coordinamento e amministrazione dei tempi e degli orari, all’Art. 5 i criteri per l’adozione dei piani territoriali degli orari, all’Art. 6 i contributi per i piani territoriali degli orari, all’Art. 7 le attività di promozione, ricerca e formazione, all’Art. 8 le attività di monitoraggio e valutazione, all’Art. 9 la norma finanziaria. B.U.R.L. 2° Suppl. straordinario al n. 52 del 21 dicembre 2004 D.g.r. 26 novembre 2004, n. 7/19609 Approvazione del piano della riserva naturale “Sasso Malascarpa” e pS.I.C. IT2020002 “Sasso Malascarpa” (Art. 14 L.R. 30 novembre 1983, n. 86; Art d.P.R. 357 dell’8 settembre 1997) P.R.S. 9.6.1. – Obiettivo 9.6.1.1.

La giunta regionale delibera di approvare il piano della riserva naturale “Sasso Malascarpa” costituito dai seguenti elaborati che fanno parte integrante e sostanziale del presente atto: relazione generale al piano; rappresentazioni grafiche; norme di attuazione; programma degli interventi prioritari; allegati. Riconosce inoltre lo stesso piano della riserva naturale “Sasso Malascarpa” come piano di gestione del pS.I.C. IT2020002 ai sensi dell’Art. 4 del d.P.R. 357/97. Viene dato atto che l’ente gestore, in relazione all’evolversi della situazione naturalistica della riserva e all’attuazione degli interventi previsti dal piano, provvederà alla verifica e all’aggiornamento periodico dello stesso. B.U.R.L. 1° Suppl. straordinario al n. 52 del 21 dicembre 2004 L.R. 16 dicembre 2004, n. 35 Istituzione del Parco naturale dell’Adda Nord All’Art. 1 la presente legge tratta dell’istituzione e la finalità del Parco naturale. All’Art. 2 stabilisce la gestione dl parco. L’Art. 3 definisce il piano per il parco, l’Art. 4 il regolamento del parco, l’Art. 5 i divieti. L’Art. 6 riguarda le norme transitorie e finali, l’Art. 7 l’entrata in vigore. B.U.R.L. 5° Suppl. straordinario al n. 52 del 24 dicembre 2004 D.g.r. 26 novembre 2004, n. 7/19613 Approvazione del “Programma annuale 2005 di attuazione del Programma Regionale per l’Edilizia Residenziale Pubblica 2002-04” ai sensi dell’Art. 3, comma 52, lettera b), della L.R. 1/2000 La giunta regionale delibera di approvare, ai sensi dell’Art. 3, comma 52, lettera b), della L.R. 1/2000, il “Programma annuale 2005 di attuazione del Programma Regionale per l’Edilizia Residenziale Pubblica 2002-04”. B.U.R.L. 2° Suppl. straordinario al n. 2 del 11 gennaio 2005 D.g.r. 10 dicembre 2004, n. 7/19795 Approvazione del piano della Riserva Naturale “Monte Alpe” e riconoscimento dello stesso come piano di gestione del pS.I.C. IT2080021 “Monte Alpe” (Art. 14 L.R. 30 novembre 1983, n. 86; Art. 4 d.P.R. 357 dell’8 settembre 1997) P.R.S. 9.6.1. – Obiettivo 9.6.1.1. La giunta regionale delibera di approvare il piano della riserva naturale “Monte Alpe”


re”, la riqualificazione non solo urbanistica, ma soprattutto sociale, per dire addio al degrado e per restituire le case e le vie di periferia ai loro abitanti. I soldi ci sono perché i progetti sono già stati finanziati: 224 milioni di euro, di cui 140 cofinanziati da Governo e Regione, 35 dal Comune, 35 dall’Aler, 14 da soggetti vari pubblici e privati. Le difficoltà ci sono a cominciare da quelle legate al trasferimento temporaneo delle famiglie per ristrutturare gli stabili.

C. O.

Verifiche anche ai professionisti. La bozza di Regolamento apre il mercato per lavori sotto i 20 milioni (da “Edilizia e Territorio” del 24-29.1.05) Anche i professionisti e le società di ingegneria avranno accesso alla validazione dei progetti. Il mercato sarà diviso in due fasce: la prima sopra i venti milioni, la seconda al di sotto, in questa soglia possono operare anche i liberi professionisti e le società di ingegneria, a condizione che abbiano la certificazione di qualità Iso 9001/2000. Ad aprire il mercato è la bozza di regolamento sui controlli dei progetti che il vice ministro per le infrastrutture, Ugo Martinat, intende licenziare a breve.

Stampa Ambiente Sanatoria penale permanente per gli abusi giudicati compatibili con il paesaggio (da “Edilizia e Territorio” Commenti e Norme n. 2/2005) Pochi mesi dopo la sua entrata in vigore, il “codice Urbani” è già oggetto di alcune importanti modifiche. La Legge 15 dicembre 2005, n. 308, introduce una duplice forma di sanatoria per i lavori realizzati sui beni paesaggistici senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa. La prima modifica di rilievo riguarda l’Articolo 181 del codice Urbani. Il nuovo comma introdotto dalla 308 dispone, ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative, nel caso di abusi paesaggistici, che le sanzioni penali non si applicano ad alcune tipologie di lavori, purché l’autorità ne abbia accertato la compatibilità paesaggistica (lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica senza aumento di superfici utili o volumi; utilizzo di materiali in difformità dall’autorizzazione; lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria con alterazione dello stato dei luoghi o degli edifici). Milano Nuove case e più verde, 200 milioni per le nuove periferie. Parte il piano antidegrado (dal “Corriere della Sera” del 27.1.05) Parte l’operazione “Contratti di quartie-

Progettazione

Affidamento dei lavori, gara obbligatoria solo per le società che svolgono servizio pubblico (da “Edilizia e Territorio” Commenti e Norme n. 3/2005) L’esistenza di un obbligo per le Stu di affidare i lavori solo attraverso le norme della Merloni è un’ipotesi non ancora compiutamente affrontata a livello giuridico. Tuttavia numerosi pareri concordano sul fatto che la società di trasformazione urbana possa essere qualificata come società mista costituita per l’esercizio di servizi pubblici ovvero come organismo di diritto pubblico, e quindi sia tenuta ad espletare le procedure a evidenza pubblica nell’affidamento dei lavori. Per verificarlo occorre innanzitutto guardare alle attività per cui sono create. Urbanistica Legge urbanistica, in Parlamento spiragli di riforma (da “Il Sole 24 Ore“ del 21.1.05) La Commissione Ambiente della Camera

ha concluso l’esame degli emendamenti al disegno di legge sul governo del territorio che modifica l’impianto legislativo fondato ancora sulla legge urbanistica del 1942. Il testo sostanzialmente è già definito, anche se Maurizio Lupi (Fi), relatore del provvedimento, conferma la volontà politica di fare un giro di tavolo informale con le Regioni prima di portare il Ddl all’esame dell’Assemblea. La legge definisce un impianto nuovo su una materia più ampia di quella urbanistica precedente. Uno dei nodi da sciogliere è quello relativo ai rapporti tra Stato e Regioni, nelle materie contigue a quella urbanistica, (tutela ambientale e paesistica), e ai rapporti tra pubblico e privato. Più vicina la riforma urbanistica. Al governo la delega per varare un regime fiscale immobiliare agevolativo per il recupero (da “Edilizia e Territorio” del 24-29.1.05) Queste le principali novità del “disegno di legge Lupi”: Il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale che comporta una semplificazione delle procedure di approvazione dei piani urbanistici, con l’attribuzione al Comune della titolarità della pianificazione urbanistica e delle funzioni di governo del territorio; lo sdoppiamento del vecchio piano regolatore generale in un piano strutturale e in uno operativo, come previsto dal cosiddetto “modello Inu”; la regolamentazione generale di strumenti come la perequazione e la compensazione urbanistica; la fine dichiarata dell’urbanistica espansiva con la previsione che nella formazione del piano urbanistico priorità venga data “al recupero”; la modifica della disciplina degli standard urbanistici. Vincoli, ora si può “compensare”. Ma il meccanismo funziona solo se la limitazione non è di tipo urbanistico (da “Edilizia e Territorio” del 10-15.1.05) La compensazione traslativa è uno degli istituti della Legge 308/2004 di immediata applicazione. La compensazione prevista dalla legge consiste essenzialmente nella possibilità per il proprietario dell’area, che non sia più nella condizione di esercitare il diritto di edificare a causa della sopravvenuta imposizione di un vincolo di inedificabilità assoluta diverso da quelli urbanistici, di chiedere al Comune di traslare il diritto di edificare su altra area di cui lo stesso soggetto sia proprietario. M. O.

43 PROFESSIONE STRUMENTI

costituito dai seguenti elaborati, che fanno parte integrante e sostanziale del presente atto: relazione generale al piano; rappresentazioni grafiche; norme di attuazione; programma degli interventi prioritari; allegati. Riconosce inoltre lo stesso piano della riserva naturale “Monte Alpe” come piano di gestione del pSIC IT2080021 ai sensi dell’Art. 4 del d.P.R. 357/97. Viene dato atto che l’ente gestore, in relazione all’evolversi della situazione naturalistica della riserva e all’attuazione degli interventi previsti dal piano, provvederà alla verifica e all’aggiornamento periodico dello stesso.


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Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it

Brescia A proposito del progetto di restauro. Intervista a Luca Rinaldi

Il n. 5 del 2003 di questa rivista si era occupato di Architetti e Soprintendenze, ma il nostro Ordine purtroppo non vi aveva partecipato. Ora il Soprintendente per la nostra Provincia, arch. Luca Rinaldi, ci ha voluto offrire un’intervista, con l’intento di precisare il punto di vista della Soprintendenza relativamente ad alcune questioni frequentemente dibattute, indicando i criteri generali di comportamento e giudizio della struttura relativamente ad esse. Esistono norme da seguire per le ASL, i Vigili del Fuoco, ecc. L’azione della Soprintendenza pare molte volte frutto della posizione personale del singolo funzionario o dirigente, e comunque sono presenti notevoli differenze nell’atteggiamento dei diversi uffici. Questo è sostanzialmente vero. La disciplina si è molto evoluta in questi ultimi vent’anni e così le stesse basi teoriche della tutela nei funzionari più giovani. Vi sono anche scuole di pensiero diverse. Basta vedere cosa succede nel vicino Canton Ticino, dove vi è una concezione del restauro più spensierata, meno criticamente fondata. La definizione dei materiali di progetto. Il compito dei nostri uffici è la conservazione dell’architettura e del paesaggio. Una volta che per ragioni documentate si accetta che un elemento venga sostituito (infissi, pavimentazioni, tinteggiature, ecc.) o realizzato perché mancante, trovo ingiustificato che un funzionario entri nel merito di un progetto di un collega che deve operare in libertà. Il nostro intervento dovrebbe dunque configurarsi come un “consiglio” ad operare, che si dà all’interno di un confronto dialettico a partire dall’esperienza maturata nel restauro, ma non può essere di natura impositiva. Perché allora le ingiunzioni a usare materiali?

Ritengo che il professionista sia oggi mediamente impreparato in una materia complessa e multiforme come il restauro. E non parlo solo di ingegneri o geometri, che non hanno alcuna preparazione teorica e storico-critica in materia, ma anche di molti colleghi. Direi che gli architetti “anziani”, comprese quasi tutte le grandi firme del professionismo lombardo, hanno ancora del restauro un concetto superato, come di un’operazione di gusto in cui l’opera creativa del progettista risignifica gli spazi, selezionando arbitrariamente cosa conservare e cos’è necessario sacrificare, e l’esistente è solo l’utile sfondo al proprio segno progettuale. La fase analitica, di conoscenza, è ritenuta un inutile pedaggio da pagare, invece è il centro del percorso progettuale. Ci tocca poi sentire ancora frasi come: “ogni epoca ha lasciato il proprio segno, perché noi non dovremmo fare altrettanto?”, quando sappiamo bene come lo storicismo ottocentesco abbia portato la cultura occidentale verso l’irreversibile distacco dalle età precedenti e all’intangibilità dell’architettura passata, non più fonte di ispirazione ma di studio. Si tratta dunque di inibire ogni posizione diversa o “creativa”? Personalmente accetto ogni posizione critica quando parte dalla conoscenza della disciplina e dall’avanzamento teorico del dibattito. Ma in questo senso le occasioni di dialogo sono quasi inesistenti. Ad ogni modo per quanto riguarda gli spazi di creatività il cantiere di restauro ne offre ampiamente. Scendiamo allora nei particolari per suggerire soluzioni a problemi pratici: sottotetti. L’uso del sottotetto in un edificio vincolato deve ritenersi un’eccezione. La legge regionale in materia (L.R. 22/99) è a mio parere rovinosa e porta all’alterazione dei profili e della continuità delle coperture storiche nei centri antichi. Abbaini e cappuccine fanno parte della tradizione costruttiva lombarda ma per rispettare il carattere dell’edificio devono essere realizzati in numero e dimensioni limitate, con tipologie tradizio-

nali. Oggi invece dove non esistono vincoli vige la più assoluta anarchia, tanto che nella nostra regione, per lo sfruttamento dei sottotetti, sta nascendo grazie agli abbaini un’insolita architettura cuspidata. Non parliamo poi delle cosiddette “tasche” in falda di tetto, che fanno rammentare gli escamotages della speculazione edilizia degli anni Sessanta. Il problema però non è tanto grave per gli edifici vincolati, quanto per il tessuto minore e la nuova edificazione, specie in aree montane. Parcheggi interrati. La tutela del bene comprende naturalmente anche il terreno su cui poggia. A mio avviso anche in centro storico è possibile realizzare parcheggi interrati, ma solo ove vi siano vasti spazi liberi, non vi siano significative testimonianze archeologiche, le fondamenta degli edifici non vengano interessate, e i segnalatori di elevatori e rampe siano armoniosamente inseriti, preferibilmente mascherati, nel disegno degli spazi liberi. In presenza di una definizione formale dei prospetti interni e di spazi ristretti tali opere non sono ammesse. Ascensori, rampe disabili, scale di sicurezza. Posto che debba essere sempre verificata l’assoluta necessità di tali elementi, e non si possano ottenere prestazioni equivalenti ai fini della conservazione integrale della fabbrica la soluzione più corretta è quella di realizzarli esternamente. Posso comunque, comprendere, anche se non è il caso di enfatizzare, la problematicità in alcuni casi della soluzione estetica. Certamente si tratta di un tema di composizione architettonica tra i più difficili. Si tratta di saper dialogare con le preesistenze, spesso edifici di grande definizione formale (palazzi, castelli, ecc.) con specifiche soluzioni progettuali, senza scadere in inaccettabili proposte di elementi falsamente neutri (gabbie metalliche, vetrate, ecc.). Il colore degli edifici restaurati. Il problema si risolve solo attraverso il potenziamento dell’indagine storico-documentaria e tecnologica su tutto il costruito, e l’obbligatorietà di indagini stra-


La distinguibilità delle aggiunte. L’ ho già detto. Ritengo che la Soprintendenza non debba dare indicazioni prescrittive in materia. Osservo solo che questa esigenza, uno dei capisaldi delle teorie del restauro, ad esempio quella di Brandi, appare oggi in architettura, e non solo, non più così necessaria. Nei contesti storici prevale oggi in architettura la consapevolezza delle problematiche legate al carattere dei luoghi. Si preferisce, e personalmente lo condivido, il gesto “timido”, senza enfatiche ostentazioni. Ma il vecchio problema dei “falsi storici”, dell’intervento stilistico. Se suggerisco spesso l’ambientamento, so bene che se esso non viene svolto in modo colto si rischia di realizzare una caricatura dell’architettura storica. La già lamentata ignoranza di grammatica e sintassi non solo degli stili ma anche della “lingua popolare” parlata per secoli nelle nostre città, unita alle alterazioni causate dall’esigenza di massimo sfruttamento degli spazi spinge oggi a realizzare edifici ibridi, in cui i rapporti vuoto-pieno, ed il disegno dei particolari architettonici risultano stravolti. L’illuminazione esterna dei monumenti. Penso che il dibattito e le polemiche, del tutto giustificate, verso il grottesco progetto di illuminazione del Castello Sforzesco a Milano, abbiano aperto finalmente gli occhi a molti su questo problema. Interventi di pura scenografia, con forti luci radenti o colorate, sviliscono e

ridicolizzano i nostri monumenti, dandone poi una visione distorta. Si pensi ad esempio all’illuminazione dal basso con lampade incassate nel terreno, oggi di moda, ma sempre a mio avviso da vietare. L’illuminazione notturna dovrebbe sostanzialmente riprodurre condizioni di visibilità diurne, dall’alto quindi verso il basso, con effetti da luce “lunare”. Lo abbiamo sperimentato ad esempio sul percorso Gonzaghesco nel centro storico di Mantova. In alcuni casi poi l’illuminazione è del tutto incongrua e ingiustificata, e altera la magia dei luoghi. Si spiegano così alcuni nostri dinieghi, come per il percorso delle Cappelle del Sacro Monte di Varese. Le pavimentazioni degli spazi pubblici. Con il nuovo Codice dei Beni Culturali (D.Lgs. 42/2004) le “pubbliche piazze, vie, strade ed altri spazi urbani di interesse artistico o storico” (praticamente gli spazi pubblici dei nostri centri storici sono chiaramente tutelate come beni culturali. Il progetto di nuove pavimentazioni o arredi deve quindi ottenere autorizzazione dalle soprintendenze a prescindere dall’esistenza di specifici vincoli. Il disegno della pavimentazione deve a mio avviso essere sempre rapportato alla qualità degli spazi ed al carattere degli edifici che vi prospettano. Il disegno deve essere in linea con la tradizione, discreto, semplice quasi neutro, poiché non può prevaricare sull’apprezzamento delle architetture. I materiali devono essere quelli della nostra regione, che fornisce ampia scelta di graniti, porfidi, pietre calcaree resistenti, ciottoli di fiume, mattoni, anche se vedo purtroppo, a causa dei costi, proliferare surrogati sudamericani o cinesi. a cura di Paola Tonelli

Milano

a cura di Laura Truzzi Designazioni • COMUNE DI GESSATE: richiesta di segnalazione elenco professionisti, esperti in materia di abolizione e superamento delle barriere architettoniche,

per nomina dei componenti della commissione edilizia comunale. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Riccardo INNOCENTE, Monica Claudia TAGLIABUE, Barbara ZANETTE. • COMUNE DI ABBIATEGRASSO: richiesta di segnalazione elenco professionisti, esperti in materia di tutela ambientale – L.R. 18/97, per nomina dei componenti della commissione edilizia comunale. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Mario ALLODI, Giorgio CASATI, Francesco PASQUALI. • COMUNE DI COLOGNO MONZESE: richiesta di segnalazione elenco professionisti per nomina dei componenti della commissione edilizia comunale. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Fabio BUTERA, Sergio CARANGELO, Ennio MAZZOLI. • COMUNE DI MONZA: richiesta di segnalazione professionisti per nomina Commissione Giudicatrice Bando di Gara a Pubblico Incanto. “Lavori di ristrutturazione Cascina Bastoni sita in via Marco D’Agrate”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Giovanni CALZÀ, Enrico Alessandro DODI, Giuseppe Ildefonso MOTTA. • COMUNE DI MONZA: richiesta di segnalazione professionisti per nomina Commissione Giudicatrice “Licitazione privata per l’affidamento della concessione, in diritto di superficie, per la progettazione, costruzione e gestione di un parcheggio pubblico a rotazione e per residenti, da realizzare nel sottosuolo di Piazza Trento e Trieste”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Silvia Beatrice AJELLO, Carlo CATTANEO, Giorgio GHITTURI, Rosario LANZILLOTTA, Vincenzo MONTALDO. • Commissione Tributaria Regionale della Lombardia: richiesta di segnalazione elenco professionisti per Nomina Commissione per l’Assistenza Tecnica a spese dello Stato – Anno 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: (componenti effettivi) Marco BRISCHETTO, Alvaro CIMNAGHI, Marco SCAMPORRINO; (componenti supplenti) Michela LOCATI, Monica MEZAN, Giampaolo MIGLIORINI. • Impresa Costruzioni Edilizie

Dante Armando s.r.l. di Desio: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative ad un intervento residenziale in Comune di Desio – Via Monte Generoso. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Antonio CATALANO, Salvatore Augusto PINELLI, Enrico RIGAMONTI. Serate d’Architettura Progetti neolaureati 16 dicembre 2004 Sono intervenuti: Valerio Di Battista, Antonio Monestiroli, Maurizio Morgantini, Alberto Seassaro Conduttori: Adalberto Del Bo, Franco Raggi Il 16 dicembre scorso presso la sede dell’Ordine sono stati presentati i migliori progetti di laurea, segnalati dai rappresentanti dell’Ordine presenti alle discussioni delle tesi, nelle facoltà milanesi per l’anno accademico appena concluso. Il Presidente dell’Ordine, l’arch. Daniela Volpi, introducendo la serata annuncia la prossima istituzione di un premio che riconoscerà i migliori quattro progetti tra quelli segnalati dai rappresentanti dell’Ordine nelle commissioni di laurea; mentre Franco Raggi, consigliere dell’Ordine, specifica l’obbiettivo della serata: documentare il livello di lavoro delle tre Facoltà di Milano ed avviare un confronto in sala con i rappresentanti delle istituzioni accademiche presenti. Maurizio Morgantini, presidente della Fondazione ADI (Associazione per il Disegno Industriale) e portavoce anche della Fondazione FAAR-CSAR (Fondazione Arch. Augusto Rancilio - Centro Studi della fondazione per le Attività Culturali, la Ricerca e la Comunicazione) manifesta la sua soddisfazione per la nascita di questo premio per il quale le fondazioni daranno contributi e collaborazione. Infatti, sostiene Morgantini, l’obbiettivo del lavoro delle Fondazioni è quello di creare dei meccanismi di riconoscimento per i giovani e dare impulso a quelle sensazioni personali che possono, se aiutate, dare velocemente frutti interessanti nel campo della ricerca universitaria. Adalberto Del Bo, consigliere dell’Ordine, riassume per linee

45 INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

tigrafiche sugli intonaci di edifici in corso di restauro. Solo a partire da questi dati è possibile ragionare sul volto storico delle nostre città, senza adottare la facile scorciatoia di Piani del Colore, strumenti criticabili poiché spesso incapaci di rappresentare la varietà nel tempo delle soluzioni coloristiche dei centri storici. Attenzione però, la ricoloritura è un problema tecnico, non estetico, per la tinta si potrebbe anche prescindere dai dati acquisiti, poiché si tratta pur sempre di un’azione nuova, nel tempo di oggi.


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generali gli avvenimenti che hanno trasformato nell’ultimo decennio l’insegnamento dell’Architettura a partire dal ridisegno dei piani di studio, avvenuto nel 1994 per l’adeguamento alle richieste europee, al taglio verticale nella cultura del progetto, fino alla riforma che ha reso autonome le discipline del design, della progettazione e della pianificazione. Nel 2001 l’Italia è tra i primi Paesi ad applicare le normative europee con un iter di trasformazione, supportato anche da leggi e decreti ministeriali, non ancora concluso che vede coinvolto tutto l’impianto formativo disciplinare oltre alle connessioni tra formazione e quadro professionale. Del Bo pone l’accento proprio sul fatto che le riforme in atto non coinvolgono semplicemente il mondo accademico, ma influiscono pesantemente anche sullo svolgimento quotidiano della professione e sugli Ordini professionali. Sempre nel 2001 un decreto legge ha infatti introdotto negli Ordini degli Albi distinti per professioni: ad esempio i paesaggisti, i conservatori, ecc… La serata dedicata all’insegnamento dell’architettura, a dieci anni dall’inizio di questo faticoso processo trasformativo, vuole quindi essere l’occasione per mettere sul tavolo alcuni scottanti punti di riflessione: giudizi sulle trasformazioni in atto; in che misura, nonostante le difficoltà, queste risultano adeguate al nostro tempo; quali sono i principali effetti registrati in questo periodo; in che misura la ricerca riesce ad essere ancora parte dell’assetto formativo e quali sono le direzioni verso cui muovono le diverse scuole? La parola passa quindi al prof. Seassaro, Preside della Facoltà di Design, secondo il quale l’effetto più vistoso della riforma è stata la creazione della Facoltà di Design e del corso di Laurea in PTUA (Pianificazione Territoriale, Urbanistica ed Ambientale), due ambiti disciplinari che erano precedentemente stati separati e messi un po’ in disparte da quando è nato “l’architetto UE”, generalista per definizione, dedicato prevalentemente alla costruzione. Ecco quindi una nuova conformazione dell’Ateneo che pre-

senta, tra le altre innovazioni, un campo di formazione molto ampio all’interno del tema stesso del design. Seassaro individua nella frammentazione della cultura del progetto il rischio più pericoloso della riforma. Secondo lui la scuola deve prendersi carico di tenere unite le diverse discipline che concorrono al processo progettuale. Il prof. Valerio Di Battista, Vice Preside della Facoltà di Architettura e Società del Campus Leonardo, mentre scorrono le immagini delle tesi segnalate per la serata, interviene sostenendo come si stia attraversando una fase di revisione dell’articolazione delle varie discipline e del relativo peso che esse assumono nella costituzione del profilo formativo. Di Battista, a proposito della frammentazione della cultura del progetto, si pone la domanda: “Come deve essere l’atteggiamento dell’architetto davanti a tutte queste nuove figure professionali che stanno nascendo con i relativi corsi istituiti?” L’architetto deve, per così dire, “difendersi” escludendo queste figure oppure può e deve includerle all’interno del processo intero della progettazione? Secondo Di Battista l’atteggiamento esclusivo è segno di debolezza, mentre includere è il segno della ricchezza della nostra cultura. Conclude Di Battista con una nota di rammarico: è un peccato che si stiano prendendo delle decisioni legislative su delle questioni così delicate come le riforme dei nostri ordini professionali in totale assenza di dialettica e di un vero dibattito culturale. Punto di partenza del contributo alla serata del prof. Monestiroli, Preside della Facoltà di Architettura Civile, è una considerazione positiva: è utile che tutte le Facoltà di Architettura italiane abbiano un riscontro con l’esterno e con tutti gli enti preposti all’organizzazione della professione. Secondo Monestiroli però, le scuole italiane, attuando questa “rifondazione” dell’iter formativo con la creazione di 125/130 corsi di laurea nelle 23 Facoltà di Architettura, stanno perdendo di vista i reali obbiettivi dell’insegnamento. Non si può più parlare di “architetto” ma di

figure professionali che partecipano ad un comune ambito vastissimo del campo delle costruzioni. È giusto, si chiede Monestiroli, che tutte le figure professionali in questo campo abbiano un corso di laurea? Bisogna quindi preoccuparsi di far chiarezza, senza peraltro creare gerarchie, in tutti questi corsi di laurea definendone i corretti ambiti di competenza. L’università non è una scuola professionale e come fine ultimo ha la ricerca, la produzione della conoscenza. Dopo di questa, l’università deve arrivare a produrre il mercato del lavoro, non esserne condizionato, dandone le indicazioni per il suo sviluppo futuro. Un giro di replica di tutti i relatori conclude la serata rilanciando il tema delle trasformazioni del mondo accademico e professionale ed invitando a rinnovare il dibattito alla primavera prossima, quando saranno definiti i termini della questione a livello ministeriale. Mentre il Presidente dell’Ordine consegna gli attestati ai neolaureati che sono stati segnalati ed i cui lavori sono presenti nella sala espositiva della sede dell’Ordine, il prof. Seassaro ricorda le parole di Gio Ponti: “L’università è il luogo della cultura del progetto”. • La Sala delle Cariatidi: il cantiere di studio 20 gennaio 2005 Sono intervenuti: Carlo Bertelli, Gisella Capponi, Carla Di Francesco, Vittorio Gregotti, Ferdinando Mazzocca Conduttore: Franco Raggi Il 20 gennaio scorso per la prima volta viene trattato un tema di restauro all’Ordine degli

Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. La sala della Cariatidi del Palazzo Reale di Milano, danneggiata durante la seconda guerra mondiale da un bombardamento, e dal conseguente incendio, non è mai stata restaurata. La sala è divenuta la testimonianza dei bombardamenti della guerra ma nello stesso tempo rispecchia l’immagine dell’abbandono e della più brutale manomissione. Dopo una breve introduzione del Presidente dell’Ordine, Daniela Volpi, la serata si apre con un contributo video che narra molto brevemente la storia della Sala delle Cariatidi progettata dall’architetto Piermarini alla fine del Settecento e della quale rimangono le immagini di un film girato nel 1934. Nel 1943 un violento bombardamento su Palazzo Reale sprigiona un incendio che fa crollare la volta della Sala delle Cariatidi, danneggiando le 40 splendide cariatidi di Callani e i dipinti dei trionfi di Napoleone di Appiani sul ballatoio. Solo nel 1945 viene realizzata una copertura provvisoria e la sala inizia ad essere utilizzata, per scopi prevalentemente espositivi, senza peraltro essere restaurata. Nel 2000 l’Amministrazione Comunale fa eseguire una prima operazione di pulizia che mette ancor più in evidenza i danni subiti dalla sala nei sessant’anni precedenti. La Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali della Lombardia, coinvolgendo l’Istituto Centrale del Restauro, ha promosso quindi un cantiere di studio, che ha interessato la parete prospiciente il Duomo per una superficie di circa 84 mq, allo scopo di approfondire le metodologie più


del cantiere fino alla sua momentanea conclusione di oggi. I problemi che si presentano sono molti e di non facile soluzione: la ricostruzione cromatica degli elementi, la scelta dell’illuminazione, il pavimento in graniglia non adeguato alla sala, la volta che è stata ricostruita più bassa dell’originale riducendo lo spazio per il cornicione e il ballatoio che in alcuni punti è totalmente mancante stravolgendo la configurazione architettonica della sala che così subisce un inaccettabile squilibrio. A seguito dei problemi evidenziati, Franco Raggi sottolinea che il destino di abbandono della Sala delle Cariatidi ne fa la sua identità. Non essendo possibile ricostruirla forse bisognerebbe pensare ad una manutenzione del rudere. Lo storico dell’arte ed ex ispettore del ICR, Carlo Bertelli, parlando di Milano come città delle grandi sale restaurate, sostiene che anche un rudere pone il problema della sua interpretazione. Bisogna vedere le sale come architettura e non solo come pareti affrescate ponendosi degli importanti quesiti: quale utilizzo si intende attribuire alla sala?, e quale al Palazzo Reale?, se il pavimento non è degno della sala, il ripristino sarebbe un delitto?,

museo comprendente anche l’Arengario e l’Appartamento di Riserva, è stato dato il via al restauro del Palazzo per lotti funzionali e la Sala degli Arazzi è stata già restaurata. La Sala delle Cariatidi e la Sala delle Colonne saranno dedicate a ricevimenti, eventi e conferenze. Il Comune è in attesa che venga consegnato il progetto preliminare della Soprintendenza a dell’Istituto Centrale del Restauro per procedere al finanziamento e all’intervento. Sandro Schiffini, direttore del Palazzo Reale, esprime la volontà di restituire al Palazzo la dignità di palazzo reale di cui è stato defraudato. L’architetto Belgiojoso, progettista per il Palazzo Reale, ricorda che il fatto di lasciare la Sala delle Cariatidi a rudere era stata una scelta collettiva e pertanto anche per il presente auspica il coinvolgimento dell’opinione pubblica e il parere di altre competenze e di altri esperti. Il cantiere di studio era indispensabile per la comprensione delle problematiche. Oggi, secondo Belgiojoso, è altrettanto indispensabile aprire il dibattito tra la rigorosità scientifica e la chiarezza conoscitiva che solo in mantenimento dello stato attuale può garantire, oppure l’esigenza di ricostruire e riutilizzare la sala con il suo “antico splendore”. In questo caso è comunque importante garantire la lettura dell’originale. L’interessante serata si chiude quindi con l’apertura di un nuovo dibattito per la città di Milano: quale strada percorrere, tra le molte possibili che coinvolgono anche la filosofia del restauro, per l’intervento sulla Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale? Newsletter Ricordiamo a tutti i colleghi che la Fondazione dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Milano invia settimanalmente, mediante posta elettronica, una newsletter con le attività promosse dalla Fondazione, i calendari dei corsi, degli eventi e delle serate di architettura che si tengono in sede. Invitiamo tutti coloro che fossero interessati a ricevere le newsletter a comunicare il proprio indirizzo di posta a stampa.fondazione@ordinearchitetti.mi.it

47 INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

idonee per il restauro e acquisire conoscenza diretta sull’opera. Tutte le forme di degrado sono state così identificate e quantificate e sono stati utilizzati, in collaborazione con il Politecnico di Milano, dei modelli virtuali in 3D al fine di valutare i vari livelli di integrazione possibili. In tutte le sue articolazioni il restauro ha comunque voluto mantenere il ricordo delle tragiche vicende attraversate dalla Sala. Franco Raggi, conduttore della serata, a conclusione del video, sottolinea come, in un periodo in cui sta andando di moda l’imitativa ricostruzione (ad esempio il Teatro la Fenice), siamo qui di fronte ad una vera e propria “progettazione” del recupero dove progettare la ricostruzione vuol dire stabilire la realtà. La Soprintendente Carla Di Francesco introduce nella serata un’importante spunto di dibattito per l’immediato futuro: per capire la metodologia più corretta di intervento – ricostruzione o conservazione – il lavoro dovrà proseguire con un’attenta analisi dei dati acquisiti ed alla loro divulgazione. Gisella Capponi, dell’Istituto Centrale del Restauro e coordinatrice del gruppo di lavoro, illustra, con immutata passione, i passi che sono stati mossi dall’inizio

si può demolire la volta senza creare altri danni per dare spazio al cornicione? Forse non esistono risposte certe ai quesiti ma sicuramente la parola d’ordine per l’intervento dovrà essere: “delicatezza”. Ripensando alla storia, il restauro della Sala delle Cariatidi è stata un’occasione persa negli anni Cinquanta: oggi si è persa la fiducia negli artisti e/o nel progetto innovativo che c’era all’epoca e che ci avrebbe restituito senza dubbio una nuova Sala delle Cariatidi. Ferdinando Mazzocca, storico dell’arte, propone di realizzare un dossier storico sulla Sala nel dopoguerra e di coinvolgere il più possibile gli addetti ai lavori e l’opinione pubblica. La città si deve chiedere che cosa rappresenti il Palazzo Reale per Milano e che utilizzo ne intende fare. Ammirato dal lavoro svolto e dalla maniacalità con il quale è stato realizzato, l’architetto Vittorio Gregotti manifesta la sua curiosità sulle metodologie che verranno scelte. Secondo lui il problema più ricorrente, in caso di restauro di un edificio, è il cambio di destinazione d’uso che crea spesso conflitto con le metodologie di intervento. Per questo è necessario privilegiare gli aspetti decorativi su quelli architettonici; Gregotti è dell’avviso che il restauro di una sala sia un’operazione di interior design più che di architettura e che, comunque venga condotta, non lascerà mai tutti convinti. Per la Sala delle Cariatidi, l’architetto auspica che non venga cancellato il fascino della rovina: “se si riuscisse a riportare la Sala allo stato del 1953 dovremmo già dire grazie alla Soprintendenza”. Franco Raggi vede, tra i presenti in sala, alcuni artefici del presente e del futuro del Palazzo Reale e li invita ad esprimere il loro pensiero sui problemi introdotti nella serata. Alessandra Mottola Morfino, Direttore Centrale della Cultura del Comune di Milano, rivendica l’inversione di tendenza avvenuta negli ultimi cinque anni nella politica attuata dal Comune di Milano per il Palazzo Reale: sono state bloccate le devastazioni create dalle esposizioni e dagli usi impropri che ne sono stati fatti, è stato deciso che il Palazzo Reale sarà un palazzo


A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Dicembre

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)

1495,58

G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA

1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice-novembre 1969:100 Anno 2002 2003 2004 2005

48

Febbraio Marzo Aprile 1470 1467,96 1471,72 1475,49 1510 1504,37 1509,40 1511,91 1540 1537,02 1538,28 1542,04

Maggio

Giugno 1480 1478,00 1480,51 1513,16 1514,42 1544,56 1548,32

Anno 2002

2004 2005

Agosto

Settembre Ottobre Novembre 1490 1481,77 1484,28 1486,79 1490,56 1494,33 1520 1518,19 1520,70 1524,46 1525,72 1529,49 1550 1549,58 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86

1529,48 1555,86

novembre 1978: base 100

dicembre 1978:100,72

Maggio

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre Ottobre

Novembre Dicembre

509,35

Aprile 510 510,65

511,52

512,39

512,82

513,69

514,56

515,86

517,17

517,60

522,38

523,25

523,69

524,12

525,43

526,29

527,60

528,03

529,34

529,34

532,38

533,68

534,55

535,86

536,29

537,16

537,16

537,16

538,46

538,46

Gennaio

Febbraio Marzo

506,30

508,04 520 520,64 531,94

519,78 530 530,21 538,46

3) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2003 2004 2005

Luglio

1555,86

2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978)

2003

INDICI E TASSI

Gennaio 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00

Gennaio 114,77 117,08 118,90

Febbraio Marzo 114,97 115,35 117,46 117,56

Aprile 115,54 117,85

anno 1995: base 100 Maggio 115,64 118,04

Giugno 115,73 118,33

Luglio 116,02 118,42

4) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) 5) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 2000: base 100

Anno 2003 2004 2005

Giugno 106,34 108,73

Gennaio 105,46 107,58 109,25

Febbraio Marzo 105,64 105,99 107,93 108,02

Aprile 106,17 108,28

Maggio 106,26 108,46

Luglio 106,61 108,81

6) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 1999: base 100

Anno 2003 2004 2005

Giugno 111,46 113,95

Luglio 111,73 114,04

2005 112,12

Gennaio 110,53 112,75 114,51

Febbraio Marzo 110,72 111,09 113,12 113,21

Aprile 111,27 113,49

Maggio 111,36 113,67

7) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

2001 103,07

1996 105,55

2003 108,23

2004 110,40

1997 108,33

1998 110,08

1999 111,52

1998 101,81

1999 103,04

2000 105,51

2000 113,89

Agosto 106,79 108,99

Settembre Ottobre 107,05 107,14 108,99 108,99

2002 111,12

Novembre Dicembre 107,40 107,40 109,25 109,25

gennaio 1999: 108,20 Agosto 111,92 114,23

Settembre Ottobre 112,19 112,29 114,23 114,23

Novembre Dicembre 112,56 112,56 114,51 114,51

gennaio 2001: 110,50

novembre 1995: 110,60 2001 117,39

2002 120,07

2003 123,27

2004 116,34

2005

anno 1997: base 100

2001 108,65

Novembre Dicembre 116,89 116,89 118,90 118,90

dicembre 2000: 113,40

anno 1995: base 100

9) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

Settembre Ottobre 116,50 116,60 118,61 118,61

anno 2001: base 100

2002 105,42

8) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

giugno 1996: 104,20 Agosto 116,21 118,61

2003 113,87

2004 125,74

2005 127,70

febbraio 1997: 105,20

Interessi per ritardato pagamento

Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.

Provv. della Banca d’Italia (G.U. 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003

4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%

Con riferimento all’art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.

Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003

3,35% +7 2,85% +7

Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) dal 1.7.2003 al 31.12.2003

2,10% +7

Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11) dal 1.1.2004 al 30.6.2004

2,02% +7

10,35% 9,85% 9,10% 9,02%

Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159) dal 1.7.2004 al 31.12.2004

2,01% +7

Comunicato (G.U. 8.1.2005 n° 5) dal 1.1.2005 al 30.6.2005

2,09% +7

9,01%

9,09%

Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.

Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


Indici 2004


Indice cronologico 2004

AL 1/2 Grandi opere

AL 3 Premi di architettura

Stefano Castiglioni, Editoriale, p. 3 Vincenzo Donato, Accessibilità, fattibilità, tempi, urbanistica, p. 4 Anna Gervasoni, Lombardia e infrastrutture di trasporto: quale futuro, pp. 5-6 Arturo Lanzani, Infrastrutture, paesaggio, società locali. Note a margine di due politiche/progetti preliminari nell’urbanizzazione pedemontana, pp. 7-8 Amedeo Liverani, Grandi opere lombarde, un anno dopo. I primi risultati dell’attuazione della Legge-obiettivo in Lombardia, pp. 8-9 Roberto Zucchetti, Infrastrutture per la competitività: un confronto tra le quattro regioni “motori d’Europa”, p. 9 Martina Landsberger, Rassegna Master, p. 10 Antonio Cortinovis e Alessandro Pellegrini, Progettare il futuro per realizzare qualità, pp. 11-12 Paola Tonelli, Raccordo autostradale della Valtrompia, un percorso ancora ricco di incognite, p. 12 Pierantonio Lorini e Roberta Fasola, Incontro con l’ing. Lorini, responsabile del Settore Grandi Opere del Comune di Como, pp. 12-13 Renato Conti, Opere di difesa dalle esondazioni del lago nel comparto piazza Cavour-Lungo Lago, pp. 13-14 Renato Conti, Autosilo in val Mulini con collegamento pedonale all’Ospedale S. Anna, pp. 14-15 Massimo Masotti, A colloquio con Fiorella Lazzari, p. 15 Maria Elisabetta Ripamonti, A colloquio con l’ing. Angelo Valsecchi, pp. 16-17 Savino Garilli, La Provincia più infrastrutturata della Lombardia, pp. 17-18 Roberto Gamba, Infrastrutture della Provincia di Milano, p. 18 G. Matteo Mai, I principali interventi infrastrutturali in Provincia di Milano, p. 18 Roberto Gamba (a cura di), Greenway Milano-Pavia-Varzi, p. 22 Mario Scalia, Itinerari ciclabili nella città di Milano, pp. 22-23 Vittorio Prina (a cura di), Lavori di completamento della Tangenziale nord di Pavia, pp. 23-25 Veronica Marabese, Pavia: rive del Ticino. Interventi di recupero e nuove connessioni, p. 25 Daniela Zandonella Necca, La Greenway della Battaglia di Pavia dalla Certosa a Ticino, pp. 26-27 Enrico Scaramellini, Strada statale 38: progetto e dibattito; intervista all’ing. Nicola Perregrini Assessore Provincia di Sondrio lavori pubblici e territorio, p. 27 Giovanni Bettini, Le nuove infrastrutture come risorsa e come problema, pp. 27-28 Elio Della Patrona, Statale 38: territorio, infrastrutture, p. 28 Giovanni Bettini, Sintetica cronistoria del progetto per la nuova s.s. 38, pp. 28-29 Claudio Castiglioni, È proibito gettare opportunità dal finestrino?, p. 29 Pio Baldi, DARC. Qualità dell’architettura contemporanea nelle città e nei territori europei, p. 30 Manuel Roberto Guido, Le ragioni e il programma del Seminario, p. 30 Alberto Clementi, Committenza, contesti e qualità diffusa, pp. 30-32 Aldo Aymonino, Una pluralità di sguardi, finalmente, p. 32 Mosè Ricci, Infrascape – infrastrutture e paesaggio. Dieci indirizzi per la qualità della progettazione, pp. 32-34 Piero Orlandi, La legislazione dell’Emilia-Romagna per la riqualificazione urbana e paesaggistica, p. 34 Giancarlo Cosenza, Piero Bottoni a Capri, pp. 34-35 Francesco Fallavollita, Il teatro ricreato, p. 35 Antonio Borghi, Intervista a John Foot, p. 36 Emanuele Ratto, La Legge Lunardi è costituzionale, ma il governo non lo sapeva, pp. 37-38 Walter Fumagalli, Opere di urbanizzazione a scomputo: ancora un siluro contro la legge italiana, pp. 38-39 Camillo Onorato, Leggi, p. 40 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 41 Brescia (Paolo Ventura, Borse di studio semestrali), p. 42 Lecco (Carmen Carabùs, 8 novembre 2003: Giornata Mondiale dell’Urbanesimo), pp. 42-43 Milano (Laura Truzzi, Elezioni del Consiglio dell’Ordine per il Biennio 2001-03; Designazioni; Corsi 2004; Itinerari d’architettura; Jacopo Ferrero, Serate d’architettura), pp. 43-45 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 46 Red., Rassegna mostre; Marco Grassi, La grande Bilbao a Genova; Claudio Sangiorgi, In memoria di Giovanni Ferracuti; Maria Teresa Feraboli, La “casa per tutti” in Emilia Romagna, p. 47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48

Stefano Castiglioni, Convegno INU-Consulta, p. 2-3 Maurizio Carones, Architettura premiata, p. 5 Paolo Marconi, Premi: occasioni didattiche e di formazione professionale, pp. 6-7 Gianni Cosenza, Premio Eurpeo di Architettura Luigi Cosenza, pp. 7-9 Vincenzo Latina, L’architettura italiana emergente tra premi e competizioni, pp. 9-10 Martina Landsberger, Premio Mantero: una riflessione sul progetto nella scuola, pp. 10-11 Gianfranco Pizzolato, Architettura e territorio. Premio di Architettura Città di Oderzo - Triveneto, p. 11-13 Silvia Malcovati (a cura di), Premi di architettura in Italia, p. 14-20 Alfredo Verzeri, Premio “Architettura” alla Fiera Edil 2003 di Bergamo, p. 21 Barbara Asperti, Premio di architettura Città dei Mille, 2003, pp. 21-22 Paola Tonelli, Progetto Dxd, Design for district, p. 22 Roberta Fasola con Marco Vido, Premio Maestri Comacini: a colloquio con Marco Vido, pp. 23-25 Emanuele Brazzelli, Gianfredo Mazzotta, Corrado Tagliabue, II° Edizione del Premio/Concorso “Prospettive di Architettura” 2003, p. 25 Maria Elisabetta Ripamonti, Premio di studio “Compasso volante – Città di Lecco”, p. 26 Gianni Bombonati, Premi d’architettura e dintorni, p. 27 Adalberto Del Bo, Gli Ordini e la promozione della ricerca, pp. 27-28 Roberto Gamba, Milano ha premiato “Il Principe e l’Architetto”, pp. 28-29 Roberto Gamba, I premi di arte e architettura istituiti dall’Accademia di Brera nei primi anni dell’800, p. 29 Luigi Leoni, Premio Internazionale di Architettura Sacra “frate Sole”, p. 30 Segreteria Organizzativa, Prospettive di Architettura, p. 31 Daniele Vitale, Architettura Civile: l’opera di Guido Canella, p. 32 Giulio Barazzetta, I (grattacieli) di Martinville, p. 33 Antonella Contin, Nuovi tipi di edifici, unità d’uso del terreitorio e/o tipi di landscape, p. 34 Franco Raggi, Il gioco sapiente. Note a proposito di 24 disegni di Ettore Sottsass, p. 35 Antonio Borghi, Intervista a Vittorio Gregotti, p. 36 Roberto Gamba (a cura di), Lodi: disegno urbano della parte di città situata oltre l’Adda, pp. 37-38 Roberto Gamba, Attracco battelli con pontile a Valmadrera (Lc), pp. 38-39 Walter Fumagalli, Le nuove regole sulla sanatoria degli abusi edilizi, pp. 40-41 Emiliano Fumagalli, Via libera al terzo condono edilizio, pp. 41-42 Camillo Onorato, Leggi, p. 43 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 44 Milano (Laura Truzzi, Designazioni, Convenzioni, Agenzia del Territorio Ufficio di Milano), p. 45 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 46 Antonio Borghi, Pensare architettura, p. 47 Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna (Libri, riviste e media); Gianfredo Mazzotta, Il Naviglio di Paderno d’Adda; Vittorio Prina, Sette piccoli viaggi-utopie; Roberto Gamba, Milano: lavori in corso; Claudio Sangiorgi, Guido Nardi: sul progetto; Renzo Riboldazzi, Milano nei versi di Delio Tessa; Luca Gelmini, Architettura e istituzioni; Annette Tosto, Una ricerca continua, pp. 48-49 Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; Maria Pompeiana Iarossi, L’architettura e lo sguardo; Graziella Leyla Ciagà, La casa popolare 1903-2003; Michele Caja, Caratteri somatici e tipologie caratteriali; Maddalena D’Alfonso e João Soares, Fotografare il Portogallo; Andrea Guastalla, Variazioni su un lotto gotico; Maurizio Carones, Un problema di prospetto, pp. 50-51 Vittorio Prina, Ottavio Bonomi e Pavia, pp. 52-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56


AL 4 Architettura degli interni

AL 5 Le riviste degli Ordini

AL 6 Periferie

Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Giampiero Bosoni, Quale futuro progettuale per la cultura dell’abitare?, p. 4 Luca Basso Peressut, Tra architettura e museografia, pp. 4-6 Andrea Branzi, L’autonomia del Design degli Interni, p. 7 Arturo Dell’Acqua Bellavitis, La riscoperta della cultura dell’abitare, pp. 7-8 Gianni Ottolini, Architetti degli interni, pp. 8-9 Maurizio Vogliazzo, Architettura degli interni e senso dello spazio, p. 9-11 Giampiero Bosoni, Intervista a Michele De Lucchi, pp. 11-12 Giampiero Bosoni, Intervista a Vico Magistretti, p. 12 Red., Formazione universitaria; Corsi di specializzazione, pp. 13-14 Edoardo Conte, Design: anatomia di un concetto, p.15 Carlo Marelli e Massismo Molteni, Progettare la qualità della vita: una necessità contemporanea, p. 16 Maria Elisabetta Ripamonti, Intervista a Tiziana Lorenzelli; Intervista a Romeo Sozzi, pp.17-18 Giampaolo Benedini, La realtà mantovana, pp. 19-20 Roberto Gamba, Design e architettura d’interni a Milano, pp. 20-21 Anty Pansera, Il design italiano: definizioni, riflessioni, prospettive…, p. 22 Vittorio Prina, Poggi e il design italiano, pp. 22-23 Vittorio Prina, Recenti allestimenti ai musei civici del Castello Visconteo di Pavia, pp. 24; 33 Indici 2003, pp. 25-32 Marco Chiolini, Allestimento della Sala longobarda, p. 33 Andrea Ciotti, Varese Design, p. 34 Matteo Vercelloni, Salone e Fuori Salone, la settimana del Design a Milano, p. 35 Matteo Baborsky, Artigiani come artisti, p. 36 Enrico Bordogna, Il gran teatro di Giovanni Testori, pp. 36-37 Antonio Borghi, Intervista a Mario Bellini, p. 38 Roberto Gamba, Brescia: bando per la progettazione e l’assegnazione di aree PEEP edificabili, pp. 39-41 Roberto Gamba, Soncino, riqualificazione urbana del capoluogo e della frazione Gallignano, pp. 41-42 Walter Fumagalli, Qualcosa cambia nella tutela del paesaggio, pp. 43-44 Riccardo Marletta, La disciplina transitoria del Codice dei beni culturali e del paesaggio, p. 44 Camillo Onorato, Leggi, p.45 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p.46 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 47 Valentina Cristini e Giulia Miele, Rassegna (Libri, riviste e media); Carlo Berizzi, Il senso dilatato del paesaggio; Valentina Cristini, L’utopia dell’architettura; Maria Teresa Feraboli, “Il futuro ha un cuore antico”; Martina Landsberger, Un’utopia realizzata; Ilario Boniello, La lezione di Pavia; Giulio Barazzetta, Classicismo romantico milanese; Maurizio Carones, Il progetto come dimostrazione, pp.48-49 Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; Maria Teresa Feraboli, Le radici del naturalismo lombardo; Filippo Lambertucci, L’uomo e la credenza; Martina Landsberger, La città che fluttua; Mina Fiore, Racconti dalla città senza fine; Barbara Asperti, Giovani architetti per Bergamo Alta; Silvia Malcovati, European Union top 41, pp. 50-51 Luciano Bolzoni, L’architettura delle centrali elettriche in Provincia di Sondrio, pp. 52-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56

Stefano Castiglioni, Editoriale, p. 3 Maurizio Carones, Riviste o bollettini?, p. 4 Alberto Caruso, Il caso svizzero, pp. 5-6 Cristina Chiorino, Riviste degli Ordini: un panorama nuovo dell’architettura, pp. 7-8 Leonardo Fiori, I miei vent’anni a “Costruire”, pp. 8-9 Angelo Torricelli, Professione e ricerca, p. 10 Sonia Milone (a cura di), Le riviste degli Ordini e delle Federazioni, pp. 12-15 Sonia Milone (a cura di), L’edicola degli Ordini, pp. 16-20 Luciana Calvano, Intervento, p. 21 Claudio Maffiolini, Intervento, p. 21 Sonia Milone (a cura di), AL: numero dopo numero, pp. 21-23 Paolo Aresi, Stampa e architettura, p. 24 Paola Tonelli, OA – notiziario degli APPC della Provincia di Brescia, p. 24 Roberta Fasola, Bilancio di un’attività editoriale, p. 15 Massimo Masotti, Le pubblicazioni dell’Ordine; Il sito dell’Ordine, pp. 26-27 Tiziana Lorenzelli, “Notes”. La nuova rivista dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Lecco, pp. 27-28 Atonino Negrini, L’Ordine sul Web, p. 29 Enrico Togni, Il sito dell’Ordine degli Architetti di Milano, pp. 29-30 Luca Micotti, Pubblicazioni dell’Ordine, pp. 30-31 Nico Papalia, Il sito dell’Ordine di Pavia, p. 31 Enrico Scaramellini, Giovanni Muzio e il Palazzo del Governo di Sondrio, pp. 31-32 Claudio Castiglioni, Paolo Zanzi, Artefici di “Acanto”, p. 32 Renzo Riboldazzi, Milano sul crinale della modernità, p. 33 Matteo Baborsky, Giochi senza frontiere. I Grandi Incontri della Triennale di Milano, p. 33 Antonio Borghi, Intervista a Shelley McNamara e Yvonne Farrell, p. 34 Roberto Gamba, Cassano Magnago (Va): riqualificazione della zona denominata Sant’Anna, pp. 35-36 Roberto Gamba, Concorso per la nuova sede municipale di San Zeno Naviglio (Bs), pp. 37-38 Roberto Gamba, San Martino Siccomario (Pv): riqualificazione e recupero di via Roma, pp. 38-39 Walter Fumagalli, La disciplina dei beni culturali, pp. 40-41 Luca de Nora, Gli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, p. 41 Camillo Onorato, Leggi, p. 42 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 43 Cremona (Massimo Masotti, Scala 1:1. Mostra di progetti dello studio MCA, Mario Cucinella Architects), p. 44 Milano (Laura Truzzi, Servizi agli iscritti; Convenzioni; Corsi 2004; Designazioni; Serate d’architettura), p. 45 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 46 Vittorio Prina, La torre civica di Pavia: un dibattito ancora aperto, p. 47 Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna (Libri, riviste e media); Sonia Milone, Oltre le pareti domestiche; Matteo Baborsky, Sull’estetica industriale; Martina Landsberger, Adalberto Libera: una biografia; Alberta Bergomi, La storia di Ario; Claudio Sangiorgi, Materiali e forme: storia e immagini; Antonio Borghi, Lo spazio pubblico esiste; Manuela Oglialoro, Castelli del Parco sud, pp. 48-49 Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; Claudio Sangiorgi, L’innovazione nell’architettura; Filippo Lambertucci, Luce – Spazio; Alessandra Moro, Invenzioni “fantastiche”; Maria Teresa Feraboli, De Chirico: la metafisica scolpita; Renzo Riboldazzi, Frammenti di una Milano sgomenta; Cecilia Bolognesi, Una storia che parla di futuro, pp. 50-51 Cristina Colleoni, Carlo Perogalli e la sintesi delle arti: architetture a Milano, pp. 52-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56

Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Giulio Barazzetta, La periferia come forma della città attuale, p. 4 Alessandro Balducci, Riqualificare le periferie, pp. 4-5 Stefano Boeri, Periferia milanese, pp. 7-9 Giancarlo Motta, Il territorio della periferia, pp. 9-11 Marco Romano, Appartenere all’urbs, pp. 11-12 Dario Nicoli e Alessandro Pellegrini, Nuclei storici e quartieri periferici, pp. 13-14 Luigia Martinelli, Como. Città recente e città antica: riequilibrio della qualità urbana, pp. 14-15 Maria Elisabetta Ripamonti, Periferie della Provincia di Lecco, p. 16 Carmen Carabùs, La conoscenza di un territorio, pp. 16-17 Pierfranco Mastalli, La realtà dei “mille campanili”, pp. 17-18 Maria Elisabetta Ripamonti, A colloquio con Pietro Francesco Canali, p. 18 Gio Gozzi, La non-pianificazione delle periferie, sotto l’impulso della speculazione immobiliare, pp. 18-19 Roberto Gamba, La riqualificazione della periferia nella Provincia di Milano, p. 20 Alessandro Balducci (a cura di), Restituire centralità attraverso la progettazione di nuove forme e di nuovi contenuti, pp. 20-21 Laboratorio di Quartiere di Ponte Lambro/Milano, Ponte Lambro: un Laboratorio sulle Periferie Urbane, pp. 21-22 Comune di Milano - Settore Periferie, Milano: riqualificazione del complesso Cascine Chiesa Rossa, pp. 22-23 Unità di progetto - programmi partecipati di riqualificazione urbana, Scommettere sulla possibilità del cambiamento nella periferia urbana, p. 23 Comune di Monza - settore PRG, Europan 7 per il Comune di Monza, p. 24 Vittorio Prina, Un’occasione mancata, pp. 24-25 Remo Dorigati, Paesaggi urbani, pp. 26-27 Laura Gianetti, La strada a fondamento delle periferie, p. 28 Martina Landsberger, Festa per l’architettura alla Triennale di Milano, pp. 29-30 Red., Un convegno internazionale sulla figura di Giuseppe de Finetti, p. 30 Francesco Fallavollita, Terragni architetto europeo, p. 31 Antonio Borghi, Intervista a Giancarlo De Carlo, p. 32 Roberto Gamba, Sistemazione della p.zza Chiesa ed aree limitrofe ad Arosio (Co), pp. 33-34 Roberto Gamba, Riqualificazione urbanistica delle aree del centro storico di Mariano Comense (Co), pp. 34-35 Walter Fumagalli, Il Paesaggio delle periferie, pp. 36-37 Doris Mansueto, I programmi integrati di intervento in variante, pp. 37-38 Camillo Onorato, Leggi, p. 39 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 40 Bergamo (Gabrio Rossi, Attività della Commissione Informazione ed Internet), p. 41 Milano (Laura Truzzi, Serate di architettura; Fulvio Irace, Itinerari di Architettura Milanese), pp. 41-42 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 43 Valentina Cristini e Giulia Miele, Rassegna (Libri, riviste e media); Giulio Barazzetta, L’architetto a casa sua; Ilario Boniello, Rilievo a regola d’arte; Roberto Gamba, I Carmassi: lavori in corso; Maurizio Carones, Origini, Imitazione, Convenzioni; Francesco Fallavollita, Tecniche di ripetizione; Antonio Borghi, La costruzione di un pensiero; Michele Caja, La memoria di una vita, pp. 44-45 Red., Rassegna mostre, Rassegna seminari; Sonia Milone, Tempi moderni; Manuela Oglialoro, Dalla ricostruzione al Boom economico; Ivana Tubaro, Storie visive della Triennale; Pisana Posocco, Anselmi: progettare e disegnare; Francesco Bruno, Un punto di vista sulla residenza; Mina Fiore, La periferia e il caso di Rozzano, pp. 46-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48


Supplemento ad AL 6 Abitare le periferie

AL 7 Università in Lombardia

AL 8/9

Stefano Castiglioni, Periferie urbane: dalla denuncia alla proposta, p. 3 Paolo Avarello, Verso progetti integrati per la qualità urbana, pp. 4-5 Programma del Convegno “Abitare le periferie”, 18 marzo 2004, p. 6 Leonardo Fiori, Marco Brambilla, Marco Engel, Gianfredo Mazzotta, Alfredo Mela, Piero Ranzani, Iginio Rossi, Gianni Verga, Alfredo Viganò, I problemi e le sperimentazioni, pp. 8-25 Ettore Bonalberti, Roberto Ceresoli, Luciano Niero, Giovanni Oggioni, Mario Rossetti, Le politiche e gli strumenti operativi, pp. 26-30 Jacopo Gardella e Fabrizia Iacci, Emanuele Tortoreto, Contributi tematici, pp. 30-32

Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Roberto Formigoni, Sussidiarietà, identità culturale e territorio: una grande sfida per il futuro, p. 4 Giulio Ballio, Università e territorio, pp. 5-6 Antonio Acuto, L’insediamento universitario in Lombardia, pp. 6-7 Pier Carlo Palermo, Le molteplici forme di relazione tra università e territori, pp. 7-8 Adalberto Del Bo, L’idea di campus, pp. 8-9 Remo Dorigati, Università: gli spazi che non servono, p. 9 Elisa Pozzoli, Le università come attori della trasformazione urbana, pp. 9-10 Lanfranco Senn, L’impatto dell’Università sul territorio, p. 10 Gianfranco Rusconi, L’Università di Bergamo ed il suo sviluppo, pp. 11-12 Paola Tonelli, Le sedi universitarie a Brescia, p. 12 Roberta Fasola, Nascita e sviluppo del Politecnico comasco, pp. 13-14 Massimo Masotti, Università a Cremona e Crema. Presente e futuro, pp. 15-16 Maria Elisabetta Ripamonti, A colloquio con Giuseppe Turchini, pp. 16-17 Gio Gozzi, Il nuovo polo universitario di Lodi, un’opportunità per il rilancio di tutto il territorio, pp. 17-18 Marco Caprini, Università per il territorio, p. 18 Roberto Gamba, Università della Provincia di Milano, p. 19 Marcello De Carli, Area dei gasometri di Bovisa a Milano. Architettura interrotta, p. 19 Gabriele Schiatti, Università Cattolica del Sacro Cuore, pp. 19-20 5+1 – architetti associati, Progetto di massima per l’ampliamento della sede IULM di Milano, via Carlo Bo, pp. 20-21 Massimo Giuliani, La riorganizzazione dell’Università di Pavia ed il rapporto con la città, pp. 21-22 Giancarlo De Luca, Università degli Studi dell’Insubria, pp. 22-23 Davide Tolomelli, I collegi universitari in area lombarda tra XVI e XVIII secolo, p. 24 Silvia Malcovati e Michele Caja, L’università come problema di architettura, pp. 24-26 Carlo Gandolfi, Università e studenti. Un’idea semplice, p. 26 Mina Fiore, Seminario “L’architettura e il mercato”, p. 27 Antonio Borghi, Intervista a Andreas Brandt, p. 28 Roberto Gamba, Concorso di progettazione “Giardini di Porta Nuova”, Milano, pp. 29-32 Roberto Gamba, Riqualificazione di lungolago a Stresa (Verbano Cusio Ossola), pp. 32-33 Walter Fumagalli, A chi spetta il compito di approvare i piani regolatori?, pp. 34-35 Emiliano Fumagalli, I mutamenti di destinazione d’uso: il rito ambrosiano, p. 35 Camillo Onorato, Leggi, p. 36 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 37 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Comune di Milano; Serate di architettura), pp. 38-41 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 42 Antonio Borghi, Architettura e bellezza, p. 43 Valentina Cristini e Giulia Miele, Rassegna (Libri, riviste e media); Martina Landsberger, Una strada di 2000 anni; Ilario Boniello, Identità e alterità; Igor Maglica, Qualcosa di nuovo in Portogallo; Alberta Bergomi, 30 saggi sui luoghi letterari; Roberto Gamba, Legno in architettura; Irina Casali, L’architettura e i suoi simboli; Maurizio Carones, Identità collettive, pp. 44-45 Red., Rassegna mostre, Rassegna seminari; Alessandro Vicari, Novegro: oggetti da collezionare; Maria Teresa Feraboli, Origami trasparenti; Irina Casali, Chagall, poeta del colore, Manuela Oglialoro, Arte contemporanea della Farnesina; Francesco Fallavollita, I CM8 e il piano per Como, Andrea Ciotti, Tagliabue, 5+1 e Podrecca a Varese, pp. 46-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48

Stefano Castiglioni, Editoriale, p. 3 Antonio Cortinovis, Le attività svolte dal Consiglio dell’Ordine (giugno 2003 – maggio 2004), pp. 4-6 Paola Tonelli, L’attività dell’Ordine nel 2003, pp. 6-10 Roberta Fasola (a cura di), Ordine degli Architetti della Provincia di Como: eventi anno 2003 – giugno 2004, pp. 11-14 G. Mazzotta, A. Monti, C. Tagliabue, Premio Maestri Comacini 2003, pp. 14-15 Comm. Urb. Arch. di Como, Ciclo Incontri sul territorio 2003, p. 15 Cons. Ordine degli Arch. Como, Programma di lavoro del nuovo Consiglio 2004, p. 15 Massimo Masotti, Attività dell’Ordine degli Architetti, P. P. e C. della Provincia di Cremona (maggio 2003 – maggio 2004), pp. 16-17 Maria Elisabetta Ripamonti, Un anno di attività, pp. 17-18 Vincenzo Puglielli, Attività e azioni dell’Ordine degli Architetti di Lodi, 2003-2004, pp. 18-19 Sergio Cavalieri, Attività dell’Ordine di Mantova, p. 20 Roberto Gamba, L’Ordine e la Fondazione: un servizio completo per gli iscritti, p. 21 Roberto Rizzente, Un anno di attività alla Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Milano, pp. 21-22 Luca Micotti, La Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti di Pavia a quindici anni dal crollo della torre civica, pp. 23-25 Remo Dorigati, La torre, simboli e funzioni, p. 25 Enrico Scaramellini, Olanda 2003, pp. 26-27 Gianluca Fanetti, Un convegno sulla bioarchitettura, p. 27 Martina Landsberger, Parma. Primo Festival dell’Architettura, p. 28 Maria Vittoria Capitanucci, Fondazione Benetton Studi Ricerche. Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, pp. 28-29 Graziella Leyla Ciagà, Gli archivi degli architetti: un patrimonio da conoscere, p. 29 Antonio Borghi, Intervista a Kurt W. Forster, p. 30 Roberto Gamba, Polo provinciale d’eccellenza per l’innovazione ed il lavoro (Mi), pp. 31-32 Roberto Gamba, Recupero ambientale-paesistico del parco fluviale situato sulle rive del fiume Oglio a Palazzolo (Bg), pp. 32-34 Roberto Gamba, Nuova sede municipale, Veduggio con Colzano (Mi), pp. 34-36 Walter Fumagalli, Il diritto d’autore degli architetti, pp. 37-38 Lodovica Bognetti, La futura disciplina delle professioni, pp. 38-39 Camillo Onorato, Leggi, p. 40 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 41 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Comune di Milano; Serate di architettura), pp. 38-41 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 42 Bergamo (Movimento iscritti), p. 42 Mantova (Sergio Cavalieri, Bando: Borsa di studio annuale), p. 42 Milano (Designazioni; Serate di architettura; Convenzioni; Fausto Colombo, Ricordo di Lorenzo Forges Davanzati, 1929-2004; L. M. Mirizzi, R. Sirica, Proroga elezione Consiglio Nazionale e Ordini territoriali), pp. 43-45 Roberto Marcatti, Open Studio: lettera aperta ai colleghi, p. 45 Sergio Brenna, Il caso Fiera, p. 45 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 46 Antonio Borghi, La bellezza è partecipazione, p. 47 Valentina Cristini e Giulia Miele, Rassegna (Libri, riviste e media); Irina Casali, Architettura organica; Giorgio Casati, La svolta di Dorfles, 1952; Gian Luca Brunetti, Frammenti di sostenibilità; Sonia Milone, Cremona e i suoi giardini; Martina Landsberger, Costruire una nuova città; Giulio Barazzetta, Robbiate fra piano e cartografia; Francesco Fallavollita, Cacciari della Cosa Ultima, pp. 48-49 Red., Rassegna mostre, Rassegna seminari; Giuseppe Biasi, Tra astrazione e paesaggio; Carlo Togliani, Due architetti a confronto; Matteo Baborsky, Meraviglie Applicate; Francesca Scotti, Architetture di fondazione; Carlo Ravagnati, La città delle acque; Mina Fiore, Conoscere, rappresentare, agire, pp. 50-51 C. Marchionna e L. Roncai, Alziro Bergonzo: un architetto bergamasco, pp. 52-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56


AL 10 Nuove tecniche di rappresentazione

AL 11 Residenza pubblica

AL 12 Validazione del progetto

Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Marco Brizzi, L’architetto dietro lo schermo, p. 4 Manlio Brusatin, Il blob design. Disegno e progetto nella seconda modernità, pp. 5-9 Maria Cristina Loi, Il disegno di architettura, pp. 9-10 Livio Sacchi, Liquefare, liquidare, pp. 10-12 Vittorio Ugo, “L’essenza della tecnica non ha nulla di tecnico”, pp. 12-13 Mina Fiore (a cura di), Rassegna di software, Spot on Schools, p. 14 Matteo Calvi, Il computer nello studio professionale, p. 15 Marcello Mori, Strumenti per il progetto, p. 16 Marco Castelletti, Dalla matita al mouse, p. 17 Pierangelo Boltri, Disegnare con il computer; pp. 18-20 Maria Elisabetta Ripamonti, A colloquio con Roberto Boni, p. 20 Enrico Prandi, Strumenti da disegnare e strumenti per progettare, p. 21 Roberto Gamba, Tecniche di rappresentazione, p. 22 Guido Morpurgo, Il disegno architettonico: mezzo di comunicazione o strumento di riflessione?, p. 22 Filippo Pagliani, La pratica filmica nella progettazione architettonica contemporanea, pp. 23-24 Giancarlo Floridi, Esattezza e indeterminazione nell’uso del computer, pp. 24-25 Leonardo Scarparo, L’animazione 3D nel progetto architettonico, pp. 26-27 Claudio Castiglioni, Nuovi strumenti, metodi sorpassati, p. 28 Mina Fiore, Genova 2004: cosa resta, p. 29 Martina Landsberger, Una stupefacente collezione, p. 29 Sonia Milone, Milano-Milano: andata e ritorno, p. 30 Irina Casali, Metamorph. Mutazioni dello spazio vivente tra forme e metafore organiche, p. 30 Antonio Borghi, Intervista a David Chipperfield, p. 31 Roberto Gamba, Bergamo: premio di architettura Città dei mille; Riqualificazione di piazza della Libertà ed aree limitrofe a Cornaredo (Mi), pp. 32-38 Walter Fumagalli, Quel che è rimasto del condono edilizio, pp. 39-41 Isabella Steffan, Il progetto per tutti e la cultura della fruibilità, pp. 42-43 Camillo Onorato, Leggi, p. 44 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 45 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Serate di architettura; Convenzioni; Comunicazioni), pp. 46-48 Claudio Sangiorgi, Ripartire dal tipo, p. 48 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 49 Antonio Borghi, Grattacieli a Milano, p. 50-51 Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna; Adalberto Del Bo, Tre vite al limite; Paola Proverbio, Zanotta: un lungo percorso nel design; Maria Teresa Feraboli, Il verde nella città di Virgilio; Martina Landsberger, Una vita con Le Corbusier; Olga Chiesa, La cultura del luogo; Maurizio Carones, Prove tecniche di rappresentazione; Giulio Barazzetta, Un’idea per Milano. pp. 52-53 Sonia Milone, Rassegna mostre, Rassegna seminari; Irina Casali, Lo spazio in movimento; Claudio Sangiorgi, L’essenza della trasparenza; Sonia Milone, Sulle tracce di Scarpa; Matteo Baborsky, Progettare sezionando; Gianluca Gelmini, L’Egitto di Winckelmann; Carlo Gandolfi, Ancor’oggi: Giuseppe de Finetti, pp. 54-55 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 56

Maurizio Carones, Editoriale, p. 3 Matilde Baffa, Abitazioni e dintorni, pp. 4-5 Paola Di Biagi, La città pubblica: un laboratorio della modernità da riqualificare e tutelare, pp. 5-7 Stefano Guidarini e Pierluigi Salvadeo, Dall’Edilizia residenziale pubblica all’Architettura residenziale pubblica, pp. 7-8 Carlo Lio, La riforma dell’edilizia residenziale pubblica in Lombardia, pp. 8-10 Alessandra Marin, Gli archivi dell’edilizia residenziale pubblica: conoscenza, tutela, accessibilità e valorizzazione di un patrimonio collettivo, pp. 10-11 Raffaele Pugliese, Una rinnovata questione delle abitazioni, p. 12 Roberta Fasola, Un pomeriggio all’Aler per parlare di qualità dell’architettura, pp. 13-14 Massimo Masotti, Il futuro dell’edilizia popolare nel territorio cremonese. Valorizzare il costruito e puntare all’innovazione tecnologica, pp. 14-15 Maria Elisabetta Ripamonti, Conversazione con Giuseppe Canali, pp. 16-17 Raffaele Spelta, Organizzazione, attività svolte e progetti futuri dell’ALER di Lodi, pp. 17-18 Marco Caprini, Tra centro e periferia, p. 18 Roberto Gamba, Ricognizione sulla residenza pubblica, p. 19 Riccardo Gavardi, Proposte per il Contratto di quartiere II – Milano Quartiere Mazzini, p. 19 Riccardo Gavardi, Milano: Quartiere Molise Calvairate, pp. 19-20 Riccardo Gavardi, Area Tecnica di Programmazione del Comune di Cornaredo, pp. 20-21 Vittorio Prina, Edilizia residenziale popolare a Pavia, pp. 21-24 Marco Cattone, ALER, la risposta sociale per la casa, pp. 24-25 Cristina Bergo e Marco Lucchini, Il problema della resiednza temporanea, p. 26 Mina Fiore, IX Biennale: attraversando le Corderie, pp. 26 Maria Vittoria Capitanucci, Sguardi contemporanei a Venezia, pp. 26-27 Roberto Rizzente, Tadini, un’eredità da (ri)scoprire, p. 27 Irina Casali, Se la città è un’opera d’arte, p. 27 Antonio Borghi, Intervista a Carlo Bertelli, p. 28 Roberto Gamba, Nuova sede ALER, spazi residenziali per attività produttive e terziario a Masnago (Va), pp. 29-30 Roberto Gamba, Riqualificazione delle aree lungolago a Gavirate (Va), pp. 30-31 Roberto Gamba, Nuova sede della Regione Lombardia a Milano, pp. 31-34 Walter Fumagalli, La sponsorizzazione delle opere pubbliche, pp. 35-36 Riccardo Marletta, Pubbliche amministrazioni in cerca di sponsor, pp. 36-37 Camillo Onorato, Leggi, p. 38 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 39 Como (Chiara Rostagno, La costruzione della città. Como 1933-1937), p. 40 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Convenzioni; Corsi 2004-05), pp. 40-41 Andrea Disertori, Su Milano, p. 41 Biblioteca del D.P.A., Politecnico di Milano, Un appello della Biblioteca del DPA, p. 41 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 42 Antonio Borghi, Aguzzate la vista, p. 43 Valentina Cristini e Giulia Miele, Rassegna (Libri, riviste e media); Francesco Fallavollita, L B B architetto; Martina Landsberger, Un’ipotesi di policentrismo; Irina Casali, Miti moderni; Roberto Gamba, L’iter del progetto; Alessandro Trivelli, Città fra tecnica e ambiente; Igor Maglica, “Las modas… que pasen, por favor”; Michele Caja, Caratteri collettivi della città storica, pp. 44-45 Sonia Milone, Rassegna mostre, Rassegna seminari; Filippo Lambertucci, Il lato oscuro del Colosseo; Pisana Posocco, Dall’Archivio di Aldo Rossi; Francesco Fallavollita, Il centenario di Terragni; Federica Serena, Terragni e la monumentalità; Irina Casali, Mondi possibili; Giulio Barazzetta, I progetti per la Fiera in Triennale, pp. 46-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48

Stefano Castiglioni, Validazione del progetto: esigenza reale, soluzioni controverse!, p. 3 Emilio Pizzi, Validazione: un primo passo verso la qualità dell’architettura costruita, p. 4 Gaetano de Gattis, Una testimonianza dalla prima linea, p. 7 Mauro Moroni, Validazione del progetto, una scommessa da non perdere, pp. 7-11 Enzo Puglielli, Validazione e deontologia, pp. 11-13 Gionata Rizzi, Il verificatore non conforme, pp. 13-14 Mauro Moroni, Come si calcola il corrispettivo per il servizio di validazione del progetto, p. 15 Mauro Moroni, Organismi di validazione del progetto, p. 15 Mauro Moroni, Il processo di validazione del progetto, p. 16 Antonio Guffanti, La certificazione di qualità del progetto. Riflessioni e considerazioni, p. 17 Maria Elisabetta Ripamonti, Certificazioni di progetto, pp. 18-19 Massimo Capolla, Stazioni appaltanti: problematiche di validazione dei progetti, pp. 19-20 Adalberto Del Bo, Europa riconosciuta, p. 21 Manuela Oglialoro, Territorio rurale, tra salvaguardia e trasformazioni, p. 21 Mina Fiore, Istanbul 2005: XXII Congresso UIA, p. 21 Antonio Borghi, Intervista ad Amaro Isola, p. 22 Roberto Gamba, Museo dell’Industria e del Lavoro a Brescia, pp. 23-26 Roberto Gamba, Riqualificazione delle piazze di Cardano al Campo (Varese), pp. 26-28 Roberto Gamba, Nuova pista ciclopedonale da Gavarno a Nembro, pp. 28-30 Giovanni Guarnieri, La certificazione di qualità: aspetti giuridici, pp. 31-32 Walter Fumagalli, La “super-D.I.A.” ancora nell’occhio del ciclone, pp. 32-33 Camillo Onorato, Leggi, p. 34 Manuela Oglialoro, Pubblicistica, p. 35 Milano (Laura Truzzi, Designazioni; Ricordo di Lodovico Barbiano di Belgiojoso), p. 36 Manuela Oglialoro, Rassegna (Stampa), p. 37 Antonio Borghi, Vecchia Milano, p. 38 Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna (Libri, riviste e media); Alberta Bergomi, Milano ottocentesca in letteratura; Luciano Bolzoni, Inquadrare Carlo Mollino; Irina Casali, Deserti urbani; Martina Landsberger, La vera storia del Partenone; Ilario Boniello, Progettare l’illuminazione; Manuela Oglialoro, La storia di Gratum Solium; Maurizio Carones, Saluti da Milano, pp. 39-40 Sonia Milone, Rassegna mostre; Rassegna seminari; Francesco Fallavollita, Venezia rivisitata da Turner; Sonia Milone, Le geografie dell’arte; Maria Vittoria Capitanucci, Arti e Architetture; Silvia Malcovati, Scultura e architettura; Fabrizia Franco, Architettura e fotografia; Irina Casali, Il teatro e il suo spazio; Carlo Togliani, L’eredità di Giorgione a Mantova; Maria Teresa Feraboli, Il progetto della memoria; Matteo Baborsky, Prodotto artigianale e sua diffusione; Maurizio Carones, Costruzione e necessità, pp. 41-43 Vittorio Prina, Gaetano Ciocca e Garlasco, Pavia e provincia, pp. 44-47 Carlo Lanza (a cura di), Indici e tassi, p. 48


Indice per argomenti 2004

EDITORIALE • Stefano Castiglioni, Editoriale, n. 1/2, p. 3 • Maurizio Carones, Architettura premiata, n. 3, p. 5 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 4, p. 3 • Stefano Castiglioni, Editoriale, n. 5, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 6, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 7, p. 3 • Stefano Castiglioni, Editoriale, n. 8/9, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 10, p. 3 • Maurizio Carones, Editoriale, n. 11, p. 3 • Stefano Castiglioni, Validazione del progetto: esigenza reale, soluzioni controverse!, n. 12, p. 3 FORUM • Vincenzo Donato, Accessibilità, fattibilità, tempi, urbanistica; Anna Gervasoni, Lombardia e infrastrutture di trasporto: quale futuro; Arturo Lanzani, Infrastrutture, paesaggio, società locali. Note a margine di due politiche/progetti preliminari nell’urbanizzazione pedemontana; Amedeo Liverani, Grandi opere lombarde, un anno dopo. I primi risultati dell’attuazione della Legge-obiettivo in Lombardia; Roberto Zucchetti, Infrastrutture per la competitività: un confronto tra le quattro regioni “motori d’Europa”; Martina Landsberger, Rassegna Master, n.1/2, pp. 4-10 BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Antonio Cortinovis e Alessandro Pellegrini, Progettare il futuro per realizzare qualità; BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Paola Tonelli, Raccordo autostradale della Valtrompia, un percorso ancora ricco di incognite; COMO (a cura di R. Fasola): Pierantonio Lorini e Roberta Fasola, Incontro con l’ing. Lorini, responsabile del Settore Grandi Opere del Comune di Como; Renato Conti, Opere di difesa dalle esondazioni del lago nel comparto piazza Cavour-Lungo Lago; Renato Conti, Autosilo in val Mulini con collegamento pedonale all’Ospedale S. Anna; CREMONA (a cura di M. Masotti): Massimo Masotti, A colloquio con Fiorella Lazzari; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): M. Elisabetta Ripamonti, A colloquio con l’ing. Angelo Valsecchi; LODI (a cura di A. Negrini): Savino Garilli, La Provincia più infrastrutturata della Lombardia; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, Infrastrutture della Provincia di Milano; G. Matteo Mai, I principali interventi infrastrutturali in Provincia di Milano; Roberto Gamba (a cura di), Greenway Milano-Pavia-Varzi; Mario Scalia, Itinerari ciclabili nella città di Milano: PAVIA (a cura di V. Prina): Vittorio Prina (a cura di), Lavori di completamento della Tangenziale nord di Pavia; Veronica Marabese, Pavia: rive del Ticino. Interventi di recupero e nuove connessioni; Daniela Zandonella Necca, La Greenway della Battaglia di Pavia dalla Certosa a Ticino; SONDRIO (a cura di E. Scaramellini): Enrico Scaramellini, Strada statale 38: progetto e dibattito; Intervista all’ing. Nicola Perregrini Assessore Provincia di Sondrio lavori pubblici e territorio; Giovanni Bettini, Le nuove infrastrutture come risorsa e come problema; Elio Della Patrona, Statale 38: territorio, infrastrutture; Giovanni Bettini, Sintetica cronistoria del progetto per la nuova s.s. 38; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castigioni): Claudio Castiglioni, È proibito gettare opportunità dal finestrino?, n. 1/2, pp. 11-29 • Paolo Marconi, Premi: occasioni didattiche e di formazione professionale; Gianni Cosenza, Premio Eurpeo di Architettura Luigi Cosenza; Vincenzo Latina, L’architettura italiana emergente tra premi e competizioni; Martina Landsberger, Premio Mantero: una riflessione sul progetto nella scuola; Gianfranco Pizzolato, Architettura e territorio. Premio di Architettura Città di Oderzo – Triveneto; Silvia Malcovati (a cura di), Premi di architettura in Italia, n. 3, pp. 6-20 BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Alfredo Verzeri, Premio “Architettura” alla Fiera Edil 2003 di Bergamo; Barbara Asperti, Premio di architettura Città dei Mille, 2003; BRESCIA (a cura di P. Tonelli): Paola Tonelli, Progetto Dxd, Design for district; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola con Marco Vido, Premio Maestri Comacini: a colloquio con Marco Vido; Emanuele Brazzelli, Gianfredo Mazzotta, Corrado Tagliabue, II° Edizione del Premio/Concorso “Prospettive di Architettura” 2003; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): M. Elisabetta Ripamonti, Premio di studio “Compasso volante – Città di Lecco”; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Gianni Bombonati, Premi d’architettura e dintorni; MILANO (a cura di R. Gamba): Adalberto Del Bo, Gli Ordini e la promozione della ricerca; Roberto Gamba, Milano ha premiato “Il Principe e l’Architetto”; Roberto Gamba, I premi di arte e architettura istituiti dall’Accademia di Brera nei primi anni dell’800; PAVIA (a cura di V. Prina): Luigi Leoni, Premio Internazionale di Architettura Sacra “frate Sole”; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Segreteria Organizzativa, Prospettive di Architettura, n. 3, pp. 21-31

• Giampiero Bosoni, Quale futuro progettuale per la cultura dell’abitare?; Luca Basso Peressut, Tra architettura e museografia; Andrea Branzi, L’autonomia del Design degli Interni; Arturo Dell’Acqua Bellavitis, La riscoperta della cultura dell’abitare; Gianni Ottolini, Architetti degli interni; Maurizio Vogliazzo, Architettura degli interni e senso dello spazio; Giampiero Bosoni, Intervista a Michele De Lucchi; Giampiero Bosoni, Intervista a Vico Magistretti; Red., Formazione universitaria; Corsi di specializzazione, n. 4, pp. 4-14 BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Edoardo Conte, Design: anatomia di un concetto; COMO (a cura di R. Fasola): Carlo Marelli e Massismo Molteni, Progettare la qualità della vita: una necessità contemporanea; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): M. Elisabetta Ripamonti, Intervista a Tiziana Lorenzelli; Intervista a Romeo Sozzi; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Giampaolo Benedini, La realtà mantovana; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, Design e architettura d’interni a Milano; Anty Pansera, Il design italiano: definizioni, riflessioni, prospettive; PAVIA (a cura di V. Prina): Vittorio Prina, Poggi e il design italiano; Recenti allestimenti ai musei civici del Castello Visconteo; Marco Chiolini, Allestimento della Sala longobarda; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castiglioni): Andrea Ciotti, Varese Design, n. 4, pp. 15-34 • Maurizio Carones, Riviste o bollettini?; Alberto Caruso, Il caso svizzero; Cristina Chiorino, Riviste degli Ordini: un panorama nuovo dell’architettura; Leonardo Fiori, I miei vent’anni a “Costruire”; Angelo Torricelli, Professione e ricerca, n. 5, pp. 4-11 Sonia Milone (a cura di), Le riviste degli Ordini e delle Federazioni; Sonia Milone (a cura di), L’edicola degli Ordini; Luciana Calvano, Intervento; Claudio Maffiolini, Intervento; Sonia Milone (a cura di), AL: numero dopo numero, n. 5, pp. 12-23 BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Paolo Aresi, Stampa e architettura; BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Paola Tonelli, OA – notiziario degli APPC della Provincia di Brescia; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, Bilancio di un’attività editoriale; CREMONA (a cura di M. Masotti): Massimo Masotti, Le pubblicazioni dell’Ordine; Il sito dell’Ordine; LECCO (a cura di M.E. Ripamonti): Tiziana Lorenzelli, “Notes”. La nuova rivista dell’ordine degli Architetti della Provincia di Lecco; LODI (a cura di A. Negrini): Antonino Negrini, L’Ordine sul Web; MILANO (a cura di R. Gamba): Enrico Togni, Il sito dell’Ordine degli Architetti di Milano, Giulio Galli, Il “Giornale dell’Ingegnere”; PAVIA (a cura di V. Prina): Luca Micotti, Pubblicazioni dell’Ordine; Nico Papalia, Il sito dell’Ordine di Pavia; SONDRIO (a cura di E. Scaramellini): Enrico Scaramellini, Giovanni Muzio e il Palazzo del Governo di Sondrio; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castigioni): Claudio Castiglioni, Paolo Zanzi, Artefici di “Acanto”, n. 5, pp. 24-32 • Giulio Barazzetta, La periferia come forma della città attuale; Alessandro Balducci, Riqualificare le periferie; Stefano Boeri, Periferia milanese; Giancarlo Motta, Il territorio della periferia; Marco Romano, Appartenere all’urbs, n. 6, pp. 4-12 BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Dario Nicoli e Alessandro Pellegrini, Nuclei storici e quartieri periferici; COMO (a cura di R. Fasola): Luigia Martinelli, Como. Città recente e città antica: riequilibrio della qualità urbana; LECCO (a cura di M.E. Ripamonti): M. Elisabetta Ripamonti, Periferie della Provincia di Lecco, Carmen Carabùs, La conoscenza di un territorio; Pierfranco Mastalli, La realtà dei “mille campanili”; M. Elisabetta Ripamonti, A colloquio con Pietro Francesco Canali; LODI (a cura di A. Negrini): Gio Gozzi, La non-pianificazione delle periferie, sotto l’impulso della speculazione immobiliare; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, La riqualificazione della periferia nella Provincia di Milano; Alessandro Balducci (a cura di), Restituire centralità attraverso la progettazione di nuove forme e di nuovi contenuti; Lab. di Quartiere di Ponte Lambro, Ponte Lambro: un Laboratorio sulle Periferie Urbane; Comune di Milano – Settore Periferie, Milano: riqualificazione del complesso Cascine Chiesa Rossa; Unità di progetto – programmi partecipati di riqualificazione urbana, Scommettere sulla possibilità del cambiamento nella periferia urbana; Comune di Monza – settore PRG, Europan 7 per il Comune di Monza; PAVIA (a cura di V. Prina): Vittorio Prina, Un’occasione mancata; Remo Dorigati, Paesaggi urbani; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castigioni): Laura Gianetti, La strada a fondamento delle periferie, n. 6, pp. 13-28 • Roberto Formigoni, Sussidiarietà, identità culturale e territorio: una grande sfida per il futuro; Giulio Ballio, Università e territorio; Antonio Acuto, L’insediamento universitario in Lombardia; Pier Carlo Palermo, Le molteplici forme di relazione tra università e territori; Adalberto Del Bo, L’idea di campus; Remo Dorigati, Università: gli spazi che non servono; Elisa Pozzoli, Le università come attori della trasformazione urbana; Lanfranco Senn,L’impatto dell’Università sul territorio,n.7,pp.4-10 BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Gianfranco


Rusconi, L’Università di Bergamo ed il suo sviluppo; BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Paola Tonelli, Le sedi universitarie a Brescia; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, Nascita e sviluppo del Politecnico comasco; CREMONA (a cura di M. Masotti): Massimo Masotti, Università a Cremona e Crema. Presente e futuro; LECCO (a cura di M.E. Ripamonti): M. Elisabetta Ripamonti, A colloquio con Giuseppe Turchini; LODI (a cura di A. Negrini): Gio Gozzi, Il nuovo polo universitario di Lodi, un’opportunità per il rilancio di tutto il territorio; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Marco Caprini, Università per il territorio; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, Università della Provincia di Milano; Marcello De Carli, Area dei gasometri di Bovisa a Milano. Architettura interrotta; Gabriele Schiatti, Università Cattolica del Sacro Cuore; 5+1 – architetti associati, Progetto di massima per l’ampliamento della sede IULM di Milano, via Carlo Bo; PAVIA (a cura di V. Prina): Massimo Giuliani, La riorganizzazione dell’Università di Pavia ed il rapporto con la città; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castigioni): Giancarlo De Luca, Università degli Studi dell’Insubria, n. 7, pp. 20-23 • BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Antonio Cortinovis, Le attività svolte dal Consiglio dell’Ordine (giugno 2003 – maggio 2004); BRESCIA (a cura di P. Tonelli): Paola Tonelli, L’attività dell’Ordine nel 2003; COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola (a cura di), Ordine degli Architetti della Provincia di Como: eventi anno 2003 – giugno 2004; G. Mazzotta, A. Monti, C. Tagliabue, Premio Maestri Comacini 2003; Comm. Urb. Arch. di Como, Ciclo Incontri sul territorio 2003; Cons. Ordine degli Arch. Como, Programma di lavoro del nuovo Consiglio 2004; CREMONA (a cura di M. Masotti): Massimo Masotti, Attività dell’Ordine degli Architetti, P. P. e C. della Provincia di Cremona (maggio 2003 – maggio 2004; LECCO (a cura di M.E. Ripamonti): M. Elisabetta Ripamonti, Un anno di attività; LODI (a cura di A. Negrini): Vincenzo Puglielli, Attività e azioni dell’Ordine degli Architetti di Lodi, 2003-2004; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Sergio Cavalieri, Attività dell’Ordine di Mantova; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, L’Ordine e la Fondazione: un servizio completo per gli iscritti; Roberto Rizzente, Un anno di attività alla Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Milano; PAVIA (a cura di V. Prina): Luca Micotti, La Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti di Pavia a quindici anni dal crollo della torre civica; Remo Dorigati, La torre, simboli e funzioni; SONDRIO (a cura di E. Scaramellini): Enrico Scaramellini, Olanda 2003; Gianluca Fanetti, Un convegno sulla bioarchitettura, n. 8/9, pp. 4-27 • Marco Brizzi, L’architetto dietro lo schermo; Manlio Brusatin, Il blob design. Disegno e progetto nella seconda modernità; Maria Cristina Loi, Il disegno di architettura; Livio Sacchi, Liquefare, liquidare; Vittorio Ugo, “L’essenza della tecnica non ha nulla di tecnico”; Mina Fiore (a cura di), Rassegna di software, Spot on Schools, n. 10, pp. 4-14 BERGAMO (a cura di A. Cortinovis e A. Pellegrini): Matteo Calvi, Il computer nello studio professionale; BRESCIA (a cura di L. Dalè e P. Tonelli): Marcello Mori, Strumenti per il progetto; COMO (a cura di R. Fasola): Marco Castelletti, Dalla matita al mouse; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): Pierangelo Boltri, Disegnare con il computer; M. Elisabetta Ripamonti, A colloquio con Roberto Boni; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Enrico Prandi, Strumenti da disegnare e strumenti per progettare; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, Tecniche di rappresentazione, Guido Morpurgo, Il disegno architettonico: mezzo di comunicazione o strumento di riflessione?, Filippo Pagliani, La pratica filmica nella progettazione architettonica contemporanea; PAVIA (a cura di V. Prina): Giancarlo Floridi, Esattezza e indeterminazione nell’uso del computer, Leonardo Scarparo, L’animazione 3D nel progetto architettonico; VARESE (a cura di E. Bertè e C. Castigioni): Claudio Castiglioni, Nuovi strumenti, metodi sorpassati, n. 10, pp. 15-28 • Matilde Baffa, Abitazioni e dintorni; Paola Di Biagi, La città pubblica: un laboratorio della modernità da riqualificare e tutelare; Stefano Guidarini e Pierluigi Salvadeo, Dall’Edilizia residenziale pubblica all’Architettura residenziale pubblica; Carlo Lio, La riforma dell’edilizia residenziale pubblica in Lombardia; Alessandra Marin, Gli archivi dell’edilizia residenziale pubblica: conoscenza, tutela, accessibilità e valorizzazione di un patrimonio collettivo; Raffaele Pugliese, Una rinnovata questione delle abitazioni, n. 11, pp. 4-12 COMO (a cura di R. Fasola): Roberta Fasola, Un pomeriggio all’Aler per parlare di qualità dell’architettura; CREMONA (a cura di M. Masotti): Massimo Masotti, Il futuro dell’edilizia popolare nel territorio cremonese. Valorizzare il costruito e puntare all’innovazione tecnologica; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): M. Elisabetta Ripamonti, Conversazione con Giuseppe Canali; LODI (a cura di A. Negrini): Raffaele Spelta, Organizzazione, attività svolte e progetti futuri dell’ALER di Lodi; MANTOVA (a cura di S. Cavalieri): Marco Caprini, Tra

centro e periferia; MILANO (a cura di R. Gamba): Roberto Gamba, Ricognizione sulla residenza pubblica; Riccardo Gavardi, Proposte per il Contratto di quartiere II – Milano Quartiere Mazzini; Milano: Quartiere Molise Calvairate; Area Tecnica di Programmazione del Comune di Cornaredo; PAVIA (a cura di V. Prina): Vittorio Prina, Edilizia residenziale popolare a Pavia; SONDRIO (a cura di E. Scaramellini): Marco Cattone, ALER, la risposta sociale per la casa, n. 11, pp. 13-25 • Emilio Pizzi, Validazione: un primo passo verso la qualità dell’architettura costruita; Gaetano de Gattis, Una testimonianza dalla prima linea; Mauro Moroni, Validazione del progetto, una scommessa da non perdere; Enzo Puglielli, Validazione e deontologia; Gionata Rizzi, Il verificatore non conforme, n. 12, pp. 4-14 Mauro Moroni, Come si calcola il corrispettivo per il servizio di validazione del progetto; Organismi di validazione del progetto; Il processo di validazione del progetto, n. 12, pp. 15-16 COMO (a cura di R. Fasola): Antonio Guffanti, La certificazione di qualità del progetto. Riflessioni e considerazioni; LECCO (a cura di M. E. Ripamonti): M. Elisabetta Ripamonti, Certificazioni di progetto; MILANO (a cura di R. Gamba): Massimo Capolla, Stazioni appaltanti: problematiche di validazione dei progetti, n. 12, pp. 17-20 ARGOMENTI • Pio Baldi, DARC. Qualità dell’architettura contemporanea nelle città e nei territori europei; Manuel Roberto Guido, Le ragioni e il programma del Seminario; Alberto Clementi, Committenza, contesti e qualità diffusa; Aldo Aymonino, Una pluralità di sguardi, finalmente; Mosè Ricci, Infrascape – infrastrutture e paesaggio. Dieci indirizzi per la qualità della progettazione; Piero Orlandi, La legislazione dell’EmiliaRomagna per la riqualificazione urbana e paesaggistica; Giancarlo Cosenza, Piero Bottoni a Capri; Francesco Fallavollita, Il teatro ricreato, n. 1/2, pp. 30-35 • Daniele Vitale, Architettura Civile: l’opera di Guido Canella; Giulio Barazzetta, I (grattacieli) di Martinville; Antonella Contin, Nuovi tipi di edifici, unità d’uso del terreitorio e/o tipi di landscape; Franco Raggi, Il gioco sapiente. Note a proposito di 24 disegni di Ettore Sottsass, n. 3, pp. 32-36 • Matteo Vercelloni, Salone e Fuori Salone, la settimana del Design a Milano; Matteo Baborsky, Artigiani come artisti; Enrico Bordogna, Il gran teatro di Giovanni Testori, n. 4, pp. 35-37 • Renzo Riboldazzi, Milano sul crinale della modernità; Matteo Baborsky, Giochi senza frontiere. I Grandi Incontri della Triennale di Milano, n. 5, p. 33 • Martina Landsberger, Festa per l’architettura alla Triennale di Milano; Red., Un convegno internazionale sulla figura di Giuseppe de Finetti; Francesco Fallavollita, Terragni architetto europeo, n. 6, pp. 29-31 • Davide Tolomelli, I collegi universitari in area lombarda tra XVI e XVIII secolo; Silvia Malcovati e Michele Caja, L’università come problema di architettura; Carlo Gandolfi, Università e studenti. Un’idea semplice; Mina Fiore, Seminario “L’architettura e il mercato”, n. 7, pp. 24-27 • Martina Landsberger, Parma. Primo Festival dell’Architettura; Maria Vittoria Capitanucci, Fondazione Benetton Studi Ricerche. Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino; Graziella Leyla Ciagà, Gli archivi degli architetti: un patrimonio da conoscere”, n. 8/9, pp. 28-29 • Mina Fiore, Genova 2004: cosa resta; Martina Landsberger, Una stupefacente collezione; Sonia Milone, Milano-Milano: andata e ritorno; Irina Casali, Metamorph. Mutazioni dello spazio vivente tra forme e metafore organiche, n. 10, pp. 29-30 • Cristina Bergo e Marco Lucchini, Il problema della resiednza temporanea; Mina Fiore, IX Biennale: attraversando le Corderie; Maria Vittoria Capitanucci, Sguardi contemporanei a Venezia; Roberto Rizzente, Tadini, un’eredità da (ri)scoprire; Irina Casali, Se la città è un’opera d’arte, n. 11, p. 26-27 • Adalberto Del Bo, Europa riconosciuta; Manuela Oglialoro, Territorio rurale, tra salvaguardia e trasformazioni; Mina Fiore, Istanbul 2005: XXII Congresso UIA, n. 12, p. 21 CONVERSAZIONI • Antonio Borghi, Intervista a John Foot, n. 1/2, p. 36 • Antonio Borghi, Intervista a Vittorio Gregotti, n. 3, p. 36 • Antonio Borghi, Intervista a Mario Bellini, n. 4, p. 38 • Antonio Borghi, Intervista a Shelley McNamara e Yvonne Farrell, n. 5, p. 34 • Antonio Borghi, Intervista a Giancarlo De Carlo, n. 6, p. 32 • Antonio Borghi, Intervista a Andreas Brandt, n. 7, p. 28 • Antonio Borghi, Intervista a Kurt W. Forster, n. 8/9, p. 30 • Antonio Borghi, Intervista a David Chipperfield, n. 10, p. 31 • Antonio Borghi, Intervista a Carlo Bertelli, n. 11, p. 28 • Antonio Borghi, Intervista ad Amaro Isola, n. 12, p. 22

CONCORSI • Roberto Gamba, Lodi: disegno urbano della parte di città situata oltre l’Adda; Attracco battelli con pontile a Valmadrera (Lc), n. 3, pp. 37-39 • Roberto Gamba, Brescia: bando per la progettazione e l’assegnazione di aree PEEP edificabili; Soncino, riqualificazione urbana del capoluogo e della frazione Gallignano, n. 4, pp. 39-42 • Roberto Gamba, Cassano Magnago (Va): riqualificazione della zona denominata Sant’Anna; Concorso per la nuova sede municipale di San Zeno Naviglio (Bs); San Martino Siccomario (Pv): riqualificazione e recupero di via Roma, n. 5, pp. 35-39 • Roberto Gamba, Sistemazione della p.zza Chiesa ed aree limitrofe ad Arosio (Co); Riqualificazione urbanistica delle aree del centro storico di Mariano Comense (Co), n. 6, pp. 33-35 • Roberto Gamba, Concorso di progettazione “Giardini di Porta Nuova”, Milano; Riqualificazione di lungolago a Stresa (Verbano Cusio Ossola), n. 7, pp. 29-33 • Roberto Gamba, Polo provinciale d’eccellenza per l’innovazione ed il lavoro (Mi); Recupero ambientale-paesistico del parco fluviale situato sulle rive del fiume Oglio a Palazzolo (Bg); Nuova sede municipale, Veduggio con Colzano (Mi), n. 8/9, pp. 31-36 • Roberto Gamba, Bergamo: premio di architettura Città dei mille; Riqualificazione di piazza della Libertà ed aree limitrofe a Cornaredo (Mi), n. 10, pp. 32-38 • Roberto Gamba, Nuova sede ALER, spazi residenziali per attività produttive e terziario a Masnago (Va); Riqualificazione delle aree lungolago a Gavirate (Va); Nuova sede della Regione Lombardia a Milano, n. 11, pp. 29-34 • Roberto Gamba, Museo dell’Industria e del Lavoro a Brescia; Riqualificazione delle piazze di Cardano al Campo (Varese); Nuova pista ciclopedonale da Gavarno a Nembro, n. 12, pp. 23-30 LEGISLAZIONE • Emanuele Ratto, La Legge Lunardi è costituzionale, ma il governo non lo sapeva; Walter Fumagalli, Opere di urbanizzazione a scomputo: ancora un siluro contro la legge italiana, n. 1/2, pp. 37-39 • Walter Fumagalli, Le nuove regole sulla sanatoria degli abusi edilizi; Emiliano Fumagalli, Via libera al terzo condono edilizio, n. 3, pp. 40-42 • Walter Fumagalli, Qualcosa cambia nella tutela del paesaggio; Riccardo Marletta, La disciplina transitoria del Codice dei beni culturali e del paesaggio, n. 4, pp. 43-44 • Walter Fumagalli, La disciplina dei beni culturali; Luca de Nora, Gli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, n. 5, pp. 40-41 • Walter Fumagalli, Il Paesaggio delle periferie; Doris Mansueto, I programmi integrati di intervento in variante, n. 6, pp. 36-38 • Walter Fumagalli, A chi spetta il compito di approvare i piani regolatori?; Emiliano Fumagalli, I mutamenti di destinazione d’uso: il rito ambrosiano, n. 7, pp. 34-35 • Walter Fumagalli, Il diritto d’autore degli architetti; Lodovica Bognetti, La futura disciplina delle professioni, n. 8/9, pp. 37-39 • Walter Fumagalli, Quel che è rimasto del condono edilizio, n. 10, pp. 39-41 • Walter Fumagalli, La sponsorizzazione delle opere pubbliche; Riccardo Marletta, Pubbliche amministrazioni in cerca di sponsor, n. 11, pp. 35-37 • Giovanni Guarnieri, La certificazione di qualità: aspetti giuridici; Walter Fumagalli, La “super-D.I.A.” ancora nell’occhio del ciclone, n. 12, pp. 31-33 NORMATIVE E TECNICHE • Isabella Steffan, Il progetto per tutti e la cultura della fruibilità, n. 10. pp. 42-43 STRUMENTI • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 1/2, pp. 40-41 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 3, pp. 43-44 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 4, pp. 45-46 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 5, pp. 42-43 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 6, pp. 39-40 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 7, pp. 36-37


• Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 8/9, pp. 40-41 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 10, pp. 44-45 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 11, pp. 38-39 • Camillo Onorato, Leggi; Manuela Oglialoro, Pubblicistica, n. 12, pp. 34-35 DAGLI ORDINI • Brescia: Paolo Ventura, Borse di studio semestrali; Lecco: Carmen Carabùs, 8 novembre 2003: Giornata Mondiale dell’Urbanesimo; Milano: Laura Truzzi, Elezioni del Consiglio dell’Ordine per il Biennio 2001-03; Designazioni; Corsi 2004; Itinerari d’architettura; Jacopo Ferrero, Serate d’architettura, n. 1/2, pp. 42-45 • Milano: Laura Truzzi, Designazioni; Convenzioni; Agenzia del Territorio Ufficio di Milano, n. 3, p. 45 • Cremona: Massimo Masotti, Scala 1:1. Mostra di progetti dello studio MCA, Mario Cucinella Architects; Milano: Laura Truzzi, Servizi agli iscritti; Convenzioni; Corsi 2004; Designazioni; Serate d’architettura, n. 5, pp. 44-45 • Bergamo: Gabrio Rossi, Attività della Commissione Informazione ed Internet; Milano: Laura Truzzi, Serate di architettura; Fulvio Irace, Itinerari di Architettura Milanese, n. 6, pp. 41-42 • Milano: Laura Truzzi, Designazioni; Comune di Milano; Serate di architettura, n. 7, pp. 38-41 • Bergamo: Movimento iscritti; Mantova: Sergio Cavalieri, Bando: Borsa di studio annuale; Milano: Laura Truzzi, Designazioni; Serate di architettura; Convenzioni; Fausto Colombo, Ricordo di Lorenzo Forges Davanzati, 1929-2004; L. M. Mirizzi, R. Sirica, Proroga elezione Consiglio Nazionale e Ordini territoriali, n. 8/9, pp. 42-45 • Milano: Laura Truzzi, Designazioni; Serate di architettura; Convenzioni; Comunicazioni, n. 10. pp. 46-48 • Como: Chiara Rostagno, La costruzione della città. Como 1933-1937; Milano: Laura Truzzi, Designazioni; Convenzioni; Corsi 2004-05, n. 11, pp. 40-41 • Milano: Laura Truzzi, Designazioni; Ricordo di Lodovico Barbiano di Belgiojoso, n. 12, p. 36 LETTERE • Roberto Marcatti, Open Studio: lettera aperta ai colleghi; Sergio Brenna, Il caso Fiera, n. 8/9, p. 45 • Claudio Sangiorgi, Ripartire dal tipo, n. 10. p. 48 • Andrea Disertori, Su Milano; Biblioteca del D.P.A., Politecnico di Milano, Un appello della Biblioteca del DPA, n. 11, p. 41 STAMPA • Manuela Oglialoro, Rassegna, n. 1/2, p. 46 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, Pensare architettura, n. 3, pp. 46-47 • Manuela Oglialoro, Rassegna, n. 4, p. 47 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Vittorio Prina, La torre civica di Pavia: un dibattito ancora aperto, n. 5, pp. 46-47 • Manuela Oglialoro, Rassegna, n. 6, p. 43 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, Architettura e bellezza, n. 7, pp. 42-43 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, La bellezza è partecipazione, n. 8/9, pp. 46-47 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, Grattacieli a Milano, n. 10, pp. 49-51 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, Aguzzate la vista, n. 11, pp. 42-43 • Manuela Oglialoro, Rassegna; Antonio Borghi, Vecchia Milano, n. 12, pp. 37-38 LIBRI, RIVISTE E MEDIA • Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna; Gianfredo Mazzotta, C. Pagnani, Decretum super flumine… La storia del primo Naviglio…; Vittorio Prina, I. Bignardi, Le piccole utopie; Roberto Gamba, P. Favole, A. Faraone, Milano 2003. La transizione; Claudio Sangiorgi, G. Nardi, Percorsi di un pensiero progettuale; Renzo Riboldazzi, F. Loi, Milano. Lo sguardo di Delio Tessa; Luca Gelmini, G. Zannone Milan (a cura di), Costruzioni federali. Architetture 1988-1989…; Annette Tosto, L. Meneghetti, La partecipazione in urbanistica e architettura, n. 3, pp. 48-49 • Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna; Carlo Berizzi, L. Bonesio, L. Micotti, Paesaggi di casa; Valentina Cristini, S. Santuccio, L’utopia nell’architettura del ’900; Maria Teresa Feraboli, Prov. di Cremona, Cascine. Frammenti del ricordo; Martina Landsberger, P. Giandebiaggi, Il disegno di un’uto-

pia; Ilario Boniello, R. Bonicalzi (a cura di), Progetti per Pavia; Giulio Barazzetta, N. Assanna Cavadini, Simone Cantoni architetto; Maurizio Carones, G. Maffei (a cura di), Gianfranco Caniggia. Architetto, n. 4, pp. 48-49 • Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna; Sonia Milone, Domus; Matteo Baborsky, D. Sudjic, Ron Arad; Martina Landsberger, P. Melis, Adalberto Libera; Alberta Bergomi, L. Patetta, Ario l’eretico; Claudio Sangiorgi, R. Weston, Materiali e forme in architettura; Antonio Borghi, M. Boeckl, B. Podrecca, Boris Podrecca. Offene Räume; Manuela Oglialoro, M.C. Ricci, Le fortificazioni del Basso milanese, n. 5, pp. 48-49 • Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna; Giulio Barazzetta, G. Postiglione (a cura di), 100. One hundred Houses for one hundred European Architects…; Ilario Boniello, C. Campanella, Il rilievo degli edifici; Roberto Gamba, M. Mulazzani, Gabriella e Massimo Carmassi; Maurizio Carones, J.S. Ackerman, Architettura e disegno; Francesco Fallavollita, C. Ravagnati, Tecniche di ripetizione; Antonio Borghi, J. Cepl (a cura di), Hans Kollhoff; Michele Caja, L. Barbiano di Belgiojoso, Frammenti di una vita, n. 6, pp. 44-45 • Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna; Martina Landsberger, A. Saltini, M. T. Salomoni, S. Rossi Cescati, Via Emilia. Percorsi inconsueti…; Ilario Boniello, S. Settis, Futuro del “classico”; Igor Maglica, F. Craca, João Alvaro Rocha; Alberta Bergomi, AA. VV., Luoghi della letteratura italiana; Roberto Gamba, J. Natterer, Atlante del legno; Irina Casali, F. Colombo, La città è altrove; Maurizio Carones, G. Morpugno, Gregotti Associati 1953-2003, n. 7, pp. 44-45 • Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna; Irina Casali, F. L. Wright, Architettura e democrazia; Giorgio Casati, G. Dorfles, Discorso tecnico sulle arti; Gian Luca Brunetti, M. Pisani, Pica Ciamarra Associati. Frammenti; Sonia Milone, M. Brignani, L. Roncai (a cura di), Giardini cremonesi; Martina Landsberger, G. Mezzanotte, Le voci di San Pietroburgo…; Giulio Barazzetta, I. Bonetti, M. Carones, G. Motta, A. Pizzigoni, Le carte di Robbiate…; Francesco Fallavollita, M. Cacciari, Della Cosa Ultima, n. 8/9, pp. 48-49 • Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna; Adalberto Del Bo, G. Contessi, Vite al limite; Paola Proverbio, R. Poletti, Zanotta; Maria Teresa Feraboli, A. Mortari, C. Bonora Previdi, Il verde a Mantova dalla fine del Settecento…; Martina Landsberger, A. Wogenscky, Le mani di Le Corbusier; Olga Chiesa, L. Ferro, In Grecia archeologia…; Maurizio Carones, M. Nardini, Design virtuale; Giulio Barazzetta, C. Macchi Cassia, M. Orsini, N. Privileggio, M. Secchi. Per Milano, n. 10. pp. 52-53 • Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna; Francesco Fallavollita, A. Gallo, Lina Bo Bardi Architetto; Martina Landsberger, D. Pini e F. Boschi (a cura di), Stazioni ferroviarie e riqualificazione urbana; Irina Casali, C. Willis (a cura di), Empire State Building. 21 mesi per costruire il grattacielo più alto del mondo; Roberto Gamba, C. Lanza, Dall’incarico alla parcella: Guida per architetti e ingegneri; Alessandro Trivelli, L. Marescotti, Città tecnologie ambiente: la tecnologia per la sotenibilità e la protezione ambientale; Igor Maglica, AA. VV., Pabellón de España. Corredores de Fondo; Michele Caja, M. Romano, Costruire le città, n. 11, pp. 44-45 • Valentina Cristini, Giulia Miele, Rassegna; Alberta Bergomi, G. Rosa, Identità di una metropoli: La letteratura della Milano moderna; Luciano Bolzoni, M. De Giorgi, Carlo Mollino. Interni in piano sequenza; Irina Casali, P. Virilio, Città Panico; Martina Landsberger, M. Beard, Il Partenone; Ilario Boniello, G. Forcolini, Lighting. Progettazione per ambienti interni ed esterni; Manuela Oglialoro, A. Barzaghi, Gratosoglio. Vicende storiche…; Maurizio Carones, A. Nove, Milano non è Milano, n. 12, pp. 39-40 MOSTRE E SEMINARI • Red., Rassegna mostre; Marco Grassi, La grande Bilbao a Genova; Claudio Sangiorgi, In memoria di Giovanni Ferracuti; Maria Teresa Feraboli, La “casa per tutti” in Emilia Romagna, n. 1/2, p. 47 • Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; Maria Pompeiana Iarossi, L’architettura e lo sguardo; Graziella Leyla Ciagà, La casa popolare 1903-2003; Michele Caja, Caratteri somatici e tipologie caratteriali; Maddalena D’Alfonso e João Soares, Fotografare il Portogallo; Andrea Guastalla, Variazioni su un lotto gotico; Maurizio Carones, Un problema di prospetto, n. 3, pp. 50-51 • Red., Rassegna mostre; Rassegna seminari; Maria Teresa Feraboli, Le radici del naturalismo lombardo; Filippo Lambertucci, L’uomo e la credenza; Martina Landsberger, La città che fluttua; Mina Fiore, Racconti dalla città senza fine; Barbara Asperti, Giovani architetti per Bergamo Alta; Silvia Malcovati, European Union top 41, n. 4, pp. 50-51 • Red., Rassegna mostre, Rassegna seminari; Claudio Sangiorgi, L’innovazione nell’architettura; Filippo Lambertucci, Luce – Spazio; Alessandra Moro, Invenzioni “fantastiche”; Maria Teresa Feraboli, De Chirico: la metafisica scolpita;

Renzo Riboldazzi, Frammenti di una Milano sgomenta; Cecilia Bolognesi, Una storia che parla di futuro, n. 5, pp. 50-51 • Red., Rassegna mostre, Rassegna seminari; Sonia Milone, Tempi moderni; Manuela Oglialoro, Dalla ricostruzione al Boom economico; Ivana Tubaro, Storie visive della Triennale; Pisana Posocco, Anselmi: progettare e disegnare; Francesco Bruno, Un punto di vista sulla residenza; Mina Fiore, La periferia e il caso di Rozzano, n. 6, pp. 46-47 • Red., Rassegna mostre, Rassegna seminari; Alessandro Vicari, Novegro: oggetti da collezionare; Maria Teresa Feraboli, Origami trasparenti; Irina Casali, Chagall, poeta del colore; Manuela Oglialoro, Arte contemporanea della Farnesina; Francesco Fallavollita, I CM8 e il piano per Como; Andrea Ciotti, Tagliabue, 5+1 e Podrecca a Varese, n. 7, pp. 46-47 • Sonia Milone, Rassegna mostre; Rassegna seminari; Giuseppe Biasi, Tra astrazione e paesaggio; Carlo Togliani, Due architetti a confronto; Matteo Baborsky, Meraviglie Applicate; Francesca Scotti, Architetture di fondazione; Carlo Ravagnati, La città delle acque; Mina Fiore, Conoscere, rappresentare, agire, n. 8/9, pp. 50-51 • Sonia Milone, Rassegna mostre, Rassegna seminari; Irina Casali, Lo spazio in movimento; Claudio Sangiorgi, L’essenza della trasparenza; Sonia Milone, Sulle tracce di Scarpa; Matteo Baborsky, Progettare sezionando; Gianluca Gelmini, L’Egitto di Winckelmann; Carlo Gandolfi, Ancor’oggi: Giuseppe de Finetti, n. 10, pp. 54-55 • Sonia Milone, Rassegna mostre, Rassegna seminari; Filippo Lambertucci, Il lato oscuro del Colosseo; Pisana Posocco, Dall’Archivio di Aldo Rossi; Francesco Fallavollita, Il centenario di Terragni; Federica Serena, Terragni e la monumentalità; Irina Casali, Mondi possibili; Giulio Barazzetta, I progetti per la Fiera in Triennale, n. 11, pp. 46-47 • Sonia Milone, Rassegna mostre; Rassegna seminari; Francesco Fallavollita, Venezia rivisitata da Turner; Sonia Milone, Le geografie dell’arte; Maria Vittoria Capitanucci, Arti e Architetture; Silvia Malcovati, Scultura e architettura; Fabrizia Franco, Architettura e fotografia; Irina Casali, Il teatro e il suo spazio; Carlo Togliani, L’eredità di Giorgione a Mantova; Maria Teresa Feraboli, Il progetto della memoria; Matteo Baborsky, Prodotto artigianale e sua diffusione; Maurizio Carones, Costruzione e necessità, n. 12, pp. 41-43 ITINERARI • Vittorio Prina, Ottavio Bonomi e Pavia, n. 3, pp. 52-55 • Luciano Bolzoni, L’architettura delle centrali elettriche in Provincia di Sondrio, n. 4, pp. 52-55 • Cristina Colleoni, Carlo Perogalli e la sintesi delle arti: architetture a Milano, n. 5, pp. 52-55 • Carmen Marchionna e Luciano Roncai, Alziro Bergonzo: un architetto bergamasco, n. 8/9, pp. 52-55 • Vittorio Prina, Gaetano Ciocca e Garlasco, Pavia e provincia, n. 12, pp. 44-47 INDICI E TASSI • Indici e tassi, n. 1/2, p. 48 • Indici e tassi, n. 3, p. 56 • Indici e tassi, n. 4, p. 56 • Indici e tassi, n. 5, p. 56 • Indici e tassi, n. 6, p. 48 • Indici e tassi, n. 7, p. 48 • Indici e tassi, n. 8/9, p. 56 • Indici e tassi, n. 10, p. 56 • Indici e tassi, n. 11, p. 48 • Indici e tassi, n. 12, p. 48 ATTI DEL CONVEGNO • Stefano Castiglioni, Periferie urbane: dalla denuncia alla proposta; Paolo Avarello, Verso progetti integrati per la qualità urbana, Suppl. n. 6, pp. 3-5 • Programma del Convegno “Abitare le periferie”, 18 marzo 2004, Suppl. n. 6, p. 6 • I problemi e le sperimentazioni: interventi di Leonardo Fiori, Marco Brambilla, Marco Engel, Gianfredo Mazzotta, Alfredo Mela, Piero Ranzani, Iginio Rossi, Gianni Verga, Alfredo Viganò, Suppl. n. 6, pp. 8-25 • Le politiche e gli strumenti operativi: interventi di Ettore Bonalberti, Roberto Ceresoli, Luciano Niero, Giovanni Oggioni, Mario Rossetti, Suppl. n. 6, pp. 26-30 • Contributi tematici: interventi di Jacopo Gardella e Fabrizia Iacci, Emanuele Tortoreto, Suppl. n. 6, pp. 30-32 INDICE • Indici 2003, n. 4


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