AL Mensile di informazione degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori Lombardi
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FORUM Architettura e fotografia interventi di Gabriele Basilico, Maddalena d’Alfonso, Maria Letizia Gagliardi, Angelo Maggi, Lucia Miodini Archivi fotografici e banche dati I fotografi di AL
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FORUM ORDINI Brescia Como Cremona Lecco Mantova Milano Monza e Brianza Pavia Varese
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OSSERVATORIO Argomenti Conversazioni Mostre
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PROFESSIONE Legislazione
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INFORMAZIONE Dalla Consulta Dagli Ordini Lettere e commenti
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INDICI E TASSI
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Direttore Responsabile Ferruccio Favaron Direttore Maurizio Carones Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori Redazione Igor Maglica (caporedattore) Irina Casali, Martina Landsberger, Annalisa Bergo Direzione e Redazione via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione@consulta-al.it Progetto grafico Gregorietti Associati Impaginazione Francesca Forte Concessionaria per la pubblicità service editoriale Action Group srl Via Londonio 22 – 20154 Milano Tel. +39 02.34.53.8338 Fax +39 02.34.93.7691 www.actiongroupeditore.com info@actiongroupeditore.com Coordinamento pubblicità Riccardo Fiorina rfiorina@actiongroupeditore.com Pubblicità Leonardo Cereda Emanuele Ghelfi Gianmarco Trenti Stampa Mondadori Printing s.p.a. sede legale 24034 Cisano Bergamasco via L. e P. Pozzoni 11 Rivista mensile: Poste italiane Spa – Spedizione in a.p. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 1, DCB Milano Autorizzazione Tribunale n. 27 del 20.1.1971 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 36160 copie In base alla documentazione postale del numero di maggio 2008 sono state postalizzate 26931 copie in Italia. Abbonamento annuale (valido solo per gli iscritti agli Ordini Lombardi E 3,00) In copertina: Giuseppe Pagano, Helsinki, anni Trenta (Archivio Pagano) Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la Redazione di AL Chiuso in redazione: 11 maggio 2009
EDITORIALE
5 MAGGIO 2009
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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: segreteria@consulta-al.it Presidente: Ferruccio Favaron; Past President: Giuseppe Rossi; Vice Presidenti: Giorgio Tognon, Paolo Ventura; Segretario: Sergio Cavalieri; Tesoriere: Emiliano Ambrogio Campari; Consiglieri: Achille Bonardi, Stefano Castiglioni, Angelo Monti, Biancalisa Semoli, Giuseppe Sgrò, Daniela Volpi Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Commissario straordinario: Emiliano Ambrogio Campari Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Stefania Annovazzi, Umberto Baratto, Franco Cerudelli, Laura Dalé, Antonio Erculiani, Paola Faroni, Franco Maffeis, Donatella Paterlini, Silvia Pedergnaga, Enzo Renon, Roberto Saleri (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.ordinearchitetticomo.it Informazioni utenti: info@ordinearchitetticomo.it Presidente: Angelo Monti; Vice Presidente: Chiara Rostagno; Segretario: Margherita Mojoli; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Angelo Avedano, Antonio Beltrame, Alessandro Cappelletti, Laura Cappelletti, Enrico Nava, Michele Pierpaoli, Andrea Pozzi (Termine del mandato: 15.3.2010) Ordine di Cremona, tel. 0372 535422 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Ambrogio Campari; Vice Presidente: Gian Paolo Scaratti; Segretario: Federica Fappani; Tesoriere: Luigi Fabbri; Consiglieri: Luigi Agazzi, Giuseppe Coti, Davide Cremonesi, Antonio Lanzi, Fiorenzo Lodi, Fabio Rossi, Paola Samanni (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.ordinearchitettilecco.it Presidenza, segreteria e informazioni: ordinearchitettilecco@tin.it Presidente: Massimo Dell’Oro; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Marco Pogliani; Tesoriere: Vincenzo Spreafico; Consiglieri: Ileana Benegiamo, Fernando Dè Flumeri, Ferruccio Favaron, Massimo Mazzoleni, Elena Todeschini, Diego Toluzzo, Alessandra Valsecchi (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; 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Segretario: Pietro Giovanni Cicardi; Tesoriere: Paolo Vaghi; Vice Segretario: Giovanna Perego; Vice Tesoriere: Federico Pella; Consiglieri: Laura Cortinovis, Angelo Dugnani, Ezio Fodri, Clara Malosio, Maria Rosa Merati, Fabiola Molteni, Roberta Oltolini, Roberto Pozzoli, Francesco Redaelli, Francesco Repishti (Termine del mandato: 1.2.2010) Ordine di Pavia, tel. 0382 27287 www.ordinearchitettipavia.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Fabiano Conti, Maria Cristina Dragoni, Maura Lenti, Gian Luca Perinotto, Giorgio Tognon, Alberto Vercesi (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Giuseppe Sgrò; Vice Presidente: Giovanni Vanoi; Segretario: Aurelio Valenti; Tesoriere: Claudio Botacchi; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Marco Ghilotti, Enrico Scaramellini, Laura Trivella (Termine del mandato: 15.10.2009 Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.ordinearchitettivarese.it Presidenza: presidente.varese@awn.it Segreteria: infovarese@awn.it Presidente: Laura Gianetti; Segretario: Matteo Sacchetti; Tesoriere: Adriano Veronesi; Consiglieri: Luca Bertagnon, Maria Chiara Bianchi, Antonio Bistoletti, Emanuele Brazzelli, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Alberto D’Elia, Giovanni Battista Gallazzi, Ilaria Gorla, Pietro Minoli, Giuseppe Speroni, (Termine del mandato: 15.10.2009)
Ferruccio Favaron
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Il rapporto fra architettura e fotografia viene da lontano: la prima immagine fotografica della storia, riconducibile al 1826, rappresentava infatti uno spazio architettonico, la veduta da una finestra della casa familiare di J. N. Niépce. Oggi, con l’ausilio di una sofisticata tecnica digitale, la fotografia è diventata uno strumento di lavoro indispensabile per gli architetti, di cui valersi per la diffusione delle proprie opere. Andando però oltre la distinzione fra fotografia come moderno mezzo di documentazione e fotografia come espressione artistica, analizzando il modo in cui il fotografo indaga lo spazio percepito e ne restituisce un’immagine più o meno fedele, la domanda più comune che ci si pone è se la fotografia d’architettura debba avere una propria autonomia artistica o limitarsi ad essere un’attuale riproduzione oggettiva dell’opera. Non è facile distinguere le due cose: non sempre il fotografo reinterpreta infatti con le sue inquadrature le reali intenzioni dell’architetto. Può addirittura verificarsi che l’immagine fotografica diventi più importante dell’opera architettonica stessa e che quindi si presti a sostituire la realtà, oppure che, con abilità compositiva, si collochi fra figurazione e miraggio, fra esaltazione e rifiuto della realtà, accentuando il messaggio che l’opera di architettura vorrebbe trasmetterci. In questi casi la fotografia si presta anche a lettura critica dell’opera d’architettura e del suo legame con il contesto in cui è inserita. Gli architetti ricorrono spesso ad un bravo fotografo per la divulgazione delle loro opere. La scelta di immagini appropriate può aiutare infatti la costruzione del mito di un architetto, divenendo il mezzo più immediato ed efficace per valorizzare la sua opera. È noto il rapporto fra Mies e Ezra Stoller, Eames e Julius Shulman, ma soprattutto fra Le Corbusier e Lucien Hervè, al quale il maestro riconosceva la capacità di riprodurre con inquadrature particolari la sua architettura proprio come lui l’aveva pensata. Le immagini di Hervè, con i loro giochi di luce ottenuti con tagli netti e spigolosi, hanno contribuito a diffondere il lavoro dell’architetto svizzero in tutto il mondo, riuscendo nel contempo ad elevare la fotografia d’architettura ad espressione artistica. Gio Ponti ha insegnato personalmente a Giorgio Casali il mestiere di fotografo, avvalendosi poi della sua collaborazione a “Domus” per ben quattro decenni. Questi due esempi, con immagini capaci di fornire una visione particolare alla forma e visioni che “formano” il fotografo, consentono di approfondire il rapporto fra le due arti. Superando le resistenze dell’architetto, che non deve ritenersi sminuito da un rapporto paritetico fra la sua opera e quella del fotografo capace di trovare nella forma architettonica l’occasione, per approfondire la sua autonoma ricerca, si possono acquisire valori aggiunti all’opera architettonica, così da evidenziare la trasposizione in realtà di un’idea nata dall’immaginazione del progettista.
Architettura e fotografia
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Il Forum di questo numero è composto dagli interventi di Gabriele Basilico, architetto e fotografo, Maddalena d’Alfonso, architetto e curatrice di ricerche sull’architettura e la fotografia, Maria Letizia Gagliardi, dottore di ricerca in Ingegneria Civile presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Udine, Angelo Maggi, professore di Storia della fotografia presso l’Università IUAV di Venezia, Lucia Miodini che fa parte dell’organico del Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università degli Studi di Parma. Ringraziamo tutti i partecipanti per la loro collaborazione.
L’agopuntura, la forma della città tra contemplazione e misurazione di Gabriele Basilico*
Se immaginiamo la città come un grande corpo fisico e prendiamo metaforicamente come esempio l’agopuntura, sappiamo che ci sono dei punti lungo i meridiani dove si attiva l’energia. Allo stesso modo, mi piace pensare che, come fotografo, in fondo mi muovo cercando dei punti nello spazio fisico dove collocare il centro di osservazione e da dove poi proiettare lo sguardo. Per me è importante parlare di misura, proprio nel senso di misurare una distanza, per stabilire un equilibrio tra me e ciò che mi sta davanti. Quando mi trovo in un luogo che non conosco, ho bisogno di cercare un punto di osservazione per poter costruire visivamente un rapporto tra me e lo spazio, per poter leggere e capire il luogo attraverso la sua forma. È un po’ come il lavoro del sarto che osserva il corpo della persona cercando di adattare il proprio stile a quella forma. O, ancor meglio, come il lavoro del medico, che per indagare il corpo del paziente deve necessariamente osservarlo in modo speciale, usando cioè l’esperienza diretta, sommata a quella della memoria di altri corpi. Per me fotografare significa prelevare campioni del mondo reale e metabolizzarli, come sostanza necessaria e nutriente per la memoria. Così, anche nell’esplorazione di un luogo nuovo, nella percezione visiva, tutti i luoghi già visti e “fotograficamente” registrati nella memoria, sono virtualmente presenti. Inoltre sono convinto di avere un rapporto bulimico con la realtà. Scatto davvero molte fotografie anche se, facendo uso del cavalletto e di una macchina di grande formato, riesco a controllarmi e a non farmi prendere troppo la mano dalla rapidità quasi compulsiva, sempre in agguato, cercando di mantenere un ritmo lento e misurato. Voglio però aggiungere che, ovviamente, c’è differenza tra un luogo e un altro: non tutto è sempre fotografabile, ma sono convinto che l’esperienza del luogo fatta attraverso la visione e la relativa azione fotografica, possa diventare simbolicamente importante almeno quanto il
soggetto ripreso. A metà degli anni Ottanta ero affascinato dalle grandi visioni d’insieme e dall’armonia che riuscivano a trasmettere. Nella percezione delle fotografie di quel periodo mi sembrava che i punti di fuga tendessero ad avvicinare l’orizzonte. Stabilire una relazione intima fra i vari piani dell’immagine, tra vicino e lontano, cercare il senso della distanza, era per me una nuova avventura e un modo di fare una nuova esperienza. Tutto si allargava moltissimo: estendendo la visione dello spazio, si dilatava e si rarefaceva anche la mia capacità percettiva. Successivamente, credo di aver mantenuto la stessa concezione allargata dello spazio, cercando però una rappresentazione più neutra. Oggi il cielo ha perso drammaticità, ho concentrato la scala tonale, abbassando il contrasto, in poche tonalità più forti con maggior gradazioni di grigio, che mi hanno permesso di ottenere una fotografia più omogenea, e di rappresentare la realtà con maggiore astrazione. Forse, tutto sommato, il segno caratterizzante di questa fase è stata la contemplazione: una visione diretta, pura, sfrondata da ogni necessità di giudizio, e da ogni estetismo, attenta a cogliere e a restituire con grande precisione la realtà in modo diretto, nella sua complessità e totalità. Una visione che mi piace ancora oggi definire “normale”, “neutrale”. Il fotografo deve stare sempre attento a non contraddire ciò che l’occhio vede, non deve essere troppo condizionato da sentimenti, da ideologie, né da ricordi o da altro, non deve prevaricare né forzare, ma essere contemplativo, utilizzando uno sguardo lento, capace di mettere a fuoco e cogliere tutti i particolari, e di rendere protagonista lo spazio. L’occhio può integrarsi diventando un tutt’uno con il medium fotografico, cercando una descrizione normale che non ha bisogno delle dilatazioni del grandangolo, o delle compressioni del teleobiettivo, né dei colori alterati dai filtri. Quello che mi interessa dagli anni Novanta è la fenomenologia della trasformazione dei processi urbani, e per fare questo ho dunque ampliato davvero molto il rapporto con lo spazio, mi sono liberato in modo definitivo delle tecniche che portano a costruire una fotografia ricercata. Ho quindi preferito usare un metodo narrativo e sequenziale delle immagini nella costruzione dei miei progetti di fotografia. Per questo negli ultimi anni – come in un ideale ritorno alla mia formazione e alla mia antica passione per i volumi fotografici – mi sono molto impegnato nella realizzazione di libri, cercando di costruire delle relazioni e dei collegamenti possibili tra lo spazio e il modo di guardare: l’obiettivo non è stato quello di mettere in fila una serie di fotografie più o meno belle, ma cercare un’articolazione e una dialettica interna al progetto della sequenza e della narrazione. Credo, che la scrittura in generale, e
Le fotografie che illustrano il Forum di questo numero sono state scattate da Giuseppe Pagano negli anni Trenta e provengono dall’Archivio Pagano costituito presso lo studio del professore Cesare De Seta a Napoli. Le immagini riguardano: Capri, pag. 5; Milano, pag. 6; Firenze, pag. 7; Firenze, pag. 8; Milano, pag. 9; Capri, pag. 10; Alberi, pag. 11; Procida, pag. 13; Standard, pag. 15. Per una descrizione dell’Archivio si rimanda all’articolo di Gabriella Musto a pag. 15.
FORUM GLI INTERVENTI
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soprattutto la narrazione, siano in grado di evocare, descrivere e reinventare luoghi meglio di quanto possa fare un’immagine. Ho a volte l’illusione che la capacità analitica della scrittura approfondisca e dilati il tempo della percezione e dell’immaginazione. Al contrario, spesso il valore simbolico e stratificato che una singola fotografia contiene, ha bisogno di essere decodificato per meglio comprenderne il messaggio. Le città sono come un libro che bisogna leggere per intero, diversamente si rischia di non afferrarne il senso: non
solo i monumenti e la città consolidata, ma soprattutto la periferia, le zone di nuova espansione. Nella mia vita di fotografo sono andato a finire sempre un po’ più in là, oltre i confini. In effetti, sono le zone che mi interessano di più. E se è vero che la città è come un grande corpo dilatato, incommensurabile, per comprenderla bisogna avere pazienza, tenere a bada quel sentimento di conquista, quella vertiginosa sensazione di possesso che un’immagine troppo rapida e furtiva può restituire. In me si mette in moto in modo quasi automatico uno dei processi più
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metaforicamente propri di questa fotografia, quello della “misurazione” visiva. La scelta del punto di vista è come sempre fondamentale. Dal quel punto si proietta, cioè si misura, e quindi si decentra l’obiettivo e si sposta l’immagine, avvicinandosi o allontanandosi dal soggetto. L’esercizio del guardare scorre su binari virtuali in tutte le direzioni, come su un tavolo da disegno, alla ricerca di una configurazione spaziale. Liberare la percezione, provocare un dialogo possibile con lo spazio, l’architettura, la città, e, nel silenzio, registrarne le risposte. Ridefinire in modo soggettivo e speculare il senso di ciò che appare sotto il panno nero, sul vetro smerigliato della camera: scattare la fotografia. *(tratto da Gabriele Basilico, Architetture, città, visioni, Bruno Mondadori, Milano, 2007, a cura di Andrea Lissoni).
Nuovo sguardo sull’architettura di Giuseppe Pagano di Maddalena d’Alfonso
Pagano fu spinto alla ricerca e alla contaminazione di linguaggi artistici sia dal suo vivo e costante interesse politico di militante fascista sia dal legame con Edoardo Persico raffinato critico e architetto legato ai circoli della sinistra gramsciana. La cosa più interessante di tutto il suo percorso fu, infatti, la sua vicinanza alle ricerche delle avanguardie artistiche europee: la stretta relazione con Le Corbusier che lui reputava un maestro e l’interesse verso il Bauhaus di cui condivideva la militanza per un’estetica funzionalista, la curiosità per la standardizzazione e la ricerca estetica per la produzione in serie. In questa intensa atmosfera la sua capacità fu quella di sintetizzare i diversi spunti creativi in due ambiti ove fu prevalente la sperimentazione sulle diverse discipline ar-
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tistiche: la rivista “Casabella”, il cui impaginato innovativo si avvaleva dell’illustrazione fotografica in modo anticonvenzionale, e le esposizioni, dove la fotografia ebbe il ruolo di un’approfondita ricerca formale. Pagano restò affascinato dallo strumento fotografico che gli consentiva di documentare rapidamente l’architettura per poi studiare approfonditamente le nuove possibilità del costruire. Egli, amante delle arti moderne e dell’industrializzazione, scriveva, infatti, “Nessuno, o ben pochi, considerano la macchina per quello che è: un semplice utensile più perfezionato costruito dall’uomo e comandato dall’uomo” (1). Nonostante questo la fotografia venne considerata un capitolo a parte, quasi secondario, nella sua produzione perché in quegli anni il dibattito sull’architettura, o meglio, sulla costruzione, era il più vivo e il più appassionante; Mussolini stesso ne fece un capitolo importante della politica del consenso. Fu proprio l’intrecciarsi della politica con la sua vicenda personale a mantenerlo più combat-
tivo e in vista nel dibattito sull’architettura e sull’urbanistica. Solo negli anni della prigionia la fotografia divenne uno strumento narrativo e diaristico e il mezzo espressivo cui Pagano affidò il compito di costruire il suo esempio di resistenza per dichiarare la sua tardiva adesione alle istanze partigiane. L’uso della fotografia fu, dunque, per lui un mezzo per indagare il reale con lo sguardo di chi vuole costruire; e costruire significava innanzitutto comprendere i dati oggettivi, reinterpretare e infine introdurre quella modernità resa possibile dalle nuove scoperte tecnologiche. Tutto nella sua fotografia, a partire dalla scelta dello stile documentaristico, va nel senso della costruzione dello sguardo: vi è sempre molto ben calibrato l’uso della distanza dal soggetto, una composizione chiara e una serie di soggetti reiterati. Del resto, il fermento europeo andava in questa stessa direzione: il Bauhaus nel ’27 aveva inaugurato a Stoccarda l’esposizione del Weissenhofsiedlung e nel ’29 Laszlo
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Moholy-Nagy organizzò sempre a Stoccarda la mostra fotografica “Film und Foto”, che segnò in Europa il definitivo passaggio da una fotografia di derivazione pittorica ad una Nuova Oggettività in cui si impiegarono soggetti industriali, piani ravvicinati, nuovi angoli di ripresa e composizioni grafiche. Pagano condivise con i suoi amici e collaboratori la passione per la fotografia che trovò riscontro nella fondazione da parte dell’Editoriale Domus di Milano, già editore dell’omonima rivista e di “Casabella”, della rivista “Fotografia” diretta da Ponti che ne evidenziava l’importanza proprio in questo senso: “Quali e quante cose oggi ci appaiono, quindi sono soltanto attraverso l’immagine fotografica! L’aberrazione fotografica è per molte cose la nostra sola realtà: e per molte cose addirittura la nostra conoscenza ed è quindi il nostro giudizio. Enorme importanza della fotografia” (2). Ma, la vera occasione per cominciare a fotografare e a diventare un fotografo a noi contemporaneo per la visio-
ne fu la direzione di Pagano della VI Triennale di Architettura: “Continuità-modernità” che si tenne al Palazzo della Triennale di Milano nel 1936. In questa occasione Pagano decise di esporre una ricerca sulle radici dell’architettura funzionalista moderna. Radici che ricercò, appunto, muovendosi in viaggio attraverso l’Italia intera con la sua Rolleiflex, un’agile macchina fotografica di piccole dimensione il cui formato quadrato, 6x6, ben calza alla composizione architettonica e alla prospettiva urbana. Pagano stesso amava definirsi un cacciatore di immagini. L’architettura e il paesaggio italiano fino allora era stato fotografato col cavalletto in ampie prospettive frontali, con una composizione rigida. Pagano invece fotografava di tutto: alberi, materiali, piazze in costruzione, antichi casali, fattorie, trulli, donne, macerie, vasi, ferraglia, vagoni dei treni, ponti, strutture reticolari, vetrine, dettagli di edifici, monumenti, paesaggi, pavimentazioni, scalinate, riflessi, texture di pareti, cascate, canali, colonne e colonnati, montagne, vallate, boschi, coltivazioni, città dall’alto, bar-
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che, reti, fabbriche, industrie, muraglioni, vie, viali, quartieri, personaggi famosi, baracche, burattini, maschere, militari, ruderi, spiagge, bagnanti, operai, rigattieri, acque e mari, ghiacci, sassi e piante. Fotografava di tutto in maniera onnivora, come se il solo fotografarla e portarla con sé potesse in qualche modo svelarne la qualità intrinseca, la magica essenza attraverso cui comprendere il paesaggio e la terra, capace di permettere in quella stessa terra una costruzione liberatoria. Pagano fotografava come fosse il primo turista di un’Italia misteriosa, enigmatica e ancora da costruire e indagava l’Italia in lungo e in largo perché costruire era la sua vera ossessione e più ancora, forse, immaginare un’architettura nuova che potesse contenere nelle istanze della modernità una nuova forma di società civile profondamente italiana e insieme internazionale. Note 1. Giuseppe Pagano, Modelli d’Arte per la produzione
in serie, in “Costruzioni-Casabella” n. 155, novembre 1940. 2. Gio Ponti, Discorso sull’arte fotografica, in “Domus” n. 53, maggio 1932.
Fotografia e Architettura. Conversazioni sul tema di Maria Letizia Gagliardi
Fotografia, cinema, televisione, computer: in un secolo e mezzo, dal chimico al digitale, le macchine visive hanno preso in carico l’antica immagine fatta da mano d’uomo. Regis Debray (1) L’uomo vive l’architettura: ogni edifico, la casa, la scuola, la chiesa… è la cornice di obiettivi raggiunti o delusioni brucianti; ogni attimo è scandito da un percorso, da uno spazio, da un volume e quasi ogni anno un viaggio ci
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conduce verso nuovi paesaggi, nuove città. Nonostante questo, se chiedete a un uomo, che vive da anni in un condominio, di descrivervi i tratti peculiari di quell’architettura, molto probabilmente non riuscirà a farlo. Siamo abituati a vivere l’architettura, a vederla, ma non a osservarla! Fin dalla prima eliografia, realizzata da Joseph Nicéphore Niepce (2) (1765-1833) nel 1839, il pubblico si accorse che attraverso l’obiettivo si potevano apprezzare dettagli, porzioni di architettura, che l’occhio non aveva rilevato o cui non aveva dato la giusta importanza, e ancora oggi la fotografia è uno degli strumenti fondamentali nella rappresentazione, nell’analisi e nella divulgazione dell’oggetto architettonico. Nel corso degli anni, in modo fuorviante e limitativo, si è etichettato con il termine “fotografia di architettura” un genere, una corrente, uno stile, senza però evidenziare in modo esaustivo il reale evolversi del rapporto tra fotografia e spazio architettonico; non possiamo dimenti-
care, infatti, quanto in meno di cento anni, il concetto di fotografia sia passato da strumento a espressione, da documentazione a interpretazione e la rappresentazione dell’architettura sia cambiata, come anche l’architettura stessa. Attraverso una serie di conversazioni con i più importanti fotografi italiani, che hanno scelto l’architettura come soggetto privilegiato del proprio lavoro, si è cercato di affrontare e approfondire, come in una sorta di tavola rotonda, il tema del rapporto tra fotografia e architettura, nel tentativo di chiarire quanto la rappresentazione fotografica, pur essendo indiscutibilmente una tecnica, conduca a risultati sempre diversi, soggettivi, che molto hanno a che fare con il vissuto di ognuno. L’architettura, vista attraverso l’obiettivo, acquista significati e contenuti sempre diversi, in bilico tra tecnicismo e fascinazione. L’occhio del fotografo può analizzare e descrivere l’architettura e la “descrizione è una lettura, è un’analisi che, utilizzando un medium, serve a capire i suoi punti nevralgici” (3), ma può essere anche la ricerca di qualcosa
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che non è più visibile, la ricerca del nucleo, “del messaggio profondo che è insito in ogni cosa e quindi anche in ogni edificio, un percorso fino al messaggio intrinseco di bellezza e armonia che era nella mente dell’architetto a monte del progetto” (4). È difficile affermare con certezza se la fotografia sia documentazione o interpretazione dell’architettura, è più facile pensare sia entrambe le cose. La sua struttura rappresentativa non può prescindere dalla dimensione della documentazione e proprio perché è uno specchio del mondo, fatto attraverso l’obiettivo, la visione del fotografo deve scomparire per rispettare fino in fondo l’intenzione progettuale dell’architetto (5), tuttavia in questa sorta di gioco in cui il messaggio spesso non è unico, il fotografo può sentire la necessità di “narrare se stesso filtrando l’oggetto che indaga e ponendosi, in un certo senso, come coscienza di quell’architettura” (6). Certamente la scelta di un punto di vista, di un certo tipo di luce, l’attesa dell’attimo per conoscere o stupire, la
corposità del bianco e nero o la completezza del colore, possono cambiare la percezione dell’oggetto architettonico fino a renderlo piacevole, conciliante, oppure difficile, lontano da quello che il cliente o il pubblico si aspetta. S’inserisce qui il concetto di critica architettonica: se da un lato “nella fotografia la critica avviene già nella scelta di enfatizzare una cosa invece di un’altra, riprendere da un punto di vista piuttosto che da un altro” (7), dall’altro “l’esperienza personale del fotografo produce solo una lettura dell’oggetto architettonico, che può rivelare processi inconsci” (8), strade non percorse dalla consapevolezza. In questo scenario, in cui l’architettura può essere protagonista o semplice scenografia, s’intrecciano esperienze, percezioni, conoscenze; l’arte incontra l’arte, in un percorso che si snoda tra consapevolezza e atmosfera, dove il soggetto e l’oggetto si scambiano i ruoli senza perdere la propria identità. Forse la risposta a tutte le domande sta proprio nella capacità del fotografo di rispettare l’oggetto, di darne una lettura soggettiva ma coerente,
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nel lasciare che sia l’architettura e non la committenza a proporre i suoi punti di vista (9). Note 1. Regis Debray, Vita e morte dell’immagine, Il castoro, Milano, 1999. 2. Inventore francese. Già dai primi anni del 1800 studiò il modo di “indurre la luce a fare il disegno”: in una camera oscura, con un rudimentale diaframma applicato all’obiettivo, posizionò una lastra di peltro per eliografia spalmata di bitume di Giudea; posizionò la camera oscura davanti alla sua finestra e dopo otto ore di posa l’immagine del paesaggio era impressa. 3. Intervista a Guido Guidi, dicembre 2008. 4. Intervista a Patrizia Della Porta, dicembre 2008. 5. Intervista a Giovanni Chiaramonte, gennaio 2009. 6. Intervista a Pino Musi, dicembre 2008. 7. Intervista a Daniele Domenicali, giugno 2007. 8. Intervista a Alessandra Chemollo, novembre 2008. 9. Ringrazio tutti i fotografi che hanno sopportato le mie domande e mi scuso se in questo articolo non ho potuto citare tutti per motivi di spazio editoriale. Le interviste, cui hanno partecipato Olivo Barbieri, Gianantonio Battistella, Luca Campigotto, Vincenzo Castella, Alessandra Chemollo, Giovanni Chiaramonte, Roberto Collovà, Patrizia Della Porta, Daniele Domenicali, Vittore Fossati, Berengo Gardin, Guido Guidi, Marco Introini, Francesco Jodice, Moreno Maggi, Duccio Malagamba, Maurizio Montagna, Alberto Muciaccia, Pino Musi, Lorenzo Mussi, Emanuele Piccardo, Filippo Romano, Paolo Rosselli, Massimo Vitali, saranno pubblicate in un volume di prossima pubblicazione.
L’immagine fotografica dell’architettura di Angelo Maggi
Prima dell’invenzione della fotografia, la pratica del rilievo d’architettura veniva considerata un’operazione lunga e difficile per la scarsità di adeguate conoscenze e strumentazioni tecniche. John Ruskin (1819-1900) iniziò precocemente a servirsi del dagherrotipo, come strumento di integrazione al disegno. Per quanto rigorosi e particolareggiati, i disegni tracciati con la matita durante il viaggio in Italia del 1845, raffiguranti dettagli architettonici da palazzi veneziani o monumenti fiorentini, erano ancora insufficienti per ottenere una perfetta e oggettiva descrizione della realtà. Nel volume The Seven Lamps of Architecture (1849) egli difendeva la “servile veridicità” del dagherrotipo e ne sollecitava l’uso per una documentazione “pietra per pietra”. Nonostante sopprimesse la manualità del disegno, il dagherrotipo consentiva di registrare con precisione sorprendente i segni del tempo e le proporzio-
ni degli edifici. Non si trattava ancora di fotografia d’architettura, ma piuttosto di una preoccupazione filologica e documentaria, esibita nell’interesse per la descrizione minuziosa e dettagliata dell’architettura. Nel frattempo i principali giornali e le riviste dedicavano sempre più spazio e attenzione alla fotografia e alle sue innovazioni tecniche. La rivista inglese “The Architect” nel settembre del 1872 riportava un articolo intitolato The Application of Photography to Architecture nel quale si ribadiva l’importanza di un maggiore impiego della fotografia nelle scuole di architettura. Il fotografo professionista aveva la capacità di scegliere i soggetti più adatti e sapeva come renderli nel migliore dei modi: “l’educazione artistica e l’esperienza gli avevano insegnato come evitare inadeguate composizioni ed effetti di luce e ombra privi di gusto artistico”. Pur possedendo queste qualità, il fotografo non aveva la capacità di distinguere gli elementi fondamentali nella composizione architettonica, doti che al contrario caratterizzavano l’architetto. Un altro aspetto di rilievo veniva attribuito al grande vantaggio nell’utilizzo dell’attrezzatura fotografica durante i viaggi di formazione degli studenti d’architettura e degli architetti. Riprodurre attraverso disegni o rapidi schizzi i monumenti visitati era certamente una buona abitudine, sia per avere un personale ricordo dello spazio costruito che per non perdere familiarità con la pratica del disegno. Tra i grandi architetti del Novecento, Walter Gropius - come emerge dalla recente mostra tenutasi al Bauhuas Archiv ed ora aperta nelle sale della Bergische Universitat di Wuppertal - durante il suo viaggio studio in America del 1928, si affidò completamente alla sua macchina fotografica. Lo straordinario catalogo che accompagna la mostra, Walter Gropius America Reise 1928 (a cura di Gerda Bruer e Annemarie Jaeggi) contiene delle riprese fotografiche sperimentali importanti per la storia della rappresentazione dell’architettura, sia per gli innovativi punti di vista, sia per il carattere dei soggetti selezionati. Anche Le Corbusier impiegò molto la fotografia, lasciando uno straordinario archivio di immagini del suo Voyage d’Orient del 1911. Secondo l’architetto era necessario anche affiancarsi ad un bravo fotografo che possedesse una forte identità culturale architettonica per avviare un dialogo tra forma, struttura e rappresentazione. A tale proposito è importante ricordare il lungo sodalizio tra Le Corbusier e Lucien Hervé (1910-2007) iniziato nei primi anni Cinquanta. Le fotografie di Hervé si caratterizzavano per la grande coerenza grafica e l’indagine sulla forma e l’astrazione geometrica, e catturavano lo sguardo dell’osservatore per l’uso drammatico e scultoreo della luce. Queste immagini rappresentavano la visualizzazione dello spirito architettonico di Le Corbusier, nonché la narrazione, intima e personale, dell’esperienza percettiva del fotografo; lo confermavano le stesse parole dell’archi-
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tetto: “Signor Hervé, voi avete l’anima di un architetto”. Oggi la fotografia d’architettura vanta grandi maestri del calibro di Gabriele Basilico, Richard Pare, Hiroshi Sugimoto, solo per citarne alcuni. Con il loro sguardo critico essi sono gli interpreti del nostro tempo. Attraverso i loro scatti leggiamo il programma di visualizzazione e comunicazione dell’architettura in quanto manifesto dello spirito del progettista. Fondamentalmente la fotografia e l’architettura trovano un nesso quando attraverso lo sguardo si documenta la realtà costruita, creando un catalogo degli aspetti del mondo architettonico e urbano, e riorganizzando attraverso le immagini parte della storia delle trasformazioni subite dal nostro ambiente quotidiano. Il fotografo qualificato è anche un artista, abile nella sua professione, come l’architetto lo è nella sua. Da una stretta cooperazione e un rispetto reciproco, l’architetto e il fotografo potranno insieme produrre lavori per i quali sentirsi fieri. Solo attraverso questa felice coesistenza
il mezzo visivo, digitale o analogico che sia, ci orienterà verso nuovi orizzonti inesplorati.
Architettura e fotografia. Gli archivi del progetto di Lucia Miodini
In questo intervento intendo porre l’accento sul complesso intreccio tra progettazione e scritture fotografiche, spostando l’attenzione dal rapporto architettura-fotografia al diverso significato che il linguaggio fotografico assume quale componente, storicamente determinata, della scrittura grafica del progetto. Cercherò di esemplificare, per brevi cenni, i risultati cui perviene la disamina delle raccolte fotografiche presenti negli archivi di architettura contemporanea per indagare criticamente la cultura di un progettista. Il corpus fotografico conservato negli
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archivi di architettura deve essere considerato, infatti, al pari del materiale grafico e della documentazione cartacea, come memoria della intenzione progettuale, veicolo di conoscenza della cultura architettonica e strumento della progettazione. Si deve precisare che non sempre è dato rinvenire negli archivi di architettura la presenza di fondi fotografici, d’altra parte, qualora ne sia riscontrata la consistenza, dobbiamo considerare il dato come un indicatore della modalità progettuale. Inoltre, sovente non si tratta di vere e proprie collezioni, bensì di repertori di exempla, di raccolte di immagini realizzate sia da studi fotografici sia, in misura minore, dallo stesso architetto. Un primo dato: negli archivi di architettura, conservati nella sezione progetto del CSAC (Centro Studi e Archivio della Comunicazione) di Parma, che ho avuto modo di esaminare, al repertorio come catalogo degli stili, che caratterizzava la stagione dell’eclettismo, si viene sostituendo, nella prima metà del Novecento, la raccolta tipologica alla quale il progettista attinge nell’iter progettuale. Un esempio di repertorio tipologico lo individuiamo nel materiale fotografico conservato nell’archivio Giuseppe De Finetti: la copiosa documentazione è alquanto eterogenea, si va dalle stampe all’albumina di Brogi alle campagne realizzate su commissione dagli studi fotografici milanesi attivi sul finire degli anni Venti e nel decennio seguente, segnatamente ricorrono i nomi di Paoletti, Pasta, Bombeli, Baccarini e Porta. La ricerca d’archivio riserva interessanti sorprese e permette di individuare, talora in modo significativo, la presenza di fotografie realizzate dagli stessi architetti. È questo il caso, per fare un altro esempio, del materiale fotografico conservato nell’archivio di Carlo Enrico Rava, che, se usualmente di avvale dell’operato del milanese Paoletti, di contro realizza personalmente le riprese delle proprie ed altrui architetture coloniali. Sono soltanto alcuni esempi, non è che non veda quanto una lettura critica circostanziata degli archivi citati meriterebbe ben altra articolata trattazione. Vorrei, ora, introdurre, seppure brevemente, un altro argomento: l’uso della fotografia, al pari del disegno, nella progettazione. Non penso tanto al ruolo della fotografia nel restauro architettonico, quanto la presenza nei disegni d’architettura, peculiarmente negli anni Trenta del Novecento, dell’intervento fotografico, mi riferisco evidentemente al ricorrere di fotomontaggi. È questa una scelta di scrittura che evidenzia la prassi operativa dei progettisti, cui ricorre, tra gli altri, Ignazio Gardella nelle tavole del concorso per il Palazzo del Littorio, ad esempio. La scelta del fotomontaggio pone in evidenza il problema della collocazione del nuovo nello spazio preesistente. Il complesso intreccio tra progettazione architettonica e scritture fotografiche, quantunque si dimostri di fondamentale interesse per intendere le componenti delle culture pro-
gettuali, non risulta essere stato indagato dagli studiosi, ben diversa è la vicenda critica sulla fotografia come mezzo di comunicazione visiva nel panorama editoriale, scrittura che svolge la funzione di costruire la memoria del progetto. I fotografi, da Mulas a Basilico, sono stati, come ebbe ad evidenziare Gregotti, vent’anni or sono, i migliori critici e lettori dell’area culturale del Novecento. E, dunque, non mi soffermerò su tale nodale aspetto del nesso architettura-fotografia, vorrei, a tale proposito, segnalare l’originalità dei contributi critici cui si perviene attraverso l’indagine comparata degli archivi appartenenti alle diverse sezioni. Mi riferisco alla ricerca dei materiali conservati negli archivi di fotografia e di architettura, messi a confronto, ad esempio la analisi dei materiali progettuali conservati nell’archivio Nervi e quello relativo alle campagne fotografiche delle medesime costruzioni realizzate dallo Studio Vasari. Da ultimo vorrei accennare al rapporto tra progettazione e trascrizione, tra modalità di trasformazione progettuale del territorio e sistema di comunicazione visiva, prospettiva critica, anche questa ultima, quasi mai affrontata, salvo poche eccezioni. La scrittura fotografica, negli autori cui ora farò brevi cenni, di cui il CSAC conserva un importante nucleo di opere, diviene strumento progettuale in grado di cogliere le caratteristiche del paesaggio, la specificità dei luoghi, e di trascrivere la visualizzazione della rete di relazioni fra infrastrutture e territorio. Cesare Leonardi, architetto e fotografo modenese, mediante la scrittura fotografica, di cui fa un uso progettuale, introduce nel progetto la variabile tempo e supera la rappresentazione progettuale come prefigurazione finita di un oggetto. Il giovane architetto e fotografo Marco Introini, nel percorso sulla strada del Sempione, a suo tempo da me indagato, assume la strada come modalità progettuale del lavoro fotografico. Possiamo infatti segnalare questo lavoro come esempio di progetto fotografico di indagine del territorio, dove la fotografia è strumento critico di attivazione dello sguardo che svela le stratificazioni storiche, gli odierni aspetti conflittuali dei luoghi in cui siamo, talora inconsapevolmente, agiamo.
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L’Archivio fotografico di Giuseppe Pagano, costituisce un prezioso resoconto di viaggio che si sviluppa attraverso le storie e la cronaca dell’Italia negli anni Trenta del Novecento. La singolare esperienza dell’architetto, nasce dall’esigenza di documentare la realtà rurale italiana per la Mostra sull’Architettura Rurale organizzata, insieme a Guarniero Daniel, nell’ambito della Triennale di Milano del 1936; l’occasione di lavoro diventerà una vera e propria attività parallela e una passione. L’attenzione nei confronti del Belpaese si dimostra totalizzante, tanto che l’archivio risulta povero di immagini che ritraggano realtà diverse da quella italiana: un ciclo di foto racconta del viaggio a Berlino, Helsinki, Oslo, Stoccolma e un reportage descrive la guerra in Grecia e Albania. La ricerca fotografica di Pagano racconta un percorso inedito ma in linea con la contemporanea cultura fotografica d’avanguardia; per l’architetto istriano, la composizione dell’immagine è una vera e propria questione di stile: è questo il filo conduttore di tutta la sua produzione fotografica. Una foglia d’acanto, l’incresparsi di un’onda, il volto di un bambino, il fusto della colonna sono soggetti che introducono una complessa e articolata analisi che coinvolge i rapporti proporzionali tra gli elementi raffigurati, gli spazi geometrici definiti e non, il ripetersi ritmico di elementi “standardizzati”. Accade che in molte costruzioni fotografiche non siano i soggetti ad assumere valore, ma i termini compositivi della fotografia stessa. La composizione dell’immagine non è mai casuale, ma costruita secondo una vera e propria struttura architettonica; lo spazio è analizzato in base a partiture geometriche che tendono a individuare ritmi esatti scanditi dal ripetersi di elementi standardizzati. Come non riconoscere nel lavoro fotografico di Pagano lo stesso percorso compositivo utilizzato nella definizione dei progetti di architettura! La necessità di utilizzare la fotografia per compiere una scansione dello spazio diviene un obiettivo perseguito a tal punto che Pagano spesso si serve di artifici ottici pur di ottenere i risultati desiderati. Utilizzando fonti luminose, superfici riflettenti, l’architetto determina effetti affascinanti. Il senso di sorpresa suscitato dall’imprevisto di un elemento subentrato nell’immagine diviene un fattore fondamentale nella sua ricerca iconografica. Pagano conosce il senso di stupore e meraviglia della prima volta in cui si osserva un’opera d’arte, ed è forse anche questo il motivo della scelta di punti di vista inediti capaci di cogliere, anche in un edi-
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L’Archivio fotografico di Giuseppe Pagano
ficio noto, il carattere inaspettato che desta meraviglia nell’osservatore. Nulla è realmente casuale nell’approccio fotografico di Pagano che è in fondo, un “costruttore” delle sue immagini: per questo motivo non si può scindere la figura dell’architetto da quella del fotografo, ma al contrario è possibile osservare l’una attraverso l’altra e in virtù di questo comprenderle entrambe. Il materiale d’archivio comprende due raccolte fotografiche: le immagini per la VI Triennale, che sono circa 1.300 e un altro gruppo più folto, realizzato dopo la Mostra, consistente in 3.558 provini - e non 3.275, come si riteneva - cui corrispondono quasi in ugual numero i negativi. I temi sono: l’architettura, l’archeologia, il fascismo e la guerra, il lavoro e il tempo libero, le forme, i ritratti, la natura. La seconda parte dell’archivio, prodotta probabilmente tra il 1936 e il 1944, anno della campagna militare in Grecia e Albania, seguita poi dalla prigionia e dalla morte dell’architetto (1), presenta un’organizzazione ben più scrupolosa rispetto alla prima parte realizzata per la Mostra; i provini, stampati “a contatto”, sono collocati su appositi supporti cartonati, ordinati alfabeticamente per titolo (Aalto, Abeti, ecc.), e corredati da una serie di informazioni. Insieme ai negativi, Pagano realizza anche un piccolo gruppo di diapositive a colori, in
tutto 61, nel classico formato Leika, nonché, probabilmente tra il 1933 ed il 1938, alcuni preziosi filmini originali (2). Gabriella Musto Note 1. G. Musto, Profilo biografico di Giuseppe Pagano, in Giuseppe Pagano. Architettura e città durante il fascismo, a cura di C. de Seta, Jaca Book, Milano, 2008, pp. LXXXV-XCI. 2. Per ulteriori informazioni e l’analisi critica di tutto l’archivio si rimanda a: G. Musto, Un architetto dietro l’obiettivo: l’Archivio fotografico di Giuseppe Pagano, estratto della tesi di dottorato di ricerca, in Storie e teorie dell’Architettura dal Quattrocento al Novecento. Ricerche del Dottorato. Quaderni di Storia dell’architettura del Dipartimento di Storia dell’Architettura e Restauro dell’Università degli studi di Napoli Federico II, n. 1, a cura di A. Buccaro, G. Cantone, F. Starace, Pacini editore, Ospedaletto (Pisa), 2008, pp. 217-268; G. Musto, El Archivo fotográfico de Giuseppe Pagano (pp. 232-45), e D. de Seta e G. Musto, De la fotográfia al cine. Los años treinta relatados a través del archivo de Giuseppe Pagano (pp. 190-211), in Giuseppe Pagano. Vocabolario de Imágenes, Lampreave&Millan, Barcellona, 2008.
Fondazioni e archivi fotografici a cura di Annalisa Bergo
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Milano Civico Archivio Fotografico Comune di Milano Castello Sforzesco, Milano tel. 02 88463664 Anno di fondazione: 1933 Gestito da: Comune di Milano Dir.: Claudio Salsi La consistenza del Civico Archivio Fotografico è stimata in circa 600.000 fotografie originali che coprono un arco cronologico compreso tra il 1840 e i giorni nostri. L’Archivio possiede una propria Biblioteca con circa mille volumi moderni e periodici specializzati.Tra i fondi di maggiore importanza storica vanno segnalati la Raccolta Luca Beltrami, la Raccolta Iconografica, il fondo Lamberto Vitali. L’Archivio consta di una raccolta di campagne fotografiche, architettura e restauri, storia urbanistica, storia sociale e costume, ritrattistica e paesaggi, archeologia, pittura, arti applicate relativamente a Milano e Lombardia.
Biblioteca Nazionale Braidense Fondo fotografico Emilio Sommariva via Brera 28, Milano tel. 02 86460907 Anno di acquisizione: 1979 Dir.: Aurelio Aghemo La Biblioteca raccoglie l’intero archivio dello studio fotografico Sommariva e dei documenti cartacei ad esso relativi, dal 1904 al 1973. In particolare comprende più di 3.000 stampe originali di soggetti, formati e tecniche diversi e circa 50.000 negativi in gran parte su vetro, oltre a dieci volumi manoscritti. I soggetti fotografici prevalenti e che caratterizzano il Fondo sono ritratti, vedute e riproduzioni di opere d’arte. Sommariva eseguì ritratti per i più bei nomi dell’aristocrazia, della borghesia e del mondo artistico milanese, nonché per le prime dive del cinema. Curò la fotografia di paesaggio e le vedute urbane, soprattutto in Italia; inoltre, svolse servizi per l’industria, l’architettura e riproduzioni di opere d’arte.
Fondazione Museo Fotografia Contemporanea (MFC) Villa Ghirlanda, via Frova 10, Cinisello Balsamo, Milano tel. 02 6605661 Anno di fondazione: 2005 Dir.: Roberta Valtorta Il patrimonio fotografico del Museo di Fotografia Contemporanea comprende più di 20 fondi fotografici di proprietà o pertinenza della Provincia di Milano e del Comune di Cinisello Balsamo, fondatori del museo, e della Regione Lombardia, per un totale di 1 milione 800mila immagini, stampe fotografiche in bianco e nero e a colori di più di 400 autori italiani e stranieri. L’insieme costituisce uno spaccato significativo della fotografia italiana e straniera dal dopoguerra a oggi. I temi rilevanti sono le trasformazioni del paesaggio contemporaneo, il ritratto, la fotografia sociale, la ricerca artistica. Fra i fondi più importanti, il Fondo Archivio dello spazio, il Fondo Milano senza confini, il Fondo Idea di metropoli, il Fondo Enzo Nocera, il fondo Attilio Del Comune, il Fondo Paolo Gioli, il Fondo Lanfranco Colombo, il Fondo Federico Patellani, il Fondo Klaus Zaugg, il Fondo Viaggio in Italia, l’Archivio analogico di Grazia Neri. Parte dell’archivio è consultabile on line all’interno dell’angolo multimediale del Museo.
Archivi delle Borse valori italiane Archivio fotografico del Comitato direttivo della Borsa di Milano e del Consiglio di Borsa Piazza degli Affari 7, Milano tel. 02 724261 Gestito da: Borse Valori Italiane L’archivio è il risultato del riordino della documentazione prodotta dai disciolti Co-
mitati direttivi degli agenti di cambio e del Consiglio di Borsa, che ha coinvolto le province di Milano, Torino, Venezia e Trieste. Il progetto si caratterizza per l’impronta nazionale e vede la partecipazione, oltre che degli enti produttori, delle locali Camere di commercio e delle autorità archivistiche (le Soprintendenze e l’Ufficio centrale per i beni archivistici). L’organizzazione è ad opera del Centro per la Cultura d’Impresa. Si tratta di un archivio unicamente ad uso interno e non aperto al pubblico. Archivio storico di Fondazione Fiera Milano presso Fieramilanocity, Largo Domodossola 1, Milano tel. 02 49976771 Anno di fondazione: 2005 Gestito da: Fondazione Fiera Milano Resp. Area Studi di Fondazione Fiera Milano: Enrica Baccini Oltre 135.000 fotografie, alle quali si aggiungono 2.000 cataloghi e altri documenti diversi, ripercorrono, attraverso la memoria del settore fieristico internazionale, la storia imprenditoriale italiana dagli anni ’20 agli anni ‘90 del Novecento, offrendo una panoramica dello sviluppo tecnico, economico e sociale. Le sezioni comprendono immagini delle prime Esposizioni alla fine del 1800 che diedero avvio, nel 1920, alla successiva Fiera Campionaria, conclusasi alla fine degli anni 90 con la nascita della Settimana Internazionale dedicata agli operatori e delle mostre specializzate. Una parte dell’archivio, che comprende le immagini riferite al periodo tra il 1920 e il 1943, è in via di digitalizzazione.
Archivio fotografico del Centro per la cultura d’impresa via Camperio 1, Milano tel. 02 72011757 Resp.: Maria Chiara Corazza Il Centro per la cultura d’impresa – associazione sorta presso la Camera di commercio di Milano nel 1991 – possiede un archivio fotografico che consta di più di 13.000 supporti (stampe, fotocolor, immagini digitali, ecc.), di cui molti rappresentano stabilimenti industriali e attività commerciali in essere o dismessi. Tra queste spiccano le immagini di Manfred Hamm e Alberto Lagomaggiore valorizzate nella mostra Milano-Berlino: architetture della produzione tra le due guerre. Nel 2008 il Centro ha ricevuto in dono l’archivio del fotografo industriale Roberto Zabban della consistenza di circa 100.000 supporti prodotti tra il 1955 e il 2006. L’associazione ha, inoltre, ricevuto in deposito l’Archivio fotografico di Edison SpA (già Montecatini, poi Montedison) –
circa 230.000 supporti – che comprende principalmente immagini di stabilimenti industriali, strutture assistenziali e vedute di miniere. Archivio storico fotografico della Fondazione Aem spa piazza Trento 13, Milano tel. 02 77205265 Anno di fondazione: 2007 La Fondazione Aem nasce con lo scopo di perseguire nell’ambito territoriale della Regione Lombardia, la salvaguardia e la valorizzazione della storia e della cultura aziendale, sostenendo la ricerca scientifica e l’implementazione di tecnologie innovative in campo energetico. L’attività si concretizza, inoltre, nella promozione e tutela dei beni storici, architettonici e culturali di Aem come il suo archivio storico e fotografico e la collezione di oggetti d’arte. L’archivio conserva oltre 180.000 immagini che raccontano la storia dell’azienda, frutto della collaborazione con studi professionali, prima, e successivamente, con fotografi di nome come Basilico, Mulas, Barbieri e Ghirri.
per pubblicità e comunicazione, ad autori di valore, come Bruno Stefani, e ciò garantisce la qualità del lavoro e dell’immagine. Archivio storico del Corriere della Sera – Fondazione Corriere della Sera via Solferino 24, Milano tel. 02 62828027 Anno di acquisizione: 2001 L’archivio documenta la storia del giornale dalla sua fondazione nel 1876 alla fine del Novecento facendosi testimone dei mutamenti sociali, politici e culturali dell’Italia e del mondo. Sono conservate le raccolte della testata e dei supplementi, fotografie e disegni originali e le corrispondenze degli autori che hanno scritto per il giornale. La sezione fotografica conta circa 2 milioni di immagini, in gran parte negativi, realizzate o acquisite tra il 1962 e il 1997, per la pubblicazione delle diverse testate. Inoltre, è stata costituita una sezione che raccoglie circa 6.500 cartoline fotografiche inviate dai lettori alla redazione del giornale, fino agli anni 70 del Novecento, che raffigurano paesaggi, monumenti e scene della vita italiana. Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori via Riccione 8, Milano tel. 02 39273061 Anno di fondazione: 1979 Dir.: Luisa Finocchi Ente privato nato con lo scopo di conservare, valorizzare e mettere a disposizione le storie dei due editori e delle case editrici da loro fondate, la Fondazione comprende gli archivi storici della Arnoldo Mondadori editore e del Saggiatore, costituiti prevalentemente da pubblicazioni, e dagli archivi di altre imprese editoriali, autori e personalità dell’editoria e della cultura.
Archivio fotografico della Biblioteca Storica Montedison presso Politecnico di Milano - Campus Gran Sasso, via Garofalo 39, Milano tel. 02 23999298 L’archivio documenta una parte fondamentale della storia della chimica, dell’agricoltura e del settore energetico italiani. La documentazione fotografica, che copre un arco temporale che si estende per i primi 80 anni del Novecento, è conservata in circa 1.500 album. Si tratta di materiale molto eterogeneo, poiché la società intendeva documentare ogni singolo aspetto delle sue attività: impianti, miniere, agricoltura, materie plastiche, istituti di ricerca, assistenza, dopolavoro, fiere. L’impresa affidò le campagne fotografiche, usate successivamente
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli via Romagnosi, 3 – Milano tel. 02 874175 Anno di fondazione: 1974 Dir.: Chiara Daniele La Fondazione è uno dei maggiori centri europei di documentazione nell’ambito delle discipline storiche e delle scienze politiche, economiche e sociali a partire dal XVI secolo. Il fondo comprende una sezione fotografica costituita da circa 700 album: si tratta soprattutto di riproduzioni raccolte per le pubblicazioni della Fondazione che testimoniano le campagne fasciste e antifasciste in Italia, le guerre civili in Spagna ed in Russia, i Movimenti operai e contadini italiani e la documentazione fotografica dei movimenti comunisti e socialisti in Italia.
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Istituto per la Storia dell’Età Contemporanea ISEC – sezione fotografica Archivio Storico della Società Ercolle Marelli e Archivio Storico Breda Largo La Marmora 17, Sesto San Giovanni, Milano tel. 02 22476745 Anno di fondazione: 1972 Dir.: Luigi Ganapini Pres.: Gianni Cervetti Il patrimonio fotografico conservato alla Fondazione Isec consta di circa 150.000 fotografie, oltre a più di 50.000 disegni tecnici, pellicole cinematografiche e videocassette. La Fondazione ISEC ha deciso di pubblicare sul sito www.flickr.com le proprie foto allo scopo di dare loro maggiore visibilità. La raccolta è suddivisa in tre sezioni tematiche: Fondi antichi; Resistenza, movimento operaio e democratico; Imprese e fabbriche. In particolare, l’Archivio Ercolle Marelli consta di 30.000 immagini che documentano la storia della fabbrica dai primi anni ’20 al 1975, documentando le attività industriali e dopolavoristiche.
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Bergamo
Varese
Archivio storico Croce Rossa Italiana – Comitato Provinciale di Bergamo Anno di fondazione: 1992 Gestito da: Croce Rossa Italiana Conservatore dell’Archivio Storico: Ernesto Alessio tel. 035 4555112 La raccolta comprende fotografie, oggetti, medaglie e documenti cartacei risalenti all’inizio dell’attività della Croce Rossa Provinciale di Bergamo (1864). Il fondo archivistico consiste principalmente nei materiali relativi all’attiva presenza nella Croce Rossa di numerosi cittadini impegnati nelle diverse Componenti Volontaristiche.
Archivio di Stato di Varese via Col di Lana 5, Varese tel. 0332 312196 Anno di fondazione: 1963-66 Dir.: Claudia Morando Nato come sezione di Archivio di Stato nel 1963, l’Archivio di Stato di Varese comprende un migliaio di fotografie derivanti dal fondo Casa Conti Castiglioni, risalenti ai secoli XIX – XX, oltre a fotografie del secolo XX di Roma, Torino, Venezia.
Mantova Biblioteca mediateca Gino Baratta – Comune di Mantova corso Garibaldi 88, Mantova tel. 0376 352711 Anno di Fondazione: 1998 Gestito da: Comune di Mantova La Fototeca della Biblioteca Gino Baratta è costituita da circa 10.000 immagini tra positivi e negativi, che abbracciano l’intero secolo scorso. Si privilegia il materiale di interesse locale, Mantova e il suo territorio, con la volontà di salvaguardare importanti raccolte a rischio di deterioramento. Il patrimonio è suddiviso in sette fondi: Fondo dell’Azienda di Promozione Turistica di Mantova, anni Cinquanta del ‘900; Archivio dell’ex Museo del Risorgimento e della Resistenza Renato Giusti, anni 1845-1950; Fondo Stennio Defendi, anni 1890-1963; Fondo Gianni Bosio, seconda metà del secolo XIX-1971; Fondo del Consorzio di Bonifica Sud Ovest di Mantova, anni 19171951; Fondo del Consorzio di Bonifica dell’Agro Mantovano Reggiano, anni 19031985; Fondo contemporaneo, costituito da fotografie varie pervenute alla fototeca per donazione, perlopiù risalenti al XX secolo.
Altri archivi CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione Centro Studi e Archivio della Comunicazione, Università degli Studi di Parma Abbazia di Valserena, viazza di Paradigna 1, Parma Anno di fondazione: 1986 Dir.: Gloria Bianchino Nella Sezione Fotografia si conservano 2.500.000 di negativi su lastre, 2.200.000 negativi su pellicola, 1.700.000 stampe, 150 apparecchi fotografici, di notevole interesse, fra l’altro, 140 negativi scattati da Man Ray negli anni Trenta. Inoltre sono raccolti gli archivi completi dello Studio Stefani di Milano, dello Studio Villani di Bologna, dello Studio Vasari di Roma, dello Studio Tosi di Parma, dello Studio Orlandini e Davolio Marani di Modena, dello Studio Cattani di Faenza, della Publifoto di Roma (fino al 1970) oltre agli archivi di fotografi da Migliori a Ghirri. Archivio Eredi di Luigi Ghirri – Archivio Luigi Ghirri presso Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia tel. 0522 456084 Resp. fototeca: Laura Gasparini Referente Archivio Eredi Ghirri: Paola Bergonzoni Ghirri Nella fototeca sono conservate quasi un milione di immagini che documentano, in particolare, la realtà storica locale dalla metà dell’Ottocento ai giorni nostri. Le raccolte comprendo i lavori di autori come Alinari, Caneva e Naya e, tra i contemporanei, Ghirri, Basilico e Barbieri. Tra i principali fondi si ricordano il Fondo Storico e il Fondo Sevardi che raffigurano la realtà territoriale urbanistica e rurale reggiana, e il Fondo Farri orientato principalmente a rappresentare l’arte, l’industria e le tradizioni locali.
Archivio Alberto Sartoris – Archives de la Construction Moderne (ACM) presso Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne – EPFL, Losanna (CH) tel. 0041 21 693 21 56 Attualmente ospitata presso gli Archives de la Construction Moderne di Losanna, la collezione Sartoris annovera più di 8.000 immagini originali, in cui sono rappresentati gli scatti di oltre 400 fotografi che ricoprono l’ arco temporale tra gli anni ’20 e ’30, sollevando la questione dei complessi rapporti storici tra architettura e fotografia. Gli archivi comprendono i lavori di circa 650 architetti internazionali, tra i quali Le Corbusier, Terragni, Barragan, Neutra e Scharoun.
Banche dati e archivi fotografici online Archivio fotografico dell’agricoltura e del territorio lombardo http://agricoltura.regione.lombardia.it tel. 02 67652577 Dir.: Carlo Silva gratuito, previa richiesta Archivio Electa – Photoservice http://photoservice.electaweb.it a pagamento DIA – Banca Dati di Immagini per la Didattica http://www.indire.it/archivi/dia Coordinatore del progetto: Edoardo Grossi a pagamento Flickr http://www.flickr.com gratuito o a pagamento Image After http://www.imageafter.com gratuito Google Image Search http://www.google.com gratuito
I fotografi di AL a cura di Marco Introini
La foto pubblicata fa parte di un lavoro realizzato dall’autrice nel 2002 per conto dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Piacenza e pubblicato nel volume Emilia. Cinque fotografi per una centrale di Piero Portaluppi. Parte del suddetto lavoro è stato utilizzato ad illustrazione del forum di AL 12, 2007, “Architettura e impiantistica”.
Federico Brunetti Si laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano nel 1985. Dottore di ricerca nel 1997. Dal 2007 docente di Fotografia e Architettura presso l’Accademia di Brera. Studioso di archivi storici di fotografia, cura ricerche iconografiche presso istituzioni milanesi. La foto qui a fianco, dal titolo “Veduta dalla gru di porta ovest dell’asse centrale in costruzione, luglio 2004”, è tratta da un lavoro realizzato dall’autore, conservato presso l’Archivio Storico di Fondazione Fiera Milano, sulla costruzione del nuovo polo fieristico progettato da Massimiliano Fuksas. Un estratto di tale reportage è stato presentato su AL 3, 2005, “Direzione lavori”. Riccardo Bucci Si laurea in Architettura al Politecnico di Milano nel 1999 con una tesi sulla fotografia. Come professionista si occupa di paesaggio, spazio urbano, architettura e arredamento d’interni. La foto qui a fianco è tratta da un servizio realizzato nel 2002 in occasione del concorso indetto dalla Provincia di Milano sui comuni limitrofi al capoluogo lombardo, esposto all’Urban Center di Milano e in parte poi pubblicato nel forum di AL 6, 2004, “Periferie”.
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Annamaria Belloni Vive e lavora a Piacenza. Laureata in Lingue e letterature straniere, dal 1999 si dedica alla fotografia occupandosi prevalentemente di ritratto e paesaggio urbano. Ha esposto in collettive e personali in Italia e all’estero.
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Stefano Corcella Si è laureato presso l’Istituto d’Arte di Bournemouth (Uk) nel 2002. Lo stesso anno ha vinto il “2002 Metro Students Award”, il più prestigioso premio fotografico inglese destinato a neolaureati. La fotografia pubblicata su AL 11, 2006, “Restauro del Moderno”, fa parte di una ricerca specificatamente realizzata per la rivista, che ha avuto come tema l’Istituto Marchiondi di Milano progettato da Vittoriano Viganò.
Marco Introini È laureato in architettura. L’interesse per la rappresentazione lo ha portato a dedicarsi alla fotografia concentrandosi non solo sull’architettura ma anche sul paesaggio antropizzato. È docente di Fotografia dell’Architettura e Tecnica della Rappresentazione presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano. La fotografia, pubblicata su AL 11, 2001, “Appalti pubblici: sentenza della Corte di Giustizia CE”, riguarda una ricerca sulla situazione del cantiere del Nuovo Teatro Arcimboldi a Milano, nel 2001.
Isabella Sassi Farías Ha studiato presso lo IUAV di Venezia con Guido Guidi e Lewis Baltz. Dal 2004 si dedica alla ricerca utilizzando la fotografia come metodo di conoscenza del paesaggio contemporaneo. La fotografia, pubblicata su AL 5/6, 2007, “Piste ciclabili”, fa parte di una ricerca specificatamente realizzata per la rivista e incentrata sul tema delle piste ciclabili.
La foto, pubblicata su AL 3, 2009, “Luoghi del commercio”, fa parte della serie “Esterni”, premiata in occasione del Premio Europeo di Fotografia “Riccardo Pezza” 2008; il lavoro opera sul confronto tra fotografia analogica (qui utilizzata) e digitale (cui allude) cogliendo dall’esterno alcuni interni di negozi illuminati da luce al neon monocromatica.
Fabio Mussi È professore a contratto presso il Politecnico di Milano e collabora con l’Università della Svizzera Italiana. Si occupa di ricerca fotografica sul paesaggio contemporaneo ed opera, professionalmente, nell’ambito della fotografia di beni architettonici. La fotografia “Ikea-Carugate” fa parte di una ricerca sul sistema infrastrutturale lombardo ed è stata pubblicata in AL 3, 2002, “Architettura e infrastrutture”. Arnaldo Genitrini Svolge attività di fotografo specializzato in architettura e paesaggio dal 1999. Vive e lavora fra Milano e Losanna. La fotografia pubblicata su AL 10, 2006, “Parchi in Lombardia”, fa parte di un lavoro sul Parco del Mincio, realizzato appositamente per la rivista.
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Marco Dapino Laureato in Disegno industriale presso il Politecnico di Milano, compie studi di fotografia al CFP Bauer. Lavora nell’ambito della fotografia di architettura e design.
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Brescia a cura di Rosanna Corini, Roberto Saleri, Paola Tonelli
Brescia intra moenia: dal monumento al dettaglio È la passione per la fotografia di Carla Cinelli, bresciana, figlia d’arte, che da sempre “ha respirato aria di fotografia”, a generare corsi o meglio “percorsi di fotografia” che dal 1995 vedono la frequenza di molti allievi-architetti. Corsi che invitano a percorrere, guardare ed indagare in modo quasi ossessivo il soggetto. Elia Gadeschi e Roberta Alghisi imparano così a interiorizzarlo, a raccontarlo da un punto di vista diverso, consapevoli di avere colto “l’arte di sapere dove stare” capaci di sfumare l’intorno sia nel caso si tratti di rappresentare soggetti architettonici fortemente individuabili sia quando è il dettaglio a raccontare la città. Due visioni apparentemente distanti tra loro, ma fortemente legate al modo di operare dell’architetto. Per il primo la città deve essere colta dall’alto e il risultato è una sorta di “plastico” dove le cose fotografate sono viste secondo un’angolatura che le restituisce, quali emergenze architettoniche dense di significato e qui idealmente miniaturizzate, nell’immobilità della scena. Il risultato, sottolinea Elia, “sono istantanee di citta-maquette che ci possono aiutare a riflettere sulle direzioni intraprese negli ultimi cinquant’anni nel campo della pianificazione urbana”. Chi percorre la città non è abituato a vedere immagini simili; sono fotogrammi urbani che rimandano agli scatti di Olivo Barbieri, ma sono privi di quell’idea di movimento che invece fa della fotografia dell’Urbe di Barbieri una “installazione contemporanea”. Per Roberta Alghisi, nella serie “Versus”, i luoghi sono dettagli di pietra, da inseguire e ricomporre in una propria magica lettura di segni e colori… Dettagli materici e di texture, rumori di chiusini, città di pietra cara ai bresciani, ridisegnata da tratti di vernice turchese a sottolineare forse un nero passaggio a cui accedere. O un fiocco leggero legato a un chiodo a delimitare un’area di lavoro dimenticato da operai distratti, quasi poesia nell’incuria del luogo… E non importa se si tratta di fotogrammi che si potrebbero ricondurre a molteplici luoghi, visioni tra brani intercambiabili di città storica: è importante il gesto fotografico quale operazione tesa a togliere, a ripulire il soggetto, ridurre la superficie e i segni verso l’essenziale, una sorta di “less is more”, operazione cara a molti grandi maestri dell’architettura e da sempre - per i più - difficile da perseguire, una sorta di tentativo che: “Lascia che il soggetto generi la propria fotografia. Diventa un obiettivo” (Minor Martin White). Rosanna Corini
Roberta Alghisi, Brescia Piazza Loggia, 2006.
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Elia Gadeschi, Brescia, 2008.
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Como a cura di Roberta Fasola
Concorso fotografico “Anni Cinquanta” “Una parola che racconta la qualità degli edifici è atmosfera (…) L’atmosfera parla della nostra percezione emotiva (…) senza ogni volta dover stare a riflettere a lungo su una situazione. Comprensione immediata: commozione immediata o immediato rifiuto” (da: Peter Zumthor, Atmosfere, 2006) Nell’anniversario dei 50 anni della nascita del nostro Ordine, il concorso “Anni Cinquanta. Riflessioni, interpretazioni e contrappunti sull’architettura e lo spazio urbano tra il 1950 e il 1960 nel territorio lariano” vuole essere testimonianza del riconoscimento del peso e del rilievo che la fotografia ha sull’architettura, sia nel modo di testimoniarla che di interpretarla. Lo stesso Presidente durante un nostro recente incontro ha sottolineato l’importanza di precisare che l’idea è nata sostanzialmente da due logiche tra loro complementari: s CREDERE NELLA FORZA DI COMUNICAZIONE CHE HA LA FOTOGRAfia d’architettura, senza cadere nella retorica contemporanea del consumo di immagini; s RACCONTARE ATTRAVERSO L IMMAGINE FOTOGRAlCA UN MOmento molto speciale dell’architettura del nostro territorio – il dopoguerra con le sue ricostruzioni – che si lega anche all’anno di fondazione dell’Ordine professionale: è nell’ottobre del ‘58, infatti, che si avrà la prima riunione ufficiale a cui farà seguito il suo primo anno di vita. “Ci si è interrogati a lungo – afferma il nostro presidente, arch. Angelo Monti – sulla modalità per attivare un’iniziativa aperta al contributo non solo dei propri iscritti, che raccontasse in maniera non retorica e celebrativa, piuttosto interpretativa, l’architettura di quegli anni: ecco che lo strumento fotografico può essere occasione recuperare una memoria storica e farne testimonianza d’attualità, per raccogliere uno sguardo contemporaneo sulle luci e le ombre di quegli anni investiti dalla grande urgenza di ricostruzione del Paese. L’architettura ha raccolto questi elementi anche di grande energia e ne ha fatto oggetti fisici concreti. Non, dunque, un concorso fine a sé stesso, ma un pre-testo (nella dualità interpretativa del termine) per parlare di forma e composizione”. Volontà di raccontare attraverso gli sguardi di chi vive lo spazio il tempo presente della nostra città, fatto di stratificazioni temporali: non solo capacità tecnica dunque, ma anche interpretativa; questo il motivo per il quale si è legato il Premio all’architettura e non agli architetti, permettendo così a sensibilità differenti di re-interpretare e proporre nuove visioni. Un Concorso che sembrerebbe quasi invitare a riscoprire in maniera giocosa il Ready-
Filippo Simonetti, Casa Diener a Ronco sopra Ascona (Svizzera), progetto di Luigi Snozzi.
Filippo Simonetti, Casa a Brione sopra Minusio (Svizzera), progetto di Richard Neutra.
made di Duchamp… Il parere di altri due membri della Giuria – Fabrizio Musa e Filippo Simonetti – scelti per le loro differenti specificità settoriali, a conferma di quanto sopra, per cercare di sviscerare il forte rapporto che l’architettura ha con l’immagine fermata dallo scatto. “Como è una città che ha dato molto alla storia dell’architettura e per un fotografo rappresenta una buona palestra dove cercare motivi di ricerca e di ispirazione.
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Ferdinando Sacco, allestimento mostra Fabrizio Musa artista, Torino, 2008.
Credo che l’iniziativa da parte dell’Ordine degli Architetti PPC di bandire questo concorso fotografico, aperto a tutti, sia un’occasione davvero stimolante per gli appassionati di fotografia, professionisti e non, e sono sicuro che ne verrà fuori un repertorio di immagini che diventeranno materia di analisi e di riflessione per chiunque. Personalmente avrei preferito partecipare al concorso come fotografo, ma Angelo Monti mi ha chiesto di far parte della giuria. Ne sono onorato e sono certo che i concorrenti faranno quello che avrei voluto fare anch’io, cioè di non accontentarsi di registrare una presunta ‘realtà oggettiva’, ma di scrutarla e analizzarla per coglierne quegli aspetti che un visitatore frettoloso non coglie. In tal modo la fotografia sarà sì un mezzo per far ‘vedere’, ma anche per far pensare, per comunicare un’idea, per trasmettere un’emozione” (Filippo Simonetti, fotografo). Fabrizio Musa – giovane artista comasco noto anche a scala internazionale – sottolinea l’importanza che la fotografia ha avuto da sempre nelle sue opere, usata come mezzo per appuntare tutto quello che affascina lo sguardo, per poi elaboralo nello studio, superando così il limite
posto dalla temporalità del disegno in loco: non sempre si ha l’opportunità di schizzare ciò che si desidererebbe ricordare. L’immagine, tuttavia, è sempre scattata con occhio indirizzato già alla rivisitazione, permettendo così di preservarne i dettagli in maniera accurata e di ampliare la possibilità della ricerca. La sua passione per l’architettura nasce in maniera del tutto spontanea e cresce maturando nel tempo, studiando e approfondendo il proprio percorso formativo che lo porterà ad applicare la pittura alle visioni di architettura. “Terragni mi insegna, circondando con le sue opere sia la mia casa che lo studio, permettendomi di vedere l’architettura come opera d’arte. L’architettura è in grado di sorprendermi offrendomi spunti sempre nuovi. Anche attraverso la visione dei suoi dettagli, che a volte uso come provocazione: la loro essenza, per me, è l’essenza dell’architettura stessa”. Infine, ricordiamo che la consegna dei lavori è prevista per 12 giugno; per ulteriori informazioni: www.ordinearchitetticomo.it. R. F.
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Cremona a cura di Fiorenzo Lodi
Autoscatto sull’architettura di Cremona: l’evoluzione della fotografia da rappresentazione a interpretazione Roberto Caccialanza (1), giovane fotografo e studioso della storia della fotografia della città, ha da tempo indirizzato le proprie ricerche sull’identificazione degli archivi dei fotografi cremonesi che, con la loro attività, hanno saputo coniugare la qualità dell’immagine alla lettura dell’identità architettonica e delle trasformazioni di Cremona. Il primo cremonese che si dedicò in maniera professionale alla fotografia di architettura fu Aurelio Betri (1834-1904): nel 1869 immortalò la chiesa di S. Domenico prima e durante la sua demolizione avvenuta per dare spazio alla realizzazione dei Giardini Pubblici. I materiali da lui prodotti sono depositati e in larga parte in attesa di ordinamento presso la Biblioteca Statale e Libreria Civica. Ernesto Fazioli (1900-1955), durante il regime fascista, venne incaricato di testimoniare lo sviluppo edilizio e la crescita urbana della città, dagli interventi in centro storico all’edilizia residenziale economica, alle numerose colonie elioterapiche. Il suo archivio, suddiviso in diversi fondi, è in parte depositato presso l’Ufficio Urbanistica del Comune, in parte presso lo IAT e collezionisti privati, infine presso l’archivio fotografico della Regione Lombardia. Giovanni Negri (1893-1969), invece, riprese Cremona al termine della seconda guerra mondiale soffermandosi sul ritorno alla vita civile che identifica con la ripresa commerciale di negozi e vetrine, cioè sui primi indicatori, secondo Edoardo Persico, della “città che si rinnova”. L’opera di Fazioli è oggetto della pubblicazione Cremona rifabbricata, edita nel 1992, ma passibile di ulteriori approfondimenti; gli scatti – non soltanto dedicati all’architettura – di Aurelio Betri, dello stesso Fazioli e di Giovanni Negri sono stati oggetto dell’esposizione Fotografi Cremonesi, curata da Roberto Caccialanza e Lauro Guindani, delegato provinciale della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche. Lo stesso Caccialanza, infine, con l’esposizione Cremona e le sue torri, ha saputo leggere un’inedita immagine della città caratterizzata dai suoi elementi verticali, testimoniandone, quindi, la crescita in altezza dalle torri medioevali fino al presente. “Le torri di Cremona sono davanti ai nostri occhi ogni giorno e caratterizzano lo skyline della città rendendolo armonioso e inconfondibile”. La ricerca di Caccialanza riguarda tutto il territorio comunale; le prime foto risalgono al 1994 e testimoniano eventi importanti per la trasformazione della città: il restauro del Torrazzo, della chiesa di S. Girolamo e S. Carlo; il recupero della cupola della chiesa di S. Facio o importanti demolizioni (serbatoio ex
Roberto Caccialanza, la torre della ex filanda Bertarelli.
Feltrinelli su via Castelleone, sventramenti in via Larga, demolizione della ciminiera del primo stabilimento Vergani e di alcuni vecchi edifici). Questo perché oggi il centro storico di Cremona più che da nuove costruzioni verticali è caratterizzato da demolizioni e sventramenti che sostituiscono o si aggiungono all’esistente, modificandone il profilo e i lineamenti. Così anche la verticalità di un palazzo storico non ha la stessa connotazione del passato e la monumentalità che scaturiva da un contesto omogeneo per forma o stile viene ad affievolirsi. La fotografia di architettura, in tal senso, è testimone e protagonista di questa trasformazione. Le immagini di Roberto Foroni (2) su piazza Stradivari ne sono un esempio tangibile: la tanto criticata pensilina (Migliore-Servetto, 1999) si staglia nel cielo cremonese riquadrando le spigolosità e cambiando la percezione dei vertici esistenti, dal torrazzo ai palazzi storici. Ma non si tratta solo di discutere proporzioni e misure: nuovi oggetti architettonici modificano i luoghi in base alle esigenze e agli usi. La fotografia di Foroni rappresenta una sce-
na quotidiana dove sono il mercato, la gente e i gazebi i soggetti fotografici, mentre lo sfondo torrazzo-palazzipensilina è diventato un unicuum urbano, un insieme che la fotografia non analizza nelle sue parti, ma va oltre cercando di coglierne gli aspetti non esibiti. Credo che la fotografia di architettura oggi non significhi più documentare fedelmente i caratteri e i particolari di un edificio. La descrizione è affidata al rendering, alle ricostruzioni tridimensionali del digitale che, pur non sostituendo l’esperienza spaziale, sono però in grado di fornire quasi tutti gli aspetti tecnici. La fotografia ora può liberamente interpretare, distorcere, metaforizzare o in certi casi sublimare. La fotografia è il mezzo, la vetrina dentro la quale l’oggetto architettonico può assumere un nuovo significato. Spesso le vetrine per Cremona sono vetrine chiuse: non solo non rappresentano più il segnale di una città che si rinnova, ma diventano lo specchio di sventramenti commerciali senza interazione con il resto. Ci piace pensare che la vetrina possa ritornare ad assumere un carattere architettonico, simbolo di una Cremona giovane, che comunica tutte le forme d’espressione, dall’arte alla fotografia.
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Maria Teresa Feraboli e Camilla Girelli Note 1. Roberto Caccialanza (Cremona, 1969) inizia la sua attività quale segretario del Circolo fotografico Beltrami-Vacchelli di Cremona (1990-2007). Organizza mostre e convegni, cura numerose pubblicazioni dedicate all’architettura cremonese e si dedica allo studio sistematico degli archivi storici dei fotografi di Cremona. 2. Roberto Foroni (Cremona, 1967) si avvicina alla fotografia nel 1989. Inizia scattando ritratti e luoghi di viaggi dal sapore metropolitano. Nell’ultimo periodo l’interesse è per il dettaglio: oggetti di uso quotidiano o parti che compongono edifici, sculture, manufatti con una tendenza all’iperrealismo che talvolta sconfina nell’astratto. 3. Lorenzo Sperzaga (Cremona, 1979) si diploma alla Nuova Accademia di Belle Arti nel 2004, allievo di Claudio Olivieri, Wlady Sacchi ed Emanuele Mocarelli. Molte le mostre e le esposizioni; tra le più importanti Milano, Verbania, Salò, per citarne alcune. Affianca all’attività pittorica quella teatrale, presso “La Compagnia delle Muse” (Cremona).
Roberto Foroni, il Mercato di piazza Stradivari.
Lorenzo Sperzaga, Atelier d’arte, arch. Sergio Carboni, via del Giordano 95, Cremona.
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Lecco a cura di Enrico Castelnuovo e Maria Elisabetta Ripamonti
Paesaggi in polvere. Intervista a Luigi Erba Nato a Lecco, Luigi Erba vive le sue prime esperienze fotografiche legate al paesaggio alpino negli anni Settanta. Solo successivamente, sempre con una connotazione non documentaria, sposta l’attenzione al paesaggio urbano, in particolare attorno ai resti dell’industria lecchese (Paesaggi dissolti). Ringraziamo questo apprezzato esponente di un segmento della fotografia d’autore che si è anche occupato di storia della fotografia (rubrica Flashback in “Immagini Foto Pratica”) ed ha parlato di teoria e lettura fotografica in Nel ripostiglio dell’Immaginario, 1992. Come l’architettura è divenuta oggetto della sua fotografia? Il mio non è mai stato un interesse specifico ma si è progressivamente delineato come un lavoro sull’immagine in modo particolare intorno all’ambiente montano. La casa rurale mi ha sempre attirato, sia in rapporto con il paesaggio, sia da un punto di vista strutturale. È così che si è consolidata una simbiosi con il territorio attraverso queste espressioni autentiche e spontanee con precisi caratteri antropologici. Un momento fondamentale è stato il lavoro sul vecchio nucleo di Frasnida con l’associazione Amici di Morterone nel 1988. Che cosa ha trovato interessante nel nostro territorio da un punto di vista fotografico? Ogni territorio è un mondo. Qui, dove sono nato e vissuto subentra il fatto emotivo. C’è stata una simbiosi di insediamento e ambiente. L’area Aldè tra i due ponti sull’Adda, ad esempio, con la ripetizione dei tetti, segnava un paesaggio dove le creste del Resegone apparivano come quinte, come uno sfondo germogliato e determinavano un contorno ora scomparso. La scomposizione ideale in figure geometriche di quadrati e i triangoli dei tetti mi hanno sempre coinvolto; è un alfabeto mentale e gestuale. Anche se nelle mie immagini l’uomo non compare mai, si sente che lì c’è stato. Le fabbriche sono ora immagini, evanescenze di un ambiente che prima vivevo come abitudine e di cui quindi non mi accorgevo. È il loro “esseredivenirescomparire” che mi affascina, la fragilità e provvisorietà, quasi dei paesaggi in polvere. Cosa coglie ed esprime? La mia non è una fotografia di documentazione, è un paesaggio interiore. Tento di andare oltre il visibile, di scavare nelle forme primarie dell’architettura rurale, per arrivare a decodificare i segni più ancestrali, come quan-
do con Frasnida ho realizzato delle tavole della memoria estrapolando dei particolari delle costruzioni che si identificavano con le stesse lettere dell’alfabeto. I segni, prima ideografici, poi fonetici, sono nati dall’ambiente che circondava l’uomo. Queste case, e oggi i resti della civiltà industriale lecchese, più che manufatti li considero come “sculture perdute” nella dimensione del sogno-memoria. Le acquisisco solo ora, quasi fossero fantasmi nel loro scomparire. Quanto conta la tecnica e quanto la sensibilità artistica? Sono aspetti che non si possono scindere: la macchina è una parte del tuo essere-divenire, inarrestabile. Per me la fotografia è una percorso in quel flusso dell’emotività creativa che deve però lasciare paradossalmente spazio alla casualità. Metodo ed emozione, progetto ed improvvisazione! Come definisce una buona foto d’architettura? Un prodotto che sia in perfetto equilibrio tra il documento e lo stile del fotografo, che serva per studio, ma che possa avere una valenza espressiva autonoma; che sia riconoscibile come stile dell’autore e non soffochi quello dell’architetto. E. C. e M. E. R.
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Luigi Erba: Lentrè (Tremenico), 1972; Lecco, dicembre, 2009.
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Mantova a cura di Elena Pradella e Nadir Tarana
Mantova, il Rio e architetture d’acqua Mantova è contornata dall’acqua, il fiume Mincio avvolge la città formando tre laghi, frutto di un’opera idraulica dell’architetto Pitentino che, addirittura nel 1190, realizzò uno sbarramento. Contestualmente alla diga venne realizzato un canale che attraversa interamente la città congiungendo due laghi, un taglio urbanistico interessante, perché su detto canale, senza particolari pianificazioni,
sono sorte nei secoli varie costruzioni ed interventi spontanei: le beccherie e le pescherie dell’architetto Giulio Romano (sec. XVI), prestigiose case padronali, chiese, conventi, opifici e giardini. Purtroppo, nel boom edilizio degli anni ’60, una parte del Rio è stata “tombinata”, con la realizzazione di una strada ove sono stati edificati “palazzoni” di scarso valore architettonico, ma comunque emblematici del periodo postbellico. Il Rio nel corso finale approda in un porto commerciale che per anni ha rappresentato un importante scalo per la città e nel quale affluivano merci; del porto commerciale rimangono poche tracce. N. T.
Fotografie di Marcello Tumminello (tratte da: Mantova e l’acqua, Tipografia Commerciale, Mantova, 2009).
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Milano a cura di Roberto Gamba
Fotografare Milano Saverio Lombardi Vallauri (nato a Firenze nel 1964) propone un contributo, scritto in terza persona, in cui illustra la sua carriera e il suo lavoro di fotografo di architettura. Vallauri si è diplomato in fotografia presso l’Istituto Europeo di Design di Roma, dove, dal 1991 al 2000, è stato docente di Teoria e Tecnica della Fotografia e dove ha svolto i seminari di Fotografia dell’Architettura. Dal 2003 è impegnato presso l’Istituto Europeo di Design di Milano, dove svolge il corso di Teoria e Tecnica dell’Apparecchio a Banco Ottico e, nel 2006, ha progettato e curato il corso “Fotografare l’Architettura”. Vive a Milano dal 2000, dove opera el campo dell’architettura, degli interni, dell’industria e del sistema fieristico. Per Nuova Arnica Editrice, Roma, ha pubblicato nel 1996 L’apparecchio professionale a banco ottico e L’illuminazione flash (1998); per Newton Compton, Roma 1998, ABC della fotografia, scritto insieme ad altri autori. Saverio Lombardi Vallauri è nato a Firenze più di quarant’anni fa e fino ai venticinque ha creduto di voler fare l’architetto. Nel 1988 ha venduto la sua prima fotografia e ha capito di non saperne granché. Nel 1989, mentre altrove cadeva il Muro, è andato all’Istituto Europeo di Design di Roma per studiare. Nel 1991 un’anima buona, capendo la sua vocazione alla pigrizia, gli ha affidato un insegnamento. Da allora SLV non ha saputo smettere e uno dei suoi sogni sarebbe quello di aggirarsi per verdi ondulazioni anglosassoni con un piccolo gruppo di discepoli pazienti e devoti. Per vivere, fotografa dagli anelli ai grattacieli, ma i suoi interessi più profondi sono l’architettura, gli interni, il design e il progetto in genere. Da otto anni tenta di ambientarsi a Milano dalla quale resta separato per manifesta inclinazione al tempo libero e gratuito. Ha perciò stabilito residenza in una casa di Caccia a San Felice. Giunto per occuparsi di fotografia virtuale - il progetto di un portale web - ha molto presto rimesso le mani sulla macchina e gli occhi sull’architettura, che a Milano è pensata, prodotta, pubblicata molto più che a Roma, città di elezione, o a Firenze, città d’origine. Una collaborazione di lunga data con il Salone del Mobile incardina i suoi anni sul mese di aprile, crinale tra l’attesa e la corsa. Ha scritto alcuni libri di teoria fotografica e la sua specialità era la sopravvalutazione dell’importanza dell’apparecchio a banco ottico nel tempo digitale. Le sue fotografie sono state pubblicate da numerosi editori, su libri e riviste. R. G.
Quartiere Bicocca, Milano.
Via Binda, Milano.
Corso Italia 13-17, Milano.
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Fiera Milano.
Santa Maria delle Grazie, Milano.
Piazza Scala, Milano.
Stazione passante Certosa, Milano.
Pirelli Real Estate, Milano.
UniversitĂ e Torre Velasca, Milano.
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Monza e Brianza a cura di Francesco Redaelli e Francesco Repishti
Un concorso, una raccolta, un archivio fotografico Le immagini, non solo di importanti fotografi italiani e stranieri, ci restituiscono, attraverso le più diverse e tecniche di stampa e di ripresa, aspetti di storia sociale, paesaggi naturali, trasformazioni urbanistiche, preziose testimonianze del patrimonio artistico e architettonico. Di fatto la fotografia ci ha abituato da tempo a vedere l’architettura da punti di osservazione infiniti e nelle nuove concezioni del paesaggio legate a un cambiamento degli orizzonti estetici, e quindi anche dell’ambito in cui l’architettura si colloca, essa ha poi svolto un ruolo determinante: oggi è soprattutto il mezzo fotografico che veicola le opere architettoniche, che affronta i territori della metropoli, delle periferie urbane, che porta alla comprensione visiva dei nuovi paesaggi. Si deve quindi alla fotografia l’individuazione di nuovi àmbiti nel panorama delle trasformazioni del nostro territorio, e tutto ciò accade ancora di più da quando la tecnologia digitale e internet non pongono limiti alla quantità e alla qualità delle riprese fotografiche. Monza e la Brianza non hanno una lunga tradizione di documentazione fotografica conservata e nemmeno esistono documentazione e campagne fotografiche di importanti complessi monumentali demoliti tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, o delle violente trasformazioni urbanistiche e infrastrutturali che hanno disegnato l’attuale territorio. Tra quelle che conosco, ricordo in particolare la raccolta della Fototeca Civica di Monza, conservata presso la Biblioteca Civica, formatasi come selezione delle immagini pubblicate dalla “Rivista di Monza” (dal 1922 al 1939) e dalla “Città di Monza” e quella del Museo Etnologico di Monza e della Brianza. Fra il 1933 e il 1939 il Comune di Monza pubblicava la prima serie di un suo bollettino di vita politica e amministrativa e di storia colta della città; di questa rivista fu supporto efficace la documentazione fotografica commissionata dal Comune in buona parte agli studi fotografici cittadini. I soggetti sono le manifestazioni pubbliche della vita monzese fra il 1933 e il 1939 e i nuovi caratteri architettonici e urbanistici che la città andava assumendo in quegli anni. A questa raccolta si è aggiunto l’Archivio Valtorta, costituito essenzialmente da fotografie sportive scattate fra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta, ma anche delle opere pubbliche o comunali. Altre raccolte fotografiche di studi o di alcune importanti aziende monzesi sono in deposito presso Istituzioni o Associazioni locali. Negli ultimi anni l’unica operazione degna di nota è la campagna promossa dall’Archivio dello Spazio dell’assessorato alla Cultura della Provincia di Milano, realizzata da Ga-
Marco Malimpensa, Edificio a Meda, 2008 (Concorso Fotografico 2008, vincitore sezione A).
briele Basilico nel 1997 nell’ambito del Progetto dei Beni Architettonici e Ambientali. Poca cosa se confrontata con le circa 100.000 foto di Giorgio Casali custodite nel fondo Giorgio Casali dell’IUAV, con le 90.000 foto dell’archivio di Luigi Ghirri (1943-1992) o con gli oltre tre milioni di immagini dell’Archivio Alinari o con le molte migliaia dell’Archivio Storico fotografico di Milano conservato al Castello Sforzesco. Così, all’interno del territorio della Brianza, costellato di “Luoghi della memoria” (piccoli Musei, archivi, Fondazioni ed enti culturali), che documentano per settori soprattutto la cultura produttiva, una delle azioni avviate dalla Fondazione dell’Ordine di Monza e Brianza è stata quella di sostenere il rinnovato interesse nei riguardi di una disciplina che, quanto meno nel nostro territorio, non vorrebbe essere appannaggio dei solo esperti. Molte delle iniziative promosse sono state rivolte all’organizzazione di “eventi” attraverso i quali divulgare l’architettura con un linguaggio che potesse raggiungere non solo gli operatori del settore, ma anche il più vasto pubblico, un pubblico non preparato (studenti, operatori di settore, cittadini, amministratori), perché l’architettura, come le altre manifesta-
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Jonathan Weatherill, Parrocchia San Giovanni Battista, Desio, progetto di Roberto Gabetti e Aimaro Isola,(Concorso Fotografico 2008, vincitore sezione B).
zioni della cultura, potesse essere riconosciuta, divulgata e discussa da tutti. Sappiamo che l’architettura, ovviamente, comunica se stessa ma, a volte, ha bisogno di essere decodificata e spiegata, o perlomeno interrogata. Con la prima edizione del Concorso fotografico la Fondazione ha voluto rispondere a queste due assenze: da una parte costituire un “luogo della memoria”, un archivio del contemporaneo dedicato alle immagini delle architetture esistenti nel territorio, dall’altra comunicare l’architettura documentando alcune opere selezionate per la prossima Guida dell’architettura contemporanea della provincia di Monza e Brianza. Con questo atto la Fondazione ha dunque avviato la costituzione di un archivio digitale, riconoscendo l’importanza della fotografia come fonte per la documentazione dell’architettura e del territorio, come strumento di informazione e valorizzazione, come forma di espressione percorsa da molti architetti e anche come mezzo per l’educazione. F. Repishti
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Pavia a cura di Vittorio Prina
Luca Bossaglia, artista In questo numero presentiamo un frammento dell’opera fotografica di Luca Bossaglia, musicista, fotografo, scultore e “artista” nell’accezione più estesa del termine. Luca Bossaglia, nato a Milano nel 1951, abita e lavora a Pavia. Il suo debutto artistico inizia con la musica: ha suonato la chitarra, il basso, il flauto traverso e le tastiere con importanti cantanti, musicisti e jazzisti italiani, e ha composto colonne sonore per documentari della RAI; l’attività musicale che è proseguita anche attualmente. La seconda tappa è la fotografia, in particolare la fotografia creativa, mezzo attraverso il quale, egli affina lo spirito di osservazione e la sensibilità nel cogliere particolari e momenti magici delle cose. Professionalmente si specializza nella riproduzione dell’oggetto d’arte (pittura, scultura, architettura) collaborando con importanti case editrici alla realizzazione di quaranta pubblicazioni. Ha partecipato a numerose mostre fotografiche personali in Italia e all’estero. La commissione di fotografie pubblicitarie, eseguite per la fornace Venini dal 1984 al 1987, è l’avvio del suo profondo amore per il vetro di Murano, che lo porta ad approfondirne caratteristiche e tecniche. Ha illustrato numerosi libri sui vetri. Il 1990 è l’anno di nascita della sua prima scultura. Da allora ha tenuto una trentina di mostre tra personali e collettive, in Italia e all’estero. Racconta Luca Bossaglia: “la mia è una scultura di tipo simbolista, utilizzo, cioè dei simboli per esprimere concetti relativi alle problematiche esistenziali dell’uomo. Utilizzo differenti materiali quali rame, ottone, pietre, legno, vetro (adottando la tecnica muranese della lavorazione ‘al lume’). I lavori degli ultimi anni sono sculture a forma di albero di grandi dimensioni che rappresentano gli alberi della vita: “L’albero della conoscenza”, “L’albero della memoria”, “Il vento del nord”, “L’albero dell’alfa e dell’omega”, ecc. La mia casa-museo, che contiene 190 opere è stata inserita negli itinerari del FAI, Fondo Italiano per l’Ambiente, dal 2008”. Un breve testo di Rossana Bossaglia accenna a una piccola parte dell’opera fotografica del nipote Luca. V. P.
Luca Bossaglia fotografo La fotografia è una interpretazione della realtà. La scelta dell’inquadratura, della composizione, della luce, della situazione atmosferica, unita alla sensibilità e alla cultura del fotografo, rendono ogni “scatto” un unicuum irripetibile. Tutto questo assume una maggior rilevanza quando
il soggetto che si fotografa è un’architettura, una scultura, un’opera dell’ingegno umano, con una connotazione stilistica, storica, culturale e sociale che deve essere rispettata. Dal 1978 Luca Bossaglia, come fotografo, si è orientato su lavori monotematici sia in studio (riproduzione dell’oggetto d’arte, pittura, scultura, ritratto, figura, still-life, fotografia creativa) sia all’aperto, interessandosi specialmente a cogliere paesaggi e vedute in particolari condizioni atmosferiche e ad individuare, soprattutto in ambito architettonico, soggetti di fisionomia omogenea, conducendo, pertanto, ricerche su speciali manufatti di archeologia industriale (vecchi mulini ad acqua, cascine, stazioni), su palazzi di coerente fisionomia stilistica, su quartieri storicamente caratterizzati, ecc. Ha collaborato a varie pubblicazioni e ha esposto in parecchie mostre fotografiche in Italia e all’estero. La prima, nel 1983, “Cancelli a Pavia”, raccoglie cento immagini di cancelli dal 1621 agli anni ‘30: una carrellata che consentiva di leggere lo sviluppo delle forme e la trasformazione dei metodi di lavorazione del ferro e del legno nel corso degli ultimi secoli. Sempre nel 1983 “Notturni a Pavia”, una serie di fotografie che raccontano le nebbie, i silenzi e il fascino delle notti pavesi, dove la figura umana è del tutto assente e l’unica vera protagonista è la città coi suoi scorci, i suoi monumenti, i suoi palazzi. Il 1984 è l’anno de “La via del pane”. L’indagine su manufatti del passato, costruzioni e macchine andate in disuso, è di per sé emozionante perché consente di tenere strette le fila della continuità delle generazioni nel trascorrere del tempo. Con l’occhio attento e preciso del fotografo e la sensibilità commossa del conoscitore della propria terra, Luca Bossaglia ha restituito con le immagini di vecchie cascine, mulini e forni, alcune tappe emblematiche dell’antica vicenda della fabbricazione del pane. Ha scelto luoghi e oggetti della civiltà agricola di Pavia e della campagna pavese, fra i più e i meno noti, indugiando non su spettacolari effetti ma sull’analisi amorosa e tagliente dei particolari. Nel 1985, nell’ambito del Convegno Internazionale di Studi sul Neogotico in Europa nel XIX e XX secolo, presenta la mostra “Emergenze neogotiche a Pavia e nel suo territorio”. Nel 1986 è la volta de “La cascina come struttura sociale e economica nelle campagne della Bassa Lombardia”. Dal 1986 Luca Bossaglia si dedica maggiormente alla fotografia creativa e interpretativa utilizzando oggetti, o parvenze dei medesimi, per costruire delle situazioni fantastiche o metafisiche che puntano sia sulla sublimazione del reale, sia sullo spiazzamento delle situazioni. Questo gli vale il riconoscimento nel 1993 de “Il Diaframma Kodak Cultura” di Milano con una mostra personale intitolata “Fotografare l’idea”. Rossana Bossaglia
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Luca Bossaglia, La via del pane, Cascina della Scala, localitĂ Mirabello (Pv): dal tetto della casa padronale.
Luca Bossaglia, La via del pane, Molino del Cassinino, localitĂ Cassinino (Pv): ruote e chiuse.
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Varese a cura di Enrico Berté e Claudio Castiglioni
La fotografia di paesaggio come strumento. L’immagine di una provincia “La realtà fotografata è più nobile della realtà fisica, certamente più bella, la macchina vede di più e meglio dell’occhio” (Roberta Valtorta, Il pensiero dei fotografi, Milano, 2008). La fotografia quando è un atto cosciente, ovvero, quando chi scatta ne possiede il linguaggio, ha il potere attraverso il ritaglio dell’inquadratura, attraverso la selezione di una porzione di spazio, di rivelarlo, di rivelare la realtà che altrimenti la percezione fisica, non compiendo alcuna selezione, non restituisce. Per chi opera sul territorio, sull’architettura, è uno strumento per conoscere la realtà spesse volte studiata solo sulle carte. La fotografia, azione cosciente, quindi, non è solo esercizio estetico e tecnico, ma anche documento di come si stia trasformando il paesaggio. Pensando alla fotografia dedicata alla nostra provincia, vengono alla mente le pubblicazioni dedicate ai luoghi e alle architetture storiche celebri e celebrate: al Sacro Monte, ai laghi, all’architettura romanica, all’architettura Liberty, ecc. Fotografia di monumenti decontestualizzati, estrapolati dal contesto contemporaneo ed immersi in una atmosfera da Gran Tour, fotografie molte volte corrette, belle. Ma se la fotografia deve raccontare la complessità del paesaggio oggi, e fare prendere coscienza del paesaggio contemporaneo, essere strumento per chi opera su di esso, l’iconografia che si ha non è utile, non è sufficiente, poiché restituisce una rappresentazione parziale non esaustiva della complessità del nostro territorio, prodotto di sovrapposizione di sistemi differenti (sistema viabilità, sistema produttivo, sistema religioso, sistema inseditivo, ecc.) nella stratificazione temporale. Il paesaggio muta e come tale deve essere rappresentato. Tenendo presente queste considerazioni, che seguono il solco già tracciato nella storia della fotografia di paesaggio, si è affrontata la campagna fotografica “Viabilità e Monumento” che si poneva come conclusione ad uno studio metodologico e storico sulla struttura della nostra provincia, dando un’immagine contemporanea ai monumenti (nell’accezione etimologica di memoria); l’occasione delle rappresentazioni di beni architettonici (beni intesi come manifestazioni rilevanti dei vari contesti storici-ambientali) è diventata l’occasione per rappresentare, attraverso uno sguardo più ampio, contestualizzante, lo stato dell’arte di una porzione temporale (lo studio e la catalogazione che ha dato origine alla campagna foto-
grafica volontariamente si fermava agli inizi del XX secolo) del nostro territorio. Si può continuare, soprattutto ora. Alla luce anche delle intenzioni che hanno portato al superamento del PRG per il PGT e quindi all’adozione di uno strumento contenente morfologici e non solo parametrici, le campagne fotografiche mi auspico che siano adottate per restituire e completare l’immagine attuale del territorio, essere strumento di documentazione e di progettazione, incrociando anche sguardi differenti ma consapevoli del linguaggio fotografico e del soggetto architettonico-paesaggistico. Marco Introini
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Fotografie di Marco Introini tratte da ViabilitĂ e Monumento, 2001.
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Guido Guidi sul campo “Nell’ultimo quarto di secolo il salto tecnologico verificatosi nella strumentazione di rilevamento, dall’impiego del satellite all’elaborazione digitale dei dati, ha permesso di reperire una tale quantità di informazioni sul territorio da poter avviare indagini quantitative e qualitative sull’ambiente senza precedenti. Ma la rappresentazione oggettiva di tali dati, per quanto precisa, non permette di restituire l’intera realtà (...). A torto o a ragione si è ritenuto che uno stru-
mento anacronistico come la fotografia permettesse la lettura e l’interpretazione di tali segni, l’organizzazione di uno sguardo consapevole sulla realtà, costituendo un potente mezzo della sua trasformazione grazie alla possibilità di agire in modo diretto sulla cultura del progetto. Liberata dall’esigenza di restituire una presunta oggettività, la tecnica fotografica si è perfezionata e arricchita di nuove esperienze e metodologie; aderente al sistema dell’immagine e dei
mass media, è in grado di contribuire alla costruzione estetica del paesaggio contemporaneo”. È questa la presentazione del workshop che ACMA - Centro di Architettura di Milano (tel. 02 70639293 - www.acmaweb. com) propone per i giorni 23-27 maggio p.v. Il workshop prevede due esercitazioni: la prima di lettura di alcuni testi visivi, esemplificativi delle modalità e delle potenzialità della fotografia contemporanea, e la seconda sul luogo.
Il workshop si configura come un corso intensivo di perfezionamento e aggiornamento rivolto a diplomati nelle discipline tecnico-scientifiche legate alla gestione del territorio e nelle discipline di arti visive e fa parte del Master in Architettura del Paesaggio e Formazione Permanente, organizzato in collaborazione tra l’ACMA stessa e la Universidad Politécnica di Barcelona. Roberto Gamba
Fotografia in Italia Il rapporto fra fotografia e architettura è il tema di tre mostre appena inaugurate, e una terza di prossima apertura. A Padova, il 3 aprile, si è aperta la terza edizione di “Padova Aprile fotografia 09”. Giunta alla sua 5° edizione la rassegna internazionale di quest’anno è intitolata”Forme dell’Identità”. Organizzata dall’Assessorato
alle Politiche Culturali e Spettacolo – Centro Nazionale di Fotografia del Comune di Padova, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, e curata da Enrico Gusella e Alessandra De Lucia, la manifestazione si articola in un percorso distinto in tre esposizioni: una collettiva dal titolo “10 Fotografi d’oro” e due personali.
La collettiva, curata da Enrico Gusella e Italo Zannier, presso la Galleria Civica Cavour e presso il Museo Diocesano, raccoglie una selezione del lavoro di Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Luca Campigotto, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Mario De Biasi, Franco Fontana, Guido Guidi, Mimmo Jodice, Fulvio Roiter, Marco Zanta. Si tratta di un centinaio di opere in cui i fotografi coinvolti indagano, ognuno a proprio modo, il concetto di identità. Una personale di Gabriele Basilico è in corso (3 aprile-12 giugno) presso la A.A.M. Architettura Arte Moderna di Roma. Curata da Francesco Moschini, con il coordinamento di Valentina Ricciuti e Gabriel Vaduva la mostra, “Ritratti di Architettura. La bella architettura tra attonite sospensioni e stupite fissità”, è dedicata all’evoluzione dell’itinerario poetico di Gabriele Basilico, e in particolare al suo modo di rileggere le architetture dei grandi maestri. A Genova l’Ordine degli Architetti ha promosso una mostra fotografica curata da Roberto Mutti e Ibleto Fieschi. L’esposizione, intitolata “La visione dello spazio”, si è tenuta dal 2 al 13 aprile presso il Palazzo della Borsa e ha visto esposte le opere di importanti fotografi nazionali ed internazionali. La mostra nasce dalla volontà di accostare artisti differenti che si sono misurati con il tema dell’architettura. Accanto alle immagini di autori classici quali Gabriele Basilico e John Davies, compaiono quelle di: Margherita Spiluttini, fotografa austriaca che presenta una ricerca sul rapporto fra elementi architettonici e paesaggio naturale, Stefania Beretta e Andrea Garuti che si sono misurati con il tema della città. Il bielorusso Vladimir Sutiaghin ha evocato il passato della sua terra. Su fronti opposti le ricerche di Maurizio Galimberti, che interpreta le architetture in un gioco di composizioni e scomposizioni di piani, Franco Donaggio, che inventa un tessuto urbano surreale e Occhiomagico, che evoca atmosfere visionarie nel confronto di realtà e finzione. Si aprirà, invece, il prossimo 17 maggio, presso la Galleria Civica di Modena, la mostra, monografica, “Olivo Barbieri. Site
Specific_Modena 08”. L’esposizione, curata da Angela Vettese, presenta 30 dittici fotografici e due video. Organizzata e prodotta dalla Galleria Civica di Modena e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, promossa dagli Assessorati alle Politiche Economiche e alla Cultura del Comune di Modena, la mostra costituisce una nuova tappa del progetto ”site specific_”, iniziato da Olivo Barbieri nel 2004. Il progetto consiste in una serie di fotografie di grande formato riprese da un elicottero e di alcuni video in HD e film in 35 millimetri. Le immagini sono realizzate con la tecnica della messa a fuoco selettiva, tipica dell’artista, che restituisce una visione inedita dei luoghi che appaiono come modelli in scala. La città è presentata in una veste nuova, come un luogo dove il tessuto urbano originale, la sua struttura e architettura, assumono la forma di una installazione. Martina Landsberger
Gabriele Basilico, 1980-82: Aldo Andreani, Palazzo Fidia, Milano, 1929-32 stampa ai sali d’argento su carta baritata, (VINTAGE PRINT), 22 x 36 cm copyright Gabriele Basilico courtesy Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva - A.A.M. Architettura Arte Moderna.
Il futuro di Milano: cronaca di un convegno crescita “omogenea” dell’edilizia urbana, e ha auspicato l’abbandono di proposte dettate dallo sterile strumento dell’“indice”, in favore dell’attuazione di progetti elaborati per precise occasioni urbane. Dopo aver dichiarato che ormai Milano è giunta al “collasso”, Masseroli ha invitato i docenti e gli studenti della facoltà a collaborare alla definizione di una comune strategia progettuale. La proposta non ha trovato impreparati nè il preside della facoltà, Angelo Torricelli, nè Antonio Monestiroli che hanno prontamente accettato la sfida dichiarandosi disponibili ad assumersi tale responsabilità, e che hanno accolto con soddisfazione la prospettiva di una collaborazione effettiva tra università e amministrazione. Sono seguiti gli affascinanti interventi del fotografo Giovanni Chiaramonte, dello scrittore Luca Doninelli e del filosofo Matteo Vegetti, i quali hanno esaminato alcuni aspetti peculiari di Milano. In particolare Vegetti ha individuato nella mancanza di spazi pubblici una causa della disfunzione sociale di Milano. Pier Paolo Tamburelli dello studio d’architettura Baukuh ha invece illustrato un progetto basato su un’ipotesi di social housing per la zona ovest della città. Sebbene durante il convegno sia stato espresso più volte il disagio nel comprendere la “realtà” di Milano, una preoccupazione ben argomentata da Alberto Ferlenga, rimane la concretezza dell’invito rivolto agli studenti a proporre ipotesi per il futuro di Milano, l’aspetto che ha costituito il risultato più incoraggiante del convegno. Silvia Micheli
Nuovi itinerari di architettura milanese L’Ordine degli Architetti e PPC di Milano, in collaborazione con la Triennale, promuove anche quest’anno l’evento “Itinerari di Architettura Milanese”. In occasione della Festa dell’Architettura, sabato 6 e 13 giugno
2009, sarà possibile partecipare a visite guidate di gruppo, per conoscere e scoprire, ma anche per riscoprire, l’architettura moderna che ha contribuito alla crescita urbanistica e culturale del capoluogo e dei suoi citta-
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dini. Programmati da un Comitato scientifico e coordinati da professionisti, gli Itinerari proseguono con continuità dal 2004. Le passate edizioni sono state raccolte in un progetto disponibile sul sito della Fondazione (www.fondazione.ordinearchitetti.mi.it), con lo scopo di costituire un database del patrimonio architettonico milanese, che andrà completandosi con i percorsi futuri. Le visite e gli approfondimenti sono organizzati secondo cinque aree tematiche: Figure: ritratti del professionismo milanese, in cui si tratterà di alcune opere di maestri Viganò e Magistretti; Tecniche: tecnologia del progetto, in cui sarà possibile osservare i casi milanesi di architettura sostenibile; Tipi: forma, figura e funzione dell’archi-
tettura, durante il quale saranno presentate alcune delle principali università di Milano; Temi: percorsi tematici attraverso la città, in cui si visiteranno i depuratori di Milano e si affronterà la questione dell’architettura vista dai più piccoli, attraverso alcune realizzazioni di Gio Ponti; Ambiti: la città per parti, che permetterà di scoprire gli scorci di alcune province, attraverso il caso di Bollate e Baranzate. Questi i titoli: “Vittoriano Viganò” e “Ludovico Magistretti”; “La città sostenibile: i casi milanesi”; “Le università milanesi”; “L’architettura vista dai più piccoli: il caso di Gio Ponti” e “I depuratori di Milano”; “Architetture d’autore in Provincia: il caso di Bollate e Baranzate”. Annalisa Bergo
Prove tecniche di valutazione dei PGT La Fondazione dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Monza e Brianza e la Consulta Regionale Lombarda degli Architetti PPC promuovono un calendario di incontri pubblici per la valutazione dei Piani di Governo del Territorio introdotti dalla Legge Regionale n. 12/05: un percorso itinerante sul territorio della Provincia, articolato in diversi appuntamenti. Questi si terranno presso i Comuni che si saranno dotati del nuovo strumento di pianificazione territoriale. L’iniziativa si colloca nell’ambito della collaborazione, tra la Regione Lombardia, la Consulta Regio-
nale Lombarda e gli Ordini Territoriali, ed è finalizzata a raccogliere e mettere a confronto le varie esperienze applicative della Legge Urbanistica Regionale n.12 con particolare riferimento ai PGT. Il primo Convegno dell’iniziativa è stato quello sul PGT di Burago di Molgora, tenutosi il 25 marzo presso la Sala Consigliare del Comune di Burago Molgora; relatori: alcuni estensori del PGT, l’arch. Carlo Lanza, il dott. Mauro Cavicchini e l’avv. Guido A. Indaghi, il responsabile dell’U.T. di Burago geom. Fabrizio Gherardi e il Sindaco sig. Giorgio Giovanni Stringhini.
OSSERVATORIO ARGOMENTI
La centralità che Milano sta acquisendo rispetto al tema dello sviluppo urbano è dimostrata anche dall’aumento delle iniziative volte alla sua comprensione e alla sua lettura. Una tra queste merita particolare attenzione, ossia il convegno “Per quale Milano” promosso dalla Presidenza della Facoltà di Architettura civile del Politecnico di Milano in collaborazione con le associazioni culturali Gizmo e Wiligelmo, che si è tenuto mercoledì 11 marzo presso la medesima facoltà. Nell’organizzare l’iniziativa, Marco Biraghi e il giovane Lorenzo Margiotta sono stati animati dal desiderio di innescare un dibattito a più voci, eterogenee per età e àmbito disciplinare, riguardo alle possibili ipotesi di crescita urbana per Milano. Il convegno si è aperto con l’incisiva introduzione di Biraghi sulla necessità di immaginare il “futuro” della città per promuoverne lo sviluppo, avvertendo i relatori e il pubblico di non limitarsi alla comprensione della “presente” situazione urbana. In tal senso il futuro non si pone come meta lontana nel tempo, di vago gusto fantascientifico, ma al contrario come una reale soglia a cui tendere per attuare una strategia di pianificazione della città. L’invito è stato accolto con entusiasmo dall’assessore allo Sviluppo del Territorio del Comune di Milano Carlo Masseroli, il quale si è dichiarato profondamente interessato alla possibilità di formulare “un pensiero” progettuale per Milano. Dopo aver lamentato alcune difficoltà nella gestione di problematiche legislative ed economiche, Masseroli ha dichiarato di voler affrontare la “questione milanese” proprio attraverso l’azione progettuale, per combattere la
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Conversazione con Cesare Colombo Qual è il rapporto che si instaura fra architetto e fotografo, e fra architetto e fotografia dell’architettura? Quale sensibilità può trasmettere il fotografo nell’osservazione dell’opera di architettura rispetto all’interpretazione degli spazi e delle linee che invece è più propria dell’occhio del progettista? L’autonomia creativa del fotografo nei confronti dell’oggetto architettonico e del progettista ha subìto molti cambiamenti nel tempo. Ai tempi dei Fratelli Alinari la scoperta della realtà monumentale italiana dell’Ottocento attraverso la visione fotografica veniva filtrata da criteri basilari che non ammettevano repliche, sulla base dei quali gli stessi fratelli si imponevano con alcune regole quali: la buona illuminazione, l’evitare il controluce e il sole di mezzogiorno (che determina ombra verticale), la ripresa ad altezza tale da non dover raddrizzare le linee prospettiche dell’edificio, l’obbligatoria inquadratura di fronte, di profilo, di tre quarti, dictat tutti che condizionavano la creatività dell’occhio del fotografo nella trasmissione dell’immagine. Lontano dallo spirito documentaristico o di propaganda a fini turistici che animava l’epoca degli Alinari, la richiesta di fotografie d’architettura da parte di architetti o proprietari delle opere, conferì successivamente ai fotografi il ruolo di esecutori tecnici di un’immagine il cui profilo però veniva suggerito o imposto dalla committenza. Dal secondo dopoguerra, ad esempio nel sodalizio fra Ponti e Giorgio Casali, l’architetto creò un rapporto più prolifico con la creatività e il punto di vista del fotografo: è dagli anni ‘60 che l’architetto delega al fotografo la più corretta ripresa del manufatto, dopo aver lavorato insieme sulla definizione delle particolarità dell’opera da mettere in evidenza. Sempre tipica degli anni ’60 è anche la tendenza delle riviste di architettura a creare immagini attraverso i propri strumenti interpretativi: l’autonomia redazionale di riviste come “Domus”,
“Abitare”, “l’Architettura”, permetteva loro una giusta libertà di ricerca della visione dell’opera più corretta per l’utente. Quanto detto è esemplificativo del travagliato cammino dell’autonomia del fotografo-autore, che si sviluppa in parallelo al progettista, che espone e richiede la propria interpretazione dell’opera e dei suoi più singolari e importanti punti focali, pur avendo, evidentemente, un’osservazione predeterminata dalla bidimensionalità del progetto su carta, in qualche modo contraddistinto da una visione ortogonale che porta in secondo piano la collocazione dell’opera architettonica nello spazio circostante. Come interpreta il progressivo sviluppo della rappresentazione “renderizzata” dell’architettura in contrapposizione all’inquadramento della sua realtà materiale attraverso lo strumento fotografico? È necessario ammettere, nell’analisi di questo àmbito, che c’è contraddizione fra la visione del fotografo, che in modo oggettivo e fisiologico coglie una prospettiva che, seppur mediata dalla macchina fotografica, rimane comunque ancorata alla realtà fisica, e i progettisti che, idealizzando e astraendo, vorrebbero ottenere un’immagine ottica finale e sintetizzata che possa rappresentare l’iter progettuale, trasposizione automatica della realtà in un’immagine virtuale dell’architettura. Questo significa che la visione che l’architetto ha del progetto finito coincide in modo un po’ illusorio con quello che è stato reso in modo tridimensionale attraverso il computer. Per questo forse oggi si assiste a una tendenza che allinea il progetto di architettura e addirittura l’opera finita al rendering, saltando o anticipandone la fotografia finale. Questo può essere dovuto a diversi fattori, fra i quali la finalità commerciale, che per anticipare sul mercato l’uscita del prodotto deve presentare l’immagine del manufatto prima che esso sia stato matericamente realizzato. Ma l’anticipazione, negli ultimi anni, si è verificata anche nel dato concettuale. Questo perché coi rendering vengono presentate falsificazioni, compene-
trazioni di piani e trasparenze che nella realtà non potrebbero aver luogo: è una realtà che imita, ma anche inventa aspetti del reale, dà una presunta esattezza ottica paragonabile all’immagine fotografica, ma poi aggiunge o omette alcuni dati che non sono propri della fotografia. Da ciò consegue un’altra problematica: in futuro forse l’immagine fotografica diverrà sempre meno utile, perché dell’architettura finita saranno già stati pubblicati rendering 3D prima che essa abbia potuto raccontare se stessa e il suo spazio circostante in una dimensione abitata e vissuta. Sono invece sempre stato un sostenitore, fin dagli anni ‘70, con “Abitare”, dell’idea che lo spazio, interno ed esterno, andasse fotografato in compagnia dei suoi protagonisti e della vita del suo arredamento. Questa ricerca è ora del tutto scomparsa, a causa del fatto che spesso il progettista immagina uno spazio che prescinde dal carattere proprio del futuro fruitore, e nella sua rappresentazione egli preferisce quindi mostrarlo vuoto, semmai definito da residui di cantiere, per desiderio e orgoglio di trasmettere un immaginario il più possibile vicino al progetto e non al suo utilizzo reale. Dato ambiguo, ma positivo, che è reso possibile dall’immagine fotografica digitale è invece il fatto che il fotoritocco a computer permette di intervenire misuratamente sugli elementi dissonanti del contesto reale, senza tuttavia falsare l’immagine ottica di partenza. Tale azione, lontano dallo svilire e prostituire l’architettura come invece fa il rendering digitale, permette di avvicinarsi all’idea originale del progetto eliminando elementi che non gli appartengono senza porsi in una dimensione contestuale irreale: ecco quindi il ritocco digitale eliminare elementi urbani tecnologici quali cavi e lampioni, o al contrario valorizzare filari di alberi che nell’immagine renderizzata non potrebbero mai conferire allo spazio ambientale la stessa forza dell’esistente. Spesso nelle foto di alcuni architetti, fra cui Giuseppe Pagano e Aldo Rossi, è stata identificata la volontà di focalizzare il dettaglio del manu-
fatto in una sorta di ricerca bulimica della completezza esperienziale dello stesso. Come Pagano, anche altri architetti fotografi possedevano e utilizzavano un apparecchio che non permetteva lo sfruttamento massimo della prospettiva: le loro macchine fotografiche non avevano obiettivi grandangolari come quelli dei fotografi di architettura. Di conseguenza quello che loro guardavano implicava un sezionamento dell’immagine determinato non dall’obiettivo ma dall’angolo di campo ripreso: la loro posizione di ricerca con lo strumento ottico li metteva in una logica differente, quella dell’esplorazione del dettaglio, avulsa dal progetto, ma garante di una diversa interpretazione del manufatto. Capisco quindi il loro compiacimento: atto di scoperta ottica degli architetti con la macchina fotografica, sorta di appunti accessori nella visione dell’opera, testimonianze del loro vissuto nello spazio da essi stessi progettato, alla scoperta di altre cose, luci e ombre, in un percorso quasi cinematografico. Il suo rapporto con la fotografia dell’architettura? Nella mia vita ho lavorato per riviste di architettura più che per architetti. Per le riviste ho dedicato la mia attenzione alle architetture di Canali e all’architettura di interni: ambienti storici ristrutturati, ambienti di nuova concezione, risalenti soprattutto agli anni ‘70‘80.
Intervista a cura di Ilaria Nava
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Erano ambienti interni del quartiere Gallaratese, alloggi nelle architetture di Giacomo Scarpini, in cui veniva messo in evidenza il modello minimalistico dell’arredo del razionalismo povero. Da Gabriele Basilico in poi, con Piero Pozzi, o Matteo Piazza, si sono sviluppate molte figure di fotografi la cui sensibilità è radicata nella loro formazione architettonica. Sarebbe auspicabile, nel futuro, avere sempre più architetti esperti anche nell’uso dello strumento fotografico, sfruttando per altro il fatto che l’uso della fotografia digitale permette una revisione in post-produzione che amplia l’orizzonte dei progettisti che si considerano anche fotografiautori.
a cura di Sonia Milone
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Leonardo e Vigevano Le acque ducali, la villa Sforzesca, il Ticino Vigevano, Castello di Vigevano 4 aprile – 30 giugno 2009
Nella straordinaria cornice del complesso monumentale di Vigevano, a partire dalla primavera 2009, si succederanno una serie di avvenimenti culturali nel segno di Leonardo volti a testimoniare la sua presenza attiva su questo territorio, fortemente segnato dalla presenza del Ticino che – nella sua discesa dai monti del lago Maggiore alle pianure della Lomellina e della Bassa Milanese – restituisce la complessità della storia e la geografia di un paesaggio profondamente caratterizzato dalle opere dell’uomo. Leonardo sosteneva che “l’acqua è per il mondo ciò che il sangue è per i nostri corpi”. Attraverso documenti e ricostruzioni interattive questa mostra, allestita presso le rinascimentali Scuderie del Castello, mette in luce la “risorsa acqua” come naturale elemento costitutivo, ripercorrendo i lavori di ingegneria idraulica condotti dagli Sforza nella Valle del Ticino, e dimostrando come questo paesaggio agrario, non sia altro che il risultato di un ampio disegno pianificatorio che, sulle fonti idriche disponibili, innesta una rete di irrigazione artificiale interconessa necessaria ad apportare l’acqua alle terre. Leonardo – da sempre interessato alle cadute d’acqua, stu-
diate come fonti di energia utili per azionare sofisticati congegni meccanici – trasforma il territorio in una complessa macchina a grande scala perfettamente funzionante, garantendo l’approvvigionamento idrico anche a quei terreni vicini ai corsi ma ad una quota troppo elevata per poterne usufruire naturalmente, convertendo così l’ambiente naturale in un efficiente sistema produttivo, suggellato dalla costruzione della quattrocentesca Villa Sforzesca – microcosmo in cui la produttività si sostituisce all’ozio tipico delle allora ville di campagna della nobiltà. Ne emerge il carattere di una terra modellata dall’acqua, un ambiente straordinario per la flora, la fauna, i percorsi naturalistici tra i mulini ancora presenti – adattati ad un congegno meccanico che convive con i fenomeni dell’erosione degli argini e il trasporto dei materiali inerti del fiume, che alterano continuamente il disegno delle sue rive – a testimoniare la crescita di un territorio abilmente progettato e che ancora oggi risente della colossale pianificazione dei “gromatici” romani e degli illuminati del Rinascimento lombardo, cui si deve l’evoluzione stessa della città di Vigevano da “guado” a vero e proprio “porto” nel territorio. Sara Biffi
Isgrò, vocazione poetica Emilio Isgrò. Fratelli d’Italia Milano, Galleria Gruppo Credito Valtellinese 20 marzo – 13 giugno 2009 Siciliano, classe 1937, Emilio Isgrò è un personaggio che sfugge a qualsiasi tentativo di classificazione. Esordisce come poeta, lavora come giornalista, si interessa all’arte, al cinema e alla musica, partecipa attivamente alla vita culturale milanese della fine degli anni ’50 e poi a quella veneziana negli anni ’60, per divenire, di nuovo a Milano negli anni ’70, artista visivo e romanziere, drammaturgo ma anche critico e teorico. Nel complesso e contraddittorio quadro della cultura del tempo, Isgrò
è un intellettuale colto e attento, osservatore sempre vigile, censore implacabile, protagonista reattivo ai più diversi stimoli della cultura e della società, testimone di una lunga stagione, oltre mezzo secolo, che lo vede al fianco di grandi personaggi, ma sempre solo in prima linea, impegnato nella lotta contro i luoghi comuni e l’assopirsi della coscienza, a “cancellare” i confini della poesia e dell’arte. La “cancellazione” rappresenta senza dubbio – pur non esaurendone la ricchezza – la cifra artistica di Isgrò e il filo rosso che tiene insieme questa esposizione (prodotta e organizzata dalla Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, a cura di M. Meneguzzo), che presenta tre installazioni: una, “Fratelli d’Italia”, che dà il titolo alla mostra, assolutamente inedita, pensata e realizzata per l’occasione, e altre due, di grandi dimensioni e di grande impatto, “L’avventurosa vita di Emilio Isgrò” (1971) e l’“Ora italiana” (1983), che descrivono, insieme a una selezione di 70 opere, i momenti salienti del percorso intellettuale di Isgrò dagli esordi alla contemporaneità. Problematiche come il significato della scrittura, della sua esistenza e delle sue possibilità comunicative e poetiche, fino all’esaltazione del segno scritto come elemento visivo e alla sua trasformazione in segno artistico (dal testo, alla parola, fino alla sola lettera), vengono costruite visivamente da Isgrò attraverso le opere, ma affrontate anche analiticamente, passando per la teoria. Dal primo testo “Dichiarazione 1” (1966), ai successivi “Per una teoria del romanzo elementare” (1968), e “Teoria della Cancellatura” (1988), è Isgrò stesso a dare della poesia e del-
la sua opera l’unica definizione possibile di “arte generale del segno”: “un’arte in cui la parola, ormai sfiancata dalla comunicazione verbale secolare, si unisce all’immagine per creare nuove metafore”. Silvia Malcovati
Le arti e la Guerra Fredda La Guerra Fredda. Arte e design in un mondo diviso 1945-1970 Rovereto, MART 28 marzo – 26 luglio 2009 La maquette della Lever House (New York, 1950-52) si fronteggia con il disegno del progetto, non realizzato, di Chechulin del Grattacielo a otto livelli (Mosca, 1957-49). Già dalla prima sala spunta il duello tra le arti che è la matrice dell’allestimento della mostra “La Guerra Fredda”, a cura di Jane Pavitt e David Crowley e prodotta dal Victoria & Albert Museum di Londra in collaborazione con il Mart. Si tratta della prima esposizione che documenta il clima di un periodo importante per la storia recente attraverso il confronto tra l’architettura, il design, il cinema e le arti visive dei Paesi dei due blocchi del “mondo diviso”, guidati da USA ed URSS. Le opere raccontano la modernità all’epoca della Guerra Fredda, così la ricostruzione delle città europee passa attraverso le visioni architettoniche che si fronteggiavano a Berlino (la “Stalinallee” ad est e, ad ovest, i programmi edilizi di “Interbau”), mentre le ripercussioni dell’angoscia nucleare sull’arte e il design culminano con la “Cupola so-
Matteo M. Sangalli
Ponti e l’Art Déco Gio Ponti in casa Palladio Fratta Polesine (Ro), Villa Badoer 21 febbraio – 28 giugno 2009 In occasione della mostra Déco. Arte in Italia 1919-1939 orga-
nizzata fino al 28 giugno presso Palazzo Roverella a Rovigo, è stata allestita nella palladiana Villa Badoer un’importante sezione dedicata a Gio Ponti, che ripercorre la sua intensa attività di designer che trova, appunto, il massimo sviluppo nel periodo storico del Déco. La qualità e la quantità delle opere esposte sull’Art Déco non lascia dubbi. Grande mostra. Ricco il catalogo, redatto in modo completo e chiaro. Motivato con profondità il palinsesto culturale dell’evento. La modernità, la macchina, la certezza del futuro, l’ottimismo della volontà, una nuova laicità latente; l’emancipazione della donna, le tematiche orientali, la moda. Martini, Balla, Casorati, Zecchin, Geranzani, Campigli, Balla, Depero traggono da questi elementi spunto per le loro opere. Ma Ponti ci dà qualcosa in più, ci presenta la bellezza certa del passato, la positività del presente ed innesca, con le sue ceramiche il processo di sintesi che di lì a poco gli riconosceremo nella realizzazione delle sue prime ville; i disegni ricordano i bianchi e gli ori di J.M. Olbrich e l’eleganza di O. Wagner. I motivi classici si alternano a fi-
Tutte le muse danzano nello Spazio Tadini Pittura e scultura, ma non solo: musica, danza, teatro, poesia, ecc. Con un evento diverso ogni sera, qui tutte le arti hanno pari importanza, configurando uno spazio veramente dinamico, un territorio ibrido e flessibile che è possibile percorrere in molteplici direzioni, secondo i propri gusti e interessi. Fondato nel 2003 da Francesco Tadini e Melina Scalise, lo Spazio Tadini propone un modo moderno di “fare galleria”, andando incontro alle esigenze del fruitore di oggi, interattivo e nomadico, abituato dai nuovi media ad attraversare molteplici campi semantici con un click. Ma del mondo internet, lo Spazio rigetta la fretta e la superficialità, per restituire all’arte una temporalità più dilatata, perché lo scopo non è quello di offrire quanti più spettacoli possibile, ma quello di creare, come dice Tadini, un “clima di solidarietà culturale”, un luogo dove artisti e pubblico possono incontrarsi e confrontarsi, offrendo una via di fuga all’isolamento individualistico che caratterizza l’attuale sistema dell’arte. L’intenzione è quella di riprendere lo spirito del bar Jamaica di Milano degli anni ’50, superando l’idea tradizionale di galleria in quanto sede dedicata esclusivamente all’esposizione di arte per trasformarla in la-
vi un più sterile e moderno intonaco. Nelle sei stanze laterali si disperdono alcune eleganti vetrine che espongono oggetti fatti dal maestro, troppo poche per disturbare la maestosità degli ambienti. Vasellame e porcellane preziosamente decorate con motivi classici e stilizzati o con figure dai colori vivi. Servizi da bagno e da studio in porcellana, qualche mobile da lui disegnato, insomma un piccolo tesoro, troppo piccolo per quell’involucro così prezioso. Peccato che il catalogo non lo riprendesse. Gian Paolo Scaratti
boratorio creativo capace di offrire, soprattutto, sperimentazioni diversificate, nate proprio dall’incrocio fra generi diversi. Lo Spazio Tadini è molto attivo anche sul versante teorico, promovendo incontri e studi dedicati all’attuale condizione dell’arte e alle sue linee di confine con altri saperi. Lo spazio nasce in un edificio degli anni Venti e si snoda su due livelli, inglobando quello che era, al piano inferiore, lo studio di Emilio Tadini e, al piano superiore, una tipografia. Di entrambi rimane suggestiva memoria nella zona dove il grande artista milanese teneva i colori e, sopra, nel grosso torchio per la stampa. Il progetto di ristrutturazione è stato curato dall’arch. Diego Majorana che, oltre ad aver sapientemente valorizzato le preesistenze, ha efficacemente tradotto in termini spaziali la vocazione della galleria a luogo ibrido, rizomatico, caldo. Così, nel grande open space illuminato da un lucernario triangolare, convivono in giocoso disordine il pianoforte per gli spettacoli, la libreria, il lungo tavolo in corian ideato da Guido Fornaro (chiamato “tatadini”), sedie d’artista, cassapanche e paraventi dipinti da Emilio con quel tocco fanciullesco che caratterizza le sue opere. Sonia Milone Spazio Tadini Milano, via Jommelli 24 www.spaziotadini.it
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pra Manhattan” di Buckminster Fuller. Il revival del modernismo nell’Europa orientale, il dialogo tra design e alta tecnologia, l’iconografia della rivoluzione nei tardi anni ’60 e la trasformazione di città e paesaggi proposta dall’architettura visionaria ci vengono narrate dalla creatività di Archigram, Superstudio e Coop Himmelblau, dalle sculture di Nuguchi, da Ray e Charles Eames, dai progetti di EXAT 51, espressione della cultura del design moderno nella Jugoslavia socialista. Le Corbusier, oltre all’architettura, ci presenta un documento raro, un alienante catalogo delle angosce generate dalla Guerra Fredda: il “Poème electronique”, video per il padiglione Philips dell’Expo ’58 di Bruxelles. Le 250 opere in mostra – dal Gruppo Dvizhenie a Infante-Arana, da Constant a Max Bill, dai palazzi a grappoli di Isozaki allo Sputnik – spiegano la frase di sfida di Nixon a Khruschev: “Non sarebbe meglio misurarsi per la qualità delle lavatrici invece che per la potenza dei missili?”. Arte e cinema sono analizzati nei termini di efficaci commenti sul mondo e sulla realtà, così il Mart non è solo un monumento per la città, ma anche una macchina espositiva che, attraverso l’arte del porgere, è in grado di far rivivere la memoria.
gure sottili dai colori sgargianti. Il pochoir. Una sezione a dir la verità poco apprezzata. Dopo Palazzo Roverella, raggiungiamo Villa Badoer, dove l’undicesima sezione è dedicata a Gio Ponti. Lo spettacolo dalla maestosità misurata nel contesto di aperta campagna, che fa da proscenio alla villa, lascia stupefatti. Il piano nobile ci appare immerso nella luce pomeridiana che illumina le pareti libere, pulite e tutte affrescate da motivi classici e di Sabbionetana memoria, martoriate dal martello iconoclasta dell’operatore igienista e dalla sua volontà di appiccicar-
a cura di Walter Fumagalli
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Le nuove norme sul Governo del Territorio Sul Bollettino Ufficiale della Regione del 13 marzo 2009 è stata pubblicata la Legge Regionale 10 marzo 2009 n. 5 (entrata in vigore il 14 maggio 2009), la quale ha aggiornato ancora una volta il testo della Legge Regionale sul Governo del Territorio n. 12 dell’11 marzo 2005, modificandone alcuni articoli ed introducendo nuove disposizioni. Ecco le principali novitĂ . Approvazione dei PGT ed efficacia dei PRG La Legge Regionale n. 12/2005, avendo istituito i Piani di Governo del Territorio come strumenti di pianificazione urbanistica generale (Articolo 6), aveva disposto che salvo alcune eccezioni i comuni avrebbero dovuto avviare il procedimento di approvazione dei PGT entro il 31 marzo 2006 (Articolo 26), e che i Piani Regolatori previgenti avrebbero conservato la loro efficacia fino al 31 marzo 2009 (Articolo 25), data dopo la quale avrebbero cessato di produrre effetti, con conseguente assoggettamento dell’intero territorio comunale ai rigorosissimi limiti volumetrici fissati dall’Articolo 9 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 per i comuni privi di strumenti urbanistici: insomma, una normativa draconiana (stile “tolleranza zeroâ€?) che nell’intenzione del legislatore avrebbe dovuto “convincereâ€? le amministrazioni comunali a rispettare la legge. Non tutte però si sono lasciate “convincereâ€? cosĂŹ facilmente, certe che nell’imminenza della sua scadenza il termine del 31 marzo 2009 sarebbe stato puntualmente prorogato, il che è puntualmente avvenuto: la Legge Regionale n. 5/2009 ha fatto slittare tale termine di un anno, per cui i vecchi Piani Regolatori continueranno a produrre effetti fino al 31 marzo 2010. Contestualmente è stato fatto slittare anche il termine per l’avvio del procedimento di approvazione dei Piani di Governo del Territorio, dal 31 marzo 2006 al 15 settembre 2009, ed è stata introdotta una nuova “minacciaâ€? per i comuni che non rispetteranno neppure la data del 15 settembre 2009: “decorso inutilmente
tale termine, la Giunta regionale, sentito il comune interessato e accertatane l’inattivitĂ , nomina un commissario ad acta che provvede in luogo dell’enteâ€?. Un’altra norma stile “tolleranza zeroâ€?, che è agevole prevedere non verrĂ mai applicata. Programmi Integrati di Intervento in variante ai Piani Regolatori La Legge Regionale n. 12/2005, avendo imposto l’obbligo di sostituire i nuovi Piani di Governo del Territorio ai vecchi Piani Regolatori, aveva stabilito che questi ultimi potevano essere modificati solo in alcuni specifici casi, fra i quali rientravano anche gli atti di programmazione negoziata ed i Piani Attuativi in variante (Articolo 25). Il successivo Articolo 92 aveva poi stabilito che i Programmi Integrati di Intervento in variante agli strumenti urbanistici comunali, se sono qualificabili “di rilevanza regionaleâ€? vanno approvati mediante un accordo di programma, altrimenti vanno approvati mediante delibera del Consiglio comunale. A modifica del citato Articolo 25, la Legge Regionale n. 5/2009 ha fissato la regola per cui, “fino all’approvazione del PGT, i comuni non possono dar corso all’approvazione di Programmi Integrati di Intervento in varianteâ€?, ma subito dopo ha individuato due eccezioni: s I 0)) POSSONO ESSERE APPROVATI IN VAriante al Piano Regolatore qualora abbiano “rilevanza regionaleâ€?; s I 0)) POSSONO ESSERE APPROVATI IN VARIANte al Piano Regolatore, inoltre, qualora prevedano la realizzazione di “infrastrutture pubbliche o di interesse pubblico di carattere strategico ed essenziali per la riqualificazione dell’ambito territorialeâ€?. Quali siano i PII di “rilevanza regionaleâ€? lo dice l’Articolo 92.5 della Legge Regionale n. 12/2005. PII di rilevanza regionale Sono quei programi che: s PREVEDANO INTERVENTI FINANZIARI A CARICO della Regione; s ATTUINO OPERE PREVISTE DAL PROGRAMMA regionale di sviluppo o da altri piani o programmi di settore; s PREVEDANO GRANDI STRUTTURE DI VENDITA s PREVEDANO OPERE DELLO 3TATO O DI INTE-
resse statale. Come andranno individuate le “infrastrutture pubbliche o di interesse pubblico di carattere strategico ed essenziali per la riqualificazione dell’ambito territorialeâ€?, invece, lo stabilirĂ la Giunta regionale con delibera da adottare entro il 13 maggio 2009, in mancanza di che i comuni applicheranno le previsioni del documento di inquadramento, che l’Articolo 25 della Legge Regionale n. 12/2005 impone di predisporre laddove manchi il Documento di Piano che costituisce parte integrante del PGT. Al di fuori di queste due eccezioni, come si è visto, la norma in esame vieta di “dar corso all’approvazioneâ€? dei PII, ed in assenza di una disciplina transitoria si deve ritenere che tale divieto operi anche per i PII che alla data del 14 marzo 2009 erano giĂ stati adottati. A questo punto ci si domanda: come mai (salve le citate eccezioni) in assenza del PGT è stato vietato di approvare PII in variante al Piano Regolatore, mentre analogo divieto non è stato previsto per i Piani Attuativi che, secondo la giurisprudenza del TAR Lombardia, possono prevedere qualunque tipo di variante rispetto alla previsioni dei PRG? Per aggirare il divieto imposto dalla Legge Regionale n. 5/2009 è forse sufficiente cambiar nome ai Programmi Integrati di Intervento predisposti, e chiamarli piani di lottizzazione, o piani di recupero, o piani particolareggiati? Altre varianti di Piano Regolatore consentite La Legge Regionale n. 5/2009 ha aggiornato anche le altre disposizioni che, nell’attesa dell’approvazione dei PGT, permettevano di realizzare interventi in variante ai Piani Regolatori, e ciò ha fatto modificando il comma 8 sexies dell’Articolo 25 della Legge Regionale n. 12/2005, ed introducendovi il nuovo comma 8 nonies dello stesso articolo. Il comma 8 sexies consente di realizzare in deroga alle previsioni del PRG, nei comuni definiti “a fabbisogno acuto, critico ed elevatoâ€? dal programma regionale per l’edilizia residenziale pubblica, i seguenti interventi di edilizia residenziale pubblica, compresa l’edilizia convenzionata: s GLI INTERVENTI DI TRASFORMAZIONE DEGLI EDIfici esistenti nel rispetto della volumetria preesistente, con la precisazione che nel
La competenza ad approvare i Piani Attuativi Per assoggettare a maggiori garanzie l’attuazione delle previsioni dei Piani
Regolatori nei comuni che non hanno ottemperato all’obbligo di dotarsi del PGT, la Legge Regionale n. 5/2009 ha stabilito che fino all’entrata in vigore di quest’ultimo i Piani Attuativi e le loro varianti sono approvati dal Consiglio comunale seguendo la procedura disciplinata dall’Articolo 3 della Legge Regionale 23 giugno 1997 n. 23. Fatta la regola, però, è stata subito inventata l’eccezione: i Piani Attuativi e le loro varianti sono approvati dalla Giunta comunale secondo la procedura disciplinata dall’Articolo 14 della Legge Regionale n. 12/2005, “nei comuni interessati dalle opere essenziali previste dal dossier di candidatura EXPO 2015” (l’elenco di tali opere è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 277 del 26 novembre 2008). Considerato che in questo caso sono approvati dalla Giunta comunale tutti i Piani Attuativi, e non solo quelli che prevedano la realizzazione delle “opere essenziali” di cui sopra, ci si domanda quale sia la ratio della disposizione in esame, e se quest’ultima sia conforme al principio di uguaglianza sancito dall’Articolo 3 della Costituzione. Nuovo regime contributivo per i “procedimenti speciali” La Legge Regionale n. 5/2009 ha introdotto nel Titolo VI della Legge Regionale n. 12/2005 (denominato “procedimenti speciali e discipline di settore”) il nuovo Articolo 94 bis, il quale prevede un regime contributivo speciale per “l’attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale disciplinata dal presente titolo”. Attività di trasformazione urbanisticoedilizia disciplinata dal titolo VI L’attivtà prevede: s REALIZZAZIONE DI OPERE PREVISTE DA 0ROgrammi Integrati di Intervento; s REALIZZAZIONE DI OPERE CON L UTILIZZO DI contributi o finanziamenti con finalità di promozione economico-sociale; s REALIZZAZIONE DI OPERE PREVISTE DAL 0IAno territoriale d’area Malpensa; s REALIZZAZIONE DI OPERE RIENTRANTI NELLA competenza dello sportello unico per le attività produttive; s realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico dirette a garantire la sicurezza dei cittadini.
Dire che il testo di tale norma sia chiaro, sarebbe un’esagerazione. Esso sembra dettare le seguenti regole: s LE DISPOSIZIONI IN ESAME COSTITUISCONO deroga alle regole fissate dai precedenti articoli 43 e seguenti (primo comma); s L ATTIVITÌ DI CUI SOPRA hÒ CONNESSA ALLA realizzazione delle reti e dei servizi ad essi [sic] funzionali” (primo comma) [forse è un altro modo di enunciare, in modo quanto mai approssimativo, il principio già contenuto nel precedente Articolo 36.2]; s ESSA hÒ SUBORDINATA ALLA CORRESPONSIONE di contributo commisurato al costo di costruzione” (primo comma) [a quanto sta scritto, dunque, da oggi detto contributo dovrà essere corrisposto anche per le costruzioni e gli impianti destinati ad attività industriali o artigianali, visto che tali opere rientrano nella competenza dello sportello unico per le attività produttive]; s DETTA ATTIVITÌ Ò ALTRESÖ SUBORDINATA “all’esistenza o alla realizzazione delle opere per la dotazione o l’adeguamento delle reti e dei servizi funzionali alla realizzazione degli immobili compresi nell’intervento” (primo comma) [è scritto “alla realizzazione degli immobili”, ma probabilmente si intendeva dire “alla utilizzazione degli immobili”]; s SE TALI RETI E TALI SERVIZI ESISTONO E NON necessitano di adeguamento, si applica il terzo comma; s IN CASO CONTRARIO hNELL AMBITO DEGLI strumenti attuativi e degli interventi di trasformazione urbanistica posti in essere tramite forme di programmazione negoziata”, il soggetto attuatore è tenuto ad eseguire o ad adeguare le “opere di pertinenza dell’intervento di trasformazione urbanistica, secondo quanto stabilito dal” Piano dei servizi (secondo comma); s SE PERÛ IL COMUNE RITIENE CHE IN TUTTO O in parte, la realizzazione “delle opere di cui al comma 1” [cioè le “reti” ed i “servizi”] non sia necessaria o non sia possibile, “il soggetto titolare del permesso di costruire è tenuto alla corresponsione di un importo, determinato in base ai parametri” di cui agli articoli da 43 a 48 della Legge Regionale n. 12/2005 (terzo comma) [quale organo comunale dovrebbe determinare l’entità di tale importo, non è scritto]. W. F.
47 PROFESSIONE LEGISLAZIONE
caso di edifici a destinazione produttiva aventi un volume superiore a 10.000 mc. la trasformazione può al massimo riguardare 10.000 mc.; s GLI INTERVENTI DI NUOVA COSTRUZIONE PREvisti da Piani Attuativi da eseguire su aree destinate a servizi, ivi comprese quelle riservate alla formazione di verde e parcheggi (escluse nel precedente testo della norma); s GLI INTERVENTI DIRETTI DI NUOVA COSTRUzione da realizzare su aree che il PRG destina a servizi, ivi comprese quelle su cui gravavano vincoli poi decaduti (aree non contemplate nel precedente testo della norma), nei limiti dell’indice medio di zona previsto per la destinazione residenziale. Il comma 8 nonies risulta formulato in maniera quanto mai criptica. A quanto sembra di capire, i comuni possono modificare le norme del Piano Regolatore (ma non il suo azzonamento), allo scopo di: s INDIVIDUARE GLI AMBITI TERRITORIALI NEI QUALI è consentita, oppure è vietata, la localizzazione di attività espressamente individuate dai comuni stessi, che a causa della frequentazione costante e prolungata dei luoghi siano suscettibili di creare situazioni di disagio; s LADDOVE DETTE ATTIVITÌ SIANO CONSENTIte, definire contestualmente la disciplina necessaria per assicurare il loro corretto inserimento nel contesto urbano, con particolare riferimento alla disponibilità di aree per parcheggi. Pare probabile che con questa disposizione la Regione abbia inteso sostituire la normativa sui centri di telefonia in sede fissa (i “famigerati” call centers), dettata dal previgente Articolo 98-bis della Legge Regionale n. 12/2005 e dichiarata incostituzionale con la sentenza della Corte costituzionale n. 350 del 24 ottobre 2008; ma nulla esclude che essa possa essere applicata anche ad altre attività “suscettibili di determinare situazioni di disagio” (si pensi, per esempio, ai locali di ritrovo dislocati nella zona dei Navigli milanesi).
INFORMAZIONI DALLA CONSULTA
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Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535422 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.ordinearchitettilecco.it Presidenza, segreteria, informazioni: ordinearchitettilecco@tin.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Monza e della Brianza fax: 039 3309869 www.ordinearchitetti.mb.it Segreteria: segreteria@ordinearchitetti.mb.it Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.ordinearchitettipavia.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it
Con l’incontro per l’assegnazione dei riconoscimenti ai progetti segnalati, lunedì 27 aprile 2009 si è conclusa la prima edizione del bando “EXPO dei territori verso il 2015” promosso dalla Provincia di Milano. Questa iniziativa ha avuto come scopo l’individuazione di progettualità locali sui temi
e mobilità sostenibile in Lombardia” predisposto dalla Consulta Regionale Lombarda degli Architetti PPC, ha ottenuto un importante riconoscimento, risultando premiato tra i 5 migliori progetti nel proprio asse tematico (energia e ambiente) e tra i primi quindici in assoluto. La scelta di partecipare a questo bando è stata assunta dal Direttivo della Consulta nella consapevolezza della rilevanza che il tema dell’Expo, se non “disperso”, può, nel prossimo
dell’Esposizione Universale di Milano. Rilevante e significativa la partecipazione alla proposta: 170 progetti presentati, 694 organismi ed enti partecipanti a diverso titolo relativamente ai 3 àmbiti di riferimento individuati e concernenti il sistema alimentare, l’energia e ambiente e il settore della cultura, accoglienza e turismo. Il bando ha coinvolto amministrazioni pubbliche, associazioni no-profit, associazioni di categorie a testimonianza di una diffusa volontà di misurarsi in termini di professionalità e qualità con le opportunità che questa manifestazione può concretamente attivare sul territorio. Obiettivo del bando era la selezione di progetti che potessero formare un “Parco progetti expo dei territori” a cui garantire la necessaria visibilità nazionale ed internazionale, nonchè una struttura di accompagnamento per lo sviluppo progettuale. I progetti segnalati saranno anche oggetto di speciali presentazioni alla Società di gestione di EXPO. Il progetto “Expo 2015
futuro, assumere per l’area metropolitana e sinergicamente per l’intero ambito regionale. Con questa scelta, la Consulta intende individuare un possibile contributo degli Architetti lombardi attraverso una proposta capace di una prospettiva e di un respiro a scala regionale. Da subito il tema del progetto infrastrutturale, ed in particolare della mobilità su ferro, è stato individuato come possibile àmbito strategico, sia per la sua potenzialità di interpretare i sistemi di trasporto pubblico come generatori di qualità di vita, sia per l’avvertita necessità dei nostri territori di poter contare su un disegno di sviluppo della mobilità, strutturale e sostenibile, non più costretto ad inseguire la frammentazione deregolata dell’attuale crescita urbana. L’idea fondante del progetto è che l’attivazione di un programma di opere infrastrutturali, la cui valenza può estendersi ben oltre la loro stretta funzionalità di interventi connessi all’evento espositivo, costituisca l’opportunità di superare i limiti impliciti
Gli architetti lombardi e l’Expo
di una lista di singole opere, di una serie di rivendicazioni politico-territoriali, nonchè quelli derivanti dalla sola esigenza (pur legittima) di “sanare” disfunzioni pregresse o cronici ritardi infrastrutturali. Pur contemplando le specifiche esigenze connesse alle attività necessarie alla realizzazione dell’Expo, la convinzione è che si debba richiedere la formulazione di un vero e proprio progetto per l’intero territorio regionale, atto a determinare un decisivo salto di qualità dell’area lombarda. Il progetto auspica “la formulazione di un progetto infrastrutturale unitario” per l’assetto territoriale regionale, incentrato sulla mobilità del “ferro”. La diffusione della qualità urbana attraverso la mobilità pubblica è la premessa per un’interconnessione dei territori lombardi al di fuori della logica centro-periferia della diffusione urbana, secondo obiettivi di mobilità che orientino il disegno di sviluppo. Un simile progetto strategico di sviluppo infrastrutturale non può esimersi dal riconoscere anzitutto una sua funzionalità per soddisfare le esigenze legate all’evento Expo in sé, ed in secondo luogo dal rivestire un importante ruolo, una volta terminato il grande evento, per rispondere alle richieste presenti e future di mobilità e connessioni per la regione urbana milanese e non solo. Una rete infrastrutturale di questo tipo deve necessariamente essere in grado di dialogare a più livelli con sistemi di trasporto diversi e complementari, rendendosi accessibile il più possibile all’intermodalità: la rete ferroviaria regionale e metropolitana, la rete ferroviaria ad alta velocità, gli aeroporti lombardi, le infrastrutture viarie su gomma, ma anche la mobilità “dolce” che possono trarre notevole beneficio dallo spostamento di parte dei flussi verso una mobilità su ferro più sostenibile ed efficiente. Il progetto, articolato in 4 fasi su un arco temporale di tre anni, contempla operazioni preliminari di studio per l’individuazione di aree di progetto sulle quali far convergere attenzione e risorse pubbliche, concorsi di idee e di
Angelo Monti Presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Como e Paolo Ventura Presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Brescia, curatori del progetto “EXPO 2015 e mobilità sostenibile in Lombardia”
Lodi Samuele Frosio è iscritto all’Ordine degli Architetti di Lodi dal 2001; parallelamente alla pratica della libera professione ha effettuato una serie di collaborazioni con studi internazionali, quali: Krassler & Reiter architektbüro a Passau (Germania, dal 1997 al 1999), Schneider+Schumacher architekturgesellschaft a Francoforte (Germania, nel 2000), Drees & Sommer Italia Engineering a Milano (dal 2002 ad oggi). Le immagini delle sue architetture sono state pubblicate su riviste nazionali ed internazionali quali: “Costruire”, “Il Nuovo Cantiere”, “Tetto e Pareti”, “Wettbewerbe”, pubblicazione della 1° Rassegna Lombarda “Nuove Proposte di Architettura” (progetto menzionato). Antonino Negrini Fotografia strumento per l’evoluzione e la formazione del senso dello spazio La relazione tra architettura e fotografia si può sintetizzare in maniera soggettiva, ad un modo di rappresentare il mondo, recuperando quella “lentezza dello sguardo” che permette di co-
gliere i minimi particolari della realtà e che in precedenti epoche era affidata all’esperienza diretta dell’architettura (sopralluogo) e all’innovazione manuale (schizzi) dei dettagli/forma. Oggi attraverso la fotografia e i mezzi di comunicazione mediatica è possibile ad esempio studiare nella sua totalità l’opera di un architetto come Carlo Scarpa (fototeca gipsoniana) attribuendo pertanto allo strumento fotografia un’importante funzione di documentazione storico/culturale e formativa. Lo stesso discorso è valido in riferimento all’evoluzione delle città, nel tentativo di analizzare e criticare lo sviluppo urbano e la trasformazione del paesaggio in un’ottica nello stesso tempo sociale e architettonica. Pubblicazioni quali guide di architettura e studi sulle trasformazioni delle città sono in genere facilmente reperibili per agglomerati di certe dimensioni e importanza, quali Milano, Parigi, Berlino, ma rimangono analisi frammentarie per realtà più locali, quale il territorio lodigiano, e proprio queste documentazioni potrebbero essere di stimolo e confronto per le nuove generazioni di architetti, quale la mia. Oggi l’architetto possiede in linea di massima le foto dei propri lavori
49 INFORMAZIONI DAGLI ORDINI
progettazione, attività di sensibilizzazione e discussione. La prima fase, a carattere istruttorio preliminare e di organizzazione, mira a definire lo stato dell’arte nella materia (background di partenza della ricerca), dall’organizzazione delle unità operative, di un sito web dedicato, alla definizione del programma dettagliato di lavoro. Sono previste varie ricerche preliminari: ricerca documentale e cartografica dell’attuale rete ferroviaria statale in territorio lombardo; della rete regionale, di eventuali reti a gestione privata anche sostitutive del “ferro” ma ad esso integrate; analisi degli studi sviluppati negli ultimi dieci anni alle diverse scale territoriali dai diversi soggetti quali Ferrovie, Regione, Enti locali; analisi dei progetti in corso di costruzione o che risultino approvati allo stadio preliminare o definitivo; comparazione e stesura del quadro sinottico dei dati e delle informazioni. La seconda fase, che richiede un ampio coinvolgimento degli Ordini provinciali, mira all’individuazione di aree sensibili in àmbiti multi territoriali ed è propedeutica al lancio di concorsi locali. Seguirà la vera fase di progetto che mira all’elaborazione di progetti o metaprogetti sui casi studio direttamente o tramite concorsi organizzati dalle unità operative locali. La fase conclusiva sarà, infine, indirizzata alla valutazione dei risultati, alla comunicazione e alla disseminazione, nonchè all’individuazione di assi prioritari e strategici nella programmazione infrastrutturale dei territori anche attraverso l’“ascolto” delle istanze emergenti nei diversi ambiti provinciali. Il progetto mira, così, sia alla valorizzazione, strutturazione/ organizzazione di un network
che metta a rete le fonti esistenti per la condivisione e la raccolta delle informazioni e dei materiali sull’argomento, quanto all’elaborazione di una proposta a scala regionale delle priorità strategiche della mobilità su “ferro” come sintesi di una lettura critica degli scenari emersi dalla fase analitica. Contemporaneo scopo è l’elaborazione di progetti pilota per speciali àmbiti territoriali. Obiettivo, infine, è quello di promuovere la cultura del progetto, di valorizzare la figura dell’architetto, nonchè quella del pianificatore, paesaggista e conservatore, e di incentivare l’assegnazione d’incarichi professionali attraverso procedure concorsuali di pubblica evidenza. C’è piena consapevolezza quanto un programma di questo impegno e natura presupponga il coinvolgimento di molti soggetti interlocutori. L’idea è, dunque, quella che la ricerca possa attivare nei diversi territori provinciali importanti sinergie di parternariato con le istituzioni e la società civile locali. Queste energie dal “basso” possono essere raccolte in un progetto coordinato capace di costruire relazioni di conoscenza e di informazione. Questo indirizzo ad individuare qualificati contributi e specificità è stato già attivato con il coinvolgimento di due importanti istituti di ricerca, quali il DIAP del Politecnico di Milano e il DICATA dell’Università di Brescia. Si tratta di un primo nucleo destinato nel corso dello sviluppo del progetto ad essere ampliato e articolato. Riteniamo che questa ipotesi di lavoro, oggi supportata anche dall’accreditamento ricevuto, possa davvero, senza enfasi e retorica, costituire un’opportunità concreta per innescare ulteriori percorsi per la cultura della professione in sintonia con le sollecitazioni e le attese sociali ed economiche della nostra contemporaneità.
INFORMAZIONI DAGLI ORDINI
50
pre e post intervento. Sarebbe interessante raccogliere questa documentazione almeno per la città di Lodi. Si affida inoltre alla fotografia il compito di rappresentare visivamente, possibilmente amplificandola, la qualità di un’opera architettonica (costruzione del mito di un architetto) con il rischio però che a volte, nel processo progettuale si dia piÚ importanza all’immagine finale del manufatto architettonico che alla sua vera fruibilità . Da qui il limite di considerare valida un’architettura solo se pubblicata o, nella stessa maniera, di sovrastimare le archistar, legate loro stesse ad un numero limitato di fotografie selezionate. Interessante di questo approccio all’architettura è poi sicuramente la possibilità di far vivere anche delle cose che non sono state concepite volontariamente; a tal proposito il territorio lodigiano è stato recentemente fotografato dal maestro della fotografia di architettura italiana, Gabriele Basilico, il cui lavoro rimane un libro prezioso nella biblioteca di ogni architetto locale e in particolare di quegli architetti che sono stati oggetto di questo interesse. Tecnicamente ciò che lega la fotografia all’architettura è anche lo studio della prospettiva, principio sulla base del quale erano state riordinate dal punto di vista urbanistico alcune città del periodo ottocentesco. Parlando di architettura e fotografia non si intende riferirsi solo all’architettura come costruzione ma piuttosto all’immagine visibile della città e all’insieme delle sue architetture; ciò significa anche la costruzione della città nel tempo, ovvero un tipo di analisi piÚ complessiva della città che si rivolge al dato ultimo e definitivo della vita della collettività , la creazione dell’ambiente in cui essa vive. La fotografia può essere intesa come strumento per l’evoluzione e la formazione del senso dello spazio e quindi della città ; una concezione questa legata in gran parte a studi di antropologia e ad analisi sulle caratteristiche urbane (comprendere la città come una grande rappresentazione della condizione umana). Forse contro molte mistificazioni può valere ancora il senso dato alla ricerca dell’immagine della
cittĂ da parte di Camillo Sitte quando egli cercava delle leggi nella costruzione della cittĂ che prescindessero dai soli fatti tecnici e si rendessero pienamente conto della bellezza dello schema urbano, della forma cosĂŹ come essa viene letta. Samuele Frosio
Milano
a cura di Laura Truzzi Designazioni s #!-%2! $) #/--%2#)/ ).$5342)! % !24)')!.!4/ $) MILANO: richiesta di rappresentante in seno all’Osservatorio sullo sviluppo del capitale umano. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Claudio Fabrizio CAVALCA. s +9/4/ #,5" 2OMA RICHIEsta di nominativo per la partecipazione alla Commissione di esame finale previsto per i corsi Accreditati per Tecnici Certificatori Energetici (come previsto dal D.G.R. 8/8745 del 22/12/2008. Il Consiglio ha nominato: Sandro Attilio SCANSANI. s 0/,)4%#.)#/ $) -),!./ )N seguito ai sorteggi per le nomine dei membri dell’Ordine per le commissioni di laurea per l’anno accademico 2007-2008 ed alla verifica delle disponibilitĂ si nominano i seguenti architetti: - Laurea “Specialistica in Architettura Milanoâ€? e “Vecchio Ordinamentoâ€? del 16 dicembre 2008. In ordine progressivo di commissione: Pierluigi BULGHERONI, Aldo TESTA, Giuseppe MAGISTRETTI, Daniela A. PULCINI, Lino LADINI, Lorenzo BARONI, Paola GARABUGLIO, Carmelo SCIUTO, Sandro VERGA, Matteo Pietro CASATI, Daniela Paola PIETROBONI, Riccardo SALA. - Laurea Specialistica in Architettura - Architettura delle Costruzioniâ€? del 16-17 dicembre 2008: Ia Commissione: Giuliano BANFI. - Laurea Specialistica in P.U.P.T. e P.T.U.A. Vecchio Ordinamento del 16 dicembre 2008. In ordine progressivo di commissione: Giuseppe BROLLO, Gennaro RIZZO. - Laurea in Architettura Vecchio Ordinamento del 16 dicembre
2008. In ordine progressivo di commissione: Michelangelo ACCIARO (Ia e IIa commissione), Elisabetta LA MONICA. - Laurea Magistrale - Design degli Interni� del 16 dicembre 2008. In ordine progressivo di commissione: Daniela CARTA, Anita BIANCHETTI, Valeria Giacoma ARMANI. Serate s 3PAZI 5RBANI /GGETTI 5RBANI 5NA LEZIONE DI 3ERGEJ 4CHOBAN 12 febbraio 2009 ha presentato: Franco Raggi è intervenuto: Sergej Tchoban
Un’interessante lezione di architettura tra il visionario e il concreto: cosĂŹ si può riassumere la presentazione di Sergej Tchoban che si è tenuta giovedĂŹ 12 febbraio, presso la sede dell’Ordine. Approfittando della presenza dell’architetto russo a Milano, in occasione della mostra dei suoi disegni, presso la galleria Antonia Jannone - Disegni di architettura -, Franco Raggi, introducendo la serata, lo ha invitato a parlare dei due piani su cui si muove: quello dell’architetto visionario che disegna teste avvitate e visioni magiche e sognanti di San Pietroburgo e quello dell’architetto che costruisce e quindi “fondaâ€? ben solidamente le sue costruzioni. Tchoban, molto semplicemente, risponde che all’inizio di ogni progetto si chiede quale abito voglia attribuire al luogo su cui interviene e quale sia l’importanza storica dello stesso: a quel punto decide se conservare o demolire per ricostruire. I due metodi si adattano alle due realtĂ storiche russe molto diverse tra loro: Mosca e San Pietroburgo. La prima ha una lunghissima storia e, fin dalla sua costituzione, è sempre stata edificata attraverso edifici singoli che si staccano a tutt’oggi nello skyline della cittĂ . Un’architettura tipicamente russa che si può
definire la città degli oggetti. La seconda invece, piÚ recente, è sempre stata edificata per linee compatte, dalle facciate decorate. San Pietroburgo è la piÚ europea della città russe. Sergej Tchoban parla in sala di una decina dei suoi progetti che vanno in entrambe le direzioni: oggetti urbani o città decorate. A San Pietroburgo, vediamo alcuni progetti tra cui un paio di masterplan per quartieri periferici ai margini del mare e del fiume Nieva, il concorso vinto per il municipio e l’intervento su una vecchia struttura mai ultimata in un tipico contesto urbano molto bello. In tutti questi interventi Tchoban ha voluto proporre l’antica cultura della città in nuove vesti. Strutture high-tech con vetri serigrafati molto decorati ben inserite nel contesto storico in cui sono ambientate. A Mosca invece lo studio nps tchoban voss Architekten ha vinto un concorso per la riqualificazione di un intero quartiere a 10 km dal Cremlino pensando a due torri; un’altra torre è stata progettata per il Museo delle Nuove Tecnologie. Due nuovi edifici sono anch’essi stati trattati come veri e propri oggetti: la scuola ebraica e il centro d’informazione ebraico con sinagoga. All’interno di quest’ultimo ogni elemento, compresa la luce, è trattato come una scultura. Franco Raggi chiede a Tchoban come affronta questa doppiezza nella metodologia degli interventi: un grattacielo figlio dell’high-tech e una facciata con i vetri decorati. Per l’architetto russo, che oggi lavora anche in Germania, sono semplicemente due risposte differenti a due cornici urbane molto diverse tra loro. s %XPO 6ERSO L %XPO E oltre. Lisbona 1998, infrastrutture per uso rinnovato e permanente 19 febbraio 2009 ha introdotto: Daniela Volpi ha moderato: Salvatore Carruba sono intervenuti: Federico Acuto, Vittorio Gregotti, Manuel Salgado Tutto esaurito presso l’Ordine per la prima serata dedicata alla ricognizione fotografica, urbanistica e architettonica di alcune città che sono state sede
diventare il motore dello sviluppo di tutta la città quando, l’allora governo di sinistra, la fece divenire parte del Piano Strategico della città. Fu scelta un’area sul fiume lunga 5 km, prevalentemente industriale e molto degradata. La logica impiegata fu quella che mirava soprattutto al recupero del quartiere alla città per il dopo Expo e quindi i nodi di sviluppo più importanti furono la dotazione di infrastrutture e l’accessibilità. Tre settimane dopo la chiusura dell’Expo venivano abbattuti i cancelli della fiera e Lisbona vedeva riaprire il nuovo quartiere che costituiva immediatamente la nuova centralità urbana. Per Salgado è stato quindi ben ripagato il lavoro fatto per il dopo Expo mentre l’irripetibilità di questa esperienza potrebbe esserne il lato più negativo: l’overdose di investimenti pubblici di quel periodo ha poi rallentato il successivo sviluppo. Intervenendo, Federico Acuto, urbanista e Consigliere dell’Ordine, si chiede se líevoluzione dei tradizionali mezzi di sviluppo della città debba oggi essere affidata ai grandi eventi o se forse non siamo semplicemente in una fase di innovazione dei vecchi modelli di sviluppo: “si tratta forse di avviare un grande evento da collocare nella città? Oppure si pianifica la città e il suo processo di sviluppo per poi inserire l’Expo?” Interviene Vittorio Gregotti con una condanna all’urbanista che ha sempre bisogno di una scusa per muoversi quando invece dovrebbe puntare alla pianificazione. Gregotti elogia Lisbona, dove tanti bravi architetti sono stati chiamati a lavorare tutti insieme per costruire un progetto urbano che poi è stato pian piano realizzato, mentre l’Expo non porterà a Milano né sviluppo né pianificazione a causa dell’attuale crisi economica e per via delle guerre di potere per la gestione dell’avvenimento. Lo sviluppo della città non dovrebbe, secondo Gregotti, dipendere dagli eventi straordinari. Numerose le domande dei presenti in sala (ad esempio: l’Expo milanese non può essere presa come un’occasione per offrire ai visitatori una vacanza a basso impatto ambientale) e molto partecipato il dibattito che ne è seguito. Ora la parola passa a Siviglia...
51
A cosa servono i concorsi? Il caso di Treviglio Dopo due concorsi nazionali non realizzati - per la Crociera dell’ex Ospedale di Santa Maria, 1983 (vinto dagli arch.tti Giancarlo Motta e Antonia Pizzigoni) e per l’area del Mercato, 1994 (vinto dall’arch. Marco Vido) ora anche il terzo per l’edificio ex Upim, vinto dal prof. Giorgio Grassi, è destinato alla stessa fine. Succede a Treviglio, polo attrattore della bassa pianura bergamasca. L’ìsolato dell’ex Upim è certamente il più importante per la morfologia della città antica, corrispondente al castrum vetus. Una volta perso il suo ruolo difensivo, divenne di proprietà pubblica ospitando funzioni civili e ad uso pubblico; in tempi più recenti il Teatro Sociale. Agli inizi degli anni Settanta il Comune mise in vendita l’immobile autorizzandone la demolizione per realizzare un “grande magazzino con supermercato”, disegnato in palese discontinuità con le caratteristiche tipologiche ed ambientali dell’antico nucleo; nel ‘93 l’immobile fu acquistato dal Comune di Treviglio, per porre rimedio a quella ferita apertasi nel cuore della città; nel ‘98 l’Amministrazione bandì un concorso di progettazione per la riqualificazione di tale edificio, vinto dal “raggruppamento prof. Giorgio Grassi”, che nel 2003 presentò il progetto preliminare, approvato dal Consiglio Comunale. Lo sviluppo del progetto andò poi arenandosi, finché, nel giugno 2007, l’attuale Giunta comunale ribadiva la scelta di continuare l’iter realizzativo del progetto vincitore del concorso, proseguendo con l’incarico per il progetto definitivo. Quella decisione non potè essere realizzata per lo scioglimento del gruppo di progettisti e così furono commissionati ulteriori studi e analisi di valutazioni urbanistiche, tecniche e finanziarie. L’Amministrazione iniziò ad ipotizzare quindi la ristrutturazione dell’edificio esistente giustificando la scelta con la riduzione dei costi, anche se la struttura
non presenta le caratteristiche di antisismicità necessarie. Abbiamo lanciato un appello, sottoscritto da architetti e cittadini della zona, cui hanno aderito illustri esponenti della cultura architettonica, per dare attuazione al progetto vincitore del concorso e restituire un’architettura colta e di qualità al cuore della città - cui la stampa locale ha dato ampio spazio ed al quale il Sindaco ha risposto comunicando la decisione di invitare cinque architetti, scelti dell’Amministrazione per la redazione di uno “studio di fattibilità” (nuovo strumento di progettazione?) nel rispetto dei seguenti parametri: optare per l’ipotesi di ristrutturazione dell’edificio esistente, ritenuta decisamente più economica (!); costo complessivo euro 4,3 milioni; autonomia energetica dell’edificio; massima flessibilità degli spazi interni. A cosa è servito quindi il Concorso Nazionale al quale hanno partecipato ben 90 studi di progettazione e che ha visto quali finalisti, oltre al vincitore, anche gli arch. Carlo Aymonino, Francesco Venezia e Boris Podrecca? Gli architetti italiani da tempo insistono nell’indicare nell’istituto del concorso uno strumento da privilegiare per l’assegnazione degli incarichi di progettazione, ma poi la sua incidenza pratica è modesta. Perché in Italia la maggioranza dei concorsi non hanno attuazione? I giudizi delle Giurie non sono condivise dagli Enti banditori? Al momento in cui viene bandito il concorso non vi sono le disponibilità economiche per realizzare l’opera? I tempi di realizzazione delle opere pubbliche investono la durata di più mandati amministrativi con possibili cambi di maggioranza e quindi con modifica degli obiettivi? Anna Giulia Baratti e Ambrogio Franco Forcella Treviglio, 26 marzo, 2009
INFORMAZIONI LETTERE E COMMENTI
di Expo negli anni passati. Il mini ciclo, che sarà composto da quattro conferenze, (oltre a Lisbona vedremo Hannover, Siviglia ed Expo Suisse) vuole essere un contributo ai progetti che Milano sta elaborando per l’Expo 2015 e all’eredità che questa ci lascerà.Il Presidente dell’Ordine, Daniela Volpi, presentando le serate sottolinea come il grande evento Expo segni il territorio per parecchio tempo e i quattro esempi scelti sono significativi per le diverse eredità che questi hanno lasciato alla città del dopo, Expo: Lisbona ha ben colto l’occasione per riqualificare il quartiere sul fiume Tago; Hannover è la città in cui il riutilizzo dell’area Expo 2000 segna il passo nonostante la manifestazione fosse ben inserita nel programma di sviluppo della città; Siviglia rappresenta il fallimento del riutilizzo dell’area espositiva alla periferia della città; infine il caso di Expo Suisse che, nel 2002, si è svolta in diverse località della Regione dei laghi costituendo un’esperienza particolarmente significativa per il territorio. Tutte queste esperienza sono state oggetto di reportage fotografici da parte di cinque fotografi italiani che hanno rilevato la condizione odierna dei quartieri e delle infrastrutture fieristiche. La serata su Lisbona viene aperta e moderata da Salvatore Carruba de “Il sole 20 Ore” ed ex Assessore all’Urbanistica del comune di Milano, che si augura per Milano una riuscita pari a quella dellíExpo del 1906 che ha visto la città molto efficiente e positivamente trasformata fino ai giorni nostri. L’Expo è un’occasione che Milano non deve perdere se vuole essere al pari di una vera capitale europea. Marco Introini, fotografo díarchitettura, racconta brevemente le sensazioni provate percorrendo l’area fieristica di Lisbona: un attraversamento visionario di un brano di città animato dai padiglioni che ne costituiscono gli attori e che dialogano sempre con il fiume. Mentre le immagini di Introini accompagnano la serata proiettate sul grande schermo, l’arch. Manuel Salgado, ex Assessore all’Urbanistica del comune di Lisbona, racconta l’iter che ha seguito l’Expo dalla prima idea di due intellettuali nel 1989 fino a
A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)
Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica
Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell’indice - novembre 1969: 100
Anno
Gennaio Febbraio Marzo
2006
1590 1589,76 1593,53 1596,04 1599,81 1620 1613,62 1617,39 1619,9 1622,41 1660 1670 1660,08 1663,85 1672,64 1676,41
2007 2008
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
1600 1604,83 1606,09 1630 1627,44 1631,2 1680 1690 1685,2 1692,73
Agosto
Settembre Ottobre Novembre Dicembre
1610 1609,85 1612,37 1612,37 1634,97 1637,48 1637,48 1700 1690 1700,27 1701,52 1697,76
1600 1610 1609,85 1611,11 1640 1642,5 1648,78 1697,76 1691,48
1612,37 1650 1655,06 1680 1688,97
2009
52
1685,2
1688,97 1688,97
n.b. Il valore da applicare, arrotondato alla diecina inferiore, è quello, in grassetto collocato nella parte superiore delle celle, immediatamente precedente al momento dell’assegnazione dell’incarico
2) Tariffa stati di consistenza Anno
INDICI E TASSI
2007
Gennaio Febbraio Marzo
(in vigore dal dicembre 1982) anno 1982: base 100
Aprile
278,85
279,5
279,93
286,87
287,53
289,04
291,21
291,87
291,87
Maggio
Giugno
Luglio
280 280,36 281,23 281,88 290 289,7 291,21 292,52
2008
Agosto
Settembre Ottobre Novembre Dicembre
282,53
282,97
282,97
283,84
284,92
286,01
293,82
294,04
293,38
293,38
292,3
291,87
2009 n.b. I valori da applicare sono quelli in neretto collocati nella parte superiore delle celle
3) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno
2007 2008 2009
Gennaio Febbraio Marzo
123,32 126,87 128,79
123,60 127,15 129,07
Aprile
123,80 127,83 129,07
Maggio
123,99 128,11
anno 1995: base 100 Giugno
124,37 128,79
Luglio
124,66 129,36
124,95 129,94
Agosto
giugno 1996: 104,2
Settembre Ottobre Novembre Dicembre
125,14 130,03
125,14 129,75
125,52 129,75
4) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) anno 2000: base 100 5) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno
2007 2008 2009
Gennaio Febbraio Marzo
113,31 116,57 118,34
113,58 116,84 118,60
Aprile
113,75 117,46 118,60
Maggio
113,93 117,72
Giugno
114,28 118,34
Luglio
114,55 118,87
114,81 119,40
6) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno
2007 2008 2009
Gennaio Febbraio Marzo
118,76 122,18 124,02
119,03 122,45 124,30
Aprile
119,22 123,10 124,30
Maggio
119,40 123,38
Giugno
119,77 124,02
120,05 124,58
120,33 125,13
2002 105,42
2003 108,23
8) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno
2000 113,89
2001 117,39
2000 105,51
2001 108,65
Agosto
114,99 119,22
115,34 119,22
120,51 124,95
2003 123,27
2002 111,12
2003 113,87
116,22 118,60
gennaio 1999: 108,2
120,88 124,95
2006 114,57
121,34 124,49
121,81 124,30
gennaio 2001: 110,5 2007 116,28
anno 1995: base 100 2002 120,07
115,78 118,78
Settembre Ottobre Novembre Dicembre
120,51 125,23
2005 112,12
2008 119,63
2009 121,44
novembre 2001: 110,6
2004 125,74
9) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
Settembre Ottobre Novembre Dicembre
114,99 119,48
anno 2001: base 100
2004 110,40
126,48 129,07
dicembre 2000: 113,4
anno 1999: base 100 Luglio
7) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
Agosto
126,00 129,27
2005 127,70
2006 130,48
anno 1997: base 100
2004 116,34
2005 118,15
2006 120,62
2007 132,44
2008 136,26
2009 138,32
febbraio 1997: 105,2 2007 122,43
2008 125,95
2009 127,85
Tariffa P.P.A. (si tralascia questo indice in quanto non più applicato) Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, relativo agli ultimi anni, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa. Dal 2004 determinato dalla Banca Centrale Europea. Provv. della B.C.E. (6.11.08) dal 12/11/08 3,25% Provv. della B.C.E. (4.12.08) dal 10/12/08 2,50% Provv. della B.C.E. (15.1.09) dal 21/1/09 2,00% Provv. della B.C.E. (5.3.09) dal 11/3/09 1,50% Provv. della B.C.E. (2.4.09) dal 8/4/09 1,25% Con riferimento all’art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto. dal 1.7.2006 al 31.12.2006
2,83% +7
9,83%
dal 1.1.2007 al 30.6.2007
3,58% +7
10,58%
dal 1.7.2007 al 31.12.2007
4,07% +7
11,07%
dal 1.1.2008 al 30.6.2008
4,20% +7
11,20%
dal 1.7.2008 al 31.12.2008
4,10% +7
11,10%
Comunicato (G.U. 5.2.2007 n° 29)
Comunicato (G.U. 30.7.2007 n° 175) Comunicato (G.U. 11.2.2008 n° 35)
Comunicato (G.U. 21.7.2008 n° 169)
per valori precedenti consultare il sito internet del proprio Ordine.
Comunicato (G.U. 2.2.2009 n° 26) dal 1.1.2009 al 30.6.2009
2.242 iscritti dell’Ordine di Bergamo; 2.247 iscritti dell’Ordine di Brescia; 1.641 iscritti dell’Ordine di Como; 668 iscritti dell’Ordine di Cremona; 902 iscritti dell’Ordine di Lecco; 394 iscritti dell’Ordine di Lodi: 660 iscritti dell’Ordine di Mantova; 11.531 iscritti dell’Ordine di Milano; 2.340 iscritti dell’Ordine di Monza e della Brianza;
835 iscritti dell’Ordine di Pavia; 352 iscritti dell’Ordine di Sondrio; 2.154 iscritti dell’Ordine di Varese. Ricevono inoltre la rivista:
90 Ordini degli Architetti PPC d’Italia;
Interessi per ritardato pagamento
Comunicato (G.U. 10.7.2006 n° 158)
La rivista AL, fondata nel 1970, oggi raggiunge mensilmente tutti i 25.966 architetti iscritti ai 12 Ordini degli Architetti PPC della Lombardia:
2,50% +7
9,50%
Per quanto riguarda: Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’Art. 81 della Legge 27 luglio 1978, n. 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani consultare il sito internet dell’Ordine degli Architetti PPC di Milano. Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.
1.555 Amministrazioni comunali lombarde;
Assessorati al Territorio delle Province lombarde e Uffici tecnici della Regione Lombardia; Federazioni degli architetti e Ordini degli ingegneri; Biblioteche e librerie specializzate; Quotidiani nazionali e Redazioni di riviste degli Ordini degli Architetti PPC nazionali; Università; Istituzioni museali; Riviste di architettura ed Editori.