AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi
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EDITORIALE FORUM Commissioni edilizie interventi di Giulio Barazzetta, Alberico B. Belgiojoso, Enrico Bertè, Bruno Massignan, Marco Romano
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INFORMAZIONE Dagli Ordini
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INDICI E TASSI
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MAGGIO 2006
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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Giuseppe Rossi; Vice Presidenti: Achille Bonardi, Ferruccio Favaron, Giorgio Tognon; Segretario: Sergio Cavalieri; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Emiliano Campari, Stefano Castiglioni, Angelo Monti, Biancalisa Semoli, Giuseppe Sgrò, Daniela Volpi Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidenti: Paola Frigeni, Angelo Mambretti; Segretario: Antonio Cortinovis; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Gianfranco Bergamo, Matteo Calvi, Enrico Cavagnari, Stefano Cremaschi, Alessandro Pellegrini, Francesca Rossi, Mario Salvetti, Italo Scaravaggi, Carolina Ternullo, Elena Zoppetti (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Stefania Annovazzi, Umberto Baratto, Franco Cerudelli, Laura Dalé, Antonio Erculani, Paola Faroni, Franco Maffeis, Donatella Paterlini, Silvia Pedergnaga, Enzo Renon, Roberto Saleri (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Angelo Monti; Vice Presidente: Chiara Rostagno; Segretario: Margherita Mojoli; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Angelo Avedano, Antonio Beltrame, Alessandro Cappelletti, Laura Cappelletti, Enrico Nava, Michele Pierpaoli, Andrea Pozzi (Termine del mandato: 15.3.2010) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Gian Paolo Scaratti; Segretario: Federica Fappani; Tesoriere: Luigi Fabbri; Consiglieri: Luigi Agazzi, Giuseppe Coti, Davide Cremonesi, Antonio Lanzi, Fiorenzo Lodi, Fabio Rossi, Paola Samanni (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidenti: Massimo Dell’Oro, Elio Mauri; Segretario: Marco Pogliani; Tesoriere: Vincenzo D. Spreafico; Consiglieri: Ileana Benegiamo, Fernando Dè Flumeri, Massimo Mazzoleni, Elena Todeschini, Diego Toluzzo, Alessandra Valsecchi (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Antonio Muzzi, Massimo Pavesi, Fabretta Sammartino, Ferdinando Vanelli (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Enrico Rossini; Tesoriere: Manuela Novellini; Consiglieri: Lara Gandolfi, Cristiano Guernieri, Filippo Mantovani, Giuseppe Menestò, Sandro Piacentini, Alberta Stevanoni, Luca Rinaldi, Nadir Tarana (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidenti: Marco Engel, Silvano Tintori; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Adalberto Del Bo, Alessandra Messori, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Alberto Scarzella, Giovanni Edoardo Zanaboni, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 20.12.2009) Ordine di Monza e della Brianza Segreteria: omb.segreteria@gmail.com Presidente: Biancalisa Semoli; Vice Presidenti: Massimo Caprotti, Alberto Poratelli; Segretario: Pietro Giovanni CicardI; Tesoriere: Paolo Vaghi; Consigliere: Angelo Dugnani, Ezio Fodri, Clara Malosio, Maria Rosa Merati, Fabiola Molteni, Roberta Oltolini, Federico Pella, Giovanna Perego, Francesco Redaelli, Francesco Repishti (Termine del mandato: 1.2.2010) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Fabiano Conti, Maria C. 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Gallazzi, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni, Adriano Veronesi (Termine del mandato: 15.10.2009)
Beppe Rossi Presidente della Consulta Lombarda degli Ordini degli Architetti
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Le opinioni sulla necessità o meno di mantenere operative le commissioni edilizie sono discordi. Da una parte c’è chi è convinto della necessità e utilità che questo istituto continui ad avere un ruolo preciso, mentre, al contrario, c’è chi le ritiene ormai inutili perché limitate nei loro compiti. La progressiva introduzione negli ultimi anni dell’istituto della Denuncia Inizio Attività in luogo del Permesso di Costruire, ha modificato sostanzialmente il rapporto tra progettista e Pubblica Amministrazione. Nella maggior parte dei comuni lombardi che sono di piccole e medie dimensioni, le commissioni edilizie erano per lo più di nomina politica con competenze in materia abbastanza limitate. Non a caso l’ottenimento del permesso di costruire attraverso il passaggio obbligato della Commissione edilizia rappresentava per il professionista uno scoglio che doveva essere superato in quanto molte volte i pareri non erano tanto di natura tecnica, pertinenti con l’inserimento o meno dell’edificio nel contesto, ma risultavano essere più che altro di natura “politica”. Per questo moltissimi professionisti hanno accolto con favore la possibilità di evitare attraverso la presentazione delle D.I.A. il giudizio delle commissioni. Al di là della obbligatorietà o meno del passaggio, obbiettivamente non so fino a che punto sia necessario per la maggior parte dei casi che un progetto debba essere valutato sempre, e in ogni modo, da una commissione. Certo è che, giustamente, quando ci si trova innanzi ad interventi ricadenti in zone soggette a vincolo ambientale e paesaggistico, mi sembra scontato che molti Comuni si vogliano appoggiare al parere della Commissione edilizia. Infatti, la Legge Regionale 12/05 prevede venga istituita una Commissione per il paesaggio per le funzioni attinenti il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. È anche vero che i numerosi lacci e lacciuoli normativi di varia natura, che opprimono i progettisti, rendono sempre più difficoltoso esprimere al meglio un prodotto architettonico di qualità. Come spesso accade probabilmente dovrà passare del tempo affinché le Amministrazioni Comunali possano orientarsi. Il mantenere o meno, o eventualmente recuperare il ruolo delle commissioni edilizie sarà un percorso che i comuni dovranno fare in funzione dei risultati ottenuti e delle singole situazioni che nella nostra Regione hanno sfaccettature diverse. Certo è che l’apporto culturale degli architetti, che nei vari ruoli sono protagonisti del processo edilizio (tecnici comunali, professionisti, componenti di commissioni edilizie) risulta come sempre fondamentale. Il buon senso e la professionalità, ritengo, possano, col tempo, aiutare a raggiungere l’obiettivo di un giusto equilibrio sulla necessità o meno di usufruire dell’apporto delle commissioni edilizie nel modo più opportuno. Un grazie ai colleghi che con il loro contributo attraverso il Forum degli Ordini hanno dato una visione interessante e obiettiva sull’argomento.
Commissioni edilizie
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Nel Forum di questo numero intervengono Giulio Barazzetta, professore incaricato di Disegno dell’architettura presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, Alberico B. Belgiojoso, professore ordinario di Progettazione architettonica e urbana presso il Politecnico di Milano, Enrico Bertè, architetto e già consigliere del Collegio degli ingegneri e architetti di Milano, Bruno Massignan, coordinatore del Dipartimento ambiente territorio OO.PP. del Comune di Settimo Milanese, Marco Romano, professore di Urbanistica presso l’Università degli Studi di Genova. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.
Qualità delle commissioni di Giulio Barazzetta
Nel caso si decida di avvalersi dell’ambiguo istituto della Commissione edilizia penso che sia possibile tenere aperte due direzioni per la sua formazione. Queste sono emerse dalle pratiche degli ultimi anni, non sono necessariamente “alternative” e implicano entrambe il presupposto della “qualità” di giudicanti autorevoli e competenti. Se si vuole procedere alla formazione delle commissioni – edilizie, dei lavori pubblici o dell’ambiente – lo si deve fare con la formazione di collegi multi-disciplinari di “qualità” tramite bandi pubblici con la scelta di persone di comprovata esperienza, piuttosto che di “chiara fama”. Questo dovrebbe essere anche il principio che guida l’altra possibile strada di nomine di consulenti “tecnici” degli amministratori pubblici laddove si decida di procedere in termini di scelte condotte direttamente dagli amministratori. Si tratta in ogni caso di persone che assumano positivamente la condivisione del programma di governo del territorio che il sindaco ha enunciato o una opposizione. Non solo dunque “mosche cocchiere”, ma comunque inevitabilmente apportatori di “consenso” malgrado loro, in una prospettiva che di fatto è quella della “competizione” come fattore determinante di un miglioramento della “qualità del prodotto”. L’alternativa liberista delle scelte orientate e quella della valutazione del collegio giudicante sono, a mio avviso, costrette a convivere nella ambiguità di un istituto che ha un valore sostanzialmente consultivo all’interno del procedimento che autorizza diritti acquisiti e/o proposti come moneta di scambio. L’alternativa non esiste nemmeno nella pratica della più spregiudicata “deregulation” urbanistica. In questo scenario – perseguito da più di vent’anni – è infatti necessario che lo spazio pubblico e gli interventi pubblici, ormai condotti su iniziativa privata, siano accuratamente programmati, discussi e progettati volta per volta (magari anche con l’utilizzo massiccio di concorsi/gare di progettazione). Per gli interventi privati di edificazione si deve invece poter prevedere, una volta assicurata la rispondenza alle norme e ad un buon standard di qualità del prodotto, che vi siano delle possibilità di espressione “alta” della forma che non necessariamente devono essere condivise da
tutti – è impossibile che lo siano – ma che edifichino uno spazio della città. Questo discorso si dovrebbe fare tenendo conto della qualità media degli interventi e dell’incompetenza media di commissari, amministratori e così via, che si aggiunge ad un generale problema di committenza. Non penso siano sufficienti per questo nodo problematico le “linee-guida” che alcuni ingenuamente auspicano. Ne tanto meno procedimenti identificativi di un “paesaggio” di lunga durata, essendo venute a mancare le regole della tradizione. Anche quelle di una “tradizione del nuovo”: mi pare difficile parlare oggi di scuola milanese, che pure è esistita nella nostra città. Dovrebbe prendere invece sempre più forza – in un contesto di “riforma dello Stato”, trasparenza amministrativa e concorrenzialità – la proposta di indirizzare il testo del “Regolamento edilizio” al regolamento delle procedure del progetto per il rilascio dei permessi. Sostanzialmente un sistema di rappresentazione che garantisca la “certificabilità” dei diritti e del rispetto delle norme. Che metta anche in campo, se lo si vuole, separatamente e ben individuato, il contesto del giudizio del progetto. Rispecchiando la città attuale si diminuirebbe così – notevolmente – la possibilità che qualcuno pensi che esista un solo inequivocabile “testo”, un regolamento per l’edificazione, o peggio per il “paesaggio”, che ne stabilisca una volta per tutte la forma. Separiamo dunque sempre di più il giudizio della “qualità” di un progetto – se proprio lo si vuole dare – da quello per i procedimenti urbanistici dei progetti (di contrattazione) e per i permessi di costruire in base alle norme e ai diritti edificatori che devono essere sempre garantiti e verificabili. Diamo al procedimento per costruire tutti gli spazi per verifiche normative che sono già eccessive, ma costruiamo con maggiore attenzione una valutazione intrinseca del progetto che non sia solo cattiva coscienza, ma che sappia renderne manifesti i caratteri e i suoi stessi procedimenti in modo che se ne rintracci la sua stessa possibilità di giudizio. È necessario dover formulare ogni volta possibile nel nostro lavoro le domande che si pongono concretamente con ogni progetto. Occorre rimettere in circolo la coscienza del proprio mestiere assieme alla scienza. L’obiettivo è rintracciare il patrimonio di studi e contributi che è proprio degli architetti serrando il dialogo con gli amministratori e gli operatori, per trasformare la città operando una pragmatica “scienza nuova”, rivolta innanzitutto allo studio della realtà urbana del nostro tempo e all’individuazione dei suoi orizzonti. Anche le scuole potrebbero ritrovare qui il proprio posto, per indirizzare gli atti del nuovo verso un’urbanistica di proposte che sia essa stessa un quadro di strategie efficaci e condivise. Un sapere che è già “progetto” e sta tutto nella rappresentazione delle tracce e delle risorse dell’esistente. Questo sapere è l’unico contesto possibile per costruire le ragioni del “giudizio” dei progetti, che è altrimenti infondato. Infine, una parte di questo sapere consiste anche nel discutere
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Maison Coilliot. 14, Rue de Fleurus. Lille, 1900. Architetto Hector Guimard.
Le foto che illustrano il Forum sono tratte dal libro Metropole. 1890-1993 Un siecle d’architecture et d’urbanisme, Éditions Le Moniteur, Paris, 1993 – volume realizzato da un collegio di insegnanti-architetti dell’École d’architecture de Lille – Régions Nord in collaborazione con l’Agence de développement et d’urbanisme de la métropole lilloise, prefazione di Frédéric Edelmann.
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delle cose costruite valutandone i probabili risultati in ciò che viene reso come permanenza a chi le abita, per formulare una “qualità urbana” – la “qualità pubblica” è qualità dello spazio della città e del territorio che è essenzialmente pubblica, un carattere per cui quel luogo è proprio quello e non altro – intesa come configurazione della città nuova. Si deve animare in questo modo una trama dei contributi tra la cultura della nuova città e una sua nuova forma “politica”. Il “disegno automatico” di una edificazione privata che ci renda spazio pubblico, consapevole sia di una relativa stabilità o permanenza della forma, che della mutevole vita possibile.
Il rapporto fra progettazione e organi di controllo di Alberico B. Belgiojoso
È interessante verificare come funziona effettivamente il rapporto della normativa e degli organi di controllo con la progettazione, le sue esigenze, le sue modalità, la sua creatività, e anche le sue mitizzazioni.
Si vuole garantire un certo livello di qualità nella edificazione, e in questo ha un ruolo importante l’inserimento nel contesto, specie a Milano. Molta della bassa qualità morfologica e paesistica di un sistema urbano è dovuta all’inesistenza di un rapporto efficace fra i singoli edifici e il contesto. Il singolo architetto, se appena si pone il problema in modo serio, può nel suo progetto risolvere l’obiettivo di un buon inserimento nel contesto. Ma molti progettisti non si pongono questo obiettivo, o non vogliono o non ne sono capaci. Ogni progetto ha un impatto sul sistema urbano più generale, e sul contesto più immediato, oltre ad avere un suo valore proprio. Schematicamente possiamo individuare tre scale dimensionali: l’edificio, il contesto immediato, la città. Naturalmente il progettista, in misura più o meno completa ed efficace, ragiona a tutte e tre le scale: sicuramente alla scala più piccola, e in modo più “generico” alle scale più grandi. Ma alle scale più grandi entrano in azione ragionamenti, propri di quelle scale, che comportano una visione, e delle coerenze con altre indicazioni, che solo la Commissione edilizia, o comunque un’entità diversa dal singolo,
Avenue du Maréchal Leclerc (anticamente Rue du jardin botanique). La Madeleine, 1912.
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può e deve organizzare, e che il progettista invece può non conoscere, anche se può avere su di essi delle sue idee. In ogni caso si può dire che c’è sempre il rischio, da una parte, di non approfittare delle idee e delle capacità del progettista, dall’altra, di permettere che si produca un danno ad una visione più generale. Mi sento di affermare che dei due rischi sia preferibile, specie in Italia e specie a Milano (che è già un po’ disgregata) correre il primo piuttosto che il secondo. E qui si pone la questione se, nel rapporto tra professionista e Commissione edilizia, convenga puntare di più sull’indicare delle soluzioni, o invece sul prescrivere dei metodi di ragionamento, di analisi e di elaborazione, che obblighino il progettista ad affrontare e risolvere certi aspetti dell’inserimento del suo progetto nel contesto urbano; richiedere cioè che si facciano certi tipi di analisi sul contesto, che se ne documenti la storia, che si dichiarino i criteri progettuali adottati, i caratteri urbani che si sono individuati e come ci si sia posti rispetto ad essi. Evidentemente questa seconda componente è opportuna ed anche necessaria, ma non basta e ne sono incerti i risultati; e a mio parere è utile anche la prima.
Un’altra questione riguarda il quesito se sia meglio, e se sia possibile, che si formulino preventivamente dei criteri, per le diverse zone di Milano e per i diversi casi, che il progettista possa conoscere e a cui possa riferirsi. Si creerebbe in questo caso senz’altro un rapporto migliore e un risparmio di tempi, e si eviterebbero inutili contrapposizioni, ma i problemi che emergono non sono da poco: • l’indirizzare a priori può circoscrivere e limitare la proposta del progettista; • non è facile stabilire dei criteri, perché ciò richiede una serie di osservazioni e di analisi, nonché delle scelte, che possono aprire discorsi infiniti all’interno degli organismi che vi si cimentano. Si può però organizzare il problema trovando il punto di equilibrio fra criteri generali e criteri specifici (farli più precisi nelle singole zone, più generici per gli aspetti generali), e fra indicazioni in negativo ed indicazioni in positivo, cioè puntare ad escludere certe soluzioni (che è sempre più facile) invece che indicarne alcune (che è più problematico e in un certo senso meno legittimo). Si può (anzi si deve) naturalmente lasciare aperta la possibilità che ai criteri che venissero messi a punto, il suddetto
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organismo possa derogare (di comune accordo), quando una proposta progettuale che si ponesse al di fuori di essi fosse giudicata valida e non disgregante della visione di insieme. Vorrei infine toccare un’ultima questione: se nell’ambiente urbano oggetto di vincolo ambientale (o comunque con importanti presenze storiche) l’attenzione vada posta prioritariamente sulla leggibilità dell’assetto storico dell’ambiente, o invece su una cosiddetta “qualità”, che ammetta anche interventi di modificazione sulle “parti storiche” per (in qualche modo) ...migliorarle. A mio parere è senz’altro valida la prima interpretazione. La riduzione o la modifica delle parti storiche costituisce degrado, e comunque l’aggiunta di parti nuove non deve introdurre elementi che deformino e in definitiva disgreghino l’insieme dell’ambiente storico, anche se il rapporto fra antico e moderno è senza dubbio un tema interessante e che spesso dà ottimi risultati. Occorre tener presente che nel paesaggio urbano, specie nelle aree storiche, è importante l’aspetto informazione, cultura, messaggio, significato; per cui l’integrità è un valore, ed è distorto l’atteggiamento di “inserirvi criteri di miglioramento”. Questo vale in particolare a Milano, dove il problema è proprio quello della disgregazione, dove cioè sono presenti diverse presenze storiche che, per varie ragioni, fra cui senza dubbio i bombardamenti dell’ultima guerra, ma anche l’eccesso di sostituzione edilizia, sono rimasti spezzati ed è difficile percepirne il valore. È chiaro comunque che, oltre a spiegarsi sull’uso delle normative, parlando fra progettisti, serve anche parlare di come vogliamo migliorare la qualità di Milano attraverso la nostra attività di progettazione. È molto utile avere norme intelligenti, e che agiscano, e svolgano bene il loro compito, e funzionino, ma serve anche, ancora di più, che noi progettisti progettiamo bene. Il discorso da sviluppare è come progettare a Milano, che direzione scegliere per le caratteristiche dei nuovi interventi nelle diverse zone; ma questo apre un discorso ampio, anche se senza dubbio possibile e utilissimo.
Le commissioni edilizie: alcune considerazioni di Enrico Bertè
In cinquantaquattro anni di attività professionale ho avuto modo di contattare numerose commissioni edilizie dei diversi Comuni nei quali ho operato come progettista e direttore dei lavori. Com’è noto la Commissione edilizia è l’organo consultivo del Comune in materia edilizia, urbanistica, d’impatto paesistico e di tutela dei beni ambientali. Essa svolge le funzioni previste dalla legge, dai regolamenti e in particolare dai regolamenti edilizi comunali. Com’è noto il suo è un parere consultivo, di cui le Amministrazioni comunali possono tenere conto integralmente, parzialmente oppure decidere diversamente dal parere ricevuto. La prima considerazione che corre l’obbligo di fare è che i
membri di una Commissione edilizia dovrebbero essere scelti tra persone con requisiti idonei per esprimere un giudizio sui progetti architettonici. Ho avuto a che fare con alcune commissioni edilizie, composte in maggioranza di diplomati e di artigiani locali, i quali, sebbene bravi nel loro mestiere professionale od artigianale, non possedevano quei requisiti culturali indispensabili per discutere intorno ad una soluzione progettuale di architettura. La seconda considerazione concerne l’onestà dei membri della Commissione edilizia. Negli anni Sessanta era stato proposto a qualche sindaco che, prima di portare in Commissione i progetti, negli elaborati venissero coperti la targa dello studio del progettista e il nominativo dell’ente o del privato cittadino, committente dell’opera. Perché? Perché qualche volta è stato respinto un progetto o per invidia o per antipatia o per motivi politici (e via discorrendo). E ciò non ha niente a che fare con i compiti di una Commissione edilizia. E non mi soffermo su un parere negativo politico espresso da un Consiglio di zona di Milano, soltanto perché il progetto era stato presentato da uno dei più importanti istituti bancari italiani. Altra considerazione, e non ultima, concerne la libertà dell’architetto progettista, il quale se deve ottemperare al dovere del rispetto di tutti i vincoli posti dai PRG, da leggi, decreti legge, normative, regolamenti, ecc., essendo un progetto architettonico un’opera dell’ingegno, deve avere il diritto di esprimere la propria personalità di architetto senza che una Commissione edilizia, oltrepassando i propri limiti di competenza, possa modificare oppure deformare il progetto in esame. Ricordo che negli anni Sessanta ad un architetto venne bocciato un progetto perché la Commissione edilizia non era d’accordo sul colore del rivestimento delle facciate previsto con intonaco lamato grigio. L’architetto aggiunse grigio perla ed ottenne la licenza edilizia. Fu allora che vennero di moda i colori: testa di moro, canna di fucile, verde oliva, giallo miele, ecc. Ma in anni più recenti le cose sono migliorate. Com’è risaputo le commissioni edilizie perseguono il fine del miglioramento della qualità dell’ambiente urbano e del sistema paesaggistico, e pertanto possono richiedere incontri con i progettisti per ricevere chiarimenti circa i progetti presentati e disporre, in qualche caso, sopralluoghi anche con la presenza del progettista stesso. Sono in grado di testimoniare che a seguito di conferimenti con le commissioni edilizie, composte da valenti colleghi, è stato possibile migliorare senza apportarvi sostanziali modifiche, lo stile architettonico dei progetti presentati.
C’era una volta la Commissione edilizia di Bruno Massignan
La Commissione edilizia comunale trae origine dalla Legge urbanistica del 1942 (n. 1150) che all’Art. 33 indicava tra le norme da inserire nel regolamento edilizio comunale anche
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Lille; tratta da: Metropole, 1890-1993. Un siecle d’architecture ed d’urbanisme.
quelle riguardanti “la formazione, le attribuzioni e il funzionamento della Commissione edilizia comunale”. Dopo decenni di onorata carriera e di presenza importante nell’attività edilizia dei comuni, questo istituto ha subìto un fiero colpo con l’entrata in vigore del Testo unico dell’edilizia (DPR 380/2001) che all’Art. 4.2 testualmente dispone: “Nel caso in cui il comune intenda istituire la Com-
missione edilizia, il regolamento indica gli interventi sottoposti al preventivo parere di tale organo consultivo”. Molti comuni, dopo un periodo di riflessione più o meno esteso, hanno ritenuto di non riconfermare nel proprio assetto organizzativo la presenza di tale organo, non più obbligatoria, ma facoltativa, sulla base di considerazioni diverse, tra cui le seguenti:
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• le norme introdotte nell’ordinamento degli Enti locali a partire dagli anni ’90 hanno precluso la presenza nelle commissioni ai rappresentanti “eletti” delle pubbliche amministrazioni, ai quali sono oggi assegnate funzioni di indirizzo e di controllo, ma non di gestione dei procedimenti. È venuta meno la componente “politica” nel giudizio sui progetti; • con l’evolversi e l’affinarsi della normativa urbanistica e di settore (igiene, sanità, sicurezza antincendio, ecc.), si è notevolmente ristretto il margine di discrezionalità nel giudizio sulle pratiche edilizie e urbanistiche; infatti, a seguito dell’istruttoria effettuata dall’Ufficio tecnico comunale, il parere della C.E. si riduce spesso a mere considerazioni formali o estetiche facilmente impugnabili da parte del progettista, in assenza di specifiche prescrizioni (ad esempio in assenza di un piano del colore); • con l’introduzione dell’istituto della dichiarazione di inizio attività (DIA), in luogo del permesso di costruire, si è determinata una rivoluzione nell’approccio del progettista privato con la pubblica amministrazione; infatti, con la DIA il progettista si fa garante in prima persona del rispetto della normativa, ivi comprese le eventuali prescrizioni relative alla qualità estetica dell’intervento. Per le DIA il parere della C.E. non è richiesto, in quanto eventuali vizi della pratica vengono già evidenziati nell’istruttoria dell’Ufficio tecnico. Pertanto in alcuni Comuni non è stata riconfermata la Commissione edilizia; tuttavia occorre precisare che nel corpo legislativo regionale della Lombardia si ritrovano elementi che presuppongono l’esistenza della C.E. o comunque di una commissione composta da esperti in discipline specialistiche; • la Legge regionale 18/97 prevede l’inserimento nella Commissione edilizia di due esperti in materia di beni ambientali; • la Legge regionale 6/89 prevede che il comune favorisca l’inserimento nella Commissione edilizia di un esperto in materia di abolizione delle barriere architettoniche; • la nuova Legge urbanistica regionale n. 12/05 prevede che in ogni ente locale venga istituita una commissione per il paesaggio per le funzioni attinenti al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica; • infine, la recente L. R. 20 del 27 dicembre 2005 (che ha apportato modifiche alla Legge urbanistica 12/05 in materia di sottotetti) dispone che i progetti di recupero di sottotetti, qualora incidano sull’aspetto esteriore dei luoghi e degli edifici, vengano sottoposti al giudizio della commissione per il paesaggio di cui al punto precedente. Da tutto quanto detto sopra potrebbe scaturire l’indicazione di istituire nel comune una commissione con funzione consultiva composta da tecnici esperti in materia di ambiente e in materia di eliminazione delle barriere architettoniche; inoltre, a nostro avviso, potrebbe far parte di tale commissione un tecnico esperto di viabilità, un tecnico esperto in materia di risparmio energetico e un legale esperto di diritto urbanistico.
Città e bellezza tra libertà e vincolo di Marco Romano
Da mille anni in Europa i cittadini di una città sono tali perché hanno il possesso di una casa, e poiché la civitas è una società mobile, dove in linea di principio lo status sociale di ciascuno dipende dall’attendibilità conseguita con il proprio lavoro, tutti lo mostrano pubblicamente nel sito della propria casa, nella sua ricchezza, nella sua forma architettonica. Mille anni fa le case al centro di Milano costavano per questo tre volte tanto quelle della periferia – più o meno il medesimo rapporto di oggi – e i più celebrati professori universitari non erano sempre in grado di pagarne l’affitto: per questo Abelardo, agli inizi del XII secolo, fu costretto a prendere a Parigi stanza in casa del canonico Fulgenzio promettendogli in cambio di dar lezioni alla sua figliola Eloisa, e di quali lezioni si sia trattato ognuno lo sa. La ricchezza ha poi a che vedere con la dovizia dei rivestimenti e delle decorazioni – chiunque distingue le case benestanti del centro dalle case popolari in periferia – ma anche dallo stile architettonico: nella tavola di Urbino Leon Battista Alberti mostra in primo piano le case dei maggiorenti nel nuovo stile rinascimentale e le case degli artigiani sullo sfondo, nella periferia, in uno stile più povero e tradizionale. I medesimi cittadini che come individui confrontano il loro status attraverso le loro case appartengono a una civitas che confronta a sua volta il proprio rango con quello delle altre città attraverso la grandiosità e la dignità architettonica dei temi collettivi, manufatti che tutti conosciamo e che sono i medesimi in tutte le città europee, dalla capitale al villaggio: tra questi la chiesa principale, il palazzo municipale, il teatro, il museo, il giardino pubblico, il campo sportivo, una trentina in tutto. Ma i cittadini sanno anche che una città è tanto più bella quanto più belle sono tutte le sue case e, accanto alla tavola di Urbino, dove l’Alberti appare rassegnato alla modestia edilizia delle case artigiane, Serlio, Le Muet, Böcklin disegneranno nel Cinquecento trattati nei quali le case sono sì diverse per le loro dimensioni – perché molti sono pur sempre i ceti sociali – ma tutte con facciate nel medesimo stile architettonico: modello, questo, che io sappia realizzato soltanto a Cervia alla fine del Seicento. Tuttavia, poiché le case rappresentano visibilmente lo status – sociale e culturale – dei cittadini, come obbligarli a costruirsi delle belle case? Nel maggio del 1297 il consiglio comunale di Siena invita tutti i proprietari delle case affacciate sul Campo, ad abbellirle, quando dovessero ricostruirle, di costose bifore: ma a che titolo pretenderlo quando, sulla medesima piazza, San Bernardino predicava contro chi sperperava il proprio denaro per abbellire le facciate delle case invece che nell’elemosina ai poveri e così guadagnarsi il paradiso? Senza contare poi che i gusti architettonici non sono necessariamente i medesimi e ciò che appare bello è per ciascuno diverso, e se a Siena tutti si convinsero nel Quat-
Rue Gounod. Lille Saint-Maurice, a partire dal 1903. Architetto Armand Lemay.
trocento che la città sarebbe stata più bella se fossero state aboliti i bovindi e le scale esterne, ancora nel 1720 a Rennes i cittadini, dopo un devastante incendio, pretesero di poter ricostruire le case con i telai di legno sporgenti anziché accettare l’architettura in pietra proposta da Gabriel. Se la civitas, nella sua aspirazione a una bellezza che le consenta di confrontarsi con le altre città, vorrebbe legittimamente costringere i propri stessi cittadini – quelli dei quali è composta e che ne hanno eletto il governo – a costruirsi belle case, quegli stessi cittadini rivendicano il proprio diritto a mostrarsi in pubblico secondo le loro convinzioni, con una libertà espressiva che è in fondo equivalente alla libertà di parola. È questo un conflitto strutturale e irrimediabile: da quando, nel Cinquecento, il Farnese incaricò a Piacenza un suo architetto di correggere i progetti presentati dai suoi colleghi – dopo tre anni dimissionario accampando che nessuno lo ascoltava e tutti gli diventavano nemici – sono stati incaricati dovunque o create dovunque commissioni per esaminare i progetti di nuove costruzioni, sempre più o meno con il medesimo risultato e senza che nessun Principe potesse porvi rimedio. In linea di principio tutti sono d’accordo che sia legittimo porre vincoli architettonici sulle case soltanto quando ciò sia necessario per costituire un nuovo tema collettivo – una piazza monumentale (come piazza del Duomo a Milano), una strada monumentale (come rue di Rivoli a Parigi),
il centro storico (in tutte le città), ma poi, di fatto, il singolo cittadino appena può tenta di eludere le norme e lo stesso governo chiude un occhio sulle turpitudini, place Dauphine a Parigi irriconoscibile e i tetti di Milano sbertucciati. Le commissioni edilizie sono uno strumento per attenuare questo conflitto, per evitare che gli architetti – nel singolare esibizionismo dell’attuale scampolo di modernità – compiano inconsulte atrocità: e questi tre anni di una Commissione edilizia milanese composta da colleghi dotati di semplice buonsenso mi hanno insegnato che davvero molti sono i nostri colleghi irresponsabili, mentre in genere di quei pochi che già conoscevamo per bravi abbiamo visto progetti ottimi. Tuttavia resta il fatto che ciascuno dei colleghi criticati e corretti può legittimamente ritenere le nostre osservazioni lesive del diritto espressivo suo e dei suoi committenti: perché non vi è alcun modo per dirimere questo radicale conflitto, legato al desiderio di bellezza, ma anche a quello della libertà del giudizio estetico, tra la sfera individuale e la sfera collettiva della bellezza. Bellezza che abbiamo forse difeso, tra molte recriminazioni dei nostri colleghi, nei singoli caseggiati, nei singoli sottotetti, mentre intanto maturavano autentici e giganteschi orrori nel disegno complessivo della città, frutto dell’incompetenza professionale e della superficialità dei committenti – anche e soprattutto di quelli pubblici – nel recinto della vecchia fiera, sul parterre delle Varesine, nel lontano quartiere di Santa Giulia.
FORUM GLI INTERVENTI
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“Novocomun” di Terragni: assonometria di progetto.
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Bergamo a cura di Antonio Cortinovis
La Commissione edilizia La storia di una città non è scritta solamente dalle gesta dei suoi cittadini più illustri. I fatti e le persone sono importanti, ma si muovono pur sempre all’interno di una trama fatta di leggi e regolamenti che da sempre gli uomini si sono dati per rendere possibile la civile convivenza. Le prime regolamentazioni in materia di costruzione e con esse le prime limitazioni allo ius aedificandi sono però relativamente recenti. Il diritto all’edificazione è sempre stato connaturato alla proprietà e il diritto romano infatti considerava la proprietà come piena ed assoluta, “usque ad sidera, usque ad infera”; le prime limitazioni furono introdotte soltanto con il Codice Napoleonico che prevedeva la possibilità dell’espropriazione, concetto ripreso dallo Statuto Albertino e riportato nella legislazione del Regno d’Italia dopo l’unificazione. Nell’Italia unificata l’attività edilizia era essenzialmente regolata dal Codice Civile, dalla legge sull’esproprio e dalla legge comunale e provinciale unitaria che sanciva, tra l’altro, la nascita del regolamento edilizio e di igiene. La Legge urbanistica 1150 del 1942, rese organica la normativa precedente riguardante l’edificazione e regolamentò tutti i processi di piano, dalla scala territoriale a quella comunale e particolareggiata specificando il contenuto dei regolamenti edilizi e codificando la licenza edilizia. Lo ius aedificandi, ormai lontano dall’essere liberamente esercitabile, è sottoposto ad un atto di consenso amministrativo attraverso il quale il Sindaco accerta se la costruzione da effettuare sia in contrasto o meno con le leggi e con le prescrizione dei P.R. e dei regolamenti edilizi. Senza dilungarci oltre sull’evoluzione normativa della licenza edilizia e del suo passaggio a concessione onerosa fino al permesso a costruire è necessario però evidenziare come tale processo lasci immutato, almeno fino ad oggi, un protagonista presente sotto diversi nomi sin dai primi regolamenti edilizi: la Commissione edilizia. Fin dalla nascita dei primi regolamenti edilizi appunto, fu prevista l’introduzione di un organo consultivo del Sindaco per l’espressione di pareri sulle costruzioni, tale organo dapprima fu chiamato Commissione d’ornato e poi Commissione edilizia con la Legge 1150 del 1942. Dicevamo immutata fino ad oggi poiché ora ha perso il suo carattere di organo necessario “ex lege”. L’istituzione della Commissione edilizia è attualmente facoltativa e gli enti locali possono scegliere se conservarla, adeguandone la composizione, e indicando nel regolamento edilizio gli interventi sottoposti al suo preventivo parere, oppure sopprimerla. Molti comuni hanno optato per mantenere l’obbligatorietà del parere della commissione esclusivamente
per gli interventi ricadenti in zona di vincolo ambientale e paesaggistico, laddove intervengono specifiche normative di tutela (in particolare il cosiddetto Codice Urbani in materia di Beni Culturali e Ambientali). Negli altri casi, in applicazione dei princìpi di semplificazione e accelerazione delle procedure amministrative il parere della Commissione non è più necessario. Al di là della sua storia passata e dei più recenti sviluppi ci si deve interrogare su uno strumento, quello della Commissione edilizia, che non è mai stato in grado di incidere sulla qualità del manufatto architettonico ma che si è reso protagonista di sviste, rivelatesi tali solo a posteriori, soprattutto nei confronti delle architetture che andavano contro un principio di mimetismo a favore di un nuovo tipo di dialogo con l’esistente. Proprio il principio del mimetismo e della continuità con il passato ha spesso regolato il metro di giudizio dei commissari essendo questi, in molti casi, elementi politici e fondando conseguentemente il proprio parere su un senso comune privo di sensibilità per un certo tipo di architettura. E allora la storia della commissione edilizia si arricchisce di episodi di “aggiramento” celebri, come nel caso del Novocomun di Terragni, o semplicemente di furbizia, come è dato ad assistere nelle attuali sedute della commissione stessa; episodi tutti che danno la misura di come nella nostra professione il parere della commissione sia uno scoglio da superare, una formalità necessaria prima del sospirato inizio dei lavori. È chiaro allora come l’invito delle prefetture ad escludere dalle commissioni, laddove non già abolite, gli elementi politici venga salutato dai professionisti come una svolta positiva, sentendosi finalmente svincolati da ogni tipo di giudizio che non sia strettamente tecnico-urbanistico. Ci si potrebbe chiedere però quale strumento rimanga alla collettività per esprimere un giudizio di merito sugli interventi di trasformazione del territorio visto che qual-
Stefano Cremaschi
Como a cura di Roberta Fasola
Questa doppia intervista – con Francesco Salinitro, direttore dell’area Pianificazione e valorizzazione del territorio del Comune di Como e con Marco Vido, esperto in Beni ambientali all’interno della Commissione edilizia – è stata fatta per analizzare la delicata questione dell’estetica nell’architettura da due punti di vista differenti: il responsabile comunale, che si deve attenere a tutta una serie di parametri legislativi e normativi veri e propri e l’esperto in Beni ambientali che può trascendere da questi per sconfinare nell’analisi del puro rapporto estetico, tuttavia evidenziano entrambi la differenza che sussiste tra fare architettura e fare edilizia. R. F.
Due punti di vista differenti L’arch. Salinitro sottolinea l’importanza di una Commissione edilizia con un livello di preparazione dei suoi componenti elevato per garantire un buon risultato progettuale, unito alla modestia necessaria del
ruolo (è necessario non pensare di “rifare” i progetti dei colleghi) e ad un necessario spirito collaborativo. La Commissione edilizia del Comune di Como ha queste prerogative, ed è per queste ragioni che si è ritenuto di doverla contemplare e, conseguentemente, di prorogare la sua validità sino alle ormai prossime elezioni locali. La futura Amministrazione assumerà poi le decisioni definitive. F. S.: Il fatto che la C.E. sia composta da buoni professionisti è senza alcun dubbio fondamentale perché fornisca indicazioni utili al “miglioramento” dei progetti sotto forma di “prudenti” suggerimenti, in quanto non esistono (per fortuna) riferimenti normativi sull’estetica dei progetti. È importante mantenere un dibattito costruttivo ed aperto con il progettista: la sinergia di pareri tra uffici pubblici e professionisti è assolutamente necessaria per ottenere risultati progettuali positivi. Sebbene la C. E. non “guardi” agli aspetti normativi, talvolta osserva elementi che possono essere sfuggiti ad un primo esame tecnico degli uffici (calcoli, distanze, ecc.), quindi può rivelarsi anche in questo senso un utile supporto all’esame istruttorio della pratica. Per ciò che riguarda lo specifico, la Commissione edilizia del Comune di Como, a seguito di un dibattito interno alla stessa Commissione, è giunta ad individuare e proporre all’Amministrazione comunale criteri generali di carattere progettuale (ad es. sull’architettura dei sottotetti, ma anche sulle modalità d’intervento sul fronte lago, sui chioschi, ecc.); suggerimenti, questi, che possono essere trasformati in norme da inserire nel Regolamento edilizio o, se è il caso, nelle stesse N.T.A. Anche la Commissione ambientale che integra la Commissione edilizia svolge la sua funzione con il medesimo spirito. La C.E. e quella ambientale devono muoversi, naturalmente, con la necessaria onestà intellettuale, attraverso un binario di neutralità di giudizio capace di prescindere dal “nome” del progettista, esulando i contenuti progettuali da aspetti estranei ad essi. Per il centro storico, in particolare, si sono adottati princìpi progettuali “mimetici”, sicuramente all’interno di una logica conservativa; per le altre zone sono stati “spinti” interventi più coraggiosi, per un’architettura più innovativa. Queste sono alcune delle tematiche che hanno coinvolto la Commissione edilizia del Comune di Como, altre e numerose sono le tematiche d’interesse generale, tutte comunque da verificare alla luce degli obiettivi che i Comuni intendono perseguire. A tal proposito l’arch. Salinitro ritiene utili incontri a periodicità “lunga” da tenersi tra professionisti, Ordini di appartenenza e dirigenti pubblici, per affrontare le numerose questioni che l’architettura e l’urbanistica moderna pongono agli addetti ai lavori. L’arch. Vido, esperto in Beni ambientali assieme all’arch. Renaud ed al dott. Longatti per il Comune di Como, ritiene che la normativa sia strumento utile per la definizione “la norma è uguale per tutti”, base
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siasi commissione tecnica o il responsabile del procedimento si guarderanno bene dall’assumersi la responsabilità di esprimere valutazioni che esulino dalla verifica della semplice conformità normativa. Personalmente ritengo che se in futuro il progetto sarà sottoposto al solo giudizio tecnico sarà l’occasione per gli architetti di assumersi le proprie responsabilità. Mi spiego meglio: se fino ad ora, soprattutto nei centri storici, ha prevalso una progettazione mimetica e compiacente è anche perché i regolamenti edilizi che normano i materiali sono stati presi come capro espiatorio di un progetto che si appiattiva anche su altri aspetti tipologico-formali su cui il regolamento non entrava espressamente in merito. In realtà ciò che è sempre stato avvertito come la vera spada di Damocle era il giudizio della Commissione edilizia che avrebbe potuto ritenere certe scelte azzardate o non adatte al contesto. Rimane da chiedersi se gli architetti siano in grado di assumersi questo fardello o se la nuova ondata di deregulation partorirà nuove e diverse brutture frutto ora della mania di protagonismo che qualcuno potrebbe sentirsi finalmente libero di esercitare. Forse è un rischio che dobbiamo correre.
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di partenza per ogni progettista per il confronto, per la definizione del territorio. M. V.: Se presa in toto, come elemento di vincolo, questa porta all’appiattimento o scusante per non “pensare”, per non liberare la progettualità, la ricerca, e, se vogliamo, anche la reinterpretazione della storia nel contemporaneo. Spesso progetti più furbi si adeguano perfettamente alla normativa, ma poco raccontano: poco architettura e forse, poco anche edilizia; precisi nel rapporto con le altezze, superfici, ecc., poi nulla più. Altri, magari meno mimetici, più “energici”, più ricercati, senza cadere nell’eclatante, nell’“io sono il grande”, sfuggono alla norma, perché la reinterpretano, dando segnali di cambiamento, certo soggettivi, ma comunque calibrati, intelligenti, si incagliano nella norma, che, certo legittima, diviene però fredda, non costruttiva, oggettiva, spettatrice, e non attrice della città e del territorio. Difficile per i tecnici comunali, pur condividendo o apprezzando un progetto, doverlo obbligatoriamente negare in quanto non rispondente alle norme o, al contrario, approvarlo creando un “precedente”. Il ruolo dell’ambientalista diventa interessante perché più libero rispetto a quello di qualsiasi altro membro della Commissione: ha la possibilità di accantonare la norma, sia in senso positivo che negativo, per esprimere un giudizio che apparentemente sembrerebbe di parte e assolutamente soggettivo, ma che in realtà può, trascendendo la norma, favorire l’impatto ambientale (ad es. nella scelta di un materiale non consentito, ma che diventerebbe, se usato in quello specifico caso, sicuramente meno impattante e migliorativo sul contesto). In tal senso la normativa può trascendere da se stessa, se il farlo non significa creare un precedente che potrebbe essere travisato e reinterpretato malamente in situazioni non del tutto analoghe. M. V.: Credo che la nostra C.E. operi molto sul non mimetismo, premiando l’architettura ove si mostri, apprezzando progetti in cui spesso la qualità rimane quella proposta dal progettista, unita alla sensibilità e alle condizioni economiche della committenza. Tra i temi più difficili per Como, ad esempio, vi è quello delle edicole, dei chioschi o degli ampliamenti delle aree di ristoro del lungo lago: temi questi che sono vissuti sensibilmente da tutti (addetti e non addetti) e che evidenziano la mancanza di un disegno logico in grado di uniformare la struttura urbana della nostra città. Già richiesta a gran voce dalla C.E. tutta (tramite la promozione di concorsi di progettazione) all’Amministrazione, al fine di riuscire a risolvere un problema estetico in modo complessivo Non solo arbitri o spettatori, ma anche propositivi nei confronti dell’Amministrazione. E questo è il compito che dovrebbe assumere sempre ed ovunque l’intera struttura della Commissione edilizia.
Cremona a cura di Fiorenzo Lodi
La Commissione edilizia è stata, per i Comuni, la massima espressione di giudizio nei confronti delle proposte progettuali dei privati. In alcuni casi, lo strumento della C.E. è stato utilizzato dalle Amministrazioni per creare veri e propri centri di potere, determinare intralci o favoritismi, caldeggiare o sabotare determinati professionisti, operare protezionismi; certo è che le varie C.E. avvicendatesi negli ultimi 40 anni hanno sempre servito un potere politico non nuovo ad atti anche legalmente discutibili. In questi ultimi anni la possibilità di abolire la C.E. ha in parte ridimensionato e mutato lo scopo della stessa. In questa nuova ottica abbiamo interpellato l’arch. Giacomo Emilio Premoli di Bagnolo Cremasco, dipendente del Comune di Milano e stimato amministratore impegnato sul territorio locale, ponendogli alcune domande. F. L.
Intervista a Giacomo Emilio Premoli Alla luce delle indicazioni dell’Art. 38 della L.R. 12/2005, le sembra un organo ancora necessario quello della Commissione edilizia? Ritengo che la C.E. sia da riconfermare quale istituto fondamentale nel meccanismo di formazione delle scelte che riguardano il governo del territorio ed il ruolo dell’architettura nei processi di trasformazione dei nostri paesi e delle nostre città. Si tratta di riconfigurare il suo ruolo, di riprecisarne le attribuzioni, di individuare una più congruente composizione rispetto al fine di porsi quale autorevole strumento di consulenza delle Amministrazioni comunali e tramite per il raggiungimento degli obiettivi sopra esplicitati. Ritiene che la C.E. debba essere un organo propositivo? Se per organo propositivo si intende che la C.E. può giocare un possibile ruolo nella definizione delle politiche urbanistiche, o meglio, di governo del territorio, delle Amministrazioni comunali, credo che lo possa giocare, ma all’interno della sua funzione consultiva e senza indebite invadenze nella sfera delle scelte amministrative, responsabilità proprie dell’organo politico. Del resto si sta aprendo un interessante scenario, sebbene per ora dai contorni non del tutto definiti, con l’obbligo per le Amministrazioni comunali di redigere il P.G.T. Questo organismo comunale potrebbe dare un notevole contributo, sebbene più mirato alla “qualità architettonica” degli interventi, sia in termini di esperienze maturate rispetto alla “gestione” dei P.R.G. e loro N.T.A., sia in termini di
Oltre al fatto, per altro già stabilito dalla legge, che non possano far parte delle C.E. gli amministratori, chi ritiene sia maggiormente qualificato per la composizione della C.E.? Mi risulta che non tutte le Amministrazioni comunali si siano prontamente adeguate al principio della netta separazione tra le funzioni di indirizzo (affidate agli organi politici) e quelle gestionali (affidate ai dirigenti e ai responsabili del servizio/del procedimento), come stabilito all’Art.107 del D.Lgs 267/2000 e questo mancato “scatto di mentalità” non ha permesso il superamento della duplice valenza tecnico/politica della C.E., nonché la pronuncia della Commissione speciale presso il Consiglio di Stato. Nel Comune di Bagnolo Cremasco, dove ho la responsabilità dell’Assessorato all’urbanistica, si è recepita l’autorevole pronuncia, con momentanea sospensione dei lavori della C.E., per introdurre nel Regolamento edilizio comunale le obbligatorie modifiche della composizione dell’organo collegiale e consentire il funzionamento della Commissione edilizia comunale secondo le disposizioni introdotte dal Nuovo Ordinamento delle Autonomie Locali. Poiché l’organo collegiale deve operare in piena autonomia di giudizio, fuori da logiche di parte o di categoria, credo che per la composizione della C.E. sia richiesta una riconosciuta autorevolezza disciplinare di quanti vengono nominati a farne parte. I membri della Commissione dovrebbero, infatti, essere esperti in materia urbanistica, edilizia, ambientale e di consolidata esperienza professionale, anche al fine di restituire a queste discipline un ruolo centrale nella valutazione degli interventi di trasformazione del territorio. Visto che l’Art. 30 demanda la composizione della C.E. al Regolamento Edilizio, ritiene che la norma dia anche facoltà d’inserimento dell’eventuale esperto ambientale ovvero dell’esperto per il superamento delle barriere architettoniche? In relazione alle recenti evoluzioni del quadro normativo, in particolare di quello regionale, ritengo che la composizione dell’organo collegiale debba coordinarsi alla duplice funzione della C.E. (C.E. integrata): • la valutazione della qualità architettonica/edilizia; • la valutazione dell’impatto paesistico. La L.R. 20/2006, infatti, ha modificato l’Art.64.8 della L.R. 12/2005, prescrivendo che i progetti di recupero abitativo dei sottotetti esistenti devono essere sottoposti a esame di impatto paesistico, come previsto dal Piano Territoriale Paesistico Regionale. La valutazione dell’impatto paesistico è demandata alla “Commissione per il Paesaggio”, richiamata dall’Art. 81.5 della L.R. 12/2005, per cui la C.E. deve essere integrata da due esperti in materia di tutela paesaggistico-ambientale. Vorrei inoltre richiamare l’attenzione su altre disposizioni
regionali che sino ad ora non hanno trovato applicazione che in alcuni Comuni (fra questi il Comune di Milano, presso cui svolgo la mia attività professionale): la parte IV delle Norme Attuative del Piano Territoriale Paesistico Regionale (Art. 30) ha introdotto l’esame paesistico dei progetti e la successiva delibera G.R. n. 7/11045 dell’8.11.2002, ha definito le linee guida di tale esame paesistico. Ritengo che queste disposizioni portino necessariamente ad una revisione della composizione della C.E., che, finalizzata alla valutazione della qualità architettonica/edilizia dei progetti e del loro impatto paesistico, comprenda: • due esperti in materia ambientale/paesaggistica che abbiano conseguito abilitazioni riconosciute dalla Regione Lombardia ai sensi dell’Art. 5 della L.R. 18/1997 (che esprimeranno anche il dovuto parere/relazione per gli ambiti sottoposti a vincolo paesaggistico); • un esperto in materia di superamento delle barriere architettoniche; • esperti in materia urbanistica, edilizia, ambientale (architetto, ingegnere, geometra, dottore in agraria, geologo, ecc.); • altre figure istituzionali che forniscano preliminare parere (medico pubblico/referente ASL, Comando VV.FF).
Lecco a cura di M. Elisabetta Ripamonti
Dalle commissioni edilizie a quelle di architettura… Intervista al Presidente Ferruccio Favaron
La totale inapplicabilità di moderni canoni costruttivi nella nostra provincia e l’edilizia sempre uguale a se stessa sono spesso causate dall’incapacità di riconoscere la buona architettura da parte di commissioni edilizie costituite da persone incompetenti in ambito progettuale che basano i loro giudizi sul semplice “gusto comune”. Presidente Favaron cosa pensa a riguardo? Purtroppo questa amara riflessione non è riferibile solo al nostro territorio. Grossa responsabilità è nostra: non dimentichiamo che, oltre a persone “incompetenti in ambito progettuale” a tutte le commissioni edilizie partecipano nostri colleghi architetti o quanto meno, forniti di laurea in architettura… Come si raffrontano questi con il “gusto comune”? Quali sono i modelli culturali che ispirano il loro lavoro? Che tipo di rapporto hanno con gli altri membri di commissione che “esperti” non sono? Occorre proprio ripensare se sia necessario mantenere queste commissioni in cui tanti si propongono solo per esercitare il loro piccolo potere, senza rendersi conto del compito e delle responsabilità a cui sono chiamati.
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conoscenze acquisite del territorio comunale, di sensibilità dei siti, di monitoraggio dell’impatto degli interventi.
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Quali criteri valutativi si potrebbero applicare in alternativa a quelli mimetici intesi a rifiutare tutto ciò che minimamente si discosta da ciò che già è stato costruito? Non crede si debbano lasciare margini interpretativi al progettista? La questione è sempre stata dibattuta; si pensi allo scandalo di livello nazionale suscitato alla fine degli anni Venti per il Novocomum di Terragni, divenuto poi simbolo della modernità, ma costruito con forme e materiali che si discostavano di molto da quelle pretese ed approvate dalla Commissione edilizia. Con l’aggravante che allora Terragni doveva costruire in contiguità ad edifici che esprimevano in termini corretti altri momenti della storia dell’architettura comasca, mentre oggi ci si deve spesso confrontare con opere che non manifestano altro che il cattivo gusto della peggiore speculazione edilizia. Tanto più difficile è il tema della sovrapposizione della storia tanto più si riscontra l’abilità e la cultura di un buon progettista. In provincia si bocciano progetti per becere invidie personali nei confronti di progettisti e/o committenti. Quanto conta la politica? Potrebbe essere opportuno presentare i progetti in forma anonima oppure non si sortirebbe nessun effetto a causa del classico “anonimato all’italiana”? Prima di decidere di prendermi un lungo periodo sabbatico non candidandomi più a nessuna di queste commissioni, nel lungo periodo in cui vi ho partecipato, mi sono reso conto che più che dei politici, le “becere invidie personali” erano proprie dei colleghi… Le commissioni parlano di tutela ambientale travisandone il significato e considerando ogni azione sul territorio una deturpazione dello stesso. Questo è, invece, il nostro compito: il progetto inteso come la rappresentazione di un’idea di uso e trasformazione di una realtà al fine di soddisfare specifici bisogni dell’uomo che cambiano nel tempo. Il concetto d’innovazione è, oltre che una finalità della pianificazione paesistica, un dovere del progettista. Non ci possiamo limitare ad architetture ipogee o, forse, sarebbero la gioia delle commissioni edilizie ed ambientali? Qualche volta scherzando con gli amici racconto che abbiamo la fortuna che queste norme di tutela siano relativamente recenti, altrimenti saremmo costretti a vivere con i gatti al Colosseo, ovviamente sfoggiando abiti moderni ed utilizzando auto ipertecnologiche firmate dai migliori designer. Questa è la grande incongruenza in cui ci troviamo ad operare, in una società in cui nessuno promuove più l’architettura in grado di soddisfare i reali bisogni dell’uomo moderno. Hai mai provato a progettare una casa nella ricca Brianza senza archi o addirittura come capita al mio studio, senza gronde? Come minimo ti prendono per “originale”. E pensare che siamo a pochi chilometri dal Canton Ticino ed operiamo in un contesto che ha apprezzato ed esportato l’opera dei maestri comacini, oltre che di grandi
interpreti dell’architettura moderna. Tutto dimenticato, relegato a colte celebrazioni in occasione di qualche centenario. I progettisti bravi ci sono, basta partecipare a qualche commissione di concorso per rendersi conto che il problema è spesso in gran parte attribuibile ad una committenza non all’altezza, ma che ha partecipato alla gestione delle trasformazioni del territorio che hanno caratterizzato il nostro paese dal secondo dopoguerra in poi. A questo si aggiunga la mancanza di adeguata cultura, anche della classe politica, che spesso non ha saputo o voluto interferire in queste trasformazioni, lasciando il passo a progettisti e ad operatori inadeguati, che del costruire hanno privilegiato solo l’aspetto economico. Non è casuale che i colleghi più noti abbiano realizzato le loro opere migliori all’estero. Ha forse trovato traccia degli interventi lecchesi di Piano o di Gregotti nello loro autobiografie? Gli architetti perdono passione per la loro professione condannata all’appiattimento a pura edilizia e non più architettura. Non crede sia ora che l’Ordine intervenga con un azione concreta per tutelare i propri iscritti? Ritengo sia giusto consentire di sperimentare nuove proposte e penso che qualsiasi progetto diverso dall’esistente possa arginare lo scempio del nostro territorio. Presidente qual è il suo proposito a riguardo all’inizio del nuovo mandato? L’Ordine non è, purtroppo, la panacea di tutti i problemi legati alle trasformazioni territoriali ed urbane. Ha però, fra gli altri compiti, quello di promuovere l’aggiornamento culturale dei propri iscritti ed è proprio in questo che, a mio avviso, può e deve incidere. Solo se tutti noi sapremo rifiutare, in quanto consci delle nostre mansioni e capacità, di farci coinvolgere da richieste indecenti, la nostra attività potrà contribuire alla diffusione del nuovo e del bello, coinvolgendo giovani e meno giovani, utilizzando in modo appropriato lo strumento del concorso e quanto altro possa realmente servire a svolgere correttamente il ruolo che ci siamo dimenticati di avere nei confronti della società in cui viviamo ed operiamo. Per far tutto questo dobbiamo, almeno noi, ricominciare a parlare di Architettura.
Lodi a cura di Antonino Negrini
L’articolo è stato redatto da Laura Boriani, con esperienza pluriennale in varie commissioni edilizie del lodigiano, attualmente membro nelle C.E. di Lodi, Lodi Vecchio e Pieve Fissiraga, che ringrazio per la sua disponibilità. A. N.
Venezia. 1953. Su incarico della Famiglia Masieri, Frank LLoyd Wright presenta il progetto per la casa dello studente “Masieri Memorial”. Cito Lodovico Meneghetti: “mi ricordo che non emerse alcuna questione di legalità. Si trattava di inserire l’edificio di modeste dimensioni in un piccolo tratto della cortina sul canale, quella cortina che mette in mostra architetture di cinque o sei secoli tenute insieme, incatenate direi, appunto dalla forza della continuità, inoltre rafforzata e definitivamente unificata dalla straordinaria e specchiante partecipazione della strada d’acqua. Le istituzioni locali (e no?), il Comune soprattutto, bocciarono il progetto (meraviglioso, wrightiano che più non si poteva, se così posso dire, cioè pieno di attenzione alla ‘natura’, alla storia e ai sentimenti) adottando un loro punto di vista meramente estetico, cieco verso una ‘architettura moderna’ considerata come un generico offensivo apparato lesivo di un presunto, inesistente stile del canale. Insomma, per noi il Memorial si doveva costruire e allora sì, veramente, Venezia avrebbe avuto un dono come i molti ricevuti nei secoli lungo il canale” (Lodovico Meneghetti, da Pirani non docet in www.eddyburg.it – 9.5.2004). Il progetto wrightiano fu dunque “bocciato” dalla Commissione edilizia del Comune di Venezia. Ritengo calzante questa premessa per introdurre l’annosa questione del potere discrezionale di cui è investita, da sempre, la Commissione edilizia, ma non posso non sottolineare come, paradossalmente la situazione attuale, nel lodigiano, sia ribaltata rispetto alla questione “Masieri Memorial”: “la produzione architettonica è priva di quel ‘colpo d’ala’ che fa volare alto (…) per superare la nostalgia per l’inarrivabile qualità della città antica contrapposta alla rassegnazione per la cattiva qualità della città contemporanea, al fine di rifondarne una rinnovata complessa unitarietà” (dal “Manifesto della città di Ferrara”). Il disagio che emerge nello svolgimento del ruolo di commissari, e sul quale spesso ci interroghiamo coi colleghi proprio nel corso delle riunioni, è relativo da un lato, all’operare in assenza di precisi criteri di giudizio sulla validità del progetto esprimendo valutazioni spesso soggettive e legate a presunti concetti estetici che poco hanno a che vedere con una corretta disanima circa la coerenza o meno del progetto a determinati princìpi del linguaggio architettonico. Dall’altro lato però, spesso i progetti che passano attraverso il vaglio della commissione (con l’istituzione della DIA sono ormai pochi, legati alla valutazione d’impatto paesistico per il centro storico o per l’autorizzazione paesistica in ambito vincolato) sono caratterizzati da una ricerca ossessiva del mimetismo, in forza di un malinteso concetto di salvaguardia quasi che l’ambito vincolato impedisca, per definizione, qualsiasi innovazione intesa come discontinuità. Da parte del progettista, infatti, non vi è una corretta lettu-
ra del contesto volta a ricavarne i caratteri costitutivi per tradurli in una sintesi progettuale che veda morfologia, tipologia e tecnologia del prodotto espresse in libera interpretazione che superi la tentazione al mimetismo, al linguaggio del vernacolo o, nei casi più gravi al falso storico. D’altronde, da parte della Commissione, non vi è verifica che la sintesi progettuale sia coerente con i princìpi sopra esposti. La constatazione (amara), che nella mia esperienza pluriennale di commissario posso esprimere, è che capita raramente di rilevare la consapevolezza, da parte di progettisti e commissari, che qualunque intervento proposto, e approvato determini invariabilmente e pesantemente una trasformazione del territorio nella direzione della qualità o, al contrario, dell’appiattimento su modelli collaudati. Ed è forte, a volte, in seno alla Commissione, la tentazione di abdicare al proprio ruolo in nome di un malinteso liberismo prescindendo da quei criteri oggettivi sopra enunciati. È dunque in capo ad entrambi i soggetti una responsabilità enorme perché, per dirla con Le Corbusier, “l’architettura e l’urbanistica esprimono nella maniera più esatta i valori materiali e morali di una società”. Laura Boriani
Mantova a cura di Nadir Tarana
Pubblichiamo due contributi sul tema, a cura dell’arch. Sandro Scarduelli, membro tecnico della Commissione edilizia e della Commissione paesistica del Comune di Casteldario, e dell’arch. Giancarlo Pavesi, esperto ambientale nella Commissione edilizia del Comune di Pegognaga. N. T.
Commissione edilizia SI, Commissione edilizia NO La Commissione edilizia, non è più indispensabile; l’attuale legislazione consente all’Amministrazione comunale di decidere se serve o meno. Vale la pena ricordare che, dove presente, la C.E. è organo consultivo e fornisce pareri non vincolanti ai fini autorizzativi. Per decidere l’utilità della C.E. è meglio porsi alcune domande: se vogliamo alzare il livello della qualità dell’edificato o se addirittura vogliamo parlare di architettura, non converrebbe analizzare quali sono le figure professionali che
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Commissioni edilizie: quali responsabilità nella qualità delle trasformazioni
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incontriamo nella quotidiana pratica progettuale? Ci si trova di fronte a (in ordine di predominanza) geometri, ingegneri, architetti, ingegneri e architetti iunior. Senza false ipocrisie sembra ovvia la contraddizione! Queste figure, che si occupano della modificazione del territorio e del suo controllo, sono in grado di esprimere un giudizio di merito? Gli strumenti di pianificazione, attualmente a disposizione degli addetti ai lavori, sono adeguati a produrre un controllo oggettivo del progetto o lasciano troppo spazio a interpretazioni soggettive, a difficoltà di interpretazione e a fraintendimenti? Esistono nuovi organi di verifica della qualità del progetto; sono le commissioni paesistiche che, a partire dalla fine del 2005, devono essere presenti su tutto il territorio della regione Lombardia. Il P.T.P.R. obbliga ad una verifica sia del progetto che del contesto a livello locale e sovralocale, prima da parte del progettista e poi, nel caso, della Commissione paesistica. In questo caso la commissione può esprimere parere negativo e obbligare a modifiche anche sostanziali del progetto stesso. Chi stabilisce chi possa fare il commissario, la sua preparazione e la sua competenza? Non ci sono risposte definitive, ma due commenti sorgono spontanei: Si alla Commissione edilizia, ma occorre mettere a disposizione dell’Amministrazione comunale professionisti in grado di esprimere pareri oggettivi che permettano la comprensione del progetto e, se ci sono, adeguati strumenti di controllo del territorio e della qualità della modificazione dello stesso. No alla Commissione edilizia, se non siamo disposti ad essere giudicati da nostri colleghi, più o meno competenti, ma soprattutto se riteniamo che chiunque sia in grado di produrre un progetto di qualità sufficiente per modificare lo stato di fatto (che almeno conosciamo!). Sandro Scarduelli
Progettazione territoriale e Commissione edilizia Aver pensato di affrontare il tema della Commissione edilizia ritengo sia stata una scelta opportuna ed interessante. Infatti, le commissioni edilizie da molti anni svolgono e continuano a svolgere un ruolo determinante sulle scelte architettoniche, urbanistiche ed ambientali di grandi e piccole comunità. La mia esperienza, maturata in diversi anni di partecipazione a varie commissioni edilizie in alcuni comuni dell’Oltrepo mantovano, mi porta a fare considerazioni che avvalorano alcune delle premesse che hanno suggerito l’indagine su questo tema. Infatti, se da un lato il compito delle commissioni è stato
quello di esprimere il proprio assenso o dissenso sulla validità o meno di un progetto, dall’altro va detto che molto spesso i vari componenti le commissioni non entravano quasi mai nel merito di contenuti architettonici di un edificio e tanto meno di un piano urbanistico o paesistico. Questo succedeva e succede per diversi motivi, e diverse sono le motivazioni che muovono ogni singolo componente la Commissione nel prendere posizione: mancanza di linee comuni, impreparazione, sudditanza psicologica o politica, ecc. Solo negli ultimi anni è migliorata la qualità e la riqualificazione delle commissioni edilizie con l’integrazione di esperti di settore. Quindi, se guardiamo alle problematiche che le commissioni hanno dovuto affrontare, scopriamo quali enormi responsabilità sono state riposte in persone molto spesso non qualificate, in quanto non addette ai lavori, ma anche quanti amministratori senza particolari qualifiche, chiamati a rilasciare concessioni edilizie, sono stati determinanti nelle scelte di progetti per la costruzione di scuole, teatri, quartieri o approvare piani urbanistici di piccole e grandi città. Ecco perché molto spesso abbiamo assistito a confronti sterili su problematiche architettoniche, edilizie ed ambientali che invece meritavano dibattiti sicuramente più qualificati. Non è però solo dal cattivo funzionamento delle commissioni o dalla frequenza di queste problematiche che oggi non assistiamo all’avanzare di una corretta pianificazione, alla costruzione di moderne e più avanzate proposte architettoniche nelle nostre periferie e se, impotenti, viviamo la distruzione del patrimonio edilizio delle nostre campagne. Questi problemi dovrebbero essere ricercati non solo nel fallimento del ruolo delle commissioni edilizie, ma anche e soprattutto nel mancato dibattito culturale tra addetti ai lavori, legislatori e centri di programmazione. Occorre secondo me un momento di profonda riflessione, affinché le difficoltà che ancora una volta vediamo affiorare nel settore edilizio, possano diventare la base di confronto per non ripercorrere i molti errori del passato e del presente. Giancarlo Pavesi
Milano a cura di Roberto Gamba
I parametri adottati per i giudizi delle commissioni edilizie, del loro operato e della loro funzionalità, sono talvolta fonti di critiche e malumori. Questi, in quanto espressioni di un’Amministrazione che
R. G.
L’attività della nuova Commissione edilizia di Milano L’attuale Commissione edilizia del Comune di Milano è stata integralmente rinnovata nel luglio 2005. Dopo circa sei mesi di attività, si possono trarre le prime considerazioni sull’attività della Commissione che, in 22 sedute, ha esaminato circa 1.100 pratiche, approvandone in prima seduta circa 800. La C.E. in questo periodo ha modificato il proprio Regolamento interno, in particolare all’Art. 8 “Contenuto della valutazione della Commissione edilizia” e all’Art. 9 nella definizione degli elaborati richiesti per la valutazione del progetto; ha inoltre verbalizzato i “Criteri di approvazione dei progetti relativi a recupero abitativo
dei sottotetti”, tema questo molto dibattuto i cui criteri di approvazione erano da tempo attesi nel mondo professionale. Tutti i testi sono rintracciabili su internet, nel sito del Comune – Commissione edilizia, oltre che esposti negli uffici comunali interessati. Entrando nel merito della qualità del progetto architettonico e della sua rappresentazione grafica, spesso ancora assai carenti, appare evidente, nella maggior parte dei casi, un “disinteresse” del progettista nei confronti del contesto in cui sta operando. Il progetto si presenta avulso dal quartiere e dalla realtà che lo circonda, il contesto viene rappresentato nello stretto necessario richiesto dalle norme e nessuna interrelazione viene considerata con il quartiere. Raramente è rappresentata con attenzione la fascia dell’“attacco a terra”, ossia quella parte dell’edificio che viene, di fatto, maggiormente percepita dal cittadino, quali la sistemazione esterna, lo spazio a verde, i percorsi ottici, le finiture di piano terra e l’inserimento dell’edificio nel marciapiede, nella pubblica via e nel quartiere. Pur ritenendo prioritario il più ampio rispetto per la libertà di progettazione e con la consapevolezza che i parametri estetici individuali di giudizio, non potendo avere valori oggettivi, devono riconoscere e accettare le diverse sensibilità estetiche, nella mia personale esperienza di valutazione dei progetti ritengo che il criterio guida di giudizio debba privilegiare la tutela della percezione pubblica su quella parte anche limitata del progetto stesso che si espone alla visione di un pubblico esterno e si inserisce nell’ambiente collettivo, sia esso pubblica via, cortile o galleria aperta al pubblico, tenendo ben presente che l’oggetto in esame non è il progetto in sé, ma il progetto in quanto partecipe di un paesaggio, cioè il rapporto progetto – contesto paesistico. Clara Rognoni
Cornaredo: un’esperienza positiva In questi ultimi tempi si è parlato molto della Commissione edilizia. Qualcuno sostiene che non sia più necessaria e pertanto ne ha disposto l’abrogazione, altri la ritengono, al contrario, indispensabile. È nella facoltà dei Comuni decidere in merito. L’Amministrazione comunale di Cornaredo, con la quale io collaboro, ha espresso la volontà del mantenimento della suddetta commissione ritenendo importante il contributo che questo organo offre alla comunità. La Commissione edilizia, nell’iter amministrativo delle pratiche edilizie, esprime parere sostanzialmente in merito alla qualità architettonica dei progetti, valutando l’inserimento nel contesto, gli aspetti compositivi e tipologici, i particolari costruttivi, i materiali, le scelte cromatiche. La competenza in merito alla conformità urbanistico-edilizia del progetto alla normativa vigente è in carico al responsabile della struttura tecnica
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vuole apparire attenta al pensiero dei suoi elettori, appaiono generalmente interpretativi del gusto comune; dimostrano di privilegiare i progetti che perseguono modelli “mimetici”; sembrano talvolta subordinati a interessi privati e a scambi di favori. Dal canto loro le voci dei commissari dichiarano che, nell’esame delle pratiche progettuali, si rileva una frequente mancanza di professionalità, di qualità rappresentativa e di disattenzione al contesto edilizio e paesaggistico, in cui le costruzioni vanno a inserirsi. Si può riconoscere che oggi la redazione e l’istruzione di una pratica, per l’autorizzazione a costruire, è condizionata da molti fattori, che forse impediscono al progettista di concentrarsi sulla “qualità” e sulla ricerca di un’architettura non semplicemente mimetica, bensì innovativa, espressiva, realistica. Le norme, i regolamenti, le incombenze burocratiche cambiano di continuo; le esperienze acquisite spesso non sono sufficienti a innescare una sicurezza operativa. Inoltre i desideri dei committenti si scontrano con le limitazioni e i vincoli e conseguentemente si trasformano nella pretesa di alchimie progettuali. La qualità della rappresentazione grafica e l’attenzione al contesto diventano così l’ultimo degli obiettivi del lavoro. I contributi raccolti provengono, il primo da Clara Rognoni, prescelta recentemente insieme al geometra Cristiano Cremoli, quale esperto in materia di tutela paesaggistico-ambientale, per integrare il gruppo che compone la Commissione edilizia comunale di Milano (ingegner Gianni Verga, presidente, gli architetti Angelo Bugatti, Renzo Bassani, Ermanno Ranzani, Marco Sartori, Marco Bay, gli ingegneri Alessandro Buccellati, Francesco Frisia e l’avvocato Marco Di Tolle). Il secondo contributo proviene dal presidente di Commissione di Cornaredo, cittadina della provincia, che difende la validità dell’operato di tale organismo consultivo, almeno alla luce di una serie di risultati positivi, ottenuti recentemente negli interventi di edilizia privata.
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comunale. L’importanza del ruolo della Commissione edilizia è relativa quindi alle valutazioni sugli aspetti architettonici degli interventi edilizi, elementi che difficilmente possono essere catalogati e “normati” in modo sistematico e puntuale dagli strumenti di governo del territorio. È quindi un elemento significativo il parere della Commissione edilizia che viene espresso a seguito di una attenta valutazione di tutti gli aspetti relativi alla qualità architettonica del progetto. È un’occasione di dibattito sull’architettura, di confronto, a volte, diretto con il progettista, con un’unica finalità che è quella di costruire bene la città. L’esperienza svolta nell’ambito della Commissione edilizia del Comune di Cornaredo ha portato più volte a soluzioni positive di interventi edilizi, spesso condivise con i progettisti e in alcuni casi risolte in contraddittorio. Al fine di garantire obiettività nei giudizi ed evitare eventuali interferenze, i componenti della Commissione edilizia vengono da tempo scelti attraverso bando pubblico e tra i criteri adottati, oltre ovviamente ai requisiti tecnicoprofessionali, viene data priorità a persone non residenti e non operanti nel territorio comunale. Riccardo Gavardi
Monza e della Brianza a cura di Francesco Redaelli e Francesco Repishti
Commissioni edilizie e centralità del progetto di architettura L’arch. Biancalisa Semoli è stata da poco eletta presidente dell’Ordine di Monza e della Brianza. Già consigliere dell’Ordine di Milano e Segretario nazionale di Federarchitetti, l’arch. Semoli è stata ed è tuttora membro di una Commissione edilizia. Si presenta quindi l’occasione per rivolgerle alcune domande riguardo il tema dibattuto in queste pagine. La Legge Regionale 12 del 2005 ha reso facoltativa l’istituzione delle commissioni edilizie da parte dei Comuni. Ritieni che questa possa essere un’occasione per trasformare definitivamente la Commissione edilizia, da tempo sollevata da responsabilità decisionali in materia tecnica e normativa, in un organo di indirizzo, capace di sovrintendere alla qualità complessiva dell’attività edificatoria di un Comune, riaffermando la centralità del progetto di architettura, come è già avvenuto in passato con le Commissioni d’ornato? La Legge 12 di fatto sancisce ciò che da tempo, anche in base al Testo Unico, era possibile eliminare; e comunque il parere delle commissioni edilizie è sempre stato, in genere, consultivo e non vincolante. Le commissioni
quindi, in un certo senso, rivestono già ora quei ruoli di indirizzo che potrebbero mantenere, ma ritengo che farle diventare anche organi di “sovrintendenza” possa essere inutilmente vincolante, tanto più oggi che molto viene realizzato con semplice Denuncia di Inizio Attività. Tutto ciò in una situazione che vede manifestarsi una crescente tendenza a vincolare e regolamentare oltremisura anche il campo “estetico-architettonico” (dalle tipologie, ai materiali, ai colori, fino all’ultimo dettaglio), fatto che, alla fine, risulta vano, come mi sembra ampiamente dimostrato dalla modestia di ciò che ci circonda. Bellezza e qualità architettonica non si possano imporre per regolamento, ma sono piuttosto il frutto di un percorso di sensibilizzazione, di attenzione e di consapevolezza collettiva che deve essere sicuramente recuperato. Sul versante professionale questo percorso potrebbe essere recuperato anche attraverso commissioni edilizie particolarmente qualificate che, sgravate dalle molte incombenze che la DIA ha sottratto loro, potrebbero ora contribuire al confronto, all’approfondimento ed alla discussione, coinvolgendo eventualmente anche il progettista e ricercando davvero la centralità del progetto e la possibilità di aprirsi a proposte progettuali, magari non allineate alle prescrizioni di specifici regolamenti (colori, materiali, ecc.), ma che rivestano un particolare interesse architettonico. È certo che la centralità del progetto va poi condivisa da tutti i soggetti coinvolti nel processo edilizio a partire dalla committenza per la quale spesso il progetto è solo uno strumento per ottenere la massima capacità edificatoria, e in questo senso è necessaria una grande opera di sensibilizzazione affinchè la realizzazione avvenga nel rispetto formale e sostanziale del progetto. Nella mia esperienza moltissimi sono stati i casi in cui l’opera realizzata non ha avuto poi una “corretta” corrispondenza al progetto e in cui ci sono stati evidenti segni di interferenza in fase di esecuzione; un caso particolarmente significativo ha riguardato un intervento, in pieno centro storico, sostenuto da un progetto di carattere assolutamente ”contemporaneo”, interessante, che dimostrava attenzione e sensibilità, e di fronte al quale la Commissione, dopo un approfondito dibattito, aveva ritenuto di condividerne lo spirito innovativo. Si è dovuto poi constatare che in fase di realizzazione non erano state evidentemente confermate le premesse in termini di sensibilità ed attenzione, e che tutto ciò ne aveva fortemente compromesso il risultato finale. Non pensi che la terna di professionisti proposta dall’Ordine per le commissioni edilizie dovrebbe essere individuata non con semplice sorteggio, ma attraverso una scelta consapevole in base a curricula e competenze specifiche? Condivido sicuramente che debbano essere utilizzate modalità di trasparenza e soprattutto di garanzia e non vedo in quale altro modo lo si potrebbe fare correttamente.
Per ridurre il rischio di conflitti d’interesse all’interno delle commissioni, i rappresentanti indicati dall’Ordine non dovrebbero provenire da contesti territoriali diversi da quello del Comune interessato? In linea di massima questo dovrebbe già avvenire ed in genere, dal Comune interessato, viene richiesta, o dovrebbe esserlo, la sottoscrizione di una dichiarazione di non avere incarichi in corso nello stesso Comune. È sicuramente auspicabile che tutto ciò avvenga e che avvenga sempre, ed anche questo è un altro principio ampiamente condiviso che noi applicheremo senz’altro. Per valorizzare il ruolo di controllo, coordinamento e indirizzo dell’Ordine nei confronti dell’attività edificatoria del territorio di competenza, non potrebbe essere utile che i suoi rappresentanti all’interno delle diverse commissioni edilizie relazionino periodicamente il Consiglio sul lavoro svolto? Sicuramente potrebbero essere relazioni conoscitive utili e dalle quali si potrebbero trarre spunti da discutere ed approfondire in diverse occasioni di confronto, ma siccome credo fermamente che vada rispettata l’autonomia delle commissioni edilizie, non parlerei certo di un ruolo di controllo da parte dell’Ordine, quanto invece vedrei un ruolo di coordinamento e di sensibilizzazione che l’Ordine potrebbe svolgere creando occasioni di incontro tra e con i commissari, in modo che possano essere confrontate esperienze e interpretazioni sui tanti possibili temi comuni o magari su temi particolarmente scottanti, quali quello del recupero dei sottotetti e delle conseguenti ricadute sulla qualità architettonico-edilizia degli edifici interessati. intervista a cura di F. Redaelli
Pavia a cura di Vittorio Prina
In questo numero il testo è redatto da Paolo Marchesi, segretario dell’Ordine Architetti PPC di Pavia, membro della Commissione edilizia del Comune di Pavia e di diversi comuni nella provincia. V. P.
Alcune riflessioni di un membro della Commissione edilizia L’Amministrazione comunale di Pavia ha da poco istituito, secondo le recenti normative, la Commissione del Paesaggio, costituita da otto membri scelti, in base ad esperienze professionali legate alle valutazioni paesaggistiche, dalla Commissione edilizia, la cui esistenza è comunque stata confermata. Mi hanno gentilmente chiesto di esprimere alcune riflessioni inerenti la mia esperienza di membro della Commissione edilizia del Comune di Pavia, alla quale si aggiunge ora anche quella di componente della Commissione del paesaggio. Iniziamo col dire che non ho condiviso la scelta (facoltativa secondo la normativa vigente) di mantenere in essere la Commissione edilizia, affiancandola a quella del paesaggio. Come molti sapranno da alcuni anni la Commissione edilizia tradizionale, costituita da rappresentanti delle categorie professionali tecniche e delle maggiori associazioni locali, è stata integrata da due esperti ai quali era riservata la valutazione dei progetti unicamente dal punto di vista paesaggistico, con tanto di parere scritto e verbalizzato. Come pochi sapranno da alcuni anni le commissioni edilizie (mi riferisco in particolar modo a quella di Pavia) hanno perso il loro valore tecnico, forse non l’hanno mai avuto, in quanto le pratiche oggetto di discussione non venivano più esaminate dal punto di vista del rispetto delle normative edilizie ed urbanistiche, in quanto tale aspetto era ormai completamente riservato, non so se a torto o ragione, agli uffici tecnici comunali ed in particolare all’istruttoria del Responsabile del procedimento. Detto questo, l’esame dei progetti si riduceva quindi alla valutazione degli aspetti estetici (la vecchia Commissione dell’ornato) ed a quelli ambientali riservati, come detto, ai due esperti già citati: calcolato che i membri della Commissione, in una città come Pavia, sono circa sedici, se ne può facilmente desumere lo spreco di tempo e di risorse professionali. Ecco quindi giustificata la mia soddisfazione nell’apprendere la costituzione della nuova Commissione con un numero ridotto di rappresentanti, tutti concretamente coinvolti nel giudizio dei progetti, in quanto tutti esperti paesaggisti, e parallelamente il mio stupore nel vedere riconfermato un gruppo di lavoro, che lavoro da fare non ha. Accantonata questa personalissima riflessione, tengo invece a sottolineare l’utilità per un professionista di partecipare alle sedute di una qualsiasi Commissione edilizia, sia essa di un piccolo o grande Comune. È un’importantissima occasione di confronto tra colleghi, di aggiornamento sulle nuove normative e soprattutto di valutazione delle più svariate interpretazioni che le leggi italiane consentono: si viene insomma a conoscenza non tanto della legge quanto della giurisprudenza. Per contro va comunque sempre valutato l’impegno che si assume, non solo in termini di tempo, ma soprattutto
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Nella mia precedente esperienza queste verifiche avvenivano normalmente per qualsiasi segnalazione ed è sicuramente un principio che applicheremo per tutte le indicazioni che verranno fatte dal nostro Ordine, argomento tra l’altro già affrontato in Consiglio e pienamente condiviso.
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di correttezza ed etica professionale che dovrebbero sempre contraddistinguere i vari giudizi sulle singole pratiche, con lo scopo principale di migliorare, dal punto di vista edilizio ed urbanistico, le città e soprattutto le condizioni dell’“abitare” dei residenti. La coerenza di giudizio è da sempre molto difficile da perseguire. Paolo Marchesi
Sondrio a cura di Enrico Scaramellini e Marco Ghilotti
La Convenzione europea del paesaggio e il ruolo esercitato dagli esperti ambientali La valutazione da parte della Commissione edilizia costituisce una fase particolarmente delicata lungo il percorso dell’approvazione del progetto, entro la quale un ruolo importante è esercitato dagli “esperti ambientali”. Anche i giudizi espressi sotto questo profilo sono esposti a soggettività e discrezionalità, entrando in gioco gli orientamenti culturali e il livello di formazione di chi li esprime. Opportune sono le iniziative di formazione e di validazione della competenza di tali esperti ed è il caso che nuove opportunità di formazione vengano offerte in una fase nella quale: • le problematiche ambientali vanno assumendo rilevanza sempre maggiore entro l’articolazione di una pluralità di questioni, dall’assetto estetico-formale rispetto al paesaggio, all’impatto ecologico; • nuovi orizzonti culturali e nuovi paradigmi sono entrati in campo. Anche nel caso delle valutazioni che gli esperti esprimono nelle commissioni è elevato il rischio di parametri di giudizio umorali, appiattiti sul gusto comune oppure fondati su elevata discrezionalità. La problematica relativa all’ambiente ed alla sua funzionalità ha in buona parte assunto una fisionomia tecnicoscientifica derivata dalle conoscenze sull’ecologia e sul funzionamento dei sistemi ambientali. Invece, a quasi un decennio dal varo della Legge 431, le idee di paesaggio sono ancora molto sfrangiate, nonostante tentativi di ricomposizione. Nel campo delle opinioni sono compresi stereotipi quali la ripulsa degli “ecomostri”, tutela rigorosa degli intorni di monumenti eccellenti, consolanti propensioni al mimetismo. Su questo si formano convergenze. Ma su grande parte di situazioni meno codificate – come quelle riguardanti, ad esempio, i paesaggi culturali, le periferie urbane sfrangiate, i nuovi ambienti insediativi i punti di vista sono i più disparati. Tutto questo, mentre
si riconosce come cruciale la questione del governo del territorio. Non possiamo certo pensare ad una ferrea normazione dei criteri di giudizio su un tema, quello del paesaggio, che si caratterizza fortemente come nozione sociale, e quindi con forti divaricazioni percezione da parte di saperi comuni e cultura specialistica. Al fine di addivenire ad una sorta di base concettuale comune, uno strumento di riferimento particolarmente importante – che si presterebbe alla funzione di “Carta costituzionale” di sfondo per esprimere valutazioni – è la Convenzione europea del paesaggio, che indica in modo innovativo tre direzioni concettuali: • l’attribuzione di un significato complesso all’intero territorio, che dilata l’attenzione oltre gli oggetti di eccellenza; • si va oltre la gestione dei vincoli, verso progetti di “innovazione conservativa”; • si individua la rilevanza del governo del territorio a tutte le scale. La Convenzione europea delinea una valutazione integrata dei valori “naturali” e “culturali”. Proprio il loro mix forma il patrimonio ambientale e la qualità del territorio. Il fatto che la Convenzione individui un significato culturale intrinseco ad ogni paesaggio, indipendentemente dall’eccellenza di sue parti, amplia le aree nelle quali è bene che il giudizio paesistico-ambientale sul progetto venga espresso, e suggerisce forme articolate di tutela e intervento. Per quanto riguarda la valutazione, la Convenzione sposta l’accento dalle gerarchie dei vincoli alle politiche di gestione. Ciò si ripercuote anche sulle metodologie di predisposizione dei Piani che dovrebbero muovere da contenuti “strutturali”, individuando “statuti dei luoghi”. Si tratterebbe di cornici importanti per la valutazione dei progetti anche in sede di commissioni edilizie, magari pervenendo a griglie valutative con le quali – senza imbrigliare la valutazione in velleitarie rigidità – il progetto potrebbe essere esaminato sotto più profili: estetico, ecologico, identitario. Sullo sfondo del problema della valutazione permane l’importanza di una maturazione culturale collettiva attraverso percorsi di progettualità sociale. Giovanni Bettini
Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni
Abbiamo invitato a scrivere Claudio Scillieri, un collega varesino con lunga esperienza in qualità di consulente per le Pubbliche amministrazioni in materia urbanistica. C. C.
Parecchi anni fa si era sparsa la voce, qui in provincia, che la Commissione edilizia non era da considerarsi più come obbligatoria. La voce era stata fatta circolare da alcuni solerti ed esuberanti segretari comunali “sfrugugliando” all’interno della Legge n. 142/1990 “Ordinamento delle Autonomie locali”, ma poi di fatto non se ne fece nulla. Con il D.P.R. 380/2001, tale possibilità divenne concreta. Quasi per inciso, al comma 2 dell’Art. 4 si dice “Nel caso in cui il Comune intenda istituire la Commissione edilizia” lasciando quindi intendere, anche ai più increduli, che la Commissione edilizia fosse facoltativa. La recente L.R. 12/2005 ribadisce questo concetto in modo esplicito all’Art. 30: “I comuni hanno facoltà di prevedere l’istituzione della Commissione edilizia”. Furono molti, tra cui chi scrive, ad immaginare la totale scomparsa della Commissione edilizia, liberandosi finalmente di un appesantimento dell’iter procedurale, tra convocazioni, ricerca del numero legale, discussioni spesso defatiganti, mugugni degli amministratori nel constatare continui rinvii nell’approvazione di progetti ritenuti urgenti, ecc. Ed invece, anche all’interno di una chiarezza normativa, le commissioni edilizie rimangono, come se niente fosse. Con alcune Amministrazioni comunali ho cercato di approfondire il motivo di tale difficoltà nel liberarsi di una istituzione da tutti ritenuta, come minimo, “faticosa”. I funzionari mi hanno risposto che, tutto sommato, l’idea di confrontarsi con professionisti che progettano e che quindi conoscono il complesso sistema normativo, spesso bisognoso di robuste e solide interpretazioni, li poteva confortare in talune loro decisioni o aiutarli a risolvere dubbi circa l’applicazione del sistema normativo stesso. Da parte dei politici ricevevo l’assicurazione che il parere della Commissione edilizia poteva coprire loro le spalle perché spesso risultava loro comodo nascondersi dietro tale parere, fosse esso favorevole a progetti da loro condivisi o sfavorevole nel caso di progetti a loro poco congeniali. Mi è stato chiesto di parlare della mia esperienza di commissario in numerosi comuni, tutti di modeste dimensioni, inferiori ai 10.000 abitanti e talvolta inferiori anche ai 500 abitanti. Nella stragrande maggioranza dei casi ho potuto constatare agevolmente che, in effetti, il lavoro nelle commissioni è stato, ed è, incentrato sulla applicabilità di determinate norme e disposizioni sia di carattere locale, sia regionale, statale o di altri enti risolvendo dubbi o incertezze degli uffici tecnici che sono spesso, stante la ridotta dimensione del comune, non sufficientemente attrezzati in tal senso. Si tratta quindi di una ricerca da parte dell’Amministrazione comunale di consulenza a bassissimo costo, spesso gratuita, utilizzando professionisti operanti nel campo e dotati di una certa espe-
rienza. Il lavoro inerente al cosiddetto controllo della “qualità edilizia” spesso si concretava nell’incontrare il progettista, l’autore del “problema”, fuori dalla Commissione, alla presenza del responsabile dell’Ufficio tecnico, per capire le esigenze progettuali, suggerire sommessamente alcuni accorgimenti, talvolta elementari norme della “buona progettazione” che alcuni progettisti un po’ improvvisati non conoscevano nemmeno nelle parti più semplici. Spesso capitava di ricevere ringraziamenti da parte di colleghi che potevano così ritornare da insipienti committenti ripetendo soluzioni progettuali che già loro stessi avevano in un primo tempo proposto e che si erano visti cassare dalle preoccupazioni esclusivamente economiche dei committenti soprattutto se impresari edili. L’impegno in tal senso è defatigante, assolutamente non remunerato, ma spesso foriero di una qualche soddisfazione laddove i propri sforzi portavano ad un risultato condiviso da tutti i soggetti in campo. Problemi veri con i colleghi non ve ne sono mai stati. Talvolta capitava un tecnico comunale particolarmente arrogante ed intollerante nei confronti del commissario “venuto da fuori” e questo atteggiamento rendeva pesante il lavoro in commissione, ma non al punto da condizionarlo. Qualche caso di intolleranza da parte degli amministratori invece ho avuto modo di riscontrarlo pagando poi personalmente per aver difeso alcuni miei pareri negativi. Il racconto della mia esperienza di commissario-architetto di provincia potrebbe terminare qui. Vorrei però porre alcune questioni sul futuro che ci attende nelle nuove commissioni per il paesaggio, istituite ai sensi dell’Art. 81 della L.R. 12/2005. Come è noto, entro il 30 settembre 2005, gli enti locali titolari di funzioni amministrative riguardanti l’autorizzazione paesaggistica, tra cui l’ente comunale, dovevano istituire e disciplinare una apposita “commissione per il paesaggio composta da soggetti aventi particolare esperienza nella tutela paesaggisticoambientale”. Invero, almeno nella nostra provincia, sono poche le amministrazioni che si sono poste, a tutt’oggi, questo problema stante il carattere di “grida” di manzoniana memoria di moltissime disposizioni regionali a cui non segue l’indicazione precisa e comminatoria di cosa accadrebbe nel caso in cui un ente locale non ottemperasse alle disposizioni di legge. Il lavoro di tali commissioni sarà comunque sempre aleatorio e frutto della particolare sensibilità dei commissari, sensibilità non sempre presente, se non verrà affiancato da un serio ed approfondito studio dei caratteri peculiari di ogni paesaggio con cui raffrontarsi e da un lavoro di indagine sugli elementi costitutivi di ogni singola parte del paesaggio. Non che questo lavoro garantisca automaticamente un’efficace azione di tutela del paesaggio, ma ne costituisce certamente la premessa indispensabile. Claudio Scillieri
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I pro e i contro della Commissione edilizia
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Milano città di città La regione metropolitana milanese, pur essendo una delle più ricche e vitali d’Europa, sconta un ritardo nella pianificazione strategica di area vasta che è tra le principali cause della sua congestione e scarsa qualità ambientale. Tutto questo si rispecchia nella perdita di residenti del capoluogo, nell’urbanizzazione a tappeto dei comuni limitrofi e in una complessiva perdita di competitività del sistema urbano. In un recente convegno internazionale promosso dalla Provincia di Milano è stato presentato il Documento strategico “La città di città” redatto da un gruppo
di lavoro del Diap del Politecnico di Milano coordinato dal prof. Alessandro Balducci. Il compito di portare avanti questa iniziativa è stato delegato dal Presidente della Provincia Penati a Daniela Gasparini, ex Sindaco di Cinisello e oggi Assessore al Progetto speciale per il piano strategico dell’area metropolitana, che nel suo intervento ha sottolineato alcuni elementi di novità di questo piano. Innanzitutto lo sguardo oltre i confini comunali, l’adozione dello strumento concorsuale per promuovere una competizione virtuosa tra i Comuni e tutti quei soggetti interessati al miglioramento della qualità del territorio milanese e soprattutto l’adozione del parametro di “abitabilità” come concetto unificatore sul quale devono convergere le strategie e le pratiche del Piano. Questo concetto è stato illustrato da Alessandro Balducci come un indice sintetico di qualità ambientale. Un alto coefficiente di “abitabilità” favorisce la qualità della vita delle famiglie in termini di salute e sicurezza, ma
porta anche maggiore efficienza e produttività per le imprese, migliori relazioni tra le varie “popolazioni e comunità di pratiche” che disegnano la nuova geografia del territorio. Un altro carattere decisamente sperimentale è rappresentato dall’intensa attività di comunicazione e dialogo con il territorio, prefigurata dal DIAP e dalla Provincia e condotta con il supporto della Agenzia di sviluppo Milano Metropoli, che accompagna le tre fasi del processo. La fase di apertura, conclusasi a febbraio 2006, apre con il Documento strategico l’avvio del coinvolgimento degli attori e osservatori delle trasformazioni del territorio; insieme al Documento è stato lanciato un bando di concorso Idee e buone pratiche per l’abitabilità della regione urbana milanese con l’obiettivo di valorizzare le risorse e le capacità progettuali esistenti. Si apre ora la prima fase operativa del Progetto strategico che si propone di produrre un atlante delle politiche e dei progetti della Provincia di Milano e di individuare e dare l’avvio a cantieri progettuali innovativi. La seconda fase operativa del Progetto prevede l’allestimento di una mostra sul tema Immagini della regione urbana e progettualità strategica in cui verranno esposti anche i progetti vincitori del bando, e l’avvio degli studi di fattibilità operativi sui cantieri progettuali riconosciuti nella fase precedente. Nella fase finale, prevista per la primavera del 2007, si raccoglieranno i risultati del lavoro in un Documento di piano strategico, volto a fornire agli attori istituzionali e sociali un quadro di riferimento e un punto di partenza per l’avvio di nuove politiche e progetti. Info sul sito: www.cittadicitta.it. Antonio Borghi
Studenti progettano il Centro servizi Dalla collaborazione tra l’Assessorato all’urbanistica di San Lazzaro di Savena (Bologna) e la Facoltà di Architettura di Ferrara nascerà il nuovo Centro servizi,
sull’area artigianale e industriale della Cicogna. Studenti e docenti del corso di progettazione architettonica, infatti, sono coinvolti nello studio del territorio e nello sviluppo di soluzioni urbanistiche innovative per la progettazione di strutture e servizi che serviranno almeno 3.000 persone. Obiettivo è la creazione di un’area viva lungo tutto l’arco della giornata, con parcheggi interrati, uffici postali e sportelli bancari, ma anche attività ricreative, commerciali e per la ristorazione, a servizio sia dei cittadini che delle imprese. Per la progettazione esecutiva, a cui concorreranno le idee sviluppate dagli studenti, si terrà conto sia delle necessità espresse dalle imprese e dagli operatori già insediati, sia delle esigenze di risparmio energetico ricorrendo a fonti alternative (energia fotovoltaica). Anna Ramoni
Una nuova casa per il Salone Quest’anno il consueto appuntamento con il Salone Interna-
zionale del Mobile ha portato importanti novità, a partire dal suo trasloco nel nuovo quartiere di “Fieramilano” a Rho-Pero firmato da Massimiliano Fuksas; più spazio a favore degli espositori e dei visitatori, dunque, più spazio all’idea di una casa sempre più luogo di socializzazione e di passaggio, sempre più luogo da esibire. Cucina e bagno si dilatano, i materiali si impreziosiscono, la tecnologia più avanzata mira ad organizzare la nostra vita domestica: queste le proposte di Eurocucina e FTK. L’Uomo diventa centrale non solo nelle riflessioni sul carattere dello spazio domestico: il designer e l’impresa collaborano per migliorare gli spazi del lavoro e quindi produttività e benessere del sistema azienda. Non solo ambientazioni, ma anche incontri e una mostra fotografica per discutere del tema nei padiglioni di Eimu.2006 Wellness@Work. Uno sguardo particolare al Salone Satellite 2006, da sempre luogo di incontro per eccellenza tra gli imprenditori-talent scout e i più promettenti progettisti, selezionati quest’anno da una giuria particolarmente severa. Importanti incontri infine si sono svolti durante la 7a edizione del Convegno Internazionale tra le Scuole Universitarie di Design Designing Designers dedicata all’approfondimento del tema “Design dei prodotti non griffati per i nuovi fruitori, all’Est e all’Ovest”. Se il Salone della Casa ha chiuso i battenti per quest’anno, non ci resta che continuare a sognare la casa alla Triennale all’interno della mostra-spetta-
Francesca Fagnano
Cesare Brandi, 100 anni della nascita
del restauro, presentando le iniziative, non ha potuto che constatare come oggi l’Istituto si trovi in una condizione di grave difficoltà dovute alla mancanza di una sede unitaria, a problemi economici e organizzativi e soprattutto all’attuale disinteresse per l’istituzione da parte del mondo politico. Le iniziative previste sono tante e si protrarranno per tutto il 2006, coinvolgendo paesi in tutto il mondo. Fra le più prossime, in ordine di tempo, segnaliamo: la presentazione della nuova traduzione del volume Teoria del restauro a Roma e Berlino avvenuta a marzo e in Giappone nel dicembre scorso, una giornata di studi sempre a Roma programmata per l’8 aprile e una sul tema del restauro dell’arte moderna il 7 giugno; una mostra fotografica a Siena (aprile-maggio) e un convegno internazionale all’Accademia dei Lincei a Roma nei giorni compresi fra il 30 novembre e il 2 dicembre. Martina Landsberger
Tutte “Le Strade” portano al ponte
Il 21 febbraio scorso si è svolta a Roma la presentazione delle iniziative culturali per la celebrazione del centenario della nascita di Cesare Brandi (Siena 1906 – 1988), fondatore, insieme a Giulio Carlo Argan nel 1939, dell’Istituto Centrale per il Restauro, autore di Teoria del restauro (1963), vero e proprio manuale teorico-pratico tradotto in tutto il mondo in cui viene enunciato un metodo che ha portato grandi risultati nel campo del restauro come dimostra il recupero e il restauro degli affreschi della volta della basilica di San Francesco ad Assisi, distrutti dal terremoto del 1997 e riportati in luce dal gruppo di lavoro capeggiato da Giuseppe Basile, segretario dell’Associazione Amici di Cesare Brandi. Antonio Paolucci, attuale direttore dell’Icr, per anni centro di eccellenza mondiale nel campo
“Le Strade”, mensile leader nella stampa tecnica sulle infrastrutture di trasporto, ha iniziato da marzo una collaborazione con il professor Enzo Siviero e il Dipartimento di Costruzione dell’Architettura dello IUAV di Venezia. La rivista ospiterà, con cadenza bimestrale, un’ampia sezione speciale dedicata a “ponti e viadotti”, di cui approfondirà ogni aspetto, dal progetto alla realizzazione, all’uso, con attenzione particolare alla qualità architettonica. Saranno trattati anche l’offerta didattica, le normative, le tecniche di costruzione, la storia e i casi concreti più esemplicativi di questo nodo cruciale della modernità al fine di offrire, con un linguaggio accessibile, uno strumento informativo utile a progettisti, ingegneri, architetti, amministratori, aziende e studenti. Per ulteriori informazioni, è a disposizione il sito www.fiaccola.com. Sonia Milone
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Rinasce l’area Falck Vulcano a Sesto Nell’area occupata dalla ex Falck Vulcano a Sesto San Giovanni è in via di realizzazione, su iniziativa del gruppo romano Caltagirone, proprietario dell’area, un grande progetto di riconversione che porterà alla realizzazione di una “città nella città”. Il progetto interessa un’area di circa 80 ettari e consiste nella realizzazione di un grande centro commerciale, di un polo scientifico-tecnologico, di una serie di strutture residenziali, alberghiere e direzionali con an-
nessi tutti i servizi necessari e di aree verdi. Il primo lotto, dei tre previsti, si è ormai concluso con la realizzazione e l’inaugurazione, avvenuta lo scorso 17 marzo, del centro commerciale Vulcano: un immenso edificio con due piani di parcheggi interrati, due piani di ipermercato e negozi, due alberghi e una torre per uffici affacciata su una piazza di circa 50.000 mq disegnato da Vittorio Gregotti e Carlo Fegiz. Caltacity, questo il nome di questa nuova parte di città, conta una superficie edificabile lorda di circa 350 mila mq, 300 mila mq di parcheggi, 150 mila mq di aree verdi e un migliaio almeno di residenze.
(Foto: Marco Introini)
OSSERVATORIO ARGOMENTI
colo Il diavolo del focolare, proposta dal gruppo catalano Fura dels Baus appositamente in occasione del Salone e centrata sul tema dell’omonimo evento collaterale: la donna, da “angelo” che era, completamente dedita alla vita domestica e alla famiglia, oggi depone finalmente le sue ali per diventare “diavolo”, e con lei la sua casa da prigione si trasforma in un mondo totalmente nuovo.
a cura di Roberto Gamba
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Riqualificazione delle aree centrali e di margine a Brugherio (Mi) Attraverso questo concorso di idee, l’Amministrazione comunale di Brugherio vuole individuare le linee guida per intervenire sulle aree ubicate nel piano particolareggiato del Nucleo antico e di margine e per la creazione di un luogo pubblico fortemente connotato, con soluzioni mirate a favorire e strutturare le relazioni di qualità con il preesistente Parco di Villa Fiorita e con la piazza pubblica del centro cittadino (piazza Roma). Si doveva porre particolare attenzione alle relazioni formali, riferite agli ingressi del Parco di Villa Fiorita; al nuovo assetto della piazza Battisti; alla ristrutturazione urbana, agli spazi aperti; alla riconnessione urbana tra il centro e la zona ovest, attraverso il superamento della “barriera fisica” del viale Lombardia;
alla riqualificazione mediante rifunzionalizzazione delle aree a standard, anche attraverso la realizzazione di volumi edilizi. Erano richieste 5 tavole formato 90 x 90 cm. I premi sono stati di euro 8.000, 5.500, 3.500, 1.500. La giuria era composta da Carlo Maria Nizzola, Carlo Cifronti, Alberto Brivio, Alberto Mioni, Michele Rossi, Andrea Barbato. Oltre ai progetti qui presentati, si sono classificati al secondo posto Giancarlo Riva di Roma e sono stati segnalati i progetti di Roberta Dalla Cia, con Chiara Brambilla; Ilaria Massironi; Giorgio Vittorio Montorfano, con Marco Viscardi, Andrea Mancini, Marcella Cova, Massimiliano Belletti.
1° classificato (foto 1-3) Alessandro Traldi (Milano) collaboratori: Barbara Slocovich, Maurizio Targa, Bernardino Dimitri
lificazione dell’area ad ovest del grande asse di scorrimento attraverso la previsione di un nuovo Centro Culturale. Per la nuova sede del Comune è stato disegnato un edificio a corte che ridefinisce la continuità della cortina edilizia ed è un’esplicita riproposizione delle ville patrizie settecentesche. È articolato ai piani alti con arretramenti volumetrici che lasciano spazio ad ampie superfici terrazzate. Il portico al piano terra, che ospita prevalentemente attività commerciali, è interrotto in più punti per permettere l’accesso alla grande corte – piazza interna. Una grande collina artificiale che qualifica l’ambiente di lavoro dell’edificio delimita a nord la corte.
L’intervento di alta manutenzione urbana è articolato nel potenziamento dell’identità del nucleo antico con la creazione di nuovi spazi pubblici tra loro integrati in un nuovo sistema di piazze; la ridefinizione formale, attraverso l’edificio destinato alla nuova sede del Comune, dell’isolato triangolare prospiciente il grande parco storico esistente; il disegno di un “sistema verde” attrezzato e continuo che, prolungando idealmente il parco esistente, ricuce le aree più periferiche a quelle centrali; la riqua1
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3° classificato (foto 4-6) Mariella Grosso (Milano), Marcello De Carli, Franco Dell’Orto, Giorgio Fiorese con Marcello Lomascolo e Franco Belloni (impianti) Il progetto auspica, in sintesi, un impegno a ripristinare una parte del centro storico e a estendere la “qualità urbana” dal centro alla prima periferia. Questa addizione al centro urbano deve essere connotata, oltre che da una continuità ambientale e spaziale con il Nucleo antico, da una continuità di offerta di servizi. Il progetto considera sia il disegno urbano, sia l’architet4
tura, sia le attività da insediare. È un progetto complessivo, che – oltre ad occuparsi del “bello” e dell’“utile” – punta ad una reale fattibilità. Propone il più allargato uso possibile per l’area al di là di viale Lombardia, ubicandovi diversificate attrattive, rivolte all’intera popolazione (dalla più giovane alla più anziana), ma anche rivolte ad utenze esterne, quali: residenza per studenti, impianti sportivi all’aperto e al chiuso (questi gestiti da privati), sala per prove teatrali e feste, sale prova per gruppi musicali. Gli spazi all’aperto possono ospitare fiere, mercato per artigianato, libri, brocantage.
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di spazi: un percorso continuo in cui si succedono funzioni tra loro interconnesse, ma dotate della necessaria autonomia. La sala dell’auditorium, collocata al piano terra, conclude la sequenza ascensionale dell’edificio sottolineandone la centralità.
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Due concorsi di progettazione nella città di Chiari (Bs) Il comune di Chiari ha bandito due concorsi di progettazione, con prequalificazione di 10 concorrenti per ognuno (di cui tre con età inferiore ai quaranta anni). Il primo riguardava la riqualificazione dell’area dell’ex cinemateatro, con la realizzazione di una nuova sala multifunzionale – mediateca (auditorium, proiezioni, conferenze per 300-400 posti) contenente spazio bar ed espositivo); la sistemazione delle aree tra le vie Tortelli, Mazzini, Andreoli, sino alla vicina villa Mazzotti; una proposta per la definizione di un parcheggio in fregio al vicino viale Mellini. Il secondo concorso riguardava il recupero di tre immobili di pro-
prietà comunale, prospicienti la piazza nel nucleo antico, con la realizzazione di un museo della città e la sistemazione degli spazi aperti tra piazza delle Erbe e piazza Zanardelli, sino alle circostanti via De Gasperi e via XXVI Aprile. Il nucleo antico della città, da rendere pedonale, costituisce in sé, per la straordinaria conformazione, un elemento monumentale. La giuria era composta da Aldo Maifreni, Maurizio Bradaschia, Stefano Bordoli, Lamberto Cremonesi. I vincitori hanno ricevuto 10.000 euro. I secondi 3.000 euro, i terzi 2.000 euro. Agli altri selezionati per la fase progettuale sono stati riconosciuti 1.000 euro.
AREA EX CINEMA-TEATRO 1° classificato (foto 1-2) Paolo Caputo (Milano), con Roberta Albiero, Francesco Biasi e con Alessandro Finozzi, Nazario Petrucci, Fabrizio Ruiu Il progetto ipotizza la completa sostituzione dell’ex cinema-teatro, mantenendo la stessa volumetria, ma riorganizzandola sull’area mediante un corpo articolato al tempo stesso unitario, la cui immagine rimanda all’idea di un bastione.
L’edificio, che ospiterà gli eventi collettivi e artistici, è stato pensato come una macchina complessa e flessibile. L’idea di dinamismo insita nell’andamento a spirale, matrice formale su cui è basato l’impianto, è resa ancor più evidente dalla sospensione del volume lungo via Mazzini e via Tortelli. La massa dell’edificio assume leggerezza nello staccarsi dal suolo lasciando intravedere, all’interno, una corte, una piccola piazza su cui si affacciano,
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2° premio (foto 3-5) Elisa Cattaneo (Bergamo), Ettore Pasini, Sebastiano Provenzano, Michele Roda, Luis Suarez Mansilla, Asier Santas Torres Il progetto segue una logica strategica, un approccio multiscalare, un’integrazione multidisciplinare, per una nuova struttura complessa che sostituisce il manufatto esistente proponendo una radicale innovazione in termini tipologici: è un edificio 3
che racchiude in sé molteplici funzioni (di servizio, di spettacolo, culturali e commerciali) e che re-interpreta adeguandole alla modernità le forme tradizionali del palazzo civico. La città esistente contribuisce a definire forma e scala dell’edificio; l’edificio contribuisce a ridefinire equilibri e assetti dell’intorno. Soltanto così l’area si conquista il ruolo di nuova centralità e di polo attrattore in una città che ambisce ad un salto di scala nella gerarchia territoriale lombarda.
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grazie a superfici interamente vetrate, tutti gli spazi del centro culturale. La facciata rivolta verso l’esterno si presenta come una superficie continua rivestita di pannelli in vetro abbinato a lastre di pietra. L’intero edificio è concepito come una sequenza
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Progetti segnalati:
3° premio (foto 6-8) Paolo Mestriner (Brescia), Paolo Pedrali, Alessandro Rossini, Alessandro Gasparini, Francesca Ziliani collaboratori: Sara Antonelli, Andrea Busi, Silvia Renata Piccini, Annalisa Di Meo, Laura Abbascià Il MAC (MediaAudioClarense, ma anche MusicaArteCinema) per la città di Chiari più che un edificio è un luogo d’incontro. L’insediamento, tra il centro storico e villa Mazzotti, lo prefigura come fulcro di un sistema urbano. Il progetto determina di conseguenza delle tensioni spaziali con il compito di interiorizzare lo spazio pubblico facendo risultare l’auditorium come centro nodale del tessuto esistente. Si configura così un volume che 6
si modella in più tensioni volumetriche capaci di dialogare con il contesto acquisendone le altezze; la relazione che instaura con lo spazio pubblico determina inoltre un innalzamento dal suolo che forma uno spazio coperto, hall urbana del nuovo centro multimedia. I materiali scelti rispondono all’intenzionalità di un approccio sensoriale all’architettura: lucido, opaco, rugoso, sono solo alcune delle declinazioni possibili, rivestimenti con ripartizioni orizzontali per l’involucro, legno verticale fugato per la “cassa armonica” dell’auditorium. Le aperture in vetro rivelano i punti notevoli dell’organizzazione spaziale. La hall, illuminata dall’alto, lega la luce alla risalita verso l’auditorium, in un continuum spaziale con la piazza coperta.
4° classificato Gaetano Bertolazzi, Alessandro Cavagnini, Giuliano Arici, Cesare Trebeschi, Carla Ducoli 5° classificato Nemesi studio 6° classificato Carmen Andriani, Giangiacomo D’Ardia, Studio X3 Architetti Zoccarato-Grasso-Martin 7° classificato C+S Associati (Carlo Cappai, Maria Alessandra Segantini) 8° classificato Giulia de Appolonia 9° classificato Ipostudio 10° classificato Marco Casamonti (Archea)
AREA NUOVO MUSEO 1° classificato (foto 1-3) Gianfranco Zanafredi (Parma), Michele Cassibba, Silvia Frigeri Nella risistemazione della piazza si è posto l’accento sulla sua “circolarità”, evidenziando dei percorsi tangenti l’edificato, per rivitalizzare brani di costruito attualmente in condizioni di forte degrado, quale naturale conseguenza del recupero dei suddetti edifici. L’ex comune si pone rispetto alla “cortina anulare” della piazza in
modo anomalo: invade lo spazio della piazza e si distacca dal margine tramite uno stretto vicolo, per un breve tratto coperto. Il nuovo percorso arriverà a rileggere il fianco dell’ex anagrafe individuando, in ciò che ora è un sordo pieno, un vuoto di accesso sia ai portici, sia, tramite un’infilata di scale, ai piani superiori dell’Urban Center. Gli assi est-ovest su cui viene posta l’illuminazione aerea continuano idealmente su piazza delle Erbe con tre filari di gelsi.
Il progetto si pone l’obiettivo di attualizzare il paesaggio della piazza Zanardelli e il suo intorno in un nuovo disegno urbano contemporaneo che dia completamento al centro storico come “cittadella della cultura”, includendo i rinnovati edifici dell’Urban center (ex municipio), l’Archivio storico (ex carcere/anagrafe) e i nuovi spazi pubblici pedonali. Il progetto individua una texture lapidea comune che sottolinea la continuità urbana fino alle intersezioni tra le strade e le piazze interne al nucleo e la cerchia che lo definisce, individuando così delle 4
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“porte” d’ingresso al Museo della Città. Il disegno di pavimentazione è una composizione di lastre di pietra e cubetti di porfido, una trama quadrata ripetuta che attualizza il reticolo del paesaggio agrario clarense, reinterpretato in modo astratto, come un tappeto intessuto. Il progetto propone inoltre di strutturare lo spazio pubblico attraverso un elemento di arredo urbano innovativo – leggere pensiline in metallo localizzate in diversi punti della piazza e all’ingresso dalla cerchia – con una grande flessibilità d’uso: creare zone d’ombra dove sostare e posizionare i tavolini dei bar, alloggiare i nuovi corpi illuminanti, ridefinire le nuove gerarchie di spazio urbano e riorganizzare l’attività di mercato settimanale.
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2° premio (foto 4-5) Gaia Redaelli (Milano), Vito Redaelli, Roberto Cagnoni collaboratori: Fabiola Quieti, Igor Della Ricca
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Progetti segnalati: 3° classificato Gianluca Di Vito (Napoli), Gruppo Entasis (Sandro Raffone, Antonio Greco, Maria Rosaria Fiocco, Gianluca Di Vito, Valeria Sorrentino, Davide Capo, Mariateresa Giammetti, Luigi Scarpato, Simona Pandolfo, Giuseppe Basso, Irene Troisi) 4° classificato Marco Navarra, Maria Marino, Salvatore Interlandi
frutto e ritaglia un’area pedonale per eventi e manifestazioni. Una spina longitudinale di alberi e sedute è un elemento strutturato di arredo urbano di supporto al mercato e di accesso ai parcheggi. Una pensilina passante definisce un punto di sosta con una fontana e una vasca d’acqua.
Via Milano viene ricalibrata riducendo la carreggiata, introducendo una fascia polivalente per pedoni e ciclisti con un doppio filare di alberi e parcheggi a pettine su un lato; in prossimità dell’area mercato la sede stradale viene “assorbita” nella trama della pavimentazione della nuova piazza.
5° classificato Stanislao Fierro, Nadine Saul 6° classificato Carlo Alberto Maggiore, Rinaldo Ciravolo, Fabio Nonis 7° classificato Cherubino Gambardella, Simona Ottieri, Lorenzo Capobianco, Mario Russo, Gaetano Iovinella, Giuliana Vespere, Michele Famiglietti 8° classificato Luca Donner, Francesca Sorcinelli 9° classificato Salvatore Re (Leonardo srl), Bartolomeo Fiorillo, Laura Parenti, Raffaele Bernardeschi, Michele Mariani, Francesco Baldi, Roberto Bellina, Silvio Gras
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10° classificato Fabrizio Viola
Riqualificazione di un’area mercato a Olgiate Comasco (Co) Il concorso riguardava la riqualificazione di un’area ad uso mercato e parcheggio, attualmente integrata con uno spazio antistante, sul quale sorgono gli immobili comunali di un ex cinema, destinato a centro sociale per anziani e dell’ex lavatoio, attualmente utilizzato come magazzino. Doveva essere previsto un riordino delle aree di sosta; la razionalizzazione dei percorsi pedonali e carrai; la dotazione di servizi e impianti necessari all’utilizzo polifunzionale delle aree, quali: colonnine per la fornitura di energia elettrica alle bancarelle e per manifestazioni; smaltimento acque meteoriche; impianto per l’estinzione di incendi; punti acqua; impianto
di illuminazione; servizi igienici. Dal comune di Olgiate Comasco sono stati assegnati tre premi, rispettivamente di 4.000, 2.500 e 2.000 euro. La giuria era composta da Maria Rita Livio, Bruno Megalizzi, Peter Brack, Paolo Brambilla, Luisella Garlati. Oltre al progetto qui presentato, si è classificato al secondo posto Pierluigi Russo, con Francesco Fulvi; inoltre hanno avuto una menzione, con rimborso spese il gruppo Costantini3; quindi Andrea Liverani, con Enrico Molteni; Roberta Fasola; Pier Francesco Seclì, con Marco Zanfrà, Domenico De Dominicis, Marco Giani; Edoardo Gianni; Marco Frontini.
1° premio (foto 1-3) Daniela Piazza (Como), Elena Bianchi, Elena Bocconi, Stefano Clerici
della pavimentazione: fasce longitudinali in cemento, come spina di distribuzione del mercato e ortogonali, per il disegno dei parcheggi. La trama della pavimentazione, drenante, ordina tutta l’area di progetto; si smaterializza in un giardino cittadino con sedute all’ombra di alberi da
Si ricostruisce l’unità formale attraverso un grande piano inclinato che registra le differenti strutture funzionali nel disegno
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Con la cerimonia d’inaugurazione del 24 febbraio 2006 finalmente la Lecco-Ballabio, dopo una sequenza interminabile di rinvii, diviene realtà. I quotidiani locali danno ampio spazio all’argomento nelle ultime, decisive ed attesissime settimane. Dai tempi in cui da Milano a Barzio si andava in carrozza, al tratto ferroviario nel 1888 tra Lecco e Taceno, al primo piccolo bus a 9 posti che nel 1907 collega Lecco alla Valsassina, oggi Ballabio diviene un quartiere di Lecco raggiungibile in pochi minuti. Rievoca Formigoni su “La Gazzetta di Lecco”: La prima volta in cui si è parlato di Lecco-Ballabio avevo vent’anni (…) Ora il traguardo è stato tagliato: si abbasserà il traffico, diminuirà l’inquinamento e ci sarà un vantaggio economico per tutti. Un’infrastruttura vitale per il territorio lecchese e per la Valsassina – riporta “La Gazzetta di Lecco” del 25 febbraio – una strada che potrà risolvere finalmente i problemi del traffico pesante che hanno condizionato le attività produttive della valle e la vita dei residenti dei rioni alti di Lecco. Tempi di percorrenza drasticamente ridotti, mai più tempo perso in lunghe code chiusi nei bus imbottigliati nel traffico, addio ritardi: che rivoluzione per studenti e pendolari! – “La Provincia” del 27 febbraio. Il Manzoni non avrebbe mai immaginato cosa sarebbe accaduto due secoli dopo sotto i suoi “monti sorgenti dalle acque”. Nelle viscere della terra c’è un intrico di svincoli che si dipartono da un lungo tunnel chiamato “Valsassina”: areare quelle vie sotterranee è stato un tale problema da richiedere soluzioni all’avanguardia tanto che gli impianti tecnologici di aspirazione dei fumi sono così innovativi da rappresentare il primo esempio in Italia se non addirittura in Europa (…) è una strada “nascosta” che corre sotto la città e i suoi monti. La tragedia del Monte Bianco ha fatto scuola, purtroppo – riporta “La Provincia” il 17 febbraio – L’impianto d’aspirazione
31 dei fumi è stato studiato per essere all’altezza di qualsiasi evenienza e per garantire la piena funzionalità anche nelle condizioni più estreme come in caso d’incendio. La vera innovazione è la centrale di ventilazione: la profondità tra il camino ed il fondo è di ben 60 metri, un pozzo che arriva al tunnel sottostante per risucchiare i gas prodotti dal traffico e restituire area ossigenata. I tunnel sono costantemente sorvegliati da un sistema di telecontrollo che, tramite un sistema di fibre ottiche, è collegato alla centrale di soccorso (…) Il rumore è stato risolto con i pannelli fonoassorbenti all’ingresso delle gallerie e con una barriera acustica in corrispondenza dello svincolo ai Poggi. Continua il direttore generale dell’Anas lodando l’opera su “La Gazzetta di Lecco” del 25 febbraio: Un’opera di elevatissimo livello ingegneristico con soluzioni d’avanguardia, forse esprimendo un concetto di spazio-tempo diverso da quello degli esseri umani quando afferma che, l’Anas consegna un’opera attesa dalla collettività nel sostanziale rispetto dei tempi e degli impegni presi. Il costo totale dell’opera, in gestazione dal 1981, ammonta a 280 milioni di euro, una cifra impressionante lievitata negli anni per le modifiche che si sono rese necessarie per adeguare la strada alle norme di sicurezza. La lunghezza della strada è di 12,3 km di cui 9 in galleria – ricorda “La Provincia” il 17 febbraio. Giuseppe Canali, ex assessore alle opere pubbliche della Provincia, ripercorre, su “La Provincia”, le tappe: dal primo progetto alle battaglie per la statalizzazione del tratto stradale: Risale esattamente a 25 anni fa la prima progettazione ufficiale da parte della Provincia di Como. Una partenza con 10 miliardi di lire previste per il primo lotto, quello che dal passo del Lupo arriva a via ai Poggi. Allora il lotto Zero, quello che da via ai Poggi giunge all’attraversamento, non era previsto ed il lotto finale, dal passo del Lupo a Ballabio, era motivo di grandi di-
scussioni. Avevamo un progetto ma non il denaro per gestirlo e terminarlo, ma allora si operava così (…) Quanti progetti incompiuti ci sono stati per colpa di quel modo di fare! Per fortuna ora la legge non lo permette più, senza il progetto esecutivo ed il finanziamento approvato non si va avanti. Continua Pierluigi Polverari: Ricordo la battaglia iniziale per ottenere il primo finanziamento dalla provincia di Como e quella successiva per accaparrarsi i soldi della legge Valtellina ottenuti nel 1987. I 100 miliardi ottenuti con questa legge consentirono il decollo della strada. Nei primi anni Novanta iniziano gli attriti con le imprese locali disturbate dai lavori per il lotto Zero e con i residenti: Dobbiamo ringraziare la gente di questa terra – afferma il sindaco Lorenzo Bodega a “La Gazzetta di Lecco” del 25 febbraio – che ha sopportato così a lungo e che non ha rinunciato a frequentare le belle località turistiche della Valsassina. Oggi è davvero un giorno di festa perchè ai lecchesi questa strada è costata moltissima fatica ed una pazienza smisurata. Per questo voglio dedicare questo taglio del nastro ai miei concittadini ed a quelli valsassinesi, se lo meritano! Decenni di estenuante attesa, ricorsi di privati, ritardi burocratici, polemiche sul tracciato: definire tormentato l’iter della Lecco-Ballabio è un eufemismo. Questa esperienza cosa insegna? – si chiede al presidente della provincia Virginio Brivio su “La Gazzetta” – Non basta avere idee, servono progetti cantierabili, diversamente si finisce alle calende greche. Vi è, inoltre, la necessità di raggiungere coesione tra i diversi attori: quando c’è un progetto valido bisogna marciare tutti insieme e farlo diventare priorità. L’attraversamento di Lecco inaugurato nel 1999, anch’esso dopo un calvario memorabile, ha rivoluzionato in modo radicale il volto del capoluogo, l’assetto viabilistico, il tessuto sociale ed economico della città. Quali prospettive dischiuderà ora l’apertura della Lecco-Ballabio?
Risponde ancora Brivio: Avremo un capoluogo ancora più vivibile ed i rioni alti della città potranno tornare a respirare e a programmare interventi senza dover più fare i conti con il traffico. Mi preme poi sottolineare i vantaggi legati a una più snella accessibilità all’ospedale Manzoni, non solo per chi proviene dalla Valsassina, ma anche dalla Brianza e dagli altri territori della Lombardia. All’obiezione Questa strada è già superata, l’ingegner Giorgio Mazza, progettista che ha seguito i lavori prima con la provincia di Como e poi di Lecco, risponde sul “La Provincia” del 17 febbraio: È una strada magistrale, una grande opera che, però, non deve essere scambiata per un’autostrada. Si è scelto un tracciato che avesse la minor pendenza possibile, senza tornanti, e che partisse da una località facilmente raggiungibile dal terzo ponte ancora da costruire per raggiungere Ballabio nella zona di raccordo con i piani Resinelli. Si risponde a Mazza: Resta il fatto che sia una strada costosissima! l’ingegnere conclude: Il ragionamento deterministico costi benefici va addolcito con le considerazioni di ordine sociale che esulano dal rigore dei numeri. Viceversa non avrebbe alcun senso costruire strade montane. Il costo di 20/30 miliardi a chilometro in ogni caso per questo genere di strade è nella norma: sono strade, non sentieri! Nell’euforia di questa inaugurazione non si distolga l’attenzione da altri importanti nodi viari sul territorio: L’apertura della nuova strada non deve essere un punto d’arrivo ma di partenza per una auspicata stagione di grandi opere infrastrutturali nella nostra provincia – “La Gazzetta di Lecco” del 25 febbraio – Chiusa la pratica Lecco-Ballabio, si aprano ora quelle Lecco-Bergamo e Lecco-Como. Per non parlare della necessità di collegamenti autostradali e della famosa Pedemontana, oggi congelata per scelte governative. Maria Elisabetta Ripamonti
OSSERVATORIO RILETTURE
Nuova strada per la Valsassina Lecco-Ballabio
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Maestri Vittorio Gregotti Autobiografia del XX secolo Skira, Milano, 2005 pp. 288, € 25,00 Trenta e quaranta anni dopo il suo testo teorico, Vittorio Gregotti ha scritto due libri nei quali espone i suoi convincimenti sulle cose e sulle idee attraverso la descrizione del rapporto con persone che hanno percorso la sua stessa vita, personale e professionale. In Recinto di fabbrica del 1996 gli operai dell’opificio della sua famiglia negli anni della prima giovinezza, in Autobiografia del XX secolo gli intellettuali che ha conosciuto, ammirato. Ad entrambi i gruppi egli riconosce il ruolo di interlocutori nel suo processo di crescita, e quasi ci si domanda se
non è un limite della sua, della nostra esperienza, il fatto che quegli incontri e quelle influenze siano nettamente aggiudicabili a periodi diversi della vita. Il libro di cui qui parliamo è il secondo, ma consiglio i lettori che non lo conoscessero ad affiancargli il primo. È in ambedue che Gregotti passa dal piano personale a quello generale, disegnando il contesto in cui è calata la sua esperienza attraverso ciò che di essa è rappresentato dagli incontri e da comuni esperienze. Rendendo in tal modo di utilità più ampia, a partire dai più giovani, ciò che egli ha avuto la possibilità e la capacità di vivere. L’importante funzione didattica dell’atteggiamento che traspare
nel libro deriva in prima istanza dall’interesse per le generazioni precedenti, che è certo motivato dalla continuità di esperienza ancora riscontrabile, in molti degli anni percorsi in quell’autobiografia, tra uomini di epoche confinanti, ma che ha le sue basi nell’educazione ricevuta e nell’insegnamento avuto: familiare e sociale, universitario e disciplinare. Riconoscere i maestri è cosa che dipende certo dalla loro qualità, ma soprattutto dall’utilità che siamo in grado di riconoscere alla memoria, e ciò è solo in alcuni casi possibile per i giovani di oggi. A partire da quelli che si occupano della nostra disciplina. Questo è un altro modo di vedere i limiti dell’architettura mercantile e dell’eccesso di estetismo da un lato, dell’autolimitarsi all’estetica della constatazione, per dirla con Gregotti, dall’altro. E anche
di riaffermare il ruolo civile dell’architettura, che solo quando afferma se stessa inseguendo quel valore diviene maestra per la società, ma innanzitutto per i suoi stessi cultori. Ed è forse strano che l’autore non dialoghi maggiormente, nel libro, con la figura che più gli è stata maestra, quella di Ernesto Rogers, per il quale il tratto unificante dei maestri consisteva “in quell’elemento indefinibile e sostanzialmente extradisciplinare che è la fusione dei problemi estetici con quelli d’indole etica”. Aggiungendo come ciò fosse verificabile “non solo nei termini delle loro opere, ma in quelli della loro stessa vita”. Cesare Macchi Cassia
Costruire e ricostruire in montagna Giovanni Simonis Costruire sulle Alpi. Storia e attualità delle tecniche costruttive alpine Tararà, 2005, Verbania pp. 278, € 50,00 La vicenda italiana legata allo sviluppo delle Alpi non è stata avara di possibilità regalate ai grandi architetti del secolo scorso in tema di sperimentazioni progettuali da effettuarsi entro i ristretti confini geografici e sociali del contesto alpino; l’architettura contemporanea ha avuto modo di esplorare l’intricato rapporto fra il progetto ed il sito legittimo del paesaggio naturale, e le Alpi sono state oggetto di un continuo ripensamento sul ruolo della costruzione all’interno di un contesto assolutamente unico. La montagna, quale luogo di sperimentazione del progetto contemporaneo, è stata oggetto di studio e di analisi in tutte le forme artistiche e sociali che la cultura umana ha generato; sicuramente l’architettura è la forma espressiva che ha più influito sulle già delicate condizioni di un paesaggio da sempre in equilibrio perché caratterizzato da condizioni di immutabilità interne. E tutto questo si aggiunse a quanto prima esisteva e a quanto prima era stato costruito. Il libro di Giovanni Simonis riesce nella non facile impresa di fondere la ricerca di Edoardo Gellner (Architettura anonima ampezzana nel paesaggio storico di Cortina, Franco Muzzio & C. Editore, Padova, 1981) con le iniziative editoriali di Mario Cereghini che negli anni Cinquanta si batteva impetuosamente per affermare una nuova invenzione, l’architettura moderna alpina. E proprio il ruolo della novità, intesa come inedita presenza in un ambito dove ogni sfumatura dovuta alla mano dell’uomo può divenire deleteria (la natura non sbaglia mai), pare essere una delle teorie più accettate ed accettabili di questa pubblicazione; dall’introduzione della villa “importata da emigranti, nelle Alpi si diffonde un tipo di costruzione che fino ad allora non si
era mai vista” alla vera e propria invenzione dello chalet, quale “grimaldello che si introduce in una fessura e poi provoca uno squarcio da cui entra di tutto”. E non è un caso che Simonis circoscriva i guai dell’architettura, anzi dell’edilizia alpina soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale: ricordiamoci che le tre opere di Albini, Cereghini e Mollino a Breuil-Cervinia convivono con edifici che mostrano orgogliosi alle pareti del Cervino le loro veneziane in pvc. Luciano Bolzoni
A spasso sul lungomare Marco Massa (a cura di) Passeggiate lungo molti mari Maschietto, Firenze, 2005 pp. 312, € 48,00 La passeggiata, scrive Marcel Smets, si configura come sintesi di due diverse concezioni: da una parte essa è legata al cerimoniale della parata che, per traslato, la trasforma in luogo dell’apparire, luogo in cui mostrarsi (i cortei celebrativi e le parate militari, infatti, seguivano sempre la medesima strada che, a sua volta, assumeva un particolare carattere proprio a partire da questa sua funzione rappresentativa) e dall’altra, invece, all’opposto, si configura come strada da scoprire, da percorrere “in solitaria”: il sentiero, il percorso della conoscenza individuale. La promenade, che caratterizza la costruzione della città fin dall’antichità (pensiamo alle grandi vie porticate romane, oppure al piano di Sisto V per la grande Roma, fondato sulla costruzione di grandi assi prospettici, passeggiate realizzate per accentuare il ruolo di alcuni edifici religiosi, oppure al progetto dei parchi di Le Nôtre in Francia, disegnati, ancora una volta, a partire da particolari percorsi costruiti dalla natura) è il tema di questo volume, costituito da un insieme di brevi saggi corredati da una ricca documentazione fotografica, che analizzano il ruolo della passeggiata litoranea nella costruzione della città di mare e il suo carattere di luogo
Martina Landsberger
L’isola della contaminazione Enrico Prandi Mantova. Saggio sull’architettura Festival Architettura ed., Parma, 2005 pp. 142 € 12,00 Il saggio di Enrico Prandi sulla città di Mantova si fonda sulla volontà di riconoscere i caratteri specifici di una determinata realtà attraverso, sia le architetture che la costruiscono, che l’analisi di opere proprie ad altre arti come musica, pittura e letteratura sviluppate in quel contesto.
Secondo l’autore, a proposito dell’opera di L. B. Alberti, il contesto non è “luogo indifferente per l’umanista”. I progetti di Alberti come quelli di Giulio Romano o di Aldo Andreani nei primi del ’900, sono raccontati nel rapporto dialettico fra le rispettive “modernità” e il carattere peculiare della città di Mantova. Viene a delinearsi così una realtà specifica descrivibile nei suoi caratteri che rendono riconoscibile, per diversità da altri contesti, l’identità del particolare. Particolarità che rientrano però nel campo della confrontabilità, tenuto saldo dal valore del generale riconducibile al concetto di “modernità”, di ciò che ha valore al di fuori dei singoli contesti. Questo obiettivo fa sì che il testo non appartenga al genere di ricerche sulla storia urbana, quanto ad un filone che si occupa, scegliendo gli elementi ritenuti significativi ed omettendo gli altri, di individuare i caratteri specifici che identificano ogni singolo luogo dell’abitare. Nel bel capitolo “Nessuna isola è un isola” la tesi di fondo è che l’architettura a Mantova sia contraddistinta nelle varie epoche dalla continua contaminazione e rielaborazione di temi esterni che hanno condotto, vedi il caso di Giulio Romano, ad un “accentuato aspetto figurativo”, dove la teatralità assume la sua contestualizzazione nel rapporto con l’acqua, luogo in cui interagiscono le architetture. Ed è proprio l’acqua, o meglio, l’ingegneria del territorio attraverso le trasformazioni ed artificializzazioni di questo, a definire la città di Mantova come un unico e grande manufatto idraulico che, come per l’iconografia classica della città, diventa per l’autore l’analogia prima attraverso cui indagare i fatti architettonici della città costruita. Ilario Boniello
Con gli occhi dei poeti Michael Jakob Paesaggio e letteratura Leo S. Olschki, Firenze, 2005 pp. 238, € 24,00 Il saggio di Michael Jakob, docente di lettere comparate e storia e teoria del paesaggio, si apre con la definizione di “paesaggio” seguendo le oscillazioni semantiche del concetto nei diversi Paesi e discipline – esibendo i paradossi di un fenomeno che, al confine tra soggettività ed oggettività, ha una natura mista, duale, mobile – per arrivare a circoscrivere i paesaggi letterari come “rappresentazioni in relazione spaziale con la natura”. Il paesaggio non è qualcosa che esiste di per sé, ma il risultato di una costruzione del soggetto. Si tratta di un prodotto culturale, se è vero che “la percezione sensibile della natura è sempre preformata da idee, da rappresentazioni”. Mentre costruisce il paesaggio con le proprie proiezioni, il soggetto trasferisce su di esso “contenuti simbolici intelligibili”. Il paesaggio, non è né qualcosa di naturale, né un analogon della natura, ma un prodotto dell’arte. Per percepire la natura come paesaggio è necessaria una distanza da essa, altrimenti non vi è visione alcuna. La coscienza del paesaggio nasce “da una situa-
zione di crisi, separazione, perdita”, da una frattura con l’unità della natura. Di fronte ad un mondo che si disgrega come totalità e che scopre nuovi confini, la costruzione del paesaggio corrisponde al tentativo di ripristinare ordine e significato mediante la ricomposizione della natura, ritagliando e “incorniciandone” una parte. In questo senso, si tratta di un fenomeno tipicamente moderno. Nella seconda parte del libro, l’autore traccia una storia del paesaggio letterario, dall’antichità agli inizi dell’800, In questa carrellata, scegliendo gli autori più rappresentativi, Jakob distingue tra i paesaggi della letteratura greca, ellenistica, romana, biblica, del rinascimento della tarda antichità, medievale, del periodo che va da Petrarca (che pone il “fondamento del paesaggio”) a Haller, per chiudere con l’epoca che va da Rousseau al Romanticismo (che, con Goethe, Hölderlin, Coleridge, rappresenta il culmine e, insieme, l’Aufhebung del fenomeno). Il paesaggio letterario è risultato di un processo storico-culturale stratificato e complesso, dove elementi personali, scelte tematiche, riferimenti poetici s’intrecciano a motivi politici, religiosi, filosofici. La storia del paesaggio letterario è intessuta di modelli, rimandi, citazioni, ma, per salvarsi dai cliché, si nutre soprattutto di variazioni, stravolgimenti, re-interpretazioni. Irina Casali
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pubblico determinato, da sempre, dal rapporto che istituzioni o edifici privati instaurano fra di loro e con lo spazio libero. Tre diverse sezioni analizzano la questione della promenade a partire dai suoi aspetti generali – compositivi, geografici e “simbolici” –, passando attraverso la descrizione di casi specifici quali quelli che si possono ritrovare lungo la costa mediterranea ligure e toscana (particolare attenzione viene riservata al litorale di Viareggio), e infine, documentando alcuni interventi realizzati in Europa e nel continente americano. Il volume è stato realizzato dalla Regione Toscana che in questi anni, dedicando particolare attenzione al tema del territorio costiero nella sua complessità urbanistica e architettonica, ambientale, economica e sociale, intende porre l’attenzione sulla necessità di un intervento unitario onde evitare, per dirla con le parole di Goethe, la realizzazione di “un’opera frammentaria, piacevole e interessante, ma che non soddisfa”.
a cura di Sonia Milone
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“…Oltre il pacchetto…” Christo e Jeanne-Claude Museo d’Arte Moderna, Lugano, Svizzera 12 marzo – 18 giugno 2006 La mostra, dedicata a Christo e Jeanne-Claude, apre la retrospettiva del 2006 della città svizzera, inaugurando la stagione espositiva del museo d’Arte Moderna di Lugano. La mostra è ben organizzata e sviluppata secondo la logica
e percorsi urbani nella città, come mostra l’opera del Reichstag di Berlino del 1971. Prima di arrivare alle grandi sperimentazioni degli allestimenti del paesaggio ci sono delle opere, come lo studio di alcune facciate gialle per un negozio, che portano l’artista molto vicino al mondo della pittura e al tema della costruzione di una quinta urbana. Ma il cuore dell’esperienza e della sperimentazione si ha nelle opere di grande misura, quelle che si confrontano con il territorio e il paesaggio. Le tele, che prima impacchettavano, ora cingono, coprono, costruiscono grandi quinte territoriali come nel caso della Tenda diga color arancio della Valley Curtain in Colorado del 1970-72 o dell’opera in cantiere Over the River, progetto per il fiume Arkansans nel Colorado. Un lavoro, quello di Christo, moderno e aperto a tutti; come dice lui stesso un’arte democratica. Francesco Fallavollita
cronologica; si parte dai primi lavori dell’artista di origine bulgara – Christo Javacheff nasce a Gabrovo in Bulgaria nel 1935 – e si arriva alla recente creazione posta all’ultimo piano del museo, alla quale è dedicato ampio spazio e più sale espositive. Questo senso cronologico è evidenziato dal percorso della mostra, infatti il piano primo espone i lavori degli anni Sessanta fino a quelli del 2005 mostrati appunto alla fine del racconto. L’allestimento e l’organizzazione dei materiali hanno visto la partecipazione degli stessi artisti che hanno voluto, a mio avviso giustamente, partecipare direttamente a questo lavoro. Questa scelta ha conferito alla mostra un grado di estrema chiarezza e di sintesi dei materiali. Si parte dai lavori degli anni ’60, quelli di conoscenza delle varie tecniche: disegno, pittura e scultura per poi trasferire questa esperienza nel mondo dei grandi allestimenti a scala del paesaggio e delle installazioni architettoniche. L’iter creativo inizia con i famosissimi Package del 1960/62, dalle sedie agli oggetti a modi “pacchi”, per arrivare poi a confrontarsi con oggetti
Alberti: l’uomo del Rinascimento L’uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti e le Arti a Firenze tra Ragione e Bellezza Firenze, Palazzo Strozzi piazza Strozzi 11 marzo – 23 luglio 2006 In occasione dei 600 anni dalla nascita di colui che ha incarnato gli ideali dell’Umanesimo, Firenze celebra Leon Battista Alberti con una grande mostra, curata da Cristina Acidini Luchinat e Gabriele Morolli. L’esposizione focalizza l’attenzione sull’ambito fiorentino dell’esperienza albertiana, proponendo, come logica continuazione della mostra, anche un itinerario all’interno della città, che si snoda attraverso le sue più celebri architetture.
L’esposizione è suddivisa in sette sezioni, che hanno lo scopo di approfondire “la vita”, “la committenza Rucellai”, “la città di Alberti”, “il trattato di architettura”, “la città ideale”, “la scienza”. Sono riuniti, inoltre, capolavori di Donatello, Ghiberti, Botticelli, ecc., per testimoniare l’influenza che le teorie del grande umanista hanno esercitato sui massimi artisti dell’epoca. Punto cruciale della mostra è, però, il misterioso disegno, esposto per la prima volta, individuato dalla Soprintendenza di Urbino sotto la superficie de La città ideale il celeberrimo dipinto quattrocentesco, simbolo universale del classicismo raggiunto dall’architettura e dall’urbanistica rinascimentale. Il disegno, di stupefacente qualità, apre l’ipotesi che il dipinto sia da attribuire all’Alberti stesso. Ha, infatti, la particolarità di essere perfettamente identico al dipinto in tutti i dettagli, un rarissimo caso di “fotocopia monocroma”. Secondo Maurizio Seracini, esperto internazionale di diagnostica che ha condotto la ricerca, “anche maestri della prospettiva come Piero della Francesca non ricorrevano a simili artifici, bensì preparavano tavole e tele limitandosi a poche linee guida, ad accenni di costruzione geometrica”. La tesi dell’attribuzione è sostenuta con decisione da Morolli, tra i massimi conoscitori di Alberti. “Le sue teorie”, spiega, “hanno influenzato molti dei massimi artisti dell’epoca, tra cui Piero della Francesca, al quale La Città Ideale è di solito attribuita. Ma in questo caso si va ben oltre la paternità mentale. Il disegno prefigura alla perfezione forme, volumi e prospettiva dell’intera rappresentazione rivelando l’opera non di un pittore, ma di un architetto come Alberti, che secondo Vasari era bravissimo a disegnare prospettive di città ‘senza le figure’”. C’è di più. Secondo
Morolli, gli edifici rappresentati non solo sono fedeli trascrizioni di architettura descritte nel De Re Aedificatoria, ma citano espressamente anche note opere dell’Alberti, come Palazzo Rucellai e la facciata di Santa Maria Novella a Firenze. Fabrizio Vanzan
Paesaggi risorgimentali Caffi e Genova. La percezione del paesaggio ligure a metà Ottocento Genova, Palazzo Reale via Balbi 10 11 marzo – 11 giugno 2006 “Ciascun paesaggio, orizzonte della contemplazione, è prodotto della libertà, risultato dell’arte, effetto del fare e dell’agire degli uomini.“. In ciò sta parte del senso della produzione pittorica in mostra nel restaurato teatro del Falcone a Palazzo Reale, dove si possono ammirare gli esiti – locali – della piena maturazione di una stagione artistica che ha origine nell’abbandono di accademismi e stilizzazioni a favore del coinvolgimento totale dell’uomo – artista nella sua relazione con la natura, alla ricerca di “verità”. Si tratta della pittura di paesaggio in Liguria nella seconda metà dell’800, che si colloca nelle dinamiche più generali della cultura realista e dell’en plein air. Non è un caso che l’esposizione sia organizzata dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio, che riconosce proprio nell’opera degli artisti scelti (Ippolito Caffi ed alcuni liguri coevi come Pasquale Cambiaso, Tammar Luxoro, Agostino Fossati) una illuminata assimilazione ante litteram del paesaggio alla categoria dei “beni culturali”. D’altra parte l’approccio del pennello di Ippolito Caffi alla terra ligure è a maggior ragione segnato dall’etica e dal suo umano coinvolgimento. Egli, infatti, fervente patriota, dedito alla causa dell’unità d’Italia al punto da trovare la morte nel tentativo di ritrarre la battaglia di Lissa, arrivò a Genova nel 1849, cacciato dall’amata Venezia pro-
Caterina Lazzari
Mario Bellini: passaggio a est Mario Bellini. Il fuoco nell’occhio Giussano (Mi), Villa Sartirana via Carroccio 2 21 febbraio – 26 marzo 2006 È il 1973 quando Mario Bellini arriva in Giappone e sale su quel-
Curata da Francesca Molteni, l’esposizione è stata organizzata da “Ultrafragola”, la trasmissione televisiva satellitare dedicata al design e all’architettura, fornendo un felice esempio di come la nostra tirannica, amata-odiata, TV possa anche fare e promuovere cultura. L’evento si è svolto presso Villa Sartirana, a Giussano, dove Bellini ha progettato il complesso scolastico “Gabrio Piola”, ed è stato arricchito da tre conferenze che hanno visto la partecipazione, fra gli altri, di A. Mendini, B. Finessi,
P. Urquiola, A. Branzi, A. Cibic, L. Molinari, P. Cerri, V. Pasca, G. Basilico, testimoniando la volontà di vivacizzare anche dal punto di vista delle iniziative culturali un territorio quale quello intorno a Milano, sede del più prestigioso made in Italy applicato al design. Oggi in tumultuosa concorrenza con un altro gigante dell’Est come la Cina. Sonia Milone
Le avanguardie … danzano La Danza delle Avanguardie. Dipinti, scene e costumi: da Degas a Picasso, da Matisse a Keith Haring Rovereto, Mart 16 dicembre 2005 – 7 maggio 2006 La labile grazia della danza fissata sulla tela da Degas a Boldini e Zandomeneghi, e pure i manifesti pubblicitari di Toulouse-Lautrec: è l’Ottocento pittorico che guarda con curiosità al mondo del balletto quando a calcar le scene sono le eroine romantiche Maria Taglioni, Fanny Elssler e Carlotta Grisi. Poi a partire dal 1911, l’eccezionale e rigogliosissima fioritura dei Balletti Russi: ne è impresario Sergej Djaghilev, personalità tra le più singolari ed affascinanti nel panorama internazionale di tutti i tempi. Questi esporta nella capitale francese l’aria fresca ed esuberante delle musiche di Borodin, Korsakov, Strawinskji e le appassionate interpretazioni di soliste come la Pavlova, la Karsavina e la Rubinstein, o di ballerini come Vaslav Nijinsky, Michel Fokine, Adolph Bolm. In quegli stessi anni si vanno caratterizzando le tante facce dell’Avanguardia, tra Futurismo, Suprematismo, Costruttivismo: ed è ancora Djaghilev ad assegnare ai pittori della propria patria un ruolo attivo nel teatro di danza, chiedendo loro di ideare scene e costumi. Protagonisti Exter, El Lissitsky, Malevich, Tatlin, Goncharova, Larionov; ma anche Matisse e Picasso, Balla, Prampolini e Depero. Così all’insegna di una caratterizzante trasversalità, al Mart di
Rovereto si apre il sipario sul percorso espositivo de “La Danza delle Avanguardie. Dipinti, scene e costumi: da Degas a Picasso, da Matisse a Keith Haring”. Spettacolare – è il caso di dirlo – e raffinato evento sin dalle soluzioni espositive, la mostra curata da Gabriella Belli in collaborazione con Elisa Guzzo Vaccarino fa il punto su quel sottile gioco di scambio tra le arti che portò al rinnovamento dell’estetica del balletto e del teatro di danza più in generale a partire dagli anni Venti del secolo scorso e fino ai nostri giorni. Dell’era Djaghilev si mette in luce anche il confronto competitivo tra questi e Rolf de Maré, direttore dei Balletti Svedesi, attivi a Parigi tra il 1920 e il 1925: per lui bozzetti di scene e costumi firmati de Chirico, Léger, Picabia, Clair. Due tappe fondamentali: quella tra Weimar e Dessau nella proposta razionalista della Bauhaus con i progetti per il teatro di Oskar Schlemmer e quella che vede protagoniste le divine Isadora Duncan e Loïe Fuller, e a seguire Martha Graham che, negli anni Quaranta, trova nelle sculture di Isamu Noguchi le scenografie ideali per i suoi spettacoli. Da non perdere, per i cultori della danza, ma anche per chi ama il rigore analitico delle mostre a tema. Micaela Sposito
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prio per il suo impegno politico. Niente di più amaro dell’esilio, niente di più diverso delle due città. Non appare strano che, per i suoi cinque anni di permanenza, egli abbia intrattenuto un rapporto intenso ed ambivalente con la patria adottiva, fatto di amore ed odio, appianato un po’ solo nei confronti delle riviere. Ma, per lo spettatore, egli finisce col rendere in maniera sublime i contrasti del paesaggio, che tanto lo infastidivano e che pure tanto bene aveva saputo cogliere. “A Genova vi sono cose belle assai e interessanti, e trovate pure tanti difetti e incomodi della vita che non immaginerete mai più (…) Le vie sono strette, immonde e vi si monta o discende costantemente a modo che il petto tocca il piano”. Chi visita la mostra e la città, sarà infatti sorpreso da splendidi, molteplici, spesso improvvisi scorci visuali, che incontrerà nel suo camminare così come nelle visioni pittoriche esposte, realizzate spesso dalla cima di ripide e accidentate cröse. Seppure inquadrino paesaggi inevitabilmente, umanamente, ormai del tutto tra loro differenti.
lo che, allora, era il treno più veloce del mondo, impugnando una macchina fotografica. A 200 km all’ora, la linea Tokio-Osaka si percorre in 3 ore. E l’architetto, dal finestrino del vagone, inizia a scattare fotografie, istantanee, immediate, senza pose e pause, alla “velocità del pensiero e dello sguardo”. Il treno e l’occhio scorrono, passando attraverso risaie, boschi di bambù, coltivazioni di tè e nuove megalopoli industriali, all’interno di una nazione che, in pochi anni, è divenuta la terza potenza economica mondiale, investita da un processo di occidentalizzazione e di trasformazioni sociali, culturali e architettoniche senza precedenti. Emblema di tutte le future, dirompenti, modernizzazioni presto seguite da altri paesi del mondo asiatico. La mostra è il ricordo dell’avventura giapponese compiuta 33 anni fa e si dipana intorno a grandi pannelli fotografici dove le immagini bloccate costringono, questa volta, come in tappe di viaggio forzate, a fermarsi, a scendere dal treno, per addentrarsi nelle “contraddizioni di una continua, accelerata e talvolta cieca urbanizzazione-industrializzazione che corrode, sventra e distrugge porzioni crescenti di una millenaria cultura destinata a soccombere e a rifugiarsi nelle ‘riserve’ protette delle memorie famigliari e del turismo”, come scrive Bellini.
a cura di Walter Fumagalli
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La relazione paesaggistica: meglio tardi che mai! I precedenti e l’entrata in vigore delle nuove disposizioni Il 1° maggio 2004 entrava in vigore il Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con il Decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42. L’Articolo 146 di tale decreto, dopo aver confermato la regola secondo cui chi intende realizzare opere che modifichino beni di pregio paesaggistico ha l’obbligo di acquisire la preventiva autorizzazione della competente amministrazione (secondo comma), aveva stabilito: “entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa con la Conferenza Statoregioni, è individuata la documentazione necessaria alla verifica di compatibilità paesaggistica degli interventi proposti” (terzo comma). Detta documentazione, di fondamentale importanza per garantire la più efficiente salvaguardia del patrimonio paesaggistico, doveva quindi essere individuata entro il 1° novembre 2004. Con un ritardo di appena tredici mesi, il 12 dicembre 2005 il Presidente del Consiglio dei ministri ha approvato il decreto di cui sopra, il quale è stato poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio 2006. Per quanto pubblicato alla fine di gennaio, il decreto entrerà in vigore solo il 30 luglio 2006 come previsto dall’Articolo 4 dello stesso. Se però prima di tale data verrà stipulato un accordo fra lo Stato e la regione ai sensi dell’Articolo 3 del decreto, in quella regione il decreto stesso entrerà in vigore al momento della stipula di detto accordo. Come si vedrà fra breve, l’accordo fra lo Stato e ciascuna regione avrà lo scopo di permettere a quest’ultima di semplificare, in un secondo momento, i criteri di redazione ed i contenuti della relazione paesaggistica. Ma stando così le cose, per quale motivo in quelle regioni il decreto ministeriale dovrebbe entrare in vigo-
re proprio nel momento in cui sarà stato deciso che nel loro territorio le previsioni del decreto stesso andranno semplificate? Non è contraddittorio? Una risposta sarebbe gradita. I contenuti del decreto Il decreto ha approvato un documento ad esso allegato, nel quale “sono definiti le finalità, i criteri di redazione, i contenuti della relazione paesaggistica che correda, congiuntamente al progetto dell’intervento che si propone di realizzare ed alla relazione di progetto, l’istanza di autorizzazione paesaggistica” (Articolo 1). Ai sensi del successivo Articolo 2, “la relazione paesaggistica costituisce per l’amministrazione competente la base di riferimento essenziale per le valutazioni previste dall’Art. 146, comma 5 del predetto Codice”. Essa costituisce, cioè la chiave di volta del percorso valutativo, che la competente amministrazione deve compiere per accertare se il progetto presentato per l’approvazione sia compatibile con i valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo, se sia congruo con i criteri di gestione dell’immobile, e se sia coerente con gli obiettivi di qualità paesaggistica. L’Articolo 3 del decreto, peraltro, stabilisce che, “con riferimento alle peculiarità dei valori paesaggistici da tutelare le regioni possono integrare i contenuti della relazione paesaggistica e, previo accordo con la direzione regionale del Ministero territorialmente competente, possono introdurre semplificazioni ai criteri di redazione e ai contenuti della relazione paesaggistica per le diverse tipologie di intervento”. La norma attribuisce quindi a ciascuna regione la facoltà (e non certo l’obbligo) di modificare i contenuti della relazione paesaggistica, tenendo conto delle peculiarità dei valori paesaggistici presenti nel proprio territorio e fornendo un’adeguata motivazione al riguardo. Tale modifica può consistere in un implementazione di tali contenuti oppure in una loro semplificazione, ma in questo secondo caso la semplificazione sarà possibile solamente se la singola regione avrà preventivamen-
te sottoscritto un apposito accordo con il Ministero, accordo che sarà indispensabile anche se la regione deciderà di semplificare i criteri di redazione della relazione paesaggistica. L’Articolo 4, infine, fissa la data di entrata in vigore del decreto secondo le regole esaminate nel precedente paragrafo. Il documento allegato al decreto Il documento allegato al decreto si articola in quattro capitoli. • Le finalità. Lo scopo fondamentale del documento è quello di fissare i contenuti della Relazione paesaggistica, nella quale devono essere indicati tutti gli elementi necessari a permettere la verifica della compatibilità paesaggistica dell’intervento progettato. Per espressa disposizione del documento, essa dovrà avere “specifica autonomia di indagine”, e dovrà essere corredata di “elaborati tecnici preordinati altresì a motivare ed evidenziare le qualità dell’intervento anche per ciò che attiene al linguaggio architettonico e formale adottato in relazione al contesto d’intervento”. • I criteri per la redazione della relazione paesaggistica. La relazione paesaggistica, avendo lo scopo di fornire gli elementi necessari a verificare la compatibilità paesaggistica degli interventi, dovrà dare conto “sia dello stato dei luoghi (contesto paesaggistico e area di intervento) prima dell’esecuzione delle opere previste, sia delle caratteristiche progettuali dell’intervento”, dovrà “rappresentare nel modo più chiaro ed esaustivo possibile lo stato dei luoghi dopo l’intervento”, e dovrà “contenere tutti gli elementi utili all’Amministrazione competente per effettuare la verifica della conformità dell’intervento alle prescrizioni contenute nei piani paesaggistici urbanistici e territoriali”. • I contenuti della relazione paesaggistica. Questo capitolo indica la documentazione tecnica minima che dovrà costituire la relazione paesaggistica, e gli elementi che la stessa dovrà fornire per consentire la valutazione di compatibilità paesaggistica. La documentazione tecnica comprende sia gli elaborati descrittivi del-
TABELLA “A”: INTERVENTI ED OPERE A CARATTERE “AREALE” complessi sportivi e parchi tematici
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complessi residenziali, turistici, commerciali, direzionali e produttivi campeggi e caravaning impianti agro-forestali, agricoli, zootecnici e di acquicoltura impianti per la produzione energetica, di termovalorizzazione e di stoccaggio dighe, sbarramenti ed invasi depositi di merci o di materiali infrastrutture portuali ed aeroportuali discariche ed impianti di smaltimento dei rifiuti attività minerarie di ricerca ed estrazione attività di coltivazione di cave e torbiere attività di escavazione di materiale litoide dall’alveo dei fiumi
Gli elaborati tecnici relativi agli interventi ed alle opere a carattere lineare o a rete (elencati nella seguente tabella “b”), oltre a contenere l’analisi del contesto paesaggistico ed a dimostrare la coerenza con tale contesto delle soluzioni progettuali adottate, dovranno “prevedere anche le attività di ripristino e di dismissione ove necessario a fine esercizio, che saranno a carico del proponente”
In particolare, “per gli interventi infrastrutturali lineari in rilevato, che formino barriera artificiale su territorio aperto, agricolo, montano, ecc. e su territorio periurbano, andranno rilevate e controllate progettualmente le condizioni di intervisibilità, in quanto tali opere vanno a costituire nuovo margine paesaggistico”. W. F.
TABELLA “B”: INTERVENTI ED OPERE A CARATTERE LINEARE O A RETE opere ed infrastrutture stradali e ferroviarie reti infrastrutturali torri, tralicci e ripetitori per la telecomunicazione impianti di risalita interventi di sistemazione idrogeologica sistemi di irrigazione agricola interventi di urbanizzazione primaria
PROFESSIONE LEGISLAZIONE
lo stato dei luoghi precedenti l’intervento, sia quelli descrittivi dell’intervento progettato, i quali “devono rendere comprensibile l’adeguatezza dell’inserimento delle nuove opere nel contesto paesaggistico così come descritto nello stato di fatto”. Gli elementi per la valutazione di compatibilità paesaggistica sono: a) una “simulazione dettagliata dello stato dei luoghi a seguito della realizzazione del progetto resa mediante foto modellazione realistica (rendering computerizzato o manuale), comprendente un adeguato intorno dell’area di intervento, desunto dal rapporto di intervisibilità esistente, per consentire la valutazione di compatibilità e adeguatezza delle soluzioni nei riguardi del contesto paesaggistico”; b) la “previsione degli effetti delle trasformazioni dal punto di vista paesaggistico, ove significative, dirette e indotte, reversibili e irreversibili, a breve e medio termine, nell’area di intervento e nel contesto paesaggistico sia in fase di cantiere che a regime”; c) l’indicazione delle opere di mitigazione sia visive che ambientali, l’individuazione degli effetti negativi che non possano essere evitati o mitigati, ed in questo caso la descrizione delle eventuali misure di compensazione. In ogni caso, “dovranno essere preferite le soluzioni progettuali che determinano i minori problemi di compatibilità paesaggistica”. • La documentazione relativa a tipologie di interventi od opere di grande impegno territoriale. L’ultimo capitolo del documento elenca gli elaborati tecnici che dovranno costituire i progetti relativi ad interventi od opere che caratterizzano e modificano vaste porzioni di territorio. Per gli interventi e le opere a carattere “areale” (elencati nella seguente tabella “a”), gli elaborati tecnici dovranno dedicare particolare cura all’analisi del contesto paesaggistico e dell’area di intervento, ed alla dimostrazione della coerenza con tale contesto delle soluzioni progettuali adottate. In particolare, “la proposta progettuale dovrà motivare le scelte localizzative e dimensionali in relazione alle alternative praticabili”.
a cura di Emilio Pizzi e Claudio Sangiorgi
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Le specifiche di prestazione nel consolidamento dei solai lignei
Nuove norme tecniche per le costruzioni e soluzioni tipo conformi di consolidamento L’approccio prestazionale della nuova normativa sismica: classificazione degli interventi sulle costruzioni esistenti Con l’entrata in vigore del D.M. 14 settembre 2005, recante “Norme tecniche per le costruzioni” (G.U. 23 settembre 2005) sono state ridefinite le tipologie di intervento sugli edifici esistenti. Interventi finalizzati all’aumento della sicurezza della costruzione • Intervento di consolidamento: insieme delle opere ed interventi che conferiscono alla struttura un grado di sicurezza maggiore di quello preesistente all’intervento; • Intervento di riparazione: insieme degli interventi che riportano la sicurezza dell’opera al livello precedente al danno od al decadimento. Interventi conseguenti a nuove esigenze e/o trasformazioni della costruzione • Intervento di adeguamento: ha la finalità di adeguare la sicurezza dell’opera nei casi seguenti: – a) per un ampliamento e/o sopra elevazione della struttura; – b) nel caso di opere di trasformazione della struttura in organismo edilizio diverso dal precedente per uso, e carichi; – c) nel caso di variazioni significative delle destinazioni d’uso che comportano un aumento dei carichi. • Intervento di miglioramento: è l’insieme di opere, riguardanti singole parti della struttura necessarie per conferire all’intera struttura un maggior grado di sicurezza. L’Allegato 2 – Edifici – dell’Ordinanza 3274, prevede “criteri per gli interventi di consolidamento di edifici in muratura“ (Allegato 11.E.) con riferimento ad alcune tecniche di utilizzo corrente. Sono in particolare suggeriti interventi volti a ridurre le carenze dei collegamenti, mirati ad assicurare alla costru-
zione un buon comportamento d’assieme, mediante la realizzazione di un efficace ammorsamento tra le pareti e di adeguati collegamenti dei solai alle pareti. L’efficace connessione dei solai di piano e delle coperture alle murature è necessaria per evitare lo sfilamento delle travi, con conseguente crollo del solaio, e può permettere ai solai di svolgere un’azione di distribuzione delle forze orizzontali e di contenimento delle pareti. Sono altresì previsti interventi volti a ridurre l’eccessiva deformabilità dei solai: l’irrigidimento dei solai, anche limitato, per ripartire diversamente l’azione sismica tra gli elementi verticali comporta in genere un aumento della resistenza, che migliora la robustezza della struttura. Emanuele Gozzi Le soluzioni conformi: il collegamento solaio-muratura mediante piastre metalliche La esigenza fondamentale di garantire maggiore rigidezza del solaio ed adeguato collegamento ai maschi murari viene garantita mediante la apposizione di piastre metalliche di ridotto spessore collocate mediante chiodatura o uso di viti autofilettanti a livello del tavolato di chiusura. Tale intervento è possibile nel caso di solai monodirezionali con sola orditura di travetti, per vani di piccola dimensione, nei quali non è presente la orditura delle travi principali. Il posizionamento di piastre inclinate sul piano orizzontale innestate nella muratura permette di garantire un collegamento resistente nelle diverse direzioni favorito dall’innesto a coda di rondine che si viene a formare. Le piastre vengono poi fissate mediante cunei di bloccaggio in ferro posti a contrasto su una piastra doppia piegata con inclinazione normale alle staffe. L’intervento è compatibile dal punto di vista architettonico in quanto realizzato a scomparsa: la piastra di contrasto nella muratura può infatti essere coperta con malta cementizia e quindi intonacata o stilata se in corrispondenza di muri esterni a vista, mentre le piastre interne sono nascoste dal massetto di posa e dal
Esempio di collegamento tra solaio e muratura realizzato mediante piatti metallici.
pavimento superiore. La compatibilità tecnologica e chimico-fisica è garantita dall’uso di materiali in ferro e da collegamenti che avvengono esclusivamente per via meccanica. L’intervento acquisisce però la sua efficacia solo se il tavolato esistente in legno è adeguatamente collegato mediante chiodatura alle travi portanti e se presenta uno spessore in grado di assorbire i carichi verticali previsti. È quindi necessario precedere l’intervento con un’analisi accurata dello stato di fatto ed eventualmente approntare interventi a secco di chiodatura mediante chiodi o viti tra gli elementi lignei presenti. Se lo spessore del tavolato non è sufficiente si può prevedere un ulteriore tavolato di irrigidimento, da collegare al primo, posto al di sopra di esso e ordito in direzione ortogonale. Le soluzioni conformi: l’irrigidimento del solaio ligneo mediante cappa armata collaborante Nel caso in cui le murature d’ambito presentino significativi spessori, buona coerenza ed elevata resistenza meccanica è possibile prevedere il consolidamento del solaio mediante la apposizione di una cappa in conglomerato cementizio armato, con rete elettrosaldata collaborante con la struttura lignea esistente. Il collegamento strutturale tra i due elementi resistenti è garantito dalla apposizione di connettori in acciaio a forma diversa innestati nelle travi principali e nei travetti della orditura secondaria.
La testa di tali connettori (a “T”, a lambda, a “L”) viene annegata nel massetto in cls e collegata mediante legatura alla rete elettrosaldata. Questa, a sua volta, viene collegata alla muratura d’ambito mediante connettori metallici sagomati infilati in fori precedentemente formati e chiusi con resina cementizia antiritiro. I collegamenti alle murature possono essere eseguiti a coda di rondine garantendo così una elevata resistenza allo sfilamento ed interessando porzioni consistenti di muratura al fine di impedire la eccessiva concentrazione degli sforzi che si manifestano in caso di azione orizzontale dovuta al sisma. Le travi principali esistenti possono essere anch’esse collegate alla muratura mediante staffe laterali che impediscono lo sfilamento. La connessione tra travi principali e travetti dell’orditura secondaria è garantita dalla apposizione di placche in ferro piegato con forma a “L” che vengono chiodate o avvitate sia alla trave sia ai travetti. Il sistema di collegamenti plurimi realizzato, parte a secco mediante chiodatura e parte a umido con l’uso del calcestruzzo, fornisce un elemento orizzontale resistente dotato di un comportamento fortemente uniforme e coerente in tutte le direzioni, favorendo sensibilmente la resistenza al sisma del solaio e collaborando in maniera attiva alla distribuzione degli sforzi in tutto il fabbricato.
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Esempio di collegamento tra orditura secondaria del solaio ligneo e muratura d’ambito mediante cordoli in conglomerato cementizio armato e staffe di fissaggio.
gonale (caso c in figura). Corrispondentemente il cordolo sarà a tutto spessore di muratura, con spessore pari alla zona di sovrapposizione delle teste dei travetti, o con sovrapposizione di cordoli in verticale. Nel caso di consistente spessore della muratura è opportuno che i cordoli siano leggermente arretrati per poter essere rivestiti con tavelle in laterizio e garantire la continuità materica e la omogeneità chimico-fisica del supporto dell’intonaco. Anche questo tipo di soluzione presenta un elevato grado di compatibilità architettonica in quanto realizzata a scomparsa. Qualche dubbio può essere sollevato sulla opportunità di eseguire tagli nella muratura, anche corrispondenti allo spessore completo, per inserire il cordolo cementizio, il quale è dotato di diversi parametri meccanici rispetto alla muratura, con particolare riferimento alla rigidezza e alla elasticità.
PROFESSIONE NORMATIVE E TECNICHE
Esempio di irrigidimento di solaio ligneo mediante cappa armata collaborante e connettori metallici.
Le soluzioni conformi: il collegamento tra orditura secondaria e muratura mediante cordoli in conglomerato cementizio armato La questione del collegamento tra orditura lignea e murature è particolarmente importante e strategica ai fini della resistenza al sisma, soprattutto in considerazione dei parametri restrittivi imposti dalla nuova normativa anche nel caso di miglioramento sismico. Al fine di garantire un adeguato collegamento dell’orizzontamento alle murature ed impedire lo sfilamento delle orditure è necessario intervenire con opere murarie che consentano la realizzazione di cordoli di collegamento. Essi, oltre a garantire il collegamento, consentono di distribuire in maniera più uniforme il carico trasmesso puntualmente dalle orditure alla muratura. Ciò favorisce il comportamento resistente solo sela muratura storica non è costituita da pietrame e se non presenta distacchi e fessurazioni. In queste situazioni infatti la realizzazione del cordolo è sconsigliata in quanto elemento che contribuisce alla disomogeneità del paramento. Le teste dei travetti della orditura secondaria possono venire collegati alla muratura mediante la costruzione di un cordolo in conglomerato cementizio armato dello spessore della muratura all’interno del quale viene annegata una lama metallica chiodata lateralmente alla testa dei travetti. In alternativa è possibile innestare una barra metallica passante la testa del travetto e collegata ad essa mediante resina epossidica. Ancora una terza soluzione prevede la apposizione, lateralmente al travetto, di piastre metalliche ad “L” che vengono poi chiodate sia al travetto sia al cordolo sottostante. L’obiettivo, in tutti i casi, è quello di garantire un adeguato collegamento tra orditura orizzontale e muratura verticale portante. Il cordolo potrà variare la sua larghezza a seconda della posizione delle teste dei travetti dei solai adiacenti. Esse possono essere collocate “testa contro testa” (caso a in figura), in affiancamento (caso b in figura) e con direzione orto-
a cura di Sara Gilardelli
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Associazione professionale e società di professionisti Il problema delle cosiddette società di servizi è diventato sempre più attuale a causa del mutamento nell’esercizio delle attività professionali che spesso non possono essere realizzate a buon livello se non con una dotazione tecnologica, comunicativa e organizzativa di costo assai elevato. A ciò si aggiunga che con l’introduzione di strumenti di accertamento quali gli studi di settore, l’attività del professionista è sempre più condizionata dal raggiungimento di compensi in linea con quelli del settore di appartenenza, in rapporto ai beni strumentali utilizzati ed ai costi sostenuti nel periodo di imposta. Questo significa che, da una parte, le caratteristiche della domanda da parte dei clienti richiedono l’impiego di importanti risorse umane e di capitali, dall’altra, la rigida applicazione degli studi di settore spingono il professionista a ricercare forme “alternative” di svolgimento della propria professione. In questa sede verranno particolarmente approfonditi gli istituti tipici dell’associazione professionale e delle società di professionisti in genere. Associazione professionale La forma più tradizionale di svolgimento dell’attività tra due o più architetti è certamente quella dello studio associato, caratterizzato da un contratto associativo con rilevanza interna al quale fa riscontro il carattere personale della prestazione professionale nei rapporti con i clienti; le associazioni professionali sono equiparate alle società semplici. La natura del reddito prodotto delle associazioni tra professionisti è di lavoro autonomo e per la sua determinazione si applica il criterio di cassa, secondo il quale i compensi e le spese assumono rilievo nel momento in cui si manifestano finanziariamente e non quando maturano economicamente. Il reddito viene tassato ai sensi dell’Art. 5 del Tuir sulla base del c.d. principio di trasparenza, secondo il quale i redditi delle associazioni tra profes-
sionisti sono imputati a ciascun associato, indipendentemente dalla percezione, e proporzionalmente alle quote di partecipazione agli utili. Il trattamento fiscale ai fini delle imposte dirette dell’associazione professionale non si differenzia in modo particolare rispetto all’esercizio della professione in forma individuale: come detto, il reddito è determinato secondo le regole proprie del regime analitico del lavoro autonomo ma in modo complessivo in relazione all’associazione. L’unico problema di rilievo è costituito dall’eventuale presenza di crediti Irpef in capo agli associati. L’associazione professionale, infatti, viene tassata solo per l’Irap mentre ciascun associato ha l’obbligo di dichiarare sulla propria dichiarazione dei redditi ai fini Irpef la sua quota di reddito e di ritenute di acconto. In presenza di costi di gestione elevati nell’associazione professionale, può manifestarsi un forte credito di imposta allorché la quota di ritenute di acconto del singolo associato risulta superiore all’imposta Irpef dovuta dallo stesso. In questo caso l’associato, che non è titolare di redditi di altra natura (fondiari, di capitale o diversi), si trova in genere nell’impossibilità di compensare l’eventuale credito Irpef con altri debiti di imposta ed è costretto ad attendere i tempi normali per l’erogazione del rimborso da parte dell’amministrazione finanziaria. Nel caso, invece, del professionista che svolge anche un’attività di lavoro autonomo in forma individuale e quindi titolare di una propria partita IVA, il credito Irpef può essere compensato in maniera veloce con il debito dell’IVA periodica oppure chiesto a rimborso sul conto fiscale in tempi altrettanto brevi. Società tra professionisti Fino al 1997 l’unica modalità di aggregazione per i professionisti era quella dell’associazione professionale; in quanto una norma emanata nel lontano 1939 (Legge 1815/1939) vietava di costituire società aventi come oggetto attività per il cui esercizio la legge richiede il conseguimento di un titolo di abilitazione professionale.
L’Art. 24 della Legge 266/1997 (c.d. “Legge Bersani”) ha abolito il divieto di costituire società tra professionisti; tuttavia, la legislazione vigente in tema di esercizio di attività professionali in forma societaria è carente poiché la richiamata norma demandava la disciplina dell’intera materia ad un regolamento interministeriale non ancora emanato. Ad oggi, infatti, è stata introdotta una normativa specifica solo per gli avvocati con il D.Lgs. 96/2001 che ha previsto la “società tra professionisti” (s.t.p.) e ciò rappresenta sicuramente un freno all’aggregazione per le altre categorie professionali. Per quanto riguarda la professione dell’architetto, in particolare, si rileva che anche prima dell’abolizione del divieto di costituire società per l’esercizio delle professioni protette, con la Legge 109/1994 (c.d. “Legge Merloni”) il legislatore aveva disciplinato il ricorso all’utilizzo del project financing nella realizzazione di lavori pubblici e aveva introdotto i concetti di “società di professionisti” e di “società di ingegneria”; due istituti che hanno dato la possibilità ai professionisti di associarsi secondo tipi di società previsti nel c.c., rispettivamente nella forma di società di persone e società di capitali, e di ottenere la relativa iscrizione ai propri ordini di appartenenza. In questa situazione di incertezza dal punto di vista normativo, nella prassi vengono utilizzati in modo non rigoroso termini diversi per rappresentare le differenti forme di società tra professionisti: si cercherà di seguito di fornire una breve descrizione di ciascuna di esse. Società di professionisti Le società di professionisti sono quelle previste dalla c.d. Legge Merloni 109/1994, regolamentate per la prima volta nel 1994, che sono costituite nella forma di società di persone da soci professionisti iscritti ad un albo che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica o studi di impatto ambientale. Ai fini previdenziali, i soci sono assimilati ai professionisti che
svolgono l’attività in forma associata e ai corrispettivi di tali società si applica il contributo integrativo previsto dalle rispettive Casse di previdenza. Tali società, anche dopo l’emanazione della c.d. Legge Bersani 266/1997 che ha abolito il divieto di costituire società tra professionisti, non sono ad oggi regolamentate poiché manca un provvedimento interministeriale che detti le norme sui rapporti tra i soci ed i terzi nonché il trattamento fiscale dei redditi prodotti. Società di ingegneria Le società di ingegneria sono state anch’esse introdotte nel nostro ordinamento dalla citata legge Merloni e si differenziano dalle società di professionisti poiché sono costituite nella forma di società di capitali. Società di servizi La società di servizi può essere considerata quale categoria residuale delle società di supporto all’attività dei professionisti in genere, per le quali si rinvia alle generali norme sulle società di persone o di capitali a seconda della tipologia prescelta. Si tratta in genere di società che non hanno come scopo l’espletamento di compiti propri del professionista, ma soltanto quello di porre a disposizione dei medesimi un apparato di strutture e di mezzi, avvalendosi del quale il professionista può svolgere la sua attività. È frequente, inoltre, che i soci di questo tipo di società non siano necessariamente tutti iscritti ad un albo o allo stesso albo, così come nella stessa società possono coesistere, sia soci con apporto di natura prevalentemente professionale sia soci “di capitale”. La gestione di una società di servizi non pone problemi particolari di gestione in quanto si applicano le norme proprie delle società, siano esse di persone o di capitali; la stessa qualificazione del reddito ai fini tributari è determinata sulla base dei princìpi previsti per i diversi tipi di società. Tuttavia, è opportuno evidenziare che in alcune fattispecie non è pacifica l’esatta individuazione della natura del reddito prodotto, se di lavoro
Piacenza, Duomo. Maestro degli artieri: uno dei rilievi su pilastri rappresentanti le corporazioni artigiane, di maniera vicina a Nicolò, XII secolo.
autonomo o di impresa e il Ministero, inoltre, potrebbe configurare in alcuni casi un comportamento elusivo da parte del contribuente che realizzerebbe un’interposizione fittizia nello svolgimento della propria attività. Vantaggi e svantaggi Vengono di seguito brevemente riepilogati gli aspetti e le differenze di maggior rilievo che possono orientare la scelta tra i diversi istituti: • per i professionisti singoli e le associazioni professionali la natura del reddito è sempre di lavoro autonomo e quindi si applica il principio di cassa; in questo modo, il reddito viene tassato solo nel momento dell’effettivo incasso con conseguente beneficio in termini di liquidità in capo al percettore; • per le società di professionisti, in assenza di una regolamentazione specifica, non è certa la natura del reddito prodotto, se di lavoro autonomo o di impresa; • ai fini dell’applicazione degli studi di settore è evidente il vantaggio di concentrare nell’ambito di una società la parte “pesante” dello studio (organizzazione delle risorse materiali e umane: computer, dipendenti e collabo-
ratori in genere); in questo modo, sarà più probabile che il professionista risulti congruo e coerente con le medie di settore. Inoltre, in presenza di un’associazione professionale, sarà più semplice e flessibile far associare alla sola attività professionale, magari per piccole quote, altri professionisti senza richiedere necessariamente un impegno di capitale da parte di questi ultimi per concorrere alle spese sostenute per la struttura; • un ulteriore vantaggio della costituzione di una società c.d. di servizi è quello di conseguire sinergie tra soci aventi caratteristiche complementari, cercare vantaggi competitivi con l’apporto di soci “di capitale”, e configurare un unico committente nei confronti del cliente per i lavori di maggiori dimensioni; • nel caso di redditi professionali molto elevati e fino a quando non verranno ridotte le aliquote Irpef, fortemente progressive, potrebbe risultare conveniente la tassazione in capo a società di persone aventi quote molto frammentate tra i soci. Attilio Marcozzi dottore commercialista
PROFESSIONE ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE
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a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato
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Legge G.U. n. 37 del 14.2.2006 Serie generale Determinazione 19 gennaio 2006 Affidamento dei servizi di ingegneria di importo stimato inferiore a 100.000 euro (Determinazione n. 1/06) In riferimento ad alcuni rilievi manifestati dalla Commissione europea, il legislatore nazionale con la Legge n. 62/2005 ha modificato l’Art. 17 della Legge 109/1994 e s.m. stabilendo che, per l’affidamento di incarichi di progettazione e direzione lavori inferiori a 100.000 euro, le stazioni appaltanti possono procedere all’affidamento dell’incarico ai soggetti di cui all’Art. 17 della legge stessa. L’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici ritiene che i servizi di ingegneria di importo inferiore a 100.000 euro devono essere affidati previa procedura competitiva e comparativa che sarà preceduta dalla pubblicazione di un avviso nell’albo pretorio, sito internet, albo della stazione appaltante, ordini professionali e ogni mezzo di diffusione al fine di raggiungere la sfera più ampia di professionisti interessati all’affidamento. Gli avvisi dovranno contenere tutti gli elementi per identificare i contenuti dell’affidamento. G.U. n. 7 del 18.2.2006 a 3 Serie speciale Legge Regionale 14 novembre 2005 n. 17 Istituzione del parco naturale del Campo dei Fiori L’Art 1 istituisce il parco naturale del Campo dei Fiori e stabilisce le finalità del parco naturale, quali tutelare la biodiversità, incoraggiare la conservazione e ricostituzione dell’ambiente, realizzare l’integrazione fra uomo e ambiente, promuovere e disciplinare la fruizione dell’area, integrare aree anche esterne al parco. L’Art. 2 affida l’amministrazione al consorzio già preposto alla gestione del parco. L’Art. 3 pianifica gli strumenti di attuazione per il parco, l’Art. 4 ne definisce il regolamento. L’Art 5 fissa le prescrizioni ed i divieti da osservare. G.U. n. 7 del 18.2.2006 a 3 Serie speciale Legge Regionale 9 dicembre 2005, n. 18 Istituzione del parco naturale della Valle del Lambro. L’Art. 1 istituisce il parco naturale della Valle del Lambro e precisa le finalità. L’Art. 2 assegna l’amministrazione all’en-
te gestore del parco. L’Art. 3, in attuazione allo strumento di pianificazione disciplina il sistema di aree fluviali e lacustri, stabilisce l’ambito territoriale in rapporto alle zone limitrofe. L’Art. 4 approva il regolamento, l’Art. 5 pone divieti e prescrizioni. G.U. n. 45 del 23. 2.2006 Serie generale Provvedimento 26 gennaio 2006 Accordo Stato, regioni e province autonome, in attuazione degli Artt. 36 quater, comma 8, e 36-quinques, comma 4, del D.Lgs 19 settembre 1994, n. 626, in materia di prevenzione e protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Accordo, ai sensi dell’Art. 4 del D.Lgs 28 agosto 1997, n. 281 (Repertorio atti n. 2429) L’accordo attua gli articoli riportati nel testo, ove si demanda alla Conferenza Stato, regioni e province autonome per l’individuazione dei soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità dei corsi per lavoratori ed addetti all’uso di attrezzature in quota. Il testo condiviso in sede tecnica tratta dei soggetti formatori, della durata, degli indirizzi e requisiti minimi dei corsi di formazione teorico-pratico per lavoratori preposti addetti al montaggio-smontaggio-trasformazione ponteggi ed addetti ai sistemi di accesso e posizionamento mediante funi. G.U. n. 51 del 2.3.2006 Serie generale Decreto 22 febbraio 2006 Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio di edifici e/o locali destinati ad uffici L’Art. 1, comma 1 decreta l’oggetto ed il campo di applicazione in riferimento alle disposizioni di prevenzione incendi riguardanti la progettazione, la costruzione e l’esercizio di edifici e/o locali destinati ad uffici con oltre 25 persone presenti, escludendo gli uffici di controllo e gestione diretti annessi a reparti di lavorazione e/o deposito di attività industriali e/o artigianali. Il comma 2 ed il comma 3 specificano la natura degli edifici soggetti al decreto. L’Art. 2 fissa gli obiettivi volti al conseguimento dell’incolumità delle persona e tutela dei beni. G.U. n. 45 del 23. 2.2006 Serie generale Legge 8 febbraio 2006, n. 61 Istituzione di zone di protezione eco-
logica oltre il limite esterno del mare territoriale L’Art. 1 istituisce zone di protezione ecologica e fissa i limiti esterni di protezione. L’Art. 2 stabilisce i criteri della normativa all’interno delle zone di protezione ecologica in cui l’Italia esercita la propria giurisdizione in materia di protezione e di preservazione dell’ambiente marino, compreso il patrimonio archeologico e storico, in aderenza a quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e della Convenzione UNESCO del 2001 sul patrimonio culturale subacqueo. B.U.R.L. 3° Suppl. straordinario al n. 6 del 10 febbraio 2006 D.d.g. 29 dicembre 2005, n. 20109 Linne guida regionali: criteri igienici e di sicurezza in edilizia rurale Il Direttore generale della Sanità decreta di approvare il documento Linee guida regionali “Criteri igienici e di sicurezza in edilizia rurale” ed i relativi allegati. C. O.
Stampa Ambiente L’ambiente verso la Consulta. Le Regioni hanno già annunciato ricorsi sulle disposizioni del nuovo Codice (da “Il Sole 24 Ore” del 28.2.06) Il Codice dell’ambiente sarà probabilmente sottoposto al giudizio della Corte costituzionale. Alcune regioni hanno già espresso l’intenzione di proporre ricorso e i motivi di questo contrasto riguardano le competenze legislative dello Stato e delle regioni. Infatti, questo Codice non pare aver seguito del tutto le “nervature naturali” della materia dell’ambiente: alcune parti sono state lacerate. Il Codice statale dell’ambiente ha il merito di aver recepito le direttive comunitarie e di aver abrogato molte norme e divieti. Opere pubbliche selezionate dalla Vas. Via anticipata al progetto preliminare per ogni intervento (da “Edilizia e territorio” del 20-25.2.06) Esame ambientale anche per i piani e i programmi di opere. Il Decreto legislativo “Norme in materia ambientale”, noto come “delega ambientale”, licenziato definitivamente dal Consiglio dei ministri il 10 febbraio scorso, introduce anche nel
Acqua e difesa del suolo riscritta la normativa (da “Edilizia e territorio” del 20-25.2.06) In tema di risorse idriche e difesa del suolo il Decreto legislativo in materia ambientale abroga sia la Legge 183/1989 (Legge quadro sulla difesa del suolo) che la Legge 36/1994 (Legge Galli). La delega recepisce la Direttiva 2006/60 in materia di acque e prevede l’istituzione di Autorità di bacino distrettuali e la definizione di sette distretti idrografici sul suolo nazionale. Per quanto riguarda il servizio idrico integrato il D.Lgs ribadisce la necessità di effettuare le Gare per affidare la gestione o per scegliere il socio privato. Nasce l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti. Appalti Codice appalti in dirittura d’arrivo. Il testo a breve all’esame del Consiglio dei ministri (da “Italia Oggi” del 15.3.06) La Presidenza del Consiglio ha iniziato a lavorare alle correzioni del testo del Codice unico degli appalti pubblici, denominato De Lise, per consentire al Consiglio dei ministri di varare il provvedimento in forma definitiva. Nel frattempo le due direttive Ue 2004/17 e 18 sono entrate in vigore il primo febbraio scorso. Nell’intervista si confrontano i due parlamentari degli opposti schieramenti: Maurizio Lupi (Fi) e Fabrizio Vigni (Ds); il primo favorevole al nuovo codice degli appalti, il secondo contrario alla riscrittura della Legge 109, sia sul piano del metodo e sia su quello della legittimità. Beni culturali “Sanatoria” dopo i lavori. Un decreto approvato il 3 marzo riconosce la possibilità della domanda ex post (da “Il Sole 24 Ore” del 13.3.06)
Per gli interventi sui beni culturali non è più assoluto il divieto di sanatoria successiva alla realizzazione. I lavori che non hanno creato nuove superfici o volumi utili, che non hanno utilizzato materiali diversi da quelli autorizzati, e che hanno riguardato la manutenzione ordinaria e straordinaria, potranno essere messi in regola facendo domanda all’amministrazione competente e pagando una sanzione pecuniaria. Il D.Lgs correttivo del Codice Urbani, D.Lgs 42/2004, si occupa anche delle domande di autorizzazione paesaggistica in sanatoria presentate prima del 30 aprile 2004. Scompare il silenzio-assenso. Quando la Soprintendenza tace (da “Il Sole 24 Ore” del 13.3.06) Niente silenzio-assenso per gli interventi edilizi sui beni culturali. Le modifiche al Codice Urbani approvate dal Consiglio dei ministri, cancellano il meccanismo previsto in caso di silenzio dell’amministrazione competente a rilasciare l’autorizzazione. Se non viene rilasciato il nulla osta trascorsi i 120 giorni dal ricevimento della richiesta, l’interessato dovrà percorrer le vie ordinarie rivolgendosi al Tar. Catasto Denunce catastali, tempi ridotti (da “Edilizia e territorio” del 6-11.3.06) Tempi più brevi per le denunce di nuovi immobili: il termine non scadrà più il 31 gennaio dell’anno successivo a quello dell’anno in cui si ottiene l’abitabilità. La dichiarazione va fatta ora all’Ufficio erariale entro trenta giorni da quando l’immobile diventa abitabile. Allo stesso modo è stato ridotto sempre a trenta giorni anche il termine per le variazioni catastali. Non è ancora operativo invece il modello unico digitale per richiedere Dia e permessi di costruire. Edilizia Edilizia, niente taglio dell’Iva. Nonostante l’ok di Bruxelles è stata rinviata la riduzione dell’imposta dal 20 al 10% per le ristrutturazioni (da “Il Sole 24 Ore” del 1.3.06) L’abbattimento dell’Iva sulle ristrutturazioni edilizie dal 20 al 10% rischia di slittare al dopo elezioni, nonostante l’Italia abbia già incassato l’ok di Bruxelles alla riduzione fiscale. “C’è un problema di
copertura” – ha ammesso Mario Baldassarri, vice ministro dell’Economia – “È un problema tecnico imposto dai princìpi contabili dalla ragioneria e su cui non sono d’accordo, perché sono convinto che il beneficio per l’erario sarebbe certamente maggiore della perdita di getto calcolata”. Energia Il fotovoltaico guadagna incentivi (da “Il Sole 24 Ore” del 13.3.06) La principale novità portata dal Decreto del ministero delle attività produttive 6 febbraio 2006 è la fine del blocco agli incentivi per il fotovoltaico. Il nuovo Decreto moltiplica i tetti della potenza degli impianti: si passa da 100 a 500 MW da finanziare fino all’anno 2012. Urbanistica Decreto territorio, traguardo lontano (da “Il Sole 24 Ore” del 1.3.06) Lo schema di decreto legislativo sul territorio riceve dal Senato parere favorevole, con osservazioni. La tredicesima commissione ha dato via libera al provvedimento consigliando diverse modifiche, anche se difficilmente il D.Lgs potrà tagliare il traguardo prima della scadenza elettorale. La questione riguardante il D.Lgs è relativa alla ricognizione dei princìpi fondamentali nella materia del governo del territorio. Si tratta, infatti, di un argomento inserito nella legislazione concorrente: lo Stato deve dettare i princìpi, mentre la normativa di dettaglio è di competenza regionale. M. O.
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nostro ordinamento la Vas, ossia la Valutazione ambientale strategica prevista dalla Direttiva 2001/42. L’obiettivo è arretrare lo studio degli effetti sull’ambiente al momento in cui si applica la trasformazione di un territorio. Alla Vas devono essere sottoposti piani e programmi che concernono tutti i settori: dalla destinazione dei suoli alla pianificazione territoriale, dalla gestione dei rifiuti e delle acque ai trasporti e alle telecomunicazioni.
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Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Monza e della Brianza Presidenza e segreteria: omb.segreteria@gmail.com Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it
Monza e della Brianza Il nuovo Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Monza e della Brianza Presentare il nuovo Ordine di Monza e della Brianza, questo il compito affidatoci dal Consiglio nella nostra qualità di Vicepresidenti. Potrebbe essere una presentazione asettica, basata su dati, numeri, percentuali ma sarebbe più un’informativa burocratica, vorremmo invece comunicare lo “spirito” che anima questa nuova squadra. Si è trattato di una novità, giunta come un fulmine a ciel sereno dopo le ferie dello scorso
anno; duemila architetti monzesi e brianzoli hanno ricevuto una lettera che comunicava loro di essere iscritti d’ufficio all’Ordine degli Architetti, Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Monza e della Brianza. Curiosità, sconcerto, ma soprattutto entusiasmo hanno accolto questa iniziativa del Ministero. Che ci fosse entusiasmo lo si è potuto constatare alla prima assemblea che il Commissario straordinario, arch. Ferruccio Favaron ha convocato dove erano presenti quasi un terzo degli iscritti! Che ci fosse entusiasmo lo si è potuto constatare dal numero di candidature e di raggruppamenti che si sono presentati per la elezione del Consiglio, settanta candidature in quattro raggruppamenti!
Che ci fosse entusiasmo lo si è potuto constatare dall’affluenza alle urne, col raggiungimento del quorum in seconda battuta ma soprattutto con la ripartizione dei votanti sul territorio, in egual misura tra Monza e la Brianza. Ora l’entusiasmo iniziale è confluito nel Consiglio che si trova ad affrontare in una situazione stranissima gli adempimenti che la legge impone. Siamo, per ora, un Ordine senza una sede, senza una struttura amministrativa, senza disponibilità finanziarie, ma con una gran voglia di dimostrare che Monza e la Brianza possono essere fucina di idee e di cultura. Non mi pare il caso di parlare qui dei problemi “pratici”: la sede, il bilancio preventivo, il sito internet…, ma è invece giusto
Alberto Poratelli e Massimo Caprotti
Cremona
La nuova sede dell’Ordine in via Zanzi 8a.
disquisire sui due argomenti che abbiamo focalizzato come più delicati e di maggior interesse: • il coinvolgimento degli iscritti nella vita dell’Ordine; • il modo di presentarsi alla società civile. Due materie che stanno molto a cuore a questo Consiglio e che sicuramente rappresentano il perno su cui costruire tutta l’attività futura. Il coinvolgimento è quello che gli iscritti si aspettano, dopo l’esperienza di Milano dove non era facile farsi partecipi, vuoi per la posizione geografica, ma soprattutto per il grande numero di iscritti. Sarà quindi la ricerca di coinvolgimento il cavallo di battaglia di questo Consiglio. Il modo di presentarsi, certo non come rappresentanti di una “casta”, ma piuttosto come parte della società cui è affidato istituzionalmente il compito di elaborare e progettare le trasformazioni urbanistiche, edilizie e nel design che non cambiano solo il profilo dell’orizzonte cittadino, ma intervengono in modo assolutamente sostanziale nei grandi cambiamenti della nostra vita e della società. Presentarsi quindi alle istituzioni, ai colleghi e ai cittadini come elemento che oltre ad avere funzioni istituzionali sia promotore di “cultura” e protagonista in tal senso. Lo spirito che anima i nuovi consiglieri e che in questo primo periodo li porta a dedicare all’Ordine gran parte delle loro energie emerge dalle dichiarazioni di alcuni che ci pare interessante riportare.
Biancalisa Semoli: “Da sempre credo nell’importanza di accompagnare l’impegno professionale con un atteggiamento partecipativo di solidarietà e di collaborazione tra colleghi…”. Ezio Fodri: “…valorizzare e coinvolgere in questa nuova esperienza la Brianza e la sua realtà, che per troppo tempo è rimasta in secondo piano nell’ambito professionale”. Federico Pella: “Noi giovani architetti abbiamo molto da imparare da chi ha acquisito esperienza nel corso degli anni, ma anche tanto da dare, sia in termini di qualità dell’architettura che di innovazione tecnica…”. Fabiola Molteni: “Credo fortemente nella volontà di unire tutte le energie dei professionisti per un miglior utilizzo del territorio, avendo cura dell’ambiente in cui si opera…”. Clara Malosio: “…contribuire alla nascita del nuovo Ordine, attraverso la mia esperienza in università e valorizzando le qualità e la bellezza del territorio di Monza e della Brianza”. Giovanna Perego: “Questo nuovo Ordine può essere più vicino e sentito da tutti noi, e di conseguenza più partecipato”. A questo punto però è finito il tempo delle dichiarazioni di intenti, l’esito delle votazioni ci impone di dimostrare la capacità di mettere in pratica quello che ci siamo prefissati. Presto i colleghi di Monza e della Brianza saranno chiamati dal Consiglio a dare la loro disponibilità e la loro collaborazione per creare un Ordine che sia veramente vicino e partecipato, la
Attività dell’Ordine Nelle riunioni del Consiglio Direttivo dell’Ordine, oltre all’attività di ordinaria amministrazione, si è provveduto all’approvazione definitiva della modulistica necessaria per la presentazione della richiesta di vidimazione delle parcelle. La modulistica è valida sia per richiedere dei pareri preventivi che per liquidazioni finali; le richieste possono essere inoltrate sia dagli iscritti all’Ordine che dai committenti. Nell’ambito delle proposte emerse si sta valutando l’istituzione di uno “sportello parcelle” gratuito e accessibile a tutti gli iscritti, atto a fornire le necessarie indicazioni per la redazione di una corretta parcella, sia essa preventiva che consuntiva. Questa iniziativa, che vuole rientrare nei nuovi servizi resi ai nostri iscritti, si ritiene sia di notevole importanza, anche alla luce delle numerose richieste inoltrate in tal senso. Altra iniziativa, che ha avuto il successo desiderato, è stata l’adesione alla newsletter che attualmente ha raccolto oltre l’80% dei consensi. Questa adesione proietta certamente in avanti il nostro Ordine, diminuendo la distanza con gli iscritti e raggiungendo una velocità e un grado d’informazione sicuramente invidiato da molti. Consultate sempre il nostro sito www.architetticr.it per tenervi costantemente aggiornati. Fiorenzo Lodi
Milano
a cura di Laura Truzzi Designazioni • Infrastrutture Lombarde SPA: richiesta di rappresentanti per Commissione Giudicatrice “Procedura di gara per l’individuazione del Promotore dell’auto-
strada regionale Direttrice Broni – Pavia – Mortara” Il Consiglio dell’Ordine ha nominato i seguenti professionisti: Fabio CASIROLI, Aldo CIOCIA, Cesare MACCHI CASSIA. • COMUNE DI CORNATE D’ADDA: richiesta nominativo per Commissione Giudicatrice “Concorso di progettazione per la riqualificazione della Piazza di Cornate d’Adda”. Il Consiglio dell’Ordine ha riconfermato quale rappresentante in seno alla Commissione Giudicatrice: Gaetano LISCIANDRA. • Città di Melegnano: richiesta terna di professionisti esperti paesaggisti – L.R. 20/05 Art. 64 comma 8. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Gabriele Mario CASILLO, Roberto FRANZOSI, Paolo MALCAUS. • COMUNE DI RONCO BRIANTINO: richiesta nominativi per Commissione Giudicatrice Bando di gara per licitazione privata per concessione di costruzione e gestione di un nuovo campo di calcio” Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Massimo MAGNI, Andrea Massimo RAVOGLI, Andrea Mario SAVIO • Impresa Edile Diaco Nicola di San Giorgio su Legnano: richiesta di professionisti per terna per collaudo di opere di conglomerato cementizio normale relative alla ristrutturazione edilizia dell’immobile sito in Comune di San Giorgio su Legnano – via Dante Alighieri 20. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Antonio CATALANO, Sergio COLAUTTI, Antonino VITALE. • POLITECNICO DI MILANO Come da sorteggio effettuato per le commissioni degli esami di laurea relative all’Anno Accademico 2004-2005 e verifica delle disponibilità, si nominano i seguenti architetti: – Laurea del Corso di Studio in Scienze dell’Architettura D.M. 509/99 del 6 marzo 2006: Marco ANDREONI, Lorenzo BARONI, Giovanna FANNI, Massimo HACHEN, Marco LUCCHINI, Valerio MONTIERI, Celestino RAINOLDI, Umberto RIBONI, Corrado SERAFINI, Francesco STUCCHI. – Laurea I livello in Disegno Industriale del 6 marzo 2006: Valeria Giacoma ARMANI, Gabriele
45 INFORMAZIONE DAGLI ORDINI
speranza è di riuscire nel coinvolgimento proponendo iniziative che li spingano verso la condivisione degli obiettivi.
Le due fotografie pubblicate in queste pagine sono opera di Guido Guidi e fanno parte di un suo progetto fotografico sull’Atlantikwall (Bunker along the atlantic wall, Electa, 2006). Pag. 46: La Rochelle in Francia; pag. 47: Lokken in Danimarca (© Guido Guidi, 2006).
46
Mario CASILLO, Gianni Daniele SCHAPIRA. – Laurea di I livello in Scienze dell’Architettura del 6 e 7 marzo 2006: Margherita BOLCHINI, Silvia PERTOLDI. – Laurea I livello in Architettura delle Costruzioni del 6 e 7 marzo 2006: Rita SICCHI. – Laurea del Corso di Studi Urbanistica D.M. 509/99 del 7 marzo 2006: Giuseppe BROLLO, Rodolfo GUARNASCHELLI. – Laurea del CDS in Architettura e Produzione Edilizia -Milano D.M. 509/99 del 7 marzo 2006: Maura RESTELLI. – Laurea del Corso di Studio in Architettura Ambientale D.M. 509/99 del 7 marzo 2006: Alessandro TRIVELLI, Patrizia ZANELLA. Serate • The Atlantic Wall Linear Museum 9 marzo 2006 Coordinatori: Giulio Barazzetta e Franco Raggi Hanno partecipato: Marco Biraghi, Giulio Padovani, Gennaro Postiglione Argomento insolito per la serata del 9 marzo scorso all’Ordine dove si è parlato di un sistema di architetture lungo oltre 6.000 Km dai Pirenei a Capo Nord: l’Atlantikwall. Una sequenza di migliaia di fortificazioni costruite per conto delle forze armate del III° Reich, tra il 1940 e la primavera del 1944, dall’Organizzazione Todt con il sostegno della Wehrmacht, per le quali si può parlare di brutalismo funzionale: architetture fatte per funzionare che alla fine però hanno toccato involontariamente anche alcuni grandi temi dell’architettura civile. Giulio Barazzetta, architetto milanese, introduce la serata che nasce da un lavoro di ricerca confluito in un catalogo, in una mostra itinerante e in un sito web (www.atlanticwall.polimi.it). È interessante cogliere da questo lavoro i particolari rapporti tra cartografia e rappresentazione, tra tecnica e progetto e tra impresa e lavoro collettivo dove la struttura è molto connaturata con lo Stato dando una valenza politica e funzionale ben chiara all’opera collettiva. Gennaro Postiglione, professore di Architettura degli Interni e Museografia, sottolinea come l’argomento sia decisamente
stimolante e susciti molti interrogativi e curiosità (senza peraltro dare tutte le risposte) e che l’aspetto più rilevante sia costituito dalla mancanza di percezione, da parte degli intervistati, del rapporto di queste architetture con il contesto. Anche i disegni di progetto reperiti sono privi di contestualizzazione con il territorio circostante. Obiettivo principale della ricerca è stato mettere in evidenza il valore architettonico, monumentale e paesaggistico dell’infrastruttura bellica, attraverso la promozione/produzione di una raccolta ragionata di materiali relativi a cento esempi significativi e di una specifica campagna fotografica (ad opera di Guido Guidi). Giulio Padovani, ricercatore indipendente e collaboratore al progetto, commenta le immagini che scorrono proiettate in sala partendo dalle origini dell’Atlantikwall, che si presenta in Europa nel momento cruciale della modernità, come punto di crisi del concetto stesso di architettura, fino ai problemi dovuti al suo abbandono e a qualche episodio di riutilizzo. Spesso, infatti, questi edifici sono
abbandonati, demoliti o sotterrati a dimostrazione del mancato riconoscimento come patrimonio storico. Si tratta di rovine post-moderne, resti di un periodo storico che si vuol dimenticare, pensando che l’occultamento possa servire a distruggere l’orrore di un passato che non vogliamo ricordare. L’assenza di una sovrainterpretazione ideologica ci impedisce di restituire loro tutta la potenza evocativa delle poche testimonianze costruite che ci sono state tramandate da quel periodo storico. Marco Biraghi, professore di Storia dell’Architettura, trova il maggior pregio di questa ricerca nell’obbligo che induce nell’osservatore a ripensare al significato delle cose: si tratta di un sistema puntuale di strutture che viene identificato con un muro, pur non essendolo, e che riesce a disegnare il territorio. L’infrastruttura rappresenta, infatti, un caso unico nel suo genere e i suoi valori sono molteplici. Essi risiedono principalmente nella qualità architettonica del vasto sistema di fortificazioni; nelle svariate relazioni formali e
morfologiche che è possibile riscontrare con la produzione architettonica moderna e contemporanea; nella stretta relazione che instaura con il contesto naturale-artificiale che lo integra, di cui diviene elemento parametrico di interpretazione. Ma, soprattutto, il sistema delle fortificazioni costituisce di fatto forse anche uno dei più grandi patrimoni culturali europei in cui è conservata parte della memoria collettiva della Seconda Guerra Mondiale. Franco Raggi, coordinatore della serata, chiude ponendo l’interrogativo sul destino di questo lavoro di ricerca temendolo utopico. Postiglione più che di destino parla degli auspici di quanti hanno lavorato al progetto: togliere l’Atlantikwall dall’oscura posizione del rimosso; cambiare la nostra prospettiva su quegli “oggetti” che lo costituiscono; reinterpretare la guerra e i suoi musei. Forse il destino sarà semplicemente costituito dal sito web che tutti potranno consultare: questo sarebbe già il “museo” che toglie dal limbo gli oggetti davanti ai quali passiamo spesso indifferenti.
• PII Porta Vittoria non solo BEIC Il Piano di Intervento Integrato: stato di avanzamento lavori 16 marzo 2006 Coordinatori: Federico Acuto, Giulio Barazzetta Hanno partecipato: Claudio De Albertis, Carlo Alberto Maggiore, Fabio Nonis, Cino Zucchi Il 16 marzo scorso sono proseguite le serate d’architettura con un incontro condotto da Federico Acuto, professore di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano sul Piano Integrato di Intervento per l’area di Porta Vittoria a Milano con il progetto per la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura, concepita in connessione con altre importanti istituzioni culturali mila-
nesi (dall’Ambrosiana alla Scala, dalla Braidense alla Trivulziana, dai grandi musei cittadini alla Triennale) e come motore per la riqualificazione di più ampi episodi urbani. Giulio Barazzetta, architetto milanese, nel dare la parola ai progettisti dell’intervento adiacente la BEIC, Maggiore e Nonis, chiarisce che questa serata vuole essere l’inizio di un nuovo ciclo sulle esperienze fatte a Milano che portino a discutere anche su questioni di grandi problemi di progettazione e di imprenditoria, ritenendo concluso il precedente ciclo di serate che hanno esposto i progetti per Milano. Maggiore e Nonis ripercorrono le tappe del progetto dal primo Piano di Gregotti fino al suo stato attuale, già discretamente
avanzato, che si interfaccia con i volumi della BEIC. Questi progetti sulle aree dimesse degli scali ferroviari hanno un aspetto comune molto importante: oltre alla dismissione delle stazioni c’è anche la dismissione funzionale più generale di quelle isole monofunzionali che appartenevano alle città della prima metà del Novecento e risentono decisamente della mancanza di pianificazione e soprattutto della mancanza di un interlocutore per progettisti e imprenditori. I progettisti Maggiore e Nonis non esitano a denunciare una generale carenza di programmazione che li ha indotti ad una sorta di “supplenza architettonica” che cerca di risolvere architettonicamente l’isolato che diven-
47 INFORMAZIONE DAGLI ORDINI
ta una grande occasione di isolato a scala urbana di servizi pubblici. Claudio De Albertis, presidente dell’Ance, trova molto brillante la soluzione progettuale proposta, nonostante i vincoli oramai obsoleti posti dai regolamenti comunali e regionali. Secondo De Albertis, che allarga la visione al Piano Integrato di Intervento di porta Vittoria, ma anche agli altri Piani portati avanti da questa amministrazione comunale, la situazione oggi a Milano si può riassumere in alcune osservazioni generali: la cecità di certa committenza pubblica e parapubblica, troppo concentrata all’aspetto quantitativo volumetrico che non si apre alla concorrenza progettuale e di mercato; la mancanza di studi di fattibilità funzionale da parte del settore pubblico; grande separazione tra il momento della progettazione e quello dell’esecuzione, spesso dovuta alle restrittive norme in essere. De Albertis, pur riconoscendo dei passi avanti in questo PII rispetto ad altri precedenti, auspica la crescita della committenza pubblica che si apra alla concorrenza progettuale, al mercato e ai progetti economicamente fattibili con l’aiuto del settore privato che deve essere intercambiabile con il Pubblico nella definizione, nella costruzione e nella gestione dei servizi. Cino Zucchi rivolge l’importanza al processo di programmazione: ci dev’essere per lui una scala intermedia nel rapporto pubblico-privato che non sia solamente la grande pianificazione e nemmeno l’urbanistica “contrattata”. Per Zucchi è importante che il pubblico definisca delle esigenze e delle funzioni ben precise ed invariabili e che accetti poi un confronto costruttivo con il settore privato. Gli interventi del pubblico presente in sala riportano l’attenzione sulla BEIC: le opinioni sono comuni: la perplessità che non venga mai realizzata per mancanza di fondi. I tanti temi introdotti dalla serata hanno portato ad una vero e proprio dibattito finale, tra i relatori e i progettisti presenti, come momento di discussione critica sulla situazione della nostra città al fine di delineare nuovi possibili destini per la metropoli milanese.
A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)
Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969
Base dell'indice-novembre 1969:100
Anno 2003
Giugno
2004 2005 2006
48
Maggio
Luglio
1513,16 1514,42 1544,56 1548,32 1570 1570.93 1573,44
Agosto Settembre Ottobre Novembre 1520 1518,19 1520,70 1524,46 1525,72 1529,49 1550 1549,58 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86 1580 1577,21 1579,72 1580,97 1583,48 1583,48
Tariffa stati di consistenza (in vigore dal dicembre 1982)
anno 1982: base 100
Anno 2004 2005
INDICI E TASSI
Gennaio Febbraio Marzo Aprile 1500 1510 1501,86 1504,37 1509,40 1511,91 1530 1540 1532,00 1537,02 1538,28 1542,04 1560 1555,86 1560,88 1563,39 1568,42 1590 1589,76 1593,53
Dicembre
Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)
1529,48
G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA
1555,86 1586
Gennaio 260 264,74
Febbraio Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre Ottobre
Novembre Dicembre
265,61
266,48
266,91
267,56
267,78
268,21
268,21
268,21
268,86
268,86
268,86
269,73
271,03
271,47
271,90
272,55
272,99
273,20
273,64
273,64
274,07
265,82 270 270,17
2006
274,72 275,37 n.b. I valori da applicare sono quelli in neretto nella parte superiore delle celle
Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2004 2005 2006
Gennaio 117,08 118,90 121,49
Febbraio Marzo 117,46 117,56 119,28 119,48 121,78
Aprile 117,85 119,86
anno 1995: base 100 Maggio 118,04 120,05
Giugno 118,33 120,24
Luglio 118,42 120,53
Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)
anno 2000: base 100
Anno 2004 2005 2006
Giugno 108,73 110,49
Gennaio 107,58 109,25 111,64
Febbraio Marzo 107,93 108,02 109,61 109,78 111,90
Aprile 108,28 110,14
Maggio 108,46 110,31
Luglio 108,81 110,75
Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)
anno 1999: base 100
Anno 2004 2005 2006
Giugno 113,95 115,80
Gennaio 112,75 114,51 117,00
Febbraio Marzo 113,12 113,21 114,87 115,06 117,28
Aprile 113,49 115,43
Maggio 113,67 115,61
Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
2001 103,07
2003 108,23
2004 110,40
1997 108,33
1998 110,08
1999 111,52
2000 113,89
1998 101,81
Agosto 108,99 110,93
1999 103,04
2000 105,51
2001 117,39
2002 111,12
Settembre Ottobre 108,99 108,99 111,02 111,19
Novembre Dicembre 109,25 109,25 111,19 111,37
Settembre Ottobre 114,23 114,23 116,35 116,54
Novembre Dicembre 114,51 114,51 116,54 116,72
gennaio 2001: 110,50 2006 114,57 novembre 1995: 110,60 2002 120,07
2003 123,27
2003 113,87
2004 116,34
anno 1997: base 100 2001 108,65
Novembre Dicembre 118,90 118,90 121,01 121,20
gennaio 1999: 108,20 Agosto 114,23 116,26
anno 1995: base 100
Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
2005 112,12
Settembre Ottobre 118,61 118,61 120,82 121,01
dicembre 2000: 113,40
anno 2001: base 100
2002 105,42
Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno
Luglio 114,04 116,08
giugno 1996: 104,20 Agosto 118,61 120,72
2004 125,74
2005 127,70
2006 130,48
febbraio 1997: 105,20 2005 118,15
2006 120,62
Tariffa P.P.A. (si tralascia questo indice in quanto non più applicato)
Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa. Provv. della Banca d’Italia (G.U. 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 4,50% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 4,75% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 4,50% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 4,25% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 3,75% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 3,25% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 2,75% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 2,50% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003 2,00% Con riferimento all’art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.
Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003
3,35% +7 2,85% +7
Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) dal 1.7.2003 al 31.12.2003
2,10% +7
Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11) dal 1.1.2004 al 30.6.2004
2,02% +7
10,35% 9,85%
Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159) dal 1.7.2004 al 31.12.2004 dal 1.1.2005 al 30.6.2005
9,10%
Per valori precedenti consultare il sito internet del proprio Ordine.
2,09% +7
Comunicato (G.U. 28.7.2005 n° 174) dal 1.7.2005 al 31.12.2005
9,02%
2,01% +7
Comunicato (G.U. 8.1.2005 n° 5)
2,05% +7
Comunicato (G.U. 13.1.2006 n° 10) dal 1.1.2006 al 30.6.2006
2,25% +7
9,01% 9,09% 9,05% 9,25%
Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.