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AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi

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FORUM Acqua e territorio interventi di Gianni Beltrame, Ugo Prost, Andrea Tosi Claudio Magris e l’acqua Post-lauream

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FORUM ORDINI Bergamo Como Cremona Lecco Lodi Mantova Milano Pavia Varese

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OSSERVATORIO Argomenti Conversazioni Concorsi Riletture Libri Mostre e Seminari Itinerari

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PROFESSIONE Legislazione Normative e tecniche Strumenti

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INFORMAZIONE Dagli Ordini Lettere

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INDICI E TASSI

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Direttore Responsabile Stefano Castiglioni Direttore Maurizio Carones Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione Igor Maglica (caporedattore) Irina Casali, Sara Gilardelli Martina Landsberger Direzione e Redazione via Solferino 19 – 20121 Milano tel. 0229002165 – fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa Mancosu Editore spa via Alfredo Fusco 71/a – 00136 Roma tel. 06 35192255 – fax 06 35192260 e-mail: mancosueditore@mancosueditore.it http://www.mancosueditore.it Concessionaria per la Pubblicità via Alfredo Fusco 65 – 00136 Roma tel. 06 35192280 – fax 06 35192269 e-mail: isi.spa@mancosueditore.it Agente pubblicità per il Triveneto: Mass Media – Giacomo Lorenzini via Silvio Pellico 1 – 35129 Padova – tel. 049 8088866 per la Lombardia: Media Target – Michele Schiattone viale Italia 348 – 20099 Sesto S. Giovanni, Milano tel. 02 22476935 Graphic Point – Alessandro Martinenghi via Haussmann 11/d – 26900 Lodi tel. 0371 32158 – cell. 335 5258146 per le Marche: Elisabetta Arena via del Mare 59 – 62019 Recanati, Macerata tel. 071 7573099 – cell. 335 8134146 per il centro sud: Alexander Tourjansky via Francesco Satolli 30 – 00165 Roma – tel. 06 630427 Stampa ati spa – Pomezia, Roma Rivista mensile: Spedizione in a.p. – 45% art. 2 comma 20/b – Legge 662/96 – Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta

EDITORIALE

Tiratura: 29.000 copie Abbonamento annuale (valido solo per gli iscritti agli Ordini) € 3,00 In copertina Particolare del Monte di Brianza, da “La nova descritione della Lombardia”, (da: C. Pirovano, a cura di, Lombardia. Il territorio, l’ambiente, il paesaggio, Volume terzo, Electa, Milano,1982). Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL

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MAGGIO 2005

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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidenti: Daniela Volpi, Giuseppe Rossi, Ferruccio Favaron; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Angelo Monti; Segretario: Marco Francesco Silva; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Franco Andreu, Renato Conti, Gianfredo Mazzotta, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 31.3.06) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guernieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Giulio Barazzetta, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 14.12.05) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Quintino G. Cerutti, Maura Lenti, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 30.6.05)


Maurizio Carones

3 EDITORIALE

La Lombardia è stata spesso descritta attraverso l’acqua. In epoche diverse e secondo approcci differenti l’acqua è stata assunta come principio descrittivo di un territorio caratterizzato in modi strutturali proprio dalla sua presenza: i fiumi, i grandi laghi, i laghi prealpini, il sistema di canali e navigli, i manufatti di regimazione e utilizzo delle acque, i porti, costituiscono una rete di elementi che consente, secondo un codice comune, di dare una rappresentazione unitaria delle grandi diversità del territorio lombardo. È sufficiente guardare alle prime cartografie moderne, cinquecentesche e seicentesche, per avere un’eloquente esemplificazione di come i fiumi abbiano determinato i limiti di un territorio, diversamente indefinito, e del modo in cui la rete delle acque, sempre rappresentata, abbia strutturato un territorio caratterizzato dal sofisticato rapporto tra natura ed artificio determinato proprio dal ruolo dell’acqua. Così come nel celeberrimo Danubio di Claudio Magris il corso del fiume diventa strumento narrativo e descrittivo di un territorio dai confini non precisamente definibili, l’acqua è un utile parametro con il quale osservare tutta la Lombardia, quasi che possa costituirne una delle principali cifre interpretative. Allo stesso modo l’acqua potrebbe essere una chiave di lettura della vicenda dell’intero territorio italiano – della sua storia e dei suoi controversi sviluppi – e della, ancora insufficiente, sensibilizzazione verso l’argomento. Negli ultimi anni è infatti progressivamente aumentata la considerazione dell’acqua come risorsa ambientale determinante; ciò a partire dai gravi scompensi che sono stati causati da un utilizzo del territorio non particolarmente attento ai problemi dell’ambiente. Il consumo dell’acqua, la mancanza di un adeguato controllo delle acque, il rapporto fra acqua e produzione di energia, sono tutti temi che più recentemente, seppur in gradi diversi, sono stati rilevati dalle diverse culture disciplinari. Gli approcci pianificatori degli ultimi anni, indicando la questione del “paesaggio” come valore da salvaguardare attraverso una pianificazione che riconosca e comprenda i caratteri ambientali, assegnano a tutte le fasi del progetto territoriale un particolare ruolo di valorizzazione dell’acqua. Il Piano territoriale paesistico regionale, i Piani territoriali di coordinamento provinciali assegnano alla valorizzazione del sistema delle acque un particolare ruolo, attraverso il quale ricostruire un rapporto con la storia del territorio. Con la pianificazione che nei prossimi anni dovrà interpretare le recenti disposizioni legislative territoriali regionali si potrà quindi dare un maggior ruolo all’acqua, così come richiesto da una diffusa nuova sensibilità. Molte cose sembrano andare in questa in direzione, ad esempio la ritrovata attenzione alla rete di navigli lombardi, i progetti di recupero di ambiti particolari legati all’acqua – la Darsena a Milano ne è solo un esempio – la considerazione del corso dei fiumi come risorsa naturale da valorizzare attraverso un’economia ad essa relativa, il riconoscimento del ruolo dei parchi fluviali. Molto altro sembra ancora da fare. Scopo quindi di questo numero di “AL” è quello di proporre un contributo, utile alla nostra riflessione di architetti sul particolare rapporto che l’acqua ha con il territorio lombardo, occasione di pianificazione e di architettura.


Acqua e territorio

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Nel Forum di questo numero intervengono Gianni Beltrame, professore di Urbanistica al Politecnico di Milano, Andrea Tosi, ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano e coordinatore del Master Plan dei Navigli Lombardi, Ugo Prost, Dirigente dello Staff tecnico amministrativo dell’Agenzia Interregionale per il Fiume Po. Segue un’antologia di riflessioni sull’acqua dalle opere di Claudio Magris, germanista, critico e romanziere. Infine, pubblichiamo una rassegna di proposte formative post-lauream dedicate al complesso rapporto acqua-territorio. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.

Guardando scorrere l’acqua dei Navigli di Gianni Beltrame

Raccogliersi a meditare in riva a un fiume, o anche sul bordo di un canale, guardando lo scorrere delle acque e riflettendo sul fluire delle cose, del tempo e del loro vago e incerto futuro costituisce sempre un’esperienza che, oltre ad arricchirci e renderci più consapevoli, ci consente anche di riflettere su quelle domande di fondo e “di tempo lungo” sulle quali non sempre meditiamo a sufficienza. Nel noto disegno a penna di Leonardo da Vinci (Vecchio di profilo, R. L. 12579, databile 1513) si vede la figura di un vecchio – che molti pensano essere un autoritratto – che medita, evidentemente di cose d’idraulica, in riva a un fiume. Un’immagine nella quale Leonardo vuole forse rappresentare se stesso come un “vecchio” saggio che non smette mai di meditare, di riflettere e di tentare di spiegare “scientificamente” le meraviglie e le ragioni di ogni fenomeno della natura. Viene subito da pensare sia al Leonardo precursore e fondatore della scienza idraulica, autore Del moto e della misura delle acque, sempre alla ricerca delle spiegazioni e delle leggi generali, che al Leonardo sempre teso a spiegare ogni altro fenomeno particolare o apparentemente di dettaglio come, in questo caso, il problema della formazione e del moto dei “vortici” e dei mulinelli che il disegno, volutamente, evidenzia nel suo lato destro. Anche a noi, seduti sul bordo di un canale, capita di riflettere, ben più modestamente s’intende, su un tema, generale e particolare, di acque, ovvero sul passato e sul futuro dei Navigli milanesi e delle relative vicende passate e in corso. Il primo interrogativo che ci porta quest’acqua che scorre riguarda una domanda di fondo sul futuro dei Navigli. Si riuscirà veramente a raggiungere quell’obiettivo tanto dichiarato e propagandato – e in tempo, prima che il loro rapido e progressivo decadimento quotidiano non ce li faccia perdere del tutto – della loro conservazione, riqualificazione e recupero per nuovi e compatibili usi? Sapranno la Regione, gli enti locali e il neonato Ente unico di Gestione, affrontare, programmare e realizzare tutte quelle complesse e costosissime opere – potranno contare su risorse adeguate all’impegno? – che dovran-

no essere attuate? È vero che oggi esiste una diversa sensibilità generale, una maggiore consapevolezza e una più convinta adesione, anche a livello locale, all’obiettivo del recupero dell’intero “sistema” rispetto a quella dell’inizio degli anni ’80 quando la Regione presentò la sua prima proposta organica con Il sistema dei Navigli milanesi e pavesi, (a cura del Settore coordinamento per il territorio, coordinatore arch. Empio Malara, 1984, 6 voll.) cui seguì poco dopo la conseguente proposta attuativa costituita dal Progetto Navigli del 1985. Ed è anche vero che sono ormai molti che attribuiscono oggi al “sistema” artificiale dei Navigli un valore di “monumento” storico, culturale e paesistico che sicuramente anche Goethe non avrebbe esitato a riconoscere come un alto esempio di “seconda natura che opera a fini civili”. Ma è anche vero che il primo programma regionale è fallito nel suo maggiore intento e che la stessa Regione non vuole neppure ricordarlo. Così come è anche vero che è ancora da capire quale sarà l’effettiva adesione della Regione al suo recente Master Plan, ancora tutto da definire e da adottare – si spera in Consiglio – come piano compiuto e come programma. Un’altra riflessione viene alla mente guardando scorrere queste acque. Caduta ormai del tutto ogni illusione di un possibile recupero dei Navigli ai fini del trasporto di merci pesanti, l’idea forte ed emergente è oggi quella di pensare a un loro riutilizzo – nuovo uso non solo compatibile ma dovuto – ai fini di una navigazione da diporto e per il tempo libero, capace di attivare e potenziare diverse funzioni e attività, dal collegamento con i diversi parchi fluviali regionali (Ticino e Adda, in primo luogo) sino al riutilizzo e alla valorizzazione di quell’enorme patrimonio di architetture, ville e monumenti e giardini connessi e allineati lungo i diversi rami. Verranno messi a disposizione, si troveranno, tutti quei fondi necessari per ricostruire e riattivare tutte le numerose conche – comprese quelle sul Ticino – rese oggi inutilizzabili dal degrado e dall’incuria? E sarà restituita l’acqua, oltre alle conche, al povero Naviglio di Paderno al quale, ormai da troppo tempo, è stata sottratta? Ci si pone, infine, un’ultima domanda. Dove, come, quanto e con quali indirizzi e regole l’attività edilizia privata – alla quale la recente legge regionale “Legge per il governo del territorio” lascia enormi spazi di comando, di iniziativa e di potere sulla gestione effettiva del territorio, mentre, per contro, il ruolo della pianificazione pubblica viene sempre più compresso e indebolito – saprà intervenire su questo unico e delicatissimo ambito storico, paesistico e territoriale? Basterà una sommatoria di “atti negoziali” sparsi a garantire la qualità degli interventi? A questo proposito, che fine ha fatto quella elementare ma sana norma che, per evitare i pericoli e i danni di un’edificazione a ridosso delle sponde dei canali, imponeva una “fascia di rispetto” di 100 metri (Art. 39 della Legge 51/75, norma transitoria che purtroppo è rimasta


Carta della Pieve di Rosate, Milano, Archivio della Curia Arcivescovile (da: C. Pirovano, op.cit.).

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Carta della Pieve di Lecco, 1608, Milano, Archivio della Curia Arcivescovile (da: C. Pirovano, op.cit.).

Agenzia Interregionale per il Po di Ugo Prost

L’Agenzia Interregionale per il Po (A.I.Po), è l’ente strumentale istituito dalle Regioni attraversate dal fiume Po (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) per l’espletamento delle funzioni in materia idraulica loro attribuite in forza dell’Art. 89 del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Essa costituisce la prima realtà territoriale attuata nell’ambito del federalismo amministrativo essendole state conferite, in base ad uno specifico Accordo Costitutivo, cui hanno aderito le quattro predette Regioni, tutte le competenze amministrative e territoriali e con esse lo svolgimento delle attività fondamentali, che possono riassumersi essenzialmente: nella progettazione e nella gestione tecnico-amministrativa degli interventi che interessano i corsi d’acqua, su cui insistono opere idrauliche classificate nella prima, seconda e terza categoria; nell’espletamento dei compiti di Polizia Idraulica di cui al Testo Unico sulle opere idrauliche; nell’organizzazione del Servizio di Piena lungo i tratti dei corsi d’acqua dotati di arginature classificate nella prima, nella seconda e nella terza categoria. Sotto il profilo organizzativo, la struttura è retta da un Direttore Generale, che si rapporta con il Comitato di Indirizzo, costituito dai quattro assessori regionali competenti quale organo che trasferisce all’Agenzia le linee guida della predetta attività; il controllo degli atti è demandato ad un Collegio di Revisori. Sul territorio l’Agenzia è articolata in dodici uffici territoriali (Torino, Alessandria, Pavia, Milano, Piacenza, Cremona, Mantova, Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Ferrara e Rovigo), dislocati sulla base di criteri essenzialmente tecnici connessi alla gestione delle opere e del servizio di piena, più una Sede Centrale, a Parma, nella quale sono svolte tutte le funzioni di coordinamento tecnico ed amministrativo. Lungi dal costituire una realtà autoreferenziale, l’Agenzia opera in continuo raccordo con tutti gli enti istituzionali e le realtà associative, sia di livello nazionale che di livello locale: i programmi triennali ed annuali di intervento, ad esempio, oltre a procedere da una ripartizione delle risorse operata dal Comitato di Indirizzo, conforme quindi agli intendimenti delle Regioni titolari delle competenze, vengono poi messi a punto su proposta degli uffici territoriali, i quali a loro volta sono tenuti a sentire le Province, i

Comuni e le realtà associative locali nel formulare le scelte attinenti le priorità e le modalità esecutive. In armonia con le leggi nazionali vigenti in materia di difesa del suolo, tutti gli interventi e le opere debbono in ogni caso essere conformi alle previsioni del Piano di Assetto Idrogeologico predisposto ed aggiornato dall’Autorità di Bacino per il fiume Po, che è l’organismo nazionale preposto alla pianificazione interdisciplinare delle attività, non solo idrauliche ma anche urbanistiche ed infrastrutturali, da attuare nell’ambito dell’intero bacino del Po. L’Agenzia partecipa quindi alla pianificazione, insieme con tutte le altre istituzioni nazionali e locali, nell’ambito delle Commissioni istituite in seno all’Autorità di Bacino e, per quanto concerne il settore idraulico, ne gestisce l’attuazione, dalla progettazione al collaudo, avvalendosi del loro apporto, ma anche rendendo conto a tutte le realtà locali interessate: queste vengono infatti coinvolte sistematicamente almeno in due momenti, nella predisposizione dei progetti, allorché i funzionari e i tecnici incaricati si recano sul posto per le attività tecniche e per la messa a punto delle linee progettuali e nell’esame dei progetti e delle altre proposte di intervento attraverso la partecipazione al Comitato Tecnico di Consultazione, che assiste il Direttore attraverso i propri pareri, resi in occasione di sedute a cadenza mensile. Particolarmente delicato è il procedimento per l’accertamento della compatibilità ambientale degli interventi, che ha luogo in conformità al Regolamento nazionale n. 490 del 29 ottobre 1999 ed alle disposizioni, spesso di delega ai Comuni, che le varie Regioni hanno emanato per l’esercizio delle competenze loro delegate già dalla Legge 431 del 1985. Ne scaturisce una stretta collaborazione con le Amministrazioni locali già dalla fase dell’approccio progettuale fermo restando alle Soprintendenze per i Beni Ambientali il potere di annullare o modificare le autorizzazioni rilasciate in materia dagli organi locali. Per i lavori di manutenzione, a ogni buon conto, sono consentite semplificazioni volte ad assicurare quelle esigenze di sicurezza e di efficacia che costituiscono il presupposto degli interventi stessi. È auspicabile che tali semplificazioni possano essere estese a quei progetti che riguardino attività, delle quali sia stata preventivamente accertata la conformità a studi di pianificazione di rango superiore, come il Piano di Assetto Idrogeologico; nella messa a punto di quest’ultimo intervengono infatti tutte le Amministrazioni centrali e locali aventi competenza in materia ambientale, per cui appare oggettivamente superfluo sottoporre a un nuovo procedimento autorizzativo un intervento la cui compatibilità è già stata apprezzata in sede di pianificazione. L’Agenzia intende inoltre, in prospettiva, superare il tradizionale ruolo tecnico-esecutivo che è stato fin qui riservato agli organi incaricati dell’attuazione dei programmi, ma vuole proporsi come soggetto qualificato, non soltanto sotto il profilo ingegneristico e contabile, per una

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valida sino al 1989 ma non più rinnovata) dalle sponde dei Navigli, ora che la Legge n. 51/75 è stata abrogata e la nuova Legge regionale non ne parla? È del tutto chiaro che, in questo clima politico-culturale, desta anche non poche preoccupazioni l’idea del lancio, come è già stato proposto, di un Piano d’Area dei Navigli. Scorrono ancora le acque e portano con sé altri pensieri, altri dubbi, altri interrogativi...


Pieve di Olgiate Olona, Milano, Archivio della Curia Arcivescovile (da: C. Pirovano, a cura di, Lombardia. Il territorio, l’ambiente, il paesaggio, Volume terzo, Electa, Milano,1982).

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Raffigurazione della Lombardia, di Giovanni Pesato, Biblioteca comunale di Treviso (da: P. Tozzi, op.cit.).

valutazione delle azioni nell’ambito fluviale, che non sia meramente quella dell’efficacia sotto il profilo della sicurezza dagli eventi idraulici, ma possa estendersi, ad esempio, alla valutazione delle esigenze di rilocalizzazione dei beni esposti agli eventi idraulici all’interno delle fasce fluviali. Un primo passo in direzione di quest’ottica innovativa è stato il conferimento di incarichi di studio ai maggiori Istituti universitari presenti nel bacino e nelle regioni limitrofe, nonché la stipula di convenzioni con il C.N.R. e con il Gruppo Nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche. Nella prospettiva di tale ampliamento dei propri interessi e del proprio coinvolgimento istituzionale, l’Agenzia si è poi recentemente arricchita di nuovi soggetti dirigenziali, professionalmente qualificati con lauree in architettura, geologia e biologia, ampliando il patrimonio tecnico e culturale tradizionale. Senza nulla disconoscere al valore del patrimonio tecnico di tipo ingegneristico, si avverte infatti l’esigenza di un

arricchimento quale può essere recato solo dall’innesto di una più vasta gamma di apporti professionali, esigenza tanto più sentita ove si consideri che gli attuali strumenti di pianificazione, nell’ambito dei quali l’Agenzia è oggi chiamata a operare e a progettare, come il sopra menzionato Piano di Assetto Idrogeologico, hanno appunto carattere interdisciplinare, dovendo necessariamente contemperare, insieme alle esigenze imprescindibili della sicurezza idraulica propriamente detta, istanze di tipo urbanistico, profili di tutela ambientale e aspetti afferenti la qualità delle acque anche ai fini della salvaguardia della biodiversità e del recupero in senso naturalistico del patrimonio botanico e zoologico. Per conseguire un così profondo mutamento nella cultura dell’Istituto, le figure dirigenziali andranno affiancate e supportate, previa l’adesione del Comitato di Indirizzo al nuovo modello dell’Ente, da soggetti operativi qualificati anch’essi portatori di conoscenze e di esperienze non più circoscritte nei tradizionali confini culturali.


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Codice Palatino Latino 1933 3r, 1334-36 circa, Biblioteca Apostolica Vaticana (da: P. Tozzi, Il libro del Po. Storie di acque, di terre, di uomini, Edizioni New Press, Como, 1993).

Un processo di rilancio dei Navigli milanesi L’abbandono della funzionalità nautica lungo le aste dei Navigli ha incoraggiato la tendenza al degrado seguito e pavesi di Andrea Tosi

Le esigenze di riqualificazione e di adeguata fruizione del Sistema Navigli Con la copertura della Cerchia dei Navigli di Milano avvenuta nel 1929-30 si è avviato in termini di accentuata accelerazione il processo di degrado urbano del Sistema dei Navigli Milanesi e Pavesi, che nella Cerchia medesima trovavano siti di straordinario fascino. Oltre che la cerniera fra i Navigli occidentali (Naviglio Grande, Naviglio Pavese e Naviglio di Bereguardo) e quelli orientali (Naviglio Martesana e Naviglio di Paderno) Milano ha perduto l’occasione di continuare a essere un’affascinante città d’acqua come ci ricordano le foto d’epoca che testimoniano quali luoghi di eccezionale bellezza siano stati cancellati.

dall’esaurirsi all’inizio degli anni Sessanta dell’uso dei barconi per il trasposto di merci. Le amministrazioni istituzionali dei decenni successivi erano riuscite a promuovere pregevoli studi e ricerche senza che però si traducessero in rilevanti iniziative operative. Bisognerà attendere l’inizio del Duemila per assistere a un inedito interesse per questi corsi d’acqua artificiali assolutamente unici in Europa per il loro pregio storico/architettonico/paesaggistico, con le iniziative della Regione Lombardia che ha dato corso a un processo molto incisivo di riqualificazione dell’intero sistema. Da questo rinnovato interesse è sorta l’esigenza di dar corso alla realizzazione di due strumenti essenziali per il processo di riqualificazione: il primo è rappresentato dal Master Plan dei Navigli lombardi, frutto di una convenzione fra Regione Lombardia e Politecnico di Milano che


G. Antonio Pessina, Possessioni dei Canonici Lateranensi attorno al Naviglio Grande all’altezza di Bernate, Milano, Archivio di Stato (da: C. Pirovano, op.cit.).

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Particolare della Carta della Provincia di Lumellina, Archivio di Stato di Torino, (da: P. Tozzi, op.cit.).


Il tema centrale della fruizione delle risorse Il progetto ha consentito di accrescere sia la consapevolezza da parte delle Amministrazioni locali dei Navigli della qualità delle risorse storico-architettoniche, ambientali disponibili, sia l’esigenza espressa di rendere più efficace la fruizione di tali risorse che appaiono sotto utilizzate e quindi postulano obiettivi d’incremento della promozione e valorizzazione. Di conseguenza il Master Plan ha sviluppato un’attenzione prioritaria e privilegiata per gli interventi finalizzati a politiche di miglioramento dell’accessibilità sostenibile del Sistema Navigli. In particolare sono stati avviati progetti mirati al recupero della navigabilità e al miglioramento della percorribilità ciclopedonale sia delle alzaie, sia delle reti omologhe a esse integrate. A tale scopo si è dato corso alla realizzazione – in corso – di un sistema di approdi per il tratto del Naviglio Gran-

de fra Abbiategrasso e Castelletto di Cuggiono che consentirà la navigabilità di uno degli ambiti dell’intero sistema più affascinanti, per presenze naturalistiche e storico/architettoniche, sperimentando (dopo gli studi di fattibilità di costruzioni idrauliche) l’uso di natanti collettivi in grado di rispondere a esigenze di pacchetti turistici e di utenze scolastiche. Con il recupero delle due conche sul Naviglio Pavese, la Conchetta e la Conca Fallata, si è posta inoltre la premessa per sperimentare come funzionavano “gli ascensori d’acqua”, consentendo di praticare il tratto della Darsena di Milano fino al ponte a raso di Assago. Qui ha inizio la ciclopista che si sta attivando in termini di sistema con il concorso della Regione Lombardia e delle due Province di Milano e Pavia, che consentirà il percorso ciclabile fino a Pavia. I progetti pilota da diffondere ed esportare Le condizioni di generalizzata precarietà del sistema spondale dei Navigli ha suggerito l’elaborazione di progetti/interventi esemplari aventi lo scopo di rappresentare proposte pilota metodologicamente innovative e tali da essere esportate e sviluppate in situazioni di contesti similari. Appartengono a questa tipologia, da un lato gli interventi di restauro/recupero di tratti consistenti dei muri spondali dei Navigli milanesi preceduti da analisi materiche, stratigrafiche e del degrado in grado di fornire gli elementi informativi fondamentali di cui le fasi progettuali si sono avvalse. D’altro lato gli interventi di consolidamento statico delle sponde sono stati preceduti da un complesso sistematico di carotaggi, prove non distruttive soniche e di georadar in grado di restituire le caratteristiche fisico/materiche dei manufatti spondali al cui recupero statico sono stati avviati gli interventi di consolidamento dei terreni a monte delle strutture spondali. Va segnalata in proposito la stretta integrazione collaborativa delle due tipologie di intervento che ha garantito la possibilità di addebitare ai paramenti murari alleggeriti dalle spinte del terreno operazioni restaurative gravate del solo peso proprio, mentre l’assorbimento dei carichi provenienti dalle alzaie poteva essere assunto dagli interventi di rassodamento dei terreni spondali. La riqualificazione del territorio rurale A questa tipologia di approccio è riconducibile una vasta gamma di interventi finalizzati alla riqualificazione del territorio rurale. Le iniziative corrispondenti sono partite dalla circostanza che l’area rurale dei Navigli è quasi integralmente compresa nell’ambito di tre parchi regionali (Agricolo Sud Milano, del Ticino e dell’Adda Nord). Tale specificità ha suggerito la promozione di uno spazio all’agricoltura meno divorziata dall’ambiente e meno denaturalizzata di quanto viene imposto dalla dominanza omologante e banalizzante delle monoculture di mais e riso. Si sono estratti, d’intesa con le organizzazioni degli agricoltori e contattando gli stessi imprenditori agricoli, alcuni significativi campioni di aree appartenenti a Comuni

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coinvolgendo la Bocconi e le Università Statali di Milano, Pavia e Bergamo ha consentito di costruire una cornice di riflessione di tutto un sistema di competenze pluridisciplinari finalizzate a individuare gli interventi prioritari concreti da adottare per il riscatto dell’ecosistema dei Navigli. Questo progetto, che non ha precedenti nel nostro contesto territoriale, si è sviluppato con una valenza operativa e si contrappone a una visione generica e astratta che ha rappresentato probabilmente il limite delle precedenti politiche regionali sui Navigli rivelatesi di debolissima efficacia. Il secondo strumento attivato è quello che tiene conto della congerie di soggetti che hanno attualmente competenze sui Navigli lombardi. Questa situazione genera confusione, sovrapposizione e incertezza di competenze e dequalificata organizzazione gestionale del sistema. Per fornire una decisa inversione di tendenza a questa situazione di “sofferenza” dei Navigli è stato istituito un ente unico per i navigli lombardi (la Società Consortile Navigli s.c.a.r.l.) cui partecipano oltre alla Regione Lombardia i Comuni, le Province e le Camere di Commercio di Milano e Pavia, cui hanno già aderito altri trenta comuni minori. Una sorta di authority che ha precedenti illustri, ad esempio l’authority del Tamigi, e che si è strutturata su princìpi di autonomia economica, provvedendo alla revisione di tutto il sistema delle concessioni d’acqua e dei relativi introiti tariffari. Una delle caratteristiche inedite del percorso analisi/interventi è stata la capacità di coniugare in termini di ravvicinata contestualità temporale il momento progettuale e quello dell’attuazione degli interventi; si è in tal modo registrata una svolta radicale rispetto alle precedenti carenze ataviche che avevano lasciato il sistema Navigli in condizioni di abbandono inammissibili a fronte della qualità delle risorse storico/architettonico/naturalistiche dei territori di pertinenza. Così da poter contare in un triennio su finanziamenti realizzati per quaranta milioni di euro per la valorizzazione del sistema contro circa due milioni delle gestioni precedenti.


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Antica ansa relitta del Po, di Monticelli Pavese, Archivio di Stato di Parma (da: P. Tozzi, op.cit.).

Ansa relitta del Po, di Monticelli Pavese, Archivio di Stato di Parma (da: P. Tozzi, op.cit.).

rappresentativi delle diverse situazioni del Sistema Navigli dove era possibile progettare impianti di fasce tampone boscate. Questi consentono di dar corso: a miglioramenti paesaggistici e ambientali, ad azioni depurative del reticolo idrografico minore superficiale e subsuperficiale spesso assai degradato, a produzioni di biomasse a scopo energetico. Collocando gli impianti in posizioni tali da evitare qualunque disturbo delle attività agricole, si è calcolato che è possibile ottenere una imponente dimensione della fasce lineari impiantabili nell’area dei Navigli. Sempre in tema di riqualificazione dello spazio rurale la competenza della biologia vegetale del Master Plan ha sviluppato un’ipotesi di rete ecologica polifunzionale (con particolare riferimento all’area campione Martesana/Adda) costituita da elementi lineari (corridoi ecologici e varchi di connessione) e areali articolati in relazione alla loro diversa qualità ambientale.

comune di Milano ha consentito di varare il Concorso Internazionale di Progettazione per la sistemazione dell’area della Darsena. Area con forte valenza simbolica e di rilevante centralità urbana, densa di essenziali presenze storiche e architettoniche per la città. Il collegamento della Darsena con la Conca di Viarenna ha restituito alla città un rapporto d’acqua essenziale per la sua memoria storica così come l’ampliamento del bacino verso piazza Cantore e verso piazza XXIV Maggio dove l’arco del Cagnola riacquista il ruolo di ponte sull’acqua di ingresso alla città.

Il concorso internazionale per l’area della Darsena Un accordo di programma fra la Regione Lombardia e il

Il processo in atto rappresenta, in definitiva, oltre che un’operazione di restauro e riabilitazione di un sistema di manufatti di rilevanza storica unica in Europa, un vasto impegno per costruire una rete di siti ambientali in cui si possa operare un uso integrato di risorse naturali e culturali che consentiranno uno sviluppo del tempo libero in controtendenza con i processi di degrado degli spazi urbani e rurali cui stiamo purtroppo assistendo con scarsissima capacità reattiva.


Danubio è un viaggio che attraversa la Mitteleuropa continentale, tutta quella cultura barricata e incappottata, amandola e vivendola profondamente, ma incalzato anche da una grande nostalgia del mare. Il viaggio danubiano si conclude infatti “in tel grando mar”, nel mare e, idealmente, nella poesia di Marin, grande cantore acquatico, che scandisce l’ultima riga del mio libro. Il mare, per me, è dunque anzitutto il mare concreto, fisico. Ma è anche un mare di carta, il mare ricreato e reinventato dalla grande letteratura; i due mari si compenetrano e si integrano a vicenda, l’uno non potrebbe esistere senza l’altro e quest’ultimo non sarebbe così pieno di senso e significato se non esistessero quelle parole, che sono nate da lui e che insieme lo fanno nascere. (C. Magris, C’è di mezzo il mare, in “Nuova Antologia”, n. 2217, gennaio-marzo 2001) Ricordo il giorno in cui ho avuto la prima idea di scrivere Danubio. Mi trovavo, con Marisa e alcuni amici, da qualche parte tra Vienna e Bratislava, vicino alla frontiera slovacca, in uno splendido pomeriggio di settembre. Nel paesaggio che ci circondava era difficile distinguere il brillio delle onde del Danubio da quello delle foglie d’erba nelle cosiddette Donauauen; non era facile indicare precisamente dove e che cosa fosse il Danubio – e credo che questa incertezza, in chiave ironica e simbolica, abbia una grande importanza nel mio libro. Avevamo il sentimento di essere in armonia con quel brillio, con lo scorrere di quelle acque, col fluire della vita. D’improvviso, ho visto un’insegna, con una freccia: Museo del Danubio. Forse quello è il Danubio soltanto perché la scritta lo chiama così? – ci siamo chiesti. E quei prati sono anch’essi il Danubio? E noi, in questo momento quasi felice che stiamo vivendo, siamo forse, senza accorgercene, anche noi elementi di un museo, di una qualche esposizione? E allora ecco la domanda grottesca: perché non andare avanti, vagabondando e bighellonando, sino al Mar Nero? E così sono cominciati quattro anni di viaggi, scrittura, lettura, vagabondaggi, riscrittura, riflessioni, dopo i venti o venticinque anni già prima impiegati nell’analisi, nello studio e nell’interpretazione di parte di quel mondo, ma non della sua narrazione e rappresentazione, come accade in Danubio. (C. Magris, Danubio e post-Danubio, in “Rivista di studi ungheresi”, n. 7, 1992, pp. 23) Il titolo del mio libro è Danubio, non il Danubio; talvolta

non mi è stato facile convincere alcuni editori, nei diversi paesi in cui il libro è stato tradotto, a rinunciare a quell’articolo. Quell’articolo mancante credo sia una definizione del libro. Non è “Il Danubio”, non è un libro sul fiume, sulla geografia e nemmeno sulla storia, o almeno non soltanto questo. Danubio è una metafora delle complessità, della contraddittoria pluristratificazione dell’identità contemporanea, di ogni identità, perché il Danubio è un fiume che non si identifica soltanto con un popolo, con una cultura, bensì scorre attraverso tanti paesi diversi, tanti popoli, nazioni, culture, lingue, tradizioni, frontiere, sistemi politici e sociali. Nel libro ci sono molti personaggi che non sanno esattamente a quale nazionalità appartengono, che sanno definirsi soltanto per negazione, che sanno soltanto dire ciò che essi non sono. (C. Magris, Danubio e post-Danubio, in “Rivista di studi ungheresi”, n. 7, 1992, p. 23) Danubio è una mescolanza di fantasia e di realtà. Tutti i particolari descritti sono spesso colti dalla realtà con una precisione meticolosa e idiosincratica, ma la fantasia li connette in un nuovo montaggio, in una struttura immaginaria che conferisce loro un altro significato. Il viaggiatore descrive questo mondo e finisce per riconoscervi un rispecchio, come quel pittore in un racconto di Borges, che dipinge paesaggi, monti mari e fiumi, e alla fine si accorge di aver dipinto il suo ritratto, perché la sua personalità consiste nel suo rapporto col mondo, nel modo in cui egli vede e sente il mondo. (C. Magris, Danubio e post-Danubio, in “Rivista di studi ungheresi”, n. 7, 1992, p. 27) Il Breviario mediterraneo è un racconto, un racconto che fa parlare la realtà e innesta perfettamente la cultura nella evocazione fantastica. Probabilmente oggi questo è il genere più vivo e fecondo della letteratura, almeno di quella narrativa; tanto più vivo e poetico dei “romanzi” che ci raccontano come e perché il signor X ha fortuna o sfortuna con la signora Y. Da potamologo che, nel Danubio, ha detto soprattutto la grande nostalgia del mare, e in particolare dell’Adriatico, invidio fraternamente il talassologo Matvejevic e sono felice che il Danubio sfoci nel mare – anche se, purtroppo, nel Mar Nero e non nel Mediterraneo. (C. Magris, Per una filologia del mare, prefazione a Pedrag Matvejevic, Breviario Mediterraneo, Hefti, Milano, 1987, p. 4)

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Claudio Magris e l’acqua


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Post-lauream DIFESA E MANUTENZIONE DEL TERRITORIO (Master I livello – 60 CFU) Università degli Studi di Padova, Facoltà di Agraria – Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali Durata: 11.1.2005 – 9.9.2005 Informazioni: tel: 0498272680 e-mail: master.dmt@unipd.it sito web: www.tesaf.unipd.it/dmt Direttore del corso: Sergio Fattorelli Collegio docenti: S. Fattorelli, G. Della Fontana, M. Lenzi, M. Borga, V. D’Agostino, S. Silvano, C. Fernandez-Jauregui, F. Cazorzi, M. Soldati Progetto formativo: Il master è rivolto a laureati in Architettura, Ingegneria, Agraria, Geologia o Scienze Ambientali e Naturali ed è orientato a fornire competenze e strumenti necessari ad operare efficacemente nell’ambito delle strategie di valutazione e mitigazione del rischio idrogeologico, al fine della preparazione e realizzazione dei progetti di difesa e manutenzione del territorio, in un contesto ecosostenibile. L’obiettivo è formare figure professionali capaci di operare nel contesto della preparazione di piani e programmi di previsione e prevenzione del rischio alluvionale e da frana. La didattica prevede 410 ore di lavoro suddivise tra lezioni frontali, Case Studies e Project Works incentrati su tecniche di ingegneria naturalistica, geologia applicata, idraulica agraria e topografia. GESTIONE E DIFESA DEL TERRITORIO (Master I livello – 60 CFU) Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Agraria – Dipartimento di Ingegneria Agraria e Agronomia del Territorio Durata: febbraio – luglio 2005 Informazioni: tel: 0812539133 e-mail: nunzio.romano@unina.it sito web: www.agraria.unina.it/didattica /master/masterGTD Direttore del corso: Nunzio Romano Collegio docenti: Commissione didattica: N. Romano, S. Mazzoleni, F. Terribile, G. B. Chirico, G. Di Pasquale, G. Urciuoli

Progetto formativo: Gli allievi del master acquisiranno le competenze e le tecniche necessarie per una corretta gestione del territorio collinare e montano, al fine di prevedere e prevenire rischi di degrado ambientale. Il master è rivolto a Architetti, Ingegneri e laureati in Scienze Agrarie, Forestali, Ambientali, Naturali o Geologiche. Le attività formative sono strutturate in quattro moduli dedicati alla descrizione dei sistemi geografici e geologici, agli aspetti funzionali di idrologia e meccanica dei suoli, alle tecniche di intervento ed alla gestione integrata dei sistemi informativi territoriali. GOVERNO DEL TERRITORIO E DELLE RISORSE FISICHE (Master II livello – 67 CFU) Politecnico di Milano, Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale e Facoltà di Architettura e Società – Centro per lo Sviluppo del Polo di Cremona Durata: 28.2.2005 – 28.2.2006 Informazioni: tel: 0372567711 e-mail: master@cremona.polimi.it sito web: www.cremona.polimi.it/msa Direttore del corso: Pier Luigi Paolillo Collegio docenti: P. L. Paolillo, E. Larcan, C. Maffezzoni, E. Orsi, S. Loffi Progetto formativo: Il master proposto ad ingegneri, architetti, agronomi, geologi e laureati in scienze ambientali intende formare profili con competenza specifica sui temi della conservazione del territorio agricolo e forestale, della gestione idrica e dell’analisi degli interventi mirati al miglior impiego delle risorse suolo e acqua, nel quadro di uno sviluppo sostenibile. Oltre alle 460 ore di attività didattica frontale (scienze idrauliche, idrogeologiche e ambientali, scienze e ingegneria del territorio, scienze del suolo e dell’agricoltura) il percorso formativo prevede 60 ore di laboratorio e 280 ore di tirocinio presso Enti di servizi all’Agricoltura, Arpa Lombardia, Consorzi di bonifica e irrigazione o grandi aziende agricole e studi professionali. ARCHITETTURA DEL PAESAGGIO AGRICOLO. CASI EMBLEMATICI DELLA TRASFORMAZIONE DEL TERRITORIO (Master di II livello – 60 CFU) Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura Civile e Facoltà di Architettura e Società (Sede di Piacenza)

Durata: 22.11.2004 – 20.11.2005 Informazioni: tel: 0523316875 e-mail: mariagloria.fontana@ceda.polimi.it sito web: www.sede-piacenza.polimi.it Direttore del corso: Rosaldo Bonicalzi Collegio docenti: S. Consonni, C. Macchi Cassia, A. Torricelli, D. Pandakovic, G. Tacchini, C. Ponzino, E. Frazzi Progetto Formativo: Il master rivolto ad architetti, pianificatori, ingegneri ed agronomi ha come ambito di indagine analitica e progettuale la Valle del fiume Trebbia, il cui percorso, attraverso l’Appennino Piacentino sino alla confluenza con il Po, opera una sezione sul territorio in grado di metterne in luce i differenti caratteri che ne identificano il paesaggio. L’individuazione, la comprensione e la precisazione dei differenti modi di costruzione dell’identità dei luoghi è l’obiettivo che le diverse discipline di insegnamento presenti all’interno delle 700 ore didattiche perseguono, ognuna attraverso i propri, specifici strumenti di indagine conoscitiva. TECNICHE PER LA PROGETTAZIONE E VALUTAZIONE AMBIENTALE (Master II livello – 60 CFU) Politecnico di Torino – COREP Consorzio per la Ricerca e l’Educazione Permanente Durata: ottobre 2004 – ottobre 2005 Informazioni: tel: 0115645107 e-mail: formazione@corep.it sito web: www.formazione.corep.it Direttore del corso: Evasio Lavagno Collegio docenti: Commissione didattica: E. Lavagno, A. Di Molfetta, G. Genon, A. Spaziante assieme ad un ampio corpo docenti del Politecnico di Torino e ad alcuni qualificati professionisti Progetto formativo: Possono accedere al master laureati in discipline tecnico-scientifiche che abbiano interesse nel maturare una figura professionale in grado non solo di porre rimedio ai danni ambientali, ma anche di progettare interventi che posseggano sin dall’inizio i necessari requisiti di sostenibilità ambientale ed economica. L’insegnamento è organizzato in moduli di formazione di base e di specializzazione da 50 ore ciascuno articolati tra lezione fron-


PROGETTAZIONE E GESTIONE DI PARCHI URBANI E FLUVIALI NELLA PIANIFICAZIONE (Master II livello 60 CFU) Università degli Studi della Basilicata, Facoltà di Agraria e Ingegneria (Sede di Matera) Durata: 22.12.2004 – 22.12.2005 Informazioni: tel: 097154412 e-mail: altaformazione@unibas.it sito web: www.altaformazioneusb.it Direttore del corso: Vito Antonio Copertino Collegio docenti: V. A. Copertino, P. Picuno, V. Telasca, G. Las Casas, G. Spilotro, C. Xiloyannis, M. Vita, P. Laureano, R. Cifarelli Progetto formativo: Il master destinato a laureati in architettura, ingegneria, agraria, scienze biologiche e naturali ha come obiettivo la formazione di figure professionali che siano in grado di operare con competenza nello specifico settore della progettazione dei parchi urbani e fluviali all’interno della pianificazione di bacini idrogeografici, facendo riferimento ad una matrice ingegneristica e di natura agronomico-forestale. Particolare attenzione sarà dedicata alla progettazione in ambito urbano e fluviale, alle opere di sistemazione di versanti e corsi d’acqua, alla salvaguardia e valorizzazione di aree naturalistiche di pregio ed al recupero di contesti degradati. La didattica è suddivisa tra lezioni frontali, seminari, esercitazioni teoriche-pratiche ed attività di stage presso aziende o istituzioni con qualificata esperienza nei settori oggetto di studio. PROGETTARE LE ACQUE NEGLI AMBIENTI INSEDIATIVI CONTEMPORANEI (Corso di perfezionamento post-lauream – 8 CFU) IUAV, Facoltà di Pianificazione del territorio – Dipartimento di Pianificazione Durata: 14.1.2005 – 25.3.2005

Informazioni: tel: 0412572168 e-mail: iuaquav@iuav.it sito web: www.iuav.it/dp/formazione/corsi /0405/IUAquaV0405.html Direttore del corso: Erich Trevisol Collegio docenti: Docenti interni allo IUAV: I. Bettini, S. Boato, R. Bruttomesso, L. Filesi, C. Magnani, G. Masè, D. Patassini, E. R. Trevisiol, M. R. Vittadini; docenti esterni: L. Altissimo, M. Angrilli, A. Armanini, B. Baldo, T. Cambruzzi, R. Cappellozza, A. Chemin, C. Diamantini, H. Dreiseitl, E. Franzin, R. Franzin, P. F. Ghetti, P. Gianoni, A. Magnaghi, A. Massarutto Progetto formativo: Il corso di specializzazione ha come obiettivo la formazione di figure professionali in grado di operare nel campo della tutela, valorizzazione e governance del patrimonio idrico nel rispetto degli equilibri naturali, degli ecosistemi e del patrimonio delle acque. L’attività didattica comprende lezioni, stage sul campo e workshop per complessive 106 ore. La sezione applicativa del corso sarà riferita soprattutto alla struttura dei vari sottobacini che caratterizzano il territorio veneto riconosciuto come una delle principali regioni anfibie dell’Unione Europea; in dettaglio i moduli didattici analizzeranno temi di gestione integrata delle risorse e dei sistemi ambientali, aspetti di ecologia del paesaggio ed ingegneria naturalistica, pianificazione territoriale, sostenibilità dei processi partecipativi ed elementi giuridico normativi. PROGETTAZIONE PAESISTICA (Dottorato di Ricerca) Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Architettura – Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio Durata: 3 anni Informazioni: tel: 055503111 e-mail: dipurb@unifi.it sito web: www.unifi.it/drprogettazionepaesistica Direttore del corso: Giulio G. Rizzo Collegio docenti: A. Boatti, A. Boggiano, C. Buffa di Perrero, G. Corsani, P. Fabbri, G. Ferrara, C. A. Garzonio, D. Palazzo, A. Peano, M. C. Treu, M. C. Zoppi Progetto formativo: La progettazione paesistica, è intesa qua-

le complesso di conoscenze culturali, storiche, semantiche, metodologiche, teoriche e tecniche che concorrono alla formazione della cultura del progetto paesistico per gli operatori chiamati a progettare, pianificare, ricuperare e riqualificare nei territori urbani ed extraurbani. La didattica è articolata su tre percorsi formativi da intendersi come linee guida per orientare le singole ricerche dei dottorandi: “Aree naturali: piano e progetto”, “Verde urbano: piano e progetto”, “Le risorse naturali del paesaggio urbano: l’acqua”. SCIENZE E METODI PER LA CITTÀ ED IL TERRITORIO EUROPEI (Dottorato di Ricerca) Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Ingegneria – Dipartimento Ingegneria Civile Sedi consorziate: IUAV, Politecnico di Bari, Università della Basilicata, Università di Trento Durata: 3 anni Informazioni: tel: 050553502 e-mail: smecte@ing.unipi.it sito web: www.ing.unipi.it Direttore del corso Silvana Lombardo Collegio docenti: S. Lombardo, V. Cutini, P. Ferrari, S. Cavezza, E. Buffoni, W. Ferri, P. L. Maffei, A. Peruginelli, R. Pierini, A. Pratelli, M. Venutelli, affiancati a docenti provenienti dalle sedi di Venezia, Bari, Basilicata, Trento, Firenze, Parigi, Londra. Leeds e Dortmund Progetto formativo: L’esigenza di integrare molteplici apporti disciplinari per la conoscenza, la gestione e il controllo dei sistemi territoriali articola il programma formativo in quattro percorsi strettamente interconnessi: “Territorio e trasporti”, “Processi insediativi”, “Sostenibilità ambientale, “Protocolli metodologici di supporto alle decisioni” e “Grandi opere”. La messa in rete delle diverse scienze è sostanziale soprattutto nel campo della sostenibilità urbana e ambientale ed a questo proposito l’attività didattica prevede un percorso iniziale articolato tra lezioni e workshop sviluppati nelle diverse sedi consorziate a cui fanno seguito insegnamenti e laboratori finalizzati a supportare e completare la formazione di ricerca dei candidati supportandone le applicazioni sperimentali. a cura di Sara Gilardelli

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tale e studio individuale e volti ad approfondire la progettazione degli interventi di difesa della qualità ambientale e la valutazione degli effetti ambientali di piani, progetti e programmi. Oltre al titolo di master gli studenti riceveranno il diploma del Network internazionale CLUSTER.


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Bergamo a cura di Antonio Cortinovis e Gabrio Rossi

L’enigma dell’acqua Narra la leggenda che Alessandro il Grande, conquistato l’Egitto, si recò nei sotterranei della piramide di Giza dove era stata ricavata la tomba di Ermete Trismegisto, il mitico fondatore della scienza degli antichi. Qui rinvenne una tavola di smeraldo su cui era inciso il segreto più importante dell’universo. L’enigmatica scrittura iniziava con la dichiarazione che “ciò che è in alto corrisponde a ciò che è in basso” e poi rivela l’essenza all’origine di tutte le cose descritta con queste misteriose parole: Suo padre è il sole, sua madre la luna, il vento la porta nel suo grembo, la terra ne è la nutrice. Essa genera le opere di meraviglia del mondo intero. Il potere di questa cosa è perfetto. Dolcemente separa la terra dal fuoco, il sottile dal denso. Ascende lentamente dalla terra ai cieli e ridiscende sulla terra riunendo in sé la forza delle cose superiori e inferiori. Il testo, riportato dagli alchimisti medievali come il più importante documento della tradizione ellenistica, era ritenuto il fondamento della loro dottrina, ma è stato tramandato senza che nessuno ne chiarisse il significato. È considerato come una delle tante elucubrazioni affascinanti, ma senza senso, che guidò l’inutile ricerca della pietra filosofale. La fondazione di un sapere dinamico che riabbracci in un continuo fluido le singole scienze riconducendole a unità è una possibilità perseguita dalla più avanzata riflessione contemporanea ed era parte integrante del sistema di pensiero degli antichi. Il filosofo ionico Talete di Mileto del VI secolo a.C, indicato da Aristotele come il primo ad elaborare le scienze fisiche, propugnava la materialità della conoscenza e la necessità di fondarla sulla base dell’unità della natura. Talete indicò come principio da cui originano tutte le cose l’acqua. Il pensatore greco è designato da molti come l’iniziatore della riflessione scientifica poiché, mentre prima di lui per motivare la creazione dell’universo si ricorreva al mito, egli spiegando l’origine del cosmo con una sostanza concreta, la riconduceva ad una base materiale e a leggi unitarie del mondo fisico. Il pensiero di Talete ha una valenza ancora maggiore. L’acqua è l’elemento più diffuso del pianeta e certamente il più inconsueto. Le caratteristiche fisiche dell’acqua sono sfruttate per tarare strumenti di misura. L’acqua lavora muovendo, sin dai tempi più antichi, le pale dei

mulini; durante la prima rivoluzione industriale il vapore permetteva alle macchine di muoversi; in un futuro ormai prossimo l’energia pulita sarà ottenuta grazie all’idrogeno. Di acqua si nutrono tutte le specie del pianeta sia che vivano nei mari o sulla terra. È attraverso la scomposizione delle molecole d’acqua svolta dai cianobatteri nei mari delle origini che si è liberato l’ossigeno e si è costituita la nostra atmosfera. Per le sue proprietà diluenti l’acqua ha sempre altre sostanze mescolate, eppure è il simbolo della purezza. È un solvente universale che può sciogliere e coagulare. Sottile e malleabile, incide la pietra e distrugge i metalli. Agisce con potenza distruttiva e con forza costruttiva. Essa agisce da termoregolatore generale: a livello planetario, con le masse e le correnti degli oceani, e alla scala dei nostri corpi, con la traspirazione e l’evaporazione sulla pelle. Il suo perenne scorrere e mutare avvolge in un ciclo vitale il mondo, dai mari all’atmosfera al sottosuolo. Contrariamente a quanto si pensa, l’acqua abbonda nell’universo. Nella nebulosa di Andromeda ne sono stati individuati grandi ammassi in forma gassosa. Sulla raccolta, la conservazione e la distribuzione idrica si basa nella storia la riuscita sia delle possenti civiltà idrauliche sia di piccole comunità a carattere locale e familiare. Potrebbe, quindi, essere proprio l’acqua la risposta alla ricerca della quintessenza segreta degli antichi. Ma non l’acqua come sostanza, infatti in quanto tale è già uno dei quattro elementi fondamentali della tradizione, cioè: aria, acqua, terra e fuoco. L’essenza cercata non è di consistenza materiale, ma costituisce un processo e un insegnamento: la meravigliosa lezione del ciclo dell’acqua. Vitruvio racconta come i faraoni nel luogo più nascosto e profondo della piramide si prostravano davanti ad un’urna piena d’acqua, il fondamento di tutte le cose (De Architectura, VIII, 4). Plutarco nel I secolo d.C. spiega come i sacerdoti egizi impastassero nel Nilo una statua di humes e incenso che veniva adornato di tutti gli attributi regali. Essa serviva a dimostrare che il neter, l’energia originaria, il principio unico della natura, non è altro che essenza di terra e acqua. Il circuito dell’acqua è il responsabile dei processi di trasformazione fisica e morfologica della terra, dell’evoluzione delle sue forme di vita e del sistema armonico di autoregolazione che mantiene le condizioni in cui è possibile la presenza umana. Costituisce la metafora di un modo di intendere la natura, in cui tutti gli elementi e gli esseri sono collegati in una griglia continua di simbiosi e di dipendenze, l’esempio fisico di un processo di uso continuo delle risorse senza scarti e sprechi, un modello esemplare di dinamiche produttive e di gestione ambientale basate sulla sostenibilità. È un ciclo vitale che la tecnologia moderna può imparare a riprodurre per fondare un nuovo paradigma di coesistenza. Alessandro Pellegrini


Como

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I mulini e le rogge molinare delle colline comasche Il territorio e il paesaggio a nord-ovest della provincia di Como è caratterizzato dalla presenza di valli fluviali, dove da sempre la forza dell’acqua è stata utilizzata per produrre energia e alimenti e dove gli strumenti principali di questa trasformazione erano i mulini e le rogge molinare. La storia del meccanismo Meccanismo molto antico il mulino: la ruota idraulica che trasforma l’energia cinetica di un corso d’acqua in energia meccanica era già usata in Cina, in Asia ed in Europa settentrionale nel I secolo a.C. Nel vecchio continente non si diffuse su scala “industriale” prima della fine del primo millennio d.C. Fino ad allora il suo uso fu limitato alla produzione agricola, ovvero a macinare cereali (grano, avena, orzo e poi malto per la birra); il basso medioevo aprì una fase di innovazione tecnica che permise di costruire, tra il X e I’XI secolo, dapprima nella Francia centrale, mulini per trattare le fibre vegetali come la canapa, per segare il legname ed anche, a partire dalla Germania meridionale, i “mulini da fabbro” per lavorare i metalli. Fino al Trecento i mulini furono costruiti prevalentemente in legno e spesso i più piccoli erano flottanti, solo dal Quattrocento si riprese a costruirli sempre in muratura. Tutti i meccanismi, dalle grandi ruote a pale agli ingranaggi interni per trasmettere il movimento, rimasero però in legno fino all’Ottocento. I Mulini nel Comasco Il “meccanismo del mulino” venne nel tempo adattato alle diverse realtà territoriali e lavorazioni e quando, dal XVI secolo, si diffuse nella valle del Po e nel Comasco la lavorazione serica, i complessi “molini da seta” dell’Emilia, del Piemonte e della Lombardia divennero famosi ed invidiati. Nel comasco, in particolare nelle valli dei Torrenti Faloppia (Ronago, Uggiate Trevano Faloppio, Drezzo), Lanza (Bizzarone, Valmorea, Cagno, Rodero), Fiume Aperto e Torrente Cosia (Como, Tavernerio), lungo il Fiume Lambro o i laghi Prealpini (vedi il mulino di Alserio) erano disseminati un gran numero di Mulini. Interessanti anche le strutture che si ritrovano ancora nella valle del Torrente Roncaglia (Valle della Motta – Coldrerio/Novazzano) nel Mendrisiotto a ridosso del confine italo svizzero. Oggi molti di essi sono andati distrutti, ma per fortuna alcuni permangono ancora in buono stato di manutenzione, con le rispettive rogge molinare, a memoria dell’attività passata e della cultura popolare del nostro territorio. Nell’economia agricola della Val Faloppia e della

Il Mulino del Trotto a Cagno (Valle del Lanza, Como).

Valle del Lanza (zona delle colline comasche a nordovest del capoluogo), ad esempio, il torrente da epoca remota (attraverso documenti storici e cabrei possiamo far risalire questa datazione fin dalla metà del ’400), ebbe un ruolo determinante per l’irrigazione del territorio, ma anche come forza motrice per i mulini che erano sorti numerosi lungo tutto il suo corso. Di rado però le ruote erano azionate direttamente dalla corrente; di solito veniva invece realizzata una derivazione artificiale, o se ne utilizzava una naturale preesistente, detta rugia o aqueductus, che portava l’acqua del fiume alla ruota. In queste valli, definite secondarie nel contesto provinciale, ma di primario valore naturalistico e storico architettonico, ritroviamo oggi Mulini ancora funzionanti o visitabili. Alcuni esempi sono: il Mulino del Trotto a Cagno (Valle del Lanza, posto in frangia al torrente e ubicato nell’omonimo parco locale d’interesse sovracomunale della Valle del Lanza) il cui edificio è conservato in ottime condizioni, anche se non più attivo, ed in parte è stato destinato a museo privato dell’attività agricola. Il Mulino del “Galet” a Drezzo (Valle Faloppia, sito lungo il Circuito Turistico della Val Faloppia realizzato dalla Associazione Val Mulini e dalla Provincia di Como, Assessorato al Turismo) è ancora pienamente funzionante, produce farina e cereali, e conserva meccanismi di macina in legno originali. Ruote e rogge Come detto, i mulini difficilmente prendevano acqua direttamente dall’alveo, per problemi di controllo delle piene; se la corrente formava rientranze o isole, queste venivano utilizzate, altrimenti si scavavano “rogge molinare” o si usavano diramazioni convenientemente allargate, per non ingombrare il letto principale e sottrarsi alle piene. Le rogge molinare portavano l’acqua del fiume alla ruota e fornivano l’energia idraulica necessaria alla rotazione dei mulini. Le ruote motrici furono i primi veri moto-

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a cura di Roberta Fasola


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ri con i quali venne utilizzata l’energia delle cadute d’acqua, andate poi in disuso a causa dell’ingombro, della piccola velocità non più rispondente alle esigenze applicative, e per il costo relativamente elevato. Si potevano distinguere due modi d’agire dell’acqua sulle ruote idrauliche motrici: l’uno è il peso dell’acqua che genera direttamente il movimento motore; nell’altro l’energia potenziale corrispondente alla caduta viene trasformata per mezzo di adatte bocche di flusso in forza viva che viene raccolta dalle pale della ruota, le quali subiscono una spinta dalI’acqua mentre ne deviano il cammino. Nella ruota di sotto, impiegata nei mulini di pianura, l’energia viene ricevuta sotto forma di forza viva; l’acqua scorre prima in una gora nella quale assume tutta la velocità che dipende dalla caduta, colpisce quindi le palette della ruota imprimendovi il moto. In Val Mulini, ad esempio, le rogge attualmente visibili sono due: la prima parte dalla Cascina Cantù (da cui prende il nome) e si snoda a sinistra del corso del Faloppia, in frangia alla provinciale SP45. La seconda, che invece scorre a destra del torrente Faloppia, serviva principalmente il Mulino Galet, l’unico ancora in parte funzionante. Il nostro territorio possiede dunque un patrimonio storico-tecnologico di sicuro valore ed interesse provinciale e regionale, che ci permette ancora di riconoscere e testimoniare le realtà storiche e culturali che hanno “costruito il paesaggio della colline comasche”, legato all’acqua. Gianfredo Mazzotta e Fabrizio Monza

Cremona a cura di Massimo Masotti

Cremona e l’acqua nascosta L’acqua è forse l’elemento più importante per la vita dell’uomo che l’ha utilizzata nel tempo per molteplici scopi: dal sostentamento alla difesa, dal trasporto delle merci ai virtuosismi artistici delle fontane. Il passaggio dell’acqua ha dato spunto all’uomo per la costruzione di manufatti di ingegneria tecnica raffinata, spesso anche di grande valore architettonico. Pensiamo, inoltre, al fascino di città attraversate dall’acqua o di quelle che sorgono direttamente sull’acqua. Cremona non è esente da questa seduzione e il fiume Po, che la lambisce, ne è il principale protagonista. Molti cremonesi solcano le sue acque, altri si limitano a contemplarne il lento ma imperioso scorrere. Le zone vicino al fiume hanno un’attrazione particolare: lungo il Po si va per correre, per una semplice passeggiata o per leggere il giornale su una panchina.

Del rapporto tra Cremona e il Po, però, è già stato detto molto. Mi sembrava più opportuno proporre, per questo articolo, una riflessione originale, legata al rapporto tra la città e l’acqua nascosta: in particolare l’acqua del sottosuolo, con la rete dei canali storici sotterranei, e l’acqua della torre dell’acquedotto costruita all’interno della Torre Civica di Palazzo Comunale. L’acqua sotto Cremona – Cremonella e Marchionis Fondata nel 218 a.C. come colonia romana e avamposto militare, Cremona sorge sulla riva sinistra del Po, al centro della Pianura Padana. Il terreno alluvionale, prevalentemente argilloso, che caratterizza la Pianura Padana ha permesso il proliferare di numerosi corsi d’acqua. Tra questi, i corsi della Cremonella e del Marchionis (detto anche Marchisana) lambivano, in epoca romana, la prima cinta muraria della città. I due canali sono oggi coperti nel loro tratto cittadino ma, recenti indagini, hanno portato alla luce numerose testimonianze del passato, come i “basoli” di granito di epoca romana, ancora presenti nelle spalle del canale Marchionis all’angolo tra via Solferino e piazza Duomo. In epoca successiva, verso l’anno 1000, venne edificata una nuova cinta muraria con annessa fossa lungo tutto il perimetro murario, a completare il sistema difensivo. Sul corso della Cremonella e del Marchionis cominciarono a sorgere, verso la metà del 1200, mulini e concerie. Si ha testimonianza anche di numerosi ponti di attraversamento, ancora in parte visibili nell’intradosso del volto che copre attualmente i corsi d’acqua. L’architettura di questi manufatti è facilmente databile in quanto assimilabile, per materiali e geometria, a quella di alcune strutture coeve in superficie. La Cremonella, a quel tempo, segnava anche il confine tra la città “Nova” e la città “Vetera”. I due canali erano deputati all’espurgo delle fogne domestiche che, insieme agli scarichi delle concerie e di altre svariate attività, andavano a determinare, con il trascorrere degli anni, condizioni igieniche sempre più precarie. Verso la fine del 1800 si diede inizio ai lavori di ripavimentazione dei canali (i reflui di scarico filtravano nel terreno e andavano ad inquinare la sottostante falda) e si cominciò a mettere mano alla loro copertura, che trovò piena esecuzione all’inizio del 1900. Nel 1912 tutti i collettori erano coperti, tranne la Fossa Civica. Recenti lavori dell’azienda municipalizzata hanno portato alla deviazione dei flussi delle acque nere verso gli impianti di depurazione, bonificando quindi le acque dei due canali. La Cremonella, anche se ha perso le originarie funzioni, svolge tuttora un importante ruolo nello smaltimento dell’acqua piovana nei periodi più piovosi. È affascinante scoprire come questi tracciati d’acqua siano una delle poche fonti di testimonianza archeologi-


L’acqua sopra Cremona – la Torre Pretoria e l’acquedotto È altrettanto avvincente scoprire gli intrecci delle reti tecnologiche tra sottosuolo e superficie. Oltre alla rete dei canali storici esiste tutta la rete fognaria, la rete dell’acquedotto e le altre reti di servizio (metano, luce, telefono, teleriscaldamento, ecc.). La maggior parte dei cremonesi non sa, ad esempio, che nella Torre Pretoria di Palazzo Comunale, tuttora oggetto di restauro conservativo, fin dagli anni ’30 del 1900 trova collocazione la torre piezometrica dell’acquedotto. La Torre Pretoria è una costruzione in muratura di oltre 42 metri di altezza e 7,5 x 7,5 metri di base, risalente alla fine dell’XI secolo. Nata come torre a cavedio libero, fu inglobata successivamente nel complesso di Palazzo Comunale e adibita a carcere della città, divisa, per questo motivo, in tanti locali sovrapposti. Tra il 1930 e il 1935, nella parte alta della torre venne realizzato il serbatoio in cemento armato della torre piezometrica, una struttura a pianta circolare con un diametro di oltre sei metri ed un’altezza di quasi dieci metri, tre dei quali inseriti nella struttura antica della torre ed i rimanenti sette sporgenti. Il “rialzo” della torre è tuttora ben visibile, in quanto il paramento di mattoni è di colore leggermente diverso da quello originale. M. M.

Lecco a cura di M. Elisabetta Ripamonti

Nuovi percorsi d’acqua Uno degli obiettivi del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale adottato nel 2004 dalla provincia di Lecco è proprio la riqualificazione delle coste e delle rive per una

Lago di Lecco.

loro miglior fruizione. Il valore dei laghi e dell’Adda rappresenta, infatti, non solo un grande patrimonio di risorsa idrica, ma ha anche valenza strategica sotto aspetti ambientali, paesaggistici, culturali e trasportistici. Il Piano di Settore delle rive lacuali, in coordinamento con la Provincia di Como, è stato impostato per stabilire criteri ed indirizzi per la progettazione e realizzazione degli interventi sul demanio lacuale. Si è creato un organismo di coordinamento: “Gestione Associata del Lario e dei Laghi minori”, ora Consorzio, che opera in materia di demanio e navigazione, e rappresenta uno strumento operativo per la messa a norma e il potenziamento dei porti turistici e la riqualificazione delle rive. “Il Consorzio – spiega il presidente Luigi Lunardi – si deve occupare della gestione di vari aspetti relativi all’utilizzo delle acque: dai posti barca all’uso delle aree demaniali. In questa prospettiva stiamo lavorando per la sottoscrizione delle convenzioni con i Comuni che si affacciano sugli specchi d’acqua delle tre Province. Al momento sono ben 64 i Comuni che aderiscono al Consorzio. Uno degli obiettivi più ambiziosi per il Consorzio resta la gestione della navigazione, altri obiettivi primari sono la creazione dei posti barca sul lago e la gestione delle aree demaniali”. Al fine di salvaguardare le sponde e le coste dei nostri laghi e dell’Adda la provincia di Lecco si è attivata giungendo ad una convenzione tra Regione Lombardia – Consorzio dell’Adda – Parco Adda Nord nel giugno 2003 per la progettazione e realizzazione di interventi per navigabilità dell’Adda dal Lago di Garlate a Paderno d’Adda. Tale proposta di navigabilità che prevede la riapertura della chiusa della conca di Vercurago presso la diga di Olginate, grazie all’utilizzo di natanti elettrici costituisce un’innovazione in ambito di trasporto pubblico in chiave turistico-didattica-ambientale. Grande attenzione è anche stata posta ai numerosi bacini presenti sul territorio provinciale: si è lavorato per la rinaturalizzazione del Lago di Annone e la rivalutazione ambientale della Palude di Brivio, per la creazione di percorsi ciclopedonali del Lago di Garlate, di Annone e di Olginate; si è creato l’Ecomuseo del Distretto dei Monti e dei Laghi Briantei. Alla fine del 2004 Focus ambiente de “Il Sole 24 Ore” pubblica i risultati dei dati raccolti da Legambiente presso la amministrazioni comunali: la città manzoniana occupa il posto più alto del podio. Legambiente definisce il lago un patrimonio da sfruttare e valorizzare per rilanciare il turismo, anche quello invernale: “Lo sfruttamento turistico di un lago – si legge – passa attraverso la sua navigabilità ma è da anni che il pontile di Lecco della Navigazione Laghi è desolatamente vuoto nella stagione fredda. Maggior attenzione ai servizi di navigazione, oltre a rilanciare il turismo, sarebbe utile ad abbattere l’inquinamento prodotto dal traffico veicolare”. Il comune di Lecco – spiega il Sindaco Lorenzo Bodega – si sta adoperando in tal senso lavorando al riordino degli ormeggi sul lungolago (si ipotizza di rimettere in

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ca direttamente visibile delle diverse epoche storiche di Cremona


Lodi

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a cura di Antonino Negrini

Il Lodigiano, terra di uomini e di acque Veduta dal Monte Barro.

acqua le vecchie lucie) e ad un nuovo porticciolo turistico, per il quale si è già in fase progettuale; il Comune sta valutando, inoltre, una soluzione che consenta la gestione di quest’ultimo tra pubblico e privato. È proprio in quest’ottica di miglior utilizzo della risorsa lago che nel 2002 prende avvio il concorso d’idee bandito dalla Gestione associata del Lario e dei Laghi Minori che ha per oggetto la realizzazione di un attracco battelli con pontile e la creazione di una zona rimessaggio sul lago di Lecco con una riqualificazione ambientale dell’area di Parè (il cui porto fu costruito negli anni ’80 in prossimità della foce del Rio Torto) e la rivalutazione della sponda lacuale in Comune di Valmadrera. Molteplici, purtroppo, sono le polemiche mosse dagli abitanti della zona al progetto vincitore dell’architetto Alfredo Gardella, scettici sull’impatto provocato dalla localizzazione del nuovo porto. Il progetto verrà probabilmente modificato in alcune sue parti. Ricordiamo che nella storia di Lecco, morfologicamente caratterizzata da una rete idrografica ricca e ben distribuita, l’acqua ha svolto un ruolo importante sia per lo sviluppo delle coltivazioni agricole che per gli insediamenti produttivi ed industriali legati prevalentemente alla lavorazione del ferro. Purtroppo si è passati da una visione strategica dei corsi d’acqua negli anni della Rivoluzione Industriale alla considerazione di questi ultimi come un impedimento allo sviluppo stesso. Il Comune di Lecco bandisce nel 2002 un concorso d’idee, dal titolo Vie d’acqua: dal lago alla montagna, con lo scopo di ricercare una soluzione in grado di valorizzare e rinaturalizzare i torrenti ed i loro relativi ambienti, quali elementi di collegamento dal lungolago all’ambito urbano ed alla montagna. Si sono richieste soluzioni per favorire la percorribilità ciclopedonale, sia a scopo locale che escursionistico e culturale, consapevoli del fatto che la tutela di tracciati preesistenti e il recupero dei tracciati abbandonati consentirebbe la riduzione della mobilità su mezzi inquinanti. Il fatto che il concorso non abbia visto un vincitore la dice lunga sulla difficoltà di gestire un tema così critico come quello legato all’acqua, elemento naturale e paesaggistico, grande risorsa da tutelare con la quale il progettista si deve rapportare cercando di valorizzarne sia l’aspetto estetico che funzionale. M. E. R.

Rogge scorrenti ci sono, fra gli alti argini, dritti – e non si sa dove vanno a finire. La terra si allarga a misura del cielo – e non si sa dove vada a finire. Pioppi e betulle di tenera fronda, accompagnan dell’acque il fluire. Ada Negri (poetessa lodigiana 1870-1945) Molti potrebbero far proprie le parole di Ada Negri, osservando rogge, filari di alberi ed antichi edifici rurali che costituiscono l’ampia distesa della campagna lodigiana. Elementi così ancorati alla memoria di chi è nato qui, da apparire naturali, eppure la loro storia è relativamente recente e ciò che appare come paesaggio naturale tale non è, ma è stato costruito dall’uomo nei secoli. “Patria artificiale, nata governando razionalmente le acque”, volendo far propria un’espressione di Lucio Gambi. Inizia nel 1000 d.C. la bonifica dei terreni acquitrinosi che costituivano il nostro territorio; ma è di un paio di secoli successivi l’impresa che modificherà l’aspetto e l’economia della campagna lodigiana. Tra il 1220 ed il 1240 inizia lo scavo della Muzza, un intervento che avrebbe innescato la costruzione di più di 70 altre grandi rogge ed una fitta e capillare rete di fossi. Ancora con orgoglio Carlo Cattaneo nel 1800 scrive “non v’è agricoltura al mondo che in così limitato spazio abbia tanta dovizia d’acque perenni, né tanta vastità di piano su cui diramarla (….) noi possiamo mostrare agli stranieri la nostra pianura tutta smossa e quasi rifatta dalle nostre mani”. Com’è mutata la campagna raccontata da Cattaneo: la piantata padana è stata ridotta a poche presenze, molte rogge e fossi sono stati intubati o incanalati, le cascine crollano, o vengono demolite. Già a partire dagli anni ’60, ’70 il territorio lodigiano è stato oggetto di attenzioni da parte di erigende centrali termoelettriche e di industrie inquinanti che, dovendo abbandonare l’area milanese, trovavano nel territorio lodigiano aree a basso costo e lontane dai controlli. Campi, canali, rogge furono coperti per far posto a centrali termoelettriche, raffinerie, industrie di vernici, ecc. Negli anni ’70 si sono insediate promettendo lavoro, per poi, molte di esse, chiudere o trasferirsi in paesi dove la manodopera costa meno ed i controlli sull’inquinamento sono minori. Così sono rimaste immense aree compromesse e da bonificare, per centinaia di milioni di euro. E ciò non è stato d’insegnamento: se una volta amministratori compiacenti erano pronti a fare varianti su varianti agli strumenti urbanistici, in virtù dell’occupazione che


queste industrie avrebbero portato, ora lo sono altrettanto, esaltando però gli introiti che i capannoni della logistica procurano, grazie agli oneri di urbanizzazione e all’ICI. Con continue modifiche ai PRG, i capannoni crescono dovunque, anche in mezzo ai campi. Insieme ai capannoni, aumentano i terreni non permeabili, l’inquinamento d’aria, campi e falde, i costi di manutenzione stradale a causa del passaggio di mezzi pesanti e i costi per la realizzazione di circonvallazioni intorno ai paesi. Costi pubblici che ricadono sui cittadini, come il danno ambientale e le malattie connesse. L’urbanistica troppo spesso viene gestita in maniera superficiale e sottovalutata nelle sue conseguenze, non sono solo quelle ambientali ed economiche; l’urbanistica infatti modifica quasi sempre irrimediabilmente il territorio. Occorre quindi avvertire il peso sociale ed il valore etico della pianificazione territoriale. Il territorio è il luogo in cui ambientiamo noi stessi, da cui fuggiamo o a cui leghiamo la nostra memoria. Di me bambino, conservo ancora il ricordo di uno sguardo che non trovava ostacoli, fino a perdersi nell’orizzonte, i giri in bicicletta, seguendo strade immaginarie che costeggiavano i fossi, le passeggiate, all’ombra dei pioppi, lungo le stradine di campagna, senza incontrare quasi automobili. Le nuove generazioni trovano difficoltà a legarsi ai ricordi del proprio passato e a collocarli geograficamente. Possedere una storia e un luogo a cui appartenere si configura come uno dei bisogni primari dell’uomo. L’uomo non cerca solo risposte ad esigenze fisiche, ma anche emotive; questi rilegge sé stesso e la propria storia riconoscendosi nei segni del quotidiano: nelle abitudini, nelle tradizioni, nei luoghi. Del nostro tempo è la perdita del concetto di luogo una volta passare da uno stato all’altro, anche solo da una provincia ad un’altra, permetteva di cogliere le diversità e contribuiva al proprio riconoscimento. L’uomo ha un bisogno biologico di potersi legare ad uno spazio e ad una cultura, “ancora oggi ciascuno, dopo il proprio nome, ha un indirizzo che, di fatto rappresenta la sua identità sul territorio” (Pier Luigi Cervellati). Oggi si stanno pagando le conseguenze degli errori di ieri e si stanno creando le premesse dei mali di domani, nell’impotenza di certe leggi urbanistiche e nell’inutilità di altre, in una situazione disordinata, in tutto simile ad un “assalto alla diligenza” delle aree verdi. È pur vero però che non si può insistere solo sul termine

Gio Gozzi

Mantova a cura di Sergio Cavalieri

Un’architettura d’acqua: il territorio mantovano Il territorio mantovano è profondamente segnato dalla presenza di corsi d’acqua, canali, fossi, fiumi, il cui governo, ancor più che il controllo del territorio, pare essere considerato la chiave di lettura per comprendere le trasformazioni territoriali più importanti di questa provincia che non ha confini territoriali precisi, definiti da emergenze naturali evidenti. L’acqua, in realtà, è ciò che lega tra loro la città, le campagne, e i fiumi che le attraversano e le collegano: viene svelato allora quale sia l’intreccio che lega tra loro la conformazione naturale del territorio e la storia degli uomini che l’hanno abitata e trasformata. Il fatto che Mantova sia ancora oggi praticamente circondata dall’acqua testimonia di per sé di come essa stessa sia a questa subalterna. È possibile leggere l’importanza dei rapporti tra acqua e terra, e di come l’acqua stessa sia percepita come elemento sempre degno di attenzione. L’acqua assume qui, più che altrove, il valore di un elemento utile alla conformazione e alla gestione del territorio stesso: l’acqua diviene allora elemento di ordine e controllo, oltre che di gestione di vaste aree di campagna. Per questo motivo l’affinamento delle conoscenze rispetto alle tecniche di regimentazione e all’ingegneria idraulica, fin dai tempi di Pitentino che ottimizzò e rese permanenti le condizioni dei laghi, si rivelarono fondamentali per poter sfruttare le potenzialità del territorio strappato alla balia delle acque. Contemporaneamente la particolare condizione geografica di Mantova, ma anche del suo territorio e della rete di canali navigabili che collegavano i centri minori alla

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Roggia a Lodivecchio.

“conservazione”, entro cui è insito un concetto di staticità che mal si accompagna con i naturali mutamenti del paesaggio, e non si può nemmeno parlare di ambiente agricolo, trascurando che esso fa parte della nostra vita in ogni sua accezione. Il movimento, il divenire e l’instabilità conseguente sono aspetti del nostro tempo, a cui nemmeno il territorio riesce, né deve essere immune. Occorre elaborare una nuova ed adeguata idea della natura e della pianificazione territoriale, che non sia strettamente contemplativa, ma tuteli il paesaggio agricolo lodigiano, conferendogli funzioni ed uno scopo.


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città, ha contribuito, nei secoli, ad accrescere l’importanza strategica di un luogo già naturalmente difeso. Il sistema di difese cinquecentesche, prima, e la complessità della rete di difese di tutto il territorio attuate dagli austriaci tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento basarono la loro efficacia proprio nella pianificazione del territorio, con la specificità di far lavorare sinergicamente i materiali geografici stessi di cui il territorio mantovano è costituito: la terra e l’acqua. Ne risulta un quadro in cui la rilevanza paesaggistico monumentale è imponente: gran parte del sistema di opere di ingegneria idraulico-militare sul territorio non trova oggi decifrabilità rispetto al paesaggio costruito. Mancano infatti percorsi e strumenti di lettura dei sistemi fortificati delle differenti epoche storiche, e gran parte delle opere di fortificazione, soprattutto quelle a più diretto contatto con la rete fluviale, basti citare il complesso del forte di Pietole, sono abbandonate. Contemporaneamente le grandi trasformazioni territoriali continuano ancora oggi: la costruzione del nuovo scalo fluviale di Valdaro sta comportando la trasformazione profonda di una parte di territorio lungo il corso del Mincio, e se da un lato l’operazione si inserisce nella storica tradizione di sfruttamento e regimentazione delle acque a fini economici e commerciali e riporta a Mantova un vero porto commerciale, dall’altro non si può non notare come l’operazione dal punto di vista paesaggistico non si preoccupi del proprio inserimento ambientale, condannando, di fatto, la parte delle sponde del fiume Mincio che dal lago Inferiore vanno fino al Po al ruolo di distretto industriale. Infatti, se negli anni Sessanta si erano scelte proprio queste sponde per l’insediamento delle raffinerie e delle industrie chimiche, sacrificando territori agricoli pregiati, e considerando la sponda del lago meno vicina alla città meno pregiata, oggi avrebbe potuto prevalere una sensibilità differente, che mirasse a creare collegamenti tra porto e città in modo da poterne garantire una maggior fruibilità anche dal punto di vista turistico. Il complesso sistema del porto rappresenta il caso emblematico di come non si siano ancora terminate di scrivere le pagine di storia urbana relative alle modalità dei rapporti tra l’acqua, la città, e il territorio: in realtà a Mantova, eccezion fatta rispetto a spinose questioni legate alla viabilità costretta a confrontarsi con la sua particolare condizione geografica dovuta alla presenza dei laghi, sembra che il rapporto con le acque a cui la città ha legato la propria storia e, in alcune epoche, la propria fortuna, passi in secondo piano. L’esigenza più diffusa sembra essere quella di un rapporto meno conflittuale tra le architetture dell’acqua e l’ambiente, proponendo una naturalizzazione progettata affinché possa integrarsi con il gusto di un paesaggio antropizzato in cui sia possibile consentire alla vegetazione una propria autonoma possibilità di sviluppo. Per questo motivo, forse, interventi di recupero e rifunzionalizzazione di cui sono state oggetto le sponde dei laghi cittadini non hanno proposto significativi interventi di ripro-

gettazione, eccezion fatta per l’interessante operazione del Campo Canoa, ma si sono limitate alla pulizia delle rive e all’inserimento di elementi di arredo da giardino pubblico. Cinzia Calanca

Milano a cura di Roberto Gamba Il Masterplan dei Navigli Lombardi – promosso dalla Regione – www.vivereinavigli.it – rappresenta la cornice di riflessione di tutto un sistema di competenze pluridisciplinari, finalizzate a individuare gli interventi da adottare per il riscatto dell’ecosistema Navigli, canali unici in Europa per il loro interesse storico, architettonico, ambientale. Per la redazione di tale progetto è stato incaricato il Politecnico di Milano con il coordinamento di Andrea Tosi di cui è possibile leggere, nel Forum di questo numero di AL, un intervento riferito alla ricerca sviluppata e soprattutto riguardante la descrizione degli obiettivi del Masterplan. Il lavoro di ricerca, sviluppato insieme a un gruppo di esperti provenienti da Università ed enti diversi, ha prodotto la seguente serie di documenti: Andrea Tosi (Politecnico di Milano), “Le conclusioni del progetto Masterplan”; Claudio Gandolfi (Università di Milano), “Un bilancio idrico per i Navigli”; Francesco Sartori (Università di Pavia), “I Navigli della Lombardia occidentale: aspetti geobotanici”; Sebastiano De Faveri, “Un progetto di marketing territoriale per la promozione dei Navigli”; Alessandro Paoletti (Politecnico di Milano), “I nodi problematici idraulici per il recupero della navigabilità”; Antonio Migliacci (Politecnico di Milano), “Gli interventi sulla stabilità delle sponde nel territorio del comune di Milano”; Anna Maria Magro, Maddalena Tommasone (Agriteam), “Il contributo di Agriteam alla progettazione di fasce boscate nei Comuni dei Navigli”; Giustino Mezzalira (A.N.A.R.F.), “L’uso delle fasce boscate nel miglioramento degli ambiti spondali”; Paola Pozzi (P.I.M.), “Una mobilità sostenibile per i Navigli milanesi”; Pierluigi Roccatagliata (P.I.M.), “La valorizzazione delle risorse storico/ambientali e le ipotesi d’assetto del paesaggio agrario e urbano”. Paola Pozzi e Pierluigi Roccatagliata hanno inviato il seguente contributo. R. G.


Paola Pozzi e Pierluigi Roccatagliata Masterplan Navigli. Articolazione delle caratteristiche e delle vocazioni del sistema dei navigli lombardi.

Un masterplan per la valorizzazione del sistema dei navigli Nati con finalità di difesa e di delimitazione territoriale sul finire del XII secolo e a partire dal XIII trasformati in vie d’acqua capaci anche di irrigare i campi, i navigli milanesi hanno dato un’impronta allo sviluppo economico e territoriale del capoluogo, caratterizzando ancora oggi la morfologia e l’organizzazione spaziale degli ambienti attraversati. La loro conservazione, in quanto manufatti storici di riconosciuto valore e l’originalità di quanto da essi rappresentato nel contesto territoriale del milanese hanno indotto la Regione Lombardia a promuovere un progetto generale di valorizzazione dell’intero sistema dei navigli, che interessa il territorio fra il Ticino e l’Adda, con “perno” nella città di Milano. Nell’ambito di questo progetto, coordinato dal prof. Andrea Tosi del Politecnico di Milano, il Centro Studi P.I.M. ha particolarmente sviluppato i temi della lettura storica, paesistica e urbanistica del territorio col fine di enucleare i principali aspetti progettuali riconducibili all’obiettivo di valorizzare e rilanciare i navigli verso ruoli di supporto a politiche di riqualificazione ambientale e di fruizione pubblica dei valori di paesaggio, di storia e di cultura che vi sono rappresentati. Attorno ai temi di fondo, rappresentati dal restauro dei manufatti e delle strutture fisiche dei navigli (sponde, alzaie, conche, ponti, approdi, ecc.) e dal recupero degli episodi di valore storico e monumentale che ne accompagnano il corso, il cosiddetto “masterplan” si propone di offrire spunti e sostenere programmi di fruizione pubblica degli spazi e degli ambienti interessati dai navigli mediante il loro parziale recupero alla navigabilità per fini turistici e ricreativi, e il reimpiego delle strade alzaie come elementi portanti di una rete di mobilità ciclabile che permette di mettere in rete la città di Milano con il Ticino, l’Adda e il sistema dei parchi regionali che circondano il capoluogo. Nell’ambito di questo programma rientra il recupero della darsena milanese (oggetto di un apposito concorso di progettazione) destinata ad assumere un ruolo di perno sia per gli imbarchi turistici attraverso il naviglio Grande sia per itinerari cittadini che abbiano come meta anche la

Pavia a cura di Vittorio Prina

Acqua e Pavia: Canàl e altre storie Il rapporto ambiguo tra Pavia e il Ticino si intuisce già dal nome dialettale del fiume: Canàl. A monte della città il fiume è sempre stato caratterizzato da un uso balneare, ne sono esempio la sempre affollata spiaggia di sabbia bianca denominata “Varazze” sulla sponda opposta alla chiesa di San Lanfranco, il Lido dotato di un edificio balneare realizzato nel 1957 da Giuseppe Massari e, di fronte, il complesso “Casa sul Fiume”, poco più a valle a fianco del ponte della ferrovia la sede del CUS Pavia. A ridosso della città le rive non sono mai state dotate di luoghi o elementi architettonici tipici di uno spazio aperto sull’acqua e fruibili per la balneazione: da sempre le mura e i bastioni che permettevano solo un alto affaccio sul fiume sono stati un confine, conservato sino ad oggi, più che un rapporto diretto. Il “colloquio” è sempre stato mediato da elementi meccanici: il porto commerciale per l’attracco dei battelli da trasporto di merci o passeggeri lungo le rive (a vela, a remi, trainate da cavalli ed anche a vapore) e in seguito alla confluenza con il Naviglio, corso artificiale ritmato dalle chiuse e concluso nel 1819, che cinge a nord-est la città storica lambendo, prima di piegare a nord verso Milano, il lungo isolato cinto da portici di Borgo Calvenzano; l’Idroscalo, opera del 1925-26 di un giovane Giuseppe Pagano, scalo della linea commerciale di idrovolanti tra Torino e Trieste; le sedi di associazioni di canottaggio quale la Società Canottieri Ticino progettata da Pietro e Luigi Morandotti nel 1921 poco a valle del ponte vecchio o la Società Battellieri Colombo esempio di architettura liberty progettata da Gilardi e Curti nel 1909 fuori Porta Calcinara, entrambe distrutte dai bombardamenti nel 1944; il punto di partenza della gara di motoscafi Pavia-Venezia. Inconsueto appare l’uso, ancora nei primi decenni del ’900, delle acque della roggia Carona deviate e fatte scorrere in inverno lungo Corso Strada Nuova verso il Ticino al fine di eliminare la neve. Presentiamo due progetti significativi relativi al corso del fiume Ticino: il primo, in corso di realizzazione, è una porzione

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“riscoperta” delle tracce lasciate nella morfologia della città dalla cerchia interna delle acque, dalla Martesana alla Cassina di Pomm, fino al bacino di San Marco, a quello della Veneranda Fabbrica del Duomo in via Laghetto, alla conca di Viarenna.


con l’area del Lido (…) e con il percorso pedonale con relativi punti di sosta, che collega l’area Vul al Lido. La struttura del Lido mantiene intatte le proprie caratteristiche (…) La zona bar-ristorante è stata concepita come un’area in grado di sostenere la compresenza di attività ricreative e culturali (…) Un barcone, formato da due scafi e posizionato su terra a sud dell’edificio del Lido fungerà da blocco funzionale per i servizi di supporto dell’area” (dalla relazione di progetto). Da ricordare è inoltre il Seminario di Progettazione Architettonica e Urbana “Città e campagne del Ticino. Idee di architettura per costruire nuovo paesaggio”, iniziativa didattica della nuova Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, diretta da Antonio Acuto recentemente scomparso, e coordinata da Sandro Rossi, ospitato dal 2000 a Vigevano.

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Vincenzo Casali, passerella e sistemazione dell’area alla confluenza del Naviglio Pavese.

di un progetto globale di riqualificazione delle sponde in città redatto da Vincenzo Casali; la qualità della restante parte, la cui fase esecutiva è stata affidata ad altri, si è purtroppo persa. “La continuità dei percorsi lungo la riva sinistra del Ticino è affidata alla realizzazione di tre passerelle, in corrispondenza di altrettanti corsi d’acqua: Navigliaccio in fase di realizzazione, colatore di fronte al Palaespo e Naviglio Pavese area confluenza. L’intervento più completo riguarda la sistemazione di quest’ultimo tratto, un’area attualmente molto degradata. Viene recuperata l’originaria pavimentazione in ciottoli e ripulita la parte monumentale in pietra, da cui viene rimosso l’attuale parapetto, che viene riposizionato al di fuori di essa. La passerella, a struttura metallica e piano di calpestio in tavole di legno di larice, contiene sotto di sé le tubazioni di acqua e gas che oggi passano all’esterno. L’area viene poi attrezzata con sedute in granito montorfano, lo stesso di cui è composto il manufatto storico. Luci a led sono incassate nel terreno e lungo il percorso di attraversamento” (dalla relazione di progetto). Il secondo progetto, relativo alla riqualificazione del Lido e delle aree limitrofe, è redatto da B.C.G. Associati (Claudio Baracca, Massimo Giuliani, Marco Pecchio) con Studio Bariani-Mazza, Andrea Colombo, Claudio Marabelli (strutture), Michele Monte, Giovanni Castelli, Amilcare Acerbi. “il progetto per la riqualificazione dell’area dell’ex struttura balneare del Lido di Pavia costituisce il tema centrale di un discorso teso a realizzare un complessivo intervento di infrastrutturazione delle aree lungo il corso d’acqua attraverso un nuovo sistema di accessibilità che recupera e/o integra percorsi già esistenti. Il primo (…) riguarda la creazione di una passerella ciclo-pedonale ‘agganciata’ al ponte della tangenziale ovest, che permette un collegamento diretto tra la sponda sinistra (in zona San Lanfranco) e la sponda destra del Fiume in corrispondenza

V. P.

Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni

L’acqua nella terra dei laghi La Provincia di Varese è chiamata a buon diritto “terra” di laghi e difatti ne conta ben dieci: Varese, Maggiore, Ceresio, Monate, Comabbio (i più estesi), Ghirla, Ganna, Brinzio (di dimensioni lillipuziane), Delio (artificiale), Biandronno (“soppresso” da una bonifica ottocentesca), a questa prima classifica si aggiungono cinque fiumi: Ticino, Tresa, Margorabbia, Bardello ed Olona, ventuno torrenti, innumerevoli rogge, rii e fossi, zone umide, bacini stagnanti e torbiere, l’elenco si completa con almeno (dati ufficiali) 1334 pozzi e 518 sorgenti; un simile patrimonio d’acqua ha lasciato un segno indelebile, oltre che nel paesaggio, nella storia di questo territorio. Da che siamo abituati ad avere a nostra disposizione, in qualsiasi luogo e stagione, un rubinetto dell’acqua, una presa elettrica, frutti ed ortaggi, tendiamo a relegare le stagioni a mero problema da guardaroba ed a dimenticare che civiltà e progresso scorrono sull’acqua. L’acqua non implica solo questioni ittiche (non nel caso del territorio varesino) comporta fertilità irrigua, trasporti, energia, igiene, turismo termale (molto diffuso tra fine ’800 e primi del ’900) e solo recentemente aspetti balneari e turistico ricreativi. L’abbondanza d’acqua fece del Lago di Varese il luogo di insediamenti preistorici palafitticoli; di Golasecca, sul Ticino, il luogo di una delle culture lombarde più antiche. In molte località della Provincia si sono trovate tracce di cisterne, acquedotti e vasche termali d’epoca romana. Il


Medioevo ha arricchito coste ed isole di opere militari, di luoghi votivi (si pensi a S. Caterina del Sasso) e di borghi civili. A fare corso dal ’500 e dal ’600 si sono insediate le prime maestose residenze nobiliari, queste hanno configurato un nuovo rapporto con l’acqua, una relazione estetica cui corrisponde, in chiave socialmente allargata e non più elitaria, il nostro stesso ideale rapporto con un paesaggio fatto di laghi, fiumi, fonti. Negli ultimi secoli il territorio varesino ha visto nell’acqua soprattutto una fonte d’energia per il cui potenziamento non ha lesinato opere e studi, ipotizzando persino di scolmare un intero lago (opera rivelatasi irrealizzabile). L’individuazione d’alcune fonti cui si attribuivano particolari doti terapeutiche favorì, tra fine Ottocento e primi del Novecento, altre forme di “sfruttamento dell’acqua”: sedicenti sciroppi ed elisir di lunga vita lasciarono tracce di sé tra l’Europa e le rotte per l’America; nello stesso periodo si moltiplicarono bagni termali e fanghi e con essi lo sviluppo turistico e la costruzione di grandi alberghi liberty che fecero del territorio un’importante meta di viaggio (sull’onda della civiltà di villa del ’700 e dell’800); si trattò d’importanti eventi prima messi a dura prova e poi estinti dai postumi della Grande Guerra. Sul finire dell’Ottocento la qualità di talune “miracolose” acque fu pragmaticamente sfruttata per la produzione di una birra che fece concorrenza alla più consolidata tradizione d’oltralpe e che, ancora oggi, sopravvive seppure assorbita da una grande holding nordica. Il trasporto su acqua ebbe il suo rilievo in epoche in cui la gomma e l’asfalto erano ancora lontani a venire. Alcuni industriali finanziarono studi per sviluppare la navigabilità di fiumi, per loro natura non adeguatamente ampi mentre, su laghi come il Maggiore, si svilupparono economie produttive (quali quella delle fornaci da calce) che utilizzavano l’acqua per servire dei loro prodotti la stessa Milano; sono storie del mondo del lavoro che hanno lasciato, lungo le rive dei laghi, suggestive rovine d’ar-

C. C.

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Veduta del Lago di Varese.

cheologia industriale che poco hanno a che fare con l’acqua ma che d’essa si sono servite come oggi si fa di un fiume d’asfalto nero. Ben più “voluminosi” accadimenti si verificarono nell’ultimo secolo con la costruzione di grandi complessi industriali, questi attinsero energia e “materia prima” dai fiumi (in particolare l’Olona) lasciandoci oggi, in luogo di un paesaggio altrimenti di grande pregio naturale, struggenti immagini ed imbarazzanti volumi di un’era industriale dismessa dall’evoluzione sociale ancor più che da quella economica. Quello che abbiamo alle spalle è un rapporto terra/acqua in cui, l’acqua e l’ambiente, hanno pagato un prezzo enormemente caro in termini d’inquinamento e compromissione (Valle Olona e Lago di Varese in particolare). La progressiva correzione di rotta imposta da una nuova cultura ambientale, la conseguente svolta legislativa in materia d’inquinamento e la costituzione di specifici consorzi per la tutela e la riqualificazione delle acque hanno prodotto, negli ultimi anni, tangibili risultati di riqualificazione rispetto a situazioni d’inaudita gravità. Ciò che abbiamo davanti è l’opportunità di potenziare e valorizzare l’acqua attraverso un rapporto di frequentazione estetico, educativo ed ambientale che oggi ci pare normale e scontato ma che così non era in passato, la storia succintamente riassunta ci dimostra che solo eccezionalmente l’acqua ha avuto ruolo di svago, di sport, di balneazione. Oggi noi desideriamo “sfruttare” e godere l’acqua secondo modi e comportamenti che nulla, o ben poco, hanno a che fare con il passato; questa consapevolezza ci deve indurre a non confondere ed “inquinare” le rive con prodotti, soluzioni ed immagini mutuate dall’ordinario arredo urbano. Chi scrive si sta occupando, per conto di un Comune del basso Verbano, della redazione di un master plan che investe un tratto costiero di circa quattro chilometri; le tipologie che si incontrano in un tratto così esteso sono assai ampie sia in termini d’antropizzazione sia di tematiche cui conferire plausibili percorsi solutivi. Tratti costieri che si configurano secondo la convenzionale modellistica del “lungolago” da passeggio; marine portuali per l’approdo temporaneo e stanziale cui sono particolarmente sensibili le economie commerciali dei comuni rivieraschi; pre-esistenze “monumentali” pubbliche e private (ville e parchi storici, manufatti d’archeologia industriale e non) da cui trarre giovamento senza snaturarne la veste; tratti costieri compromessi da inopinate modificazioni del regime delle correnti cui restituire il corso naturale delle acque senza pregiudicare le realtà economiche insediatesi. I temi che investono la progettazione e la valorizzazione delle coste chiamano a raccolta numerose competenze disciplinari cui l’acqua, elemento più che vitale e tutt’altro che passivo, saprà fornire, come nel passato e senza alcuna soggezione, il suo inappellabile giudizio.


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Una cittadella del cinema per Milano Su una superficie di 80.000 mq sorgerà una cittadella del cinema e della cultura. Vi troveranno sede il Dipartimento Lombardia del Centro Sperimentale di Cinematografia e un centro di documentazione con archivi storici, fotografici, cineteca, videoteca, mediateca e documentazione sonora. Si tratta dell’area dell’ex Manifattura Tabacchi, tra via Santa Monica, v.le Suzzani, via Esperia e v.le Fulvio Testi. Finanziamenti, tempi e modalità di riqualificazione e riconversione del complesso sono fissati in un Accordo di programma sottoscritto dal presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, insieme all’assessore alle Culture, Identità e Autonomie della Lombardia, Ettore A. Albertoni con il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, il sindaco di Milano, Gabriele Albertini, il presidente del Centro sperimentale di Cinematografia, Francesco Alberoni, la proprietà dell’area (Fintecna SpA) e l’Agenzia del Demanio. Detto accordo è finanziato interamente dalla Regione con quasi 8 milioni di euro. Saranno recuperati e ristrutturati due edifici che occupano com-

plessivamente circa 16.000 mq. Il primo, affacciato su viale Fulvio Testi, diverrà sede del Dipartimento Lombardia della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia per la fiction e la pubblicità con uffici, aule per la didattica, spazi per la ricerca e servizi accessori e d’accoglienza. Questo edificio è stato dato in comodato da Fintecna SpA a Regione Lombardia per 99 anni. Il secondo immobile, alle spalle del primo, accoglierà un Polo cine-audio-visuale, in cui saranno messi a disposizione spazi per l’Archivio Regionale di Etnografia e Storia Sociale che, costituito in 30 anni di ricerca, raccoglie una notevole mole di documenti riguardanti diversi aspetti della cultura popolare: dalla musica, al dialetto alla poesia. Vi sarà inoltre spazio per archivi del cinema e del disco e per altre funzioni, tra cui alloggi ad uso temporaneo legati all’attività formativa. I lavori partiranno entro giugno 2005 e si concluderanno nei primi mesi del 2007. Irina Casali

A proposito dei “grandi progetti” “Grandi progetti a Milano” è il titolo dell’incontro tenutosi alla Triennale di Milano il 15 febbraio scorso e promosso da I.N.U. Lombardia. A discutere sulle trasformazioni della città, e in particolare della realizzazione “dei grandi progetti”, sono stati chiamati, oltre al presidente dell’I.N.U. Leonardo Fiori, quattro professori universitari: Federico Oliva presidente del corso di laurea PTUA della Facoltà Architettura e Società del Politecnico di Milano, Paolo Ceccarelli, docente di pianificazione territoriale presso la Facoltà di Architettura di Ferrara, Fulvio Irace docente di Storia dell’architettura sempre presso il Politecnico di Milano, e Antonio Monestiroli, preside della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano e docente di composizione architettonica presso la stessa facoltà. Ha moderato l’incontro Giorgio Santilli, coordinatore di “Edilizia e Territorio”.

Leonardo Fiori ha introdotto la serata domandandosi se per questi “grandi progetti” si possa parlare di fatti occasionali o meno, se esista una sorta di omologazione agli scenari americani o asiatici in cui il progetto pare costruirsi senza considerare il contesto e, da ultimo, se in questi progetti si sia affrontato il tema del ruolo policentrico di Milano. I quattro partecipanti all’incontro hanno affrontato queste questioni esprimendo pareri sostanzialmente concordi. Ciò che ogni intervento ha messo in evidenza è come a Milano non esista un pensiero progettuale complessivo sulla città, non esista cioè, da anni, un’idea di città. I cosiddetti “grandi progetti” si inseriscono negli ultimi spazi liberi del territorio secondo una logica di tipo esclusivamente economico. Ad eccezione del progetto per la Fiera di Rho (tema per anni affrontato dai corsi di progettazione dell’università), non esiste alcun pensiero progettuale riferito alla nuova dimensione policentrica di Milano. Anche la “forma” di questi nuovi progetti non può essere vista altro che come pura esteriorità. Si crede che i nuovi edifici possano diventare rappresentativi della grande Milano e invece non ci si accorge che “sfolgorano solo all’esterno”, come il Guggenheim di Bilbao, ma non “hanno un interno”. Ciò che manca, come ha messo in evidenza nel proprio intervento Antonio Monestiroli, è una architettura di cui parlare (come accadeva 20 anni fa quando anche gli industriali, pensiamo ad Olivetti, sapevano

cosa s’intendeva per architettura); manca la possibilità e la capacità soprattutto, di conoscere e interpretare i cambiamenti. Questo è il compito che si deve prefiggere una scuola. Martina Landsberger

Il nuovo sistema museale civico milanese Accompagnato dalla presentazione della pubblicazione, curata da Ada Masoero, I musei civici di Milano. Presente e futuro (che offre una precisa ricognizione su quanto è stato fatto e quanto resta da fare), si è svolto il 15 febbraio scorso a Palazzo Reale un incontro dedicato alle grandi innovazioni museologiche e architettoniche che da sette anni stanno trasformando il sistema museale della città. Con un investimento di oltre 162 milioni di euro, si tratta del più grande intervento di riqualificazione e valorizzazione degli spazi della cultura attuato dall’immediato dopoguerra. Alla voglia di riscatto di quegli anni, culminati, nel 1952, nel gesto forte dell’acquisto della Pietà Rondanini, sono seguiti anni di


Sonia Milone

Tredicesima giornata FAI di Primavera Si è conclusa in tutta Italia la tredicesima giornata FAI di Primavera, punto d’arrivo di una trentennale attività di promozione, conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico e naturale italiano. Quattrocento beni in centonovanta località sono stati aperti gratuitamente al

pubblico per riscoprire l’ambiente in cui viviamo, recuperare tracce della memoria storica, dell’identità collettiva. Numerosi gli attori coinvolti, dalle Ferrovie dello Stato a Wind, da La Repubblica a SDA Express Courier, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al Ministero dell’Istruzione dell’Università e Ricerca, sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica. Decisamente ambizioso il tema proposto dalla Delegazione milanese: “Milano sempre in cammino: dai fasti del passato ai rigori delle nuove architetture”, declinato in una serie di visite guidate a sei degli edifici chiave del territorio, dal seicentesco palazzo Litta Visconti Arese, corso Magenta 24, al settecentesco palazzo Francesco Melzi d’Eril, via Manin 23, dal palazzo Techint, via Monte Rosa 93, al grattacielo Pirelli, piazza Duca d’Aosta, dalla seicentesca Villa Arconati a Castellazzo di Bollate alla nuova sede, progettata da Renzo Piano, del palazzo del Gruppo Editoriale “Il Sole 24 ore”, via Monte Rosa 91. Le visite agli immobili dell’area milanese sono state organizzate dal FAI in collaborazione con la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, la Fondazione Cariplo, il Comune e la Provincia di Milano, il Comune di Bollate, associazioni, scuole e istituti; la visita alla sede del “Sole 24 ore”

è stata curata dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Milano. Roberto Rizzente

Spazio a studenti e laureati Lo scorso 8 marzo, in occasione dell’inaugurazione del riorganizzato Spazio Mostre dedicato a Guido Nardi e dell’apertura serale di alcuni spazi del Politecnico, è stato presentato il primo annuario delle migliori tesi di laurea realizzato dalla Facoltà di Architettura e Società. A partire dall’anno accademico 2002/2003 le 15 commissioni di laurea si sono riproposte la selezione, raccolta e pubblica-

zione delle proprie migliori tesi: queste sono presentate attraverso una mostra, un seminario di commento e raccolte in un annuario consegnato agli studenti selezionati ed in vendita alla libreria CLUP. La serata è stata aperta dai saluti del Rettore Giulio Ballio, del Preside Pier Carlo Palermo e del neo-presidente dell’Associazione Laureati Riccardo Pellegatta che hanno commentato l’importanza di aprire gli spazi universitari alla città sottolineando come la flessibilità dell’architettura disegnata da Viganò si presti ad un uso intensivo e articolato. A commentare i lavori dei laureati, moderati dal Vicepreside Valerio Di Battista, sono stati chiamati il vicepresidente dell’Ordine degli Architetti di Milano Ugo Rivolta ed i direttori di cinque prestigiose riviste di settore: Stefano Boeri per “Domus”, Giuseppe Biondo per “Modulo”, Cesare Casati per “L’Arca”, Maurizio Favalli per “Costruire” e Pierluigi Nicolin per “Lotus International”. Dopo una breve carrellata statistica, 110 tesi selezionate su 736 discusse pari a 192 laureati su 1099 di cui 46 con lode e 51 con 100/100, la discussione si è incentrata sull’ampiezza ed eterogeneità dei temi trattati: ne è emersa una decisa prevalenza delle tesi di natura progettuale di taglio compositivo, tecnologico e urbanistico ma viene segnalata un’interessante quota di ottime tesi di natura sperimentale. Proprio sulla necessità di innovazione sembrano concentrarsi le aspettative e le richieste del mondo professionale. Sara Gilardelli

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immobilismo che hanno portato il capoluogo lombardo fuori dai grandi circuiti espositivi internazionali; al vergognoso stato di “abbandono” del Castello Sforzesco con i suoi meravigliosi tesori ammassati nei depositi; alla clamorosa assenza, nella città dei futuristi, di un centro dedicato all’arte moderna e contemporanea. Coordinati da Marco Carminati, giornalista dell’inserto Domenicale de “Il sole 24 ore”, sono intervenuti, fra gli altri, l’allora assessore alla Cultura e Musei di Milano S. Carrubba; il direttore centrale Cultura del Comune, A. Mottola Molfino; il presidente AIM, P. G. Torroni. Il dibattito ha ribadito i criteri fondamentali che hanno guidato le trasformazioni in atto come la volontà di scardinare la struttura centralizzata ereditata dall’800 a favore di un policentrismo in grado di riqualificare i quartieri periferici e la volontà di resistere al “modello Bilbao”, al museo Landmark, ovvero a un approccio esclusivamente economico che riduce il significato di un museo al numero di visitatori che può accogliere, ritenendolo, invece, “un progetto civile per conoscere e riconoscere l’identità della città”. Ha chiuso l’incontro l’annuncio dell’acquisizione dell’archivio Sironi: l’accrescimento del numero e della superficie dei musei, rende, infatti, possibile accogliere nuove opere riallacciando così il dialogo, un tempo assai vivo, fra le istituzioni e i cittadini. In particolare, l’assessore ha ribadito l’impegno, in collaborazione con il Politecnico e la Fondazione Triennale, per la tutela degli archivi di architettura.


a cura di Antonio Borghi

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Intervista a Cini Boeri Cini Boeri si è laureata al Politecnico di Milano nel 1951 e da allora ha sempre svolto la sua attività nel capoluogo lombardo, collaborando prima con Gio Ponti, poi con Marco Zanuso e quindi aprendo un proprio studio di architettura e design. Come è cambiato lo spirito di questa città in rapporto all’architettura negli ultimi decenni? Quando ho iniziato a lavorare avevamo più serenità ed entusiasmo. Negli anni Cinquanta e Sessanta c’era la sensazione che le nostre speranze si sarebbero realizzate, e in buona parte è stato così. Il rapporto con i committenti era molto diverso: si poteva proporre liberamente e la loro risposta era di interesse, curiosità e disponibilità. Oggi il cliente – parlo di privati o società – ha un comportamento differente, sembra mettere alla prova l’architetto, e lo contraddice, spesso creando una gara tra ciò che noi proponiamo e le sue richieste. Fino agli anni Settanta la nostra professionalità era riconosciuta e stimata mentre oggi – forse anche a causa dell’inflazione da parte di arredatori, stilisti, geometri ed ingegneri – abbiamo perso un po’ di carisma. È come se ogni cliente debba affermare la propria concezione dell’architettura, facendola prevalere su quella del professionista. Personalmente reagisco cercando di proporre, di suggerire con una certa diplomazia, di guidare il cliente verso la giusta soluzione, ma è certamente faticoso guadagnare la loro fiducia. Abbiamo qualche responsabilità, come categoria, rispetto a questo calo di fiducia? Un poco sì! Quando ho iniziato a lavorare non esisteva il protagonismo personale, eravamo molto più seri. Il successo corrispondeva alla qualità delle opere e non alla manipolazione dei sistemi di comunicazione,

come succede spesso oggi, dove lo star system è in grado di promuovere e rendere celebri figure anche di scarso valore. A me pare anche l’espressione di un certo complesso di inferiorità rispetto a una generazione che ha fatto molto più delle seguenti, per cui si cerca di capire anche dove stia il divario. Come mai i giovani architetti in Italia stentano così ad affermarsi? Può darsi che ci sia anche una differenza di preparazione? Giovani di talento ce ne sono molti, ma non sono sufficientemente pubblicati e quindi sono poco conosciuti. La preparazione universitaria era scarsa anche ai miei tempi: permanevano residui di retorica fascista e si studiava senza aver nessun contatto col mondo del lavoro. Nel migliore dei casi si usciva dall’Università con una buona cultura generale, cosa che oggi non succede quasi più grazie al generale abbassamento del livello culturale nel nostro paese. Negli scorsi anni ho fatto parte della Commissione per l’Esame di Stato, e mi sono trovata di fronte candidati laureati a pieni voti, ma con un’ignoranza abissale, sia di carattere generale, sia riferita alla cultura del progetto. La sua produzione architettonica e di design non è mai in larga scala: si tratta sempre di piccole architetture o piccole tirature di oggetti. La sua è una scelta elitaria? No, non è stata una mia scelta, anzi volentieri mi sarei misurata con progetti più grandi. Comunque le mie case per privati mi hanno dato soddisfazione, hanno sempre avuto un buon successo di critica, sono state tutte pubblicate e gli abitanti hanno sempre espresso il loro benessere. Certamente essere donna non aiuta. A volte ancora oggi ho la sensazione che i miei stessi colleghi non mi considerino veramente capace, per il fatto di essere donna. Mi stimano, sono pieni di attenzioni e di interesse

per quello che faccio, ma in pubblico mi chiamano signora Boeri e non architetto Boeri. Ciò non è offensivo, ma è l’espressione di qualcosa di molto radicato nella nostra cultura. Un atteggiamento diffuso soprattutto in Italia che fatica a vedere in una donna il professionista. Ahimé. Quindi è l’essere donna ad averla “incastrata” nella piccola scala? Non posso dirlo con esattezza, ma è probabile. Ora ho smesso di arrabbiarmi, come spesso mi capitava da giovane. Anche nel design le mie opere non hanno avuto grande diffusione e non mi hanno nemmeno arricchito, nonostante il successo di critica, i premi, le recensioni eccetera. In questo caso si è trattato più della conseguenza di una mia scelta. Progettando design ho sempre cercato di proporre qualcosa di nuovo, di inedito, quindi non facile per essere recepito da tutti. Mi interessava il lato essenziale e sperimentale del design. Arflex è stato un cliente intelligente e disposto a rischiare, ha lanciato con entusiasmo sia lo Strip che il Serpentone. Il profitto è diventato oggi invece molto più importante dell’interesse al nuovo. Le sue architetture riflettono un rapporto molto stretto con il cliente che le abita. Desidero ascoltare sempre il cliente e permettergli di esprimersi liberamente, questo è utile per capire le sue esigenze. Deve nascere un rispetto reciproco che superi la competitività cui accennavo prima. Mi aiuta la lunga analisi junghiana che mi ha insegnato a tollerare le differenze e capire meglio “gli altri”. Il suo modo di procedere è molto diverso da quello di molti architetti che pretendono di vendere il proprio prodotto indipendentemente dalle esigenze del cliente e dalle caratteristiche del contesto.

Un rischio a cui Milano si sta esponendo molto negli ultimi anni con l’importazione di molta architettura internazionale. Come giudica lei la Milano di oggi? Sento molta volgarità in giro. La cultura ha un ruolo sempre più marginale e la correttezza nei comportamenti è ad un livello inferiore rispetto a quella di qualche decennio fa. Inoltre non abbiamo più sindaci come Greppi, o Ferrari, o Bucalossi, per ricordare i migliori. Oggi Milano è trascurata, sporca, piena di aree dismesse, in rovina. Infatti i milanesi scappano dalla città appena possono, in Liguria, in Toscana, sulle piste da sci o al mare in Sardegna, dove lei ha realizzato alcune tra le sue opere più apprezzate. Che tipo di relazione instaurano le sue architetture con la natura? Ogni luogo ha un suo carattere, in città come pure nella natura incontaminata. La bellezza della natura mi dà sempre una grande gioia. Cerco di trasmettere questa sensazione all’interno dell’edificio. Per inserirmi nei contesti non seguo regole particolari, cerco di avere rispetto e attenzione per il luogo, per i suoi colori, per i suoi venti e i suoi cieli. Ogni costruzione è differente, anche perché il suo contesto è differente da ogni altro. Non mi interessa essere riconoscibile per un mio stile. Dunque i suoi progetti nascono da una grande attenzione verso il committente e verso il luogo. Dal punto di vista pratico come si svolge il vostro lavoro? La sala riunioni è piena di grandi plastici… Certo, lavoriamo molto coi modelli. Questi sono per il progetto del Museo del Duomo di Monza. È un progetto molto difficile, ma molto interessante, sponsorizzato dall’Impresa di costruzioni. Undici metri sotto terra attorno alle fondazioni del Duomo. Ci stiamo lavorando da molto tempo a causa di varie interru-


Un altro allestimento importante è quello che avete progettato per il Palazzo della Triennale di Milano. Quattro anni fa mi era stato chiesto un progetto per l’ingresso principale del Palazzo dell’Arte su viale Alemagna e per quello secondario verso il parco Sempione. Sul fronte ho proposto di deviare il traffico veicolare su viale Milton creando così un’area antistante l’ingresso più consona al Palazzo. Verso il parco ho invece proposto una grande area con caffé letterario e museo di sculture all’aperto, in aggiunta alla piscina metafisica di De Chirico già esistente. Il ministro Urbani ha apprezzato l’idea del caffé, meno quella del museo all’aperto. Il presidente Rampello ha apprezzato il progetto preliminare e mi ha dato l’incarico di definirlo meglio nei dettagli, con l’aggiunta di spazi per presentazione di libri o di progetti. Lo scorso anno siamo arrivati ai disegni esecutivi. Sul prato abbiamo verificato misure e profili in un’atmosfera di grande soddisfazione ed entusiasmo, anche del presidente. L’inaugurazione avrebbe dovuto essere in coincidenza del Salone del Mobile di quest’anno. Improvvisamente, ad ottobre, mi venne detto che tutto il programma era bloccato. Una società avrebbe sponsorizzato una mostra durante il Salone e

si è deciso di allestire quella, allestimento che probabilmente sarebbe rimasto tale anche dopo quella data. A parte la delusione personale di non vedere realizzato un progetto al quale tenevo molto, e sul quale avevo anche lavorato molto, ciò che mi fa arrabbiare di più è che non saprò mai quali siano stati i veri motivi dell’improvvisa marcia indietro.

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zioni, ma finalmente siamo ora a progettare l’allestimento. Non dovrebbe mancare molto alla conclusione.


a cura di Roberto Gamba

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Riqualificazione di piazze dei centri storici di Magnago e Bienate (Mi) Scopo del concorso è stata l’acquisizione di soluzioni per la riqualificazione e sistemazione funzionale di piazze, slarghi e percorsi, presenti all’interno dei centri storici di Magnago e Bienate, creando degli ambiti in grado di svolgere una funzione di aggregazione e socializzazione della cittadinanza e un’immagine di vitalità urbana e sociale. I progettisti hanno dovuto razionalizzare i percorsi pedonali e viabilistici, prevedendo, se necessario, modifiche dell’attuale circolazione veicolare. Hanno dovuto sistemare le aree a verde pubblico; valorizzare i monumenti esistenti (statua di San Michele a Magnano e Monumento ai caduti a Bienate); creare dei percorsi di connessione e collegamento tra i diversi spazi, eventualmente anche

con porticati, o altre strutture. Un primo lotto di lavori dovrà rientrare in un importo di spesa, per ogni singolo ambito, di 325.000 euro. Erano richieste un massimo di 5 tavole formato A0. La giuria era composta da Ferruccio Binaghi, Renato Peroni, Barbara Perego, Alfredo Castiglioni, Giacomo Cusmano, Roberto Bandoni, Marco Lucchini, Luigina Ravera e Luca Rossi. I premi sono stati di 4.500 euro, al primo classificato; euro 2.500 al secondo e 1.500 al terzo. Oltre ai progetti di seguito presentati, sono stati premiati, Giorgio Goggi, con Gianluca Perinotto, Veronica Indelicato, Michele D’Alessandro; Pier Alberto Ferrè, con Carolina Francesca Rozzoni, Linda Morelli, Mauro Morelli, Angelo Biraghi.

1° classificato (ex-aequo) Carlo Maria Tatti (Legnano), Francesca Marianna Gerli

Posta e di altri edifici; eliminato il parcheggio adiacente, rendendo disponibile una vasta area in cui creare una piazza e un nuovo edificio residenziale e commerciale, con galleria trasversale. Lo spazio risultante, estremamente irregolare, è stato riordinato e risolto con forme circolari. La sistemazione delle aree ad est (edificio comunale, parcheggio), ha permesso di creare una vasto quadrilatero “verde”. Nel nuovo fulcro centrale è stata collocata una fontana, uno specchio d’acqua e quindi un centro geometrico su cui è impostato il disegno a raggiera della pavimentazione in porfido.

Per il nucleo centrale di Magnago la relazione tra la statua di S. Michele e la facciata della chiesa omonima, è stata identificata come elemento baricentrico dell’intero progetto. L’edificio, posto sull’angolo tra la piazza e il sagrato della chiesa, è stato parzialmente demolito, creando un porticato aperto su tre lati. A sud è stata ricavata una nuova “piazzetta” pedonale a verde, con al centro un elemento scultoreo. A Bienate è stata prevista la demolizione dell’edificio della

1° classificato (ex-aequo) Fabrizio Bianchetti (Omegna), Luigi Paolino, Antonio Turco, Marco Cagelli Collaboratori: Marco Berra, Maria Benedetta Occhialini, Luisella Pinardi, Annamaria Cannella, Graziano Salvalai, Mattia Sartorello, Roberto Songini, Luca Vignoni A Magnago, si realizza una ristrutturazione urbanistica, con demolizione, costruzione e riaccorpamento volumetrico. Inoltre, due interventi: un parcheggio interrato e un silos a tre livelli al posto dell’attuale bocciodromo. La piazza Italia acquisterà un ruolo celebrativo ed evocativo, confacente agli edifici pubblici limitrofi. Qui un tempo era insediato il “caminone” della vec-

chia filanda. La rivisitazione del manufatto, in chiave simbolica, porterà alla realizzazione di un monumentum, con al di sotto, un ascensore in vetro per l’uscita dal parcheggio interrato. La ciminiera sarà “la meridiana della storia”: sulla pavimentazione della piazza, verranno disegnate le ore e raffigurato un evento storico locale. Nel centro di Bienate, attualmente una sorta di esplanade anonima e amorfa, assume importanza la rivisitazione della morfologia edilizia. Persa la concezione volumetrica, la chiesa di S. Bartolomeo può rivivere in pianta, attraverso un disegno della pavimentazione, correlato alla “ruina” dell’abside. Può essere formato un nuovo fabbricato che funga da quinta nord della piazza.


sarà interrotto in prossimità della fontana, dove sarà realizzato, con intarsi di legno e pietra, lo stemma del Comune di Meda.

Progetto più creativo Massimo Lanata, Vittorio Grattarola (Genova)

struttura in plexiglass. Il secondo è il lago, una grande fontana, con sezione a gradoni, che delimita lo spazio “interno” della piazza. L’acqua sfiora la pavimentazione, avrà giochi di luce inseriti sotto il livello; è senza soluzione di continuità verso la chiesa mentre nel lato esterno il margine diventa seduta e sosta.

Sistemazione di piazza della Chiesa a Meda (Mi) Con il concorso, l’Amministrazione comunale intendeva valutare suggerimenti da parte di chiunque, persone fisiche o giuridiche, alunni e studenti universitari, libere forme associative, in ordine alla riqualificazione della zona denominata “Piazza della Chiesa”. Era richiesta una relazione, disegni su due fogli A3, scheda biografica dell’autore. La giuria era composta dal parroco, don Silvano Casiraghi, dal sindaco, Adelio Asnaghi, dall’assessore Giuseppe Ferrario, da Damiano Camarda, Angelo

Asnaghi, Riccardo Cassina. Agli autori delle proposte più significative è stato concesso un premio di 1.000 euro per il suggerimento ritenuto migliore; 500 per il suggerimento più creativo. 500 per il suggerimento ritenuto meglio realizzabile; Il giudizio è stato ponderato tra quello del pubblico che ha visionato la mostra dei progetti e quello della giuria. Oltre ai progetti qui illustrati, sono stati segnalati quelli di Luca Gera, con Sara Lyla Mantica, Alessio Giovanni Conserva e quello di Dora Cerrato e Carla Citterio.

Progetto migliore Ilaria Massironi (Concorezzo), Andrea Brambilla

La piazza sarà accessibile da ogni direzione; la rampa inclinata garantirà l’accesso dal parcheggio; la scalinata frontale favorirà l’accesso dal versante sud-ovest. La perimetrano larghi muretti pensati come gradoni, su cui è possibile sedersi. La pavimentazione sarà in lastre di porfido di grande formato, affiancate a listelli di ardesia. Il disegno sarà simile a quello del

La piazza ha dimensioni leggermente ridotte rispetto allo spazio che occupa oggi, a vantaggio delle fasce verdi laterali. Gli spazi a parcheggio verranno sistemati sul lato sud. Una fontana a raso svolgerà la funzione di quinta.

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pavimento posato all’interno della chiesa per creare un continuum tra l’edificio religioso e la piazza. Il suo andamento lineare

La piazza si organizza intorno a tre elementi che variano oltre i limiti e i margini dell’architettura. Il primo è la foresta di luce, una morbida collina erbosa che ospita 12 colonne in vetro con


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Quattro grandi sfere faranno sgorgare l’acqua con intensità variabile, delimitando infine il ponte con struttura in ferro e pavimentazione in vetro acidato. Il terzo è un grande olmo, elemento che scandisce il tempo,

con i colori mutevoli delle sue foglie. L’illuminazione è garantita da corpi illuminanti inseriti in pavimentazione o comunque non tradizionali. La foresta di luce creerà effetti cromatici attraverso l’uso di filtri colorati intercambiabili.

Progetto ritenuto meglio realizzabile (ex-aequo) Riccardo Gallone (Masera), Christian Maiello, Roberto Manuelli, Gianfranco Orsenigo

un percorso, che conduce all’oratorio posto a lato. Apparecchi illuminanti a terra segnano due percorsi che sono rappresentativi dei numerosi possibili.

Attraverso una pavimentazione ritmica si è cercato di far dialogare alberi e chiesa; la scansione orizzontale fa sì che l’edificio entri nella piazza, mentre le panchine, che emergono dalla pavimentazione, sbordano e invadono gli spazi verdi rompendo il loro carattere introverso, facilitando il passaggio tra piazza e prato. Le aree alberate sono trasformate in veri e propri giardini. Sulla piazza sono posizionati un piccolo padiglione per piccole mostre e una “porta”, ovvero una lastra metallica interrotta da

Progetto ritenuto meglio realizzabile (ex-aequo) Andrea Giuliani, Cristina Guerinoni (Milano) In una nuova percorribilità e vivibilità della piazza, il sistema di slarghi e vie, per quanto disarticolato, trova sfogo in un nuovo polo contraddistinto ora da un’armonia generale tra le varie parti. L’intervento prevede la ricomposizione dello spazio di progetto tramite una sua geometrizzazione, che consente di ottenere un unico elemento di

cucitura tra il corpo della chiesa e le strutture al contorno. L’osservatore viene condotto, attraverso l’assialità dell’impianto parallelo a via Verdi, verso il centro della chiesa che, illuminata nella sua cortina di mattoni, in modo radente, da alcuni proiettori, si erge come monumento principe dello spazio. La piazza genera una totale libertà di percorsi e permette di avere una vasta zona pedonale in grado di accogliere anche eventuali attività ricreative e d’intrattenimento.


Nella piazza/cortile è mantenuto l’attuale spazio libero antistante e in entrata all’oratorio; ad est del teatro è presente un’altra piazzola dedicata ai più giovani, con panchine e spazi coperti; in diretto collegamento, tramite una rampa disposta a 45°, con il bar; a questa rampa si contrappone una scala disposta sempre a 45°, che serve l’uscita di emergenza dalla saletta musica; è tagliata in due

Sistemazione funzionale dell’oratorio San Luigi Gonzaga, Ombriano di Crema (Cr) Il concorso era volto a raccogliere proposte progettuali di “sistemazione funzionale” dell’oratorio San Luigi Gonzaga di Ombriano di Crema, che permetta un maggior contatto tra le molte realtà dell’oratorio, diverse per età e condizione sociale; per ricercare un equilibrio fra la flessibilità generica degli spazi e la loro caratterizzazione. Il bando indicava gli elementi di riferimento di cui tener conto nella progettazione: ambiente, organizzazione degli spazi, piazza e/o cortile, bar, aule, attrezzature ludico sportive, sala polifunzionale, cucina, sicurezza, benessere e abitabilità, scelte edilizie e relativi costi.

Da riorganizzare erano le funzioni, gli spazi comunitari, il verde, i locali e gli arredi. La proposta doveva prevedere: un campo da allenamento per l’attività calcistica, un campo da pallavolo regolamentare, un campo da pallacanestro regolamentare, un campo di calcetto in erba sintetica regolamentare e recintato, completamento dell’area gioco per bambini, un’area ludico ricreativa, spazi d’ombra. Era richiesta una tavola in formato A1. Il premio per il vincitore è stato di 1.500 euro. La giuria era composta da don Remo Tedoldi, Fiorenzo Mazzocchi, Paolo Carelli.

da un ponticello che permette l’attraversamento di un laghetto. L’area verde formata da una cunetta comprende attrezzature sportive (campi di calcetto, basket, pallavolo e allenamento calcio, attrezzature minori); da qui parte il “percorso natura” e vi trova posto anche un nuovo edificio spogliatoio e laboratorio che sostituisce quello esistente. Lateralmente al campo di allenamento sono presenti dei gradoni che, nella parte scoperta, diventano un tratto rialzato del percorso natura.

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1° classificato Paolo Bardon (Crema)


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Progetto segnalato Davide Beretta (Ombriano), Luca Somensi La suddivisione dello spazio è articolata in tre semicerchi, ottenuti con delle grandi vasche piene di fiori e arbusti alle quali si appoggeranno le sedute con delle siepi e con piante d’alto fusto. Con l’inserimento dei campi da basket e da tennis, inclinati di 45° rispetto all’argine della roggia Alchina, vengono a crearsi dei “ritagli” di superficie irregolari, trasformati in piazzette verdi. Tutto il perimetro lungo l’argine è pian-

tumato con alberi d’alto fusto. Alla destra dei due campi c’è un terrapieno di circa due metri, una “collinetta alberata”, attraversata dal percorso con due punti di sosta ombreggiati, uno dei quali funge anche da belvedere sui campi. A lato c’è una piazzetta lastricata simile ad un piccolo anfiteatro, i cui tre gradoni, in cemento e con un alzata di 45 cm seguiranno tutto il suo perimetro semicircolare. Tra il campo da calcetto e il campo da calcio è previsto un edificio spogliatoi che, sulla sua sommità, svolgerà anche la funzione di tribuna.

Progetto segnalato Paola Piloni (Ombriano), Elisa Piloni, Giuseppe Vittoni Le nuove strutture sportive e di svago si sviluppano sul lato est del campo da calcio. È previsto un campo da allenamento di dimensioni adeguate, in terra, con manto erboso; un campo da calcetto regolamentare, un campo polivalente basket/pallavolo di dimensioni regolamentari, un campo da tennis regolamentare e un campo da bocce. I nuovi impianti sportivi sono serviti da un unico spogliatoio

con copertura a pagoda. Il tutto è collegato ad un pergolato in legno ricoperto con vegetazione canadese. È stata delimitata anche un’area di ricreazione e un’area verde per i più piccoli attrezzata con giochi ed arredi. Il cortile antistante non subisce modifiche sostanziali, la piantumazione rimane quella originaria, tutta l’area cortilizia viene pavimentata con autobloccanti, tranne due aiuole simmetriche stile palladiano e al centro del percorso la statua di San Luigi Gonzaga patrono dell’Oratorio.


È il titolo di un articolo apparso sul settimanale “La Gazzetta di Lecco” sabato 11 dicembre 2004, sulla scia di altri articoli della stampa locale dedicati all’area ex-Faini, sede di un’azienda metalmeccanica costruita nel 1932 ed oggi dismessa. La Faini è localizzata tra via Ongania e via Parini in una posizione strategica adiacente al centro della città ed a pochi passi dalla basilica di San Nicolò e dal lago, proprio di fronte alla sala convegni Ticozzi ed alla stazione ferroviaria di Lecco. La parrocchia di San Nicolò acquistò l’area negli anni Settanta, periodo nel quale cessò l’attività della ditta (produzione di raggi per biciclette e aste per ombrelli), con l’intento di destinarla ad attività sociali e religiose, come centro d’aggregazione a fini sociali. Nel dicembre 2004 torna di grande attualità l’area ex-Faini; leggiamo a tal proposito sulla “Gazzetta di Lecco”: Un centro espositivo e museale di grande respiro, che possa ospitare mostre di livello nazionale ed internazionale. Uno spazio di cui si sente la mancanza e che potrebbe essere un ottimo trampolino di lancio per il decollo finale della Lecco turistica, tanto voluto dagli amministratori locali, ma non solo. Un progetto ambizioso, fortemente voluto dall’assessore Ettore Albertoni, assessore regionale alle Culture, Identità ed Autonomie della Regione: Grazie a questa nuova struttura si potranno organizzare grandi mostre che altrimenti non potrebbero essere ospitate nel territorio lecchese. La presenza in città di un centro di questo tipo avrà anche l’effetto di promuovere un notevole indotto economico, con le ovvie positive ricadute sull’occupazione e sullo sviluppo del sistema turistico. La struttura deve appunto avere una valenza polifunzionale, che sposi l’ottica delle mostre culturali così come quella di servizio, in modo da spingere anche l’acceleratore sul prodotto turistico congressuale. La collocazione idonea è una zona in centro città – come l’area ex-Faini –

con una superficie coperta di circa 2.500 metri quadrati, con un volume di oltre 15mila metri cubi. La superficie espositiva vera e propria dovrebbe estendersi per circa 1.500 metri quadrati: i restanti saranno utilizzati per depositi ed ambienti di servizio. Portato a termine l’accordo di programma relativo al monastero del Lavello (il cui recupero ha costituito il principale capitolo di spesa dei 2milioni e 700mila euro della Regione Lombardia che sono stati utilizzati nella Provincia di Lecco) – afferma Ettore Albertoni in un intervista pubblicata sul quotidiano “La Provinca di Lecco” – credo che verrà formalizzato un secondo progetto, per ora solo una se-

paesi e comunità diverse. Il futuro dello sviluppo culturale è legato ed intrecciato alle province di confine, con le quali è indispensabile sinergia (…) La cultura come l’ha sempre intesa questo governo regionale, è un fattore di sviluppo del territorio. Il recupero ed il riuso dei beni deve sempre connettersi con la possibilità di rendere più attrattivi questi luoghi. Continua Albertoni riferendosi probabilmente all’inserto Focus ambiente de “Il Sole 24 Ore” nel quale vengono pubblicati dati raccolti da Legambiente nel 2004: Ho visto in questi giorni la segnalazione di un primato di Lecco: l’aria è più pulita, l’ambiente è ben rispettato. Lecco è un bel posto dove

gnalazione, per il recupero dell’area Faini a Lecco, per realizzare un centro espositivo (…) Il Lecchese deve affrontare due problemi. La prima questione riguarda l’identità lecchese. La provincia come dato amministrativo unificante è di recente costituzione, ma nel territorio restano forti accentuazioni storiche e culturali: il borgo-capoluogo, la Valsassina e la Valvarrone, il lago ed il lungofiume, la Brianza ed il Calolziese e la valle San Martino. Una ricchezza che deve saper trarre vantaggio da questa recente unificazione. La seconda questione è la natura di crocevia che ha questo territorio, una cerniera tra culture,

vivere. Ma se dovessimo misurare i dati culturali della città direi che non sono ottimali. Lecco deve puntare di più sulla sua offerta museale, da Villa Manzoni a palazzo Belgiojoso. Due luoghi importanti ma poco visitati e forse poco promossi. Deve avere il coraggio di fare di più nella fruibilità anche serale di questi e di altri luoghi. E poi manca un grande spazio espositivo (…) credo che si debba investire su un polo dove raccogliere pittura e scultura moderna e contemporanea: tanti sono gli artisti dell’Ottocento e del Novecento che hanno avuto legami con il territorio. Tale polo potrebbe essere collegato al

nascente museo del design di Milano. La cultura, inoltre, non può essere scollegata dai progetti turistici (…) Credo che si debba definire un accordo quadro di sviluppo territoriale dove il recupero di beni architettonici e museali possa diventare un volano per il turismo. E qui ci vogliono risorse. In provincia di Como decisivo è stato il ruolo della Fondazione Cariplo. A Lecco so che altrettanto può fare la Fondazione della Provincia. L’area museale all’ex-Faini nel dicembre 2004 è uno dei temi al centro del Tavolo Territoriale. L’appuntamento organizzato da Regione e Provincia, che vede puntualmente riunite tutte le amministrazioni locali, si propone come punto di verifica dedicato ai beni, servizi ed attività culturali sul nostro territorio. Si inizia a parlare dello spazio espositivo in quest’area già nel 2003 quando, abbandonate le trattative con le banche per l’acquisto delle torri del centro La Meridiana progettate da Renzo Piano, la Provincia, in accordo con il Comune, individua nell’area ex-Faini una localizzazione adatta ad un nuovo centro espositivo. Per il progetto relativo al nuovo centro espositivo – spiega il Sindaco di Lecco, Lorenzo Bodega ad “AL” – è stato firmato un accordo di programma che coinvolge l’amministrazione provinciale, il Comune e la Fondazione Cariplo. Il Comune e la Provincia di Lecco hanno stanziato un milione di euro in un programma triennale, la Fondazione Cariplo altri tre milioni di euro, inoltre è stato aperto l’accesso ai finanziamenti regionali. Il primo passo è l’acquisizione di una porzione dell’area exFaini che complessivamente è di 11.240 mq, definita CRA (centrale religiosa in zona storica, d’interesse comune pubblico e privato con destinazione a chiese ed opere parrocchiali). Occorre un intervento qualificante dell’area dove ci sarà uno spazio espositivo, un auditorium e si ripenseranno spazi da dedicare alla parrocchia e all’oratorio. Auspichiamo anche il concorso di altri enti affinché a Lecco venga realizzato un centro per ospitare mostre anche di grande rilevanza. M. Elisabetta Ripamonti

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Lecco: in città un piccolo “Louvre”


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Arte, ordine e geometria Le Corbusier e Amédée Ozenfant Sulla pittura moderna Christian Marinotti, Milano, 2004 pp. 270, € 22,00 Ciò che sorprende, ogni qualvolta si concluda la lettura di un testo di Le Corbusier, è la sua capacità d’affrontare questioni differenti fra loro avendo come obiettivo sempre l’architettura, il suo farsi e il suo definirsi. Questo accade sia quando parla di città, sia quando scrive di arti

quale viviamo e di cui i nostri sensi si nutrono, ci appaia ordinata. “La natura è ‘bella’ solo se rapportata all’arte, quando per delle fortunate coincidenze, si trova a essere regolata secondo il nostro ordine, che è quello geometrico (…) Le opere che ci colpiscono di più sono quelle in cui la geometria è percepibile”, scrivono gli autori. Ingres, Cézanne, Seurat e Matisse sono gli artisti che hanno “rivoluzionato” il modo di guardare la natura. I cubisti hanno proseguito la ricerca arrivando a scomporre geometricamente ogni forma, creando, ed è questo il punto critico, una difficoltà di comprensione dell’opera. Il purismo, mediante la rappresentazione di poche forme e figure geometriche poste su piani sovrapposti, ovvia a questa difficoltà. Infatti, allo stesso modo dell’architettura, anche l’arte ha la necessità di essere condivisa dal pubblico e per raggiungere questo scopo deve essere comprensibile. Perché questo avvenga l’artista in genere non può inventare tutto ma deve “intuire i mezzi necessari alla trasmissione di quanto si ha da dire”. Martina Landsberger ——————————-

decorative o ancora quando, insieme all’amico e collega Ozenfant, affronta il tema della pittura moderna. Si può obiettare che si tratta comunque di argomenti di tipo “artistico”, e questo è sicuramente vero, eppure resta il fatto che solamente pochi architetti hanno avuto una visione così “omnicomprensiva” della propria attività. Quest’ultimo testo edito da Christian Marinotti ne è una conferma. Obiettivo dello scritto di Le Corbusier e Ozenfant è attribuire “dignità”, valore civile, alla nuova pittura cubista e purista che si sta diffondendo in Europa. I due autori si preoccupano di definire lo scopo dell’arte: come già espresso in Vers une architecture a proposito dell’architettura, anche l’arte deve suscitare negli spettatori delle emozioni. Perché questo obiettivo sia raggiunto è necessario che, la natura, l’ambiente nel

Scultura, spazio, immaginario Massimo Bignardi, Giuliana Balice Costruire lo spazio all’immaginario Centro di cultura contemporanea Napoli c’è, Napoli, 2004 pp. 112, € 25,00

Il poeta Emilio Isgrò, presentando quest’ultima monografia su Giuliana Balice alla Galleria Cavenaghi Arte di Milano, ha sottolineato come tutte le opere della scultrice napoletana avessero dei nomi soavi e leggeri, evocatori di mondi lontani, di figure mitiche, di luoghi ormai perduti o di lontane armonie. E così come le opere della scultrice, anche i titoli dei testi critici su di lei sono sempre stati espressivi, quasi a marcare il leit motiv di un’opera armonica, appunto, artistica ed insieme tecnica e rigorosa perché frutto di un disegno, di un progetto. Tra questi titoli, costruire lo spazio all’immaginario, sembra essere una sorta di summa che suggestivamente mette a fuoco la cifra che percorre l’intera opera dell’artista. Balice costruisce lo spazio, lo struttura, e lo fa donando alla sua scultura uno straordinario obiettivo che negli anni ha maturato linearmente e senza strappi, ovvero quello di addomesticare lo spazio, di intervenire sull’ambiente attraverso moduli intesi come complessi rapporti strutturali tra progetto e oggetto. Queste modularità si traducono in vere e proprie scansioni, spartiti, che permettono alla Balice di immaginare lo spazio che vuole descrivere e chiarire. È quindi, quella della Balice, un’arte che trascende il puro esercizio e la vanità; è un’arte che si carica di una valenza alta, complessa ed istruttiva perché risultato di un progetto preciso, di un’indagine e, pertanto, di un precipuo valore estetizzante che sembra ormai sempre più andato perduto. Il volume ripercorre, a partire

dall’esaustivo e stimolante saggio introduttivo di Massimo Bignardi, la quarantennale opera della scultrice, con la grande capacità di isolarne i momenti salienti illustrando le opere; il tutto corredato da una completa antologia critica (con contributi, tra gli altri, di Alberto Sartoris, Gillo Dorfles, Alberto Veca, Vittorio Fagone, Attilio Marcolli) e da una biografia e bibliografia ragionate. Carlo Gandolfi

Percezione della città Francesca Carati Sulla città contemporanea. Letture e riflessioni Franco Angeli, Milano, 2004 pp. 160, € 15,00 I luoghi della nostra esperienza, la città in cui viviamo, le città in cui abbiamo vissuto ci spingono ad affrontare una riflessione sulle alterazioni dello spazio urbano, mutamenti talvolta epocali che quasi si producono

sotto i nostri occhi, senza che ce ne rendiamo conto consapevolmente. Una metamorfosi della città che è cambiamento dello spazio ma che contemporaneamente è trasformazione della storia e della nostra vita. Improvvisamente non riconosciamo più la nostra città, non ne capiamo più il significato. Allora abbiamo bisogno di fermarci e di cercare delle risposte. In questo libro Francesca Carati annota letture e riflessioni che l’aiutano a riscoprire l’essenza stessa della città: “Quale sia il senso nuovo che essa trasmette non è dato di capire”. Si


Manuela Oglialoro

Esperienze di partecipazione Davide Fortini (a cura di) Dire, fare, partecipare. Laboratori di partecipazione: dal Piano Regolatore ai progetti sostenibili di Villasanta INU Edizioni, Roma, 2004 pp. 150, € 18,00

“Trasmettere un’esperienza positiva, raccontare un progetto di politica partecipata”, questo è l’intento di Davide Fortini, portavoce di Ecopolis e degli abitanti di Villasanta, comunità che negli ultimi dieci anni ha, a vario titolo, attivamente partecipato alla stesura del proprio piano regolatore, alla definizione del bando del concorso d’idee per la riqualificazione del centro storico, alla ri-progettazione di alcuni frammenti di città fino all’autocostruzione di un piccolo parco urbano. Questo saggio ha quindi il solo scopo di raccontare una collana di azioni sperimentali, azioni pensate per provare ad introdurre negli interventi urbani nuovi parametri ambientali e sociali, ma anche per migliorare l’efficacia delle politiche locali cercando di indirizzare le modalità di confronto tra pubblica amministrazione e attori del territorio verso modalità interattive e concertative tali da agganciare ed esplicitare sapere esperto e sapere locale. Il moderno processo partecipativo che ha guidato la nascita della variante generale del P.R.G. di Villasanta viene descritto attraverso la ricostruzione di scenari, attese ed attori delineando con trasporto le suggestioni emerse dai tavoli ed alcuni episodi che più hanno contribuito a legare gli abitanti al proprio territorio diventando essi stessi sempre più attori di un processo che li vede protagonisti diretti ed indiretti della trasformazione dei luoghi, recuperando quel rapporto di responsabilità tra abitanti e territorio che la scuola territorialista di Magnaghi ha insegnato.

Una chiosa conclusiva di Alessandro Balducci arricchisce con alcuni approfondimenti concettuali e metodologici in tema di pratiche partecipative un’esperienza che merita di avere un futuro senza declinare in una conquista temporanea.

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Sara Gilardelli

Ritratto di scrittore Ernestina Pellegrini Epica sull’acqua. L’opera letteraria di Claudio Magris Moretti e Vitali, Bergamo, 2003 pp. 266, € 16,00 Nel corpus della scrittura di Claudio Magris, Ernestina Pellegrini si focalizza sull’opera letteraria dello scrittore triestino: romanzi, racconti, opere teatrali. Si tratta di un “saggio interlocutorio”, come lo definisce l’autrice, dove l’operazione critica si nutre del dialogo con lo scrittore: ne nasce una fuga a due voci, in cui canto e controcanto si illuminano a vicenda. Epica sull’acqua è un’opera in fieri: rispetto alla prima edizione del ’97, questa presenta un’aggiunta di tre capitoli che aggiornano il ritratto dello scrittore alla fine del 2003. Pellegrini scava nel materiale dell’opera di Magris e, come risalendo la riva di un fiume, raccoglie paesaggi, personaggi e figure, alla ricerca delle sorgenti della sua scrittura: sprofondando nel suo grembo, scova le ossessioni e i perché da cui essa emerge, le ansie o le attese a cui risponde. Penetrando il mondo esistenziale, culturale e immaginale dello scrittore, l’autrice tocca le corde della sua creatività: emozioni esperienze, visioni. “Vivere significa gettare, inarcare, ponti su fiumi che scorrono via”. In ogni vita c’è qualcosa che manca, che sfugge, per Magris scrivere significa fare i conti con questi vuoti celati nel destino. Da qui Danubio e il dialogo coi fantasmi della storia strappati alla corrente del tempo e il suo amore per le “biografie imperfette”, ricostruzioni minuziose di vite di uomini trascorse all’om-

bra dei grandi: la scrittura come passione storica, antidoto all’oblio e insieme rispetto per i futuri incompiuti, i possibili mancati. Scrivere è insieme perdizione e salvezza: fuga dall’esistenza, ma anche antidoto all’incapacità di vivere, possibilità di riconciliazione con la vita. La tensione realistica che percorre l’opera di Magris si apre all’invenzione e diviene teatro d’un cortocircuito tra fedeltà e tradimento: il dato di realtà, proiettato sul piano metafisico della scrittura, si sfalda e si dilata per assumere un valore umano universale, di “impura trascendenza”. Tesa tra “utopia e disincanto”, ironia e tragedia, la letteratura di Magris si nutre di assenze, sconfitte, naufragi. I suoi personaggi, antieroi dell’epos moderno, sono “menti alla deriva”, trascinati e sommersi dalle acque, dove la nostalgia di ritorno e riscatto può divenire l’altra faccia dell’annullamento, consunzione e perdita. L’interesse di Magris per gli umili e i vinti è anche amore per la realtà sotto la storia, per il fondale della vita, che è insieme anonimo e plurale. Un itinerario cronologico, quello delineato dall’autrice, che rivela come Magris, senza perdere il proprio stile “misto” tra saggio e racconto, guadagni pagina su pagina una profondità e immediatezza sensibile, restituita qui con picchi di altissimo pathos, come è il caso dell’ultimo capitolo dedicato a La Mostra. Irina Casali

OSSERVATORIO LIBRI

crea una frattura nel disegno mentale che corrisponde alla nostra percezione ambientale di quel dato e ricomporla non sembra facile. L’interrogativo si pone: “Come spiegare il caos della città e del territorio contemporanei?” La risposta è cercata dall’autrice nei testi scritti da architetti e urbanisti, sebbene sia chiaro che essi affrontano “il problema della comprensione della città nell’ottica della proposta progettuale”. La speranza è dunque quella che, nel rifiutare il caos, potrà sempre opporre la possibilità di “offrire un progetto che lo superi”. Il libro costruisce una propria traccia di analisi attraverso la disamina di testi e di saggi, scelti a partire da una asserzione che in parte li accomuna tutti: “La città è parte inalienabile della conquista dell’umanità”. L’autrice si sofferma soprattutto sui testi di Bernardo Secchi, di Vittorio Gregotti e di Joseph Rykwert, analizzando temi come: percezione ed esperienza, semplicità ed economia espressiva, la città come concatenazione di fatti e di azioni volute, spazio e relazione nella città.


a cura di Sonia Milone

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L’ingresso nella modernità Annicinquanta Milano, Palazzo Reale 3 marzo – 7 luglio 2005 Cosa abbiano rappresentato gli anni Cinquanta per l’Italia è ormai nella comprensione di tutti, ma fino ad ora non era stata tentata una lettura “collettiva” di quest’epoca di ripresa economica, di sviluppo e trasformazione sociale, di fervore culturale, creativo ed educativo, di ingresso nella modernità, insomma. Un momento specia-

le, quello che va dalle elezioni del 18 aprile 1948 alle Olimpiadi di Roma del 1960, e che la mostra di Palazzo Reale illustra con gioiosa e colorata ironia sottesa da una leggera vena nostalgica assecondata certamente dalle poetiche immagini di grandi fotografi come Berengo Gardin, Giacomelli e Mulas. Anni in cui un paese liberato dalla dittatura – il regime in realtà per taluni aspetti aveva gettato le basi per il prossimo sviluppo – conosce quasi d’improvviso, dopo la tragedia bellica, il boom economico, il benessere. In mostra l’industria, quella illuminata come la Olivetti e la Fiat (con il Master in mogano della Cinquecento, ma anche la Vespa, la Lambretta), ma anche quella degli alimenti, degli oggetti di design (molti da riscoprire perchè entrati talmente a far parte della quotidianità da essere divenuti quasi trasparenti)

o quella della plastica e della prefabbricazione. E con la produzione si affiancano la nuova grafica, la pubblicità di Armando Testa, la moda “pronta” e l’alta moda di Pucci e Cappucci, ma anche i nuovi fervori artistici e letterari, assieme alle città che cambiano anche con l’edilizia speculativa, ma soprattutto con quell’architettura di qualità libera dai dettami razionalisti o classicisti che farà spesso da modello al sostanzaile tema dell’abitare, ad esempio: dalla casa borghese alla casa per tutti. Esposti i bei disegni di architettura di Gio Ponti, dei BBPR o di Marco Zanuso che collaborarono, in una visione partecipata e di scambio, con grafici e artisti della portata di Albe Steiner o Max Huber, con Dova o Fontana e con educatori e creativi come il grandissimo Bruno Munari, perseguendo l’idea rogersiana di un programma che andasse “dal cucchiaio alla città”. Ma è anche il decennio della grande sperimentazione artistica di Burri, di Vedova e del genio-provocatore Manzoni e del forte coinvolgimento sociale del cinema neorealista di Visconti, Rossellini e del grande De Sica, o del sogno degli esordi di Fellini e di Antonioni. Fino al valore dello sport rappresentato da commoventi immagini e cimeli che ci riconducono alla grande Roma del 1960, una città che fu capace di stupire. Maria Vittoria Capitanucci

Tutti i colori di Sottsass Sottsass. Progetti 1946 – 2005 MART, Museo di Arte Moderna di Trento e Rovereto 26 febbraio – 22 maggio 2005 Il Museo di Arte Contemporanea di Trento e Rovereto che ospita presso l’Archivio del ’900 i progetti del padre di Ettore Sottsass jr., oggi descrive accuratamente l’evoluzione personale e progettuale del figlio in una mostra di grande efficacia. La retrospettiva, attentamente curata da Gabriella Belli e Milco Carboni, è articolata secondo due percorsi paralleli e comple-

il superamento dell’impostazione razionalista paterna in architettura, sia l’intenzione di attribuire un carattere emozionale prima che funzionale agli oggetti di arredo. Teresa Feraboli

mentari dedicati rispettivamente all’attività di architetto e all’attività di designer. Una nota autobiografica di Ettore Sottsass, posta al termine della doppia rampa del Mart, introduce entrambe le sezioni e fornisce la chiave di lettura che traduce le sue riflessioni teoriche nella serie di schizzi, progetti, modelli, plastici e oggetti, puntualmente documentati dai curatori. “Anche nel sonno, di notte, disegno”, ha scritto il progettista all’ingresso della mostra, sottolineando quanto il tratto pittorico rappresenti il suo modo di comunicare, prima ancora della parola. L’allestimento, infatti, è un susseguirsi di colori fissati in un’infinità di disegni e soltanto in seguito trasferiti nella concretezza di un edificio oppure nella specificità dei singoli materiali impiegati per dare vita ai prodotti di un design volutamente “non industriale”. Sono assenti per scelta, infatti, gli oggetti legati ad una diretta logica del consumo, mentre viene esibita la forza comunicativa del vetro, della ceramica, dell’oro, del laminato plastico. Dalle enormi torri di ceramica degli anni Sessanta agli improbabili mobili ideati durante le stagioni di Alchimia e di Memphis, fino ai miniaturizzati Modelli di architetture in marmo e pietre preziose emerge costante la sensibilità tattile, quasi artigianale, con cui Sottsass si accosta al mondo del progetto. L’esempio del padre – per il quale “progettare era quasi un evento fisico” – permane “come una specie di DNA” nelle scelte istintive del figlio, anche se questi incarna una eterna ricerca di differenti modalità espressive. Entrambe le sezioni della mostra, infatti, descrivono la volontà di affermare nuove motivazioni ideali rispetto ai modelli che lo hanno immediatamente preceduto: emergono, quindi, con forza sia

Roma quanta fuit Imago Urbis Romae Roma, Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli 11 febbraio – 15 maggio 2005 Quale città al mondo può dire di essere stata più di Roma? Non deve essere stato facile per il curatore De Seta selezionare, tra la messe di documenti, la raccolta esposta nella sede più che mai appropriata dei Musei Capitolini. Quella che per il visitatore comune sarà certo una godibilissima mostra, ricca di curiosità e mirabilia, non offre solamente la riproduzione del corpo fisico della città ma, al tempo stesso, di questa rivela la dimensione parallela, altrettanto consistente, della sua imago. È innegabile che la dimensione fisica di Roma goda di uno spiccato appeal corporeo; la sua opulenta orografia è gia sufficientemente pittoresca perché il cav. Bernini, in viaggio d’affari a Parigi, abbia a lamentare la piattezza di quest’ultima in confronto alle prospettive variate dei colli e dei monumenti della Città Eterna. Ma la potenza dell’immagine della città esula dai suoi limiti fisici, anche solo nella banalità dell’oleografia di una città decaduta all’ombra delle Grandi Carcasse bagnate da una luce sempre ruffiana. Mentre il presente offre all’occhio del viaggiatore di età moderna un corpo corrotto, il passato, una certa idea di passato,


Filippo Lambertucci

Metropoli europee a confronto L’esplosione della città. Città diffusa e caratteri metropolitani Bologna, San Giorgio in Poggiale 12 marzo – 12 aprile 2005 Organizzata dalla Provincia di Bologna e dalla Fondazione Cassa di Risparmio e curata dallo IUAV di Venezia, la mostra L’esplosione della città è la sintesi di una ricerca universitaria di Francia, Italia, Portogallo e Spagna, coordinata da Antonio Font (Universitat Politècnica de Catalunya), Francesco Indovina (IUAV) e Nuño Portas (Universidade do Porto). L’obiettivo ambizioso è confrontare tredici metropoli: Barcellona, Bologna, Donostia-Bayonne (San Sebastian), Genova, Lisbona, Madrid, Marsiglia, Milano, Montpellier, Napoli, Porto, Valencia e la formazione del Veneto cen-

trale, analizzandone situazione presente, linee di trasformazione e politiche urbane, sullo sfondo della prevalente diffusione territoriale e delle nuove relazioni interne. Le identità metropolitane sono efficacemente tratteggiate dai gruppi di lavoro che restituiscono anche un quadro attendibile della compresenza delle diverse pianificazioni. Interessante per la sua complessità è il caso di Barcellona, ormai regione metropolitana, nella quale, tuttavia, la natura policentrica resta elemento fondante dello sviluppo reticolare e dove, con chiarezza s’individua, nella rilocalizzazione delle attività produttive, il coronamento del necessario recupero ambientale-pubblico. La situazione di Milano, in confronto, mostra una radicalizzazione dei processi di dismissione produttiva sul disegno antico del PIM, cui fa riscontro l’emergere di specifiche situazioni socio-territoriali: centro urbano, conurbazioni multicentriche (Valle Olona, Brianza), urbanizzazione reticolare (Saronnese, Magentino, Vimercatese), insediamento nella pianura irrigua del Sud Milano, elementi le cui specificità policentriche costituiscono in ultima analisi la risorsa decisiva, da sostenere con infrastrutture e recuperi produttivi. Sullo sfondo è presentata l’elaborazione del PTC di Bologna, dove il potenziamento dei sistemi infrastrutturali è lo scatto decisivo per una conquista più certa del ruolo metropolitano regionale. Le fotografie del catalano Jordi Bernadó colgono nei diversi contesti la dimensione estraniata della metropoli contem-

poranea. L’interessante catalogo è a cura di Francesco Indovina, mentre eventi qualificati arricchiscono l’esposizione. Stefano Cusatelli

Decoro strutturale Thonet: la nascita del design tra Biedermeier e Secessione Viennese Milano, Castello Sforzesco Sala della Castellana e Sala del Tesoro 11 marzo – 24 aprile 2005 L’animosa questione della decorazione applicata alla produzione del mobile ha marcato nel tempo il punto di confine del rapporto conflittuale tra artigianato e industria. Conflittuale a tal punto che la rimozione della decorazione dalla superficie dei mobili viene storicamente a coincidere con la nascita di una nuova disciplina: il disegno industriale. A modello di tale disciplina si trova una nuova oggettività, ricercata come diretto risultato della produzione seriale nel cui ciclo la decorazione inevitabilmente si dissolve per i suoi caratteri d’immoralità. Immoralità di produzione in primo luogo: “L’assenza di ornamento ha come conseguenza un minor tempo di lavorazione e un aume-

nto del salario“, come profetizzava Adolf Loos nel lontano 1910. Immoralità di forme poi, da imputare alla caratteristica evasione della decorazione dalla correlazione tra forma e costruzione. Esempio emblematico di decoro strutturale nel cui insieme viene applicato un legame univoco tra forma e significato funzionale, sono i primi modelli prodotti dalla ditta Thonet, i quali, derivati da una nuova tecnica espressiva, la curvatura degli elementi di faggio, prendono forma in relazione alla particolare struttura di sostegno. Da qui il loro stretto legame con l’architettura dell’ingegneria che conferisce alla linea Thonet, come ha osservato De Fusco, “la prima vera e propria manifestazione di industrial design”. La veridicità di tale intuizione è confermata non solo dalle fasi produttive con cui Michael Thonet a partire dal 1796 raffina la tecnica di curvatura del legno, immergendo pacchetti di legno in bagni di colla per poi sagomarli in forme di ghisa precedentemente preparate, ma anche dalla diffusione delle celebri sedie Thonet, le quali, per la prima volta, confezionate in casse per spedizione dall’ingombro di un metro cubo, si proiettano in una dimensione domestica genericamente anonima ed universalmente valida, scardinando i particolari adattamenti del disegno d’arredo su misura. Matteo Baborsky

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vellica il suo intelletto con l’immagine, di un tempo ideale. L’accostamento delle opere svela la voluta schizofrenia di uno sguardo che, mentre registra con precisione i segni della rovina, al tempo stesso rifonda l’autorità del suo passato consegnandone i lineamenti ad una dimensione assoluta. Così, mentre le vedute e i panorami solleticano il voyeurismo toponomastico, Panini, Lorrain, Canaletto, tra i maggiori, restituiscono una città immaginata non meno solida; i “capricci”, senza mistificare, mettono a punto l’immagine della città, tanto potente da resistere alle più ardite manipolazioni, come il mare che lambisce il Campidoglio. Nessuna descrizione nelle vestigia che Canaletto affianca a pezzi di Palladio e a case vicentine; ancora meno nell’improbabile Pantheon quadrifronte sullo sfondo di un gotico forse visto in Inghilterra; tuttavia vi riconosciamo i tratti di un carattere universale, della permanenza di un’idea che resiste al tempo e al luogo in virtù della limpidezza della sua immagine. Oggi un po’ appannata.


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Francesco Gnecchi-Ruscone. Dieci edifici e una torre di controllo Anna Chiara Cimoli Lungo un cinquantennio, l’attività professionale di Francesco Gnecchi-Ruscone ha oscillato come un pendolo fra Milano e il mondo, partendo dalla città natale, oggetto costante di studio e di interrogazione, e tornandovi regolarmente, fra le numerose occasioni di lavoro internazionali. Quello per Milano e per la sua cultura progettuale è un amore che affonda le radici nella formazione alla scuola del Politecnico, nella frequentazione di una generazione di architetti che vede nello studio BBPR un punto di riferimento essenziale, nella tensione alla ricostruzione che diventa una spinta morale ininterrotta, un modus vivendi che accompagna, come metodo e assunzione di responsabilità, lungo tutta la carriera. Conclusa l’esperienza della Resistenza, Gnecchi-Ruscone si laurea nel 1949 e poco dopo parte per Londra, dove è assistente incaricato presso la Architectural Association School of Architecture e dove sperimenta il primo, felice incontro con la cultura progettuale anglosassone, che sarebbe stata a lungo punto di riferimento culturale e professionale. Il debutto di Gnecchi sulla scena progettuale milanese, avvenuto con la Mostra di Studi sulla Proporzione allestita alla Triennale del 1951, è un episodio di grande eleganza e personalità: fra i pochi allestimenti che Kidder Smith inserisce nel proprio Italy builds, viene definito da Rogers un gesto “che chi ha visto certo non dimentica”. Pubblicata molto più all’estero che in Italia, la mostra del ’51 rimane, vista a cinquant’anni di distanza, un’azione “alta” e programmatica, pur nella sua assenza di pretenziosità. A poca distanza spaziale dalla contemporanea “Architettura misura dell’uomo”, frutto della regia di Rogers, la mostra di Gnecchi indicava un senso di costruttività classico che, all’indomani della fine della guerra, aveva il

sapore di una vera e propria dichiarazione culturale. Ma ancora l’orizzonte si allontana da Milano: dal 1951 al 1954, su incarico di Adriano Olivetti, Gnecchi viene chiamato a dirigere il Centro Studi U.N.R.R.A.C.A.S.A.S., e a percorrere le aree depresse dell’Italia della ricostruzione per studiare nuovi modelli di sviluppo e valorizzazione. Sono anni di grande densità e di incontri importanti: l’imprinting olivettiano segna profondamente il modo di lavorare dell’architetto, contribuendo ad allargarne gli orizzonti. Tornato a Milano, Gnecchi lavora alla progettazione di quartieri di edilizia sovvenzionata (in alcuni casi in collaborazione con lo studio Latis) e si interessa attivamente al tema della prefabbricazione: è referente per la diffusione in Italia del sistema inglese C.L.A.S.P. e consulente dell’Organisation for Economic Cooperation and Developement. Attraverso queste collaborazioni si alimenta un continuo scambio con il mondo anglosassone e scandinavo, che contribuisce a immettere nella cultura del dopoguerra nuovi e aggiornati stimoli. Profondamente intrecciata con la vita culturale e con i modi espressivi milanesi è la vita professionale del progettista, che, pur con il caratteristico understatement, prende sistematicamente parte alle occasioni di dibattito promosse in città: membro del MSA dal 1951, ne diventa segretario nel 1955-56; partecipa alla IX, alla X e alla XII Triennale; collabora alla vita del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano, di cui è vicepresidente dal 1994 al 1997 e per il quale dirige in anni recenti il bollettino ufficiale (“Il Giornale dell’Ingegnere”). Gnecchi fa anche parte della Commissione Edilizia nel 1972-79 e della Commissione Comunale per l’Arredo Urbano nel 1979-80. Anche la didattica è una voce importante dell’attività dell’architetto: dopo il biennio all’Architectural Association School of Architecture (1949-51), dal 1962 al 1967, con due parentesi di insegnamento a Yale, è assistente di Ernesto N. Rogers al Politecnico di Milano (all’aggravarsi della malattia, Rogers lo designa come suo supplen-

te); nel 1967 ottiene la cattedra di Elementi di Composizione, che mantiene fino al 1970. All’insegnamento Gnecchi-Ruscone dedica grandi energie e passione, prendendo parte attiva alla vita dell’ateneo e al dibattito culturale ad essa legato (con particolare riferimento alla riforma del curriculum di studi negli anni della contestazione). Ma al di là della scena “pubblica”, numerose sono le occasioni promosse dalla committenze privata e industriale di quella società milanese che nel secondo Novecento promuove un restyling radicale della città nei suoi aspetti materiali e immateriali. Ne sono esempio gli interventi per la Pirelli (filiale di Cagliari, 1963-65; torre di controllo a Lainate, 1963-68; torre di controllo a Vizzola, 1968-70) o i numerosi interventi per l’edilizia residenziale nel centro di Milano, come l’edificio di viale Elvezia (1958-72, con Eugenio Gentili Tedeschi) o l’ampliamento dell’edificio di via Visconti di Modrone (1974-75). Fra le maglie di questi incarichi, sono numerose le occasioni progettuali all’estero: i complessi Montecarlo Palace a Montecarlo e Country Park a Roquebrune Cap-Martin fra 1978 e 1990, la Banca C.B.I. a Ginevra nel 1981, i progetti urbanistici per Tel-Aviv, Samarcanda, Amman; quelli per insediamenti turistici in Guinea Bissau, Tanzania e Uganda della fine degli anni Novanta. Nel 2000 l’architetto fonda lo Studio Associato “Equator Milano”, sede italiana di un network di progettazione europeo di cui già faceva parte personalmente da alcuni anni. In questo ambito nascono la progettazione della risistemazione della piazza di Greco e degli uffici Enron in via Manzoni, a Milano. Il più recente atto di generosità verso la propria città è la donazione dell’archivio professionale al Comune di Milano (ufficio Progetto C.A.S.V.A.), avvenuta nel 2002. L’archivio, che conserva circa 22.200 unità documentarie, è stato oggetto di una recente inventariazione ed è aperto alla consultazione. Bibliografia essenziale Banham R., Schools of today, Homes of Yesterday, in “The Listener”, 18 agosto 1960, pp. 253-254.

Chiesa A., Un laboratorio all’aperto, in “Pirelli”, n. 9-10, settembre-ottobre 1969. Cimoli A. C., L’archivio dell’architetto Francesco Gnecchi-Ruscone presso il C.A.S.V.A., “Quaderni del C.A.S.V.A.”, n. 2, Milano 2004. Gnecchi-Ruscone F., Un’esperienza inglese: il CLASP come consorzio, come programma, come sistema, in “Abitare”, n. 11, novembre 1962, pp. 14-17. Gnecchi-Ruscone F., Testimonianza di uno studente di allora, in Silvestri A. (a cura di), Il ruolo del Politecnico di Milano nel periodo della liberazione, atti del convegno e catalogo della mostra, Libri Scheiwiller, Milano 1995, pp. 102-122. Gramigna G., Mazza S., Milano. Un secolo di architettura milanese dal Cordusio alla Bicocca, Hoepli, Milano 2001, p. 271; p. 325. Kidder Smith G. E., L’Italia costruisce. Sua architettura moderna e sua eredità indigena, Edizioni di Comunità, Milano 1954, pp. 196-197. Moretti L., Forma e contenuto delle Triennali, in “Spazio”, II, n. 5, luglioagosto 1951, pp. 17-24. Tafuri M., Razionalismo critico e nuovo utopismo. Il concorso per la ristrutturazione della zona centrale di Tel Aviv, in “Casabella Continuità”, n. 293, novembre 1964, p. 40.

1. Edificio INCAM, 1955-58 Milano, via Mincio 5 L’edificio, progettato in collaborazione con Giovanna Pericoli e Giancarlo Polo all’epoca dello studio di piazza Duse, viene commissionato dall’Istituto Nazionale Case ai Maestri e realizzato dall’impresa Ettore Salani. Esso si colloca nella linea di quell’edilizia residenziale “povera”, ma spesso frutto di grande cura progettuale, che attraversa le periferie milanesi degli anni


del dopoguerra milanese, che valorizza la continuità con la tradizione. L’edificio ospita quattro alloggi per piano. 3. Complesso residenziale INA-Casa, 1957-62 Milano, quartiere Vialba

Cinquanta. Essenziale nelle scelte espressive e progettuali, l’edificio non è però inerte, grazie al movimento della facciata a balconi sfalsati che crea dei giochi d’ombra geometrici. Affine a quella linea di edifici “astratti” che costella la città del dopoguerra, ben simbolizzata dagli edifici di Forti e Magni o di Perogalli e Mariani in viale Beatrice d’Este, il condominio di via Mincio declina nei toni sobri dell’edilizia popolare la tensione a un pacato rifiuto dell’anonimato che negli stessi anni vede a Milano più espliciti episodi “spazialisti”.

Progetto in collaborazione con Vito e Gustavo Latis, Giovanna Pericoli e Giancarlo Polo per il secondo settennio dell’INACasa, il complesso residenziale nel quartiere Vialba è composto da nove blocchi di edifici a tre piani che sorgono all’interno di un compound affacciato su via Felice Orsini. I blocchi, di dimensione variabile da uno a cinque “moduli” allineati, accentuano il legame con i riferimenti della tradizione lom-

2. Edificio INCAM, 1957-62 Milano, via Breguzzo 5 Commissionato ancora dall’INCAM, l’edificio sorge al QT8 e dialoga idealmente con il denso tessuto culturale del quartiere. Abbandonato il linguaggio astratto di via Mincio, qui i rivestimenti in calcestruzzo a vista con trattamento a nido d’ape, l’ampio porticato al piano terreno, l’allineamento delle aperture, il tetto a falde, rimandano al linguaggio più tipico dei quartieri popolari

barda già tratteggiato in via Breguzzo: qui le basse case, poste in linea ma leggermente sfalsate a guadagnare più luce, parlano il linguaggio dell’edilizia popolare dei quartieri di nuova costruzione attraverso il tetto in tegole, i grigliati in cemento lisciato a schermare ampie porzioni di facciata, le pensiline sporgenti. 4. Due lotti UNRRA-CASAS, 1958-63 Milano, quartiere Gallaratese Durante la prima giunta dell’UNRRA-CASAS, Francesco Gnecchi progetta, insieme a Vito Latis (entrambi capigruppo) e con la collaborazione di Gustavo Latis, Giovanna Pericoli e Giancarlo Polo, due lotti nel quartiere Gallaratese (il n. 40 e 41). Il lotto 41, composto da quattro bracci che si chiudono con andamento spiraliforme, sagoma in pianta una

corte allungata. La sequenza dei sei corpi edilizi è modulata dalle variazioni in altezza (alternativamente tre e quattro piani fuori terra). Un ampio porticato

dendo vivo e frequentato il centro del nuovo villaggio urbano grazie alla presenza di luoghi di aggregazione. 5. Edificio residenziale, 1958-72 Milano, viale Elvezia 18 Alla fine degli anni Cinquanta, Gnecchi-Ruscone redige uno studio di fattibilità per un edificio da costruirsi all’angolo fra via Canova e viale Elvezia, dove all’epoca sorgeva un caseggiato basso adibito a magazzino. Il coraggioso edificio a torre, declinato in diverse versioni successive, sarebbe stato un segno

corre lungo tutto il complesso, affacciando sul verde. I rivestimenti delle facciate sono in mattoni a vista. In occasione di questo episodio progettuale, l’architetto propone al gruppo la propria visione della “spina centrale”, centrata su un complesso centrale di servizi (negozi, banche, caffè, biblioteca, ecc.) sopraelevato rispetto alla strada e completamente pedonalizzato. Lo sforzo è quello di scongiurare il rischio del “quartiere-dormitorio”, ren-

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svettante al di là dell’Arena, simmetrico alter-ego del condominio di via Revere di Longoni e Magistretti. Giudicato troppo ardito e visivamente ingombrante, il progetto viene bocciato dalla Sovrintendenza. È a questo punto della vicenda che nasce la collaborazione con Eugenio Gentili Tedeschi, che a sua volta stava sondando la possibilità di realizzare un condominio per un gruppo di privati, riunitisi nella “Società Elvezia di A. Gadola & C”: individuata l’area prescelta in un primo tempo da Gnecchi come adatta allo scopo, i due architetti procedono alla progettazione di una casa in condominio. Ne nasce un edificio più “tradizionale” della torre di Gnecchi, che abbraccia e asseconda l’angolo fra viale Elvezia e via Canonica opponendo la propria convessità a quella della prospiciente Arena. I punti di svolta evidenziati dalle scansioni verticali delle balconature, il rivestimento a pannelli prefabbricati di un morbido color bruciato alternato al bianco ghiaccio delle ringhiere in cemento, la simmetria delle aperture fanno di questo edificio un elegante esempio di bon ton milanese: un manufatto equilibrato e fuori dalle mode, senza bisogno di forzature né di dichiarazioni di intenti. A seguito di questa prova, Gnecchi costruisce anche altri due condomini contigui al primo lungo via Canonica. 6. Scuola elementare, 1962 Buccinasco Alla Triennale del 1960 era stata presentata una scuola prefabbricata (poi trasferita al parco Trotter, dove esiste tuttora), realizzata con il sistema “CLASP” un sistema di prefabbricazione nato dagli studi di un consorzio inglese. Francesco GnecchiRuscone, durante la sua permanenza in Inghilterra del 1959, era entrato in contatto con questo consorzio, e ne aveva ricevuto l’incarico di studiare la possibilità di applicare il sistema all’edilizia scolastica italiana. Da questo primo studio sarebbe nata nel 1961 la scuola “Silvio Cerruti” di Biella, e, poco dopo, quella di Buccinasco. Gnecchi, che in quegli anni è

anche rappresentante della “Costruzioni Modulari s.p.a.”, una società nata dall’esperienza inglese che offre consulenze per l’applicazione del sistema CLASP, progetta la scuola di Buccinasco in collaborazione con il “Collettivo di Architettura” di Novella Sansoni Tutino. Si tratta di un corpo allungato sul terreno e articolato, con una struttura a “U” da cui si dipartono dei bracci. Le grandi aperture vetrate e i collegamenti visivi fra un blocco e l’altro ne fanno un organismo arioso e al tempo stesso facilmente “controllabile”. Da questa esperienza nascono le scuole di Piedimonte d’Alife e Carinola (provincia di Caserta, 1962), il progetto di ampliamento della scuola Rinnovata Pizzigoni (Milano, 1962-64) e gli interventi degli anni Novanta per numerose scuole di Monza.

lungo via Galvani ricoperto in klinker. I primi tre piani della torre hanno ampie finestrature alternate a fasce di pannelli di Silipol; i cinque piani superiori – quelli inizialmente destinati ad abitazioni – sono più introversi, e anch’essi sono rivestiti a pannelli di Silipol. La copertura è piana e praticabile per ospitare un terrazzo-ristorante. Una grande attenzione viene posta al sistema della circolazione e delle comunicazioni orizzontali e verticali fra gli uffici: la distribuzione degli spazi e delle funzioni viene progettata “su misura” e modellata sulle necessità della compagnia, di cui Gnecchi studia attentamente il funzionamento e l’organizzazione.

7. Edificio per uffici, 1968-72 Milano, via Galvani 22 via Melchiorre Gioia 45

Quello per Banca Briantea di Merate è il primo di una serie di interventi per banche che anno-

Dopo la redazione di un primo studio di fattibilità per la costruzione di un edificio per uffici e abitazioni in via Galvani, la Società di Assicurazioni “Il Duomo”, a seguito della propria espansione, chiede a Gnecchi la trasformazione dei piani superiori da casa-albergo a uffici. L’edificio, che sorge nel cuore del “centro direzionale”, è composto da una torre slanciata, rivestita in pannelli Fulget, cui si giustappone un corpo allungato

8. Banca Briantea, 1965-66 Merate (Lecco)

vera la commessa per la sede centrale della Banca Agricola Commerciale di Reggio Emilia, di cui fanno parte il restauro di Palazzo Spalletti-Trivelli e la progettazione di numerose filiali in provincia (1975-84), e la progettazione della Compagnie de Banque et d’Investissement di Ginevra (1981). A Merate, Gnecchi opera una riflessione sull’architettura per il terziario che trova nella contemporanea sede degli uffici Pirelli di Cagliari la sua applicazione più compiuta ed espressiva: la rappresentatività e la forza comunicativa del progetto risiedono in entrambi i casi nell’austero partito geometrico, che nel caso cagliaritano si affida all’uso “brutalista” del cemento a vista, mentre in quello di Merate sceglie la via del blocco chiuso, lavorato in facciata dalle profonde strombature delle finestre. Il compatto edificio, scandito dal ritmo omogeneo delle aperture, affaccia sulla piazza principale del paese come un piccolo forziere, ingentilito dalla presenza della fontana scultorea, progettata dall’architetto stesso. Costruito dall’Impresa Celio Molgora, esso è interamente rivestito in pannelli prefabbricati trattati a graniglia levigata, che


9. Torre di controllo della pista prova pneumatici Pirelli, 1968-70 Vizzola Ticino (Varese) Dopo il già ricordato edificio per uffici di Cagliari (1963-66) e la torre di controllo per la pista di prova dei pneumatici di Lainate (1963-68, oggi distrutta), quello di Vizzola Ticino è il terzo progetto per la Pirelli, esempio di un rapporto virtuoso con una committenza industriale intelligente. La torre sorge al centro del campo e riceve in tempo reale i dati trasmessi dalle vetture in prova. Al suo interno si trovano anche le centrali di comando degli impianti, che permettono di ottenere diversi gradi di bagnatura delle piste per verificare la tenuta dei pneumatici. Al livello del suolo si trova un’officina di 200 mq con copertura praticabile. Alla cabina si accede tramite i due elementi verticali portanti: l’ascensore, contenuto in un blocco vetrato, e la scala esterna. Gli elementi portanti sono in calcestruzzo, mentre la cabina è in struttura metallica prefabbricata. Lo spazio della cabina è suddiviso in tre aree: alla quota più bassa si trovano due piccoli locali per riunioni; a una quota leggermente superiore si trova la cabina di osservazione vera e propria con tre postazioni di comando; qui è ricavato un soppalco da cui gli osservatori possono osservare le prove senza

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interferire con il lavoro degli operatori. Dal soppalco si accede a un terrazzo che, con il suo aggetto, scherma dal sole le postazioni di lavoro sottostanti e offre ai visitatori un punto di vista spettacolare, implicito nel valore “di rappresentanza” richiesto dalla committenza. Tutta la cura progettuale converge nel controllo della temperatura, mantenuta costante per garantire il corretto funzionamento delle sofisticate apparecchiature elettroniche. La torre, che può ricordare nell’andamento spigoloso le linee di certa avanguardia russa, ne nega però il tormento, esplicitando la struttura e configurando un piccolo gioiello di tecnologia e funzionalità moderne. 10. Edificio residenziale, 1973-77 Vimercate (Milano) via Duca degli Abruzzi Esempio di edilizia residenziale di qualità della prima fascia suburbana, che nei primi anni Settanta vive un momento di grande prolificità, l’edificio di Vimercate viene commissionato

a Gnecchi dal gruppo Assitalia. Costituito da quattro piani fuori terra, esso comprende ventotto appartamenti, e ricava la sua personalità dall’alternanza del klinker con le fasce marcapiano in calcestruzzo a vista, che accentuano l’andamento orizzontale dell’organismo. La pianta a “L” permette l’apertura su un giardino interno con area-gioco per i bambini; i due blocchi maggiori sono collegati da un corpo a pianta quadrata, che funge da elemento di snodo e ospita l’accesso principale. Questo corpo minore è arretrato rispetto al filo degli edifici lunghi, e imprime loro un andamento mosso e zigzagante che si rispecchia anche negli alzati. Il nucleo progettuale, infatti, risiede nella realizzazione di un sistema di terrazze a cielo aperto, ottenute con l’arretramento asimmetrico dei piani alti e la modulazione delle piante degli appartamenti, tutte diverse fra loro. 11. Ampliamento e modifica edificio, 1974-75 Milano, via Visconti di Modrone via Mascagni La ristrutturazione dell’edificio di via Visconti di Modrone, commissionata a Gnecchi dall’Assitalia, prevede il restauro di un prestigioso edificio storico e la realizzazione di un nuovo corpo su via Mascagni, con demolizione della originale facciata meridionale. L’antico edificio è un bell’esempio di architettura patrizia, con una corte visibile dalla strada, un giardino interno di grande pregio e finiture artistiche di

valore. L’opera di ristrutturazione e l’ampliamento verso via Mascagni operano nel più grande rispetto dell’esistente: l’architetto procede a una serie di delicate demolizioni, motivate in alcuni casi dalla presenza di superfetazioni avvenute negli anni, e ristabilisce l’equilibrio compositivo fra le diverse ali del complesso. Il nuovo corpo, caratterizzato in facciata dalla presenza di serramenti scorrevoli, adotta lo stesso linguaggio delle ali preesistenti: viene utilizzato il medesimo intonaco e adottato lo stesso partito geometrico e cadenzato delle aperture. La mano moderna è rivelata solo in alcuni dettagli, come nell’elegante atrio che accoglie e abbraccia il visitatore, rivelando il gusto di un comfort tutto milanese.

OSSERVATORIO ITINERARI

riprende il color ocra tipico dell’edilizia locale. L’ingresso per il pubblico è posto sul viale di scorrimento laterale, ma grazie all’arretramento della bussola e alla creazione di un piccolo portico l’ingresso è visibile anche dalla piazza. L’ampia sala per il pubblico, al piano terreno, è riscaldata dall’arredamento in legno. Al piano sotterraneo si trovano le cassette di sicurezza, i salottini per le interviste riservate e gli archivi; il piano superiore, destinato agli uffici, non presenta elementi fissi, in modo da offrire infinite possibilità di spostamento dei tramezzi grazie alla concentrazione degli impianti di risalita in un corpo autonomo e all’adozione della struttura metallica a campata unica.


a cura di Walter Fumagalli

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Risorse idriche: la normativa Da tempo nelle principali pubblicazioni di geopolitica internazionale gli esperti suonano l’allarme di una futura carenza globale dell’acqua, arrivando addirittura a prefigurare una battaglia planetaria per l’accaparramento di questo elemento fondamentale per la sopravvivenza del genere umano: l’acqua non è una risorsa infinita e va tutelata, disciplinandone l’uso al fine di risparmiarla ed evitando che venga inquinata dalle attività antropiche. L’uso delle risorse idriche L’Articolo 1 della Legge 5 gennaio 1994 n. 36, dopo aver stabilito che tutte le acque, superficiali e sotterranee, sono pubbliche, afferma che esse costituiscono “una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà” al fine di tutelare “le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale”. L’Articolo 2 dispone che “l’uso dell’acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi” i quali “sono ammessi quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano la qualità dell’acqua per il consumo umano”. La scelta di rendere pubblico il patrimonio idrico del Paese, al fine di tutelarlo in maniera più incisiva comporta l’avocazione a sé, da parte dello Stato, del diritto di proprietà dell’acqua. In qualità di proprietario, spetta allo Stato il compito di emanare le direttive per censire le risorse idriche, disciplinare l’economia idrica, proteggerla dall’inquinamento, programmare l’utilizzazione delle risorse, e individuare i criteri per la gestione del servizio idrico integrato, costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue. Lo Stato ha affidato alle regioni e agli enti locali il compito di esercitare le funzioni operative di tutela, nel rispetto delle sue direttive, fermo restando che “coloro che gestiscono o utiliz-

zano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all’eliminazione degli sprechi e alla riduzione dei consumi e a incrementare il riciclo e il riutilizzo, anche mediante l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili” (Articolo 25 del Decreto Legislativo 11 maggio 1999 n. 152). Per quanto riguarda il risparmio idrico, il primo comma dell’Articolo 5 stabilisce che “le regioni prevedono norme e misure volte a favorire la riduzione e l’eliminazione degli sprechi ed in particolare a: a) migliorare la manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione di acque (…) al fine di ridurre le perdite; b) realizzare (…) reti duali di adduzione al fine dell’utilizzo di acque meno pregiate per usi compatibili; d) installare contatori per il consumo dell’acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziali per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano; e) realizzare nei nuovi insediamenti sistemi di collettamento differenziali per le acque piovane e per le acque reflue”. I comuni devono garantire il risparmio idrico nell’ambito della pianificazione territoriale e dell’attività edilizia: il comma 1 bis del citato Articolo 5 stabilisce che “gli strumenti urbanistici, compatibilmente con l’assetto urbanistico e con le risorse finanziarie disponibili, prevedono reti duali al fine dell’utilizzo di acque meno pregiate, nonché tecniche di risparmio della risorsa. Il comune rilascia la concessione edilizia se il progetto prevede l’installazione di contatori per ogni singola unità abitativa, nonché il collegamento a reti duali, ove già disponibili”. In Lombardia la materia è regolata dalla Legge Regionale 2 dicembre 2003 n. 26, il cui Articolo 52 si limita ad individuare i criteri generali in materia di tutela quali-quantitativa e di utilizzazione delle acque, demandando la disciplina delle varie attività ad un apposito regolamento che ad oggi non è ancora stato emanato. La tutela dall’inquinamento L’Articolo 1 del D.Lgs. n. 152/1999 individua sei strumenti per tutelare in maniera efficace i corpi idrici.

Fra detti strumenti, quello più interessante è “la tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi nell’ambito di ciascun bacino idrografico ed un adeguato sistema di controlli e di sanzioni”. La tutela qualitativa della risorsa idrica viene garantita principalmente attraverso la fissazione di limiti di emissione degli scarichi e attraverso la loro regolamentazione. In materia, vige la regola per cui “tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati” (Articolo 45.1 del D.Lgs. n. 152/1999), fermo restando che gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nel rispetto dei relativi regolamenti. Nel rilasciare l’autorizzazione, gli enti competenti possono impartire prescrizioni tecniche volte a garantire che gli scarichi siano effettuati a norma di legge senza pregiudizio per i corpi recettori. L’autorizzazione allo scarico ha validità quadriennale e, un anno prima della scadenza, il titolare deve chiederne il rinnovo. Qualora alla scadenza del quadriennio non sia stata data ancora risposta alla domanda di rinnovo presentata tempestivamente, lo scarico può essere mantenuto provvisoriamente in funzione. Nel corso del quadriennio, per le costruzioni che vedano trasferita l’attività in essi esercitata, ovvero per quelle soggette a diversa destinazione, ampliamento o ristrutturazione, nel caso in cui da detti interventi derivi un mutamento degli scarichi, sia qualitativo che quantitativo, deve essere chiesta una nuova autorizzazione. Nel caso in cui, invece, la quantità o la qualità di quanto scaricato resti uguale, deve essere data comunicazione all’autorità competente. La tutela quantitativa delle acque viene esercitata anche “attraverso una pianificazione delle utilizzazioni delle acque volta ad evitare ripercussioni sulla qualità delle stesse e a consentire un consumo idrico sostenibile” (Articolo 22.1 del D.Lgs. n. 152/1999). Emanuele Ratto


Al pari dell’acqua in sé, anche i corsi d’acqua vanno salvaguardati. A questo scopo, l’Articolo 96 del Regio Decreto 25 luglio 1904 n. 523 elenca gli interventi vietati lungo i corsi d’acqua definiti “acque pubbliche”, e a tal fine dispone fra l’altro che sono vietati “le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori (…), minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi” (lettera “f”). Si tratta di una disposizione che non sempre viene puntualmente rispettata, e sulla quale pare quindi opportuno qualche approfondimento basato soprattutto sugli orientamenti maturati dalla Magistratura nel corso degli anni. • Qual è l’obiettivo della norma? Il divieto di edificazione sancito dalla lettera “f” dell’Articolo 96 è informato “alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali per i diversi usi disciplinati dalla speciale legislazione sulle acque, o comunque di assicurare, ai fini di pubblico interesse, il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, rivi, canali e scolatoi pubblici” (Corte di Cassazione, Sezione I civile, 29 ottobre 1979 n. 5644; T.A.R. Toscana, Sezione III, 24 gennaio 2001 n. 103). • A quali corsi d’acqua si applica la norma? L’Articolo 1 della Legge 5 gennaio 1994 n. 36 stabilisce che “tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche”, per cui è da ritenere che la lettera “f” dell’Articolo 96 vada rispettata in relazione a tutti i corsi d’acqua esistenti, e ciò anche in considerazione del fatto che “la stabilità del regime delle acque è riconosciuta dal legislatore come

interesse pubblico senza riferimento all’importanza dei corsi d’acqua o all’entità delle opere” (Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, 29 gennaio 1959 n. 1). Tuttavia, in considerazione degli obiettivi perseguiti dalla disposizione, “qualora risulti oggettivamente non sussistente una massa d’acqua pubblica suscettibile di essere utilizzata ai suesposti fini pubblicistici, deve escludersi la operatività, ad ogni effetto, dei divieti predetti” (Corte di Cassazione, Sezione I civile, 29 ottobre 1979 n. 5644; Corte di Cassazione, Sezione I Civile, 20 febbraio 1978 n. 807). Su questo tema merita inoltre di essere segnalato che “per argine deve intendersi un rialzo che viene costruito con terra costipata, atto a contenere un invaso d’acqua” (T.A.R. Lazio, Latina, 19 dicembre 2000 n. 879), per cui potrebbe sembrare che il divieto di edificazione sancito dalla norma in esame non operi in presenza di corsi d’acqua privi di argini. In contrario, però, è stato precisato che detto divieto, “essendo informato alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento, a vantaggio della collettività, delle acque demaniali, deve essere applicato anche nell’ipotesi in cui il corso del fiume difetti di argini” (Corte di Cassazione, Sezione I civile, 24 settembre 1960 n. 2492); in coerenza con questo orientamento è stato addirittura riconosciuto che il divieto opera anche quando i corsi d’acqua siano stati coperti da una strada, in quanto “la copertura di un torrente non fa venir meno il carattere di acqua pubblica né scongiura ogni pericolo derivante dal deflusso delle acque torrentizie in caso di notevoli precipitazioni atmosferiche. Anzi, in tali occasioni, la copertura del corso d’acqua può provocare un arresto del flusso a causa di tronchi d’albero, detriti ed altri oggetti trasportati dalla corrente e che non riescono ad oltrepassare un determinato tratto della galleria. Possono anche saltare le pareti o la copertura del canale con danni tanto più gravi quanto più

vicini sono i fabbricati” (Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, 3 aprile 1990 n. 30). • Quali interventi sono vietati? Il divieto “è riferito ad ogni opera o fatto che investe le acque pubbliche e, in particolare, lo spazio soggiacente alle piene ordinarie, le sponde e le ripe interne, che formano con l’alveo del corso d’acqua una unità inscindibile per il contenimento e l’economia di scorrimento delle acque o che, comunque, incide dell’economia e sul regime dell’alveo del corso d’acqua” (T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Trento, 7 novembre 1998 n. 440). • In quali casi non opera il divieto? In via generale “il divieto di edificare ad una distanza inferiore a dieci metri dagli argini dei corsi d’acqua è inderogabile e, pertanto, opera anche a prescindere dalla circostanza che l’acqua demaniale sia suscettibile di utilizzazione o meno a fini pubblici e collettivi” (T.A.R. Toscana, 26 febbraio 1981 n. 81; T.A.R. Toscana, Sezione III, 23 luglio 2002 n. 1603). Come disposto dalla lettera “f” in esame, il divieto di costruire a meno di dieci metri dai corsi d’acqua va rispettato solo in assenza di contrarie “discipline vigenti nelle diverse località”, ma a questo proposito è stato precisato che “la disciplina contenuta in un piano regolatore generale può derogare a quella contenuta nell’Art. 96 R.D. 25 luglio 1905 n. 523 “solo quando le relative disposizioni non disciplinino genericamente il territorio nel quale scorre il corso d’acqua, ma risultino adottate tenendo specificamente conto della necessità di adeguare i programmi costruttivi alla particolare funzione della fascia di protezione del fiume” (T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 29 maggio 1989 n. 197; T.A.R. Liguria, 14 novembre 1989 n. 828), altrimenti la deroga citata non opera e il permesso di costruire eventualmente rilasciato in contrasto con l’Articolo 96 è illegittimo (T.A.R. Emilia Romagna, 18 settembre 1975 n. 395). Walter Fumagalli

47 PROFESSIONE LEGISLAZIONE

L’edificazione lungo i corsi d’acqua


a cura di Emilio Pizzi e Claudio Sangiorgi

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Requisiti acustici minimi passivi per gli edifici Sempre di più, al giorno d’oggi, le problematiche relative alla vita in società hanno assunto un carattere prioritario. Venute meno le problematiche relative alla ricerca di cibo prima, di benessere economico poi, si guarda ora essenzialmente alla qualità della vita e agli aspetti legati al suo comfort. Naturalmente il vivere in spazi comuni, a contatto con altre persone, ha acuito quelli che sono i problemi relativi al diritto di privacy e soprattutto del riposo, specie nelle ore notturne. E qui ha inizio la nostra discussione su uno dei problemi di crescente importanza all’interno della nostra società: il rumore. In queste righe ci concentreremo sui problemi relativi al rumore interno agli edifici e al suo isolamento, e non parleremo delle leggi che regolano il rumore all’esterno degli edifici, come la Legge 447 del 1995, che comporta una serie di obblighi per strade, ferrovie, aeroporti ed impianti industriali. Le sorgenti che esistono all’interno di un’abitazione sono innumerevoli, alcune sono rappresentate da noi stessi (voci, spostamenti ecc.), alcune dagli apparecchi che usiamo (televisione, stereo, ecc.) e altre sono rappresentate dagli impianti tecnologici che fanno parte dell’abitazione e della sua agibilità (impianti idraulici, ascensori, impianti di condizionamento ecc.). Sino ad ora, pur esistendo da sempre leggi e norme che regolano i requisiti che gli edifici, civili e pubblici devono possedere, queste sono state puntualmente disattese, quasi che il problema del rumore sia una cosa secondaria nella vita quotidiana; tuttavia ci si è accorti che non sempre è possibile accettare di sentire i vicini che litigano o che devono alzarsi la notte per problemi prostatici, e si è finalmente giunti alla stesura di una legge che presenti dei richiami certi ai problemi del rumore: il DPCM 5 dicembre 1997, “requisiti acustici minimi passivi per gli edifici”. In questa

legge vi è specificato chiaramente quali devono essere i requisiti minimali che tutte le componenti edilizie devono rispettare per ogni tipo di destinazione d’uso dell’edificio, sia esso abitazione, scuola, ospedale, ufficio. La legge inizialmente non prevedeva nessun tipo di sanzione per coloro che non rispettassero tali norme, tuttavia, dopo una serie di cause civili vinte dai proprietari, esasperati per l’invivibilità degli appartamenti appena costruiti, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’importo da versare agli inquilini, in caso di verifica del mancato rispetto di tali parametri, deve essere compreso tra il 15 ed il 20% del valore dell’immobile: in pratica una svalutazione per una diminuzione della sua vivibilità e quindi pregio. Appare quindi evidente la necessità di applicare grande attenzione anche al comportamento acustico degli edifici, sinora lasciato come fattore secondario e di poca importanza. La legge specifica che il progetto deve essere accompagnato da un calcolo teorico fornito da un tecnico specializzato, iscritto agli albi Regionali, che dimostri il rispetto dei valori per tutte le partizioni orizzontali e verticali dell’edificio. Per il collaudo delle strutture, la norma fa riferimento alla UNI EN ISO 714 1-4, classica per questo tipo di rilievi, che stabilisce strumenti, metodologia di rilievo e metodo di analisi dei dati rilevati, che devono essere confrontati con opportune griglie per determinare i valori definitivi così come definiti dalla norma. Cercheremo brevemente di fornire delle indicazioni pratiche su cosa bisogna fare per ottenere dei buoni risultati, senza entrare però nei dettagli fisici del problema. Iniziamo col dividere le due problematiche principali; la prima, il cosiddetto rumore aereo, è dovuto alla propagazione del suono nell’aria, e riguarda i problemi di fono-isolamento delle strutture; la seconda è quella della trasmissione per via solida della vibrazione, che invece riguarda i problemi di separazione meccanica delle strutture.

Rumore aereo Apparentemente non esiste connessione tra suono e vibrazione, in realtà non può esistere suono senza di essa: quello che percepiamo è una variazione molto rapida di pressione dell’aria dovuta a fenomeni di oscillazione del mezzo, messo in movimento appunto da qualche sorgente vibratoria. I problemi relativi alla trasmissione aerea del segnale si risolvono tramite la creazione di pareti fonoisolanti, ovvero in grado di riflettere il segnale in direzione opposta a quello di provenienza; tanto maggiore è questa riflessione, tanto maggiore sarà l’isolamento. Bisogna quindi sottolineare che vi è una sostanziale differenza tra quello che viene comunemente chiamato “assorbimento” e quello che in realtà è l’isolamento. Assorbimento significa che il mezzo deve “assorbire” il segnale che arriva, e quindi non lo deve riflettere; non a caso il migliore materiale assorbente è una finestra aperta: non riflette nulla, ma non possiede isolamento. Un materiale isolante non è quindi un materiale assorbente, e viceversa. I materiali isolanti seguono a grandi linee una

Esempio di parete stratificata leggera ad alto isolamento; con 67 Kg si ottengono 62 dB.


telai e nel loro montaggio. In particolare il punto critico ormai è il cassonetto, che solitamente causa una perdita di circa 6 dB. Purtroppo il limite costruttivo dei nostri infissi è evidente, e forse sarebbe il caso che si iniziasse a pensare di tornare alle soluzioni con persiane, che non danno perdite, oppure ai cassonetti esterni, che perlomeno garantiscono un buon isolamento. Sarebbe anche il caso che i costruttori iniziassero a chiedere i certificati in laboratorio dei materiali che intendono adoperare, e soprattutto quelli degli infissi completi. Il problema del montaggio è un altro fattore da tenere sotto controllo. Se si lascia un centimetro di aria tra telaio e infisso, non è certo con l’applicazione del coprifilo che risolveremo il problema. Trasmissione meccanica Se percuoto con un martello un muro o una soletta, il colpo si percepirà anche a grandi distanze, perché la connessione tra la parti è rigida. È necessario quindi creare dei solai galleggianti, posti su materiali elastici ad elevata elasticità, in modo che vi sia una barriera adatta ad impedire la trasmissione della vibrazione. È bene che la disconnessione sia effettuata anche lateralmente, ponendo lo stesso materassino verticalmente a contatto tra la cappa e il muro. Anche sotto le pareti divisorie tra diverse proprietà è necessario inserire dei materassini di materiale elastico, in modo che anche in questo caso non vi sia una propagazione diretta. In commercio esistono moltissimi materiali, che però non forniscono sempre dei buoni risultati; anche in questo caso è necessario verificare attentamente i dati forniti in laboratorio, stando però bene attenti alle condizioni di test: a volte è capitato di vedere materassini testati con 30 cm di cappa, è ovvio che con 5 cm le cose cambiano. Ove necessitano prestazioni elevate, ad esempio in strutture con cucina sopra una camera da letto, si deve cercare di minimizzare al massimo il rumore di calpestio; esistono in com-

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Sistema speciale per isolamento di calpestìo su supporti elastici discreti.

mercio sistemi speciali ad elevato isolamento che appaiono abbastanza diversi dai soliti materassini, e che pertanto possono sembrare di difficile utilizzo; in realtà forniscono risultati eccellenti, si tratta quindi di utilizzarli per questi casi speciali. Impianti idrici Un discorso a parte meritano gli impianti idrici. Troppe volte veniamo chiamati per contestazioni su questi impianti, che in realtà sarebbero semplicissimi da trattare. Si tratta solo di rivestire con opportune guaine elastiche le parti dei canali che possono trasmettere vibrazione, facendo attenzione alle curve verticali e soprattutto ai passaggi dei canali nei fori sulle solette, che non devono mai essere cementati direttamente al canale che deve sempre essere fasciato con materiale morbido. Le canalizzazioni verticali devono essere fissate solo con sistemi dotati di attacco elastico o anello elastico, che però deve essere morbido, e non rigidissimo come molte volte capita di vedere, ricordiamo che il sistema massa-molla se è troppo rigido non oscilla, e quindi non può dissipare energia. L’ultimo fattore riguarda il costo degli interventi acustici: non è vero che il costo sale eccessivamente, la percentuale di incremento si può fissare tra l’1 e il 2%, ottenendo però la certezza di non avere in seguito rischi seri con gli inquilini. Marcello Brugola

PROFESSIONE NORMATIVE E TECNICHE

legge fisica detta “legge di massa”; secondo questa legge, tanto più un materiale è pesante, tanto più il materiale isola, e l’incremento di questo isolamento è di circa 6 dB ogni raddoppio di massa. Questo significa che se io ho una parete che pesa 100 Kg ed isola 40 dB, raddoppiandola non porto il mio potere ad 80 dB, ma solo a 46. Questo implica che non è conveniente aumentare le masse oltre certi limiti pratici. La stessa legge però ci dice che se io prendo le due pareti che avevo creato e le separo, creando due masse di 100 Kg ciascuna, mi avvicinerò sempre di più al mio valore teorico di 80 dB, tanto più le pareti saranno separate tra loro. Incredibilmente scopriamo che è sufficiente creare uno spazio d’aria abbastanza grande tra le due pareti per incrementare il potere fonoisolante del sistema, senza fare nulla. Quindi, i costruttori devono abituarsi a pensare che non è spazio sprecato quello che esiste tra le due pareti divisorie tra due appartamenti, ma devono cercare di incrementarlo almeno a 7-8 cm per risparmiare poi sul peso dei tramezzi o sul costo dei materiali “miracolosi” che molti venditori propongono di inserire nelle intercapedini. La seconda regola da seguire è che le due pareti devono essere di massa differente. La legge di massa dice, infatti, che ci sono delle frequenze particolari in cui il materiale si comporta in modo anomalo, con forti perdite caratterizzate dalla sua rigidità interna e dalla frequenza cui viene sottoposto. Avendo masse differenti, le frequenze di coincidenza si allontanano, evitando quindi di avere un “buco” nella stessa banda per entrambi i tramezzi. La cosa migliore sarebbe quella di utilizzare sistemi misti mattone-cartongesso, ma purtroppo in Italia questo non piace al cliente finale, memore di pessime installazioni eseguite agli albori dell’utilizzo di questo prodotto. Per quanto riguarda invece le parti vetrate, il limite non è più nei vetri, che ormai hanno raggiunto qualità molto elevate, me nelle strutture dei


a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato

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Legge G.U n. 6 del 12.2.2005 3a Serie speciale Legge Regionale 3 novembre 2004, n. 31 Variazioni al bilancio per l’esercizio finanziario 2004 e al bilancio pluriennale 2004-06 a legislazione vigente e programmatico. Il provvedimento di variazione La seguente legge all’Art. 1 definisce l’applicazione della sanatoria edilizia. Gli articoli successivi trattano dei casi di esclusione e limiti alla sanatoria edilizia, della sanatoria nelle aree soggette a vincoli e nei siti di Rete Natura 2000, del contributo di costruzione. G.U. n. 38 del 16.2.2005 Serie generale Deliberazione 23 dicembre 2004 Approvazione definitiva delle proposte di parziale modificazione dei criteri di gestione del vincolo paesistico/ambientale, imposto con deliberazione di Giunta regionale n. V/62221 del 30 dicembre 1994 e successive modificazioni ed integrazioni, sull’ambito situato tra il Naviglio Grande e Pavese in Comune di Milano (Obiettivo gestionale del PRS 2004 10.1.3.2.) (Deliberazione n. VII/20139) La Giunta Regionale delibera di apportare, ai criteri di gestione del vincolo paesistico/ambientale, imposto con deliberazione di Giunta regionale n. V/62221 del 30 dicembre 1994 e successive modificazioni ed integrazioni, alcune modificazioni sull’ambito situato tra il Naviglio Grande e Pavese in Comune di Milano. G.U. n. 42 del 21.2.2005 Serie generale Decreto Legge 21 febbraio 2005, n. 16 Interventi urgenti per la tutela dell’ambiente e per la viabilità e per la sicurezza pubblica Il seguente decreto legge all’Art. 1 stabilisce che nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un fondo da ripartire per le esigenze di tutela ambientale. Con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, su proposte del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, si provvede alla ripartizione tra le unità previsionali di base degli stati di previsione delle amministrazioni interessate.

G.U. n. 44 del 23.2.2005 Serie generale Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 2 febbraio 2005 Linee guida per l’individuazione di aree di ricovero di emergenza per strutture prefabbricate di protezione civile Il Presidente del Coniglio dei Ministri emana le linee guida per l’individuazione sul territorio nazionale delle aree di emergenza per strutture di ricovero di protezione civile. B.U.R.L. 1° Suppl. straordinario al n. 9 del 1 marzo 2005 Regolamento regionale 28 febbraio 2005, n. 2 Disciplina degli interventi di bonifica e ripristino ambientale che non richiedono autorizzazione, ai sensi dell’Art. 13 del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, in attuazione dell’Art. 17, comma 1, lettera h), della L.R. 12 dicembre 2003, n. 26 Il seguente regolamento regionale al capo I definisce le disposizioni introduttive. L’Art. 1 tratta della finalità e dell’oggetto. Il presente regolamento, al fine di favorirne l’effettuazione, individua le tipologie di interventi di bonifica e ripristino ambientale che possono essere realizzati senza la preventiva autorizzazione e stabilisce i criteri, le modalità e le procedure per la loro esecuzione, ai sensi dell’Art 13 del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 (Regolamento recante criteri, procedure e modalità, per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’Art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni) e all’Art. 17, comma 1, lettera h della L.R. 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche). L’Art. 2 stabilisce gli interventi soggetti al presente regolamento. Il capo II tratta dei requisiti, il capo III delle modalità, criteri e procedure degli interventi, il capo IV delle disposizioni finali. B.U.R.L. 1° Suppl. straordinario al n. 11 del 16 marzo 2005 Legge Regionale 11 marzo 2005, n.12 Legge per il governo del territorio La parte I della presente legge riguarda la pianificazione del territorio. Il titolo I definisce l’oggetto e i criteri ispiratori. L’Art. 1 al comma 1 stabilisce che la pre-

sente legge, in attuazione di quanto previsto dall’Art. 117, terzo comma, della Costituzione detta le norme di governo del territorio lombardo, definendo forme e modalità di esercizio delle competenze spettanti alla Regione e agli enti locali, nel rispetto dei princìpi fondamentali dell’ordinamento statale e comunitario, nonché delle peculiarità storiche, naturalistiche e paesaggistiche che connotano la Lombardia. Il comma II istituisce che la presente legge si ispira ai criteri di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione, sostenibilità, partecipazione, collaborazione, flessibilità, compenetrazione ed efficienza. Il comma III decreta che la Regione, nel rispetto dei princìpi di cui al comma 1 e dei criteri di cui al comma 2, provvede: alla definizione di indirizzi di pianificazione atti a garantire processi di sviluppo sostenibili; alla verifica di compatibilità dei piani territoriali di coordinamento provinciali e dei piani di governo del territorio di cui alla presente legge con la pianificazione territoriale regionale; alla diffusione della cultura della sostenibilità ambientale con il sostegno agli enti locali e a quelli preposti alla ricerca e alla formazione per l’introduzione di forme di contabilità delle risorse; all’attività di pianificazione territoriale regionale. Il titolo II definisce gli strumenti di governo del territorio. Il capo I tratta delle disposizioni generali. L’Art. 2 sancisce la correlazione tra gli strumenti di pianificazione territoriale, l’Art. 3 gli strumenti per il coordinamento e l’integrazione delle informazioni, l’Art. 4 la valutazione ambientale dei piani, l’Art. 5 istituisce l’Autorità per la programmazione territoriale. Il capo II tratta della pianificazione comunale per il governo del territorio. Gli articoli si riferiscono peraltro alla pianificazione comunale, al piano di governo del territorio, al documento di piano, al piano dei servizi. Il capo III definisce il piano territoriale di coordinamento provinciale. Il capo IV determina il piano territoriale regionale, il capo V il supporto agli enti locali, il capo VI le disposizioni transitorie per il titolo II. La parte II della legge si riferisce alla gestione del territorio. Il titolo I disciplina gli interventi sul territorio. Il capo I sancisce le disposizioni generali, il capo II riguarda il permesso di costruire, il capo III la Denuncia di Inizio Attività, il capo IV il contributo di costruzione, il capo V le sanzioni. Il titolo II stabilisce le norme in materia di prevenzione dei rischi geolo-


C. O.

Stampa Ambiente Condono ambientale ko. In media cento le domande per Regione (da “Il Sole 24 Ore” del 21.2.05) Neanche novemila domande raccolte in tutti i capoluoghi della Regione e in gran parte dei capoluoghi di provincia: è il risultato del condono ambientale, grazie al quale si potevano sanare gli abusi realizzati fino al 30 settembre 2004 nelle zone sottoposte a tutela. Sull’insuccesso sembra abbia influito la poca chiarezza della normativa che non ha sciolto il dubbio se chi accede al condono può sperare di salvare l’intervento abusivo oppure deve abbatterlo, accontentandosi di vedere estinto il reato. Appalti Deregulation per i lavori pubblici (da “Italia Oggi” del 16.3.05) Mano libera sulle varianti e sulla trattativa privata negli appalti di lavori. Potrebbe essere questo l’affetto dell’emendamento presentato dal governo al Disegno di legge 5697 relativo alla conversione in legge del D.L. 31 gennaio 2005 n. 7, recante una serie di disposizioni urgenti fra cui quelle concernenti il completamento di grandi opere strategiche. Casa Lombardia, nuove case in deroga (da “Edilizia e Territorio” del 21-26.2.05) Case Erp (Edilizia residenziale pubblica) nelle aree destinate allo standard per i

servizi in deroga al PRG per i 18 comuni afflitti dall’emergenza abitativa della Lombardia. Il Consiglio regionale lombardo ha approvato le norme che modificano la L.R. n. 1 del 2000. L’obiettivo è la realizzazione, attraverso un accordo quadro di sviluppo territoriale tra i comuni e il Pirellone, di circa 1600 alloggi. Milano “Troppo rumore, a rischio scuole e ospedali”. Il Comune: oltre i limiti in tutta la città (dal “Corriere della Sera” del 14.3.05) Non c’è una zona in tutta la città dove vengano rispettati i limiti di legge per l’inquinamento acustico: siamo fuori legge mediamente di dieci decibel. Lo dimostrano i più recenti rilievi fonometrici dell’Agenzia Mobilità e Ambiente. La Giunta ha licenziato, dopo quattro anni di gestazione, il Piano regolatore del rumore e ha l’occasione di intervenire subito per proteggere almeno i ricettori più sensibili: ospedali, scuole, case di riposo. Previsti interventi per asfalto fonoassorbente, pavimentazioni speciali, vetri isolanti. Allarme elettrosmog, sui tetti 1.600 antenne. Censimento dell’Arpa sui ripetitori per cellulari (dal “Corriere della Sera” del 15.3.05) L’ultimo censimento dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente ha contato 1677 ripetitori in provincia di Milano. Di questi 831 sono concentrati a Milano. Aumentano le proteste dei cittadini, spaventati non solo dalle possibili conseguenze sulla salute, ma anche dal probabile danno economico che penalizza gli appartamenti. Secondo gli esperti, un appartamento perde fino al cinquanta per cento del suo valore se si trova a poche decine di metri da un’antenna. Provato il danno, è possibile chiedere i danni al gestore dell’impianto o al proprietario dell’area sulla quale sorge. Navigli Alleanza per i Navigli. Consulta per la gestione dei canali (da “Italia Oggi” del 23.2.05) È nata la Consulta delle associazioni a cui sta a cuore la rinascita dei Navigli lombardi. Promotrice è la società consortile “Navigli lombardi scarl”, che la Regione Lombardia ha voluto creare con il

mandato di gestire unitariamente il sistema degli storici corsi d’acqua, superando la precedente frammentazione di competenze che aveva portato al degrado e all’ingovernabilità degli stessi. Urbanistica Sottotetti, recuperi a ostacoli. In Lombardia basta deroghe alle norme comunali. In vigore dal 31 marzo la nuova legge urbanistica (da “Italia Oggi” del 16.3.05) Recupero dei sottotetti più difficile in Lombardia. È stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione la Legge per il “Governo del Territorio”, approvata il 16 febbraio e promulgata lo scorso 11 marzo come Legge n. 12/2005, che entrerà in vigore il 31 marzo. Nel corso dell’approvazione, la Legge ha perso l’Articolo 65 contenente la parificazione degli interventi di recupero dei sottotetti alla ristrutturazioni edilizie e un’importante deroga ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti comunali di governo del territorio. Allo stato attuale, a partire dal 31 marzo non saranno più possibili interventi di recupero di sottotetti in deroga ai limiti volumetrici previsto dagli strumenti urbanistici. Lombardia, il PRG super-flessibile. Legge urbanistica: piano generale senza prescrizioni e piani attuativi ad alta discrezionalità (da “Edilizia e Territorio” del 21-26.2.05) La nuova legge sancisce la centralità del piano attuativo nella trasformazione urbana. Queste sembrano le caratteristiche più innovative ad una prima lettura della legge: il piano è vincolato da indirizzi “strutturali”, proposto dai privati con il 51%, approvato dalla Giunta, realizzato anche con varianti planivolumetriche. Eliminati i vincoli quinquennali per le aree a servizi e il potere di veto dei Comuni sulle opere regionali. Nasce un’Authority che monitorerà l’applicazione della legge nei piccoli comuni. M. O.

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gici, idrogeologici e sismici, il titolo III le norme in materia di edificazione nelle aree destinate all’agricoltura, il titolo IV le attività edilizie specifiche. Il capo I riguarda il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti, il capo II le norme inerenti alla realizzazione dei parcheggi, il capo III le norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi. Il titolo V si riferisce ai beni paesaggistici, il titolo VI a procedimenti speciali e discipline di settore.


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Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it

Milano

a cura di Laura Truzzi Designazioni • COMUNE DI MILANO: richiesta di segnalazione professionisti per nomina Commissione Giudicatrice per il Concorso Internazionale di Progettazione per la redazione del progetto preliminare e realizzazione di quattro nuovi quartieri destinati all’edilizia. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Cino ZUCCHI (membro effettivo), Michael BURCKHARDT (membro supplente). • TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI MILANO: richiesta di segnalazione professionisti per Istituzione della Commissione Censuaria Provinciale di Milano (Art. 27 del D.P.R. 26/10/1972, n. 650), D.P.R.23 marzo 1998 n. 138 – “Regolamento recante norme per la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane e dei relativi criteri nonché delle commissioni censuarie, in esecuzione dell’Art. 3, commi 154 e 155, della Legge 23 dicembre 1996, n. 662”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: tecnico esperto in economia ed estimo rurale 1a Sezione: Paolo Maria PATETTA; tecnico esperto in economia ed estimo rurale 2a Sezione: Giuseppe SPADA. • ASL Milano U.O. Gestione Patrimonio e Tecnico: richiesta di segnalazione elenco professionisti per operazioni di sorteggio e relativa nomina Commissione di Gara ex Art. 21 comma 6 L. 109/94. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Paolo DONGHI, Giorgio MARCHESOTTI, Anna PASINI. • Azienda Ospedaliera di Circolo di Melegnano: richiesta di terna di professionisti per nomina in commissione giudicatrice. Project Financing per realizzazione, sistemazione e ampliamento del parcheggio del Presidio Ospedaliero di Vizzolo Predabissi. Licitazione privata strumentale all’affidamento della concessione di costruzione e gestione. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Giordano BOFFI, Michele A. FERÈ, Antonio SANVITO. • COMUNE DI FORMIGINE (MO): richiesta di segnalazione

professionisti per nomina Commissione Giudicatrice Gara di appalto “per affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva, coordinamento della sicurezza in fase di progettazione della scuola elementare di via Monteverdi a Formigine (nuovo polo scolastico di Via Ghiselli)”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Flavio CISLAGHI, Giacomo Cristoforo DE AMICIS, Letizia LIONELLO. • COMUNE DI RONCO BRIANTINO: richiesta di segnalazione professionisti per nomina Commissione Giudicatrice asta pubblica “Assegnazione di area di proprietà comunale sita in via G. Galilei, da destinare ad interventi di edilizia protetta, in ambito di piano attuativo”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Giovanna ALFONSI, Maurizio Lorenzo AROLDI. • COMUNE DI VIMODRONE: richiesta di segnalazione elenco professionisti, esperti in materia di tutela ambientale – L.R. 18/97, per nomina dei componenti della commissione edilizia comunale. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Valter GERVASI, Francesca PANZERI. • Impresa EDIL-ART snc di Lainate: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative ad un fabbricato di due piani fuori terra, sottotetto e un seminterrato per un totale di n. 11 unità abitative in Comune di Parabiago. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Antonio CATALANO, Angelo ROCCHI, Ivano SCURATTI. Borse di studio della Fondazione Rotary La Fondazione Rotary del Rotary International, organizzazione che ha per scopo la promozione della comprensione internazionale e delle relazioni di amicizia fra gli abitanti di Paesi diversi, assegnerà entro il 15 dicembre 2005 quattro Borse di Studio Annuali del valore massimo di US $ 26.000,00 ciascuna (a discrezione della Fondazione), per un regolare anno accademico presso un Istituto Universitario estero e potranno essere utilizzate per qualsiasi campo di studio. Le domande vanno presentate

entro il 30 giugno 2005 alla Commissione Fondazione Rotary del distretto 2040. Le condizioni per poter richiedere la borsa di studio sono: 1. Non essere Rotariani, Soci Onorari o dipendenti di un organismo rotariano, né parenti di Rotariani. 2. Al 1° Marzo 2005 avere più di diciotto anni. 3. Avere un ottimo curriculum scolastico. Impegnarsi, durante il periodo della borsa, a una buona riuscita negli studi e a mantenere assidui contatti d’amicizia con i Rotariani e con gli abitanti del Paese ospitante e mantenere altresì un rapporto duraturo con il Rotary, anche dopo il periodo di fruizione della borsa. 4. Mostrare doti di equilibrio, iniziativa, entusiasmo, adattamento e serietà. 5. Pur elencando (in ordine di preferenza) cinque Istituti Universitari (non più di due nello stesso Paese) accettare il principio che gli Amministratori della Fondazione si riservino il diritto di decidere a quale Istituto, uno fra i cinque od un altro, assegnare il candidato e ciò allo scopo di assicurare la più vasta distribuzione geografica dei borsisti. 6. Non aver soggiornato per più di sei mesi nei Paesi delle sedi richieste. 7. Aver frequentato corsi universitari per almeno tre anni al momento della presentazione della domanda. 8. Possedere una buona conoscenza della lingua scritta e parlata del Paese ospitante; per la lingua inglese è necessario aver sostenuto l’esame TOEFL, il cui risultato è da allegare alla domanda entro il 31 agosto 2005. 9. Essere di nazionalità italiana ed essere residenti o domiciliati nel territorio del Distretto 2040 del Rotary International (che comprende la Città di Milano, la parte nord della sua provincia e le province di Varese, Como, Lecco, Sondrio e Bergamo). 10. Venire candidati da un Rotary Club, appartenente al Distretto 2040 del Rotary International, nel cui territorio il candidato risieda o sia domiciliato. 11. Sottoporre la domanda, completa in ogni sua parte, alla Commissione Fondazione Rotary del Distretto 2040 al più tardi entro il 30 giugno 2005.


12. Essere disponibili ad un’intervista/colloquio con la Commissione Distrettuale per le Borse di Studio della Rotary Foundation, a Milano fra il 1° e il 15 settembre 2005. Per il ritiro dei moduli e per informazioni rivolgersi all’avv. Luciano Raco, Milano, v.le Regina Margherita n. 33, tel. 025516698, fax 0259900592, e-mail: luciano.raco@tin.it e all’ing. Pierluigi Malinverni, Milano, via Vitruvio n. 3, tel. 0229512102, fax 022047052, e-mail: malinv@tin.it Serate d’Architettura • La fabbrica dei parchi 3 marzo 2005 Sono intervenuti: Andrea Gebhard, Marie-Louis Ott, Max Joseph Kronenbitter, Paolo Villa. Conduttore: Marco Engel. La serata, con la quale si è inaugurato il ciclo primaverile di incontri organizzati dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti P.P.A. della Provincia di Milano, si è aperta con la proiezione di un filmato sulla BUGA ’05: colori e musiche di atmosfera introdotti da Andrea Gebhard, architetto paesaggista che ha lavorato molto per il Comune di Monaco di Baviera e che in questi ultimi anni sta dirigendo l’operazione BUGA ’05. Che cosa è una Bundesgartenschau o BUGA (www.buga2005.de).? Un’esposizione nazionale di giardinaggio, floricoltura e architettura con lo scopo di creare un evento di livello internazionale in grado di innescare anche un meccanismo di cambiamento e innovazione per una città. La prima, ad Hannover, risale al 1951 e da allora si sono organizzate con abbastanza regolarità ogni due anni ribadendo l’impegno della Germania nei progetti di recupero, riqualificazione e sensibilizzazione ai concetti di ambiente e sviluppo. Le BUGA sono un evento che attira un pubblico molto numeroso: per questa edizione sono attesi almeno quattro milioni di visitatori suddivisi tra turisti generici, hobbisti, studiosi e progettisti. Conclusasi la fase fieristica,

queste esposizioni lasciano in eredità alle città che le hanno ospitate uno standard di qualità urbana superiore che si riflette in un valore aggiunto di beneficio per tutti i cittadini dell’area. Monaco ha già vissuto condizioni simili: per esempio nel 1972 in occasione delle Olimpiadi venne realizzato il villaggio olimpico con l’annesso l’Olympiapark che oggi è uno dei fiori all’occhiello della Parchi e Giardini di Monaco; nel 1983 la città ospitò l’IGA (Gartenschau) sempre una esposizione di giardinaggio ma di scala internazionale, con undici milioni di visitatori. La BUGA di quest’anno (28 aprile-9 ottobre) sorgerà sull’area del ex aeroporto Riem, dismesso nel 1987, e presenterà una serie di progetti per il recupero e la riqualificazione di tutta l’area, alcuni dei quali, come da tradizione, verranno mantenuti al termine della manifestazione, integrando il Landschaftspark nel nascente quartiere residenziale. Per condurre tutta l’operazione, è stata istituita una società (fiscalmente paragonabile a una SRL) a due partner: Comune di Monaco e Associazione Nazionale per il Giardinaggio. Il budget è abbastanza eterogeneo: si parte inevitabilmente dal sostegno del Governo Bavarese e del Comune di Monaco per un totale di circa tredici milioni di euro. I terreni di proprietà pubblica e di scarso valore fondiario, con la prospettiva della realizzazione del parco garantita dalla mostra stessa, incrementano enormemente la loro appetibilità e quindi il loro valore; dalla vendita di parte di questi terreni a scopi edificatori, sono stati ricavati circa sessantacinque milioni di euro. Il ricavato dall’affitto dei lotti espositivi per l’uso commerciale durante l’esposizione è stato utilizzato per la realizzazione delle infrastrutture di tutta l’area. Quando le ditte espositive si ritireranno, lasceranno in eredità il materiale vegetale già impiantato secondo il progetto generale. Infine all’economia dell’operazione contribuiscono anche numerosi sponsor invogliati dall’incredibile numero di

potenziali visitatori e dagli incassi ottenuti dalla vendita dei biglietti di ingresso. I lavori partono da lontano. Il sito per l’edizione 2005 della BUGA venne designato nel 1997. Era comunque nelle intenzioni del Comune di Monaco realizzare un esteso parco nell’area dell’ex aeroporto: la BUGA ha dato maggiori energie finanziarie e garanzia del rispetto della tempistica di realizzazione. L’architetto paesaggista francese Gilles Vexlard nel 1995 vinse il concorso internazionale per l’allestimento del parco paesaggistico che, con i suoi duecento ettari, è il parco comunale più grande del capoluogo bavarese. Nel 2000 l’architetto paesaggista monachese Rainr Schmidt vinse, invece, il concorso indetto su scala nazionale per la BUGA ’05. Nel 1998 è iniziata la realizzazione del Landschaftspark; la parte espositiva della BUGA è in costruzione dal 2002; è a partire da quell’anno che la maggior parte delle piante arboree sono a dimora e mantenute come generalmente avviene in un parco già inaugurato. All’atto dell’inaugurazione, lo staff organizzativo inizierà invece a pianificare lo smantellamento delle parti non permanenti. Il motto della BUGA ’05 è “cambio di prospettiva”; cuore del progetto è il “giardino delle cellule” concepito per comunicare i princìpi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 21, sottoscritta a Rio de Janeiro nel 1992. Al suo interno, esperti giardinieri e architetti, hanno costruito dodici ambienti tematici dove il piccolo diventerà grande, consentendo ai visitatori di esplorare la natura e gli elementi aria, terra e acqua. L’esempio più emblematico è forse il padiglione tedesco dal nome evocativo di “Biovision – il futuro con le piante” interessante a partire dall’architettura della struttura che lo ospita, alla mostra ricca di emozioni adatte per adulti e bambini fini ai giardini tematici. Un altro esempio è il “teatro all’aperto sul lago” (HVB Seebühne) dove avverranno spettacoli cinematografici, operistici, concerti pop e incontri culturali intorno a un bacino arti-

ficiale che rimarrà a disposizione degli abitanti di Monaco come lago balneabile. Il tutto in un contesto di parco diversificato dalle aree più urbane a quelle a prato fiorito, con la possibilità di ammirare innumerevoli varietà di fiori e di piante, da quelle locali a quelle subtropicali. Ma i relatori della serata ci spiegano che il vero modo per capire cosa sia una BUGA e come si sia sviluppato il progetto per questa edizione 2005, sarà quello di andare a Monaco per viverla insieme a tutta la città. Al nostro ritorno ci saremo arricchiti di idee, temi e problematiche di sicuro interesse per il futuro dell’architettura del paesaggio nelle nostre città. Sicuramente ci verrà spontaneo chiederci come mai in Italia non vengano organizzate iniziative simili alle BUGA. In realtà alcuni esperimenti sono stati fatti ma di estensione estremamente inferiore e soprattutto con uno scarso livello di eredità per la città. Probabilmente l’ostacolo maggiore rimane la difficoltà delle amministrazioni di definire e attuare con determinazione strategie di sviluppo a lungo termine su aree così estese. Alessandro Ferrari • Ticinese e Darsena: i progetti del concorso 17 marzo 2005 Sono intervenuti: Giorgio Goggi, Silvano Tintori, Pier Giuseppe Torriani. Ha condotto: Daniela Volpi. La serata ha voluto essere un momento di dibattito e di approfondimento intorno ai dieci progetti finalisti del concorso internazionale per la riqualificazione della Darsena. Daniela Volpi, presidente dell’Ordine, introduce le presentazioni dei progetti riassumendo brevemente la storia dell’idea di riqualificazione della Darsena, partita dall’introduzione di un parcheggio interrato secondo la procedura del project financing, che ha visto, in questi ultimi tre anni, mobilitazioni degli abitanti della zona convinti di essere danneggiati

INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

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soprattutto dalla realizzazione del parcheggio, risposte scritte sui giornali dai singoli professionisti, “battaglie” tra amministratori nella convinzione che non venissero rispettate le esigenze di ciascuno. Anche l’Ordine degli Architetti manifestò allora vivo dissenso sul modo di affrontare un problema di fondo collocando unicamente un parcheggio in una delle zone storicamente più importanti della città, senza considerare nel suo complesso il problema della riqualificazione, certamente indispensabile, di un’area storica e vitale della città. L’Ordine chiese che venisse bandito un concorso internazionale di progettazione che avrebbe offerto, attraverso il confronto tra progettisti, un’occasione per migliorare la qualità degli interventi pubblici. Il concorso fu bandito con procedura ristretta, a prequalificazione su curricula e su presentazione di una relazione illustrativa sul metodo di approccio del tema progettuale, in unica fase con selezione di 10 progettisti ammessi alla stesura del progetto preliminare in forma anonima. I 10 progetti sono esposti in una mostra all’Urban Center dove, in occasione dell’inaugurazione, sono stati illustrati gli elementi caratterizzanti del progetto vincitore. Questa serata all’Ordine è invece dedicata a tutti i dieci progetti per i quali sono stati invitati a partecipare i dieci studi di progettazione. Interviene Giorgio Goggi, Assessore al Traffico, in rappresentanza dell’Amministrazione che ha bandito il progetto con due precisazioni importanti: l’Amministrazione ha inserito il parcheggio interrato come vincolo al progetto del concorso perché ha ritenuto che la riqualificazione dell’area passasse attraverso la pedonalizzazione dell’area e questa attraverso la realizzione del parcheggio. Il concorso di progettazione non poteva prescindere da chiare decisioni di politica del traffico prese precedentemanete. Il secondo punto che Goggi vuole sottolineare è la determinazione dell’Amministrazione a procedere con la realizzazione delle opere come previste dal

progetto vincitore e che per questo ha già messo a bilancio i fondi per la redazione dei progetti definitivi ed esecutivi. L’obiettivo è di dare alla Darsena e alla zona dei Navigli la dignità storica che si meritano entro tre anni. L’avvocato Pier Giuseppe Torriani, Presidente della giuria del concorso, illustra le sue considerazioni alla luce di quanto visto che vanno dalla capacità acquisita, a suo modo di vedere, dal Comune di Milano ad istituire i concorsi, all’interessantissimo tema della Darsena che ha contribuito alla riuscita del concorso, alla scelta di 10 progettisti che ha permesso di scegliere tra i migliori, fino alla grande collaborazione tra tutti i membri della giuria rimasta sempre compatta e rispettosa della professionalità di tutti i membri. La scelta del vincitore è stata molto “sofferta”, ma l’esito è stato da tutti i membri ampiamente condiviso. L’architetto Silvano Tintori, esponente dell’Ordine presso la giuria, si limita all’apprezzamento per la maturità dei progetti partecipanti e li suddivide in due gruppi in base all’approccio più storicista o più modernista. Il vincitore e il secondo classificato mettono, secondo lui, in valore la loro contemporaneità senza avere un approccio storicista. Angelo Torricelli, uno degli autori del progetto secondo classificato, apre l’intervento con una piccola nota polemica: i progetti andrebbero esposti dai progettisti alla giuria in sede di concorso, l’esporli dopo non serve a nulla, soprattutto tra architetti. Non è d’accordo con Tintori sulla storicità dell’intervento proposto: forse non è storicista nel senso del termine attribuito generalmente dalle Soprintendenze, ma è un progetto che si innesta sulla stratigrafia storica dei progetti che si sono susseguiti sull’area così importante per Milano. È stato ricercato un ripristino della “città su più livelli” come successe da Leonardo a De Finetti. “Un grande museo d’acqua”, così l’arch. Sandro Rossi definisce il progetto a cui ha partecipato insieme Jean Francois Bodin, e risultato vincitore del concorso. Partendo dalla considerazione che la Darsena è un

luogo d’acqua con una storia antichissima, il gruppo di progettazione si è posto degli obiettivi, probabilmente raggiunti dato l’esito del concorso: far riemergere un tratto di storia oltre il pelo delle acque e far al contempo partecipare al disegno della Darsena i luoghi ad essa prospicenti. Obiettivo principale invece dell’architetto Bruno Morassutti era di sanare la frattura di oggi, creatasi tra Darsena e città a causa del “fiume” di automobili che le separano, attraverso la realizzazione di una barriera verde sul lato nord. Morassutti poi propone, nel suo progetto, la realizzazione di un museo interattivo della memoria storica dei Navigli per introdurre un elemento di interesse in un luogo storico che ha perso tutte le sue peculiarità passate. Infine Chiara Dorigati presenta il progetto del gruppo di Souto de Moura: un tentativo di rivalutare il disegno già molto bello della Darsena senza aggiungere elementi, ma attraverso la realizzazione di puliti piani inclinati contenenti caffè e bar. Silvano Tintori, mentre scorrono velocemente la immagini di tutti i dieci progetti, ne espone le linee guida: dalle presenze forti e morfologicamente di stacco alla “cornice per l’acqua” di Chipperfield. A confermare la grande attenzione che il concorso ha attirato verso di sé da parte di addetti ai lavori e non, moltissimi sono stati gli interventi in sala dopo l’esposizione dei progetti: per qualcuno si tratta semplicemente dell’ennesima occasione persa per Milano in quanto nessun elemento storico è stato salvaguardato (nel bando non era chiaro ciò che avrebbe dovuto essere conservato), per altri il Comune non ha ancora imparato ad organizzare concorsi, mentre per gli abitanti del quartiere il parcheggio previsto vorrà dire aumento del traffico e costante, ormai cronica, assenza di parcheggi per residenti. Secondo Marco Romano, architetto e collaboratore del “Corriere della Sera”, punto di partenza per il lavoro del concorso avrebbe dovuto essere la documentazione che il Politecnico di Milano ha prodotto in trent’anni di lavoro sulla Darsena. Molto

critica la sua posizione nei confronti dell’impostazione del concorso: non doveva essere per meriti, non dobbiamo chiedere agli stranieri cosa dobbiamo fare a casa nostra in uno dei quartieri più importanti e storici di Milano; trattandosi del disegno di una parte di città, non bisognava eleggere un vincitore a tutti i costi, ma piuttosto fondere il meglio di ogni proposta presentata; le sistemazioni urbanistiche devono essere tradizionali e discrete; gli architetti non sanno disegnare pezzi di città, mentre si deve chiedere loro di intervenire con segni innovativi nei progetti architettonici. Non sono mancate le repliche da parte di giovani presenti in sala che hanno criticato l’atteggiamento di Marco Romano sostenendo che sia compito proprio dell’architetto, che ha la formazione per farlo, disegnare città e parti di questa. La risposta alle critiche dei cittadini del quartiere Navigli, nonché la conclusione della serata, viene dall’assessore Goggi: le scelte strategiche sulla politica urbanistica e del traffico di Milano vengono fatte dalla giunta che i cittadini stessi hanno scelto mediante elezioni e non possono quindi essere sottoposte a concorso. Questo è il motivo per il quale il parcheggio sotterraneo di piazza XXIV Maggio è stato posto come vincolo progettuale. Secondo i competenti uffici comunali la presenza del parcheggio non provocherà un aumento del traffico nella zona… Appuntamento fra tre anni per le valutazioni sull’esito dell’operazione. Prime riflessioni sui criteri applicativi della nuova Legge regionale per il Governo del Territorio 24 marzo 2005 Sono intervenuti: Stefano Castiglioni, Gianfredo Mazzotta, Federico Oliva, Fortunato Pagano Ha condotto: Marco Engel Ad un anno esatto dalla prima serata sul tema della nuova Legge Urbanistica Regionale (allora era ancora in discussione al Consiglio Regionale), il 24 marzo scorso, presso la sede dell’Ordine, si è tenuto un impor-


Stare al passo coi tempi L’evoluzione del contesto economico, entro cui l’architetto svolge la propria attività professionale, ha subìto in questo ultimo decennio una radicale trasformazione. Alla committenza tradizionale, interessata essenzialmente alla realizzazione di un bene d’uso, si è andato via via affiancando, e sempre più sostituendo, un profilo di clientela attento al valore d’investimento delle iniziative immobiliari da esso stesso promosse. E questo sia in campo privato, sia nel settore pubblico, ove la competizione su scala mondiale tra grandi centri urbani e metropolitani, per attrarre capitali e occasioni di sviluppo, inevitabilmente conferisce a qualsivoglia intervento patrocinato dalla Pubblica Amministrazione – sia esso di tipo infrastrutturale o di abbellimento urbano – una forte coloritura economica e finanziaria, che va ben al di là del semplice problema del costo di quanto progettato. In tale scenario, all’architetto libero professionista, e alle organizzazioni di progettazione in senso più ampio, è richiesta la capacità di prevedere e governare lo sviluppo delle commesse nei loro cruciali aspetti di qualità/tempi e costi, al fine di rispondere positivamente alla domanda così come attualmente strutturata. Pena, altrimenti, l’emarginazione dal mercato a favore di altri soggetti, o la marginalizzazione complessiva del settore edile rispetto a ulteriori campi di investimento, laddove tale garanzia di previsione/controllo dovesse dimostrarsi impraticabile. Ipotesi entrambe, ovviamente, per una categoria quale quella degli operatori della progettazione che soffre di evidenti problemi di soprannumero, decisamente deprecabili. Eppure, a fronte di un’obiettiva difficoltà quotidiana di rapporto con la Pubblica Amministrazione, in termini proprio di acquisizione di certezze – di fattibilità, di interpretazione normativa, di tempi, ecc. – da spendere con la propria committenza, gli Ordini professionali sembrano incapaci di esercitare alcuna cre-

dibile azione di pressione e di lobby a tutela degli interessi della categoria. L’incontro con il grande nome/nume dell’architettura giova sicuramente all’aggiornamento critico degli iscritti, ma ci si dovrebbe parimenti preoccupare di battersi perché un’autorizzazione paesaggistica sia rilasciata in tempi più ragionevoli dei 5/6 mesi ora necessari per esempio a Milano; perché la Pubblica Amministrazione si doti di quadri tecnici incaricati della verifica dei progetti con un livello di formazione universitario (potrebbe essere, per esempio, questo uno sbocco interessante per gli Architetti junior), rendendo più facile un rapporto altrimenti burocraticamente impostato sul mero controllo del dettato normativo (oltre tutto sempre interpretato in chiave punitiva); perché siano ridotti i margini di discrezionalità nell’accettazione o meno delle pratiche e nell’interpretazione di prescrizioni e indicazioni di legge. Non sembra di poter dire che gli Ordini degli architetti si stiano muovendo in questa direzione, né che, rispetto a questi problemi, si perseguano strategie alternative, ed è un vero peccato perché, se non si capisce che l’obbligazione di risultato, per la nostra categoria, è da tempo una realtà con cui fare i conti e che in quel risultato c’è anche il ritorno economico dell’investimento sostenuto dalla propria committenza, vuol dire che ci si rassegna a un futuro di declino e di scarsa incisività sul governo delle trasformazioni territoriali. Claudio Sangiorgi e Massimiliano Maria Molinari Milano, marzo 2005

I 50 anni dell’AIAS L’Associazione Italiana per l’Assistenza agli Spastici, fondata nel 1954 e diretta per molti anni dalla signora Teresa Serra, ha sviluppato varie iniziative per l’inserimento dei portatori di handicap nella società italiana seguendo quanto già avveniva nei paesi anglosassoni. Nel 1965 organizzò a Stresa la Conferenza Internazionale sul

tema “Le barriere architettoniche”. A seguito di ciò e di altre iniziative pubbliche, nel 1968 venne emessa la Circolare ministeriale n. 4609 che trattava l’argomento delle “barriere architettoniche”. L’AIAS riucci poi a far inserire nella Legge n.118 del 30 marzo 1971 il fondamentale Articolo n. 27 “Barriere architettoniche e trasporti pubblici”, operativo nel 1978. L’AIAS dispone oggi di 120 sezioni e sviluppa azione di assistenza in sostegno delle famiglie nei campi della riabilitazione, del tempo libero, dello studio, del lavoro. La sezione AIAS di Milano, di cui è stato Procuratore per molti anni la signora Franca Tavazzani, ha realizzato anche opere editoriali, d’interni, di ricerca, avvalendosi della specifica competenza degli architetti Piero Cosulich e Antonio Ornati di Milano. Tra le opere: il manuale Progettare senza barriere edito in sei edizioni; la ristrutturazione a Milano di un appartamento “campione” adattando spazi e arredi per un’inquilinato disabile; la ricerca svolta con la Caritas Ambrosiana per il CER e che si accentrò sul tema “La casa senza barriere”. L’arch. Ornati studiò per l’ATAS Milano una guida Milano Alberghi per il loro utilizzo da parte anche di clienti disabili: da ultimo il Comitato Regionale Lombardia che comprende AIAS Milano, Brescia, Busto Arsizio, Cazzago S. Martino, Legnano, Monza, Ponte Lambro, Sondrio, Vellesabbia, Varese, Vigevano, ha sponsorizzato la seconda edizione dei libro dell’arch. Ornati Architettura e barriere. Storia e fatti delle barriere architettoniche in Italia e all’estero. Antonio Ornati Milano, 14 marzo 2005

55 INFORMAZIONE LETTERE

tante incontro sulle principali novità di contenuti e procedure introdotti dalla neonata Legge sul Governo del Territorio. Una Legge che lascia una grande libertà metodologica. La Lombardia segue le 11 regioni che, in Italia, hanno già precedentemente adottato le nuove leggi urbanistiche regionali, ma Federico Oliva, ordinario di Urbanistica del Politecnico di Milano, nota con rammarico che l’esperienza di queste non è stata minimamente tenuta in considerazione. Era una legge necessaria data l’inefficacia della L. 51 (le città non sono più principalmente in espansione ma piuttosto in trasformazione), ma non risolve l’eterno problema dell’urbanistica: equiparare i diritti ai vincoli. Secondo Stefano Castiglioni, Presidente della Consulta Regionale degli Ordini Lombardi, il fatto di abrogare quasi tutte le leggi precedenti (Art. 104) porta alla mancanza di una base giuridica con la conseguenza dell’aumento dei ricorsi al TAR. L’avv. Fortunato Pagano sottolinea come l’orientamento della legge verso la programmazione negoziata diffusa comporti il rischio che i comuni ricorrano alla nuova legge per fare cassa. L’importante sarà recuperare la forza propulsiva dell’imprenditoria privata. Ma la nuova legge non è solo urbanistica; essa entra nel merito anche di alcuni temi della prassi edilizia delegificando il D.P.R. 380/2001 ed entrando talvolta in contraddizione con lo stesso. Indubbiamente invece il primo contraccolpo subito dalla prassi quotidiana dei progettisti è stato provocato dall’abrogazione della L.R. 15/96 per il recupero dei sottotetti sulla quale è concentrata la maggior parte delle domande poste dai presenti in sala. I relatori si limitano ad un “la legge non è chiara, vedremo cosa succederà”. Marco Engel chiude ponendo l’accento su una particolarità della legge: è scritta in modo da favorire moltissime interpretazioni. Siamo solo agli inizi di un dibattito che già si presenta intenso e che verrà man mano alimentato dalla prassi quotidiana con cui tutti i professionisti dovranno fare i conti a partire dal 1° aprile 2005.


A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Dicembre

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)

1495,58

G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA

1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice-novembre 1969:100 Anno 2002 2003 2004 2005

56

Febbraio Marzo Aprile 1470 1467,96 1471,72 1475,49 1510 1504,37 1509,40 1511,91 1540 1537,02 1538,28 1542,04 1560 1555,86 1560,88

Maggio

Giugno 1480 1478,00 1480,51 1513,16 1514,42 1544,56 1548,32

2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978) Anno 2002 2003

INDICI E TASSI

Gennaio 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00

2004 2005

dicembre 1978:100,72

Luglio

Agosto

Settembre Ottobre

Novembre Dicembre

509,35

511,52

512,39

512,82

513,69

514,56

515,86

517,17

517,60

522,38

523,25

523,69

524,12

525,43

526,29

527,60

528,03

529,34

529,34

532,38

533,68

534,55

535,86

536,29

537,16

537,16

537,16

538,46

538,46

508,04 520 520,64 531,94 540 540,20

Febbraio Marzo 114,97 115,35 117,46 117,56 119,28

Aprile 115,54 117,85

anno 1995: base 100 Maggio 115,64 118,04

Giugno 115,73 118,33

Luglio 116,02 118,42

4) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) 5) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 2000: base 100

Anno 2003 2004 2005

Giugno 106,34 108,73

Gennaio 105,46 107,58 109,25

Febbraio Marzo 105,64 105,99 107,93 108,02 109,61

Aprile 106,17 108,28

Maggio 106,26 108,46

Luglio 106,61 108,81

6) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 1999: base 100

Anno 2003 2004 2005

Giugno 111,46 113,95

Luglio 111,73 114,04

2005 112,12

Gennaio 110,53 112,75 114,51

Febbraio Marzo 110,72 111,09 113,12 113,21 114,87

Aprile 111,27 113,49

Maggio 111,36 113,67

7) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

2001 103,07

1996 105,55

2003 108,23

2004 110,40

1997 108,33

1998 110,08

1999 111,52

1998 101,81

1999 103,04

Settembre Ottobre 116,50 116,60 118,61 118,61

2000 105,51

2000 113,89

Agosto 106,79 108,99

Settembre Ottobre 107,05 107,14 108,99 108,99

2002 111,12

Novembre Dicembre 107,40 107,40 109,25 109,25

gennaio 1999: 108,20 Agosto 111,92 114,23

Settembre Ottobre 112,19 112,29 114,23 114,23

Novembre Dicembre 112,56 112,56 114,51 114,51

gennaio 2001: 110,50

novembre 1995: 110,6 2001 117,39

2002 120,07

2003 123,27

2004 116,34

2005 118,15

anno 1997: base 100

2001 108,65

Novembre Dicembre 116,89 116,89 118,90 118,90

dicembre 2000: 113,40

anno 1995: base 100

9) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

giugno 1996: 104,20 Agosto 116,21 118,61

anno 2001: base 100

2002 105,42

8) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

1555,86

Giugno

506,30

Gennaio 114,77 117,08 118,90

1529,48

novembre 1978: base 100

3) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2003 2004 2005

Settembre Ottobre Novembre 1490 1481,77 1484,28 1486,79 1490,56 1494,33 1520 1518,19 1520,70 1524,46 1525,72 1529,49 1550 1549,58 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86

Maggio

Febbraio Marzo

538,46

Agosto

Aprile 510 510,65

Gennaio

519,78 530 530,21

Luglio

2003 113,87

2004 125,74

2005 127,70

febbraio 1997: 105,20

Interessi per ritardato pagamento

Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.

Provv. della Banca d’Italia (G.U. 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003

4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%

Con riferimento all’art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.

Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003

3,35% +7 2,85% +7

Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) dal 1.7.2003 al 31.12.2003

2,10% +7

Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11) dal 1.1.2004 al 30.6.2004

2,02% +7

10,35% 9,85% 9,10% 9,02%

Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159) dal 1.7.2004 al 31.12.2004

2,01% +7

Comunicato (G.U. 8.1.2005 n° 5) dal 1.1.2005 al 30.6.2005

2,09% +7

9,01%

9,09%

Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.

Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


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