AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 6 Giugno 2003
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Forum Territorio e rappresentazione interventi di Patrizia Gabellini, Luciano Lussignoli, Giancarlo Motta, Paola Viganò, Donata Dal Puppo, Piero Nobile Bergamo Brescia Como Lecco Lodi M ilano Pavia Sondrio
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Argomenti
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Concorsi
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Professione e aggiornamento Legislazione
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Informazione Dagli Ordini Lettere Stampa Libri, riviste e media M ostre e seminari
Fotolito Marf-Progetto Fotolito, Milano
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Itinerari
Stampa Diffusioni Grafiche, Villanova Monf.to (AL)
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Indici e tassi
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Direttore Responsabile: Stefano Castiglioni Direttore: Maurizio Carones Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Roberta Castiglioni, Martina Landsberger, Sonia Milone Segreteria: Augusta Campo Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico: Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa: Alberto Greco Editore srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 300391 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: age@gruppodg.com
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Editoriale
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Sommario
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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174
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Maurizio Carones
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Editoriale
La rappresentazione del territorio è questione che è sempre stata centrale nelle discipline architettoniche e nel loro rapporto con il sito. La fisicità esemplare della terra e l'intenzione di rappresentarla attraverso "carte" finalizzate a restituirne la forma per mezzo di figure fanno della "forma del territorio" l'oggetto di un'indagine in cui le tecniche di rilevamento progressivamente affinate e le capacità di rappresentazione ad esse relative hanno sempre avuto un ruolo determinante. Si potrebbe dire che in questi tentativi di descrizione della forma del territorio la cartografia abbia costantemente oscillato fra il tentativo di riprodurre fedelmente la terra e quello di rappresentarla attraverso il ricorso ad un procedimento interpretativo che rendesse intelleggibile quella forma. Oscillazione ben rappresentata da due noti passaggi borgesiani, nei quali, da una parte, il territorio veniva riprodotto in scala reale da esponenti di una somma Arte della Cartografia, e, da un’altra, dall’uomo che, volendo disegnare il mondo, alla fine si accorgeva di aver disegnato il suo stesso volto. L’impossibilità di una rappresentazione del mondo "come è", se non alla scala della realtà, e quindi la coincidenza con una operazione di ripetizione, e l'inevitabilità dell’autobiografia nella stessa attività del descrivere, quindi la massima differenza dal reale, sino a vedere il mondo come immagine di sé, costituiscono due estremi della rappresentazione cartografica, probabilmente meno opposti di quanto possa apparire. In questo senso il ruolo del progetto appare in tutta la sua evidenza ed è quindi nostro compito di architetti comprendere quali rappresentazioni del territorio il nostro progetto costruisce e su quali si innesta. Negli ultimi anni stiamo infatti assistendo ad una radicale evoluzione delle tecniche di rappresentazione del territorio, dal punto di vista del rilevamento, da quello della restituzione grafica ma anche da quello determinato dalla possibilità di mettere in relazione rappresentazioni cartografiche e quantità immense di dati, attraverso i cosiddetti G.I.S o S.I.T. (Sistemi informativi territoriali). È un campo vastissimo, che si apre agli architetti e urbanisti e che sta comportando il radicale rinnovamento degli strumenti di rappresentazione del territorio con i quali si ha quotidianamente a che fare, coinvolgendo le varie amministrazioni in complesse procedure di aggiornamento cartografico. A questi temi dedichiamo il forum del mese, dando spazio, oltre alle opinioni di studiosi ed alle esemplificazioni proposte dai vari Ordini, anche a chi si sta occupando di formazione professionale, pensando che l’aggiornamento possa interessare non esclusivamente i neolaureati ma anche chi, a partire dalla sua esperienza, abbia l’entusiasmo di confrontarsi con nuove tecniche.
Territorio e rappresentazione
Forum
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I nuovi strumenti informatici permettono di costruire banche dati contenenti informazioni relative alla struttura territoriale, alle sue caratteristiche, agli elementi presenti, riferendole ad un ambito geografico e rappresentandole su una base cartografica. In questo modo è possibile predisporre un quadro conoscitivo del territorio antropizzato, del territorio naturale, fino ad arrivare a descriverne le dinamiche demografiche e socio-economiche. Si tratta di una conoscenza fondata sulla “ dinamicità delle banche dati di riferimento” . Il presente numero di “ AL” ha come obiettivo quello di presentare questi nuovi strumenti e di confrontarli con i più classici sistemi descrittivi del territorio. Si è pensato a un Forum che, in una prima sezione, affiancasse interventi di studiosi di urbanistica e di rappresentazione del territorio e, in una seconda, considerasse invece i corsi, le scuole, le associazioni e le riviste che da qualche anno si occupano di questi temi. Gli Ordini, hanno poi indagato le stesse questioni riferendole a un ambito provinciale. Si è scelto, infine, di illustrare gli interventi con alcune riproduzioni di carte antiche – riferite a un preciso ambito geografico, la Lombardia – il cui carattere è determinato dalla necessità di conoscere e rappresentare una particolare situazione geografica. Ringraziamo, per i loro contributi, Donata Dal Puppo responsabile dell’Unità Operativa Geomatica per il Territorio, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, Regione Lombardia, Patrizia Gabellini, professore straordinario di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura Urbanistica e Ambiente del Politecnico di Milano, Luciano Lussignoli, docente di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, Giancarlo Motta, professore ordinario di Composizione architettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, Piero Nobile, ricercatore presso il Centro Studi P.I.M., Paola Viganò, professore associato di Progettazione Urbanistica presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia.
Le rappresentazioni del territorio tra tecnicismo e pubblicità di Patrizia Gabellini
Gerardo Mercatore, Lombardia Alpestris pars Occidentalis cum Valesia, Amsterdam, 1606. La produzione di immagini del territorio si è straordinariamente moltiplicata per una “ facilità” sconosciuta fino a dieci anni fa. Carta, supporti informatici e internet sembrano perfino saturare le possibilità ricettive, provocando una overdose che annulla la voglia di “ vedere” , di fermarsi a considerare forme, significati e senso delle immagini che passano davanti agli occhi. Tuttavia, se si supera il torpore subentrato alla meraviglia della prima ora, si possono cogliere alcune tendenze, in parte favorite dai mezzi e dalle tecniche a disposizione. Per esempio, nei tanti disegni utilizzati da urbanisti e pianificatori, prodotti per la conoscenza del territorio e per la sua trasformazione, meritano attenzione due derive poco convincenti. Da un lato, raffigurazioni esito non problematizzato delle procedure semi-automatiche, soprattutto le carte che visualizzano le informazioni dei sistemi informativi territoriali; dall’altro, raffigurazioni che mutuano in maniera disinvolta le tecniche pubblicitarie, soprattutto quelle che corredano gli strumenti urbanistici inseriti in processi comunicativi allargati. Prodotte per scopi diversi da tecnici che utilizzano pacchetti di software diversi,
le une e le altre hanno in comune un malinteso rapporto con la tecnologia e con la rappresentazione. Sono molti anni che urbanisti e pianificatori si occupano dei sistemi informativi territoriali, mettendo via via in luce i problemi connessi al loro uso. Un saggio di Loredana Seassaro, pubblicato su un numero di “ Urbanistica” del 1995, restituisce lucidamente questioni cruciali (“ poca riflessione, troppa pratica, molti insuccessi” ) e suggerisce di assumere una prospettiva post-empirista, non strumentale e non segmentata per garantire ai Sit prestazioni di supporto alla comunicazione, oltre a quelle caratteristiche di analisi e controllo dei processi territoriali. I Sit sono ormai diventati un ordinario strumento di lavoro delle amministrazioni e all’ampia diffusione rispondono i programmi di numerosi corsi di studio universitari, seguiti ai tanti corsi di formazione offerti tempestivamente da soggetti diversi. Ma persistono gli equivoci inerenti alla natura “ trasparente” della descrizione e alla sua possibile completezza, i quali favoriscono la separatezza tecnica del processo, la concentrazione sui dati e la noncuranza per le forme della loro restituzione cartografica (ricordo,
prendere anche le ragioni di un certo fastidio per gli effetti seduttivi e il “ troppo pieno” . Disturba lo smarrimento del punto di vista, il debole controllo delle informazioni e dei messaggi veicolati, la blanda progettazione del “ discorso” visivo. Pur nella fondamentale impossibilità di conferire senso compiuto alle rappresentazioni del territorio, aperte al gioco senza fine delle inferenze (a maggior ragione se inserite entro sequenze articolate), resta da praticare lo spazio del significato attribuito alle forme scelte, alle immagini costruite. È questa preoccupazione che sembra dileguarsi, complici la facilità cui accennavo all’inizio e quel “ trend verso l’estetizzazione globalizzante” che ha rilevato Gillo Dorfles. Le immagini banali dei Sit e quelle troppo dense delle proposte d’intervento, tributarie delle nuove tecnologie, richiedono probabilmente una più attenta riflessione sui temi della conoscenza e della comunicazione fondata sullo scambio informativo.
Pianificazione territoriale e sistemi informativi di Luciano Lussignoli Sono ormai numerosi anni che i software, classificabili nella categoria dei G.I.S. (Geographic Information System), sono disponibili anche sul mercato italiano dell’informatica. In un primo tempo utilizzabili solo attraverso costosi e complessi sistemi, dopo lo sviluppo tecnologico dei personal computer, il loro impiego è diventato una reale possibilità anche per il singolo professionista, per il basso costo ormai raggiunto sia dai software che dall’hardware necessario per il loro funzionamento. Nonostante sia ormai superato il limite imposto dalla onerosità, l’uso dei G.I.S. nell’attività professionale resta ancora molto limitato. I motivi sono certamente numerosi e diversi, ma le maggiori responsabilità, credo si possano imputare a quattro fattori: il primo dipende dall’utilizzatore, è nota la “ difficoltà” con cui il nostro mondo professionale, in generale, si è avvicinato all’informatica; il secondo di tipo “ ambientale” riguarda la limitata disponibilità di basi dati cartografiche in forma numerica; il terzo, che definirei di tipo “ istituzionale” , cioè la mancanza di un protocollo standard per lo scambio delle informazioni che questi sistemi consentono di raccogliere; il quarto relativo alla distribuzione, per cui i G.I.S. sono trattati, nel mercato, come semplici “ prodotti” che devono essere venduti, insieme ai quali, nella maggior parte dei casi, non è fornito alcun servizio. Quest’ultima condizione è tale per cui i risultati sono gli stessi che si potrebbero
ottenere fornendo una matita ad un bambino di cinque anni, pensando che avendo lo strumento, possa scrivere un poema epico. Si perché, se mi è consentito un’esagerazione, la gestione del territorio è un po’ come scrivere un poema epico. Chi pratica questa disciplina sa bene, pur tralasciando la component e polit ico-amminist rat iva, quanto sia complesso e quanti
siano gli elementi da considerare per l’elaborazione di uno strumento urbanistico efficace in quanto concretamente calato nella realtà fisico-ambientale ed economicosociale di un territorio. Ciò vale ancor più oggi che la pianificazione urbanistica si è arricchita di temi come quello del paesaggio, dell’ambiente e che nelle esperienze più avanzate inizia a porsi il tema più articolato della sostenibilità. L’urbanistica si incrocia così sempre più con argomenti e problemi la cui conoscenza proviene anche da altre discipline (la geologia, le scienze naturali, l’ingegneria, la medicina, la psicologia, ecc.) che introducono informazioni e variabili sempre più numerose che vanno raccolte, classificate ed elaborate, se non si vuole come spesso è accaduto, che anche i più forniti apparati di analisi restino fine a se stessi, incidendo solo marginalmente sugli esiti della pianificazione. Nella ricerca di percorsi disciplinari sempre meno dipendenti da assunzioni “ ideologiche” e sempre più risultato dell’applicazione di percorsi tecnico-scientifici diventa indispensabile essere in grado di gestire una grande mole di informazioni con strumenti adeguati. Anche se oggi non è raro incontrare strumenti urbanistici superficialmente definiti “ informatizzati” , si tratta nella realtà di strumenti urbanistici che sono stati semplicemente disegnati con l’uso del computer e con software di solo disegno come i CAD. La confusione che esiste fra il risultato (la restituzione grafica) e la modalità con cui viene prodotto (l’elaborazione dei dati) è ancora notevole, al punto che per molti non esiste differenza nell’impiego dei CAD o dei G.I.S. Questo equivoco di fondo ancora
molto diffuso va chiarito. A differenza dei sistemi CAD, che si limitano ad una rappresentazione geometrica della realtà, i G.I.S. utilizzano un modello di dati in grado di rappresentare tutti gli oggetti che esistono nel mondo fisico impiegando componenti geometriche elementari (poligoni chiusi, polilinee, punti) che, in quanto più duttili, meglio si prestano a rappresentare le forme complesse della realtà, alle quali associano e mantengono correlate le informazioni che le riguardano e le descrivono. Utilizzare un G.I.S. per la pianificazione urbanistica consente non solo di produrre gli elaborati grafici necessari, ma il suo valore sta nella possibilità di porsi come sistema informativo territoriale suscettibile di continue implementazioni e integrazioni, rivolto al monitoraggio dell’attuazione dello strumento urbanistico ed alla gestione delle trasformazioni territoriali. Se il software è di per sé uno strumento in grado di immagazzinare, in forma organizzata, elaborare e restituire in forma grafica ed alfanumerica i dati riferiti ad uno spazio fisico, il concetto di sistema informativo va ben oltre, in quanto coinvolge un apparato più complesso di componenti non ultime quelle di chi lo progetta che deve definire il sistema e le modalità di immagazzinare, analizzare, processare i dati raccolti riferiti ad uno spazio fisico. Nati, si dice, per scopi militari, la duttilità dei G.I.S. permette di impiegarli ogni qualvolta associare informazioni di natura diversa, alla loro collocazione spaziale, aumenta la qualità informativa e le potenzialità di elaborazione dei dati. Ritornando agli aspetti disciplinari,
Opicino de Canistris, La Lombardia, (da: De Laudibus Civitatis Ticinensis, 1320 circa).
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per contro, che nel 1952 Giovanni Astengo dedicava alla rappresentazione dei dati uno dei due volumi sui criteri di indirizzo per lo studio dei piani territoriali). Decisamente sottovalutato se non ignorato nel caso dei Sit, l’intento comunicativo diventa preponderante in alcuni progetti, programmi e piani recenti, dove il tipo di immagini, il loro montaggio, i supporti scelti sono talvolta sintomi di un’iper-attenzione comunicativa. Il convincimento, ormai diffuso tra i progettisti, che la produzione di immagini capaci di catturare l’attenzione di cittadini e decisori sia importante per l’esito delle loro proposte, condizione talvolta decisiva per acquisire credibilità e fiducia, rende pertinente il ricorso alle tecniche pubblicitarie, soprattutto alle più collaudate e accessibili tramite i software in commercio. Il dibattito sul rapporto tra arte contemporanea e pubblicità, sulle evidenti relazioni di scambio tra l’una e l’altra, aiuta a considerare questo processo di indubbio interesse, ma a com-
essere attori coscienti nel processo conoscenza-decisione-azione-effetto, in un contesto in cui le trasformazioni degli scenari di riferimento sono sempre più rapide e in cui la complessità degli elementi e delle relazioni in campo necessita di apparati conoscitivi sempre più ricchi ed aggiornati, richiede la possibilità di monitorare con tempi utili l’evolversi dei fenomeni territoriali ed ambientali onde assumere tempestivamente le decisioni conseguenti. Questo tema, della capacità di assumere tempestivamente decisioni, emerso fortemente nel dibattito che in questi anni ha accompagnato le esperienze lombarde per la redazione dei P.T.C.P., ha di fatto sottolineato, anche se in modo riduttivo, l’utilità dei G.I.S. per la messa a punto di quello che è stato definito il “ sistema delle
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conoscenze” . Nonostante ciò, se per chi utilizza i G.I.S. nella pratica professionale, è ormai chiara l’utilità dello strumento nel consentire l’elaborazione di piani scientificamente più qualificati e controllati, ancora lontano sembra essere un impiego diffuso ed adeguato di tale tecnologia. Questo traguardo richiede un implicito salto culturale nella conoscenza delle potenzialità degli strumenti e nella loro corretta utilizzazione, processo al quale non possono essere estranei gli enti locali che per primi hanno la responsabilità del governo dei fenomeni territoriali e ne detengono le informazioni, ma questo è un tema che da solo occuperebbe l’intero spazio che mi è stato concesso e che pertanto è opportuno rimandare ad una futura occasione.
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La cartografia nel progetto di architettura di Giancarlo Motta
Bernardo Maria Robecco, Il stato di Milano e suoi confini, 1721.
Leonardo da Vinci, Pianta e veduta prospettica di Milano (da: Codice Atlantico, 1497 circa).
Poiché produce spazio l’architettura si appoggia alle tecniche di rappresentazione dello spazio: dalla geometria euclidea, all’assonometria, alla prospettiva, alle proiezioni ortogonali e anche alla cartografia. La cartografia è rappresentazione dell’invisibile: essa rappresenta il mondo come nessun occhio può vederlo. Coglie figure nascoste, non apparenti. Per queste ragioni lo spazio della cartografia non è lo spazio classico newtoniano assoluto e stabile. Lo spazio cartografico è variabile e soggettivo. Se ci riferiamo ai diversi significati di topos e chôra, lo spazio della carta più che al luogo misurabile di una topografia corrisponde allo spazio complesso della corografia. In essa i corpi sono presi nelle loro relazioni multiple, non solo metriche, non solo fisicamente descrivibili e controllabili. (Ne consegue un’idea di contesto che non attiene alla sola consistenza fisica dei luoghi, ma si estende a tutto ciò che la carta può rappresentare). La rappresentazione cartografica, in quanto corografia, intrattiene col luogo un rapporto complesso e soprattutto ambivalente. Essa nasce dal luogo, nel senso che è determinata dalla sua realtà fisica e materiale, ma anche lo determina, nel senso che la realtà del luogo non preesiste alla carta, ma si produce anche come effetto della sua rappresentazione. Il coinvolgimento è duplice e la produzione gioca nei due sensi. Il termine medio, ciò che sta al centro di questa oscillazione irriducibile, è l’architettura. Essa può ripetere e ricalcare le forme del sito perché le ha predeterminate nella costruzione della carta. L’architettura che si installa nel sito, che quindi viene dopo la sua realtà
e la sua rappresentazione cartografica, può rivestirsi delle forme dei luoghi e assumerne in parte i caratteri, solo perché essa ha agito già prima nella costruzione della carta. È l’architettonicità dell’ambiente fisico, rivelata dalla carta, che consente a quest’ultima di essere la base tecnica di disegno in cui si installa e prende forma il progetto di architettura. Il progetto, più che come qualcosa di originato e sorgente dai luoghi si palesa allora come un procedimento di ritorno nella carta, come un rientro dell’architettura nell’ambito di quelle figure che essa stessa ha contribuito a mettere in evidenza nella rappresentazione cartografica. Nella mia attività di ricerca e di progettazione ho indagato, con il gruppo di studiosi con i quali lavoro al Politecnico di Torino, i vari modi in cui le figure della rappresentazione cartografica entrano in rapporto con il progetto di architettura. La condizione più semplice e anche forse più naturale si dà quando il progetto riguarda un’intera realtà territoriale; quando, in altre parole, l’area di interesse del progetto coincide con quello della rappresentazione cartografica dei luoghi. Possiamo riconoscere due diversi casi: in entrambi le figure della carta passano direttamente nelle figure di progetto. Il primo è quello che riguarda le carte tematiche: esse operano sostanzialmente selezionando gli elementi del reale che il progetto riconferma con lo stesso grado di parzialità che contraddistingue la rappresentazione cartografica. In un secondo caso la carta opera nel progetto ma non per l’importanza data ad alcuni elementi scelti e quindi per i suoi contenuti, ma per i suoi dispositivi di disegno, per gli schemi che
tile e io credo più interessante di ripetere le figure della carta nella costruzione dello spazio interno, nella realizzazione del suo paesaggio artificiale anche nelle sue pieghe più nascoste. Questo succede quando, attuando anche violenti salti di scala, il progetto riesce ad appoggiarsi a particolari carte tematiche trovando in esse la possibilità di formulare risposte adeguate a singoli e del tutto particolari problemi individuati dal programma. Mi rendo conto di quanto sia difficile seguire queste diverse argomentazioni senza il supporto sperimentale di un lavoro di ricerca e dei risultati che esso produce: è per questo che in altra parte di questa rivista viene presentata l’ultima di una serie di pubblicazioni prodotte dal nostro gruppo di ricerca proprio sul tema dei rapporti che legano in modo inscindibile la rappresentazione della città e del territorio ed il progetto di architettura. Il suo titolo è “ Cartografia e progetto” .
7 Lombardia, carta manoscritta della seconda metà del XVI secolo.
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la caratterizzano in quanto rappresentazione, anche in assenza di oggetti geografici specifici. La griglia, la cornice, la legenda, la scala, la stratificazione dei livelli, da semplici principi di tecnica cartografica diventano elementi generatori del disegno dei luoghi. Una diversa condizione, più difficile da cogliere nella sua portata e nella sua influenza nel progetto, si dà quando il rapporto tra cartografia e progetto comporta un salto di scala, quando cioè dalla rappresentazione cartografica urbana o di più o meno vaste regioni territoriali si passa al progetto di edifici, sino alla caratterizzazione degli spazi interni. Anche qui il rapporto con la carta può essere visto in almeno due modi. In un primo caso la forma particolare del luogo determina la forma dell’edificio. È il caso, ad esempio, di edifici posti a nastro lungo le curve di livello o centrati sulla cima di una collina o a terrazzi, o di altro ancora. Ma esiste anche un modo più sot-
Dessein/dessin di Paola Viganò Questo breve scritto si interroga su quale sia il ruolo della rappresentazione visiva nella pratica dell’urbanistica oggi, tenendo conto del fatto che la percezione visiva, almeno dal libro di Arnheim in poi (Visual Thinking, 1969, trad it. Il pensiero visivo, Einaudi, Torino, 1974), è sempre più riconosciuta come attività conoscitiva, al pari di altre attività intellettuali. Il disegno può essere inteso come rappresentazione di un’attività conoscitiva svolta in questo caso da progettisti, architetti, urbanisti e che dà luogo, produce, attività conoscitiva presso chi guarda, presso i differenti attori e soggetti ai quali si rivolge il progetto della città. La continua ricerca di nuove modalità di rappresentazione adeguate al progetto contemporaneo che tengano conto dei temi del progetto contemporaneo, ma anche dei codici comunicativi e dell’estetica contemporanea, appare al-
lora un’attività di ricerca importante: tanto importante da poter discutere di alcune mosse, di alcuni approcci nei confronti del progetto urbanistico semplicemente a partire da come esso è disegnato. Gli esempi che porterò si muovono tra descrizione e progetto senza stabilire salti o rotture né concettuali, né operazionali o rappresentative. Nella lingua francese è possibile un gioco di parole tra disegno e prefigurazione, progetto, destino: le due parole se pronunciate producono un suono analogo evocando la dimensione costruttiva e progettuale del disegno che non ci consente di separare in modo netto il come disegno e il cosa disegno. Questo rapporto tra progetto e disegno appare particolarmente intrecciato e complesso nel caso del progetto di città e di territori, per lo specifico carattere del progetto urbanistico che è costituito di dif-
Corpo degli Astronomi di Brera, Carta topografica del Milanese e Mantovano, ristampa dell’inizio del XIX secolo.
Antonio Averulino detto il Filarete, Il sito della Sforzinda nella valle Inda, (da Trattato di Architettura, 1461-1464).
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Rappresentazione del confine fra la Valsassina milanese e la Val Taleggio bergamasca, 1582. ferenti e numerose forme progettuali e per questo ricorre a differenti tipi di rappresentazione, a differenti sistemi di notazione (e parlo di sistemi di notazione per la necessità di definitezza di un disegno che può anche essere prescrittivo, stabilendo diritti e doveri, obblighi e divieti e per la necessità della sua ripetibilità). In secondo luogo, l’assonanza dessin/dessein porta a riflettere sul rapporto tra i temi affrontati dal progetto urbanistico ed il loro disegno: ad esempio l’ipotesi che propongo è che l’enfasi attuale sul progetto dello spazio aperto abbia modificato profondamente i modi del disegno urbanistico, oltre che il ruolo del progetto dello spazio aperto nella costruzione dello spazio contemporaneo. Allo stesso modo la centralità di altri temi, le temporalità, le pratiche
d’uso, i nuovi materiali urbani, una nuova estetica, ha portato a modificare il modo di disegnare e pensare il progetto per la città e il territorio. Disegnare un progetto aperto, essiccato, simulato, inevitabilmente implicito, descrivere il territorio contemporaneo costruendo mappe che ne rappresentino le molteplici razionalità significa oggi attraversare una soglia della ricerca che si occupa della rappresentazione del mondo, sottoporre a verifica i tradizionali concetti di scala, di dimensione, di densità di informazioni. Un mondo fluido di relazioni (non a caso la topologia è al centro della costruzione di G.I.S.) si presenta ai nostri occhi e potenzialmente è in grado di modificare in profondità la costruzione della nostra conoscenza di un luogo, di una situazione, di uno spazio.
Il Sistema Informativo Territoriale della Regione Lombardia: un nuovo S.I.T. di Donata Dal Puppo La conoscenza dello stato del territorio sviluppata in Regione Lombardia a partire dall’inizio degli anni ‘80, si è evoluta da prodotti di tipo cartografico ad un Sistema Informativo Territoriale organizzato e complesso, condiviso nelle sue basi fondamentali non solo tra i diversi uffici dell’organizzazione regionale, al cui interno figurano circa 200 postazioni utenti distribuite in 13 Direzioni Generali, ma anche tra diversi enti locali, in particolare le Province, che vi trovano i supporti tecnici conoscitivi unificanti per l’elaborazione delle scelte del futuro assetto del territorio. Il S.I.T. è attualmente strumento di riferimento per la programmazione di interventi territoriali di livello regionale,
per la gestione di alcuni aspetti del territorio, per l’approfondimento di temi specifici quali quelli geologici, di dissesto idrogeologico, pianificatori (Mosaico degli strumenti urbanistici), di salvaguardia ambientale (Sistema Informativo dei Beni Ambientali - Sistema Informativo per la Valutazione Ambientale). Lo strumento attuale di riferimento del sistema è la Carta Tecnica Regionale alla scala 1:10.000, riferita al sistema cartografico Gauss Boaga, proiezione cilindrica trasversa conforme di Gauss, elissoide internazionale di Hayford, Roma’40, trasposta in formato numerico raster e vettoriale – quest’ultima denominata CT 10 –, dalla quale sono state dedotte basi
informative a scala di maggior sintesi. All’interno della Regione sono stati sviluppati diversi livelli tematici integrati alle basi di riferimento e diversi sistemi informativi relativi a componenti territoriali specifiche. Sono inoltre operativi diversi “ poli di settore” che sviluppano sistemi informativi relativi a singoli argomenti, quali il Sistema Informativo dei Trasporti, il Sistema Informativo per la Bonifica e l’irrigazione del Territorio rurale, la Carta del Rischio del Patrimonio Culturale, il Sistema Informativo dei Suoli. Il Sistema Informativo Territoriale regionale sta attualmente potenziando i propri strumenti, con l’intento di promuovere lo sviluppo di un sistema integrato nell’ambito della pubblica amministrazione ed accessibile all’utenza privata. In particolare sono in corso di sviluppo alcuni progetti, condotti nell’ambito dell’Intesa Stato-Regioni-Enti Locali sul sistema cartografico di riferimento, approvata nel 1996 ed avviata operativamente nel 2000. In tale contesto sono state definite specifiche tecniche comuni di riferimento per la realizzazione di data base topografici e si concluderà, entro fine 2003, il raffittimento della maglia dei punti della rete unitaria di inquadramento plano-alti-
metrica nazionale “ IGM’95” per il territorio regionale. Sono stati inoltre predisposti per il territorio della Regione Lombardia, i “ livelli inf ormat ivi priorit ari alla scala 1:10.000” , che costituiscono il riferimento essenziale per la realizzazione di un sistema condiviso a livello nazionale. Il S.I.T. è uno strumento importante per comunicare le informazioni rilevate a diversi soggetti, che ne possono usufruire per proprie finalità. La Direzione Generale Territorio ed Urbanistica della Regione Lombardia diffonde le informazioni di base del S.I.T. all’utenza pubblica, alle Università e ai cittadini. Sulla base di una convenzione vigente con il Politecnico di Milano i dati prodotti dalla Regione vengono resi disponibili direttamente dal CEDAR agli studenti e ai docenti dell’Ateneo. La conoscenza del territorio lombardo, sviluppata e organizzata nel Sistema Informativo Territoriale, è disponibile via web, collegandosi all’indirizzo: www. cartografia.regione.lombardia.it/cartanet, attraverso il quale è possibile disporre in tempo reale dell’insieme delle informazioni relative alle aree di interesse. Il sito è organizzato come un contenitore di informazioni territoriali, in cui sono visualizzabili le cartografie regionali, le “ ortofoto” in formato digitale, e diversi livelli informativi tematici. Il sito è in via di implementazione con altre informazioni tematiche. Tale servizio si prefigge di dare un contributo alla diffusione della conoscenza per agevolare il rispetto dell’ambiente e delle risorse naturali e rendere trasparenti e visibili all’intera comunità le operazioni intraprese. Il Sistema Informativo della Regione Lombardia, sviluppato e gestito dalla Struttura dallo stesso nome della Direzione Generale Territorio e Urbanistica, tende a conf igurarsi sempre più come strumento partecipato, potenzialmente fruibile ed aggiornabile da una pluralità di soggetti, interessati a informazioni di diverso dettaglio, e a risultare sempre più integrato ai sistemi informativi non geografici, per support are elaborazioni che contemplino non solo aspetti prettamente fisici, ma anche aspetti di carattere socio-economico e programmatico.
L’esperienza del P.I.M. di Piero Nobile Questo breve scritto si propone di restituire un quadro conoscitivo sulle esperienze riguardanti l’utilizzo del Geographic Information Sistem (G.I.S.) nell’ambito delle attività di programmazione-pianificazione territoriale condotte nel più recente periodo dal Cen-
tro Studi per la Programmazione Intercomunale dell’area Metropolitana (P.I.M.). Il Centro Studi P.I.M. nasce nel 1961 come Associazione volontaria di Enti locali dell’area milanese, attualmente ad esso aderiscono la Provincia di Milano, il Co-
Unioncamere, relativi ai Comuni della Lombardia; la terza sezione, che comprende dati di differente natura (dai servizi, alla rete commerciale, all’uso del suolo, alla pianificazione locale, al mercato immobiliare, ecc.) di fonte e scala varia, aggiornati a diverse soglie temporali. Il valore aggiunto di queste informazioni risiede nella capacità di farle interagire sfruttando per intero la duttilità della strumentazione informatica, che consente di elaborare dati e cartografie utili a supportare non solo le fasi di analisi, ma soprattutto quelle progettuali degli studi. In concreto sono interessati tutti i diversi settori di progettazione nei quali il P.I.M. opera: dalla pianificazione urbanistica territoriale; agli interventi operativi in materia di infrastrutture della mobilità, di sistemazione ambientale, di sviluppo socio-economico locale. Nel campo della pianificazione territoriale ad esempio si richiama l’applicazione del G.I.S. negli studi per i progetti d’area, per i quali la costruzione del quadro progettuale articolato in linee di indirizzo ed in un’agenda di azioni strategiche viene espressa con schemi di riferimento spaziale che identificano ambiti privilegiati di intervento costruiti anche in relazione ai dati conoscitivi forniti dalle diverse basi del S.I.T. Nel caso di studi e proposte nel campo infrastrutturale ancor più le informazioni del S.I.T. mobilità, a confronto con quelle della pianificazione locale, dei progetti urbanistici e del sistema ambientale, aiutano a porre in rilievo potenzialità e criticità indirizzando la soluzione progettuale e gli interventi di mitigazione. Le esperienze a questo proposito spaziano dal caso dei Piani Urbani del Traffico e dei Piani della Mobilità a studi di fattibilità per la definizione di nuovi tracciati o di varianti significative di infrastrutture di trasporto. Riguardo poi alle attività nel campo della valorizzazione e riqualificazione ambientale i differenti strati del S.I.T. e le informazioni in esso contenuti, si veda ad esempio il caso dei dati qualitativi sulle emergenze ambientali o sul sistema idrografico o sulla rete ciclabile, sono indispensabili nella formulazione delle soluzioni progettuali sia per definire un sistema di percorsi per la mobilità ciclopedonale, sia per individuare un territorio da comprendere in un parco di interesse sovracomunale. È infine forse superfluo aggiungere che perché questo sistema informativo possa costantemente rappresentare valida base per l’elaborazione progettuale si deve garantire il continuo aggiornamento e la verifica delle informazioni che vengono inserite. Operazioni che richiedono la disponibilità e la programmazione di risorse in termini economici e di tempo, pena il decadimento del sistema e la progressiva inutilità.
Le scuole Corsi post-universitari di aggiornament o e f ormazione presso il Politecnico di M ilano, DIIAR Sistemi Informativi Geografici (corso base e avanzato). L’impostazione di un G.I.S. a partire dalla cartografia numerica con l’utilizzo degli standard ARC/INFO e ARCVIEW. Il Laboratorio di Rilievo, Cartografia Numerica, G.I.S. della Sezione Rilevamento del DIIAR (Dipartimento Ingegneria Idraulica, Ambientale, Infrastrutture Viarie, Rilevamento) ha attivato da diversi anni, nell’ambito dei Corsi di Istruzione Permanente, due corsi sui G.I.S. I corsi si propongono di offrire ai partecipanti un inquadramento generale delle problematiche relative alla strutturazione e utilizzo della Cartografia Numerica nei G.I.S. a supporto della gestione e della programmazione delle attività (pianificatoria ambientale, territoriale ed urbanistica, ecc.) a carico degli enti pubblici (Comuni, Province, Regioni, Comunità Montane). Prioritaria la volontà di offrire l’opportunità di erogare un servizio di supporto a quelle operazioni che, a partire dalla cartografia numerica di base, necessitano di dati strutturati sotto forma di G.I.S. sia nel campo dei Beni Culturali (supporto al progetto di restauro, mappatura tematico-materica, computo metrico, archeometria, mensiocronologia, cronotipologia, ecc.) che in campo ambientale. I corsi si articolano in un ristretto numero di lezioni teoriche e in una serie di esercitazioni pratiche PC assisted utilizzando gli standard ArcInfo, ArcView8.1, a gruppi di 2 persone, inerenti le seguenti tematiche: • introduzione ai G.I.S., il modello dati (entità e attributi), modelli relazionali e topologici, architettura ad oggetti; impostazione ed esempi di G.I.S. in diversi settori; • importazione di cartografia raster-vector (CTR 1:10000,1:5000, cart ograf ia comunale 1:2000, 1:1000, ecc.); • produzione di Cartografia Numerica a supporto di G.I.S. (collaudo, capitolati, standard, sistemi di codifica, norme tecniche, ecc.); importazione di dati (formati e standard); problemi di trasformazione cartografiche (UTM, Gauss Boaga, Cassini-Soldner); sistemi di riferimento (UTM-ED50, geocentrici-GPS); modelli di dati 3D: DTM, DEM, TIN e planivolumetrico; • strutturazione topologica, aggregazione di DBASE; • sistemi integrati Comuni-Catasto-P.R.G.; georeferenziazione anagrafe, civici; • utilizzo di immagini metriche digitali (tif, jpg), fotopiani ed ortofotocarte, georeferenziazione delle immagini sul formato vetto-
riale (dwg, dxf); redazione di mappe tematiche; • funzioni di data entry, importazione di tabelle ed archivi di attributi (formati txt, Excel, Approach, DBaseIV), connessione SQL a sistemi strutturati (Access,ORACLE); • funzioni di interrogazione, computo metrico, estrazione dei dati; progettazione e gestione delle reti tecnologiche e viarie, geocoding, gestione di pratiche amministrative (concessioni edilizie, ecc.), anagrafe e proprietà georeferenziate sulla cartografia di base e catastale; • modello dati e modalità di accesso da remoto in architettura Client-Server, WEB-G.I.S.; • gestione ed interrogazione di modelli 3D (TIN e LATTICE) generati da elementi discreti (coordinate, curve di livello, DTM); scelta dei modelli di interpolazione (Kriging, Triangolarizzazione, ecc.). Redazione di modelli planivolumetrici dell’edificato; • georeferenziazione di formati rast er/vect or sui modelli t ridimensionali del territorio (modulo GRID): coni ottici, viste panoramiche, simulazioni paesistiche. I corsi si propongono, attraverso l’illustrazione di una serie di casi – sotto forma di esercizi strutturati – di “ insegnare a fare” , con l’obiettivo di fornire una preparazione di base e capacità operativa (a fine corso vengono distribuiti i contributi del corso sotto forma di dispense e Cdrom). I destinatari dei corsi sono generalmente Diplomati e/o Laureati in Architettura, Ingegneria, Geologia, Scienze Agrarie, Scienze Ambientali, dipendenti e liberi professionisti, tecnici, funzionari e dirigenti di Enti Pubblici (Comuni, Province e Regioni). Questi corsi hanno una durate di 4 giorni per un totale di 32 ore. Il direttore dei corsi è il prof. Carlo Monti. Le lezioni vengono tenute da: prof.ssa Raffaella Brumana, arch. Carlo Savi, arch. Cristiana Achille, arch. Luigi Fregonese. Informazioni: Cristiana Achille, Politecnico di Milano, DIIAR – sez. Rilevamento, p.zza Leonardo da Vinci 32, 20133 M ilano, t el. 022399-6533, fax. 022399-6550; crist iana.achille@polimi.it info_corsi@diiar-topo.polimi.it Cristiana Achille I sistemi informativi geografici e la tutela, conservazione del paesaggio culturale Grandi sono oggi le possibilità che il progresso dei mezzi informatici ha messo a disposizione per indagare e rappresentare lo spessore storico del territorio. Le banche-dati computerizzate ed il loro abbinamento con i Geographical Information System (G.I.S.), dove trovano ospitalità i più raffinati
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mune di Milano ed 80 Comuni della stessa area. Il P.I.M. svolge attività di supporto operativo e tecnico-scientifico nei confronti degli Enti associati e di altri soggetti pubblici, con l’obiettivo di favorire la cooperazione e la concertazione in materia di pianificazione-programmazione territoriale, infrastrutturale, ambientale e in tema di sviluppo socio-economico locale. Nella sua più che quarantennale esperienza il P.I.M. ha sempre riservato uno spazio importante – nell’ambito degli studi, ricerche e progetti – alla conoscenza del territorio ed ai processi di trasformazione, costruendo e mantenendo aggiornato un Sistema Informativo Territoriale (S.I.T.) relativo all’occupazione del suolo; alla pianificazione comunale; al quadro dei progetti urbanistici; al sistema dei parchi e delle aree protette; all’assetto delle infrastrutture della mobilità ed alle dinamiche socio economiche. Può forse apparire banale sottolineare che l’” abitudine” all’utilizzo di questa ricca base di dati ed informazione ai fini dello svolgimento delle attività di studio, ha aiutato e guidato lo sviluppo e la trasformazione del S.I.T. da cartaceo a informatico, con la costruzione del G.I.S. L’avvio del processo di formazione del G.I.S. del Centro Studi P.I.M. è avvenuto a partire dalla metà degli anni Novanta. I sistemi informativi utilizzati sono ArcInfo e ArcView, software molto diffusi e soprattutto in uso presso la Regione Lombardia, la Provincia di Milano e diversi enti locali. I temi principali contenuti nel GIS sono: • il Mosaico Informatizzato degli Strumenti Urbanistici dei 188 Comuni (MISURC) della Provincia di M ilano, in continuo aggiornamento, costruito secondo la legenda unificata adottata poi dalla Regione Lombardia; • il S.I.T. Mobilità relativo allo stato e all’uso delle infrastrutture nella regione urbana milanese, che risponde alla necessità di considerare in modo quanto più integrato le diverse infrastrutture (strade, ferrovie, aeroporti, centri merci), le utenze (persone e merci) e le modalità di offerta (trasporto pubblico e individuale); • il Mosaico dei Piani delle Aree Regionali Protette (MOSPAR) della Provincia di Milano, che rappresenta in forma omogenea le previsioni degli strumenti di pianificazione e gestione delle aree protette (dai Parchi Regionali ai Parchi locali di interesse sovracomunale); • La Banca Dati socio-economica, strutturata in tre sezioni: quella demografica e abitativa, che comprende dati di fonte ISTAT, relativi ai Comuni delle province lombarde e di quella di Novara; quella sul lavoro, che comprende dat i di fonte ISTAT, relativi agli stessi Comuni della prima sezione, e dati ASPO (Archivio Statistico Provinciale per l’Occupazione), di fonte
G.I.S., fotogrammetria, cartografia numerica, modelli catalografici ICCD; • A.A. 2002, Esperti nelle tecniche avanzate per la conoscenza e la conservazione dei beni culturali diffusi (archeologia, architettura, paesaggio): G.I.S., fotogrammetria, cartografia numerica, modelli catalografici; • A.A. 2003, Esperti nella lettura e nell’elaborazione della cartografia storica e contemporanea per la gestione del paesaggio e del territorio (G.I.S., cartografia numerica, fotogrammetria, GPS). Laboratorio di diagnostica per la conservazione e riuso del costruito, via Durando 38/a, 20158 Milano, tel.0223995825, fax. 0223995815, e-mail susanna.bortolotto@polimi.it, http://polimi.it
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Susanna Bortolotto
Luca Antonio De Rubertis, Lombardia, Venezia, 1515-25. modelli di analisi spaziale, hanno in pochi anni ampliato la possibilità di archiviare informazioni e dati disponibili sul patrimonio culturale di un territorio. Lo stato dell’arte nell’ambito dello studio dei paesaggi storici e del territorio ci indica nel G.I.S. lo strumento operativo per eccellenza per la gestione e la rappresentazione di informazioni complesse (informazioni multidimensionali e multitemporali). Tale nuova strumentazione permette di accedere velocemente a molti dati, anche in modo incrociato, con facili rimandi ad altre informazioni. Il G.I.S. permette, altresì, una lettura diacronica e sincronica del territorio facendo colloquiare i dati delle sezioni temporali orizzontali con la storia verticale, cioè la storia di t ut t i gli event i che si sono sovrapposti in quel dato contesto geografico. Il G.I.S. è una tecnologia “ modulare” , cioè composta da diverse parti che possono essere scelte secondo gli obiettivi preposti. In primo luogo G.I.S. è uno strumento ottimale nella gestione di una vasta mole di dati e, in secondo luogo, questo strumento è un valido mezzo di ricerca per la produzione di nuova conoscenza. L’utilizzo di un G.I.S. per lo studio del paesaggio culturale, è quello di creare una piattaforma informatica atta a supportare una ricerca volta a dialogare con futuri strumenti di piano per la progettazione, pianificazione, tutela, conservazione, e sviluppo di un territorio. Tale strumentazione può agevolare forme di comunicazione, gestione e condivisione dell’informazione acquisita soprattutto nel dialogo con le istituzioni che governano il territorio e con i Sistemi Informativi Territoriali (S.I.T.) provinciali o regionali; solo in questo modo le indagini
potranno trovare le corrette interfacce con le politiche territoriali. Il primo obiettivo che si può raggiungere con G.I.S. si concentra nella realizzazione di analisi sincroniche e diacroniche sovrapponendo i dati in successione, interpretando gli spazi, i sistemi infrastrutturali, le tracce, le altimetrie, i dati toponomastici ed archeologici che costituisco l’assetto territoriale attuale. Viene ricostruito così il processo di formazione ed evoluzione attraverso una “ modellazione” delle vicende del popolamento e dello sfruttamento del suolo, ma non solo. L’interpretazione dell’evoluzione storica e culturale del territorio, può produrre, come prima accennato, una serie di “ tematismi” , su base cartografica, dove è possibile leggere – per ogni categoria – gli indizi, le presenze e le assenze della “ memoria storica” del paesaggio. Il secondo obiettivo, invece, corrisponde alla possibilità di trasferire, ai S.I.T. provinciali o regionali, le informazioni elaborate con le carte tematiche attraverso le quali leggere i processi storici susseguitesi nella formazione del territorio e soprattutto mappare le risorse del territorio con strumenti di piano. L’esperienza della lettura del territorio mediante G.I.S. può diventare uno strumento operativo per una corretta valutazione e gestione della pianificazione, nonché come supporto per analizzare e prendere decisioni o programmare interventi. Questo nuovo modo di proporre i risultati di un’indagine territoriale e la trasposizione dei modelli prodotti all’interno di situazioni storiche facendo incrociare piani di informazione spaziale orizzontale con piani di informazione ver-
ticale è solo l’inizio dell’esperienza. Il G.I.S., infatti, non solo ci permette di ricostruire sincronia e diacronia dei sistemi infrastrutturali, delle organizzazioni insediative e produttive confrontando ed integrando diversi tipi di analisi, ma al tempo stesso ci fornisce indicazioni preziose per una pianificazione consapevole. Pianificazione che dovrà annoverare tra le proprie finalità il mantenimento della “ varietà” delle stratificazioni dell’eredità storica con l’individuazione delle strategie d’intervento più appropriate atte alla valorizzazione del patrimonio culturale in stretta collaborazione con gli enti preposti alla tutela ed alla gestione del territorio. Metodi nuovi, problemi nuovi, e la necessità di ripensare la formazione di nuove competenze professionali – in ambito universitario – con corsi di perfezionamento post-laurea. Il Laboratorio di diagnostica per la conservazione e il riuso del costruito, Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano - ha dal 1999 istituito annualmente corsi di G.I.S. applicati al paesaggio costruito: studio dell’ambiente e degli insediamenti antichi come sistemi integrati per trovare un giusto equilibrio tra le tecniche, la riflessione critica sul passato ed un etica d’intervento per il futuro. I corsi che si sono svolti sino ad oggi – sotto la direzione del prof. M. Boriani, e il coordinamento degli architetti S. Bortolotto, A. Frigo – sono i seguenti: • A.A. 1999 – 2000, Tecniche di indagine per la tutela e la conservazione del paesaggio culturale; • A.A. 2001 – 2002, Esperti nelle tecniche avanzate applicate ai metodi conoscitivi e alle procedure di lavoro per il progetto di conservazione dei beni culturali diffusi.
M aster in “Sistemi informativi geografici per l’ambiente e il territorio” La Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano ha attivato nell’anno accademico 200203 un corso per Master di primo livello in “ Sistemi informativi geografici per l’ambiente e il territorio” . Il corso, iniziato il 4 febbraio 2003, è stato finanziato dal Fondo Sociale Europeo. Allo stesso partecipano 20 studenti selezionati tra i 178 che hanno presentato domanda di ammissione come da bando ufficiale scaduto in data 24 gennaio 2003. Il corso è finalizzato a completare la formazione dei laureati sulle tematiche specifiche dei sistemi informativi territoriali e della loro componente informatizzata (G.I.S. – Geographical Information Systems) allo scopo di: • gestire le principali problematiche ambientali e territoriali con un riferimento particolare al territorio rurale; • realizzare banche dati territoriali; • definire e attuare tramite G.I.S. procedure di analisi volte alla soluzione di problematiche specifiche; • conoscere le principali piattaforme hardware e software G.I.S.; • interfacciarsi con gli enti pubblici dotati di tali sistemi di gestione. I possibili settori occupazionali per i detentori del Master comprendono: • pubblica amministrazione (Comuni, provincie, regioni, ministeri); • entità amministrative quali, ARPA, ASL, enti parco, comunità montane, consorzi di bonifica, consorzi forestali, autorità di bacino; • società private di servizi ambientali e territoriali; • studi di pianificazione e progettazione. Il corso si svolge a Milano presso la Facoltà di Agraria - via Celoria 2, 20133 Milano e il percorso formativo si struttura in 800 ore di
Informazioni: Università degli Studi di Milano, Istituto di Ingegneria Agraria, via Celoria 2, 20133 Milano tel. 02 50316854 (prof. Toccolini, direttore del master), 02 50316860 (dr. Paolo Ferrario, responsabile del laboratorio); e-mail: alessandro.toccolini@unimi.it; paolo.ferrario@unimi.it http://studenti.unimi.it/master/master0203/aree/corsifse.htm
una riflessione sul ruolo della rappresentazione cartografica all’interno dei procedimenti del progetto d’architettura, sia quello di formare una consapevolezza di questo ruolo produttivo della carta da parte dell’architetto che non solo opera attraverso questo tipo di strumentazioni ma che spesso si trova anche nel ruolo di produttore di elaborati cartografici. La “ messa in forma” del luogo del progetto che la carta produce può infatti essere considerata a tutti gli effetti un’attività appartenente al progetto, capace cioè di produrre le figure che in esso saranno sviluppate in quanto architetture. In quest’ottica gli argomenti specifici delle lezioni hanno tre caratterizzazioni diversificate: un primo gruppo riguarda i rapporti tra i diversi tematismi cartografici (espressione dei diversi problemi che le carte rappresentano) e i problemi del progetto attraverso l’analisi di esperienze di progetto collocate nella modernità; un secondo gruppo ha come oggetto la presentazione di casi concreti di applicazione al progetto dello studio sulla cartografia: si tratta sia di lavori di ricerca alla scala territoriale, sia di elaborazioni cartografiche condot t e per la redazione di st rumentazioni urbanistiche; infine, il terzo gruppo, sviluppato dai docenti invitati, affronta il tema delle relazioni interdisciplinari che la questione della cartografia implica nei confronti della geografia e dell’urbanistica. Politecnico di Torino, Dipartimento di Progettazione Architettonica, Dottorato di ricerca in architettura e progettazione edilizia, corso di Formazione di III livello Responsabile: prof. Giancarlo Motta. Giancarlo Motta
Una associazione, una rivista La Federazione A.S.I.T.A. Le discipline del rilievo e rappresentazione della Terra in Italia hanno radici scientifiche, tecniche e culturali di grande rilievo e spessore; negli ultimi decenni, grazie anche all’enorme impulso fornito dalle opportunità del calcolo elettronico, tali discipline hanno avuto una notevole rivoluzione per quanto riguarda la rapidità di esecuzione delle varie operazioni e la precisione delle misure, associata alla relativa facilità di uso di strumenti anche molto complessi. Sono molte le Associazioni scientifiche e culturali che si occupano di tali problemi, e verso la fine del secolo appena passato si sentiva la forte necessità di far convergere le persone coinvolte verso una unica grande situazione che permettesse la diffusione trasversale delle conoscenze; il nome che meglio sintetizza questa convergenza disciplinare è geomatica. La geomatica (geos: terra, matica: informatica) è definita come un approccio sistemico integrato multidisciplinare per selezionare gli strumenti e le tecniche appropriate per acquisire, integrare, trattare, analizzare, archiviare e distribuire dati spaziali georiferiti in un flusso di lavoro digitale continuo. La geomatica è nata nell’Università di Laval in Canada nei primi anni Ottanta con la precisa cognizione che le crescenti potenzialità offerte dal calcolo elettronico stavano rivoluzionando le scienze del rilevamento e rappresentazione e che la già in crescita video-grafica era compatibile con il trattamento di quantità, impensabili fino al momento, di dati. La rivoluzionaria intuizione
di quel periodo fu imperniata sulla georeferenziazione di tutto ciò che è posizionato sul nostro pianeta. (Le discipline e le tecniche che la costituiscono sono: la geodesia, studio della forma e delle dimensioni della terra; la topografia, l’insieme delle procedure del rilievo diretto del territorio; la cartografia, rappresentazione grafica o numerica di zone più o meno ampie della superficie terrestre secondo regole prefissate; la fotogrammetria, analisi metrica degli oggetti effettuata sulle immagini fotografiche opportunamente scattate; il telerilevamento, acquisizione digitale a distanza di dati riguardanti il territorio e l’ambiente nonché l’insieme dei metodi e delle tecniche per la successiva elaborazione e interpretazione; l’informatica, insieme di programmi che consentono la realizzazione di Sistemi Informativi Territoriali (S.I.T.) o G.I.S. (Geographical Information System), che è un “ contenitore” dei dati geotopocartografici provenienti da diverse fonti ed organizzati per tutte le elaborazioni necessarie per la conoscenza e la gestione del territorio e dell’ambiente. Gli elementi in essa integrati sono: i sistemi di posizionamento globale, il rilevamento del territorio con laser scanner, la cartografia e la fotogrammetria digitale, il telerilevamento da aereo e da satellite con sempre migliori risoluzioni geometriche, spettrali, radiometriche e temporali, i Sistemi di Supporto alle Decisioni (D.S.S.) sviluppati in ambiente G.I.S. Nasce così il 30 marzo 1998, per volere di poche ma determinate persone, l’A.S.I.T.A. Federazione delle Associazioni Scien-
Paolo Ferrario Cartografia e progetto di architettura Il Corso, che si svolge all’interno del Dottorato di ricerca in architettura e progettazione edilizia del Politecnico di Torino, riguarda lo studio dei rapporti tra la rappresentazione cartografica del t errit orio e della cit t à e le f igure del progetto di architettura. Il Corso affronta questo tema attraverso una serie di lezioni tenut e da docent i del Collegio del Dottorato. La durata del Corso è di 30 ore. Nel Corso sono affrontate in particolare le relazioni che legano le tecniche della rappresentazione cartografica alle figure del progetto. La cartografia è dunque vista come un dispositivo nel quale le convenzioni della rappresentazione hanno lo stesso ruolo produttivo delle tecniche compositive preposte alla costruzione delle figure del progetto. L’obiettivo del Corso è sia quello di impostare
Marc’Antonio Barateri, Novo et accurato disegno della Lombardia, Codogno, 1637.
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attività, di cui 80 ore trasversali, 440 ore tecnico-specialistiche e 280 ore di stage, ripartite nei seguenti moduli: • Elementi di Cartografia (16 ore); • Fotogrammetria e fotointerpretazione (40 ore); • Telerilevamento da satellite princìpi (16 ore); • Telerilevamento da satellite - applicazioni (24 ore); • Progettazione e gestione di basi di dati territoriali (24 ore); • Tecnologia G.I.S. (16 ore); • Laboratorio G.I.S. (48 ore); • Modellistica applicata al territorio (24 ore); • Sistemi informativi territoriali e pianificazione fisica del territorio (16 ore); • Analisi economica e statistica per il territorio e valutazione ambientale (40 ore); • G.I.S. e metodologie di pianificazione territoriale (40 ore); • G.I.S. per le problematiche ambientali in agricoltura (48 ore); • G.I.S. per la difesa del suolo e la gestione delle risorse idriche (48 ore); • G.I.S. per la gestione dei sistemi colturali (48 ore); • Tecnologie avanzate per la gestione della meccanizzazione agricola sul territorio (40 ore); • Forum di discussione (16 ore); • Visite tecniche (16 ore); • Tirocinio (280 ore). Il corso verrà riproposto anche nel prossimo anno accademico.
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tifiche per le Informazioni Territoriali ed Ambientali) che è una Associazione che opera senza fine di lucro nel campo del rilevamento, della gestione e della rappresentazione dell’informazione territoriale e ambientale; essa raggruppa quattro Associazioni scientifiche preesistenti, e cioè SIFET, A.I.T., A.I.C., AM/FM. In ordine di anzianità, i Soci fondatori sono quattro, in particolare: • SIFET, Società Italiana di Topografia e Fotogrammetria, rappresentante per l’Italia della ISPRS (Int ernat ional Societ y f or Phot ogrammetry and Remote Sensing). • A.I.C., Associazione Italiana di Cartografia rappresentante per l’Italia dell’ICA (Associazione Internazionale di Cartografia). • A.I.T., Associazione Italiana di Telerilevamento, dal 1996 Associate Member della ISPRS. • AM/FM/GIS Italia, Automated Mapping/Facilities Management/ Geographic Inf ormat ion System/Italia, rappresentante per l’Italia di EUROGI (European Umbrella for Geographical Information). Queste Associazioni operano non a fine di lucro e hanno complessivamente più di 2700 soci in Italia, distribuiti nel settore della ricerca (Università, CNR, ENEA), in quello produttivo, privato e pubblico (Organi Cartografici dello Stato), nella pubblica amministrazione (Ministeri, Regioni, Provincie, Comuni) e nei servizi. Le f inalit à della Federazione A.S.I.T.A., come da statuto, sono: • promuovere le attività nel settore dell’informazione territoriale e ambientale per una migliore conoscenza, gestione e tutela del territorio; • diffondere tutte le discipline re-
lative al rilevamento, alla rappresentazione e alla gestione delle informazioni territoriali e ambientali, attraverso la Conferenza Nazionale, corsi, seminari e giornate di lavoro, pubblicando materiale divulgativo, didattico e scientifico; • svolgere un ruolo di connessione tra le Associazioni e le istituzioni; • favorire gli incontri per scambi culturali tra i soci delle diverse Associazioni. La preparazione di questa storica convergenza è iniziata nel 1995 con la costituzione di una Commissione SIFET: “ Rapporti con l’esterno” ed il primo invito a SIFET, A.I.C. e AM/FM da parte di A.I.T. di far parte del Consiglio Scientifico del VII Convegno Nazionale A.I.T. di Chieri ‘95. La Commissione si è progressivamente allargata infittendo i contatti e il confronto che hanno portato all’organizzazione congiunta della 1ª Conferenza Nazionale A.S.I.T.A. a Parma nel 1997 da parte di SIFET, A.I.C., A.I.T. e AM/FM. L’esperienza ed il successo della 1ª Conferenza A.S.I.T.A. hanno indotto le quattro Associazioni a sviluppare ulteriormente questa forma di collaborazione dando vita all’attuale Federazione. La Federazione si propone di rappresentare annualmente lo stato dell’arte scientifico ed applicativo dei G.I.S., del telerilevamento, della fotogrammetria e della cartografia, ecc., e di operare come luogo di proposta e di confronto per mediare – tecnicamente – sulle soluzioni perseguibili di riforma del settore, in appoggio ai tavoli istituzionali dell’intesa fra Stato-RegioniEnti locali-Aziende di pubblico servizio, nonché in sede parlamentare. Nel corso degli anni svariati sono
stati i temi sviluppati durante le Conferenze Nazionali, i cui Atti sono disponibili agli interessati. Le Conferenze Nazionali ad oggi sono state sei, la settima si terrà a Verona dal 28 al 31 ottobre 2003. Per informazioni si può consultare il sito della Federazione che è: http://www.A.S.I.T.A..it. Da un punto di vista scientifico l’A.S.I.T.A. demanda alle singole Associazioni federate lo sviluppo di temi specialistici, mentre si riserva, durante le Conferenze Nazionali, il ruolo di coordinamento e di diffusione rapida e trasversale delle conoscenze, offrendo un tessuto connettivo di prima importanza in Italia: di questi tempi in cui il territorio è soggetto a rapide trasformazioni il tempestivo aggiornamento delle varie rappresentazioni della superficie terrestre assume un’importanza tale da far passare, paradossalmente in secondo piano l’accuratezza della restituzione: meglio un’informazione approssimata subito che una precisissima fra anni, quando potrebbe non essere più utile. Giovanmaria Lechi Una rivista: M ondoGIS MondoGIS, il mondo dei Sistemi Informativi Geografici, è l’unica rivista indipendente del settore in Italia, è il punto di riferimento informativo per tutti coloro che operano come utenti e fornitori nei diversi campi del G.I.S. e dell’Informazione Geografica. Gli articoli e le rubriche di MondoGIS fanno di questa rivista una vetrina di applicazioni reali, di progetti e di tecnologie che costituiscono lo stato dell’arte dei Sistemi Informativi Geografici in Italia e quindi
Catasto teresiano, folio n. 2 di Cimiano, Reverendo monastero della Vichabbia, metà del XVIII secolo.
una guida sicura per chi opera in ogni settore applicativo. MondoGISè orientato ai tecnici e agli Amministratori che hanno adottato o devono adottare Sistemi Informativi Geografici nell’azienda o nell’ente in cui lavorano (Regioni, Province e Comuni, Comunità Montane e consorzi, studi tecnici e società di ingegneria, aziende private, finanziarie, commerciali, banche, assicurazioni, servizi sociali e sanitari). Fra i lettori più assidui sono presenti anche molti liberi professionisti (architetti, geologi, geometri, ingegneri, biologi, ecc.) che svolgono attività di consulenza tecnica, docenti, ricercatori e studenti universitari delle facoltà e degli istituti nei quali si utilizzano o si studiano strumenti ed applicazioni G.I.S. MondoGIS ha un supplemento, CARTOgraphica, il notiziario dei dati geografici, ove è possibile leggere articoli che hanno come oggetto nuove banche dati, tecniche di produzione, qualità, prezzi, normative nazionali ed internazionali, servizi di acquisizione, elaborazione e personalizzazione dei dati, hardware e software per la produzione di dati geografici, formati proprietari e di scambio, DTM, cartografia numerica vettoriale e raster, immagini telerilevate d’aereo e da satellite. A corredo della attività redazionale è possibile trovare notizie sempre aggiornate sui siti Internet: www.mondogis.it, www.geoesplora.net , w w w.geoguida.it , www.geodati.com; inoltre, ogni 15 giorni per i lettori che lo desiderano, viene inviata la newsletter telematica con notizie su eventi, concorsi, e informazioni, novità dalle aziende del settore. Sandra Leonardi
a cura di Antonio Cortinovis e Alessandro Pellegrini
I S.I.T. Fino a pochi anni fa, spiegare cosa fosse l’informazione geografica e a che cosa esattamente servisse, sarebbe stato difficile sia dal lato tecnologico che nella pratica d’uso. Oggi l’uso di strumenti informatici in modalità locale o nella rete è diventato un uso quotidiano, da parte di tutti gli operatori usando i comuni browser per interrogare e rappresentare informazioni che provengono da banche dati geografiche fornite dai diversi enti. Le banche dati disponibili in formato vettoriale sono il risultato di un progetto finalizzato al rilievo delle informazioni e del costante lavoro di continuo aggiornamento delle stesse. Oggi si possono consultare diverse banche dati disponibili che costituiscono la rappresentazione e classificazione del territorio: la cartografia a scale diverse, i piani regolatori comunali, le reti tecnologiche, le reti viarie e di trasporto, ecc. Ogni informazione rappresentabile è collegata ad una tabella contenente i dati. I nuovi sistemi di rappresentazione, consultazione e archiviazione delle informazioni del territorio sono affidati ai Sistemi informativi territoriali basati su tecnologia G.I.S., quindi ogni elemento ha un riferimento preciso di coordinate per la rappresentazione sul territorio, rendendo possibile la sovrapposizione delle informazioni. Le informazioni contenute in un progetto dipendono dalla sua utilità e presuppongono un costante aggiornamento che consente all’utente di interagire direttamente nelle decisioni e nelle valutazioni. La condivisione della Cartografia Raster, delle banche dati vettoriali e le ortofoto a colori in uso presso la Regionale Lombarda La Direzione Generale Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia utilizza un sistema web per rendere accessibile on–line le banche dati vettoriali e cartografiche raster (c.t.r.) e per ultimo le ortofoto a colori. La Regione Lombardia ha acquisito le ortofoto a colori della Compagnia Generale Riprese Aeree di Parma. Dette immagini hanno una risoluzione di un metro al suolo che garantiscono un altissimo livello qualitativo ed un elevato contenuto informativo. Attraverso l’utilizzo del software ER Mapper vengono processati i dati che permettendo agli utenti una consultazione rapida delle informazioni pubblicate via internet tramite Image Web Server. Complessivamente le ortofoto a colori occupano quasi 130 gigabyte ed ogni sezione corrisponde a un
file TIFFdi oltre 120 megabyte. Alla fine del 2000 erano già disponibili un centinaio di sezioni relative a quasi tutte le Province. La Planetek Italia ha lanciato sul mercato Image Web Server, uno strumento innovativo per la distribuzione di dati raster su internet che sfrutta i vantaggi della compressione ECW di ER Mapper. Questo particolare software sfrutta l’efficienza dei protocollo ECWP per la trasmissione di file compressi garantendo una visualizzazione immediat a indipendent e dalla dimensione dei file immagine cui si accede e consente, una volta mosaicati e bilanciati i colori delle ortofoto, di ridurre le dimensioni di ogni ortofoto fino a 40 volte e quindi di renderne istantanea la visualizzazione. La Direzione Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia ha quindi deciso rendere utilizzabile le potenzialità di Image Web Server per distribuire le ortofoto mosaicate via web e rendere la banca dati accessibile direttamente da ambienti G.I.S. e C.A.D. Dopo una semplice installazione del plug-in e di relativa configurazione è possibile accedere alla banca dati anche attraverso i normali browser internet, o ancora è possibile utilizzare le ortofoto anche all’interno di applicazioni Office, come ad esempio Word o Excel, che supportano la tecnologia OLE, quando si vanno a redigere relazioni o report. La compressione ECW consente una diffusione capillare delle immagini a tutti gli utenti regionali, attraverso una semplice modalità d’accesso tramite Internet Explorer e la rete intranet, ma anche offrendo uno strumento operativo a tutti gli utenti che avevano necessità di collegarsi direttamente alla banca dati mediante il software G.I.S. in uso (Arcview della ESRI). Accanto alle ortofoto a colori, si sono infatti resi disponibili altri dati cartografici di pertinenza della Regione Lombardia. Si è quindi deciso di mettere in linea anche la Cartografia Tecnica Regionale della Regione Lombardia in scala 1:10.000; la cartografia della Regione Lombardia in scala 1:50.000 CT50; la cartografia della Regione Lombardia in scala 1:50.000 edizione 1980. Inoltre sono state rese disponibili le carte dei dissesti idrogeologici di alcuni bacini idrografici lombardi, nonché il mosaico di ortofoto AIMA della Regione Lombardia. Il lavoro di Planetek Italia è consistito nella mosaicatura, compressione ed installazione delle diverse banche dati. La pagina web che è stata realizzata consente di selezionare rapidamente il dato che si vuole visualizzare e di individuare immediatamente le porzioni del territorio di interesse senza dover attendere il caricamento dell’immagine. In questo modo la diffusione della conoscenza dei territorio regionale si è ampliata permettendo un’integrazione con immagini aeree alle informazioni cartografiche digitali gestite dalla Direzione Generale Ter-
ritorio e Urbanistica. Il sistema consente l’accesso a client G.I.S. con ArcView, che da remoto, sia su intranet sia attraverso internet, possono creare layer tematici raster puntando a file disponibili su server esterni per sovrapporli, come già detto, a banche dati vettoriali. Ogni banca dati, nonostante l’area geografica di riferimento sia sempre l’intero territorio regionale, è gestita come un unico file che, nonostante le grosse dimensioni, viene visualizzato sempre in maniera istantanea grazie all’efficiente sistema di compressione ECW di ER Mapper. Il formato ECW ottimizza la velocità di consultazione, grazie all’efficiente sistema di compressione ECW di ER Mapper, ed ha consentito di ridurre le dimensioni di 592 file passando da oltre 100 GB a soli 10 GB per coprire l’intero territorio regionale. La soluzione adottata, così come confermato dagli amministratori della regione Lombardia, ha permesso la diffusione capillare delle ortofoto a tutti gli utenti regionali, usando semplicemente un normale sistema di consultazione utente e, per utilizzi professionali per applicazioni cartografiche, utilizzando il software G.I.S. ArcView. In questo modo la diffusione della conoscenza del territorio regionale si è ampliata, permettendo l’integrazione delle immagini aeree alle informazioni cartografiche digitali gestite dalla Direzione Generale Territorio e Urbanistica. Silvio Cominardi
Brescia a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli
Il G.I.S della provincia di Brescia L’ente Provincia di Brescia si è dotato dal 1988 di un sistema G.I.S. di cui si occupa uno specifico ufficio all’interno del settore “ Trasporti, cartografia e G.I.S.” . Visitando il sit o della Provincia all’ indirizzo www.provincia.brescia.it/G.I.S. si possono ricevere utili indicazioni in generale su cosa è il G.I.S., in quali componenti si articola, in che modo lavora, in che modo viene utilizzato. Vi è poi, in particolare, l’illustrazione del G.I.S. della Provincia di Brescia, com’è organizzato, gli strumenti di cui si serve, l’indicazione delle banche dati geografiche create e raccolte nei diversi anni di attività ed implementazione del G.I.S., raggruppate per aree tematiche. Di questi dati, per il momento di natura riservata int erna, sono disponibili alcuni esempi campione, nella sezione “ Banche Dati” . Al fine di illustrare i programmi ed i progetti del settore Trasporti, cartografia e G.I.S. della Provincia di Brescia per l’anno in corso riportiamo qui di seguito uno stralcio dalla relazione al bilancio di previsione 2003, fornitoci dal G.I.S. manager dott. Dario Dominico. In particolare, relativamente allo sviluppo del progetto di collaborazione con l’Università degli Studi di Brescia, con l’installazione e la gestione di una stazione permanente GPS, ci sono stati segnalati, per chi volesse approfondire, i siti www.topotek.it e www.rilevamento.it . P. T. “ I prodotti ed i servizi in materia di Cartografia e G.I.S. consistono nella realizzazione di cartografie e di banche dati geografiche, eseguite su progettazione, direzione lavori e collaudo interno, con la finalità ultima di realizzare un sistema cartografico provinciale integrato con un sistema per la gestione informatizzata dei dati geografici, a supporto delle attività di pianificazione e gestione in campo territoriale di competenza della Provincia, degli Enti Locali e degli altri operatori territoriali, sia pubblici che privati. Le cartografie vengono prodotte e aggiornate mediante la partecipazione a iniziative cartografiche promosse dalla Provincia o da Enti esterni, quali la Regione Lombardia, i Comuni o società di Comuni, Comunità Montane, BIM (Bacini intercomunali montani). Nel primo caso si tratta di progetti realizzati in toto all’interno della Provincia, prevalentemente per esigenze operative dell’Area Risorse Territoriali, in qualche caso, come per il catasto strade, per altri set-
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tori con competenze in campo territoriale. Nel secondo caso la Provincia fornisce la propria assistenza tecnica agli enti locali, mettendo a disposizione progettazione, direzione lavori, collaudi in corso d’opera. L’elemento che consente di ricondurre tutte le iniziative cartografiche, ciascuna f inalizzat a a raggiungere obiettivi specifici propri di ciascun “ cliente” , ad un unico, omogeneo e integrato sistema cartografico provinciale, è costituito dal fatto che, per lo sviluppo dei progetti e per i successivi collaudi, è stato predisposto dagli uffici della Provincia un sistema di specifiche tecniche standardizzato ed integrato al proprio interno. Sulla base dei progetti avviati e quelli in corso di definizione, si può prevedere che anche nel 2003 l’ufficio cartografico continuerà a fornire l’assistenza tecnica a diversi enti locali. Nel corso del 2003 troverà completa attuazione la convenzione con l’Università degli Studi di Brescia. Tale convenzione al fine di favorire anche a Brescia lo sviluppo delle più moderne tecnologie di rilevamento del territorio, ha come obiettivo l’installazione e la gestione di una stazione permanente GPS. L’istituzione di una stazione permanente GPS a Brescia potrà dare luogo a importanti sviluppi sia a livello applicativo per numerosi operatori che svolgono attività legate al rilevamento sull’intero territorio provinciale, sia a livello della ricerca che a livello didattico per gli studenti universitari che per quelli degli Istituti Tecnici provinciali. Il tutto con ricadute positive per gli Enti che gestiscono informazioni territoriali e in particolare per la Provincia, che ha già avviato varie attività che prevedono l’uso del GPS. In particolare ormai completata nel 2002 l’installazione della stazione GPS, per il prossimo anno potranno essere completate tutte le prove sperimentali. A seguito delle disposizioni normative che hanno stabilito i termini del decentramento delle competenze catastali ai comuni e su sollecitazione degli Enti locali e degli ordini professionali è stato attivato nel 2002 uno specifico progetto denominato “ Brescia: cartografia integrata per il territorio” . Con tale progetto, che verrà sviluppato nel 2003, la Provincia di Brescia intende avviare una significativa azione di coordinamento e di collaborazione con i Comuni attraverso la definizione di strumenti tecnici e la fornitura di assistenza nella fase realizzativa di informatizzazione e predisposizione delle banche dati cartografiche catastali. Le fasi di sviluppo prevedono la costituzione di un gruppo di lavoro composto da personale interno ed esterno all’Ente che compia un’analisi preliminare dello stato di fatto e formuli delle proposte di intervento. Attraverso una convenzione in fase di definizione con università e ordini professionali verrà istituita un’apposita commissione che valuterà le proposte di intervento. In
particolare si prevede che vengano formulate specifiche tecniche relative alle fasi di lavorazione, individuate le procedure operative con la suddivisione dei compiti tra i vari Enti ed operatori coinvolti e l’istituzione di corsi di formazione per personale specializzato in tale ambito specifico. In proposito verrà avviata una sperimentazione cartografica in un comune campione, finalizzata a verificare le specifiche tecniche messe a punto dall’ Ufficio Cartografico, i cui risultati verranno portati come contributo di discussione all’interno del gruppo di lavoro sopraindicato. Tutte le cartografie prodotte vengono organizzate dal G.I.S. definibile come insieme di persone, strumenti informatici, dati, mappe cartografiche, il cui fine è raccogliere, razionalizzare e gestire le informazioni territoriali. Oltre a migliorare il processo generale di conoscenza della geografia provinciale il suo uso consente di pianificare gli eventi, prevedere i risultati, definire strategie in diversi campi di competenza provinciale quali la pianificazione territoriale, la protezione civile, la tutela dell’ambiente. Le banche dati geografiche formate nel decennio, che per altro a livello di archivio cartaceo sono organizzate e gestite per la consultazione dal Centro di Documentazione Cartografica, sono disponibili sulla rete provinciale, vengono condivise dagli utenti in sola lettura, ammontano a circa 50 GB e riguardano: • elementi descrittivi la dimensione del territorio regionale lombardo a scala 1:250.000; • elementi descrittivi la geografia provinciale a scala 1:10.000; • carte tematiche varie di analisi e di progetto relative ai diversi strumenti di pianificazione urbanisticapaesistica-ambientale elaborati negli anni dalla Provincia; • carte tematiche sulle caratteristiche fisico-ambientali della provincia alla scala 1:10.000; • cartografie tecniche a grande scala (1:2.000 e 1:500) sviluppate nell’ambito della collaborazione con enti esterni (singoli comuni, società di comuni come Cogeme ed ASM, consorzi di comuni come il BIM di Valle Canonica, Comunità Montane come la Valle Sabbia). Recentemente con i diffondersi della cultura internet, si è provveduto ad organizzare il patrimonio informativo del G.I.S. all’interno del sito web della Provincia articolato in due sezioni: la prima orientata al pubblico esterno e la seconda orientata agli uffici dell’Ente; ciò al fine di favorire e diffondere l’uso dello strumento consentendo agli utenti di utilizzare e scaricare autonomamente alcune informazioni geografiche. L’esperienza maturata nel settore della cartografia e dei G.I.S., sia per gli aspetti organizzativi e tecnologici inerenti la gestione delle banche dati, che per quelli di tipo tecnico scientifico riguardanti la produzione cartografica, le nuove tec-
nologie informatiche apparse sul mercato,che consentono di pensare al G.I.S. come a un servizio trasversale ai settori dell’Amministrazione Provinciale nell’acquisizione, gestione e distribuzione di informazioni territoriali in contatto diretto con gli Enti Locali e più in generale con il cittadino anche grazie all’uso di un portale internet specifico, suggeriscono di ripensare in modo coerente e complessivo, ruolo contenuti e organizzazione del servizio cartografia e G.I.S. La predisposizione di un progetto in tal senso, costituisce, insieme al progetto Brescia: cartografia integrata per il territorio l’obiettivo prioritario in materia di cartografia e G.I.S. per il 2003” . Giuseppe Ferretti direttore servizio trasporti, cartografia e G.I.S.
Como a cura di Roberta Fasola
La rappresentazione del territorio: interpretazione e problematiche È sicuramente un percorso non semplice quello che affronta un tema tanto delicato come quello relativo alla rappresentazione del territorio: tematica in continua evoluzione in cui entrano continuamente in gioco i delicati confini che sussistono tra percezione, immagine e forma. Allo stato attuale delle cose, in cui spesso le eccessive dosi di informazione portano al caos percettivo, si rende necessaria una revisione del concetto di immagine, o meglio è necessario andare “ oltre” . Oltre l’aspetto di mera rappresentazione e comunicazione sensoriale che normalmente vi si associano, per arrivare a comprenderne il significato fondativo. La rappresentazione del paesaggio quindi, può e deve diventare capace spunto di riflessione per costruire nuovi pezzi di realtà. “ L’arte è la facoltà di creare il vero con la riflessione” (Aristotele). A tal proposito sono stati appositamente richiesti tre diversi interventi, nel tentativo di toccare i termini della questione secondo punti di vista che siano in grado di sviscerarne tutte le possibili problematiche interessate (semiologiche, tecniche, economiche): • Un primo intervento, ad opera del prof. Gianni Beltrame che arriva ad evidenziare cosa si intenda oggi con il termine “ paesaggio” e cosa implichi una sua rappresentazione cartografica. • Un secondo, ad opera dell’arch. Andrea Pozzi, dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Erba, con cui si evidenziano invece nuove tecniche, con le conseguenti problematiche, in gran parte economiche, che un’amministrazione deve affrontare nella gestione e nella rappresentazione del territorio. • Infine, un terzo, ad opera dell’arch. Fabrizio Donadini, responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di Valmorea, che mette in relazione l’esperienza italiana con quella della vicina Svizzera. R. F.
Interpretare e rappresentare il paesaggio Il presente articolo rappresenta un estratto della comunicazione tenuta dal prof. Gianni Beltrame al corso di formazione per esperti in materia di tutela ambientale (ai sensi della L.R. 18/97) organizzato dall’Ordine degli architetti della Provincia di Como.
Gianfredo Mazzotta Chiunque intenda diventare “ operatore” e quindi anche, in certa misura, “ studioso” dell’ambiente e del paesaggio, non può non dotarsi di una sufficientemente solida e fondata conoscenza dei fondamentali concetti di ambiente e di paesaggio e di una precisa concezione metodologica, operativa e, soprattutto, culturale relativa ai campi disciplinari da affrontare. Ma operare sul paesaggio non è cosa da poco, sia per la complessità e la ricchezza del concetto, sia per la polisemia che il termine assume o col quale il termine viene utilizzato secondo i diversi possibili approcci scientifici, disciplinari e culturali, sia per le responsabilità che si vengono ad assumere operando direttamente sul territorio. E sia anche perché non esiste una unica concezione del paesaggio e nemmeno esiste una definizione buona per tutti gli usi e per tutti i tempi, né una metodologia facile e prêt à porter per lavorare sul paesaggio. Non è sufficiente tuttavia optare per una semplice definizione di cosa si ritenga essere il paesaggio o l’ambiente. Occorre darsi una concezione complessiva, profonda e articolata, ovvero una vera e propria metodologia di conoscenza – esplicitata ed esplicitabile – capace di sostenere e collegare tra loro, con coerenza, i momenti della definizione del pae-
saggio, della rappresentazione del paesaggio, della sua valutazione e, infine, della sua pianificazione. Sono infatti questi i quattro fondamentali nodi teorico-metodologici e le quattro fondamentali fasi conoscitivo-operative con i quali ogni “ operatore” del paesaggio deve fare inevitabilmente i conti. Definire e interpretare il paesaggio Prendiamo in considerazione alcune definizioni di paesaggio tratte da vocabolari: Paesaggio: aspetto esteriore dei luoghi. Oppure: Veduta, panorama o anche: Parte di territorio che si abbraccia con lo sguardo da un punto determinato. Sono certamente tutte definizioni corrette (non a caso stanno nei vocabolari) ma povere, riduttive, banali, tutte centrate sull’atto della visione – il paesaggio è ciò che si vede, ciò che appare all’occhio – che spiegano poco o nulla sulla natura, sul significato e sulla complessità dei problemi che il paesaggio ci suscita e ci impone. Oppure, altra definizione: la forma del paese, già più ricca e interessante in quanto richiama in certo qual modo una condizione di riconoscimento, di identificazione e di apprezzamento dei luoghi del proprio abitare e delle proprie radici; evocando un processo assai più complesso e ricco di quello del semplice vedere ma riferendosi anche alla condizione dell’abitare, dell’esserci, dell’appartenere a un luogo. Si tratta comunque di definizioni che non ci portano molto lontano e che non ci consentono di fondare alcuna metodologia, utilizzabile, trasmissibile e comunicabile, per la definizione e lo studio del paesaggio. Partiamo invece da tre definizioni espresse da persone che hanno a lungo meditato sul paesaggio. Il paesaggio agrario: • Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari 1961: “ quella forma che l’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale” ; • J. W. Goethe, Viaggio in Italia,1786:
Il torrente Lanza all’interno del P.L.I.S. omonimo (comune di Valmoria).
“ Seconda natura che opera a fini civili” ; • André Corboz, Il territorio come palinsesto, in “ Casabella” , n. 516, 1985: “ Il territorio come palinsesto” . La prima è una definizione vera e propria di paesaggio, se pur agrario, la seconda e la terza non definiscono propriamente il paesaggio, ma si adattano e si prestano molto bene a un discorso sul paesaggio. Queste tre definizioni, anche se nate in epoche e da personalità diverse, hanno in comune molti tratti e ci possono indirizzare verso una comprensione alta e ricca del fenomeno paesaggio. A partire da queste è possibile pervenire a una concezione e a una metodologia del paesaggio che, oltretutto, non contrasta con le visioni più attuali ed evolute degli studi sul paesaggio. Bisogna tuttavia sottolineare che esse si riferiscono solamente al paesaggio antropizzato o al paesaggio artificiato (che d’altra parte rappresenta, per noi europei, quasi tutto il paesaggio) mentre si prestano meno bene ad affrontare i fenomeni della wilderness, del paesaggio allo stato totalmente naturale, ove la natura si manifesta in tutta la sua forza ed espressione non domesticata. Ed anche escludono l’aspetto emozionale, profondo, prescientifico, sensibile – “ aurorale” direbbe Bachelard – della nostra innata capacità di essere colpiti ed emozionati dal paesaggio, indipendentemente e precedentemente ad ogni sforzo di razionalizzazione o di decifrazione dei suoi “ geroglifici” . Le difficoltà dell’interpretazione del paesaggio “ Questo paesaggio nasconde il suo senso, ma ne ha uno che si vorrebbe indovinare: dovunque io guardi, leggo parole e cenni di parole, ma non so dove cominci la frase che scioglie l’enigma di tutti questi cenni, e mi viene il torcicollo a cercare di capire se essa va letta a cominciare di qua o di là” , F. Nietzche “ Umano, troppo umano” in: Il viandante e la sua ombra. Ecco il dilemma di chi, dopo aver colto l’aspetto “ sensibile” del paesaggio (Sestini) o l’aspetto intuitivo di “ coscienza aurorale” (Bachelard) o di “ senso primigenio” , si sforza di leggerne e svelarne il senso più completo e nascosto e di passare dal “ momento goethiano” al “ momento kantiano” . Interpretare, capire, leggere, cogliere, trasmettere il senso di un paesaggio, ci farà venire sempre il “ torcicollo” ? Se riconosciamo il paesaggio come fatto eminentemente culturale possiamo e dobbiamo accettare tranquillamente questa condizione umana. La “ frase” intera e definitiva non la leggeremo mai, esattamente come non ci sarà mai una definitiva interpretazione di un fatto culturale né una definitiva interpretazione della storia ma anche perché il paesaggio, ecco l’altra grande difficoltà, si esprime contenendo indissolubilmente al suo interno il significato e il significante (Raffestin). Oltre tutto le parti, le componenti che formano il paesaggio non sono tra loro sin-
croniche: il paesaggio contiene le attualità del passato insieme con le attualità del presente. Il paesaggio è allora accumulazione di tempo (Milton Santos) e la decifrazione del suo palinsesto (Corboz) ci consente di ricostruire le vicende della sua formazione. Strumenti e tecniche di analisi e di rappresentazione del paesaggio Ogni rappresentazione del paesaggio è legata – in modo più o meno esplicito o diretto – ad una data concezione-interpretazione che porta inevitabilmente con sé. Al pianificatore, al contrario del letterato, del poeta o dell’artista ai quali interessa trasmettere una emozione o una poetica, interessa una rappresentazione che sia soprattutto capace di trasmettere una lettura razionale o strutturale a chi, a sua volta, dovrà interpretare ed operare coerentemente secondo il piano. Possiamo tranquillamente affermare – se vogliamo accogliere una interpretazione storico-culturale del paesaggio come quella qui avanzata e se vogliamo adottare un approccio conoscitivo coerente ed adeguato – che abbiamo bisogno di ricorrere a tutte le tecniche, a tutte le metodologie e a tutte le discipline di analisi e di rappresentazione che ci consentono di analizzare e interpretare il paesaggio secondo le dimensioni della geostoria dell’ambiente, della storia delle società e delle culture, dell’antropologia culturale, della semiologia, e così via. Anche la rappresentazione del paesaggio richiede oggi più che mai la necessità di ricorrere ad un inevitabile approccio e lavoro di sintesi interdisciplinare. Naturalmente ognuna delle discipline coinvolte o coinvolgibili possiede proprie tecniche di interpretazione e di rappresentazione, più o meno ricche, più o meno complete, più o meno efficaci. Non è tuttavia detto che da tutte queste rappresentazioni parziali o settoriali scaturiscano automaticamente accettabili e sufficienti rappresentazioni sintetiche e complete del paesaggio. Spesso queste rappresentazioni soffrono, di fronte alla complessità delle analisi e delle rappresentazioni che si richiedono, di eccessi di analiticità e di settorialità, di frammentazione tematica, di riduzione del paesaggio a sommatoria di oggetti, di temi o di emergenze, tra loro separati e distinti, mentre la complessità delle relazioni che compongono il paesaggio non riescono a raggiungere in queste rappresentazioni settoriali significativi livelli di sintesi concettuale e di forza espressiva. Spesso poi le rappresentazioni “ a due dimensioni” che caratterizzano la maggior parte delle carte tematiche di analisi e delle relative rappresentazioni grafiche delle discipline che operano (si pensi alle carte a due dimensioni che costituiscono il supporto corrente dei piani paesistici) sull’ambiente e sul paesaggio, risultano estremamente povere e inespressive. A volte risulta molto più ricco e significativo, ci comunica di più un
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La scelta di riproporre questo documento è nata dalla consapevolezza che esso ha rappresentato, per la sua lucida, puntuale, complessa, passionata, articolata e profonda lettura, un momento culturale e disciplinare importante per conoscere ed interpretare il paesaggio in maniera corretta e fuori dagli stereotipi. Il documento alterna una parte concettuale/metodologica con una parte pratico/operativa. La sensibilità e il sentimento, insieme alla tecnica e alla conoscenza disciplinare sono i presupposti fondamentali per “ leggere” quel caleidoscopio di segni, sensazioni, memoria che noi chiamiamo “Paesaggio”.
antico cabreo che non tutti gli elaborati grafici di un moderno piano paesistico. Ci trasmette molto di più sul senso del paesaggio ligure un verso di Eugenio Montale che non tutto l’apparato del Piano Paesistico della Liguria.
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Carte ambientali e di valutazione paesistico-ambientale Di seguito si propone una breve e molto sintetica descrizione delle principali carte tematiche ambientali – conoscitive o valutative – delle quali un esperto ambientale (ma utile a chiunque studia il paesaggio), così come definito dall’art. 5 della Legge Regionale della Lombardia 18/97, dovrebbe potere sempre disporre presso il Comune nel quale è chiamato ad operare. • Carta degli usi reali del suolo La carta degli usi del suolo non costituisce una carta di valutazione in senso proprio. La sua importanza tematica, conoscitiva e informativa riveste tuttavia una grande rilevanza operativa che la colloca al primo posto tra tutte le carte tematiche. Essa non solo fornisce una informazione completa su tutti gli usi del suolo in atto, assumendo, se ben fatta, anche una funzione descrittiva del territorio e del paesaggio (molto spesso alcune carte che si propongono di descrivere il paesaggio si riducono ad assomigliare a delle carte degli usi del suolo) ma fornisce informazioni essenziali per decidere e valutare, nel momento di decidere delle destinazioni d’uso, della correttezza o della non correttezza delle proposte nonché della compatibilità o della incompatibilità delle trasformazioni e delle destinazioni d’uso ipotizzate o proposte. Questa carta consente anche di descrivere e quantificare le diverse categorie di tipi d’uso e di impostare – attraverso una comparazione tra diverse soglie storiche – bilanci delle trasformazioni, dei consumi e delle perdite avvenuti in un determinato periodo storico. • Carta delle aree di interesse naturalistico Si tratta di una carta di rilevazione o di valutazione vera e propria, destinata a localizzare, rappresentare o valutare, secondo criteri di tipicità, di rarità e di complessità, e secondo diversi tematismi, tutte le componenti e le emergenze naturalistiche ed ecosistemiche presenti nel territorio. • Carta dei suoli La carta (e le eventuali carte derivate) riportano i risultati sintetici delle analisi pedologiche dei suoli: pedogenesi, caratteristiche dei suoli, classi, orizzonti, unità di paesaggio, potenzialità, limitazioni d’uso dei suoli ai fini della pianificazione territoriale e agronomica. Attenzione a non attribuire significati paesistici in senso stretto alle “ unità di paesaggio” usate dalla pedologia. • Carta geomorfologica Ai fini delle analisi paesistico-ambientali questa carta risulta molto più utile delle carte geologiche di base. La carta riporta e descrive il modellamento e le forme della superficie terrestre in funzione della struttura geologica.
• Carta geomorfologica di dettaglio Non si tratta di una carta di valutazione vera e propria, ma di una carta geomorfologica tradizionale, che spinge però sia le rappresentazioni che le analisi a livelli di grande dettaglio (scale 1:5.000 o 1:10.000). • Carta dei valori paesistico-ambientali Questa carta valuta, in base ad una certa metodologia, i valori paesistici non disgiungendoli, nei casi migliori, dai connessi valori ambientali. I metodi più ricchi e maturi mirano ad evidenziare una lettura ed una valutazione non limitata agli oggetti che compongono il paesaggio, ma alle relazioni che intercorrono tra elementi individui, contesto e contesto prossimo (dinamiche) appartenenti ai tre diversi campi (naturale e seminaturale, agricolo, artificiale). • Carta della vulnerabilità geologica ed idrogeologica Si tratta di un elaborato valutativo condotto con metodologie ormai note e sperimentate soprattutto dagli studi geologici. • Carta dei carichi antropici e naturali La pressione antropica esprime l’intensità (sommatoria e cumulo) delle diverse interferenze e perturbazioni causate direttamente su un determinato ambiente (sito) dalle attività umane (carico antropico) o da cause naturali (carico naturale). Le diverse cause e forme di pressione possono essere distinte secondo le seguenti categorie: pressione antropica da trasformazione; pressione antropica da disturbo (rumore, affollamento, ecc.); pressione antropica da inquinamento idrico; pressione antropica da inquinamento atmosferico; pressione antropica da inquinamento dei suoli; pressione antropica da rischi potenziali; pressione da cause naturali. • Carta del degrado e della criticità Si definisce critica la condizione di una data realtà ambientale quando questa si trova esposta a pressioni negative (antropiche e non) capaci di sottoporla a stress e a degradi o di renderne precaria la sopravvivenza o, al limite, di provocarne il degrado irreversibile. La criticità si misura pertanto secondo una scala che, a partire dai livelli ottimali di condizioni che consentono la conservazione, nel tempo, della risorsa considerata (criticità nulla) aumentano via via sino al limite in cui le condizioni di conservazione raggiungono o superano la soglia del degrado irreversibile e del collasso (criticità massima). Una scala del degrado può essere organizzata secondo i seguenti valori: nullo; basso; medio; alto; molto alto; degrado irreversibile. Le carte della criticità ambientale rappresentano ed implicano un alto valore di sintesi conclusiva di tutte le carte e di tutti gli iter di valutazione in quanto, per essere elaborate, richiedono la conoscenza almeno dell’intero quadro delle pres-
sioni antropiche e dell’intero quadro delle sensibilità e delle vulnerabilità. Esse acquistano pertanto un alto valore operativo capace di motivare e indirizzare le scelte di piano, in quanto consentono, ad esempio, di esprimere giudizi e valutazioni sulle diverse ipotesi di uso e di destinazione d’uso; di esprimere giudizi di compatibilità ambientale o di sostenibilità in relazione alle diverse ipotesi di uso, di trasformazione o conservazione avanzate; di esprimere giudizi di fattibilità, di opportunità e compatibilità con le diverse ipotesi di gestione, manutenzione e conservazione; di identificare contenuti, modi e priorità per le politiche di risanamento ambientale; di identificare siti e zone da sottoporre a particolari operazioni di monitoraggio o a controlli ambientali, ecc. Gianni Beltrame
Il territorio: la conoscenza strumentale oggettiva e soggettiva Senza voler riportare il tema all’originario motto “ dal cucchiaio alla città” la mente corre veloce ai quattro punti fondamentali identificati da De Fusco in merito al design industriale: progettazione, produzione, uso e consumo. Assimilandolo al territorio la scelta di come analizzare e riportare correttamente lo stato dell’arte, assume il ruolo cardine quale caratteristica principale di progettazione del risultato/obiettivo che l’urbanista o l’amministrazione intende perseguire e realizzare. I sistemi di rilevazione strumentale si sono evoluti esponenzialmente in questi ultimi anni fino all’utilizzo di tecnologie sofisticate quali il sistema G.P.S. con il risultato di restituzioni puntualissime. In contrapposizione la caratteristica dimensionale media dei Comuni determina invero una limitata tendenza all’utilizzo di questi sistemi in ragione dell’elevato costo iniziale di investimento e l’elevata specializzazione dei tecnici abilitati che possono usufruirne. Alcune esperienze hanno visto come la creazione di consorzi fra enti pubblici (e privati) diversi, che possono condividere l’obiettivo strategico e le potenzialità dei dati raccolti, possono soddisfare e colmare queste lacune. All’amministrazione pubblica spetta il ruolo di attore principale nella gestione e nel controllo dei flussi informativi da e per la città, compito che può determinare in forte misura lo sviluppo della competitività di un territorio, garantendone, per il mezzo di una condivisione aperta, anche la sostenibilità ambientale necessaria. La lettura degli elementi caratterizzanti il territorio, sia esso antropizzato o naturale, avviene peraltro attraverso una necessaria e opportuna valutazione di elementi discrezionali, connessi principalmente a valutazioni integrate delle emergenze
e criticità esistenti. Il processo di individuazione deve avvenire attraverso la creazione di una codifica sistemica che va ricondotta alla razionale oggettività dei singoli elementi costituenti, facilmente comprensibile – ed eventualmente criticabile – anche dagli agenti esterni che si confrontano ed utilizzano le risultanze. Costruire l’” oggettivabile” è quindi un’operazione complessa e delicata che avviene attraverso la formulazione di modelli di riferimento, anche culturali, su cui la società civile fa riferimento in una determinata epoca. Ma il superamento della mera logica temporale è anch’esso un obiettivo. L’amministrazione pubblica, anche attraverso il processo di riconversione in atto al suo interno, sta procedendo con alcune esperienze progettuali di particolare interesse, in alcuni casi già operative. Il riferimento è alla creazione dei Sistemi Informativi Territoriali - S.I.T. Dalla mera elencazione su supporto cartaceo dell’esistente si è giunti all’utilizzo dell’informatica per riportare su calcolatori i diversi elementi caratterizzanti il territorio, attraverso una condivisione in tempo reale delle informazioni disponibili e quindi la possibilità di sovrapporle, interpolarle e dividerle per poter determinare l’azione di governo sul territorio. Un ulteriore accenno va riferito alle possibilità del pubblico di aderire a processi di rilevazione condivise sui temi ambientali, di particolare delicatezza per garantire uno sviluppo sostenibile del territorio. L’adesione alle finalità promosse dai vari documenti programmatici quali ad esempio Agenda XXI è di importanza strategica. Da linee guida condivise da vari Paesi si è giunti alla sottoscrizione di documenti di indirizzo che si rivolgono anche e soprattutto ai singoli Comuni, perseguendo una logica costruzione che vede come la valutazione degli elementi di riferimento e la costruzione di un effettivo piano d’azione debba giungere “ dal basso” . Sono centinaia le amministrazioni pubbliche che hanno aderito alle carte di Aarlborg o Ferrara, e di conseguenza al coordinamento nazionale di Agenda XXI, instaurando a livello operativo ricerche, analisi, forum e piani di azione locali. Queste esperienze hanno dato la possibilità di utilizzare le risorse esistenti per rigenerarle (la “ risorsa rigenerata” ) stabilendo un concreto rapporto fra metodologia di rilevamento e pianificazione dell’intervento. Nel campo più strettamente legato alla professione dell’architetto urbanista questi sistemi offrono una potenzialità incredibile e senza limiti. Basandosi su informazioni in tempo reale è possibile verificare l’evoluzione temporale delle esigenze e la correlazione alle scelte di piano, strettamente connesse alle analisi propedeutiche, superando i concetti temporali finora utilizzati, tenendo comunque fede alla sostenibilità del territorio e dell’ambiente. Ciò comporta al tempo stesso una forte assunzione di responsabilità
Andrea Pozzi
Esperienze transfrontaliere nell’affrontare le problematiche dei Sistemi Informativi Territoriali Le costruzioni di qualsiasi genere comportano una modifica dell’aspetto esteriore del paesaggio e del suolo. Il primo passo che qualsiasi progettista compie è, o meglio, dovrebbe essere la raccolta di tutta una
serie d’informazioni quali l’ubicazione del fondo, la forma del terreno, la struttura geologica, lo stato delle proprietà, le possibilità di allacciamento alle reti tecnologiche, ecc. A questa richiesta d’informazioni sovente l’organo tecnico, all’uopo preposto, dà risposte frammentarie, non soddisfacenti e tutto si riduce all’indicazione della zona edificabile in cui è ubicato o dovrà essere ubicato un’immobile oggetto di trasformazione o nuova costruzione e nulla più. Bisogna anche dire che sino ad una decina d’anni fa tutte queste informazioni, se c’erano, erano fisicamente collocate in diversi “ faldoni” dislocati nei modi più disparati all’interno degli uffici comunali, ed era difficile, in tempi brevi raccoglierle e fornirle a chi ne faceva richiesta. Partendo dall’esperienza di alcuni grossi comuni e confrontandosi con quanto è avvenuto oltre confine, nella vicina Svizzera, con la “ riforma della misurazione ufficiale” alcune amministrazioni pubbliche illuminate hanno capito l’importanza della raccolta e catalogazione in un unico strumento di più dati territoriali possibili. Come dicevo nella vicina Svizzera si è capito che esistono varie richieste da parte di nuovi utenti d’informazione sul suolo. I dati del “ catasto” non sono più sufficienti per permettere una accurata pianificazione sull’utilizzazione del suolo e pertanto, utilizzando nuovi strumenti informatici sempre più potenti ed in grado di gestire una mole di informazioni sempre più grande; si è istituzionalmente stabilito che alle semplici nozioni metriche di forma e misura della singola porzione di terreno si dovevano aggiungere tutta una serie di informazioni che riguardavano una miriade di settori quali: reti comunali di distribuzione
Registro delle vette di osservazione nella regione di Zurigo, 1737.
ed evacuazione, pianificazione del territorio, economia forestale, bonifiche fondiarie, protezione civile, pianificazione del traffico, costruzione di strade ed autostrade, costruzioni idrauliche e protezione delle acque, protezione dell’ambiente, protezione dei monumenti, economia elettrica, settore fiscale. Tutti questi settori hanno una esigenza comune che si riferisce al “ Suolo” . La riforma, pensata ed attuata, ha avuto come obiettivi dunque: • l’estensione dell’informazione sul suolo; • la rapida disponibilità dei dati attraverso l’utilizzo di tecnologie moderne; • la riduzione automatica dei piani quotati a qualunque scala; • la combinazione d’informazioni sul suolo. Si può facilmente capire che tutto questo grosso lavoro che è stato condotto a livello federale, e a cascata a livello cantonale e comunale, ha prodotto un’indubbia riduzione dei costi e l’eliminazione di doppi lavori. È chiaro che l’utilità di questo “ sistema informativo territoriale” coinvolge diversi attori che vanno dai pianificatori, ai gestori ultimi delle informazioni più specifiche, ma che purtroppo non coinvolge appieno tutti i politici che a volte o sono “ gelosi” della propria conoscenza o, altre volte, pur comprendendo l’importanza del dato cartografico sono scoraggiati dall’enorme investimento che la singola amministrazione dovrebbe fare. (È chiaro che oggi vi sono informazioni cartografiche interessanti a disposizione dei tecnici, ma ancora una volta sono disomogenee, su banche dati disparate e sovente non confrontabili). Fabrizio Donadini
Lecco a cura di Carmen Carabus e Giorgio Melesi
Il rapporto dell’uomo con i luoghi e attraverso i luoghi con lo spazio, consiste nell’abitare. M. Heidegger
Un nuovo sistema cartografico per la lettura del territorio Fin dai tempi più antichi la misurazione del territorio ha costituito la base per la politica e la religione dei popoli. Dalla carta egizia conosciuta come Papiro di Torino agli agrimensores romani e alla centuriazione, la misurazione della terra e la raccolta delle informazioni associate alla geografia dei luoghi ha rappresentato la chiave di volta del dominio politico e dell’organizzazione sociale dei popoli. La storia delle realizzazioni delle carte geografiche inizia con metodi basati su percezioni e ricostruzioni soggettive. Dapprima si trattava di copiare la terra, guardandola come agrimensori, oppure di misurarla rispetto al cielo. Con il passare del tempo il principale problema tecnico dello sviluppo di una superficie sferica della terra su una superficie piana (quella della carta) venne risolto attraverso soluzioni geometriche (proiezioni geometriche) in seguito sostituite dalle rigorose trattazioni matematiche (rappresentazioni analitiche), su cui di fatto sono basati i princìpi delle proiezioni cartografiche. Negli ultimi cento anni la cartografia diviene la ricostruzione in scala del globo collocando l’occhio (reale o virtuale) lontano dalla terra. Le fotografie aree prima, e le immagini satellitari poi, ci hanno permesso di avere immagini della terra come non ne abbiamo mai viste prima. Con l’accesso alla visione aerea e satellitare si è compiuto un lungo tragitto che ci ha portato alla piena percezione dello spazio che ci circonda e si è definitivamente messa da parte una certa fantasia interpretativa. Nonostante questo, le richieste di rappresentazione cartografica stanno enormemente aumentando e le ragioni di questo aumento sono legate ai molteplici impieghi delle carte tematiche. • Le carte tematiche Rappresentano uno o più soggetti specifici. Si differenziano dalle carte topografiche o geografiche in quanto gli argomenti trattati dalle carte tematiche non hanno come obiettivo la rappresentazione geografica della superficie terrestre, bensì temi che hanno un rapporto geometrico o spaziale con le diverse entità geografiche. Importanti esempi di carte tematiche sono le carte geologiche e geomorfologiche, le carte dell’uso
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da parte non solo di chi pianifica, ma anche di chi rileva e rende oggettivo a tutti le risultanze di un territorio. È infatti evidente a tutti la delicatezza di una professione, diretta o indiretta, nell’apparato pubblico che porta con sé, solo per fare un esempio, influenze di formazione accademica. Ripercorrendo all’inverso il motto iniziale il dubbio è rappresentato dall’“ uso e consumo” del territorio, dall’esito finale posto a risultanza della scelta del metodo di rilevazione. In primo luogo è necessario che il settore pubblico, primo attore responsabile, sappia comprendere la necessità e l’opportunità di “ slegarsi” da preordinati concetti, di porre stimoli alla condivisione di sistemi di rilevamento discrezionali con i nuovi sistemi oggi potenziali, fra cui emergono i S.I.T. e Agenda XXI. In secondo luogo sia capace di impostare correttamente le analisi di rilevamento sul territorio non come verifica a posteriori di scelte già effettuate ma per il loro scopo principale, identificare le caratteristiche di uno spazio per poi, dopo, fare le scelte più opportune, condivise e sostenibili.
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del suolo, le carte della piovoS.I.T.à, le carte dei piani regolatori, le carte dei rischi geologici, ecc. In queste mappe vengono riportate una grande quantità di informazioni, ad esempio di tipo geologico, che hanno un preciso rapporto di congruenza geometrica con la topografia. Ad esempio nelle carte geologiche le varie informazioni relative agli affioramenti delle formazioni geologiche sono riferite all’ubicazione topografica dell’area o del punto in cui sono state rilevate. Per questo motivo le carte geologiche sono realizzate utilizzando le carte topografiche che identificano univocamente la posizione spaziale (coordinate geografiche) delle informazioni geologiche. Lo stesso vale per molte altre carte tematiche, attraverso la posizione relativa alle entità cartografiche presenti nell’area di studio; ad esempio in una carta delle sorgenti la posizione di ognuna di queste ultime è definita in base al reticolo idrografico e alla quota sul livello del mare espressa dalle isoipse. In un piano regolatore la destinazione d’uso di un’area è riferita al lotto o ai lotti di proprietà. La produzione della cartografia tematica è sempre più diffusa e la ragione sta nel legame che si è instaurato negli ultimi anni tra gli strumenti dell’Information Technology e la cartografia. Tra i vari prodotti che la rivoluzione informatica ha prodotto negli ultimi anni i Sistemi Informativi Geografici (G.I.S.), rappresentano una innovazione epocale nella gestione e nella produzione cartografica. • G.I.S. Un G.I.S. consiste in una raccolta organizzata di dati spazialmente riferiti alla superficie terrestre (il termine tecnico è “ georeferenziati” ), apparecchiature (hardware e software) e personale tecnico finalizzati a raccogliere, ordinare, analizzare e rappresentare informazioni geografiche. Il G.I.S. appartiene quindi al settore dell’Information Technology e trova le sue origini e il suo fondamento nell’integrazione della Cartografia Numerica e del Data Base Management System. I sistemi G.I.S. si basano sulla fusione di due capisaldi dell’innovazione informatica: i sistemi di disegno computerizzato (CAD) e i database relazionali (DBMS), i quali peraltro sono tra le prime creazioni dell’informatica. Il primo sistema ha permesso il disegno computerizzato delle entità geografiche, il secondo l’immagazzinamento dei dati e delle informazioni legate a queste entità. La fusione di questi due sistemi nei G.I.S. ha permesso il superamento del compromesso inS.I.T.o in ogni rappresentazione cartografica: infatti ogni rappresentazione di entità geografiche è sempre in qualche misura simbolica e in scala, ovvero si basa su paradigmi di rappresentazione secondo i quali un determinato simbolo (ad esempio un piccolo rettangolo) nella carta rappresenta un oggetto reale con determinate proprietà geometriche (ad esempio una casa).
Sebbene i cartografi nelle loro storia ultrasecolare abbiano sviluppato delle raffinatissime e ormai consolidate rappresentazioni simboliche, basta osservare la legenda di una carta topografica dell’Istituto Geografico Militare Italiano, la rappresentazione simbolica di una carta geografica o tematica tradizionale rappresenta sempre un limite per una conoscenza completa di tutte le informazioni legate alle entità geografiche. A solo titolo di esempio, sebbene sia abbastanza semplice rappresentare con un simbolo un edificio, non è facile e tanto meno conveniente rappresentare in forma simbolica il numero dei piani, il numero degli inquilini che vi abitano, la presenza di autorimesse e cantine nei seminterrati. Resta inteso che non vi è per la cartografia attuale, come anche per quella storica, il tema della precisione, bensì la comprensione della natura della cartografia, vale a dire una collezione di diverse classi di fenomeni, ovvero un sistema di catalogazione che ha nella carta la sua espressione spaziale. Dunque il fenomeno principale non è la grafia, quanto piuttosto l’identificazione delle classi di oggetti elencati. Il mezzo che può aiutare, in qualità di mero strumento, al superamento di questo limite è rappresentato proprio dalla diffusione dei G.I.S., che permettono di analizzare un’entità geografica sia per la sua completa natura simbolica e geometrica, sia per il suo totale contenuto informativo; in pratica questi sistemi realizzano, attraverso l’ingegneria del software, un legame tra ogni entità geografica di una carta e un’informazione associata (record) contenuta in un archivio (database). Con questi sistemi, le applicazioni della cartografia si moltiplicano: ogni dato è rappresentabile in una carta attraverso le sua posizione geografica definita dal sistema di coordinate adottato, unitamente a tutte le informazione che lo riguardano che sono immagazzinate in un database. In questo modo l’analisi delle proprietà geometriche delle entità rappresentate in un carta geografica (ad esempio le dimensioni fisiche), potrà essere combinata con le proprietà generali delle altre entità cartografiche e di ogni entità prescelta si potranno analizzare in dettaglio tutte le informazioni che la riguardano. Negli ultimi anni quasi tutta la cartografia geografica tradizionale sta divenendo una cartografia geografica digitale e in breve quasi tutta la cartografia, di ogni genere e tipo, andrà a fare parte di sistemi informativi territoriali che attraverso i G.I.S. sono in grado di produrre carte geografiche e tematiche per tutti i nostri obiettivi. Gli impieghi dei G.I.S. sono dunque crescenti e per quanto detto, crescono assieme a tutti i sistemi che sono collegati all’evoluzione del mondo dell’Information Technology. Una tale rivoluzione ha portato anche un grande cambiamento nelle tradizionali applicazioni delle Scienze della Terra e del Territorio che hanno
sempre elaborato carte tematiche dettagliate sugli aspetti fisici dell’ambiente; in particolare nel momento in cui la tecnologia del telerilevamento è stata in grado di produrre una grande quantità di immagini sempre più dettagliate della superficie terrestre e i sistemi di archiviazione informatica sono stati in grado di gestire queste immagini come qualunque altra informazione, si è sviluppato un insieme di nuovi approcci allo studio dell’ambiente fisico e del territorio che sono alla base della geomatica, vale a dire l’approccio integrato di misurazione, analisi, gestione e rappresentazione della descrizione dei dati spaziali che si riferiscono alla superficie terrestre. Tutti gli impieghi integrati di informazioni sull’ambiente fisico, dai dati topografici tradizionali a quelli prodotti dal GPS, dai dati geologici e geomorfologici di campagna ai dati sulle falde freatiche sotterranee, dai dati sullo scorrimento delle acque superficiali ai dati sui cambiamenti climatici, dai dati sulla attività sismica e vulcanica ai dati sul dissesto idrogeologico, ecc., sono oggi gestiti ed elaborati attraverso i G.I.S. Dopo questa breve introduzione ai G.I.S., occorre focalizzare l’attenzione sul loro utilizzo nel campo della pianificazione territoriale. La conoscenza dei fenomeni in atto su di un territorio, fondamentale per avviare qualunque processo di pianificazione e programmazione, deve poter seguire l’evoluzione dinamica della realtà a cui si riferisce sia che si tratti di un comune, di una provincia o di una regione. I progressi realizzati in termini di interfacciabilità e trasferimento di informazioni tra sistemi differenti, forniscono oggi al pianificatore gli strumenti di base per rendere possibile l’aggiornamento continuo e l’incrocio di rilevanti quantità di informazioni. • Il Sistema informativo territoriale (S.I.T.) I S.I.T. sono sistemi che consentono di effettuare una gestione dinamica delle conoscenze relative al territorio e di valutare e monitorare, anche attraverso la simulazione, l’impatto delle politiche che vengono attuate o da attuarsi. I S.I.T., sviluppati da soggetti diversi in aree di disciplina diverse, possono dialogare dando la possibilità di scambiare e integrare informazioni a condizione che le basi geografiche di riferimento siano le medesime e che le informazioni vengano raccolte secondo standard condivisi. L’acquisizione e l’organizzazione dei dati di conoscenza ed il S.I.T., come mezzo per una più articolata connessione con il territorio, rappresentano i punti focali per un efficace intervento di valutazione e decisione delle complesse politiche di governo del territorio. Grazie infatti alla loro capacità di attuare analisi trasversali dei dati conoscitivi, essi consentono le più diverse chiavi di lettura, nonché restituzioni grafiche, tabellari e testuali (report) rispondenti alle varie esigenze e adattabili ai diversi tipi di utenza.
• L’architettura organizzativa di un S.I.T. Il S.I.T. può dunque essere considerato come un ordinato e continuo sistema d’informazione atto a garantire gli strumenti per tre principali azioni della pianificazione territoriale, vale a dire: l’informazione e condivisione delle conoscenze, la progettazione del sistema delle conoscenze e la gestione delle stesse. L’architettura del sistema informativo territoriale si articola quindi attraverso tre principali momenti, vale a dire: – informazione e condivisione dei dati conoscitivi; – progettazione; – gestione. Il S.I.T. coordina le azioni necessarie per l’aggiornamento periodico dei dati, al fine di seguire adeguatamente l’evoluzione delle realtà territoriali, e sviluppa procedure e strumenti finalizzati a rendere più veloci ed efficienti le istruttorie di verifica e controllo. La versatilità del sistema e la possibilità della sua implementazione, aggiornamento ed elaborazione delle informazioni di differente natura in esso contenute, consente l’utilizzo da parte di tutti i soggetti che compiono sul territorio azioni di programmazione, progettazione e gestione. Le figure che operano all’interno di un S.I.T. possono essere individuate in: – progettista; – gestore; – operatori. Il progettista del S.I.T. è la figura che razionalizza, stabilisce e predispone i criteri e le modalità per l’acquisizione, la strutturazione e articolazione delle informazioni necessarie a creare sistemi conoscitivi completi e integrati. Esso predispone inoltre le modalità di restituzione e divulgazione dei dati, definiti con il gestore, stabilendo con esso la personalizzazione degli stessi. Compito del progettista è altresì quello di restituire le conoscenze atte a prendere opportune decisioni, sulla base di informazioni attendibili e aggiornate, in tempo reale secondo le dinamiche di evoluzione del territorio. Il progettista assume quindi le caratteristiche di responsabile per il corretto funzionamento e organizzazione del sistema delle informazioni. Tale figura deve obbligatoriamente correlarsi con quella del gestore. Quest’ultimo deve essere in grado di sistematizzare i processi di input e output delle informazioni. Vale a dire che il suo compito è quello di tenere rapporti diretti tra l’offerta del S.I.T. e la domanda di informazioni e conoscenze. Tale rapporto si articola attraverso la necessità di interfacciarsi con le iniziative in corso. Il gestore articola, stabilisce e formalizza, in accordo con il progettista, le possibili modalità di divulgazione delle informazioni. Predispone le modalità per l’aggiornamento, l’implementazione e la nuova costruzione delle banche dati e degli archivi del S.I.T. Compito del gestore è anche quello di trasmettere agli operatori le direttive del progettista
• Campi di applicazione Molteplici sono le possibilità e i campi di applicazione di un S.I.T. Pare opportuno accennare sinteticamente all’utilizzo di tali sistemi congiuntamente alla pianificazione territoriale ed in particolare nella predisposizione e gestione dei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali. Con l’entrata in vigore della L.R. 1/2000, in relazione alla formazione da parte delle Province lombarde di Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali, il ruolo dei Sistemi Informativi Territoriali ha assunto un assetto legislativo. Come noto tali piani interessano la pianificazione cosiddetta d’area vasta, coinvolgendo discipline e tematiche complesse che ricadono sulla trasformazione del territorio. Tanto più il sistema di conoscenze contenute in un S.I.T. è ampio, maggiore è la possibilità da parte di pianificatori e amministratori di verificare gli effetti di una scelta progettuale. Resta ben inteso che un S.I.T. non costituisce la soluzione alla corretta progettazione di un territorio, ma rappresenta – secondo la L.R. 1/2000 – uno strumento fondamentale di ausilio all’analisi territoriale, contenuto negli strumenti di pianificazione, che permette di allargare e moltiplicare le possibilità di verifica, oltre a garantire un sistema d’informazione e contenuti tematici integrato e coordinato tra Province e Regione. Il coordinamento e l’integrazione delle informazioni presuppongono la necessità di adottare metodologie comuni di condivisione, scambio e aggiornamento dei dati geografici. A tale scopo come precedentemente detto, il primo passaggio consiste nell’utilizzo di una univoca base geografica di riferimento, la Carta Tecnica Regionale (CTR), una riproduzione dell’intero territorio lombardo che consente di rappresentare gli elementi geografici quali le strade, gli edifici, i corsi d’acqua, ecc., attraverso una simbologia che ne rispetti le reali dimensioni. L’utilizzo di un sistema di riferimento cartografico unitario, come base per la collocazione spaziale di informazioni tematiche di diversa natura, permette di mettere in relazione informazioni di diverso genere sia come contenuto che come provenienza. Il S.I.T. è da considerarsi quindi come strumento strategico e indispensabile di supporto per la programmazione degli interventi territoriali e per l’indirizzo degli strumenti di pianificazione. • Il S.I.T. della Provincia di Lecco Come noto, ormai da più di 10 anni, e precisamente con la Legge 142/90, le Province hanno assunto un chiaro ruolo intermedio fra Regioni e Comuni e sono state investite di nuove
responsabilità nei settori di controllo ambientale, della pianificazione e del coordinamento della tecnologia informatica. La Provincia di Lecco già da tempo ha colto la duplice opportunità della stesura del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale ed attualmente – in seguito all’entrata in vigore della già citata L.R. 1/2000 lavora all’aggiornamento e adeguamento di questo importante strumento – per avviare la costruzione del S.I.T. Provinciale. La costruzione del S.I.T. non ha avuto come unica finalità quella del Piano Territoriale di Coordinamento, per il quale è stata prodotta una consistente quantità di archivi informatizzati di tipo geografico, sia di analisi che di progetto, ma costituisce un primo passo verso un patrimonio di dati territoriali organizzati ed informatizzati che la Provincia può utilizzare nelle sue funzioni di programmazione e pianificazione, con particolare riferimento alle relative politiche di intervento. (Di seguito vengono riportati alcuni esempi di studi ed approfondimenti prodotti mediante l’utilizzo e la continua implementazione dei dati contenuti negli archivi del S.I.T. provinciale). A conclusione di quanto detto, contestualmente alla costruzione del S.I.T., recentemente la Provincia di Lecco ha avviato anche delle procedure di coordinamento con gli Enti territoriali, quali Comuni e Comunità Montane allo scopo di sviluppare uno scambio dei dati conoscitivi e, coinvolta dalla Regione Lombardia, partecipa ai tavoli di confronto con le altre province lombarde per definire le procedure di gestione e sviluppo di un S.I.T. integrato. Gianluca Beltrame
Lodi a cura di Antonino Negrini
Il territorio Lodigiano come un puzzle. I P.R.G., tessere di un unico mosaico informatizzato Il 15 aprile si è tenuto a cura della Provincia di Lodi, un incontro sulla “ mosaicatura” degli strumenti urbanistici dei Comuni del Territorio, realizzata dal Settore Urbanistica della Provincia, mediante un lavoro iniziato nel 2001 e terminato nel corso del 2002. Tramite il S.I.T., Sistema Informativo Territoriale, definito la grande cornice che racchiude tutte le banche dati riferite al territorio Lodigiano, si divulgheranno, organizzandole, tutta una serie di informazioni via intranet/internet. Il geometra Diego Costantini del Settore Urbanistica della Provincia di Lodi, che ringrazio per la sua disponibilità e per avermi fornito la relazione esposta durante il Convegno, fa parte del gruppo dei tre tecnici che hanno lavorato a questo ambizioso progetto. Nella relazione, chiarisce gli aspetti di questo complesso sistema informatico, ma facile da gestire nelle interrogazioni. Lo scopo, è quello di ottenere dal Web informazioni mantenute costantemente aggiornate, di carattere urbanistico, edilizio, catastale e sulla proprietà; permettendo di ottenere direttamente copia dei documenti, ed addirittura copia del Certificato Urbanistico. Uno dei privilegi di questo sistema, è quello di poter condurre tutte le ricerche dati e l’ottenimento dei documenti, senza muoversi dal proprio ufficio, ma utilizzando esclusivamente il Personal Computer. A. N.
Relazione del Convegno organizzato dalla Provincia di Lodi Con il mio intervento cercherò di illustrare le motivazioni che portano la Provincia di Lodi a considerare il Mosaico Informatizzato degli strumenti Urbanistici Comunali un importante mezzo di conoscenza ed analisi delle politiche urbanistiche comunali: • la prima è costituita dal fatto che il Mosaico informatizzato degli strumenti urbanistici comunali completa il lavoro di monitoraggio, analisi ed implementazione dei dati riferiti al dinamismo urbanistico del nostro territorio svolto in questi anni dalla Provincia di Lodi, completando il livello di informazioni, opportunamente standardizzate, dei vari livelli di pianificazione; • la seconda è la capacità del Mosaico informatizzato degli strumenti urbanistici comunali di creare co-
municazione ed informazione via web a tutti i fruitori delle attività di pianificazione urbanistica degli enti locali Provincia e Comuni. Dico questo, calandomi nella realtà lodigiana, perché, come ben sapete proprio oggi la Legge regionale n. 51/75, che rappresenta la legge quadro delle trasformazioni urbanistiche nella Regione Lombardia, compie 28 anni, ed è proprio da quella data che inizia l’importante tradizione nella pianificazione di area vasta e nell’analisi delle dinamiche socio economiche del nostro territorio. Questo perché, la Legge regionale n. 51/75 attribuiva ai Consorzi la possibilità e, pertanto, calandoci nella nostra realtà al Consorzio del Lodigiano, di redigere il Piani Territoriali di Coordinamento che costituisce il quadro di riferimento territoriale del piano socio economico comprensoriale. Fin da quell’epoca, vale a dire dall’entrata in vigore della Legge regionale 51/75, il Lodigiano ha mostrato un importante dinamismo iniziando nei primi anni ‘80 l’elaborazione del Piano Territoriale che ha trovato l’approvazione da parte della Regione Lombardia nel 1988. Nei primi anni ‘90 il Consorzio del Lodigiano, successivamente all’entrata in vigore della Legge 142/90, ha avviato l’elaborazione della revisione generale del Piano territoriale di coordinamento, che ha adottato nel 1994. Nel 1995, poi come tutti noi sappiamo, si è insediata la Provincia di Lodi, che s’interroga dapprima sulle sorti dell’adottata revisione generale del Piano Territoriale di Coordinamento e successivamente sull’esistenza di sistemi informatizzati che sappiano rispondere alle importanti esigenze di gestione e di analisi degli strumenti urbanistici sia comunali che sovracomunali. Ed è proprio in quegli anni che la Provincia inizia a sviluppare la propria cultura e conoscenza dei sistemi G.I.S., che rappresentano lo standard sia in Regione Lombardia che, probabilmente in Italia. Ciò che si voleva non era la restituzione del disegno del Piano Territoriale di Coordinamento, ma si voleva la creazione di un sistema territoriale geografico che fosse soprattutto in grado di effettuare “ analisi spaziali” , finalizzato a gestire informazioni e dati e dunque a produrre statistiche quantitative su un tema importante com’e quello della pianificazione e dell’analisi del territorio provinciale. In sostanza, le mappe dovevano essere delle mappe tematiche che potessero essere misurate e tradotte in normali tabelle numeriche: si voleva per esempio essere in grado di conoscere la superficie interessata dalle diverse destinazioni funzionali in un determinato ambito territoriale. Oppure, per portare un altro esempio, il sistema doveva essere in grado di calcolare la superficie di ogni singola area, sapere qual è la distribuzioni per classi dimensionali di tutte le aree commerciali o produttive o ancora sottoposte a tu-
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per il corretto inserimento, aggiornamento e restituzione delle informazioni. Gli operatori assumono quindi il compito di eseguire i necessari meccanismi per il funzionamento del S.I.T. e a questo proposito, passaggio fondamentale, è l’aggiornamento sistematico di tutti i dati a disposizione.
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tela di diverse tipologia nell’ambito provinciale, si voleva un sistema in grado di interagire con l’utenza. Ciò che si voleva era un sistema in cui le informazioni potessero essere facilmente elaborate in associazione ad altri dati mediante l’elaborazione di statistiche di facile lavorazione: lo scopo era, per esempio, quello di verificare se esiste o meno una correlazione fra le dimensioni delle aree commerciali o produttive previste sul P.T.C.C. e le dimensioni demografiche dei Comuni o come dette aree influiscono sulle trasformazioni dei Comuni dove ricadono. I software individuati furono Arcinfo e arcwvie che sono degli strumenti che consentono di effettuare quelle analisi spaziali che l’urbanistica in senso lato compie quando studia una carta geografica o tematica. Senza entrare troppo nei dettagli in sintesi il sistema doveva essere in grado di essere interrogato, e soprattutto da utenti non addetti ai lavori, si dovevano poter porre al sistema della domande come: • dove sono le aree produttive individuate dal P.T.C.C.?; • quanto distano le aree produttive o commerciali dai caselli autostradali o della linee ferroviarie?; • quanta superficie è destinata all’espansione, sia essa residenziale, produttiva o per servizi nel nostro territorio? E così via. E fu così che successivamente all’entrata in vigore della Legge regionale n. 8/96, che attribuiva alla provincia di Lodi la delega all’approvazione del Piano territoriale di coordinamento redatto dal Consorzio del lodigiano, che furono inseriti nel sistema da prima il Piano territoriale di coordinamento del lodigiano vigente, per intenderci quello approvato dalla Regione Lombardia nel 1988 e, successivamente alla scelta della Provincia di concludere l’iter approvativo della revisione generale del P.T.C.C. del lodigiano (adottato dal consorzio nel 1994 e approvato dalla Regione Lombardia nel 1999), di inserire la revisione, sia adottata che approvata, dalla
Regione Lombardia nel 1999. Il lavoro si è concluso nel 1999 più o meno contemporaneamente all’approvazione della Regione del P.T.C.C. In quella fase eravamo in grado di interrogare e di analizzare anche tra di loro i due piani di coordinamento ma mancava un importante passo avanti in questo lavoro di acquisizione dati: mancava tutta quella conoscenza e soprattutto implementazione del sistema riferita all’attuazione del P.T.C.C.; non si conosceva infatti quali comuni aveva recepito il P.T.C.C., come era stato recepito il P.T.C.C., se vi erano dei contrasti tra la pianificazione comunale e la pianificazione sovraordinata e, soprattutto, quale era lo stato di attuazione del P.T.C.C., che non poteva che passare attraverso una attenta analisi degli strumenti urbanistici comunali. Tanto per fare un esempio non si conosceva se una strada provinciale inserita nel P.T.C.C. era stata recepito dal Piano regolatore generale e soprattutto se l’opera fosse stata attuata o era in fase di attuazione. Quando la Regione Lombardia tra il 1999 e 2000 ha ufficializzato l’avvio della procedura di realizzazione della Banca dati riferita alla mosaicatura dei P.R.G., la Provincia di Lodi ha ritenuto opportuno parteciparvi al fine di implementare quelle dei P.T.C.C. e ciò perché: • in primo luogo perché la conoscenza delle previsioni della pianificazione urbanistica comunale ha sempre costituito un elemento indispensabile per l’analisi delle trasformazioni territoriali; per l’impostazione di ogni atto di pianificazione o di progettazione di area vasta destinato a confrontarsi con le scelte di pianificazione di livello locale; • in secondo luogo perché il Mosaico informatizzato degli strumenti urbanistici comunali introduceva un’altra possibilità al nostro S.I.T., e cioè quella che essendo stato realizzato nello stesso ambiente software consente di interrogare le banche dati reciprocamente e contempo-
Centro Studi per la Programmazione Intercomunale dell’Area Metropolitana, Mosaico Informatizzato degli strumenti urbanistici comunali, Tavola dell’azzonamento del Comune di Codogno.
raneamente con la Banca dati del P.T.C.C.; per esempio, è possibile interrogare il sistema e chiedere “ esiste una strada provinciale prevista del P.R.G. che non è ancora stata realizzata, se si quali Comuni interessa, e quanto è lungo il tratto in progetto e ancora quanto corsi d’acqua importanti incontra? E cosi via. E questi interrogativi molto complessi possono trovare risposta in tempi molto, molto brevi. Pertanto il mosaico ha implementato il sistema provinciale. Esiste poi una seconda motivazione, peraltro non secondaria per importanza al tema appena trattato, che è rappresentata dalla capacità del mosaico informatizzato degli strumenti urbanistici comunali di essere strumento di informazione e comunicazione. Infatti, come sappiamo bene, continua ad essere di prioritaria importanza il tema della pubblicazione e della comunicazione di uno strumento di piano; infatti, anche se in questo caso cercassimo di ripercorre la storia, vedremmo che le pubblicazioni e la comunicazione di uno strumento di piano che una amministrazione deve compiere sono aumentate: fino a pochi anni fa con la sola L.R. 51/75 a governare la disciplina in Regione Lombardia ne erano previste due, una all’adozione ed una all’approvazione. Oggi con l’entrata in vigore della Legge 1/2000, ed essendo cambiato l’iter amministrativo di approvazione di uno strumento urbanistico comunale, le comunicazioni sono diventate addirittura tre : • la prima all’avvio del procedimento; • la seconda all’adozione; • e la terza all’approvazione. Sappiamo che, oggi più di prima, lo strumento della partecipazione e della concertazione obbligatoria negli atti di pianificazione non può che essere supportatato da una adeguata comunicazione e conoscenza degli atti di pianificazione stessa, siano essi di importanza nazionale, regionale, provinciale, comunale o di settori specifici. Riteniamo che la possibilità di trasmettere e far conoscere i piani urbanistici tramite rete internet rappresentino sia il presente che il futuro e che soprattutto rappresentino un servizio dovuto a tutta la cittadinanza. E riteniamo che le applicazioni fin qui tratteggiate permettano di considerare il Mosaico informatizzato degli strumenti urbanistici comunali come il nucleo forte di un sistema comunicativo rivolto non solo alla Regione Lombardia ed alla Provincia di Lodi, ma anche all’esterno. Infatti, esso consente ai comuni con i quali la Provincia oggi interloquisce per la propria attività di pianificazione di area vasta e con i quali avrà un contatto ancora più diretto quanto sarà completato il riordino dei poteri provinciali in materia urbanistica e ambientale, di avere un filo, un mezzo di comunicazione e di conoscenza ancora più diretto e veloce rispetto ai metodi tradizionali, per conoscere gli atti di piani-
ficazione sovracomunale o delle amministrazioni contermini. Pensate per esempio che la conoscenza del Piano territoriale di coordinamento o dei Piani regolatori generali dei comuni contermini – che oggi, con la riforma urbanistica che sta predisponendo la Regione Lombardia, o con la possibilità introdotta dal Piano dei servizi, di avere delle attività, degli insediamenti, o in particolare dei servizi comunali, gestiti con più amministrazioni – potrà avvenire anche mediante rete e non solo andando presso gli uffici provinciali o degli altri comuni. Ma soprattutto ai cittadini ai quali il Mosaico può rendere un informazione sintetica preelaborata e facilmente interpretabile sulle previsioni degli strumenti urbanistici comunali, che spesso è di difficile acquisizione e di difficile comprensione per i non addetti ai lavori, specie quando vanno analizzati P.R.G. di più comuni e di struttura diversa. Infine, la pubblicazione via web può essere di enorme utilità per i soggetti economici operanti sul territorio per i quali le informazioni sull’offerta insediativa, quali per esempio la disponibilità di aree industriali o commerciali aventi determinanti caratteristiche, è a tutt’oggi assai difficoltoso. Per esempio pensate ad un cittadino che deve insediare una attività artigianale e che ha scelto come possibile ubicazione due comuni e in essi vuole sapere: • se è prevista una zona destinata all’artigianato; • se esistono delle aree libere; • se le aree libere per dislocazione e dimensione rispondono alle sue esigenze; • se sono, per esempio, previste in futuro delle infrastrutture viabilistiche; • o se, pensando ad un futuro dove si sta dirigendo lo sviluppo insediativo artigianale dei due comuni, questo sviluppo è vincolato. Oggi queste normali operazioni non possono che avvenire con macchinose operazioni, andando nei due comuni, acquisendo da entrambi una copia del P.R.G. e cercando di capire perché i due strumenti sono uno diverso dall’altro per impostazione strutturale del piano stesso. Ecco, queste operazioni saranno possibili via web e soprattutto l’utente si troverà di fronte ad uno strumento che avrà lo stesso grado di informazione del P.R.G., ma sarà standardizzato e, quindi, per livello di informazioni reso omogeneo e di più facile lettura per l’operatore che nella vita fa l’artigiano e non l’urbanista. Ritengo che questa sia la seconda considerazione forte che porta la Provincia di Lodi a considerare estremamente innovativo ed utile il Mosaico informatizzato degli strumenti urbanistici comunali. Ovvero la capacità con la strumentazione attualmente esistente di riuscire a pubblicare sul web, non solo il disegno del P.R.G. o del P.T.C.C., ma anche di mettere a disposizioni di tutti i fruitori le informazioni relative all’attività di pianificazione urbani-
geometra Diego Costantini, Settore Urbanistica della Provincia di Lodi
Milano a cura di Antonio Borghi e Roberto Gamba
G.I.S. e altre questioni, conversazione con Luigi M azza Nuovi strumenti di rappresentazione del territorio, sviluppati nell’ambito delle più avanzate tecnologie digitali, vengono utilizzati con sempre maggiore frequenza nell’elaborazione e rappresentazione dei piani urbanistici. I G.I.S. (Geographic Information Systems) sono ormai di uso corrente in molte amministrazioni pubbliche italiane. Quale è il loro impatto sulla pianificazione urbanistica? Lo abbiamo chiesto a Luigi Mazza, urbanista, docente al Politecnico di Milano e consulente del Comune per l’elaborazione di nuovi strumenti di governo delle trasformazioni del territorio. D: Che cosa portano di nuovo questi strumenti di rappresentazione del territorio? R: Non sono sicuro che si possa definire il G.I.S una tecnica “ nuova” di rappresentazione del territorio, anche se immagino abbia avuto nuovi e sempre più sofisticati sviluppi, utili soprattutto per topografi, geografi e studiosi della terra. L’interesse del G.I.S per gli urbanisti mi pare molto mediato. Da alcuni decenni si producono carte tematiche, talora molto raffinate, che pochi urbanisti usano realmente nella pratica, e che diventano spesso apparati esornativi per relazioni e rapporti, a loro volta non molto letti. D: Dunque prima di parlare delle nuove tecniche è necessario fare il punto sullo stato dell’arte della pianificazione urbanistica. Di che natura sono le difficoltà che l’affliggono e quali i mezzi per cercare di superarle? R: Da quando gli urbanisti si sono liberati della responsabilità del loro sapere tecnico e ne hanno affidato la definizione agli strumenti legislativi – si può indicare come data il fatidico decreto dell’aprile 1968 che fissava su tutto il territorio nazionale standard e indici omogenei – si è sviluppata una pratica professionale ripetitiva, e talora non molto competente, che produce rappresentazioni analitiche con poca o nessuna relazione con le scelte di piano. Il congelamento dei metodi e delle tecniche urbanistiche nei disposti di legge ha prodotto una ritualità utile nella maggior parte dei casi per occultare l’assenza di argomentazioni. È raro che la carta di zonizzazione, approdo inesorabile di ogni esercizio di progettazione urbanistica, abbia relazioni significative con altre carte che pure sono corredo ufficiale e obbligatorio del piano. Buona parte delle cartografie accessorie di piano ha un debole valore funzionale e, senza
esagerare troppo, potrebbe essere sostituita da bolli. In breve, credo che per gli urbanisti il problema non sia tanto quello di come rappresentare, quanto quello di cosa rappresentare. Porsi il problema della rappresentazione, senza un adeguato chiarimento circa l’oggetto della rappresentazione, temo rischi di aggiungere confusione a confusione. E non credo si possa sostenere che sia comunque utile sviluppare buone tecniche di rappresentazione, in modo che siano disponibili quale che sia l’oggetto da rappresentare. D: Dunque la questione centrale per gli urbanisti non riguarda i nuovi modi di rappresentazione del territorio quanto i contenuti della rappresentazione, ovvero i contenuti della progettazione urbanistica. Questa si rivolge per altro a realtà in sempre più rapida evoluzione e sono in molti a sostenere che una tale accelerazione renda necessari nuovi strumenti per essere governata. Esistono già questi strumenti o devono ancora essere messi a punto? R: Esiste un rapporto circolare tra il cosa e il come, che rende un chiarimento sul cosa sempre più necessario. Il contenuto delle rappresentazioni non può essere fissato una volta per tutte, ma dipende sia dalla cosa rappresentata – in quale luogo e in quale tempo – sia dalla nostra intenzione di modificarla anche attraverso la sua rappresentazione. Anche una descrizione “ oggettiva” è una scelta, la scelta di descrivere un certo oggetto e di descriverne certi caratteri piuttosto che altri. Una descrizione“ oggettiva” è dunque una scelta duplice – dell’oggetto e di certi caratteri di quell’oggetto – e, in quanto tale, è comunque una scelta che dipende da valori, una scelta politica. Per la scelta di cosa rappresentare è indispensabile riproporsi ogni volta il problema degli obiettivi specifici dell’azione di piano, ovvero definire i
criteri attraverso cui è possibile costruire e chiarire questi obiettivi. È un problema di metodo che precede ogni problema di rappresentazione e che dovrebbe essere affrontato con riferimento a molteplici esperienze di piano, perché possano essere considerate in qualche misura significative. D: Facendo riferimento all’area milanese, quali sono i contenuti dei nuovi strumenti di governo delle trasformazione dell’area metropolitana? Si utilizzeranno metodi di rappresentazione tradizionali o ne verranno messi a punto di nuovi ad hoc? R: Un tema che torna ad essere di rilevo, dopo essere stato assente dall’agenda politica per molto tempo è quello dell’edilizia sociale e temporanea. La domanda presenta caratteri nuovi, non ci troviamo più di fronte all’utenza relativamente omogenea a cui davano risposte i piani dell’edilizia economica e popolare. La domanda attuale viene in parte da un’utenza insolvibile o quasi, che vive diverse condizioni di disagio ed ha bisogno di assistenza anche oltre il problema della casa, in parte da un utenza solvibile (giovani coppie, studenti, lavoratori a reddito medio-basso, ecc.) ma non in grado di far fronte agli affitti milanesi. In molti casi si tratta (infermieri, forze dell’ordine, ecc.) di persone indispensabili per il buon funzionamento della città: aiutarli a stare a Milano non è un favore, ma una necesS.I.T.à. Come rappresentare adeguatamente questa domanda e come porre in relazione le nostre rappresentazioni con le possibili risposte: quali abitazioni e dove? In altre parole, quali sono oggi le tipologie più adatte per l’edilizia sociale e per quella temporanea, e quali sono dei criteri soddisfacenti per la sua localizzazione? D: La questione della residenza si pone oggi con grande urgenza ed è una vecchia domanda che si pone
Piano A. R., Schema di P.R.G., 1945 (da: Ezio Bonfanti, Marco Porta, Città Museo e Architettura, Firenze, 1973).
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stica degli enti locali della Provincia e dei Comuni, in un sistema di facile fruizione e analisi. Mi sento di chiudere il mio intervento con una provocazione, al fine di proporre uno spunto di riflessione rivolto alla Regione Lombardia ed alle amministrazioni comunali: ritengo che se la strada è di creare delle Banche dati in grado di interagire tra loro, probabilmente faccio riferimento allo strato delle informazione del Piano territoriale di coordinamento provinciale, ai piani di settore regionali, ai piani d’ambito quali ad esempio il piano di assetto idrogeologico ed agli strumenti urbanistici comunali; i tempi sono maturi per incominciare a pensare ad un unico fotopiano vettoriale che sia comune per tutti i piani. Proprio perché riteniamo che oggi parlare di scale sia sicuramente superato, e perché per evitare tutti quei problemi di trasposizione che esistono tra i vari piani, non può che rappresentare la strada da percorre nel futuro. Noi riteniamo che si possa discutere di sostituire la Carta tecnica regionale con una carta vettoriale, un fotopiano, che sia restituito alla definizione del 2.000 nei centri storici ed al 5.000 nei centri non urbanizzati, e che consenta di adeguare il grado di informazioni in base al grado di informazioni contenute attualmente nella C.T.R. al 10.000 in funzione della scala di visualizzazione. Questa operazione consentirebbe di eliminare tutti quei, chiamiamoli difetti di trasposizione che si hanno ogni volta che si sovrappone un piano al 10.000 sullo strumento urbanistico comunale. Riteniamo che si debba iniziare a pensare e discutere, sullo strato di base comune, un unico strato comune a tutti gli atti di pianificazione. Noi riteniamo che passando attraverso la stipula di apposite convenzioni tra Comuni, Province, Regione Lombardia ed eventualmente altri operatori si possa pensare di avere un’unica base comune a tutti i piani, capace di costituire uno strato informativo comune a tutte le amministrazioni.
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in termini sempre nuovi. Cambiano i soggetti ed i modi dell’abitare e c’è bisogno di nuova progettualità per dare risposte a questa esigenza. Non esiste dunque nessuna particolare questione legata in modo particolare alla rappresentazione del territorio? R: Come ho detto, lo sviluppo delle tecniche di pianificazione urbanistica ha sofferto la scelta, per molti versi necessaria e provvidenziale, di imporre su tutto il territorio nazionale denS.I.T.à e standard omogenei. Da allora è come se gli urbanisti si fossero impigriti e avessero perduto la voglia e la capacità di progettare la città. Il maggiore sforzo per uscire da questo vicolo cieco, credo sia stato quello di riannodare i fili dell’urbanistica e della progettazione urbana, di riportare l’attenzione degli urbanisti sul disegno degli spazi pubblici e sulla relazione tra questi spazi e l’edificazione privata. Se questo tentativo non ha sinora avuto gli eS.I.T.i che meritava è, forse, perché si è sopravvalutata la cultura architettonica ed estetica degli attori della trasformazione urbana, la loro capacità di interpretare e sviluppare le proposte di progettazione suggerite da alcuni piani – penso alle esperienze dei progetti norma – e si è sopravvalutata la possibilità di imporre loro con successo dei canoni di progettazione. La qualità dello spazio urbano può essere promossa solo se condivisa dagli attori delle trasformazioni e dall’opinione pubblica, non può essere imposta dall’urbanista. È possibile che il recupero di una qualità dello spazio urbano, che sia anche qualità estetica, sia condizionato al recupero di un rapporto con attori e opinione pubblica che proceda innanzi tutto dai caratteri funzionali delle scelte urbanistiche. L’urbanistica riscuote ormai poca attenzione presso l’opinione pubblica perché non appare in grado né di incidere sui problemi quotidiani – ad esempio, mobilità e casa – né di confrontarsi con il suo problema di fondo: la qualità della cittadinanza, direttamente o indirettamente, determinata dalle scelte urbanistiche. Di nuovo, qui si pone il problema del cosa e come rappresentare. Pensiamo al tema
Tavoli interistituzionali per il P.T.C.
della mobilità (è sorprendente, pur se in parte spiegabile, come questo tema sia trascurato dal dibattito urbanistico, anche nelle proposte di riforma legislativa, nazionali e regionali). Quanto pesano, ad esempio, i differenziali di accessibilità nella definizione della qualità della cittadinanza di ciascuno di noi? Forse se la cultura tecnica fosse capace di cogliere e rappresentare meglio i nessi tra articolazione dello spazio urbano e dell’accessibilità e la definizione e sviluppo dei diritti individuali di abitare la città (ovvero di stare in società) vi sarebbe maggiore partecipazione alle scelte che riguardano le trasformazioni urbane e un maggiore impegno per la qualità dello spazio urbano. La definizione formale dello spazio urbano può essere il coronamento di un confronto politico e funzionale, ma non il suo presupposto. A. B.
Sistema Informativo Territoriale della Provincia di M ilano La realizzazione del servizio per la consultazione on-line dei dati geografici della provincia di Milano (S.I.T.@provincia.milano.it - http:// ambiente.provincia.milano.it/webS.I.T.) mira a rendere disponibili i dati del S.I.T. a tutti gli utenti internet, in particolare ai comuni, fornendo anche dei semplici servizi base (visualizzazione, interrogazione e composizione di cartografie stampabili) a coloro che non abbiano strumenti G.I.S. L’accesso al S.I.T.o è libero. È richiesta una rapida reG.I.S.trazione gratuita, a scopi statistici e gestionali, solo per l’accesso ai servizi relativi ai dati o documenti (mappa interattiva, documentazione correlata, tavole, ecc). Il S.I.T. della Pianificazione Territoriale è organizzato in livelli cartografici e database associati, secondo una logica G.I.S.. Per l’impostazione generale del S.I.T. sono stati seguiti, ove possibile, i criteri adottati dalla Regione Lombardia. Il S.I.T. lavora nell’ottica del-
l’integrazione delle diverse basi cartografiche (esterne e interne) in un’unica architettura di sistema informativo. Il principale progetto su cui si è concentrata l’attività del S.I.T., negli ultimi anni, è stata la redazione delle tavole del P.T.C.P. - Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, nelle sue numerose fasi quali la costruzione di tavole preliminari informative di supporto al processo di concertazione con i comuni, la realizzazione di strati tematici (come ad esempio le aree boscate, le aree soggette a vincoli di legge, le infrastrutture esistenti e previste), la progettazione di un’opportuna base dati geografica che contenga tutte le informazioni, l’archiviazione delle informazioni, la composizione delle tavole ufficiali, la produzione di un sistema informatico di consultazione. I principali progetti del S.I.T. riguardano: • il mosaico informatizzato degli strumenti urbanistici (M.I.S.U.R.C.): con legenda unificata, che contiene la versione informatizzata degli strumenti urbanistici comunali (P.R.G., varianti) per tutti i comuni della Provincia, interpretati secondo una legenda unificata appoS.I.T.amente studiata. Lo scopo è quello di incentivare i comuni verso la redazione dei P.R.G. mediante l’utilizzo di strumenti informatizzati in grado di dialogare con gli standard della Provincia (e della Regione) e verso l’adozione di una legenda compatibile con quella unificata del mosaico; • telerilevamento: il progetto riveste un grande interesse scientifico e metodologico; lo scopo è quello di valutare le possibilità offerte dalle tecniche di osservazione della Terra dal punto di vista delle specifiche necesS.I.T.à di un ente di pianificazione, riguardo l’accuratezza nella rilevazione di determinate categorie di uso del suolo e la capacità di monitoraggio “ automatico” dell’evoluzione delle stesse categorie nel tempo; • integrazione basi: riguarda la definizione di una metodologia per l’integrazione di database geografici, finalizzata a risolvere o quan-
tomeno ridurre le problematiche derivanti dall’utilizzo congiunto di basi dati geografiche di provenienza diversa. Gli aspetti affrontati riguardano l’integrazione logica, geometrica e topologica; • database relazionali per informazioni geografiche: è in corso uno studio in collaborazione con il Politecnico di Milano finalizzato all’utilizzo della tecnologia standard dei database relazionali per il trattamento delle basi dati geografiche all’interno del S.I.T. della Provincia di Milano. Lo studio prevede una ristrutturazione delle basi dati esistenti e l’indicazione di un’opportuna architettura del sistema informativo territoriale. Altre attività realizzate dal S.I.T. per il settore Pianificazione Territoriale, in collaborazione con altri settori sono: • ortofoto: (area riservata agli utenti di intranet della provincia di Milano) per supportare le attività di pianificazione e gestione del territorio sono state acquiS.I.T.e e distribuite attraverso la rete locale (intranet) le ortofoto relative all’intero territorio provinciale del 1998-99; • progetto MuOVETEMI (Modello Viabilità e Trasporto Extraurbano Milanese): uno strumento modellistico per la valutazione delle strategie trasportistiche e territoriali, per la verifica del raggiungimento degli obiettivi di sviluppo territoriale e di sostenibilità ambientale (modello di domanda completo a quattro stadi). Col modello è possibile valutare nuovi scenari infrastrutturali stimando come evolverà la domanda di trasporto e come cambieranno le scelte modali. Viceversa, è possibile valutare quali influenze avranno i nuovi insediamenti sulla domanda di trasporto. Infine è possibile simulare gli effetti della domanda valutandone il grado di utilizzo delle reti. Il progetto di sviluppo congiunto con il modello dei trasporti MuOVETEMI, prevede la costruzione di procedure di interscambio di dati tra il S.I.T. e il modello, che permettano di collegare il modello con l’intero quadro di riferimento dei dati territoriali; • alberi di interesse monumentale: il contributo del S.I.T. per questo
M.I.S.U.R.C., mosaico informatizzato degli strumenti urbanistici comunali.
R. G.
Il nuovo Sistema Informativo
Copertina del S.I.T. Milano, P.R.G. Riferimenti Normativi.
Territoriale (S.I.T.) del Comune di M ilano: SIgisM ONDO Sigismondo è l’acronimo per: sistema informativo – SI; sviluppato con tecnologia G.I.S. (geographic inf ormat ion syst em); apert o al MONDO, inteso come tutto il territorio di Milano, costituito dai suoi molteplici aspetti: urbanistica, mobilità, ambiente, cultura, sport, giovani, verde, servizi. Il S.I.T. è uno strumento informatico che consente la gestione di dati cartografici ed informazioni territoriali georeferenziate, utilizzabili per fini gestionali e a supporto delle decisioni: ogni oggetto sul territorio avrà una sua codifica e descrizione di base, a cui saranno collegati qualsiasi tipo di dato alfanumerico. Si parla poi di S.I.T. integrato quando, in fase di progettazione, il sistema viene pensato come un unico strumento per la condivisione dei dati cartografici e territoriali, essenziali alla pianificazione, in grado, contemporaneamente, di soddisfare le esigenze quotidiane e specifiche dei professionisti che operano sul territorio.
SIgisMONDO, presentato nell’autunno dell’anno scorso, è temporaneamente in uso solo per i professionisti del settore, iscritti a ordini e associazioni di categoria. È disponibile su internet, con accesso al S.I.T.o mediante l’inserimento di un codice personale, che può essere richiesto alle rispettive segreterie degli Ordini o delle categorie di appartenenza. Prossimamente il servizio si aprirà al cittadino; per ora è possibile consultarlo dalle postazioni libere collocate presso l’Urban Center in Galleria Vittorio Emanuele. Il sistema fa capo all’Assessorato allo Sviluppo del Territorio, Direzione Centrale Pianificazione Urbana e Attuazione Piano Regolatore, Servizio S.I.T. e Inventario - via G. B. Pirelli 39, Milano. Il direttore centrale è il dott. Emilio Cazzani; il Responsabile del Servizio è il dott. ing. Silvia Castellanza (telefono 0288466382). Il progetto definito dal Servizio S.I.T. e Inventario del Comune di Milano, rende disponibili all’interno degli uffici comunali i dati e le informazioni territoriali prodotte dai vari settori dell’amministrazione. Le informazioni, sono rappresentate geograficamente da strati informativi, sovrapposti a cartografie georeferenziate di riferimento. Le Aree consultabili sono: documenti, cartografica, ricerca, link utili, help in linea. Nell’area documentale, è contenuta la normativa tecnica comprensiva di tutte le varianti che si sono succedute negli anni, le norme tecniche di attuazione del P.R.G. vigente; nell’area cartografica, c’è la rappresentazione dell’intero territorio comunale, con la possibilità di dettaglio grafico (edifici, strade, numeri civici) e di livello tematico del P.R.G. o del Patrimonio Immobiliare comunale. Tramite la ricerca di un immobile per via, per via e numero civico, oppure per dati catastali (foglio e mappale) si hanno le informazioni territoriali che riguardano l’oggetto di interesse, sintetizzate in una tabella riassuntiva. Da foglio e mappale si ha la zona omogenea, tutte le destinazioni funzionali che si sovrappongono su di essa, il verde privato, le eventuali varianti, inoltre dalla tabella ci si collega direttamente al testo della normativa tecnica collegata. Il programma prevede di pubblicare altri livelli tematici: i vincoli sul territorio, i centri di interesse, gli spazi verdi, la mobilità, i dati ambientali, i dati statistici, gli eventi. R. G.
Pavia a cura di Vittorio Prina
Il S.I.T. di Pavia: aspetti positivi e negativi del controllo della complessità Le radici di quello che oggi viene definito “ Sistema Informativo Territoriale di Pavia” risalgono a parecchio tempo addietro (i primi anni ‘80), quando l’Amministrazione comunale decise di implementare una delle prime reti telematiche italiane di grandi dimensioni e di adottare i primi strumenti informatici per la catalogazione e per il trattamento delle pratiche. Tutto il know-how tecnologico e informatico allora disponibile venne quindi impiegato in una serie di progetti d’avanguardia di cui molti cittadini e amministratori faticarono, e faticano ancora oggi, a cogliere le potenzialità e gli aspetti di grande utilità e interesse per la comunità. Di conseguenza, da allora, alcune grosse occasioni sono state sprecate, altre sono state male interpretate o travisate: è mancata quella coscienza delle potenzialità disponibili e del loro possibile proficuo utilizzo, sia da parte della guida politica, sia da parte della guida amministrativa dell’Ente che, a volte alternativamente, a volte congiuntamente, hanno dato luogo ad una frammentazione delle risorse economiche ed umane, causando una maggiore difficoltà e complicatezza in quelle attività di organizzazione e catalogazione dei dati e delle informazioni sul territorio che caratterizzano la funzionalità di un sistema informativo. Il rischio tutt’altro che utopistico è quello che, paradossalmente, l’attività di reperimento ed elaborazione dei dati necessari ai compiti istituzionali dell’Ente di programmazione e di governo del territorio sia più difficile ed onerosa di prima. Dopotutto, consultare un archivio cartaceo di protocollo, un archivio tecnico delle mappe, una biblioteca, una fototeca, un’emeroteca ben organizzati, è un’attività alla portata di tutti i cittadini e di tutti gli amministratori anche se comporta alcuni inconvenienti: richiede pazienza e tempo per chi archivia e per chi consulta, grandi spazi di custodia e una manutenzione costante del patrimonio archiviato. Viceversa, nella realtà pavese di oggi, utilizzare differenti software di visualizzazione e altre sofisticate apparecchiature informatiche a disposizione, reperire i dati nella rete da sedi diverse che utilizzano software diversi, sperimentarne la fusione e integrazione, tentarne la modifica e seguirne l’evoluzione consultando manuali di software di migliaia di pagine scritti in inglese o in tedesco e non tradotti, è un’attività che ha colto e coglie tuttora completamente impreparati la maggior parte
degli amministratori e l’intera componente politica dell’Ente, dando l’illusione che i dati possano avere la massima disponibilità e diffusione, ma di fatto limitandone fortemente gli accessi. Altri inconvenienti: le attività organizzative e manutentive del sistema richiedono molto tempo e disponibilità di personale, che deve essere istruito appositamente; molta pazienza in chi fa il lavoro preparatorio, anche se poi chi lo consulta si diverte più che nel religioso silenzio di un archivio o di una biblioteca; la totale efficienza della rete telematica, traguardo ancor oggi difficilissimo da raggiungere e mantenere. Occorre poi considerare che un archivio cartaceo bene organizzato mantiene la propria efficienza e consultabilità per secoli, mentre un archivio informatico, oltre a prevedere maggiori spese di funzionamento (materiale di consumo informatico per i salvataggi periodici delle banche dati, fondi per il pagamento delle licenze annuali d’uso dei programmi e per l’assistenza delle case fornitrici), a causa della veloce obsolescenza dell’ hardw are e del software, deve essere totalmente rinnovato in media ogni cinque anni. Appare quindi chiaro che il passaggio all’informatizzazione di un Ente, irreversibile, e già quasi del tutto compiuto a Pavia, debba essere affrontato con grandissima attenzione in sede di valutazione dei risultati ottenibili e ottenuti e di programmazione delle attività future. Attualmente il sistema informativo territoriale pavese si compone di tre nuclei indipendenti. • Un primo nucleo è costituito dall’Ufficio Tecnico del Traffico presso la sede della Polizia Municipale; può contare su strutture tecnologicamente avanzate grazie ai cospicui finanziamenti locali, regionali ed europei in atto. L’Ufficio gestisce una propria cartografia riprodotta a digitizer e vettorializzata dal fotogrammetrico del 1987 in dotazione all’Ufficio Tecnico, sulla quale sono riportati i singoli parcheggi privati e pubblici del centro storico (soggetti alla regolamentazione del Piano dei Parcheggi), gli impianti semaforici e le aree pubbliche in concessione. L’Ufficio Tecnico del Traffico cura la redazione e l’aggiornamento della propria cartografia informatica e fa da supporto e assistenza alla polizia municipale nell’attività di controllo del territorio. • Un secondo nucleo si può circoscrivere a quelle funzioni che l’Amministrazione ha trasferito negli ultimi anni alla sua ex azienda municipalizzata, oggi “ A.S.M. Pavia s.p.a.” . L’Ufficio Tecnico di A.S.M. gestisce la stessa cartografia informatica G.I.S. dell’Ufficio S.I.T., sulla quale redige e aggiorna i tematismi relativi agli impianti fognari, alla rete del gas, dell’acqua potabile e della rete telematica in fibra ottica, la cui prima tranche è attualmente in fase di ultimazione. A.S.M. ha pure in gestione la manutenzione del verde pubblico e aggiorna un database completo delle aree verdi comunali in cui sono riportate le descrizioni
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progetto ha riguardato: progettazione e realizzazione del database geografico – schede dati, cartografia – per la proposta di piano di tutela e valorizzazione delle piante monumentali promosso dal servizio Pianificazione Paesistica; • piano faunistico-venatorio: il S.I.T. ha progettato, elaborato e costruito la base dati geografica e composto e realizzato le cartografie del P.F.V. Alcune basi dati geografici progettate e realizzate dal S.I.T. negli anni passati sono: localizzazione delle scuole medie superiori; aree di bonifica; aree industriali a rischio; aree dismesse. Nel corso degli ultimi anni è stata attivata una collaborazione con il Centro Studi P.I.M., nell’ambito della quale si è realizzat o, olt re al M.I.S.U.R.C., il mosaico dei piani delle aree regionali prot et t e (M.I.P.A.R.P.), con legenda unificata.
degli impianti e delle attrezzature speciali installate (irrigazione, illuminazione, sedute, attrezzature ludiche), del tipo di essenze presenti e della pavimentazione dei percorsi di accesso e delle aree di sosta. Purtroppo questo database non è integrato con la cartografia, per cui i dati non sono di fatto immediatamente accessibili agli altri due nuclei del sistema e quindi a chi, all’interno dell’Amministrazione, si occupa concretamente di progettazione del verde e di programmazione finanziaria e gestionale del verde pubblico.
• Il terzo nucleo del sistema, il più corposo, ha invece sede all’Ufficio Tecnico comunale in via Scopoli 1, presso l’Ufficio S.I.T. e chi scrive ne è l’amministratore. Compiti dell’Ufficio sono l’assistenza informatica alla redazione dei Piani Urbanistici e Attuativi, alla progettazione delle opere pubbliche, alla gestione patrimoniale, all’ecologia. Inoltre vi sono la gestione delle banche dati cartografiche e delle pratiche di tutto l’Ufficio Tecnico e la loro “ georeferenziazione” . Il progetto per un nucleo del sistema informativo strettamente legato alle esigenze del con-
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La carta digitale aerofotogrammetrica del centro storico della città.
Esempio di schedatura di un bene patrimoniale.
L’Ortofoto digitale della città.
trollo e archiviazione delle pratiche edilizie, della progettazione di opere pubbliche, della manutenzione dei beni patrimoniali, della pianificazione urbanistica e del controllo ambientale risale ai primi anni ‘90. Da allora sono intervenute parecchie trasformazioni, sia dovute a modifiche organizzative degli uffici, sia dovute all’effetto indotto dal nuovo corpo legislativo, consolidatosi in quegli anni, in materia di lavori pubblici e di pianificazione territoriale. Di conseguenza la formazione del nucleo centrale del sistema informativo ha subito parecchi arresti e nuove accelerazioni che non hanno giovato certo alla sua unitarietà e alla completa coscienza da parte degli amministratori delle sue notevoli potenzialità. L’Ufficio S.I.T. gestisce due tipi di cartografie informatiche in scala 1:2.000 dell’intero territorio comunale. La prima, su base CAD, ha costituito la base per la stesura del nuovo Piano Regolatore Generale; viene correntemente utilizzata per progetti di opere pubbliche e pianificazione dall’Ufficio Tecnico Comunale, da A.S.M., dall’Ufficio Tecnico dell’Università di Pavia e dai liberi professionisti che collaborano con l’Ente o che se ne servono per altri scopi professionali. In un primo momento si era pensato di interromperne l’attività di aggiornamento (gli ultimi aggiornamenti risalgono al 1999) in favore di un nuovo strumento informatico. Tuttavia, data la sua estrema diffusione, economia di esercizio e standardizzazione, è stata recentemente ripresa in considerazione con una campagna di verifiche e aggiornamenti che entro la fine dell’anno porteranno a una nuova versione corretta e aggiornata, ideale per le attività tecniche dell’Ente e per la divulgazione ai cittadini. La seconda cartografia è più strettamente legata alla gestione del sistema informativo e si presenta su base G.I.S. in scala 1:2.000. Su di essa l’ufficio “ georeferenzia” – vale a dire assegna coordinate cartografiche assolute – i simboli identificativi dei processi in corso sul territorio (nuove costruzioni o ristrutturazioni private, opere di edificazione e manutenzione pubblica, vincoli urbanistici e ambientali), che il sistema fornisce dialogando coi diversi software dei servizi dell’Ufficio Tecnico. Il sistema informativo implementa anche una ortofoto digitale in scala 1:2.000 che copre circa il settanta percento del territorio comunale e che può essere all’occorrenza sovrapposta alla cartografia per consentire una visione più organica e più ricca di informazioni del territorio. La cartografia si compone di molteplici livelli che possono essere accesi o spenti all’occorrenza: quello cartografico vero e proprio, quello catastale, quello dell’ortofoto, quello (in via di definizione) dei servizi nel sottosuolo, quello delle pratiche in atto sul territorio, quello dei vincoli di legge e di piano regolatore. È possibile selezionare un oggetto
della mappa (un marciapiede, una recinzione, un edificio o un altro manufatto) e ricevere informazioni relative alla sua identità e tipologia costruttiva, oppure selezionare un simbolo sovrapposto a un oggetto ed aprire la relativa pratica in atto presso uno qualsiasi degli altri uffici, che produce o produrrà mutazioni cartografiche su quell’edificio o porzione di territorio. La banca dati cartografica dialoga con gli uffici collegati al S.I.T. attraverso software dedicati che controllano la manutenzione e la gestione dei beni patrimoniali, le opere pubbliche, l’edilizia privata, l’urbanistica e il protocollo interno di tutte le pratiche; questi software sono inoltre in grado di avvertire per tempo gli utenti delle scadenze delle varie procedure. Con uno strumento così formidabile si potrebbe arrivare a preventivare il cambio delle lampadine in tutte le scuole o in tutti gli uffici pubblici nel week-end precedente alla loro effettiva rottura; si potrebbe determinare dove arriverà la prossima piena del fiume Ticino, preventivarne i danni e predisporre azioni di contenimento; si potrebbe monitorare e visualizzare le aree della città soggette a maggiore inquinamento atmosferico e razionalizzare i flussi di traffico veicolare; si potrebbe informare in tempo reale i cittadini sull’apertura e chiusura di tutti i cantieri di manutenzione stradale o programmare la cura di ogni singola pianta dei parchi pubblici cittadini. Fin qui la teoria. La pratica è fatta di tre nuclei indipendenti e non connessi da un’unica rete che non condividono i dati a disposizione; di uffici che non si parlano; di personale che vede il proprio contributo al S.I.T. come un tributo alla gloria di qualcuno, invece di comprendere che più le informazioni circolano e più diventa facile, veloce e meno frustrante fare il proprio lavoro; di fondi previsti solo per nuovi investimenti e non per il funzionamento di quanto è già disponibile; di impianti di rete obsoleti che mal sopportano il flusso di dati del sistema; di rete elettrica con sbalzi di tensione tali da far saltare gli schermi dei computer, accendere spontaneamente apparecchi nei week-end o spegnere improvvisamente il computer centrale prima che abbia salvato le banche dati. Perciò spesso l’ufficio si trova nella frustrante condizione di non poter soddisfare le richieste degli altri uffici di fornire dati, statistiche o tematismi cartograici completi ed esaurienti. Considerando la situazione attuale e le condizioni di lavoro del personale, di fronte alla volontà dell’Ente di una prossima apertura del S.I.T. al mondo internet, anche ai più entusiasti delle tecnologie informatiche non può sfuggire un pensiero nostalgico sui tempi in cui si reperivano i dati negli archivi storici e nelle biblioteche e si redigevano cartografie tematiche con radex, eliocopie, rapidi e pantoni. Paolo Carena
a cura di Claudio Botacchi e Fabio Della Torre
Difficoltà di diffusione dei nuovi sistemi di rappresentazione Nel campo dell’urbanistica l’uso del computer si è sempre rivelato indispensabile soprattutto per la possibilità di gestire con disinvoltura grandi quantità di dati. Le Amministrazioni degli enti locali e spesso anche i responsabili dei rispettivi uffici tecnici comunali furono, però, per lungo tempo, poco ricettivi rispetto alle novità introdotte dalle nuove tecnologie. L’informatica era vista con diffidenza dal politico perché temeva che il prevalere dell’ “ algoritmo” potesse in qualche modo sottrarre valore alla “ sensibilità” dell’uomo, alla percezione innata della soluzione al problema, che l’arido “ numero” potesse schiacciare brutalmente il forbito discorso, in sostanza che ne potesse risentire in qualche modo ogni influenza sul potere di indirizzare le decisioni secondo mediazione e opportunismo politico. I tecnici degli uffici, soprattutto quelli più anziani, vedevano invece con scarso favore l’organizzazione di un impianto che potesse stravolgere i ritmi abituali del lavoro e gravare con un impegno di tipo “ scolasticointellettuale” . Ora assai meno, ma anche nel passato recente, il computer era quindi visto con poco favore nell’ambiente, perché considerato una sovrastruttura più atta a creare “ lavoro parallelo” che uno strumento veramente efficace per alleggerire il carico d’ufficio. Per la verità, soprattutto nell’ambito dell’informatica territoriale, sono stati messi in commercio programmi “ a scatola chiusa” , spesso molto costosi, realizzati da informatici certamente abili, ma non sempre conoscitori della specifica materia. Programmi poco adattabili alle esigenze del piccolo ufficio tecnico hanno pertanto favorito il radicarsi di tali pregiudizi. Nel settore dell’urbanistica, in cui il nostro studio ha un’esperienza trentacinquennale, ci si è adattati a creare programmi propri, funzionali alla risoluzione di specifici problemi e si è sempre cercato di impostare, con criteri di sistematicità, la raccolta di una serie di dati basata sia su quanto disponibile, sia su specifico “ censimento” . Era imbarazzante, ma non infrequente, trovare Comuni che non avessero idea di quante fossero le case presenti nel territorio, la loro consistenza e destinazione, come fossero articolate infrastrutture e sottoservizi, o incontrare funzionari che non conoscessero l’esatta situazione delle proprietà comunali, piuttosto che la natura e l’entità degli edifici sottoposti a vincolo della Soprintendenza.
Prima della fase di pianificazione è quanto mai opportuna la ricognizione sul campo della situazione esistente, in primo luogo compilando una scheda per ciascun edificio, al fine di rilevare caratteristiche di consistenza, destinazioni d’uso in base alla superficie lorda di pavimento, stato di conservazione, grado di occupazione, valenza ambientale, documentazione fotografica, ecc., con alcune differenziazioni in relazione alle caratteristiche del comune (cfr. schede allegate). Solo nei primissimi anni ‘90 è stato però possibile effettuare associazioni tra database e ” oggetto grafico” , realizzando un G.I.S. primitivo mediante l’associazione “ artigianale” di programmi CAD correlati a specifici applicativi e database. Con tale operazione si è ridotto di molto il lavoro prima effettuato manualmente su “ lucido” per la rappresentazione di carte tematiche, di carte antropiche o per la verifica di omogeneità di zone, oppure ancora per l’individuazione delle intersezioni tra perimetri di vincolo ed aree a destinazione specifica. Questo ha comportato una piccola rivoluzione nell’uso di simboli, colori e retini che fossero compatibili con l’impegno di “ memoria” richiesta al computer ed al tempo stesso non stravolgessero completamente i precedenti criteri di rappresentazione, da tempo accettati dai funzionari regionali e successivamente spesso utilizzati anche da nostri colleghi. Le difficoltà maggiori, che però ancora permangono, sono causate soprattutto dalla disomogeneità dei supporti cartografici disponibili, dalla scarsa affidabilità delle mappe catastali (almeno per quanto attiene ad aggiornamento e possibilità di assemblaggio) e soprattutto dalla non sovrapponibilità delle stesse con i rilievi aerofotogrammetrici, in quanto raramente riportano riferimenti alla parcellizzazione e comportano un paziente lavoro di adattamento (utili a tale proposito sono gli specifici software basati su sofisticati algoritmi di deformazione e georeferenzazione sia di raster che di elementi vettoriali). Nelle zone di montagna, in presenza di dissesti veri o potenziali, il geo-
Scheda restituzione consistenza edificio, anno 1998.
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Stralcio della Tavola di azzonamento.
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Sondrio
Carta antropica della città di Sondrio, 1993. logo è costretto ad operare sulla cartografia regionale in scala 1:10.000, salvo rari casi in cui disponga di rilievo specifico. Ad esempio, corsi d’acqua e vallette hanno rappresentazione e andamento molto diverso sul fotogrammetrico (presunto reale) e sul catastale (presunto storico?), perché gli alvei sono sensibilmente cambiati nel corso degli anni, tra erosioni, dissesti ed alluvioni. Tale differenza si rende ancor più percepibile quando si tratta di trasferire informazioni da scale di rappresentazione tanto diverse (da 1:10.000 a 1:2.000), con sistema di riferimento non omogeneo (Gauss - Boaga o Cassini - Soldner) e con modalità di rappresentazione finalizzate a scopi distinti. Pochi poi sono i Comuni che di-
Scheda restituzione consistenza edificio, anno 1997.
spongono di una cartografia vettoriale, per cui, oltre alle citate difficoltà di coordinamento e di sovrapposizione, si innescano problemi connessi con l’esigenza di gestire una grande quantità di memoria al fine di rappresentare contemporaneamente basi raster, disegni vettoriali, database e quant’altro necessario. Tali difficoltà sono però anche state di stimolo nella ricerca di soluzioni sempre diverse, dovendo adattare al tipo di pianificazione, alla scala di rappresentazione, alla strategia da conseguire, al materiale disponibile per riuscire poi a raggiungere risultati accettabili, ma anche molto diversi, a volte anche innovativi (cfr. figure allegate). Alcune Amministrazioni e relativi uffici tecnici però ora cominciano vistosamente a modificare il primitivo atteggiamento di diffidenza nei confronti delle nuove tecnologie e quindi accettano le nuove modalità di rappresentazione del territorio. Si sono resi conto che l’impegno iniziale è premiato dalla possibilità di redigere certificati di destinazione urbanistica in tempo reale, di istruire pratiche edilizie disponendo della necessaria documentazione cartografica, fotografica e di consistenza, di poter individuare celermente la posizione dei sottoservizi, di potere contestualmente effettuare controlli ICI, di visualizzare con immediatezza standard, servizi, esercizi, superfici commerciali, di avere immediata notizia del livello di inquinamento acustico o elettromagnetico di una determinata zona del territorio comunale. Gian Andrea Maspes
A cura della Redazione
Rappresentazione del territorio e cartografia storica
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degli immobili, la forma, la qualità delle colture, la proprietà dei fondi) consente di osservare per ciascuna porzione di territorio, urbano o rurale, la sua trasformazione storica. In base a questi dati può essere compiuta l’elaborazione di carte tematiche relative all’idrografia, ai centri urbani, all’habitat rurale, all’uso del suolo, alla struttura della proprietà, per ciascun catasto, L’analisi comparata delle carte in serie storica offre la lettura dell’evoluzione del sistema antropico e ambientale. Queste informazioni sono di ausilio non solo nella ricerca storica sugli antichi insediamenti, ma anche nella pianificazione per arrivare ad avere un quadro completo dello sviluppo del territorio, delle sue possibilità, delle sue vocazioni, e dell’impatto che l’urbanizzazione e l’infrastrutturazione possono avere avuto sull’organizzazione sia dello spazio agricolo, sia dello spazio naturale. Nel caso del riassetto territoriale ai fini paesaggisticoambientali, occorre basare la ricostruzione del paesaggio agrario e della struttura degli insediamenti storici su una procedura d’analisi che, utilizzando la rappresentazione catastale, metta in luce il disegno dei campi, l’uso agri-
colo del suolo con individuazione di alberature di ripa e di campo, la presenza di corpi idrici, i nuclei rurali, le cascine, i casolari, la viabilità e l’infrastrutturazione del territorio. Manuela Oglialoro
Bibliografia essenziale AA.VV., L’immagine interessata. Territorio e cartografia in Lombardia tra ‘500 e ‘800, catologo della mostra, Milano, 1984; L. Chilò, A. Tosi, Cartografia e territorio rurale, Grafo, Brescia, 1992; C. Capurso, A. Parigi, R. Ronconi, Cartografia storica del territorio di Rozzano, Logos, Milano, 2002; L. Faccini, Cabrei e catasti fra i secoli XVI e XIX. L’area lombarda, in Storia d’Italia, Volume VI, Einaudi, Torino, 1976; R. Pignotti, I Catasti Milanesi, Rem, Milano, 1985; R. Pignotti, Indagine storico cartografica sui vecchi insediamenti, Mulino Pila di Zoate, Tipolitografia Baiardi, San Mauro Pascoli, 2003; R. Zangheri, I catasti, in Storia d’Italia, Volume V, Einaudi, Torino, 1976.
Il G.I.S. per la conservazione del patrimonio architettonico
Mappa catastale del 1721, Archivio di Stato di Milano. Nello studio delle trasformazioni territoriali è di fondamentale importanza capire, grazie all’analisi storica, quali sono state le principali fasi di evoluzione della forma, della struttura e della qualità degli agglomerati urbani e degli spazi rurali in epoche passate. Per aff ront are quest a let t ura è indispensabile possedere gli strumenti adatti, relativi cioè alla rappresentazione cartografica in serie storica. Uno degli strumenti più validi e ricchi di utili informazioni è quello della rilevazione catastale. Il censimento immobiliare a scopo impositivo fu iniziato nel Ducato di Milano a partire dal XVI secolo, nel periodo della dominazione spagnola (1535-1705), ma è nel XVIII secolo, sotto il potere degli Asburgo d’Austria, che in Lombardia viene promossa una campagna di rilevamento censuario mai intentata prima. Il Censimento Generale dello Stato, promosso da Carlo VI d’Austria nel 1718, fu portato a termine da Maria Teresa d’Austria nel 1760. L’istituzione di un vero e proprio catasto geometrico particellare costituisce uno dei più importanti provvedimenti di riforma amministrativa del governo austriaco, relativo al sistema tributario e fiscale. Tale intervento introduce
princìpi, tuttora validi nei catasti moderni, concernenti il rapporto tra proprietà fondiaria e contribuzione fiscale. In attuazione di tali provvedimenti si procedette ad una rilevazione cartografica capillare di tutti i possedimenti in territorio lombardo, la cui rappresentazione veniva eseguita nei minimi dettagli, allo scopo di poter agevolmente procedere ad una adeguata tassazione basata sulle capacità produttive dei fondi. Conclusosi il periodo napoleonico, (1796-1814), dopo la Restaurazione, venne attivato un nuovo catasto su tutte le province del regno Lombardo-Veneto (1816-45 circa). Successive correzioni e aggiornamenti ci hanno consegnato un materiale di eccezionale rilevanza storica disponibile in più soglie temporali: • Il Catasto di Carlo VI e di Maria Teresa d’Austria (1718-60); • Il Catasto Napoleonico (per i territori rilevati in quel periodo - 1805 circa); • Il Cat ast o Lombardo-Venet o (1816-45 circa); • Il Catasto “ Cessato” (istituito con legge del 1886 e cessato nel 1905 circa). La ricchezza delle informazioni contenute nelle tavolette catastali e nei relativi registri (la consistenza
I Sistemi Informativi Territoriali, nati per gestire grandi quantità di dati eterogenei relativi a realtà territoriali, sono stati efficacemente sperimentati nel settore della conservazione del patrimonio edilizio esistente, come dimostrano recenti applicazioni in ambito italiano ed europeo (1). I G.I.S. consentono in primo luogo di collocare l’edificio analizzato all’interno dello spazio geografico reale e relazionarlo col contesto territoriale, in secondo luogo di poter rappresentare dati di tipo geometrico, misurabili e correlabili con le informazioni alfa-numeriche e grafiche. È possibile, ad esempio, analizzare gli aspetti dimensionali di un edificio dalla scala territoriale a livelli di dettaglio sempre maggiori, nello stesso tempo relazionare le informazioni di tipo storico-archivistico, bibliografico, iconografico, metrico, ecc… all’interno del Sistema Informativo Territoriale. I software G.I.S. non sono assimilabili ad altri applicativi che consentono la mera illustrazione di elaborazioni già compiute, neppure con la narrazione ipertestuale; non vanno infine confusi con i programmi di disegno vettoriale (CAD). La caratteristica che li differenzia dagli altri sistemi informativi è che i dati alfanumerici e quelli geometrici sono inscindibilmente integrati fra loro. L’informazione, per essere inserita nel G.I.S., deve necessariamente essere associata ad una entità geometrica (georeferenziazione).
È questa relazione associativa che consente, una volta immessi, modificati, implementati, aggiornati i dati all’interno del database, l’aggiornamento automatico delle relazioni geometriche. Non sono possibili, in questo modo, incongruenze fra dati contenuti nel database e la loro corrispondenza con tutti i livelli informativi contenuti nel G.I.S. (di natura qualitativa e/o quantitativa: ricalcolo automatico statistiche, superfici, percentuali e, non ultimo, l’aggiornamento automatico delle tavole grafiche di rappresentazione). Questo modo di procedere genera, ad ogni aggiornamento delle informazioni, nuove condizioni interpretative perché consente di “ vedere e decifrare” progressivamente la complessità della realtà che si sta indagando, come un puzzle che prende forma e nel quale ogni tessera ha un luogo definito e non incerto di collocazione. Considerato che un edificio è innanzi tutto una entità geometricamente definita e misurabile, l’interrogazione del dato geometrico risulta fondamentale nei casi in cui anche i dati qualitativi devono poter essere quantificati (per esempio: non è sufficiente stabilire quale patologia di degrado si riscontra su una superficie, è necessario anche poterla localizzare e quantificare con precisione e con procedure automatizzate). L’aspetto innovativo dell’utilizzo del G.I.S. in questo settore non è dunque solo
porto al numero di edifici gestiti con lo st esso crit erio di documentazione. La base-dati crescente che potrebbe crearsi su scala territoriale, in analogia con ciò che avviene per il progetto “ Carta del Rischio del patrimonio culturale” , sarebbe di notevole interesse nella valutazione delle procedure conservative, per la conoscenza delle cause di degrado e per la programmazione degli interventi conservativi. Per riassumere in una formula la loro efficacia si può dire che attraverso i G.I.S. la conoscenza sempre provvisoria di un oggetto, nell’ambito di sistema informativo anche complesso e di notevoli dimensioni, può essere sempre integralmente disponibile, interrogabile, confrontabile, reinterpretabile ed implementabile. È uno strumento che, in altri termini, contribuisce a gestire la complessità della realtà, il processo senza fine della conoscenza, attraverso possibilità di associazioni informative sino ad oggi inimmaginabili. Carlotta Coccoli Nota 1. Oltre alle sperimentazioni in corso sulla torre di Pisa ed il teatro romano di Aosta, sono da ricordare i casi della Parrocchiale di Vilminore di Scalve e l’esperienza svedese di ENSIS Maintenance Management System, recentemente illustrati al convegno internazionale “ Conservazione programmata. Nuovi processi per valorizzare il patrimonio storico-architettonico” , Milano, 11-12 aprile 2003.
Nasce Isola dell’Arte. Per la costruzione sociale della città e del quartiere Isola La Stecca degli Artigiani è quello che rimane della fabbrica Brown Boveri. Un edificio in linea, con una sorta di strada corridoio, al centro dei giardini pubblici di quartiere. Il quartiere è l’Isola, una zona in forte trasformazione in questi ultimi anni, che ha visto l’insediamento di nuovi studi di creativi e architetti, laboratori di artigiani, giovani coppie. E così le case a ballatoio, i capannoni nei cortili, le mansarde sui tetti si sono rinnovati, mantenendo per ora una sorta di discrezione nella convivenza con gli abitanti e le attività più tradizionali. Un equilibrio difficile tra nuovi e vecchi usi, minato anche dai grossi progetti di riqualificazione urbana che dalla scala metropolitana approdano, a senso unico, alla scala locale. Da sempre, infatti, l’Isola ha vissuto la relazione difficile con i progetti pubblici per l’area Garibaldi Repubblica: questa volta a essere completamente stravolti sarebbero i suoi margini a sud, con la scomparsa dei giardini e della Stecca
degli Artigiani in via Confalonieri e l’apertura di una strada a scorrimento veloce in via Volturno. Tuttavia qualcuno si sta chiedendo che tipo di relazione si potrà istituire tra un tessuto ricco come il quartiere Isola e la “ grande Milano” a partire da un semplice meccanismo di sottrazione. Tra gli altri l’associazione Isola dell’Arte ha iniziato a mettere in moto energie e progetti che offrono la possibilità di pensare diversamente a quest’area. L’associazione è nata e si è presentata al pubblico nell’aprile scorso con l’evento Le mille e una notte svoltosi nella cornice della Stecca degli Artigiani. IDA è stata fondata da artisti, curatori e critici di fama internazionale quali gruppo A12, Bert Theis, Grazia Toderi, Francesca Pasini, Roberto Pinto, Marco Scotini, Undo.net e altri per promuovere interventi di valorizzazione dell’area, tra cui il riutilizzo di alcuni locali inutilizzati della Stecca come sede di un centro di arte contemporanea. L’idea è quella che i linguaggi del-
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Veduta del quartiere Isola. l’arte riescano da una parte a sollevare pubblicamente temi cari alla città contemporanea come quello del riutilizzo degli edifici storici, della convivenza delle popolazioni, della contaminazione tra modi d’uso, dei portati simbolici dei luoghi; dall’altra siano sufficientemente aperti da generare opere e immagini a partire da una relazione diretta con il territorio (urbano e del quartiere), con le realtà sociali, con gli abitanti. Ed è così che Bert Theis crea Out (Office for Urban Trasformation) in uno spazio al primo piano dell’edificio: un luogo dove discutere di arte e città che ha già ospitato eventi, conferenze e mostre, ma anche riunioni di abitanti e associazioni. Stefano Boccalini, insieme all’associazione Cantieri Isola, promuove il progetto Wild Island, orto giardino comunitario curato dagli abitanti. “ Nell’orto giardino le persone che vivono nel quartiere piantano qualcosa che appartiene alla loro cultura e al loro desiderio, lo mettono in comune con altri e allo stesso tempo si appropriano e si prendono cura di uno spazio che appartiene alla comunità (…) ho voluto che quest’orto giardino crescesse come cresce la città contemporanea, dove la coabitazione tra culture diverse si sviluppa in maniera esponenziale: l’albero di fichi cresce vicino a una pianta esotica ed un cespuglio di lavanda di fianco al bambù” . Liliana Moro, invece, con l’aiuto del Comitato dei Mille, costruisce delle casette gioco per bambini, nel parco, proprio dove dovrebbero crescere le torri di diciotto piani. Isola dell’Arte segue le storie di altri artisti e curatori che hanno lavorato su temi affini e che contri-
buiscono ora al sostegno del lavoro dell’associazione. Tra gli altri Christian Bernard direttore del Mamco di Ginevra, stabilimento in disuso che in pochi anni è diventato uno dei centri di arte contemporanea più visitate della Svizzera e che a fine maggio ospiterà una mostra sull’esperienza del quartiere Isola. O gli artisti di Park Fiction, che ad Amburgo hanno sostenuto la riprogettazione di un parco all’interno di St. Pauli, noto quartiere portuale della città: “ Il nostro contributo di artisti è confluito in un progetto comune. È difficile distinguere i singoli apporti, però abbiamo aiutato le persone a dare forma ai propri desideri, ad esempio intercettando idee o spunti meno codificati, oppure rappresentando con un film gli usi, le trasformazioni, le voci del quartiere. D’altra parte abbiamo imparato a guardare le cose non solo con i nostri occhi, a considerare più punti di vista, a osservare e ascoltare” . Questi artisti cercano di mantenere con la città contemporanea, con lo spazio pubblico degli usi e privato dei desideri, una relazione di reciprocità e di attenzione. Anche la Stecca degli Artigiani e i giardini, come pezzi della città e del quartiere, diventano ambiti di sperimentazione dai quali partire verso il riconoscimento della mancanza di univocità nell’approccio alla progettazione urbana. Allora alcune forme di arte dicono qualcosa all’architettura e all’urbanistica, verso la costruzione di immaginari e sogni, verso l’idea che anche i grandi progetti possano essere un’occasione per costruire relazioni autentiche con la città vissuta, alle diverse scale del progetto. Francesca Cognetti
Argomenti
la possibilità di immagazzinare una quantità pressoché infinita di dati, ma di renderli utilizzabili ai fini del processo decisionale attraverso statistiche, ricerche, integrazioni complesse: operazioni fino a questo momento difficilmente realizzabili con altri strumenti, se non con tempi e costi insostenibili. I G.I.S. sono in grado di fornire il supporto conoscitivo necessario per perseguire gli obiettivi propri del servizio di manutenzione: • finalità previsionale (studio delle cause e degli effetti dei fenomeni di degrado e programmazione delle scadenze temporali degli interventi e/o controlli periodici); • finalità di confronto (acquisizione di dati e informazioni su diversi sistemi edilizi); • finalità di conoscenza e istruzione (tendente ad individuare cosa, come, chi e quando intervenire); • finalità statistica (archiviazione, gestione, elaborazione dei dati per definire le strategie conservative più opportune). Sul lungo periodo le sue qualità e potenzialità emergono in tutta evidenza, quando ad esempio si ha la necessità di verificare i processi di degrado, i materiali utilizzati nel restauro e nella manutenzione o nella verifica dei relativi costi. Il recupero rapido e selettivo delle informazioni, di tipo alfanumerico e grafico, non è una semplice restituzione selezionata dell’elenco di relazioni archiviate, come avviene in un database, ma nel G.I.S. diventa una rappresentazione delle stesse con tutte le informazioni associate. Il valore informativo della documentazione relativa ad un edificio aumenta inoltre in rap-
L’esperienza dell’architettura di Tito Bassanesi Varisco: razionalismo o non razionalismo?
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Nella storia del razionalismo italiano Tito Bassanesi Varisco è stato un architetto capace di emettere un autentico segnale di contemporaneità, avendo avuto il merito di non ascoltare mai le voci dell’architettura così detta romantica, quella raccontata dai soloni del suo tempo, ma di misurare sempre i suoi progetti, con vero successo, in un racconto architettonico denso di segnali nuovi, sfoggiando una padronanza linguistica inusitata nel segno di un racconto razionalista. Varisco, nato nel 1915 e morto recentemente, nel 1998, aveva una tale professionalità e una passione per l’architettura che gli hanno permesso di costruire case private, edifici pubblici, scuole e autorimesse con una rigorosa e semplice logica progettuale. La sua architettura subisce una profonda evoluzione, a partire dall’edificio in corso Sempione 25, sede del gruppo nazionale fascista P. E. Crespi - oggi sede della Rai-Tv - progettato nel 1938 con Gianni Angelini e Giuseppe Calderara, al quartiere INA Casa Harrar, in via Novara, del 1951 e al quartiere INA Casa o INCIS di via Feltre del 1957, con Gio Ponti, Luigi Figini, Gino Pollini, Piero Bottoni, Mario Bacciocchi, Giancarli De Carlo ed altri, fino all’autorimessa di via De Amicis, solo per ricordare alcuni dei suoi progetti più significativi. Tutte le opere, comunque, si basano su una scelta limpida e trasparente di materiali che rendono la sua architettura capace di fruire della forza geometrica del razionalismo, senza farli apparire come interventi razionalisti veri e propri. Perfino l’idea di base dei progetti, la loro polifunzionalità, legata alla vita e al commercio, appaiono come un contenuto aderente alla scioltezza delle loro immagini. Mi riferisco, in particolare, all’autorimessa De Amicis e alla scuola in Piazza Carbonari ex Gi-
vaudan, che rappresentano uno stile, un archetipo, insomma un vero e proprio monumento del vivere intelligente dell’architettura. Molte delle sue opere appaiono briose, per il modo austero con cui si pongono nel paesaggio cittadino; non trasgrediscono mai la razionalità pesante dell’intorno, anzi riescono a esprimere una grande forza di comunicazione e di attrazione. È un’architettura che è stata sempre nuova nello scenario triste di molte altre di sapore razionalista che, per lo più, mancano di coraggio e di forza espressiva. Un motivo per l’accadere di questi fatti si può far risalire alle Università che allora, come oggi, insegnano solo a ripetere cose già viste, vale a dire insegnano a copiare l’architettura già inventata. Seguire alla lettera quei docenti che hanno paura della parola creatività è una malattia molto diffusa, soprattutto nelle giovani generazioni. Avere il coraggio di esprimere il proprio pensiero personale, colmo delle proprie conoscenze e della cultura in divenire del progetto, è invece cosa rara e il lavoro di Varisco potrebbe essere un monito. In effetti il suo lavoro ha fermato l’attenzione dei critici, ha attirato l’attenzione di chi da tempo difende, proprio nella scuola, questo modo di essere contemporanei, a scapito di chi vorrebbe solo piattume e desolazione. La mancanza di creatività è sinonimo di miseria, miseria culturale, miseria di personalità: è mancanza di coraggio. Siamo grati a professionisti come Varisco che si sono imposti con tanta chiarezza attraverso progetti raccontati in modo attento e inusuale. Allora occorre fare un breve riferimento all’architettura in generale per capire i fenomeni collaterali che impediscono il generarsi di queste nuove evoluzioni della forma architettonica. È difficile il rapporto fra architettura e politica, particolar-
mente sentito in quegli anni in Italia, che fa emergere una debole immagine delle difficoltà che si sono incontrate nella gestione del territorio. Mancava un vero laboratorio dell’edificazione, a causa di una guerra che ha imposto silenzio e distruzione per diversi anni sul territorio delle nostre città. D’altra parte si nota anche intorno agli anni Cinquanta l’assenza del cliente intelligente. Lo sforzo di Varisco, viceversa, è sempre stato teso a superare queste mancanze e a identificarsi in uno stile, in grado di assicurare quella continuità culturale che è propria della disciplina del progetto. La vicenda della sua architettura si intreccia con le discussioni filosofiche e politiche del suo periodo che tendevano a prefigurare e definire l’ambiente destinato a ospitare la qualità della vita futura. Questa riflessione non è un semplice attributo descrittivo, in quanto l’insieme delle modalità tecniche di intervento sull’habitat costituisce un’arte: arte prodotta da Tito Bassanesi Varisco come un generatore della città, che ha trovato all’interno della sua ricerca il senso e le ragioni della disciplina progettuale. I suoi vari progetti, intesi come luoghi di vita, di commercio, di scuola, di funzioni pubbliche, cioè luoghi di incontro, sono parti integranti della sua invenzione architettonica, perché appaiono come racconti tecnologici e, allo stesso tempo, sono un richiamo di memorie, di riferimenti tipologici consolidati. Modellare l’architettura attraverso i materiali e le superfici è una delle componenti naturali dello spazio architettonico; rimane, come sempre succede, il modo di segnare il mondo che ci circonda e noi stessi, nel tempo. Varisco fa questa esperienza e usa l’intonaco bianco, il mattone a vista, il cemento armato a vista, come strutture percettive dei suoi spazi progettuali. Allora il suo lavoro diventa decorazione, texture, forma, ottenendo così un risultato affascinante. A volte sembra un compito impossibile riuscire, attraverso gli eventi architettonici, a modificare i comportamenti dell’uomo e segnare la sua storia, ma
Tito Bassanesi Varisco, veduta del Liceo artistico di Brera, Milano, 1955.
è fuori di ogni dubbio che questo architetto veramente italiano ci è riuscito. L’architettura contemporanea italiana del suo tempo è stata capace di ritrovare quel segno già tracciato dai Maestri della nostra disciplina e far vivere questa partecipazione nella ricerca dei nuovi segni capaci di formare i nuovi stili: Tito Bassanesi Varisco è il migliore esempio di queste capacità. Per rafforzare queste annotazioni serve un commento più personale anche sull’uomo Varisco. Infatti, da allievo dei suoi corsi di Geometria Proiettiva al Politecnico di Milano e da collaboratore delle sue trasmissioni televisive sull’architettura, ebbi modo di apprezzare fino in fondo la sua carica espressiva e la sua umanità. Artista, maestro d’arte, non a caso ha retto per anni anche la direzione dell’Accademia di Brera. Gli ho visto forgiare con le sue mani lo stemma, che ancora oggi appare sulla facciata dell’autorimessa De Amicis. E un pomeriggio d’estate mi invitò nel suo studio per aiutarlo a disegnare il monoscopio destinato a concludere la fine delle trasmissioni dell’allora nascente Televisione Italiana. Montammo la carta da parati che conteneva il disegno dell’antenna spaziale, bianco su nero, su due rulli e, di sera, insieme, in uno studio RAI facevamo girare i due rulli davanti a una delle prime telecamere. L’architettura per lui era veramente un gioco, proprio come soleva ammonire Le Corbusier. Ma il momento magico fu organizzare la trasmissione sul costruttivismo russo degli anni Trenta: qui, con mio sommo piacere, mi chiese di realizzare dei modelli ricavati da vecchi disegni provenienti da un suo libro russo e fu, insieme per la prima volta, che rendemmo tridimensionale il disegno del progetto per il Monumento alla Terza Internazionale di Vladimir E. Tatlin del 1920. Modelli che vidi, poi, appesi per anni dietro al suo luogo di lavoro. Mano sublime per il disegno, mente raffinata per l’esperienza dell’architettura. Mario Antonio Arnaboldi
A cura di Roberto Gamba
Sistemazione di spazi pubblici in due ambiti urbani di Gorgonzola (Mi) sentano lo straordinario repertorio linguistico (ancora moderno) del dialogo tra architettura e natura. Le carte storiche di Gorgonzola, mostrano uno straordinario disegno urbano, caratterizzato da una forte integrazione città-naviglio: infatti il tracciato della Martesana devia in corrispondenza del centro storico formando una sorta di “ isola urbana” . Il concorso, bandito dall’Amministrazione comunale, era diviso in due ambiti; chiedeva idee per interventi da attuare, secondo le previsioni di un Piano particolareggiato, in un’area industriale centrale dismessa, da connettere, con altre aree pubbliche vicino alla via Marconi, un percorso rettilineo, con una sezione di 5 ml; chiedeva il disegno dello spazio pubblico e una possibile soluzione planivolumetrica, alternativa a quella prevista nel P.R. Inoltre, riguardava la sistemazione degli spazi pubblici, come previsto nel Piano di recupero del nucleo storico di vicolo Corridoni, posto lungo il naviglio della Martesana, in funzione del ruolo di connessione dell’area stessa con gli altri spazi pubblici presenti nel centro cittadino.
Ambito urbano di via M arconi 1° premio Federico Acuto, Laura Anna Pezzeti, Stefano Gaudimundo
riormente segnata da elementi verticali predisposti per affissioni pubbliche e orologio. Il lungo percorso pedonale viene concepito come “ alzaia” del “ canale verde” , rappresentato dalla fascia ribassata del verde privato; il confine viene trattato come vero e proprio argine, riprendendo materiali e proporzioni tipiche dei manufatti idraulici. Inoltre, in corrispondenza delle corti vengono collocate due “ stazioni di sosta” , con sedute e fontana, che formando una quinta di separazione dalla parte interna della corte, diventano i punti di incontro della gente. Al percorso, si è voluto attribuire una complessiva impronta stilistica classicheggiante (o “ neoclassica” ), tipica dell’“ Architettura civile” dell’800 lombardo, stabilendo una sorta di dialogo a distanza con l’architettura del Cantoni: gli elementi sferici che segnano il passo dell’illuminazione, l’impianto simmetrico della quinta-fontana, insieme ai semplici volumi dell’“ argine” , cer-
Si interpreta l’invaso delle corti secondo una netta suddivisione tra una zona necessariamente “ di filtro” , ovvero trattata a verde e comunque praticabile limitatamente alle necessità di collegamento tra unit à immobiliari e zone commerciali e una zona dove la destinazione urbanistica si traduca in una concreta e più diretta fruibilità, mediante realizzazione di spazi urbani di adeguato decoro. Si propone una diversa organizzazione planivolumetrica della “ testata nord” del comparto; una nuova piazza De Gasperi, concepita come invaso triangolare, orientato secondo i tracciati regolatori dell’impianto generale (via IV Novembre) e delimitata dal nuovo edificio di testata; una parzialmente diversa impostazione planivolumetrica della “ testata sud” . La “ soglia” del percorso è ulte-
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cano di connotare, e dare dignità di luogo pubblico proprio, a quegli spazi che diversamente rimarrebbero “ di servizio” o di “ retro” . La scelta di distinguere secondo il grado di possibile interferenza con le funzioni residenziali, due spazi distinti all’interno dell’invaso delle corti, si concretizza nella realizzazione di elemento architettonico di quinta, formato da due setti, ai piedi dei quali sono collocate le sedute.
La chiave di lettura figurativa del lungo spazio lineare, in fregio all’edificio in linea, è quella dell’architettura idraulica ovvero del “ canale navigabile” ; il verde e la messa a dimora di siepi e tappezzanti costituirà memoria dell’acqua, mentre il vero e proprio “ bordo” dell’argine sarà trattato con pietre e/o elementi prefabbricati in cls lisciato, tali da consolidare la scarpata e formare il necessario muro di protezione.
Ambito urbano di via M arconi 2° premio Leonardo Nava, Ester Garzonio
Questo spicca proprio sull’angolo con un elemento a vela che vuole essere un segno ed un legame con quel sistema di percorsi, di fronti edificati sorprendenti, come la torre di palazzo Serbelloni, o la facciata della cattedrale di S. Gervaso e Protaso, e di improvvise compressioni e dilatazioni dello spazio. È un edificio la cui giacitura a “ L” , leggermente ruotata, introduce visivamente e spazialmente allo spazio pubblico, strutturandosi con una pianta che propone attraversamenti e ambiti di sosta raccolti, a fronte di continuità e funzionalità nella distribuzione planimetrica.
L’integrità dell’intervento dimostra come non sia possibile pensare ad un luogo pubblico se non in relazione agli edifici circostanti, che sono gli elementi che ne determinano l’articolazione spaziale. Nell’affrontare il tema dell’innesto del nuovo percorso pubblico su via Serbelloni, si è posta attenzione al nuovo edificio ed allo spazio pubblico frontistante, affrontato come elemento di continuità con la cortina edilizia.
Concorsi
Il paesaggio oggi dominante dell’est Milano è quello costruitosi dalla seconda metà degli anni ’70. Si richiama al significato “ emblematico” che la realizzazione di vie d’acqua artificiali assume nella precedente storia lombarda. Fu un momento straordinario di reinvenzione del ruolo della città e delle sue relazioni con il territorio, che trova – dalla seconda metà del XV sec. – nell’invenzione urbanistica di Leonardo da Vinci una straordinaria interpretazione. Alla caratterizzazione dello spazio e del paesaggio di Gorgonzola, alle porte di Milano, concorre il rapporto con l’acqua del naviglio Martesana, non tanto per quanto attiene alla connotazione pittoresca, che comunque contribuisce a creare quell’atmosfera così particolare e sospesa nel tempo, quanto per quegli aspetti, strettamente architettonici, relativi ai manufatti dell’ingegneria idraulica, argini, ponti, chiuse, balaustre, alla funzionalità delle “ sciostre” , con le relative “ fondamenta” (per usare un termine veneto che ben si attaglia al caso nostro), magazzini, coperti. Le affascinati strutture e volumetrie dei manufatti di canalizzazione e d’utilizzo del naviglio, rappre-
Concorsi
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Le dilatazioni delle corti degli edifici a “ C” sono state mantenute come ambiti di pertinenza dei due rispettivi edifici e vengono disegnate da un morbido declivio che si alza verso il luogo pubblico interno. Al margine opposto della seduta, lungo la passeggiata, ai piedi dei declivi, scorre, al piano di calpestio, un sottile canale di acqua, che attraversa e segna i luoghi significativi in tutta l’estensione dello spazio, proprio come la Martesana con tutta la cittadina di Gorgonzola. La nuova piazza De Gasperi viene definita dalla presenza della nuova fontana e da due nuovi edifici, a sinistra del percorso, adibiti a re-
Ambito urbano di vicolo Corridoni 1° premio Anna Speranza, Gaia Redaelli, Vito Redaelli Il progetto si pone l’obiettivo di attualizzare il paesaggio di Gorgonzola in un nuovo disegno urbano contemporaneo che interviene ridefinendo le continuità morfologiche degli spazi aperti. Un nuovo edificio nasce dunque come elemento lineare che si snoda planimetricamente a definire tre piazze con carat t eri diversi ed ognuna con una propria identità; tipologicamente riprende la continuità morfologica della Casa Busca, proponendosi come una sorta di “ serpente urbano” che si piega per definire di volta in volta il rap-
sidenza nei piani alti e a commercio a piano terra, uno dei quali si relaziona con la testata dell’edificio a “ C” sporgendo maggiormente rispetto all’altro che invece risponde direttamente all’innesto del canale ottico del viale del cimitero. La sua pavimentazione disegna una maglia regolare quadrata, i cui cordoli sono in marmo bianco di Verona, mentre i quadrati sono pavimentati in cubetti di porfido. Sul fronte ad est, è previsto l’ultimo edificio di progetto, che, al piano terreno, attraverso una leggera struttura su pilotis, è elemento di continuità con lo spazio pubblico.
porto lineare con la Martesana, uno spazio pubblico che si affaccia sul naviglio, le connessioni verso il parco Sola Cabiati e la direttrice pedonale verso Piazza Cagnola. La testa dell’edificio verso la Martesana diventa un elemento tridimensionale a “ torre” , con 4 piani abitabili fuori terra, che chiude la piazza Pirola, dialogando volumetricamente con il Palazzo Pirola stesso. Disegno dello spazio pubblico e volumi costruiti definiscono così una sequenza di aree pubbliche la cui caratteristica specifica è la massima fluidità e continuità, tra le parti interne all’area di intervento e verso le altre aree pubbliche centrali di Gorgonzola. A questo obiettivo concorre il nuovo edificio proponendo un ampio pas-
saggio pubblico al piano terra da piazza Pirola in direzione di piazza Cagnola, offrendo la massima continuità verso i quartieri nord della città. Spazio aperto e spazio costruito perfezionano le necessarie gerarchie delle aree pubbliche; vengono così individuati alcuni spazi funzionali tematizzati, ognuno dei quali possiede una propria identità e spazialità: la piazza Pirola –
spazio della rappresentazione – è il luogo privilegiato per la vita quotidiana e per attività commerciali, per l’approdo delle barche che navigano il naviglio (imbarcadero), per il cinema all’aperto e per installazioni urbane, con la predisposizione di 3 sculture verticali. La copertura del corpo di fabbrica basso, parallelo al naviglio, può essere accessibile diventando una terrazza panoramica sulla città.
Ambito urbano di vicolo Corridoni 2° premio Massimiliano Roca
senti nell’area, inserendo un disegno del suolo che riconosce un luogo centrale, che si differenzia dai margini per una variazione materica e geometrica. In accordo con le disposizioni previste dal piano di recupero adottato, dispone dei percorsi pedonali che si affiancano a spazi a verde. Si costruisce attraverso una stratificazione dei percorsi, degli spazi aperti e degli spazi edificati disegnando quindi uno spazio vuoto centrale, diviso in due piazze, attorno al quale si sviluppano i corpi edificati, le cui connessioni si sviluppano anche nel sottosuolo, adibito a parcheggio. Il progetto poi individua nei materiali un mezzo necessario al completamento della specificazione dell’idea di progetto, dove appunto la disposizione dei punti di illuminazione, dei setti attrezzati e delle panchine in pietra, trovano una corrispondenza nel progetto fra la struttura edificata ed il disegno degli spazi aperti.
Il progetto dispone un edificio, sostitutivo a quello proposto nel piano di recupero, che chiuda la piazza pubblica e si attesti verso il naviglio con un fronte parallelo ad esso, recuperando così la tipologia insediativa dell’edificio in linea lungo il naviglio. Mantiene poi inalterato il rapporto con il vuoto della corte della Ca’ Busca, riconoscendo nel naviglio un intervallo fra i due vuoti, che rimangono isolati, come fossero camere vicine comunicanti, lasciando quindi eretto il muro di confine della corte, identificato come fondale per il nuovo spazio vuoto antistante a Palazzo Pirola. Il progetto propone poi di orientare il progetto di uno spazio pubblico verso un principio, che riconosce come matrice fondativa il disegno irregolare dei tracciati pre-
Legislazione a cura di Walter Fumagalli
Gli addetti ai lavori sono soliti dichiarare, magari senza soffermarsi tanto sulle conseguenze concrete di tale affermazione, che i piani di lottizzazione valgono dieci anni e che, scaduto tale termine, le concessioni edilizie necessarie per realizzare le opere non ancora eseguite non possono più essere rilasciate, se non dopo l’approvazione di un nuovo piano di lottizzazione. All’origine di questa diffusa convinzione è rinvenibile l’orientamento giurisprudenziale senz’altro dominante, secondo cui anche per i piani di lottizzazione convenzionata dovrebbe considerarsi applicabile il termine decennale di validità dei piani particolareggiati previsto dall’articolo 16 della Legge 17 agosto 1942 n. 1150 in forza del quale, col provvedimento di approvazione dei piani particolareggiati stessi, “ sono fissati il tempo, non maggiore di anni 10, entro il quale il piano particolareggiato dovrà essere attuato e i termini entro cui dovranno essere compiute le relative espropriazioni” (Consiglio di Stato, Sezione IV, 11 marzo 2003 n. 1315; Consiglio di Stato, Sezione VI, 20 gennaio 2003 n. 200; Consiglio di Stato, Sezione IV, 9 ottobre 2002 n. 5373); pertanto, sempre secondo questo orientamento, scaduto il termine decennale non potrebbero essere più rilasciate concessioni edilizie per costruire gli edifici che, pur previsti dal piano attuativo, non siano stati realizzati nel periodo di validità dello stesso (Consiglio di Stato, Sezione VI, 20 gennaio 2003 n. 200). Per quanto autorevolmente sostenuta, tuttavia, questa interpretazione dell’articolo 16 non appare del tutto convincente, e sembra meritare più di una riflessione. Al riguardo non sarà superfluo prendere le mosse dal testo della legge, cioè da un dato che sempre più spesso l’interprete tiene accuratamente in secondo piano (probabilmente convinto che il nostro Legislatore sia fondamentalmente inaffidabile), ma cui non si può fare a meno di riconoscere un peso decisivo ai fini della corretta applicazione delle norme. Nel disciplinare le convenzioni
preordinate a dare attuazione ai piani di lottizzazione l’articolo 8 della Legge 6 agosto 1967 n. 765, sostitutivo dell’articolo 28 della Legge n. 1150/1942, non fissa alcun termine per la realizzazione dei fabbricati previsti da tali piani, giacché si limita a disporre che le citate convenzioni devono fissare un termine non superiore a dieci anni, entro cui devono essere ultimate le opere di urbanizzazione, ma nulla dispone con riferimento alla costruzione degli edifici. La circostanza che per i piani di lottizzazione la norma in esame, al contrario di quanto aveva fatto venticinque anni prima l’articolo 16 della Legge n. 1150/1942 per i piani particolareggiati, non abbia previsto l’obbligo di fissare alcun termine di validità, appare già di per sé decisamente significativa, tanto più che essa non contrasta con nessuna delle regole generali che governano la materia. Nel nostro ordinamento infatti, contrariamente a quanto comunemente si crede, non sembra individuabile un principio generale secondo cui gli strumenti urbanistici debbano avere necessariamente ed inderogabilmente una validità limitata nel tempo. Se ben si riflette sulle disposizioni vigenti, anzi, risulta vero proprio il contrario: la regola generale è che gli strumenti urbanistici dettano una disciplina per il corretto assetto del territorio destinata a produrre effetti a tempo indeterminato, cioè fino a quando non intervenga un nuovo strumento che, in ragione di sopravvenute esigenze di interesse pubblico, modifichi la disciplina precedente. Ciò che normalmente viene limitato nel tempo in realtà, e questo sì è un principio generale non privo di risvolti anche a livello costituzionale, è solo l’efficacia di quelle previsioni urbanistiche che assoggettano a vincolo di inedificabilità o di esproprio beni determinati, così come attestano: • l’articolo 2 della Legge 19 novembre 1968 n. 1187, che limita a cinque anni l’efficacia delle previsioni dei piani regolatori e dei programmi di fabbricazione che incidono su beni determinati e li assoggettano a vincoli preordinati all’esproprio o che ne comportino l’inedificabilità; • l’articolo 9 della Legge 18 aprile 1962 n. 167 e successive modifi-
cazioni, che limita a diciotto anni l’efficacia dei piani di zona per l’edilizia economica e popolare in quanto detti piani, costituendo dichiarazione di pubblica utilità, assoggettano ad esproprio le aree relative; • l’articolo 27 della Legge 22 ottobre 1971 n. 865, che limita a dieci anni l’efficacia dei piani per insediamenti produttivi in quanto anche detti piani, costituendo dichiarazione di pubblica utilità, assoggettano ad esproprio le aree relative. La fondatezza della giurisprudenza dominante va dunque valutata alla luce di queste regole di fondo che governano la materia. Al riguardo, l’iter argomentativo generalmente seguito dalle sentenze che attribuiscono ai piani di lottizzazione una validità decennale può essere così sintetizzato: • a) ai sensi dell’articolo 8 della Legge 6 agosto 1967 n. 765, il piano di lottizzazione è divenuto uno strumento equiordinato ed alternativo rispetto al piano particolareggiato; • b) ciò rende possibile applicare analogicamente ai piani di lottizzazione la normativa dettata dalla legge per i piani particolareggiati; • c) in particolare, l’applicazione della norma relativa al termine di validità dei piani particolareggiati è indispensabile, in considerazione della necessità di adeguare lo strumento attuativo alle mutate esigenze urbanistiche delle varie zone; • d) diversamente, se il piano di lottizzazione godesse di una durata illimitata nel tempo, le situazioni urbanistiche da esso disciplinate risulterebbero immodificabili, in contrasto con il principio secondo cui la regolamentazione urbanistica del territorio è dinamicamente affidata ai Comuni, i quali devono poter rimanere liberi di predisporre una pianificazione territoriale senza essere vincolati alle lottizzazioni preesistenti. Queste argomentazioni non sembrano però aderenti all’effettivo contenuto dell’assetto normativo delineato dalle vigenti disposizioni di legge. Per rendersi conto di ciò occorrerà anzitutto muovere da un principio assolutamente pacifico: “ la ultrattività dei piani di lottizzazione regolarmente approvati (...) non preclude alla P. A. la possibilità di modificare l’assetto territoriale configurato nel piano di lot-
tizzazione stesso in relazione alle nuove esigenze di assetto urbanistico delle zone, come avviene per i piani particolareggiati (...) i quali, ancorché impegnino la P. A. ed i privati ad uniformarsi ad essi, non impediscono alla medesima Amministrazione di modificarne le prescrizioni allorquando insorgono, successivamente, fondate ragioni di pubblico interesse che giustifichino il mutamento” (fra le tante, T.A.R. Sicilia, Palermo, 13 dicembre 1985 n. 2041, e giurisprudenza ivi richiamata). Ove ne ricorrano i presupposti di pubblico interesse, dunque, il Comune può modificare in qualsiasi momento, e quindi anche prima di dieci anni dalla loro approvazione, la previsioni dei piani particolareggiati e dei piani di lottizzazione. Dato per assodato quanto sopra, sembra decisamente semplicistico generalizzare l’affermazione secondo cui il piano di lottizzazione sarebbe uno strumento equiordinato al piano particolareggiato, fino a trasformarla nell’asserzione secondo cui il piano di lottizzazione avrebbe quindi lo stesso valore del piano particolareggiato. Al contrario, i campi di applicazione dei due istituiti sono profondamente diversi, così come profondamente diversa è la loro efficacia. Senza pretendere di esaminare qui nel dettaglio tutte queste profonde diversità, basterà rilevare che i piani di lottizzazione possono essere approvati anche in quei Comuni nei quali sia vigente solo un programma di fabbricazione, mentre i piani particolareggiati richiedono necessariamente la presenza di un piano regolatore generale; che i piani particolareggiati possono anche riguardare complessi già totalmente urbanizzati ed edificati, mentre i piani di lottizzazione non possono che riguardare porzioni del territorio comunale non ancora interessate da un consolidato processo edificatorio; e soprattutto, che i piani particolareggiati comportano l’imposizione autoritativa della pianificazione di dettaglio da parte della pubblica amministrazione, con forza vincolante che assurge addirittura ai vertici della dichiarazione di pubblica utilità, mentre i piani di lottizzazione si fondano sulla consensualità tra ente pubblico e privati proprietari, consensualità che
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Professione e Aggiornamento
I termini di validità dei piani di lottizzazione
Professione e Aggiornamento
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trova la sua naturale estrinsecazione nella stipula della convenzione lottizzatoria. Più che equiordinato, dunque, il piano di lottizzazione è uno strumento sostitutivo del piano particolareggiato nel senso che, laddove ricorrano le condizioni a tal fine necessarie, il Comune ha la facoltà di avvalersi dello strumento “ consensuale” in luogo di quello “ coercitivo” . Il che non toglie, però, che i due strumenti mantengano profonde ed inconciliabili diversità, tali per cui essi non sono suscettibili di una generalizzata assimilazione. Ed è proprio l’esistenza di queste diversità che rende improponibile l’applicazione analogica della norma sulla validità dei piani particolareggiati contenuta nell’articolo 16 della Legge n. 1150/1942, norma che infatti, se venisse estesa analogicamente ai piani di lottizzazione, verrebbe completamente stravolta nella sua stessa ragione d’essere. Il citato articolo 16, infatti, contiene una disposizione che risulta palesemente dettata al fine di tutelare i cittadini: essa ha infatti lo scopo evidente di limitare nel tempo gli effetti di una pianificazione autoritativamente e coercitivamente imposta dalla pubblica amministrazione, e quindi di contenere entro limiti ritenuti accettabili il sacrificio posto con essa a carico dei singoli privati. La stessa disposizione, applicata analogicamente ai piani di lottizzazione, paradossalmente si trasforma invece in una norma penalizzante per i privati proprietari che, pur avendo tempestivamente eseguito tutte le opere di urbanizzazione previste in convenzione, si vedono poi sottrarre la facoltà di edificare in conformità al piano stesso e ciò, si badi bene, non già per il sopravvenire di esigenze di pubblico interesse trasfuse dal Comune in una modifica della disciplina urbanistica di zona, ma per il semplice decorrere del tempo. Né va dimenticato che, una volta approvato un piano particolareggiato, i proprietari di immobili in esso compresi sono assolutamente liberi di attuarlo oppure no, mentre spetta esclusivamente alla pubblica amministrazione il compito di eseguire le opere di urbanizzazione in esso previste, avvalendosi, nel caso, della procedura espropriativa consentita dalla dichiarazione di pubblica utilità implicita nell’approvazione del piano. Una volta autorizzato un piano di lottizzazione, invece, i lottizzanti sono rigorosamente vincolati al rispetto degli impegni assunti mediante la stipula della preventiva convenzione: ciò signif ica che spetta ai privati proprietari, e non al Comune, di eseguire a loro spese le opere di urbanizzazione, accollandosi oneri che secondo lo schema operativo delineato dalla legge sono del tutto sconosciuti ai soggetti attuatori dei piani particolareggiati. È quindi perfettamente giustifi-
cabile la scelta del Legislatore di non imporre alcun termine di validità per i piani di lottizzazione, salvo quello relativo all’esecuzione delle opere di urbanizzazione e ferma comunque restando la facoltà del Comune di modificare in qualsiasi tempo la pianificazione urbanistica, per sopravvenute ragioni di pubblico interesse adeguatamente esplicitate in sede di motivazione. Per gli stessi piani particolareggiati non è del resto poi così vero che, scaduto il termine di dieci anni dalla loro approvazione (ovvero il termine più breve fissato nel relativo provvedimento approvativo), essi perdano del tutto la loro validità. L’ art icolo 17 della Legge n. 1150/1942, infatti, stabilisce espressamente che, “ decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso” . Anche dopo la scadenza del termine decennale di validità dei piani particolareggiati, dunque, possono e devono essere rilasciate le concessioni edilizie per la “ costruzione di nuovi edifici” sulle aree comprese entro il perimetro degli stessi, sempre che vengano puntualmente rispettati “ gli allineamenti e le prescrizioni di zona” , vale a dire le disposizioni urbanistiche che disciplinano l’attività costruttiva dei privati, disposizioni che dunque continuano ad operare anche dopo il predetto termine. Ma visto che i piani particolareggiati, nonostante l’articolo 16 della Legge n. 1150/1942, continuano ad operare anche dopo la scadenza del termine decennale previsto da tale norma, non si vede per quale ragione non dovrebbero fare altrettanto i piani di lottizzazione, per i quali non vige una norma analoga al citato articolo 16. A conferma della fondatezza di questa conclusione si può del resto rilevare che, nel corpo delle leggi che governano la materia, sono in realtà rintracciabili due norme che sembrano proprio confermare che i piani di lottizzazione valgono a tempo indeterminato. Il quinto comma dell’articolo 8 della Legge n. 765/1967, anzitutto, ha imposto l’inserimento nella convenzione di un termine non superiore a dieci anni, riferendolo però solo alle “ opere di cui al precedente paragrafo” , vale a dire solo alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria; è evidente che detto termine sarebbe stato riferito a tutte le opere previste dal piano, se effettivamente il Legislatore avesse voluto limitare nel tempo la validità dei piani di lottizzazione. Non solo, ma l’obiettivo ideale
perseguito dalla legge è che, soprattutto nell’ambito di uno strumento di pianificazione attuativa, non vengano costruiti edifici senza che prima siano state realizzate le relative opere di urbanizzazione. Ma se le opere di urbanizzazione possono essere ultimate fino alla scadenza del termine di dieci anni decorrente dalla stipula della convenzione, è evidente che i fabbricati potranno, in linea di principio, essere costruiti anche dopo tale data. Secondo la tesi sostenuta dalla giurisprudenza dominante, invece, gli operatori dovrebbero premunirsi da eventuali sorprese, realizzando gli edifici ben prima della scadenza del termine decennale, ferma restando la loro facoltà di procrastinare nel tempo, fino alla scadenza dei dieci anni, l’esecuzione delle urbanizzazioni. Il che è proprio il contrario dell’obiettivo perseguito dalla legge. L’ottavo comma del medesimo articolo 8, a sua volta, fa salve senza limiti di tempo le lottizzazioni approvate prima del 2 dicembre 1966, limitandosi a ribadire, al comma successivo, solo il termine per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, e non quello per la realizzazione dei fabbricati. Sarebbe decisamente illogico riservare questo “ privilegio” alle sole lottizzazioni di più vecchia data (in generale, meno rispettose dei pubblici interessi), ed escluderlo invece per i piani di lottizzazione più recenti. Alla luce di tutte queste considerazioni, appare decisamente preferibile l’interpretazione sostenuta da quella giurisprudenza (sicuramente minoritaria, ma non per questo meno degna di considerazione) che ha rilevato come, “ pur nella generica assimilazione, i due strumenti (P.L. e P.P.), esecutivi del piano regolatore, nascono e producono effetti ben diversi tra loro. La disciplina dell’uno non è esattamente sovrapponibile a quella dell’altro. Il piano di lottizzazione, come strumento esecutivo a cura ed opera dei privati, è regolato dall’art. 28 della legge urbanistica, che prevede il termine decennale solamente per il compimento delle opere di urbanizzazione (...). Il P.L., come espressione della capacità edificatoria di un’area secondo determinati parametri e regole, non ha una scadenza, perché strettamente connesso alla efficacia del P.R.G., il quale per le aree di proprietà privata può stabilire tale modalità di intervento. Né la possibilità di modificare lo strumento urbanistico generale resta compromessa dalla perdurante efficacia di un P.L. non attuato, poiché il sopraggiunto interesse pubblico ad un diverso assetto del territorio prevale indubitabilmente rispetto ad un P.L. inattuato, e per il quale non siano state rilasciate le necessarie concessioni edilizie, che comportano comunque l’esecuzione dei lavori entro prestabiliti termini.
Sicuramente era nella disponibilità delle parti stabilire anche i termini entro i quali gli interventi contemplati nel P.L. dovevano essere realizzati, ma, in assenza di una tale previsione, non è consentito estendere tale termine decennale, previsto per altre ipotesi, alla efficacia di tutto il P.L.” (T.A.R. Lombardia, Milano, Sezione II, 21 gennaio 1999 n. 179; T.A.R. EmiliaRomagna, Parma, 21 luglio 1981 n. 148; T.A.R. Lombardia, Milano, 21 luglio 1982 n. 493). W. F.
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Bergamo L’architettura di Gaudì Si trascrivono qui di seguito alcune parti, quelle più significative, dell’intervento, tralasciando di precisare date, descrizioni e riferimenti specifici rintracciabili negli ormai numerosi testi su Gaudì. Delle riflessioni sulle architetture gaudiniane si sono inoltre riprese sole alcune parti, connesse al tema della conferenza.
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In questa comunicazione sull’architettura del catalano Antoni Gaudì (1852-1926) mi soffermerò in particolare sul rapporto naturaarchitettura nel suo progetto, dopo aver dato qualche nota biografica e storiografica. Nato nel 1852 a Reus una cittadina vicino a Barcellona, Gaudì apparteneva a una famiglia di calderai, apprese a immaginare forme nello spazio dal lavoro del padre. Con lui e con il fratello si recò a Barcellona per diventare architetto. La facoltà di architettura era stata istituita qui solo da un anno, egli fu il decimo laureato in architettura nella Catalogna, contesto in quel momento molto aperto ai rapporti con tutta l’Europa, non solo con la Francia. Un’importante esposizione al Gran Palais di Parigi nel 2000-1, dedicata ai legami culturali e artistici tra Barcellona e Parigi, ha messo in luce la grande vivacità culturale di Barcellona nella seconda metà dell’800. Tra le molte personalità di genio Gaudì vi era presentato come grande, moderno innovatore. L’attenzione nei suoi confronti è enormemente cresciuta nel 2002, l’anno Gaudiniano da poco concluso, indetto in occasione dei centocinquant’anni della sua nascita, straordinariamente ricco di esposizioni, incontri, convegni e feste. Gaudì è genio co-
struttore, non solo grande architetto; per i catalani egli è anche una specie di padre della patria, una delle personalità che più ha contribuito a darle una specificità culturale facilmente identificabile e di grande respiro. Suo contemporaneo e amico fu Jacint Verdaguer, sacerdote-poeta che restituì nobiltà di lingua al catalano. È nota la difficoltà degli storici dell’architettura a dar collocazione adeguata nel contesto contemporaneo alla produzione gaudiniana. Si possono citare come atteggiamenti estremi: l’esclusione di Gaudì da parte di Nikolaus Pevsner dalla sua prima edizione del pamphlet I pionieri dell’architettura moderna; la recente celebrazione che ne fa il critico americano d’architettura Charles Jencks come del massimo architetto dell’Ottocento e del Novecento. Notissimo è il suo rapporto con il mecenate e amico conte Eusebi Güell, di recente nobiltà e abbastanza recente ricchezza, conquistata a Cuba. Grazie a lui e ai contatti vasti con il mondo ecclesiastico a partire dal 1883, quando diventa direttore del cantiere della Sagrada Familia, Gaudì si trovò inserito nel contesto nobile e borghese di Barcellona, molto dinamico e aperto, al contempo decisamente cattolico. Le domande centrali che guidano questa mia comunicazione sono: quale è, o quali sono le fonti dell’originalità guadiniana? A partire da chi e da che cosa è maturata la sua capacità di innovazione costruttiva, di uso spregiudicato di una geometria complessa e precedentemente non utilizzata da nessun altro architetto? Sappiamo quali sono stati i suoi testi di studio, conosciamo lo sviluppo europeo delle scuole politecniche, sappiamo che già era stato abbozzato quel filone di studio delle strutture a guscio autoportanti che, nel contesto della scienza della costruzione non avrà grande sviluppo e che invece per lui fu fondamentale. Gaudì sapeva calcolare le strutture; allo stesso tempo sviluppò l’intuizione di un possibile utilizzo di forme geometriche come le superfici rigate e la catenaria; note, erano note ma non ritenute esteticamente valide per l’architettura. La matrice culturale assunta nella scuola era certamente di tipo eclettico; più tardi colse l’avvento del modernismo, nome che in Spagna identifica la variante locale analoga all’art nouveau francese e belga. Nel suo riferimento alla natura vi è però una più profonda tangenza con la logica che presiede all’organizzazione interna della stessa e alla sua crescita; la natura, lo dichiara lui stesso, lo ha interpellato; ne ha penetrato i caratteri ma non l’ha pedissequamente ripresa; dalla sua osservazione e conoscenza è passato alla strutturazione geometrica della propria architettura analogica a quella della natura; per questa via è arrivato ad invenzioni spesso lontane dalle forme del mondo na-
turale, perché astrazioni, perché segni informali, forme che anticipano correnti artistiche posteriori. Gaudì mi è sempre apparso un genio inclusivo, non selettivo; ha ragionato, come afferma, sulla selezione del meglio tra quanto offrivano gli stili storici; ha ragionato sulle componenti costruttive, sull’inerenza tra costruzione e architettura in senso generale; ha sempre ritenuto che architettura e decorazione fosse un nesso inscindibile, idea che gli ha permesso di utilizzare a piene mani ogni forma di artigianato del suo tempo. Ha certamente vissuto come un monaco per compiere la propria missione di architetto; negli ultimi quindici anni, ormai da tempo dedito solo a cantiere della Sagrada Famiglia, dedica il proprio tempo ad elaborare una strutturazione geometrica che permette a chi verrà dopo di lui di continuare la costruzione della chiesa secondo la sua logica. La sua architettura può essere oggi tutta disegnata al computer, in stretto rapporto con quei modelli che ci ha lasciato, alle scale 1:10, 1:1, 1:5, 1:25, a scale dunque di definizione molto precisa. Attorno al suo sistema geometrico lavorano oggi molte università, di Sydney, di Barcellona, di Deft. Sono infinite le modalità di rapporto architettura-natura che un architetto può mettere in gioco nel suo progetto; l’architetto svizzero Zumthor, ad esempio, in una piccola chiesa della Svizzera Romancia vicino a Coira, utilizza solo il legno. La planimetria ha forma di foglia, tema ripreso nella copertura a nervature. Lo spazio interno è spoglio, spazio di interiorità, mentre all’esterno si sviluppa un paesaggio sontuoso. Niente dell’esterno si vede; all’interno, qui lo spazio religioso è uno spazio di meditazione interiorizzata e luminosa. Questa immagine è offerta come sfondo a quelle di Gaudì che, dal punto di vista del rapporto architettura-natura e del sacro mette in gioco una narratività esplosiva, esuberante. Il senso religioso occidentale chiede spesso un silenzio di immagini e una sobrietà di forme alla Zumthor, tuttavia questo stesso senso religioso alimenta un esplicito e denso rapporto emozionale con la narratività delle architetture del passato. L’uomo contemporaneo oscilla dunque tra questi due atteggiamenti diversi, se non contrapposti; Gaudì è pienamente partecipe della seconda dimensione, narrativa, popolare, difficile da assumere dal punto di vista creativo e figurativo oggi. Molti fattori tuttavia premono oggi in questa direzione; la sensibilità più recente esprime, non solo un bisogno di interiorità, ma anche una esigenza comunicativa di senso partecipato. Osservando alcune piante di un orto botanico delle isole Baleari, ho colto che l’attenzione di Gaudì per la natura; si tenga presente infatti che è stato anche un note-
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Dagli Ordini
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vole architetto di parchi e giardini, che ha sviluppato un orientamento estetico, oltre che una selezione di forme, inusuale anche per il suo tempo. In quest’orto botanico ho visto piante curiose, non propriamente armoniche, come un secolare caucciù che, per poter essere più rigoglioso, genera da sé stesso supporti di natura strutturale. Una palma presentava un tronco a spirale; in altre erano evidenti le forme rigate nella parte del tronco di innesto nel terreno. Quelle immagini e altre mi hanno portato a riflettere sul fatto che Gaudì, guardando alberi, animali e fiori, si è interrogato sul perché di alcune forme e ha dato in sé spontaneamente avvio ad un processo artistico che ha echi profondi nel millenario passaggio da natura a cultura che tutti i popoli hanno vissuto e vivono nel processo di civilizzazione in infiniti modi. Di questa dinamica resta, nella nostra cultura, un testimone esemplare nel giardino, nell’arte che presiede alla sua formazione; il giardino, più bello di un paesaggio naturale incolto, vive di un dialogo sempre in divenire tra ordine e logica dispositiva volute dall’uomo e processi naturali. Tra gli argomenti gaudiniani non ancora esplorati, vi è anche il processo dialogico natura-architettura, evidenziato ma non penetrato per ora dagli studiosi. Forse, quando Gaudì parla di un proprio ritorno alle origini, intende segnalare quel rapporto con la natura che ha originato l’architettura, del quale peraltro anche la storiografia d’architettura ha parlato a lungo in tempi passati. Gaudì chiama maestro l’albero; i piloni della Sagrada Familia come è noto hanno struttura arborescente. La natura tuttavia non è mai pedissequamente imitata; è termine di logica, di innovazione formale e di gusto estetico, la cui assimilazione all’architettura avviene attraverso una selezione di figure che chiama in causa, con potenza eccezionale, la geometria per divenire fatto anche costruttivo. Gaudì era consapevole dell’originalità del suo processo progettuale e si stupiva del fatto che nessuno prima di lui lo avesse praticato, dal momento che lo riteneva estremamente logico. L’architetto catalano inoltre gioca con la natura nel rimando ad immagini a metà strada tra realtà e fantasia, come quando si riconoscono nelle nuvole forme di volti o persone. La fresca semplicità giocosa del suo immaginario sembra in questi casi recuperare l’ingenua spudoratezza dell’infanzia. A Tenerife una forte eruzione di materiale da un cratere ha dato luogo a materiale solidificato che per la sua forma oggi viene detto “ cattedrale” . Gaudì non disdegna giochi di questo tipo, entra anche in questi con un proprio processo progettuale, tentando a partire da questo tema elementare un passo di elaborazione della cultura dell’immaginario collettivo.
Per ragioni come quelle che ho finora individuato il rapporto con la natura gli mette a disposizione un’enorme quantità di immagini, a partire dalle quali può sviluppare la sue capacità di elaborazione, di deformazione, di trasfigurazione, di astrazione. Parte da un dato con cui dialogare, il mondo della natura, dato di partenza per la vita dell’uomo comune. Questa ricchezza di dati di partenza ha echi notevoli nella sua opera anche per il suo rapporto con il mondo artigianale catalano. Il mondo degli artigiani gli era familiare, era lui stesso abile artigiano; alle prime opere, soprattutto ai lavori in ferro battuto, ha lavorato personalmente stando in bottega per intere giornate. Poteva dunque lasciar lavorare liberamente gli artigiani, poiché viveva una sintonia profonda con loro. Nelle sue architetture dunque non tutto è di sua mano, tuttavia c’è una continuità tra il suo lavoro e quello dell’artigiano. Come è noto, questa unità tra artista e artigiano è stato un grande fattore di cultura della tradizione europea; chi non ricorda l’appassionato richiamo dell’inglese John Ruskin al lavoro artigianale del Medio Evo, tempo nel quale gli uomini lavoravano con entusiasmo e con grande libertà? Nel proprio laboratorio Gaudì faceva di tutto: preparava le sculture, faceva posare le persone, utilizzava la fotografia e gli specchi per vedere tutti i punti di vista, utilizzava gli scheletri a cui faceva prendere le più strane posizioni per capire come mettere le figure, predisponeva modelli a tutte le scale delle sue architetture. Pochi suoi disegni ci sono pervenuti, ma sappiamo che lavorava per lo più per modelli, direttamento nello spazio, in tre dimensioni. Opere di Gaudì: • Il drago della cancellata dell’attuale Càtedra Gaudì, un tempo padiglioni e scuderia all’ingresso di una proprietà del conte Güell, è trascrizione in ferro battuto del contenuto di un poema epico di Verdaguer, Atlantida, mitica celebrazione del mondo scomparso di Atlantide del quale Barcellona sarebbe stato il centro, fortunosamente sopravvissuto. Per la realizzazione di questo capolavoro in ferro battuto, è documentato l’intervento diretto di Gaudì, che vi ha lavorato a lungo nel laboratorio dell’artigiano Puntì. • Il committente del Collegio delle Teresiane è un sacerdote, che chiese all’architetto catalano di portargli a termine una costruzione già iniziata; voleva un edificio bello e poco costoso, ricco di simboli che rimandano alla figura di Santa Teresa d’Avila. Il Collegio ha forme di un castello mudejar, che richiama il romanico ispanico con influssi arabi; è libera interpretazione nella chiusa volumetria che ospita all’interno intensi settori di luce di quell’anima della quale parla, nel suo Castello interiore, Teresa
d’Avila. Sono molto noti i corridori interni invasi dalla luce, dove pilastri e archi hanno ardite forme di catenaria, di giochi di mattoni in pilastri spraliformi e mensole a forte sbalzo portanti. All’esterno, sui quattro spigoli, le croci a braccia uguali, tema cosmico perché i bracci sono orientati secondo i quattro punti cardinali. In questo modo l’architettura indica l’ordine del cosmo con il quale è in rapporto; è architettura legata all’ordine naturale. • Palazzo Güell suscitò grande scalpore; l’architetto e il committente vi dedicarono molto tempo per discutere le scelte della conformazione degli spazi, delle tecniche costruttive e dei materiali. Dal punto di vista tecnologico e artigianale è veramente straordinario, è diventato subito museo, mai vissuto. Il suo cuore è il salone centrale, su cui affacciano i locali ai diversi piani; questa sala della musica, che contiene nascosta da due ante apribili una piccola cappella, è coperta da una volta a sezione catenaria, con la superficie interna rivestita con mattoncini esagonali, in parte azzurri e in parte lasciati in colore rosso, è forata per far filtrare dall’alto, da una cuspide visibile dal tetto, la luce naturale. L’immagine naturale del cielo stellato, che vorrà riprendere anche nella copertura della Sagrada Familia, e composizioni islamiche si incrociano qui con le sue invenzioni strutturali e costruttive. • Casa Batllò è esito di una radicale ristrutturazione. Gaudì riesce ad ottenere un’unità formale, nel prospetto esterno, con la mescolanza di elementi tra loro figurativamente eterogenei: è mosso da ondulazioni, come se fosse la superficie del mare, con dischi di ceramica di vari colori e dimensioni; la torre d’angolo nasconde una scala a chiocciola che lega due sottotetti (uno per ospitare il serbatoio dell’acqua e l’altro per aumentare la frescura degli spazi interni), è rivestita all’esterno da ceramica con la scritta di una preghiera in sigle, è conclusa da una croce a bracci uguali, cosmica; al suo fianco si sviluppa la copertura del tetto in ceramica in forma di dorso di drago, con ceramica a trencadìs, in frammenti cioè spezzati per aderire alle forme curve con continuità; la parte bassa del prospetto è modellata con pietra in forme di strutture ossee. Lo spazio interno ha fluida continuità; nel corrimano di una delle scale interne la lavorazione in legno riprende la figura del drago. • Casa Milà o Pedrera ha un rivestimento in pietra dei prospetti esterni che la rende un compatto e roccioso basamento, che Gaudì aveva concepito come base per una statua della Vergine nella parte centrale in mezzo ai camini della copertura piana del tetto. Nel secondo sottotetto oggi percorribile c’è un museo permanente sull’opera di Gaudì; vi si vedono nella struttura costruttiva le catenarie costruite con un solo mat-
tone e raccordate trasversalmente da un solo elemento sempre in mattone. Giustamente si è parlato di uno degli spazi più belli dell’architettura del ’900 per una organicità e una sapienza costruttiva che consente di cogliere il rimando dall’architettura alla natura come stratificazione di percezioni e immagini non più autonomamente identificabili, ma ormai del tutto assimilate in spazio concepito e costruito per l’uomo. • Il Parco Güell è oggi pubblico; doveva essere una città-giardino borghese nelle intenzioni del committente. Gaudì vi sintetizza tutte le acquisizioni d’architettura, di tecniche costruttive (utilizza anche dei prefabbricati), di modellazione e di decorazione. Qui esprime anche tutta la propria capacità di architetto di giardini, poiché suo è il rinfoltimento di quest’area molto depauperata. In un punto alto, isolato, immerso ruvidamente in una natura dai caratteri aspri, Gaudì realizza un calvario con tre croci, dal quale si domina la città e il paesaggio dalle montagne al mare. L’architetto non ha realizzato modifiche dell’andamento del terreno, ma ha seguito le originali curve di livello del terreno, introducendo percorsi, viadotti e strade a doppio livello in forme che si armonizzano fin quasi a fondersi con percorsi naturali o comunque preesistenti. • Nella cat t edrale di Palma di Maiorca, Gaudì ha realizzato tra il 1905 e il 1914 un adeguamento liturgico ante litteram, il primo che si conosca, stimolato a questo dal vescovo Campins di Palma di Maiorca. La più grande cattedrale gotica europea viene letteralmente aggredita con un intervento che scompone assetti storici complessi. Il genio gaudiniano si manifesta nel coraggio di costruire un gigantesco lampadario che scende sopra l’altare e domina l’abside. • Barcellona è stata la città della sperimentazione della più spinta e più forte idea di modernità urbana europea; il piano di Ildefonso Cerdà la segna ancora oggi planimetricamente; Cerdà, il primo urbanista che organizza la crescita della città su base demografica e scientifica, avrebbe voluto uno sviluppo volumetrico rispondente a esigenze di giustizia e di equilibrio sociale completamente diversi; la sua planimetria è stata di fatto completamente occupata da edilizia borghese. La Sagrada Familia sorge in uno degli isolati della Barcellona nuova, un’area periferica a quel tempo. La sua planimetria tradizionale, decisa prima dell’arrivo al cantiere di Gaudì, è un po’ allargata come sono le cattedrali gotiche spagnole. Attualmente si è avanzata l’ipotesi che nel 2007 la chiesa sarà coperta, chiusa e utilizzabile; non realizzeranno l’alto ciborio centrale il cui innalzamento fino a 170 m spetterà ad altri, dopo questa data. Oggi il cantiere presenta un’affascinante attività, condotta secondo moderni criteri, con ampio utilizzo
Maria Antonietta Crippa
L’immagine della città
La mostra ha per sottotitolo Il Novecento architettonico a Bergamo organizzata dall’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bergamo con la collaborazione del Politecnico di Milano 1ª Facoltà di Architettura, del Ministero per i Beni e le attività culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Milano, Scuola Edile di Bergamo. Si è tenuta nelle due sedi dell’ex Ateneo e della Biblioteca A. Mai, in città Alta dal 1-4 al 30 marzo 2003. Il presidente dell’Ordine, arch. Achille Bonardi, nel suo intervento ha affermato che la mostra nasce quale naturale proseguimento delle ricerche e della costante attenzione all’architettura del secolo appena trascorso, che ha visto Bergamo come attrice indiscussa. L’iniziativa si connota come continuazione di un discorso iniziato nel 1986 con il convegno dal tema Il colore nella città antica continuato con il patrocinio della rassegna Bergamo 1935-1955, maniera e simbolo dell’architettura. Nel catalogo sono esposti gli interventi di Achille Bonardi, dei curatori della mostra Antonio Cortinovis, Eugenio Guglielmi, Alessandro Pellegrini, del Soprintendente Alberto Artioli e di Giuseppe Napoleone, della prof.ssa Maria Antonietta Crippa per il Politecnico di Milano, di Adriano Alpago Novello, di Sandro Angelici, di Livio Ferri presidente della Scuola Edile di Bergamo. Nell’intervento Architettura della città: Bergamo dal 1901 al 1940 Antonio Cortinovis analizza la specifica peculiarità e le trasformazioni che hanno coinvolto la città negli ultimi due secoli e che a seguito di numerosi eventi, la hanno trasformata, da città storica policentrica, in “ città duale” , per divenire nell’ultimo dopoguerra, città proiettata verso un nuovo policentrismo, anche se problematico, mantenendo però in questi cadenzati e delicati passaggi il significato complessivo della sua identità. L’insieme di questi fattori costituisce un peculiare esempio di indiscutibile interesse non solo per la città di Bergamo, ma nel campo urbanistico in genere. È avvenuto che Bergamo, capace di
ascoltarsi e memore del suo passato, abbia saputo collocarsi in continuità con la stratificazione storica, approfondendo la definizione di una propria architettura di città. Alessandro Pellegrini ne Lo spazio della città-Urbis ornamento Civium commoditati affronta l’argomento delle dinamiche che la città deve affrontare nel sue essere civitas; quelle che nel primo Novecento, hanno comportato il ridisegno delle nostre città, modificando il comportamento dell’uomo moderno tanto che difficilmente potremmo trovare analogie con il passato. Infatti nell’Italia di quel periodo viene a delinearsi una nuova interpretazione della città moderna e l’architettura ha ridisegnato gli spazi urbani proponendo nuovi schemi urbanistici, conseguenza di una scienza urbana che organizzi il territorio nella sua complessità non disgiungendo, nel contempo, la necessità di pensare all’intervento estetico sul centro della città. Eugenio Guglielmi ne Il Novecento architettonico a Bergamo analizza del periodo, gli aspetti e l’ambiente culturale ed artistico. Accenna alla presenza di personaggi di grande qualità: Alberto Vitali, il Pelliccioli, Attilio Nani, Giacomo Manzù, Sironi, Ottone Solinghi, oltre agli altri rappresentanti del “ Circolo Artistico” consacrati come gli indiscussi “ maestri della Carrara” . Tuttavia il problema culturale, perciò artistico negli anni del ventennio fascista è oggi ancora trattato troppo “ di parte” per poter entrare nel merito di un giudizio prettamente scientifico e quanto meno onestamente storico, mentre il clima vero in città fu piuttosto tollerante, il che permise di produrre le condizioni per creare quel Premio Bergamo, che f u l’ ult imo sprazzo di libertà culturale. Viene approfondito anche il rapporto tra la Bottega e la Scuola e gli aspetti legati al tema sulla formazione dell’operatore basata su presupposti in cui la sapienza artigianale andava di pari passo con l’estro della grande arte. Livio Ferri ha posto l’accento sull’esperienza meravigliosa del costruire e di contro come il “ fare” in edilizia abbia in questi ultimi anni assunto un connotato di marginalità e di scarsa appetibilità, mentre se si entra in questo mondo si è invece coinvolti, talvolta affascinati, dal forte intreccio tra attività creativa, esperienza tecnica e tecnologica. L’obiettivo che la Scuola Edile si propone è di essere un presidio culturale e professionale in grado di conservare i mestieri tradizionali dell’edilizia, di memorizzare le tecniche costruttive, di sedimentare l’innovazione in codici di buona prassi per contribuire alla ricomposizione unitaria di sapere e di saper fare. Alberto Artioli ne La tutela delle architetture moderne affronta l’aspetto del degrado che investe le architetture moderne, che, al contrario delle “ cose antiche” , non
suscita neanche attenzione, ma solo indifferenza. Viene da pensare che si vive in un’epoca di consumi dove anche il bene culturale è un prodotto. Le architetture moderne non fanno ancora parte di questa cultura, poiché hanno difficoltà ad essere riconosciute ed accettate come monumenti, per motivi tipologici, tecnologici, ideologici, per la difficoltà di reperimento dei materiali idonei al loro restauro e per la scarsa diffusione di dati, esperienze e confronti scientifici sugli interventi eseguiti. Giuseppe Napoleone nell’affrontare il nuovo problema della tutela dell’architettura del Novecento, afferma che la conoscenza è il primo fondamentale gradino verso l’azione di tutela, rispettando doverosamente non solo le opere più note, ma anche quelle più controverse poiché tutte assumono il valore di testimonianza storica. Maria Antonietta Crippa ne Sulla soglia del XXI secolo, spunti per un dialogo tra innovazione e tradizione in architettura tenta di circoscrivere, in termini generali, i parametri fondamentali di critica e di costruzione storiografica dell’architettura, ossia della necessità di rintracciare le condizioni perché il rapporto tra i modi espressivi contemporanei e le fenomenologie tradizionali si configuri come continuità progressiva. In questa ricerca si annida una urgenza di libertà, non più opposta alla tradizione, bensì radicata in un forte senso storico. Individua in due grandi episodi di architettura, La Sagrada Familia di Gaudì e Not re-Dame du Haut a Ronchamp di Le Corbusier, i due poli estremi del dinamismo tra tradizione e innovazione nel XX secolo, straordinariamente vicine nella loro efficacia di relazione tra architettura e natura. La prima raggiunge tale scopo tramite mezzi recuperati dalla tradizione, la seconda invece prendendone le distanze. In entrambe gli architetti-artisti tendono ad oltrepassare ogni misura di equilibrio, andando oltre i limiti di un cont rollo razionale della forma, piegandola al servizio di una percezione eccezionale di sacralità. Adriano Alpago Novello, nel suo intervento afferma che, accentrando l’attenzione sugli anni Quaranta del Novecento, significa essersi accorti dei vuoti lasciati in questo periodo dalla storiografia architettonica. Inoltre iniziative di questo tipo provocano, oltre all’interesse dimostrato, anche dissensi e polemiche, ma ciò è positivo proprio perché la cultura non si fa col consenso o con l’indifferenza, ma attraverso il dibattito e il confronto delle idee. Infine vengono riportate le interviste a Sandro Angelini sul tema del Novecento e ad Alziro Bergonzo, che, tra storia e ricordi, narra della progettazione e realizzazione della Casa Littoria ora Casa della Libertà. Antonio Cortinovis
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di mezzi informatici e interessante commistione di metodi costruttivi tradizionali e moderni. Superfici rigate, combinazioni geometriche di solidi, proporzioni, struttura arborescente dei pilastri, tutto è analiticamente studiato dai modelli in gesso sulla base dei calchi originali di Gaudì o da modelli in gesso parziali realizzati da Gaudì e restaurati. Interessanti sono le esposizioni realizzate nel 2002 per far comprendere tecnologie, metodi costruttivi e geometrie gaudiniane applicate alla Sagrada Familia, una parte delle quali è stabilmente visibile nelle piccole Scuole Provvisorie restaurate di recente e spostate rispetto al sito originario. Un giudizio complessivo sulla qualità delle spazio della Sagrada Familia potrà essere espresso più avanti, ma già si coglie, pur nella serialità delle costruzione, una leggerezza complessiva e una vibrazione della luce che fanno pensare al tema romantico della cattedrale come foresta pietrificata e dell’architettura come musica pietrificata. • La cripta della chiesa di Santa Coloma de Cervellò, presso Barcellona, è stata per Gaudì la matrice sperimentale per la costruzione della Sagrada Familia, poiché qui realizzò il modello stereostatico composto da catenarie spazialmente disposte. La cripta all’esterno pare quasi confondersi con il contesto naturale, le sue forme rispondono invece sempre a ragioni costruttive.
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Cartografia tematica degli enti sovracomunali: dal Piano Paesistico ai Piani Territoriali della Provincia di Lecco L’Ordine Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Lecco, l’Ordine Ingegneri della Provincia di Lecco, l’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali di Como, Lecco e Sondrio, l’Ordine dei Geologi della Regione Lombardia, il Collegio dei Geometri della Provincia di Lecco e il Collegio dei Periti Industriali di Lecco con il patrocinio dell’Associazione Libere Professioni di Lecco, si sono riuniti in una iniziativa che ha come obiettivo il coinvolgimento degli iscritti con il fine di aggiornare professionalmente gli stessi con approfondimenti culturali e di conoscenza del Territorio attraverso la lettura della cartografia tematica della Pianificazione riferita soprattutto ai Piani Territoriali sovracomunali dei Parchi e delle Comunità Montane di questa Provincia. Il calendario prevede un unico incontro introduttivo e generico presso la sede degli architetti, con i dirigenti esperti in materia: per la Regione Lombardia: l’arch. Umberto Vascelli Vallara per le definizioni elementari del paesaggio e del piano paesistico e per la Provincia di Lecco l’arch. Ernesto Crimella che illustrerà brevemente il piano territoriale. Seguirà una serie di incontri presso le sedi dei Parchi che hanno lo scopo di far conoscere più approfonditamente le realtà dei Parchi, le loro sedi, le loro specifiche peculiarità, la cartografia in loro possesso. L’ultimo incontro è con le Comunità Montane della Provincia di Lecco. Calendario 1. Dal Piano Paesistico Regionale al Piano Territoriale Provinciale giovedì 12.6.2003 dalle ore 18.00 alle ore 19.30 presso Ordine Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Lecco - via Roma 28 - 23900 Lecco - Iniziative Regionali di Tutela del Paesaggio Arch. Umberto Vascelli Vallara Regione Lombardia - Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale – Scenari e quadri strutturali Arch. Ernesto Crimella - Provincia di Lecco 2. Conoscere i Parchi Ing. Locatelli P. - Parco Adda Nord - sede Parco venerdì 27.6.2003 via Padre B. Calvi 3 dalle ore 15.00 alle 18.00 20056 Trezzo sull’Adda Prof. Panzeri G. - Parco Monte Barro - sede Parco venerdì 18.7.2003
Dr. Villa Frazione Camporeso dalle ore 15.00 alle 18.00 Arch. Gallucci A. 23851 Galbiate Dr. Capozza - Parco Valle del Lambro - sede Parco venerdì 19.9.2003 via V. Veneto 19 dalle ore 15.00 alle 18.00 20050 Triuggio (Mi) Dr. Cereda M. - Parco del Curone - sede Parco venerdì 3.10.2003 Località Butto 1 dalle ore 15.00 alle 18.00 Arch. Mauri Luisella 23874 Montevecchia 3. Le Comunità M ontane della Provincia di Lecco giovedì 16.10.2003 dalle ore 17.30 alle 19.00 presso l’Ordine Architetti P.P.C. della Provincia di Lecco - via Roma 28 – 23900 Lecco Arch. Monti G. - Comunità Montana del Lario Orientale; Arch. Nogara A. - Comunità Montana della Valsassina, Valvarrone, Val D’Esino e Riviera; Geom. Benvenuti P. - Comunità Montana della Valle S. Martino I referenti per ogni Ordine e Collegio sono: arch. Carmen Carabùs, ing. Angelo Valsecchi, dr. Giorgio Buizza, dr. Egidio De Maron, geom. Liliana Brusadelli e per.ind. Gianfranco Magni. Coloro i quali fossero interessati ad intervenire devono rimandare via e-mail (anna.maria1969@libero.it) la richiesta di adesione all’attenzione della signora Anna Maria dell’Ordine Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Lecco entro il 5 giugno 2003 (N.d.R. ricevuto il 26 maggio). Il Presidente Arch. Ferruccio Favaron Il Segretario Arch. Arnaldo Rosini Il Responsabile dell’iniziativa Arch. Carmen Carabùs
Milano Serate di architettura Programma giugno/luglio 2003 • 19 giugno 2003, ore 21 “ Milano come’è e come sarà?” Le trasformazioni edilizie in corso di realizzazione a Milano rendono necessaria una riflessione sulle nuove procedure e sui risultati costruiti. Apriamo la discussione. Intervengono Giulio Barazzetta Cecilia Bolognesi Ennio Brion Federico Oliva Paolo Simonetti Deyan Sudjic Giovanni Verga Cino Zucchi Modera Ugo Rivolta • 3 luglio 2003, ore 21 “ Gli spazi di Achille” Dal design all’allestimento: un omaggio all’opera di Achille Castiglioni in occasione di una mostra/ricerca degli studenti della Facoltà di Architettura del Politecnico Intervengono Pierluigi Cerri Enrico Morteo Gianni Ottolini Vanni Pasca • 17 luglio 2003, ore 21 “ Boris Podrecca: itinerari di architettura tra Milano e Vienna” L’incontro con l’architetto viennese offre l’occasione per conoscere i suoi progetti più recenti e per una riflessione sulla dimensione europea dell’architettura Intervengono Boris Podrecca Rita Capezzuto Fondazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Milano via Solferino 19 20121 Milano tel. 0262534390 Deliberazioni della 134a seduta di Consiglio del 19.5.2003 Domande di prima iscrizione presentate nel mese di marzo 2003 (n. 99, di cui 74 architetti unicamente l.p e 25 architetti che svolgono altra professione): 13648, Abbo, Francesca, 18.6.1974, Genova; 13631, Airoldi, Andrea (* PT), 4.5.1976, Milano; 13626, Artizzu, Alessandro, 26.10.1958, Mandas; 13692, Baccalini, Camilla, 2.7.1973, Milano; 13693, Baccalini, Francesco, 15.3.1970, Milano; 13642, Bassu, Laura, 17.5.1966, Orani; 13634, Beretta, Daniela Alberta E. (* PT), 18.8.1974, Milano; 13686, Bettarello, Bianca Maria, 12.12.1967, Milano; 13684, Bianchessi, Andrea, 29.3.1973, Vimercate; 13707, Bina, Maria Grazia, 7.10.1956, Monvalle; 13645, Bini, Lorenzo Cesare, 27.3.1971, Milano; 13624, Boga, Cristina, 5.4.1974, Savona; 13712, Bosco, Natale Claudio, 4.3.1972, Erice; 13659, Brenna, Claudio, 12.9.1970, Seregno; 13695, Bruni,
Serena Ludovica, 18.7.1973, Milano; 13654, Bruno, Francesco, 19.7.1969, Genova; 13647, Calligaris, Lara Vanessa, 18.8.1972, Milano; 13706, Capurso, Fabio, 14.6.1971, Milano; 13628, Carbone, Silvia, 24.5.1969, Milano; 13627, Cazzaniga, St ef ano, 27.10.1975, Monza; 13649, Ceccat t ini, Luca Luigi Domenico, 16.10.1965, Milano; 13657, Ceppi, Luca, 6.7.1977, Seregno; 13669, Cocconi, Lucio Andrea, 4.12.1970, M ilano; 13655, Comi, Anna, 27.1.1976, Monza; 13637, Corbetta, Rosella, 23.11.1973, Besana Brianza; 9567, Corradini, Stefano Paolo, 25.10.1962, Milano; 13609, Corti, Silvia Amalia, 5.6.1971, Desio; 13612, De Giani, Let izia, 8.10.1968, Milano; 13614, Dell’Orto, Paolo, 27.5.1975, Seregno; 13641, De Nardo, Giacinto, 21.2.1972, Sorianello; 13703, Di Pascale, Gabriella, 26.8.1973, Milano; 13675, Donati, Chiara, 27.5.1971, Monza; 13691, Dubini, Benedetta Stefania, 24.1.1972, Milano; 13613, Facchini, Lorenzo Rodolfo, 30.7.1969, Milano; 13702, Faenza, Caterina Stefania, 1.11.1970, Washington D.C.; 13608, Ferioli, Mauro, 20.5.1970, Sassari; 13615, Ferlazzo Natoli, Francesca, 6.4.1975, Messina; 13679, Finazzi, Francesca Rossella Maria, 12.8.1975, Milano; 13632, Fiorentini, Patrizia, 25.2.1975, Napoli; 13670, Frigerio, Chiara, 21.3.1977, Milano; 13611, Frini, Cristina, 25.9.1965, Cesate; 13617, Galante, Annalisa, 17.7.1977, Milano; 13618, Galimberti, Alessia, 25.8.1973, Giussano; 13665, Garavaglia, Valeria, 24.6.1973, Cuggiono; 13680, Garavelli, Cristina, 10.1.1972, Milano; 13619, Garofalo, Libera Margherita, 4.3.1968, Milano; 13616, Gatti, Gianluca, 20.1.1972, Rho; 13667, Gelosa, Livio Andrea, 16.2.1976, Milano; 13633, Girardi Boschetti, Pilar Jole Beatrice, 26.11.1972, Milano; 13652, Gumier, Guido, 8.1.1974, Milano; 13689, Izzo, Mariapia, 29.4.1969, Caserta; 13651, Keble, Gregory, 13.1.1971, Milano; 13687, Lamanna, Rossella, 1.3.1973, Milano; 13708, La Monica, Elisabetta, 5.9.1966, Bari; 13678, La Monica, Marco, 4.11.1974, Piazza Armerina; 13709, Lattari, Gabriella, 28.3.1973, Paola; 13700, Lombardi, M aria Elena, 27.7.1976, Codogno; 13643, Longoni, Chiara, 20.6.1976, Monza; 13662, Lonza, Daniela, 5.1.1977, Milano; 13656, Mangiagalli, Giorgio, 30.9.1976, Monza; 13710, Marra, Manuela, 6.1.1966, Napoli; 13653, M art ini, Chiara M aria, 20.1.1977, Milano; 13644, Mazzoleni, Luca Maria, 16.7.1976, Milano; 13690, M ilazzo, Angela, 29.6.1977, Milano; 13711, Minas, Fabiola, 19.6.1972, Genova; 13622, Minotti, Raffaella, 25.4.1971, Seregno; 13625, Moncada, Emanuele, 11.12.1970, Monza; 13666, Montenovo, Sergio, 21.7.1969, Ancona; 13704, M orello, M assimiliano, 6.11.1967, Rho; 13629, Morimondi, Alessio, 11.9.1972, Milano; 13663, Motalli, Roberto, 27.7.1970, Milano; 13685, Motta, Massimiliano, 26.9.1969, Milano; 13638, Murari, Paola, 27.6.1969, Milano; 13674,
Lettere redazione.al@flashnet.it
Un quesito Leggo sempre con molto interesse il Mensile di informazione degli Architetti Lombardi e in particolare la rubrica Legislazione a cura di Walter Fumagalli, che è uno strumento utilissimo di aggiornamento professionale. A tal proposito desidererei porre un quesito relativo alla determinazione del contributo concessorio commisurato al costo di costruzione per gli edifici residenziali (Legge 28 gennaio 1977, n. 10), sperando di ricevere un chiarimento che possa essere utile anche ad altri professionisti e alle amministrazioni comunali. La Circolare regionale 21 aprile 2000, n. 24 sostiene che “ tutti i parcheggi, pertinenziali e non, anche quelli eccedenti la quota minima richiesta per legge, sono gratuiti” e precisa che “ la gratuità dei parcheggi risulta rilevante anche ai fini del calcolo del costo di costruzione, incidendo sulla classe dell’edificio e sul computo della superficie complessiva” . A seguito di questo chiarimento, molte amministrazioni comunali hanno smesso di includere le superfici delle autorimesse nel calcolo delle Superfici per servizi e accessori relativi alla parte residenziale (Snr), di cui alla Tabella 2 del modello per la determinazione del costo di costruzione (da compilare ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 maggio 1977). Di conseguenza, tali superfici non compaiono nemmeno nel calcolo della Superficie complessiva (Sc) e quindi non influiscono in alcun modo sulla determinazione del contributo concessorio (né sulla classe dell’edificio né sul computo della superficie complessiva). Recentemente, mi sono invece imbattuto in una diversa interpretazione della Circolare n. 24/2000, secondo la quale il tecnico comunale preposto alla determinazione del contributo per il rilascio della concessione edilizia relativa alla costruzione di una palazzina plurifamiliare con autorimesse interrate, ha considerato la superficie di tali autorimesse ai fini della determinazione della Snr (facendola incidere sulla determinazione della classe dell’edificio), mentre non l’ha considerata nel calcolo della Sc (scomputandola dalla Snr da ridurre al 60% per ottenere la Su-
perficie ragguagliata). Nel caso specifico (trattandosi di dieci appartamenti di taglio inferiore ai 95 mq) questa particolare interpretazione ha causato un aumento del contributo da versare all’amministrazione comunale, rispetto a quanto preventivato, di circa 2.500,00 € (dato che l’edificio è passato dalla Classe IV alla Classe VI e il Costo di costruzione unitario ha conseguentemente subito un incremento del 10%, mentre la percentuale del contributo è rimasta invariata all’8% ). In altre situazioni, però, il particolare meccanismo di calcolo potrebbe portare ad incrementi anche notevolmente superiori. Difatti, le tabelle di calcolo prevedono incrementi del contributo in funzione delle dimensioni degli appartamenti (suddivisi in Classi di superficie) e del rapporto tra la Superficie utile abitabile (Su) e la Superficie non residenziale (Snr), oltre ad ulteriori incrementi per particolari caratteristiche dei fabbricati. Includere la superficie delle autorimesse nel conteggio per la determinazione del contributo concessorio (anche solo nella prima fase) potrebbe, in un caso che si può facilmente verificare, comportare il passaggio dalla Classe VIII alla Classe IX, con una conseguente maggiorazione del costo base di costruzione (che passerebbe dal 35 al 40% ) e un incremento della percentuale di contributo da versare (nel caso di una nuova costruzione da realizzare in un comune con meno di 50.000 abitanti) dall’8 al 18% (percentuali aggiornate in base alla Deliberazione della Giunta Regionale 31 maggio 1994, n. 5/53844). Tutto ciò significa che il rilascio di un’ipotetica concessione edilizia per un progetto identico, da realizzare in due comuni contermini, entrambi con meno di 50.000 abitanti, posti sul territorio della Regione Lombardia e soggetti alle medesime normative statali e regionali (anche nel caso in cui le due amministrazioni si fossero dotate di uno stesso costo di costruzione unitario), in base al punto di vista del tecnico comunale di turno, può comportare in un caso la corresponsione di un contributo superiore al doppio dell’altro! Desidererei, quindi, avere una corretta interpretazione della circolare regionale, per sapere se la superficie delle autorimesse non deve in alcun modo essere considerata ai fini della determinazione del costo di costruzione o se è lecito computarla per eventualmente incrementare la classe dell’edificio e poi non considerarla nel calcolo della superficie complessiva, considerando il fatto che nel caso concreto una delle due amministrazioni commetterebbe un errore e il titolare della concessione edilizia avrebbe di conseguenza versato un importo superiore al dovuto oppure avrebbe ricevuto un’agevolazione non prevista per legge. Roberto Spreafico Barzanò (Lecco), aprile 2003
Fondo Archivio Laboratorio di Diagnostica D.P.A. - Politecnico di Milano In riferimento al n. 3, marzo 2003 di “ AL” dedicato agli Archivi di architettura segnalo alla redazione che il Dipartimento di Progettazione dell’Architettura – Politecnico di Milano – ha un Archivio presso il Laboratorio di diagnostica per la conservazione e il riuso del costruito. Tale Archivio accoglie i lavori degli studenti dei corsi di Restauro architettonico, Restauro urbano, Fondamenti di conservazione, Teorie e storia del restauro e degli altri eventuali corsi tenuti dai docenti afferenti al Settore Scientifico Disciplinare ICAR 19 – Restauro. Il fondo archivia lavori della didattica dai primi anni Ottanta fino ai nostri giorni. Inoltre conserva copie delle tesi di laurea sostenute nella Commissione presieduta dal Prof. Marco Dezzi Bardeschi. L’intero corpus documentale (circa 3.500 volumi ad oggi, ma in crescita ad ogni sessione d’esame e di tesi) è stato affidato al Dipartimento di Progettazione dell’Architettura. Nel luglio 1998 è iniziata l’operazione di schedatura e inventariazione cartacea dei documenti. Attualmente tale catalogazione è stata inserita in rete grazie alla collaborazione attiva del S.I.B. (Sistema Informatico Bibliotecario) e i documenti dell’archivio sono presenti nel catalogo generale della Biblioteca Politecnico. L’informatizzazione, con programma VIM, del patrimonio documentale sta procedendo con la sistemazione archivistica definitiva. • Modalità di accesso L’Archivio è accessibile alla consultazione il martedì dalle 14.00 alle 17.00 presso il Laboratorio stesso; poiché il numero dei posti di consultazione è limitato, è necessaria la prenotazione (anche telefonica o via e-mail). • Cataloghi Il catalogo per docente di riferimento, autore, titolo e soggetto è consultabile sia su schede cartacee, sia a video. Non è previsto nessun servizio di riproduzione dei documenti depositati presso l’Archivio. Susanna Bortolotto Milano, aprile 2003
Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione e Riuso del Costruito via Durando 38/a 20158 Milano tel.0223995825 e-mail susanna.bortolotto@polimi.it http://polimi.it
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Nobili, Carlo, 7.5.1971, Seregno; 13621, Ordono De Rosales Cigalini, Valeria Francesca, 10.2.1978, Milano; 13698, Paglia, Francesca, 27.8.1977, Milano; 13646, Pallotta, Lorenzo (* PT), 24.7.1977, Grosseto; 13658, Palmeri, Lorenzo, 3.5.1968, Milano; 13701, Pasella, Giuseppe, 24.12.1958, Olbia; 13650, Petti, Alessandro, 8.5.1973, Pescara; 13676, Pirovano, Ambra, 18.1.1976, Monza, 13694, Pisoni, Andrea Antonio, 5.10.1969, Milano; 13660, Pistritto, Nadine, 2.1.1972, Genova; 13672, Porro, Piet ro Francesco M aria, 5.9.1976, Milano; 13636, Pozzi, Alessandra, 11.6.1976, Milano; 13688, Pozzi, Gianluca, 31.3.1975, Cassano D’adda; 13681, Pozzi, Laura Annita, 12.5.1977, Carate Brianza; 13664, Quieti, Andrea, 11.7.1972, Bollate; 13677, Ravasio, Stefania, 20.5.1971, Bergamo; 13683, Riva, Francesca, 4.5.1977, Sesto San Giovanni; 13671, Romani, Francesco Carlo Bernardo, 15.5.1976, Milano; 13620, Ronchi, Silvia, 13.7.1977, Milano; 13635, Ronzoni, Lorenzo, 22.6.1970, Seregno; 13696, Rossetto, Paola, 15.10.1974, Milano; 13639, Salvaderi, Valeria, 27.7.1977, M ilano; 13682, Sanvit o, Silvia, 17.5.1977, Carate Brianza; 13623, Sassi, Elisa, 29.6.1974, Milano; 13697, Scuteri, Katia, 10.7.1975, Catanzaro; 13640, Seymandi, Federico, 7.4.1967, Milano; 13705, Sirtori, Laura Giuseppina, 14.4.1976, Cernusco sul Naviglio; 13668, Tesler, Mark Alexander, 14.7.1970, Houston; 13630, Tirloni, Gabriella, 14.6.1965, Milano; 1811, Toriani, Maria Antonietta, 20.12.1942, Milano; 13661, Valtolina, Federica Maria Augusta, 31.3.1976, Milano; 13673, Vent urini, Crist ian, 24.10.1974, Seregno; 13699, Villa, Gabriele, 28.4.1972, Melzo; 13610, Zago, Emanuela, 13.2.1975, Busto Arsizio (Legenda: * PT Pianificatore territoriale). Reiscrizione all’Albo: Maria Antonietta Toriani. Iscrizioni per trasferimento da altro Albo: Maria Grazia Bina da Varese; Natale Claudio Bosco da Trapani; Stefano Paolo Corradini da Lodi; Elisabetta La Monica da Bari; Gabriella Lattari da Cosenza; Manuela Marra da Napoli; Fabiola Minas da Genova. Cancellazioni su richiesta: Munir (Maurice) Cerasi (* * ); Gabriella Maria Crivelli; Laura Smith; Cherubino Tedeschi (* * ); Paola Vignelli In Coletti. Cancellazioni per trasferimento ad altro Albo: Marcello Bergamaschi a Bergamo (15.4.03); Daniela Bertoletti a Torino (16.4.03); Renata Bosco a Novara (6.5.03); Emanuela Capuzzo in Fioravanti a Prato (25.3.03); Leonardo Reani a Pavia (7.5.03); Anna Agnese Rossatti e Claudio Venerucci a Como (8.4.03); Elisabetta Rossi a Lecco (14.4.03); Gianfranco Stanizzi ad Avellino (28.4.03). Rilascio n. 5 Nulla Osta per trasferimento ad altro Albo: Tiziana Beretta a Como; Mansueto Biagio a Foggia; Laura Sabrina Bronzin a Genova; Miriam Mezzena a Massa Carrara; Anna Aurelia Penna a Roma. Inserimento nell’Albo d’Onore: (* * ) Munir (Maurice) Cerasi; (* * ) Cherubino Tedeschi.
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Rassegna a cura di Manuela Oglialoro Ambiente
Informazione
in funzione (dal “ Corriere della Sera” del 15.5.03) Sono trenta i mulini rimasti lungo il Lambro, nel tratto a nord, dalla sorgente a Monza. Lo conferma un censimento curato dal Museo Etnologico di Monza e Brianza, finanziato con 18.000 euro dalla Regione e dalla Fondazione della Comunità di Monza e Brianza. I primi risultati di questo monitoraggio che ha visto impegnati per 18 mesi tre gruppi di lavoro coordinati dal Presidente del Museo Etnologico, Architetto Anna Sorteni, sono illustrati nella mostra “ I mulini del Lambro e la ruota idraulica” allestita al mulino Colombo a Monza.
Ambiente, chiesta la fiducia al Senato. Giovanardi: scelta obbligata a causa dei 3500 emendamenti (dal “ Corriere della Sera” del 14.5.03) La legge licenziata in ottobre alla Camera senza nessun clamore, adesso al Senato fa gridare l’opposizione. ” Ci sono tre punti che fanno accapponare la pelle in questa seconda parte della legge” sostiene il senatore Turroni. E spiega: “ C’è una liberatoria per il commercio dei rifiuti ferrosi. Per capire: potrebbero smantellare Chernobyl e vendercela a pezzi in Italia senza nessun tipo di controllo. Inoltre è prevista la sanatoria e la cancellazione dei reati per gli abusi sui beni tutelati. Ancora prevista una compensazione edilizia-urbanistica per i proprietari di terreni vincolati che avrebbero in regalo volumetrie per costruire al di fuori di tutti i piani regolatori” . La prima parte del provvedimento è invece una legge delega praticamente in bianco per riscrivere tutte le norme ambientali. I “ponti levatoi” che salveranno Venezia. Così verranno costruite le quattro dighe del M ose per fermare l’acqua alta (dal “ Corriere della Sera” del 9.5.03) A Venezia il nemico è ormai da decenni l’acqua alta e i ponti levatoi moderni saranno le barriere del Mose pronte a respingere le maree, che provocano disagi e danni enormi a edifici e attività economiche. C’è già una data di massima: il 2011. Per quell’anno dovranno essere pronte. Quattro dighe con paratoie mobili, lunghe complessivamente 1600 metri, chiuderanno le tre Bocche di porto della laguna. Venezia, “ sprofondata” di 23 centimetri nell’ultimo secolo combinando l’abbassamento del suolo alla crescita del livello del mare, cambierà volto. Beni culturali Censimento dei mulini sul Lambro. Dalla sorgente del fiume a M onza esistono ancora trenta impianti ma solo quattro sono
Bioarchitettura Voglio una casa baciata dal Sole. Cresce il movimento per l’energia pulita: risparmi, niente smog e contributi dalla Regione (dal “ Corriere della Sera” del 3.5.03) L’energia solare non è più un lusso. Merito della Regione, spiega Roberto Rizzo, responsabile del settore energia di Legambiente Lombardia: “ Ha stanziato finanziamenti a fondo perduto per l’installazione di impianti solari termici e fotovoltaici che consentono anche a normali cittadini di farsi una doccia calda e usare gli elettrodomestici inquinando il meno possibile. Il costo di un impianto termico è di circa mille euro al metro quadro. Calcolando che per coprire il fabbisogno di acqua calda di una famiglia di quattro persone ci vogliono 5 metri quadrati di pannelli solari, la cifra sale a 5.000 euro. Di cui circa il 25% rimborsati dalla Regione” . Design Disegni e modelli a tutela europea. Da aprile è possibile depositare l’”aspetto esteriore” dei prodotti o di loro parti (da “ Il Sole 24 Ore“ del 22.4.03) A partire dallo scorso aprile, in seguito alla decisione presa dall’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (Uami), possono essere depositate presso l’Ufficio le domande di disegni e modelli comunitari registrati. Il regime unificato per la concessione di disegni o modelli comunitari che fruiscano di una protezione uniforme e abbiano efficacia su tutto il territorio della Comunità, varato con il regolamento n. 6/2002 del 12 dicembre 2002, è direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri. La salvaguardia costa 350 euro (da “ Il Sole 24 Ore“ del 22.4.03) Prima dell’adozione del regolamento sui disegni e modelli comunitari, soltanto il Benelux disponeva di una normativa uniforme per la protezione di tali prodotti. In tutti gli altri stati membri dell’Ue questa protezione si esplicava soltanto in forza della legislazione nazionale (per l’Italia è in vigore il Regio Decreto 1411/40). La tassa di
registrazione di un solo disegno o modello è di 350 euro per cinque anni di protezione. Hinterland Bloccati dal Tar i restauri a Villa Reale. Il tribunale ha accolto la richiesta presentata dall’impresa seconda classificata nella gara d’appalto (dal “ Corriere della Sera” del 20.5.03) È di nuovo in alto mare, l’appalto per il restauro dell’ala sud della Villa Reale, ostaggio di un ping pong giudiziario che si trascina ormai da un anno e mezzo. Per la terza volta, il Tribunale amministrativo regionale ha sospeso l’aggiudicazione della gara da quasi 7 milioni di euro. Ha accolto la richiesta di sospensione presentata dalla ditta seconda classificata nella gara bandita dal Provveditorato alle Opere Pubbliche della Lombardia. Navigli Torna il sogno di M ilano città fluviale. Da Locarno a Venezia attraverso il Naviglio (dal “ Corriere della Sera” del 30.4.03) In barca da Locarno a Milano. Tappa in Darsena e giù per il Naviglio Pavese. Poi verso il Po, per raggiungere Venezia. È un vecchio sogno: quello di ripensare Milano come città fluviale. Snodo di un sistema d’acqua che unisca la Svizzera al mare. Perché per quella che 60 anni fa era una risorsa economica (il porto commerciale di Milano era più grande di quello di Ancona e Messina ) si cerca ora un rilancio per il turismo. Harvard progetta il Parco dei Navigli. Critica dall’Università americana: “C’è contraddizione tra la M ilano della moda e del design e la scarsa cura degli spazi pubblici” (dal “ Corriere della Sera” del 9.5.03) Per mesi hanno studiato sulla carta quel trapezio verde ritagliato tra Milano, Assago, Corsico e Buccinasco, quasi settecento ettari di campagna incorniciati dai due Navigli, Grande e Pavese, e non ancora intaccati dall’espansione urbanistica grazie ai vincoli posti dal Parco Sud. Poi hanno saggiato sul campo le loro proposte con esercitazioni e sopralluoghi sotto l’egida della Provincia di Milano. Infine sono tornati oltre oceano, a Boston al Dipartimento di Urbanistica della prestigiosa Università di Harvard, per completare i loro lavori. Dodici progetti made in USA elaborati dagli studenti del master in pianificazione urbana e paesaggio, per trasformare quel fazzoletto di terra in un ipotetico Parco dei Navigli. M ilano Il depuratore di Nosedo va, ma scatta l’allarme piene (dal “ Corriere della Sera” del 15.5.03)
Dopo le acque che sporcano, quelle che inondano. Nel giorno in cui il Comune inaugura il suo primo depuratore, con la benedizione del Ministro Altero Matteoli, gli amministratori lanciano l’allarme idrico e chiedono al governo poteri speciali per affrontare l’emergenza. Un allarme rilanciato all’indomani dell’ultimo incidente: il crollo sul territorio di Paderno Dugnano di un tratto della sponda sinistra del canale scolmatore di nord-ovest, i cui lavori sono iniziati da otto mesi dopo anni di attesa. Lavori a 14 metri sottoterra. Così rinasce la nuova Scala (dal “ Corriere della Sera” del 30.4.03) Quel che più colpisce entrando nel cantiere è l’immensa voragine che dovrà ospitare le fondamenta della nuova torre scenica: è l’immagine choc della demolizione. Il 10 giugno il Consiglio di Stato si esprimerà sul ricorso di Palazzo Marino, dopo che il Tar aveva dato ragione a Legambiente su alcuni punti della controversia: ad esempio sul fatto che il progetto dell’Architetto Mario Botta non era mai stato deliberato dall’amministrazione. Urbanistica Parte la riforma dell’urbanistica. Proposta unitaria di Forza Italia, An e Ccd (da “ Il Sole 24 Ore” del 14.5.03) Piano Regolatore flessibile, perequazione, standard prestazionali, vincoli solo quinquennali, irrilevanza fiscale dei trasferimenti di immobili. La maggioranza parlamentare rilancia il tema della riforma urbanistica nazionale, rimasto sostanzialmente nel cassetto dai tempi della bozza Lorenzetti, alla fine della passata legislatura. E lo fa con una proposta di legge congiunta avanzata dai parlamentari di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Udc in Commissione Ambiente alla Camera, Primo firmatario Maurizio Lupi (FI). La proposta contiene la suddivisione del vecchio e rigido P.R.G. in più livelli: un documento programmatico delle scelte strutturali e strategiche, un documento regolatore degli usi del suolo, le proposte di trasformazione. Lupi ha sottolineato che “ questa suddivisione potrà essere attuata in modo molto variabile tra una regione e l’altra” .
a cura di Antonio Borghi Sguardi su M ilano “ L’altro giorno ero in coda dietro un tram e passavo vicino al parco Solari. Ho pensato: un parco pubblico con dentro una piscina pubblica. Da quanto tempo non si fa una cosa simile a Milano? (...) veniamo da anni di completa inattività architettonica. Difficile trovare una grande opera pubblica. O anche qualcuno in grado di disegnarla, forse. Le amministrazioni precedenti qualcosa hanno fatto, magari i grandi parchi esterni. Oggi non si vuole. La cosa peggiore, credo, è che i cittadini non chiedono, questo bisogno di spazi pubblici non si esprime (...). Però salverei il monumento a Pertini, (...) bello, quando è abitato, quando la gente lo usa. Salverei anche San Babila di Caccia Dominioni (...) sì, ha un suo tratto. (...) e non sono un nemico della Bicocca. Può avere tutti i difetti che vuoi, ma ha un suo disegno (...) tutte le architetture hanno una loro metabolizzazione.” È uno sguardo attento, affettuoso, disilluso e allo stesso tempo fiducioso quello di Italo Lupi sulla sua città nell’intervista intitolata Qui serve un progetto e pubblicata su “ Urban” del 28 aprile. “ Dunque c’è qualche speranza” suggerisce Alessandro Robecchi. “ Credo che sia un buon momento! Premono nuove generazioni che sanno che l’architettura non è conformismo, che si può inventare stando nelle regole. Sono giovani che hanno viaggiato, studiato” . Analogo il punto di vista di un altro protagonista della scena ar-
chitettonica milanese, Antonio Citterio, nell’intervista di Irene Maria Scalise intitolata Demolire gli orrori degli Anni ‘70 e ‘80. “ Antonio Citterio non è quel che si dice un buonista. D’altronde con un curriculum come il suo, architetto e designer di qualità e quantità riconosciuto in tutto il mondo, forse può anche permetterselo. Quando ti riceve nel suo studio, un palazzo a due passi da Piazza San Babila, l’umore non sembra dei migliori. Cortese ma cupo, non ha problemi a dichiarare che, secondo lui, si contano sulle dita di una mano le cose apprezzabili che sono state costruite in Italia negli ultimi trent’anni. In più si accanisce con gli imprenditori, colpevoli di una cultura del non progetto, sul fatto che in Italia manca un’attenzione al territorio e, nonostante tutto, si è ‘saldamente ancorati a tutto l’orribile che è stato costruito’. E lancia una provocazione: buttiamo giù tanta malarchitettura e ricostruiamo le periferie e tanti edifici che sarebbe stato meglio non avere mai tirato su. Per rompere il ghiaccio la domanda è d’obbligo: architetto a cosa sta lavorando? Vari progetti d’architettura: un TecnoGym a Cesena, un nuovo insediamento di uffici da 50 mila metri quadri, edifici a Houston e Dallas, un edificio per la B&B, una fabbrica di Aspesi e lavori di design per nomi come Flos, Kartell e B&B. Insomma, un Citterio scontento ma iperattivo che ha anche partecipato al Salone del Mobile con delle luci all’avanguardia studiate per Flos. E poi c’è Bulgari, per cui sta progettando una catena di hotel di lusso: il primo albergo della serie sarà inaugurato a Milano nel 2004. Citterio è anche molto attivo sul fronte dei negozi. Ha pro-
gettato quelli di Valentino, Stefanel, Fausto Santini, Emanuel Ungaro e Cerruti, può dire la sua: Lo stile di un negozio è sempre più legato al prodotto e al messaggio che si vuole trasmettere, bisogna stimolare aspettative e creare cose nuove, come nella moda. Di più: secondo l’architetto milanese siamo tutti figli di una società del desiderio e non più del bisogno. L’unico stimolo nasce dal desiderare qualche cosa in più e proprio riaccendere queste voglie nascoste nell’animo del cliente deve essere l’asset dei nuovi retail. E la casa? Ancora una volta il cambiamento è dietro l’angolo e le abitazioni rispondono a una nuova filosofia che è quella del meglio essere che avere. La casa del nuovo millennio è più vissuta e meno esposta. In soldoni? La cucina non è più una clinica ma diventa il luogo dove si mangia’, spiega Citterio, ‘il bagno si divide in una piccola toilette e nella parte d’acqua collegata alla camera e il soggiorno non è più, come negli anni ‘80 e ‘90, un enorme spazio da esibire destinato a ospiti che non arriveranno mai, ma un ambiente dove rilassarsi, da condividere con i propri affetti e godersi la casa. Gioiello nel gioiello è il divano anche lui sottoposto a una mutazione: da rigido oggetto d’esposizione diventa una superficie morbida dove leggere o stare in armonia e passare intere serate in relax. A dispetto del nichilismo di Citterio, però, in Italia, e soprattutto a Roma e Milano, si parla di una certa rinascita dell’architettura e del design, cosa ne pensa? Non è detto che l’innovazione sia necessariamente anche qualità, dichiara spegnendo subito gli entusiasmi: Il fatto che in alcuni casi ci sia una parvenza di tecnologia non
autorizza a parlare di miglioramento. Dove va ricercata la causa di tanti errori? Prima di tutto dalla mancanza di investimenti, dichiara, il fatto che per anni si è deciso di non pagare i progetti ha fatto sì che i progetti di qualità non esistano proprio. Insomma, la colpa è tutta nelle mani di chi detiene il potere economico, ovvero gli imprenditori? Purtroppo dopo i grandi industriali illuminat i degli anni ‘ 60, t ipo Adriano Olivetti per intenderci, si è precipitati in un gran vuoto della borghesia industriale e in una sorta di nulla politico industriale’, si rammarica Citterio, ‘tante delle cose costruite negli anni ‘70, ‘80 e ‘90 andrebbero buttate giù specialmente nelle periferie che sono il simbolo della corruzione politica. Ma qualche cosa, anche per Citterio, s’intravede all’orizzonte: Forse è vero che ci sono alcuni imprenditori giovani che hanno una visione più allargata del mondo, ma andrebbe sconfitto un degrado che ha origini nel microcosmo universitario dove, se si esclude un drappello di persone di valore, il restante è costituito da un’enorme mediocrità e da discussioni da bar che non portano a niente. Ma, se questa è la situazione italiana, cosa succede nel resto del mondo? Io sono molto filo svizzerotedesco, precisa l’architetto, non a caso ho aperto uno studio in Germania, un paese dove esiste una spiccata cultura del territorio. E i giovani allora? Tutti costretti ad emigrare? I neolaureati devono fare le valigie perché non ci sono molti studi che hanno la possibilità di assumerli altrimenti devono pagare di tasca loro per almeno i primi tre anni di professione” .
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Informazione
Riletture
Libri, riviste e media a cura della Redazione
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Rassegna
Informazione
Luigi Fusco Girard, Bruno Forte, Maria Cerreta, Pasquale De Toro, Fabiana Forte (a cura di) L’uomo e la città. Verso uno sviluppo umano e sostenibile Franco Angeli, Milano, 2003 pp. 688, € 35,00 Gianni Scudo, José Manuel Ochoa de la Torre Spazi verdi urbani Sistemi Editoriali, Napoli, 2003 pp. 224, € 22,00 Pompeo Fabbri (a cura di) Paesaggio pianificazione sostenibilità Alinea, Firenze, 2003 pp. 120, € 18.00 Alberto Manfredini, Giovanni Manfredini Progettazione architettonica e residenze temporanee integrate Alinea, Firenze, 2003 pp. 108, € 9.30 Fabrizio Bottini (a cura di) Monza piani 1913-1997 (con CD allegato) Libreria Clup, Milano, 2003 pp. 184, € 14,00 Camilla Torre Ponti in muratura, Dizionario storico-Tecnologico Alinea, Firenze, 2003 pp. 394, € 45,00 Savinio Natalicchio, Luca Tamini Grandi aree e stazioni ferroviarie Egea, Milano, 2003 pp. 220, € 20,00 Francesco Gurrieri, Filippo Nobili Prime nozioni istituzionali per il restauro dei parchi e dei giardini storici Alinea, Firenze, 2003 pp. 152, € 18,00 AA.VV. Architettura del paesaggio Alinea, Firenze, 2003 pp. 72, € 14.50 Gabriella Lo Ricco, Silvia Micheli Lo spettacolo dell’architettura. Profilo dell’archistar Bruno Mondadori, Milano, 2003 pp. 230, € 24,00
Una questione teorica
Sessant’anni di critica operativa
Urbanistica a Milano
Tradizione ed etimologia configurano l’archi-tettura come “ prima tra le arti” ; il 1° termine del titolo è dunque contenuto nel 2°. Ma con Platone la tékhne, sapere pratico e abilità formativa propri dell’artigiano, si separa dall’epistéme, sapienza teorica e riflessione ordinatrice dello scienziato-filosofoteologo, a sua volta avviata al tramonto, dopo Hegel, da uno “ scetticismo ingenuo” . Il libro riassume una lunga ricerca su questi concetti cruciali per la filosofia contemporanea nel suo radicarsi storico nel pensiero greco. Si comprende così come tecnica e verità, originari antidoti occidentali al dolore, si siano mutati da mezzi a fini e possano ora sviluppare la loro straordinaria “ potenza” solo fondandosi sulla “ grande filosofia del nostro tempo” : Leopardi, Nietzsche, Gentile, secondo l’Autore. Con lucidità logica e politica, questi evidenzia le contraddizioni del recente “ sviluppo” dell’Occidente e ne individua la principale causa nella separazione della tecnica, cui esso è comunque destinato, dal pensiero riflettente, cioè dalla teoria e dalla filosofia. Anche la bellezza, fine autentico dell’architettura, è una forma di potenza dalla quale la tecnica, per essere veramente potente, non può essere dissociata. Ma Severino mette giustamente in guardia da una “ tecnica ingenuamente scientista” e, simmetricamente, dall’ignoranza o conservazione acritica del passato. È invece difficile condividere il giudizio di “ intolleranza che il ‘Movimento moderno’ dimostra verso il passato” . E forse, oltre alla Gestaltung, alla figura e alla configurazione di cui è questione nel libro, rispetto alla tecnica e all’architettura più pertinente appare il concetto di “ forma” nel suo denotare la complessità strutturale, la storicità e i processi costruttivi della fabbrica. Si tratta di un testo filosofico fortemente correlato alla dimensione storiografica. In un’epoca povera di riflessioni teoriche, gli architetti farebbero bene a leggerlo e meditarlo.
Dal 1931, anno della laurea in architettura al Politecnico di Milano, fino alla sua morte nel 1990 Agnoldomenico Pica ha esercitato il mestiere di critico d’arte e d’architettura, allestendo mostre e curando cataloghi alla Triennale come alla galleria Il Milione, scrivendo di Caravaggio e di Frank Lloyd Wright, di Hilberseimer e di Andrea Mantegna in innumerevoli saggi catalogati negli apparati di questo libro. Per capire se questa versatilità rappresenti un limite o una ricchezza bisognerebbe leggerne molti e forse non basterebbe e l’autrice si guarda bene dal cercare risposte a questioni poste in termini così semplicistici. Vero è che l’interdisciplinarietà è una caratteristica peculiare della cultura italiana del Ventesimo secolo, un’attitudine che ha dato ottimi risultati in molti ambiti della creazione artistica e che oggi sta tornando in auge, passato l’entusiasmo per gli specialismi. Maria Vittoria Capitanucci ha riordinato l’archivio Pica e studiato la sua opera ricostruendo in modo essenziale ed efficace il contesto in cui sono maturate le sue varie e spesso originali prese di posizione. Particolarmente significativi in questo senso sono le descrizioni dei rapporti intercorsi con Edoardo Persico, Giuseppe Pagano e, più tardi, con Luigi Moretti con il quale Pica condivise i due anni di “ Spazio” . Anche se – come scrive Fulvio Irace nell’introduzione – “ la Triennale di Milano non fu il Werkbund, neanche ad Agnoldomenico Pica si sarebbe potuto chiedere di essere stato il Giedion del razionalismo italiano” , a Pica si possono ascrivere molti meriti tra i quali, come ebbe a dire Raffaello Giolli nel 1941, quello di non essersi mai “ ingannato nei trasbordi della critica utilitaristica al cosiddetto razionalismo, grossolane trasposizioni del problema estetico tra le prepotenze di una tecnica che può non essere che un’altra accademia: in una posizione critica precisa, non ha accettato la riduzione dell’architettura a serva dei bisogni di ogni specie” .
Nell’ultimo numero della rivista dell’I.N.U. quaranta pagine su Milano contribuiscono approfonditamente alla discussione sulla pianificazione milanese – fra Progetto dei nove parchi del 1995 e Documento di inquadramento Ricostruire la grande Milano del 2000 – raccogliendo una serie di contributi a commento di un primo bilancio dei P.I.I. a cura di S. Collarini, G. Guerra, P. Riganti e da una scheda su Montecity di P. Galluzzi e P. Vitillo. Preceduti da uno scritto del curatore B. Bonfantini, seguono i saggi di M. Bolocan, P. Gabellini, F. Curti, M. Giuliani, F. Oliva, P. C. Palermo, G. Ferraresi, che assieme a quelli di E. Salzano e L. Mazza pubblicati da Urbanistica 118 appaiono indispensabili per le letture della realtà milanese e le riflessioni disciplinari. Documentare e interpretare sono metodo e fine che si propone il numero: “ ancorare le interpretazioni ad un confronto diretto con le effettive pratiche in corso”, nel vivo di “ un dibattito che, proprio per la natura sostantiva delle questioni che solleva, richiede di essere legato in maniera acuta e rigorosa alla lettura critica dei processi in atto e degli strumenti in azione”. Documentare gli episodi e le pratiche dell’urbanistica milanese fra trasformazione condotta con progetti a scala urbana e documenti di indirizzo. Interpretare il caso milanese – del “ Documento” e dei P.I.I. – per quanto rappresenti una risposta determinata e per quanto indichi tendenze nel quadro della pianificazione urbanistica italiana. Il testo è accompagnato da fotografie dei P.R.U., di Bicocca e di altri interventi, illustrato da sei tavole che confrontano i documenti della pianificazione milanese. Carte e foto testimoniano insieme l’impossibilità di separare la valutazione degli atti politico-amministrativi dai fatti dell’edificazione della città.
Vittorio Ugo
Antonio Borghi
Emanuele Severino Tecnica e architettura Cortina, Milano, 2003 pp. 126, € 8,50
Maria Vittoria Capitanucci Agnoldomenico Pica, 1907-1990 Hevelius, Benevento, 2003 pp. 150, € 12,00
Giulio Barazzetta
Bertrando Bonfantini (a cura di) Urbanistica a Milano in “ Urbanistica” n. 119, 2002 € 34,50
Evoluzione della tecnica
Tremezzo e il giovane Lingeri
Le figure del progetto
È da pochi mesi in libreria il Dizionario dei nuovi paesaggisti. Ed è un segno tangibile del nuovo interesse da parte degli architetti per una cultura a loro attigua. Con più di 80 autori, rigorosamente in ordine alfabetico, presentati attraverso le principali tematiche, una scheda bibliografica e l’elenco delle principali opere, un materiale iconografico che, se non ha il merito dell’originalità, ha tuttavia quello di rendere immediatamente riconoscibile l’autore, il Dizionario riesce bene nell’intento di gettare uno sguardo allo sviluppo più recente sui temi del paesaggio. Temi capaci di contaminare con la propria identità, e insieme di provocare, il campo delle discipline architettoniche. L’intento di fondo, già chiaro dalle dense pagine introduttive, è contribuire ad analizzare le principali riflessioni maturate dall’architettura nei confronti dello spazio aperto. Tra i nomi del Dizionario compaiono, infatti, a fianco di paesaggisti in senso stretto, architetti “ prestati” al paesaggio ed altri che, con una propria identità maturata all’esterno della pratica progettuale di landscape architect, hanno realizzato qualche significativa incursione nell’architettura degli spazi aperti. È proprio l’attenzione alla contaminazione fra identità e competenze progettuali differenti uno dei principali meriti di quest’opera che, se non si addentra nelle tematiche più tipiche dell’architettura del paesaggio (alla quale non possono restare estranee le continue relazioni interdisciplinari a discapito della centralità della composizione architettonica) riesce tuttavia a cogliere e restituire con chiarezza le nuove relazioni che si vanno sempre più consolidando tra “ una disciplina tradizionalmente colonizzatrice” , come la definisce Nicolin, e un’attenzione sempre più consapevole a un ambiente esterno che manifesta da tempo i segni della propria refrattarietà all’ordine razionalizzante cui da secoli, e con crescente sistematicità, è sottoposto.
Tra i molti capitoli che in questo libro ritraggono i più disparati aspetti che dal dopoguerra ad oggi hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo dell’Italian design, uno ci pare, più di tutti, ricco di tematiche e problematiche ancora in atto. Ci riferiamo al capitolo che analizza la delicata questione del rapporto tra i materiali, ricerca e sviluppo tecnologico e la cultura del progetto, più brevemente, se vogliamo, del rapporto tra tecnica e cultura. Può l’innovazione tecnologica e materiale esser di per sé innovazione progettuale tout court? Può la celebrazione esteriore del progresso apportare di per sé modifiche sostanziali nel paesaggio della cultura domestica? Certamente no, o meglio, occorre ben altro. Ecco così profilarsi un’attitudine tutta italiana nei confronti dell’evoluzione tecnologica, attitudine a tal punto caratteristica da dar vita ad una visione umanistica della tecnologia. Dietro tale visione, che rifiuta, in nome di un certo pudore umanistico, l’ottenimento di una scontata correttezza costruttiva, offerta dalle conquiste dei nuovi materiali, si cela forse il più tipico ed incisivo contributo italiano allo sviluppo di nuove tecniche espressive nella cultura dell’abitare. Così, raccolti dal medesimo artificio umanistico (che è poi un perfetto equilibrio tra ricerca espressiva e tecnica esecutiva), i prodotti dell’Italian design (dalla sedia Superleggera di Gio Ponti, sino alle più odierne sperimentazioni spinte sulla resistenza materiali) appaiono storicamente riconducibili ad un comune denominatore; l’incontro tra la cultura del progetto e la cultura produttiva (quella disposta al rischio sperimentale, s’intende). Non è poi certo un caso se l’arte o l’artigianato (che nei casi più felici coincidono) riescono sempre ad anticipare le realizzazioni della tecnologia. Anzi, il verificarsi di tale anticipo è sinonimo di buon design.
Il presente volume è il frutto di un'accurata ricerca d'archivio che l’autrice, Lucia Pini, ha condotto con rigore scientifico, come dimostra il ricco repertorio di note esplicative alla fine di ogni capitolo e la nutrita bibliografia riportata in appendice. Attraverso l'indagine sulle proprietà immobiliari possedute dalle principali famiglie locali (i Brentano, i Mainoni, i Carli ed i Giulini); l’autrice ricostruisce la storia urbana di Tremezzo, amena cittadina situata nel centro del lago di Como. Dalla lettura emerge che in questa località lariana, nota ai turisti per i suoi fiori, gli ulivi e i limoni, sorgono un gran numero di testimonianze architettoniche di pregio storico-artistico. Tra queste sono annoverate sia le strutture ricettive dell’Hotel Bazzoni e del Grand Hotel Tremezzo, sia le numerose ville private (la villa Baragiola, la villa Mindo, la villa Ortensia ed altre). Quest’ultima, in particolare, mostra un aspetto inedito della produzione artistica del suo progettista, l’architetto Pietro Lingeri, compagno di strada del più noto comasco Giuseppe Terragni. L’analisi del progetto dimostra come Lingeri, ancor prima di utilizzare il linguaggio razionalista della milanese Casa Rustici-Comolli, sperimenta negli anni giovanili della sua carriera forme e stilemi legati alla tradizione figurativa del decò. L’intervento di Lingeri (inizio anni '20) non si limita alla sola ristrutturazione della villa Ortensia, ribattezzata Mainona dai coniugi Meier proprietari e committenti del progetto, ma anche alla sistemazione del parco a lago, interpretato dall’autrice come una “ rivisitazione classica in chiave Rococò del parco Colonna di Roma” . Obelischi, sfere, ed elementi decorativi a ricciolo ornano le strutture presenti nel parco con quel gusto tipico di un progettista che tradisce la propria formazione di decoratore, maturata sul modello della tradizione lacustre dei Magistri Cumacini.
In un semplice volume a colori sono pubblicati i risultati di una lunga ricerca universitaria condotta dagli autori al Politecnico di Torino tra il 1996 ed il 2000. I rapporti tra cartografia e progetto di architettura sono affrontati come problema fondamentale della disciplina, questione legata alla natura ed al ruolo stesso della composizione. Le carte diventano qui figure tecniche e teoriche di riferimento, che influiscono sulla definizione di un progetto di architettura e in maniera inedita ed originale, anche sullo sviluppo di tematiche interne agli elementi compositivi del manufatto architettonico. Ad esse i saggi degli autori rimandano di continuo, per comprendere tra l’altro i fattori geografici, cui necessariamente il progetto si relaziona, nella prospettiva didattica verso cui questo lavoro si indirizza, ma non solo. A questa ipotesi comune, indirizzata dal primo contributo teorico di Giancarlo Motta, fanno riferimento i cinque saggi successivi, che ci documentano ciascuno su un particolare aspetto, sulle figure della cartografia che rappresentano i caratteri naturali del luogo su cui si fonda la città; sulle immagini del tempo e sulle sue implicazioni; sulle forme della struttura urbana e del suo declinarsi; sulla descrizione delle funzioni vitali attraverso schemi grafici; sulla suggestione geografica che può assumere la pianta di un edificio. Lavori didattici di studenti ed il prodotto di una ricerca ministeriale sul territorio della Vanchiglia torinese completano operativamente il lavoro, rendendo a questo punto esplicito l’affascinante presupposto teorico: la cartografia è figura straordinaria del progetto di architettura.
Pierluigi Marchesini Viola
Matteo Baborsky
Pierluigi Nicolin, Francesco Repishti (a cura di) Dizionario dei nuovi paesaggisti Skira, Milano, 2003 pp. 486, € 30,00
Giampiero Bosoni (a cura di) La cultura dell’abitare. Il design in Italia 1945-2001 Skira, Milano, 2003 pp. 224, € 60,00
Alessandra Spada
Mario Caldarelli
Lucia Pini Tremezzo, il paese dove fioriscono i limoni Silvana Ed., Milano, 2003 pp.128, € 14,00
Riccardo Palma, Antonia Pizzigoni, Carlo Ravagnati (a cura di) Cartografia e progetto Tecnograph, Bergamo, 2003 pp. 170, € 25,00
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Informazione
Identità per gli spazi aperti
Mostre e seminari
Modernità e tradizione dell’architettura ticinese
a cura di Ilario Boniello, Martina Landsberger e Sonia Milone
Informazione
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Architetture ticinesi nel mondo: capisaldi e protagonisti 1970-2001 Milano, Centro Culturale Svizzero 26 febbraio - 26 marzo 2003
Rassegna mostre
Rassegna seminari
Ritratti e figure: capolavori Impressionisti Roma, Complesso del Vittoriano via San Pietro in Carcere www.amrcv.it 7 marzo - 6 luglio 2003
La città razionalista. Urbanistica e architettura a Modena 1931-1965: Modena, Città dell’ Emilia Rossa Modena, Galleria Civica corso Canalgrande 103 www.mo.archiworld.it 25 giugno 2003, ore 21.00
Fuori serie. Pezzi unici, prototipi e prodotti su commissione nell’archeologia del design italiano Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 8 aprile - 13 luglio 2003 Grafica, architettura e disegno in Messico Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 28 maggio - 13 luglio 2003 Periferia e nuova urbanità Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 20 giugno - 27 luglio 2003 Atlante italiano 2003. Ritratto dell’Italia che cambia Roma, Centro nazionale per le arti contemporanee 22 maggio - 27 luglio 2003 Kandinskij e l’avventura astratta Passariano (Udine), Villa Manin-passariano di Codroipo piazzale Manin 10 tel. 0423 904721 29 marzo - 27 luglio 2003 Omaggio a Tazio Nuvolari Il mito della velocità. L’arte del movimento: dal Futurismo alla videoarte Mantova, Casa del Mantegna via Acerbi 47 11 maggio - 28 luglio 2003 Marc Chagall, fiaba e destino Milano, Fondazione Stelline, corso Magenta 61 7 maggio - 30 luglio 2003 Occhio per occhio Milano, Photology, via della Moscova 25 tel. 02 6595285 9 maggio - 31 luglio 2003 Maestri a Milano Franco Rognoni Milano, Rotonda di via Besana 15 maggio - 31 agosto 2003 Isad Project 03 Abitare lavorare costruire Milano, Istituto Superiore di Architettura e Design via Orobia 26 tel. 02 55210700 www.isad.it 12 giugno - 28 settembre 2003
La gestione della durabilità nel processo edilizio Milano, Politecnico di Milano, dipartimento Best www.diset.polimi.It/mdbp2003 25-26 giugno 2003 Settima conferenza internazionale degli studiosi di arts management Milano, Università Luigi Bocconi viale Isonzo 23 tel. 02 58362631 29 giugno - 2 luglio 2003 Gli spazi di Achille Dal design all’allestimento: un omaggio all’opera di Achille Castiglioni Milano, Fondazione dell’Ordine degli Architetti della Prov. di Milano via Solferino 19 www.ordinearchitetti.mi.it 3 luglio 2003, ore 21.00 Master in architettura digitale Roma, Istituto Nazionale di Architettura via Crescenzio 16 www.inarch.it 14 - 18 luglio 2003 Boris Podrecca: itinerari di architettura tra Milano e Vienna Milano, Fondazione dell’Ordine degli Architetti della Prov. di Milano via Solferino 19 www.ordinearchitetti.mi.it 17 luglio 2003, ore 21 Dai 100 degli anni ‘90 ai 1000 concorsi di oggi 1000 nuove architetture Cambia l’italia VI Congresso Nazionale A.P.P.C. Bari, Fiera del Levante 30 ottobre - 1 novembre 2003
“ Architetture ticinesi nel mondo: capisaldi e protagonisti 1970-2001” è il titolo di un’ampia retrospettiva su architetti e architetture del Canton Ticino, allestita presso il Centro Culturale Svizzero di Milano, prodotta da Pro Helvetia e realizzata da Tarmac Edizioni. L’iniziativa, che si articola in una serie d’eventi e comprende una mostra e due incontri con alcuni esponenti di spicco della cultura architettonica ticinese, è soprattutto occasione per promuovere la recente pubblicazione multimediale a cura di Mercedes Daguerre e Graziella Zannone Milan, dal titolo “ Architetture nel territorio. Canton Ticino, 1970-2000” , che raccoglie 261 opere di 90 architetti, tra padri fondatori e giovani talenti, oltre ai contributi di Kenneth Frampton, Jacques Gubler, Roberto Masiero e Werner Oechslin. Si tratta di un poderoso lavoro critico-antologico, interamente costruito su base informatizzata, che combina la ricerca d’archivio con i più moderni sistemi di navigazione interattiva. Un’opera digitale, realizzata per raccogliere, celebrare e consegnare alle future generazioni gli ultimi trent’anni di produzione architettonica ticinese. La critica internazionale, da molti anni attenta osservatrice di questo fenomeno architettonico, è ormai concorde sul fatto che non si possa parlare di una vera e propria “ scuola ticinese” , strutturata su un programma teorico e ideologico, quanto piuttosto di una “ resistenza architettonica” che è riuscita a vincere la marginalità culturale e geografica di una regione di frontiera, attraverso un’attenta riflessione sulla modernità e sulla cultura del luogo, a metà strada tra il rigore tecnicista d’oltralpe e la classicità mediterranea. L’interpretazione molto laica della storia, l’atteggiamento di rispetto della tradizione e dei rapporti col paesaggio, così come la forte valenza etica e politica conferita all’architettura, intesa come ragione civile, hanno permesso di ridefi-
nire il concetto di luogo, rintracciando nelle inevitabili trasformazioni del territorio una qualità diffusa del costruito mediante la messa a punto di sistemi tipologici desunti dalla cultura del moderno. Difficile compiere una sintesi caratteriale delle diverse personalità che hanno promosso e animato il dibattito architettonico ticinese, ciò nonostante è possibile parlare di “ atteggiamenti condivisi” che permettono di rileggere e confrontare le realizzazioni dei padri fondatori (Brivio, Camenzind e Tami) con quelle dei loro allievi (Botta, Campi, Carloni, Galfetti, Ruchat-Roncati, Snozzi e Vacchini) così come distinguere i personali contributi introdotti nel dibattito teorico da figure come Reinhart e Reichlin. La mostra, come lo stesso titolo suggerisce, si articola in due sezioni dedicate ai “ capisaldi” e ai “ protagonisti” . La prima dedicata agli edifici più rappresentativi costruiti in Ticino negli ultimi 60 anni, dalla Biblioteca Cantonale a Lugano di Rino Tami del 1940 al Campus USI di Lugano del 2002, frutto di un lavoro di gruppo coordinato da Aurelio Galfetti e Jachen Könz. La seconda sezione cerca di restituire il complesso profilo di sette fra i maggiori esponenti dell’architettura ticinese, conosciuti a livello internazionale come Botta, Campi, Galfetti, Reinhart, RuchatRoncati, Snozzi e Vacchini. Ognuno di loro ha potuto illustrare in una tavola-manifesto la propria idea d’architettura. La recente diffusione di mostre basate sull’utilizzo di tecnologie digitali, ha definitivamente superato il paradosso delle tradizionali esposizioni d’architettura, nelle quali l’opera indagata è normalmente assente, e i materiali messi in mostra, siano essi disegni, schizzi, modelli o fotografie, non sono considerati altro che dei surrogati dell’oggetto reale. Lo sviluppo delle tecnologie multimediali assumendo questa condizione come dato di partenza giunge, attraverso rappresentazioni sempre più sofisticate, a risultati decisamente interessanti, che aumentano le possibilità d’indagine e conoscenza sulle architetture, garantendo il contenimento dei costi, il carattere itinerante dei lavori sviluppati, oltre ad una maggiore riproducibilità e facilità di gestione dei materiali sviluppati. Luca Gelmini
Utopie urbane
I disegni di Ridolfi
Architetture per l’architettura
Salone Internazionale del Mobile e del Complemento d’Arredo Milano, Fiera 9-14 aprile 2003
Marco Petrus Milano, Palazzo delle Stelline 28 aprile - 3 maggio 2003
Mario Ridolfi, sessant’anni di architetture in sessanta disegni, 1924-1984. Roma, Accademia Nazionale di San Luca, Palazzo Carpegna 13 marzo - 19 aprile 2003
Giorgio Grassi. Progetti recenti Milano, Facoltà di Architettura Civile Bovisa 3-30 aprile 2003
Gli eventi bellici e la congiuntura economica avevano spinto gli operatori più cauti a prevedere un’edizione sottotono disertata dagli stranieri. Alta affluenza e contenuti ambiziosi contraddicono invece le previsioni più pessimiste per animare un Salone del Mobile 2003 interessante. Lo stato del settore si riflette nelle diverse strategie delle imprese: tengono bene quelle che hanno investito nella qualità del progetto e del prodotto, le altre patiscono. Scomparso definitivamente dal mercato il consumatore medio, molte aziende hanno alzato target e listino prezzi, indirizzando la produzione verso una più ristretta e facoltosa nicchia di consumatori. La conseguenza è lo sconfinamento nel lusso di molti allestimenti, rifiniti con marmi preziosi, ricchi mosaici, accessori tecnologici; progetti sofisticati che cercano l’eleganza nella forma e trovano il kitsch nel contenuto rivelando la triste perdita del senso della misura. I sostenitori della tradizione continuano a difendere l’artigianato artistico con progetti di qualità: tappeti nepalesi a Post Design; vetri soffiati a Murano per Fatto ad Arte; Dutch Souvenirs allo Spazio Consolo. Le interessanti provocazioni concettuali dell’arte contemporanea portano su mobili e oggetti uno sguardo cinico con intenzioni narrative: le trappole di A.Slominski in mostra alla Fondazione Prada; il mercatino improbabile degli olandesi Droog; le poltrone di Moroso vestite di fiori “ pacifisti” disposte dall’artista taiwanese Michael Lin su un “ tappeto di guerra” afgano, i cui motivi sono costituiti da armi. Finita l’epoca del politically correct anche il progetto si confonta con una realtà conflittuale. La guerra ormai fa parte del nostro panorama domestico, installata tra gli elettrodomestici, nei salotti di casa alla stregua di un complemento d’arredo.
Marco Petrus è innanzitutto pittore, nel senso che torna a legittimare la superficie del quadro quale luogo della rappresentazione. E rappresentazione che fa di Milano tema unico, privilegiato, ossessivamente ripetuto anche se oggetto di continue variazioni. L’ apparente realismo delle sue opere non deve ingannare: Petrus non visita la città, la rivisita; non si tratta di semplice operazione di documentazione, ma di interpretazione che, attraverso un processo di sottrazione, travalica il visibile per approdare ad un orizzonte al di là del contingente. Quel che rimane è un paesaggio spogliato dei suoi abitanti e ridotto alle sole costruzioni, mentre la metropoli (dilagante “ magma informe” e perciò irrappresentabile) svanisce sullo sfondo di un cielo rarefatto e silenzioso. Le architetture sono così dislocate una 1ª volta, rispetto al proprio contesto percettivo abituale, che le investe di una visibilità “ fantasmatica” ; una 2ª volta, rispetto al proprio significato culturale più profondo, che consiste nella possibilità di fondare luoghi. Anzi, l’artista insiste su costruzioni (non a caso spesso appartenenti al Razionalismo milanese) che, definite nella loro rigorosa regolarità, nelle linee degli elementi strutturali o nelle quadrettature ripetute delle finestre, ritagliano uno spazio “ a parte” dove la geometria, anziché essere griglia che ordina e orienta l’uomo, cifra del pensiero in rapporto alle cose, diviene la misura di un distanziamento infinito fra l’uomo e il mondo, il sigillo di un’alterità incolmabile. Petrus, dunque, non ritrae banalmente paesaggi milanesi, ma architetture che, sradicate da ogni luogo, sospese in una fissità al di fuori del tempo, segnano, sono, zone di frattura fra l’abitare e il costruire, invitando a riflettere sui concetti di luogo, non luogo, identità, ovvero sul significato antropologico dell’architettura.
Alessandro Vicari
Sonia Milone
La mostra, piccola ma preziosa, espone materiali tratti dal fondo accademico che si è andato formando a partire dalla seconda metà degli anni Settanta per volontà dello stesso Ridolfi, Presidente dell’Accademia Nazionale di San Luca negli anni 1977-78. La selezione presenta un limitato numero di disegni che vanno dal rilievo della tomba del Cardinale Besso, eseguito fra il 1924 e il 1925 da Ridolfi studente di architettura, fino agli studi per il Palazzo del Comune di Terni, ultima opera di vasto respiro alla quale egli ha lavorato. Una mostra che non intende documentare in modo sistematico l’intera carriera progettuale dell’architetto romano e dei suoi collaboratori, Wolfgang Frankl e Domenico Malagricci, ma piuttosto vuole restituire nei suoi tratti essenziali il percorso creativo e culturale di una delle più importanti personalità nel panorama dell’architettura italiana del Novecento, focalizzando l’attenzione su alcune delle tappe più significative e su episodi progettuali meno noti ma solo apparentemente minori. La mostra racconta una maniera d’intendere il mestiere di architetto, capace di far convivere una visione sintetica dell’architettura con un’attitudine all’indagine profonda del manufatto edilizio. Si tratta della prima di una serie di iniziative che l’Accademia intende promuovere per ricordare la figura e l’opera di Mario Ridolfi. In contemporanea è stato infatti presentato il volume di Francesco Cellini e Claudio D’Amato, con la schedatura definitiva dei disegni conservati in Accademia e di quelli reperiti presso archivi privati o giacenti presso l’INAIL e altri enti disciolti. A completamento di queste iniziative è in fase di progetto una grande mostra antologica, programmata per la fine del 2004, nell’occasione del centenario della nascita di Ridolfi e a vent’anni dalla morte. Pisana Posocco
Una mostra organizzata a scuola deve innanzitutto mostrare architetture esemplari. L’esemplarietà di quelle di Giorgio Grassi risiede principalmente nella capacità di mostrare “ l’architettura come materiale per la produzione di altre architetture” . Al di là della necessità, spesso indicata da Grassi stesso, di scegliersi dei maestri, siano essi antichi o moderni, che indica quegli aspetti espressivi e individuali presenti in ogni opera, le architetture esposte aprono alcuni interrogativi circa i procedimenti progettuali, circa il modo di lavorare sul progetto di architettura. Grassi stesso, in più occasioni, ha parlato del proprio lavoro impiegando l’opera di altri architetti: Hilberseimer, Tessenow, Schinkel, Alberti, Piero. Parlare di sé parlando d’altri è specchio fedele della condizione del progetto di architettura. Ogni architettura necessita di quelle che l’hanno preceduta, esse sono il materiale con il quale si costruisce. La misura del grado di necessità di tali architetture e delle forme del loro impiego, è il principale insegnamento di Grassi. Per Grassi, infatti, l’architettura è definita dalla sua stessa caratteristica di “ costruzione” , di “ descrizione del procedimento logico costruttivo” . Il risultato è un’attenzione eminentemente tecnica alla costruzione del progetto. Tuttavia, da questo punto di vista, l’opera di Grassi, non è, come potrebbe sembrare, priva di soluzioni di continuità. Il processo di riduzione formale e di sintesi estrema iniziale, necessario a stabilire l’ambito del proprio lavoro, la convenzionalità del razionalismo come campo di studio, è sottoposto ad una progressiva complessità che investe diversi ordini logico-descrittivi. Alla descrizione dell’architettura fondata sulla comparazione e sulla classificazione che necessita la scelta di un solo parametro, ad esempio tipologico, si affiancano altre descrizioni, ad esempio decorative, costruttive, funzionali. La parzialità analitica si è moltiplicata. Carlo Ravagnati
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Informazione
Un salone d’eccellenza
Tito Varisco Bassanesi e Milano: tra immaginario e reale di Andrea Disertori
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Itinerari
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Senza dubbio Tito Varisco è un personaggio del tutto eccezionale nella storia recente dell’architettura. La sua duplice personalità tra l’effimero della scenografia teatrale e la concretezza materica dell’architettura, creatasi fino dagli anni della sua formazione, tra Accademia di Belle Arti di Brera e Politecnici di Roma e Milano, basta già a metterne in evidenza la singolare poliedricità. La sua cultura di scenografo colto e sensibile agli stilemi succedutisi nella storia, gli ha consentito di non essere indissolubilmente legato a una monocorde tendenza, e tantomeno a una moda (talvolta passeggera) dell’architettura. Senza mai venir meno a un rigore tecnico di solido costruttore, ha elaborato progetti sempre innovativi in un ambiente nuovo, oppure sapientemente inseriti in un contesto antico preesistente nel suo pieno rispetto. Ne è eloquente testimonianza il confronto tra il Museo Messina, ricavato dal restauro della chiesa sconsacrata di San Sisto, e la funzionalità a tutt’oggi rivoluzionaria del garage di via De Amicis, che Francesco Aghemio definì col termine di architettura neoplastica (in “ Edilizia Moderna” , dicembre 1953). Si riconosce nella casa di Selvino, costruita per la sua famiglia, e nella manifattura
Givaudan. In quest’ultima archit et t ura le successive conversioni d’uso sono una prova della flessibilità ricorrente nelle opere di Varisco. Non gli si può certo rimproverare quanto vale per numerosi architetti che, pur di lasciare a tutti i costi una impronta personale molto spesso stonata, non si fanno scrupolo di violentare l’habitat preesintente in cui operano. Ricordo con commozione Tito Varisco come mio professore al Politecnico di Milano e poi direttore dell’Accademia di Brera, quando vi ho insegnato per oltre un decennio. Gli sono grato per i suoi insegnamenti e per il prezioso incoraggiamento, scaturito dal suo inesauribile amore per il “ mestiere” , esercitato senza mai preoccuparsi di autocelebrarsi. Penso che la critica sia inevitabilmente soggettiva e mutevole nel tempo, mentre la storia, se opportunamente documentata, rimanga un punto fermo. È preferibile quindi riportare le principali tappe della vita di Varisco e il regesto delle sue opere: esse sono suscettibili di venire ampliate, perchè la loro ricerca non è stata facile. È stata possibile grazie al prezioso aiuto di Luisa Spinatelli, che qui voglio ringraziare vivamente.
Biografia Tito Varisco Bassanesi nasce a Milano il 21 gennaio 1915. Nel 1931, dopo aver iniziato gli studi ginnasiali, consegue la maturità al Liceo Artistico presso l’Accademia di Belle Arti di Brera: successivamente si iscrive e frequenta il biennio propedeutico della Scuola Superiore di Architettura a Roma, conseguendo il diploma di Abilitazione all’insegnamento del disegno. Nel 193637, dopo aver frequentato il triennio applicativo presso il Politecnico di Milano, si laurea in architettura. Nell’ottobre del 1937 viene invitato dal Prof. Piero Portaluppi a far parte della Facoltà come assistente volontario, e poi incaricato, per la dottrina di Geometria Descrittiva al fianco della professoressa Giuseppina Biggiogero. Contemporaneamente frequenta per tre anni il corso di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti. Inizia la carriera professionale come progettista presso una nota ditta milanese specializzata nella costruzione di prefabbricati. Nel 1938 sostiene a Torino l’esame di Stato per esercitare la professione di architetto; successivamente si iscrive all’Albo degli architetti di Milano. Nello stesso anno fonda con il collega Giuseppe (Pepp) Calderara (Milano 1910-68) e l’Ing. Giorgio Keffer, calcolatore dei cementi ar-
mati, lo studio associato C.K.V. Nel 1939 presta servizio di prima nomina quale ufficiale del Genio e nell’agosto del 1940 viene imbarcato per l’Albania con un reparto del Genio: parteciperà a tutta la campagna sul fronte Greco, passando ad Atene coi reparti di occupazione, dopo la caduta della Grecia. Nell’agosto del 1941 viene rimpatriato e ricoverato in ospedale affetto da una grave malattia tropicale contratta in servizio: le sue precarie condizioni di salute lo costringono a chiedere di venire sostituito nel corso di Geometria Descrittiva, perchè troppo numeroso, per passare all’assistenza della cattedra di Applicazioni di Geometria Descrittiva. Nell’ottobre del 1942 viene nominato assistente incaricato alla cattedra di Scenografia, Decorazione e Arte dei Giardini. Le sue concezioni sui rapporti sociali si sviluppano fino a non coincidere più con quelle ufficialmente in atto in quell’epoca: dopo un periodo di ritiro in montagna, dall’agosto 1944 all’aprile 1945, riprende l’attività didattica per la cattedra di Applicazione di Geometria Descrittiva e la collaborazione professionale con l’architetto Giuseppe Calderara, rientrato dalla prigionia. Nello stesso periodo si dedica inoltre alla preparazione di un testo di Prospettiva, Scenografia e Scenoplastica, in cui sviluppa nozioni sulle teorie del chiaroscuro, delle ombre, dei riflessi e della prospettiva aerea. Nel 1955 diventa libero docente di Scenografia (fino al 1960) e professore incaricato di Applicazioni di Geometria descrittiva alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano (fino al 1968). Dal 1958 al 1980 è professore titolare della Cattedra di Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera, di cui diventa direttore dal 1960 al 1970. Nel 1965 inizia la collaborazione con la sua ex allieva Luisa Spinatelli per gli allestimenti teatrali, attività che viene tuttora svolta dalla professoressa nello studio di via Ascanio Sforza 87. Nel 1970 Varisco diventa direttore degli Allestimenti Scenici del Teatro alla Scala di Milano (carica che manterrà fino al 1978) e inizia inoltre ad insegnare presso la Nuova Accademia di via Paolo Bassi, fondata da Guido Ballo. Tito Varisco si spegne a Milano il 18 luglio 1998.
1. Casa d’abitazione in via Teodosio, 1933 Milano via Teodosio 34, angolo via Vallazze
3. Casa-laboratorio Nicki Chini, 1938-39 Milano via Villasanta Riva 3
4. Autorimessa De Amicis, 1947 Milano via De Amicis 20/22
5. Complesso edilizio di via Cadibona,1950-52 Milano via Cadibona 9
2. Gruppo rionale “Crespi”, 1938 Milano via Villasanta Riva, angolo corso Sempione 25
1. È uno dei primi progetti di Varisco, fatto in collaborazione con l’architetto Alessandro Cairoli. Due superfici curve creano una continuità tra i due lati della facciata dell’edificio alto sei piani, uno in meno rispetto al primo progetto. La struttura è in cemento armato e la copertura è piana. I diciotto appartamenti hanno tre o quattro locali. Interessanti sono il vano scala perfettamente cilindrico e la scalinata esterna di ingresso.
2. Il Gruppo rionale “ Crespi” è stato progettato da Tito Varisco in collaborazione con Giuseppe Calderara e Gianni Angelini. È contemporaneo alla casa-laboratorio Nicki Chini e, costruito accanto, forma con essa un ambiente unitario. Architettura da considerarsi decisamente razionalista, è formato da due volumi articolati ortogonali, prospettanti su via Villasanta e corso Sempione. Sono divisi da una torre d’angolo, elemento tipico ricorrente nelle Case del fascio. Dopo essere stato adibito nel dopoguerra per un certo periodo a studi della R.A.I., attualmente è sede della caserma XXV aprile della Guardia di Finanza, e del Comando Interregionale dell’Italia Nord Occidentale. A. Disertori, Tito Varisco architetto e scenografo, in “ Dedalo” n. 10, ottobre 2000, pp. 15-16; s.n., La sede del Gruppo Rionale Fascista P. E. Crespi a Milano, in “ Architettura” , settembre 1941, pp. 380-83
3. È stata progettata in collaborazione con Giuseppe (Pepp) Calderara. I calcoli dei cementi armati sono dell’ing. Giorgio Keffer. Questi tre professionisti erano associati nello studio C.K.V. Il committente desiderava riunire in un unico edificio la sua abitazione e il suo lavoro: i laboratori dove si producevano abbigliamenti sportivi, cravatte, profumi; i locali destinati alla produzione, ai magazzini e ai depositi posti al piano seminterrato, insieme ai servizi per le operaie (spogliatoi, mensa, servizi igienici). Non mancava il rifugio antiaereo. Al primo piano erano situati altri laboratori. Gli ambienti di rappresentanza, per uffici ed esposizioni, erano a piano rialzato, oltre all’autorimessa e alla guardiola del custode. La prestigioza dimora del proprietario occupava i piani alti: soggiorno, sala da musica, biblioteca, pinacoteca, sala da pranzo, bar, camere da letto erano distribuiti su due livelli. Il terzo piano era in parte occupato da un giardino pensile con piscina. Un bello scalone, con parapetto in cristallo, collegava i vari piani, arredati elegantemente dagli stessi architetti. Grandi superfici vetrate si aprivano sulla facciata di impronta razionalista in serizzo grigio. L’attuale proprietario ha fatto dissimulare le facciate con un rivestimento dai colori vivacissimi di plastica autoadesiva, senza modificare le facciate sottostanti.
s.n. (Gio Ponti?), Casa e lavoro, in “ Domus” n. 168, dicembre 1941, pp. 1-15; M. Boriani, C. Morandi, A. Rossari, Milano contemporanea: itinerari di architettura e urbanistica, Designers Riuniti Editori, Torino, 1986
4. È una delle opere più note di Varisco, in quanto costruita nel centro di Milano. L’essenzialità formale e la volumetria equilibrata, in cui si legge chiaramente la funzione, non violenta il contesto antico. Vi si inserisce felicemente, anche grazie al materiale impiegato: il cemento a vista. Il calcolo della struttura in cemento armato si deve all’ing. Mario Guerci, docente insieme a Varisco al Politecnico di Milano. Recentemente è stata acquistata da una concessionaria della casa automobilistica B.M.W. Per esigenze commerciali, espositive e di assistenza ai clienti, si sono rese necessarie delle modifiche, specialmente l’ampliamento di spazi destinati a magazzini, ricavati nel sottosuolo. I progettisti della ristrutturazione, l’architetto Vincenzo Montaldo e l’ingegnere Franco Morini, hanno scelto, anzichè il restauro delle facciate in cemento a vista, deteriorate negli anni, un rivestimento in pannelli di acciaio smaltato bianco, che coprisse le superfici originarie, oltre alla sostituzione dei serramenti.
S. Tintori, Il recupero del moderno, in “ L’Arca” n. 74, 1993, pp. 62-63; P. Bottoni, Edifici moderni a Milano, Editoriale Domus, 1954, pp. 166-68; A. Disertori, Tito Varisco architetto e scenografo, in “ Dedalo” , op. cit.
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5. Questo quartiere è stato realizzato per conto della Cassa Speciale dell’Azienda Tranviaria. Successivamente è diventato patrimonio dell’I.N.P.S. (Istituto Nazionale di Previdenza Sociale). È interessante per la insolita disposizione dei fabbricati: al centro l’edificio basso della portineria, con annesso alloggio del custode, per controllare l’unico ingresso di via Cadibona 9; perpendicolari a questa strada si affacciano con il lato minore quattro edifici rettangolari di otto piani, nel cui centro è posizionata una scala con ascensore. All’estremità opposta alla via i quattro edifici sono collegati, ciascuno, con altri due corpi di fabbrica più bassi disposti in diagonale, tramite una scala con due ascensori. Le loro facciate a risega, consentono la vista verso via Cadibona e l’orientamento ottimale verso sud. In questo modo si è reso possibile servire con un’unica scala gruppi di tre fabbrcati indipendenti. Il piano terreno verso la strada è stato destinato a negozi, in modo da rendere il quartiere autosufficiente. Sotto il padiglione della portineria trovano posto i serbatoi per le riserve di acqua, che viene pompata agli ultimi piani in caso di mancanza di pressione. Dietro di esso è stato ricavato il posteggio per i motocicli.
F. Aghemio, Architettura di Varisco, in “ Edilizia Moderna” n. 51, dicembre 1953, pp. 49-54; T. Varisco, Nucleo residenziale a Milano, in “ Architettura Cantiere” n. 7, 1955, pp. 37-39
6. Casetta unifamiliare nel quartiere Harar Dessiè, 1951-55 Milano via Harar, via Dessiè
7. Manifattura Givaudan, 1953 Milano via Keplero 2 (ex via Restelli 53-55)
9. Quartiere Feltre, I.N.A. Casa, I.A.C.P., 1957-61 Milano via Feltre
10. Teatro sperimentale nella scuola di scenografia a Brera, 1958 Milano via Brera 28
9. Si tratta di un lavoro eseguito da un gruppo di architetti coordinati, oltre cha da Varisco, da Gino Pollini (capogruppo), Mario Bacciocchi, Luciano Baldessari, Giancarlo De Carlo, Ignazio Gardella, Gianluigi Giordani, Angelo Mangiarotti, Mario Terzaghi, Pier Italo Trolli. Il quartiere Feltre è costituito prevalentemente da edifici alti, in modo da ricavare una grande zona verde che si collegasse al Parco Lambro.
10. Quando Varisco diventò titolare della Cattedra di Scenografia a Brera, pensò fosse utile concretarne l’insegnamento con un teatro sperimentale. Risolto un contenzioso con la direzione, venne prescelta l’aula 10. Varisco ottenne dalla Cariplo, facendo parte di una commissione della banca, una somma di 750.000 lire, a cui aggiunse di tasca sua una identica cifra per finanziare i lavori. Nel Teatro dell’Accademia di Brera trovano posto 130 sedie disposte su due file. Le pareti bianche e il pavimento marrone di mattonelle di ceramica sono illuminate durante il giorno dalla luce delle alte finestre. Il palcopedana, alto meno di un metro, comunica con due porte d’uscita, una delle quali porta nel cortile delimitato dall’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Mancano i camerini e in loro sostituzione, per entrare in scena, gli attori si preparano nell’attigua aula 13, comunicante con una porta. Una giovane compagnia di filodrammatici inaugurò nel 1958 il teatro con una rappresentazione del Woyzek di Buchner, con scenografie di Alba Donati e Giovanna Pifferi. Tra le altre rappresentazioni sono da ricordare “ La Tempesta” di Shakespeare eseguita dalla Compagnia di Gianni e Cosetta Colli, con marionette realizzate dagli allievi dell’Accademia. Attualmente l’aula 10, non più adibita a teatro, è di nuovo destinata all’insegnamento.
8. Aule liceo artistico di Brera, 1955 Milano via Brera 28
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6. Il quartiere Harar di edilizia popolare è stato progettato da un gruppo di sedici progettisti. È composto da edifici multipiano ad appartamenti e da casette unifamiliari su due piani con orto e giardino. Varisco ha progettato ll fabbricato n. 8, composto di soggiorno, cucinetta, camera da letto al pianterreno e due camere con servizi al primo piano. La struttura in cemento armato è rivestita sulle fiancate con mattoni a vista. I fronti sono intonacati. La copertura del tetto ha un unico spiovente.
7. “ Caratterizzazione di una architettura neoplastica” : così Francesco Aghemio definisce questa architettura per i piani inclinati che rompono l’ortogonalità delle facciate, movimentandole. Questi edifici a due piani sono sorti come sede di una industria, su un terreno dove il Piano Regolatore aveva prescritto un’edilizia a “ villette” , come nell’adicente “ villaggio dei giornalisti” . Nel 1969 questi padiglioni sono stati venduti per venire adibiti a negozio e magazzini di elettrodomestici. Dal 1979 al 1989 sono stati convertiti in una scuola giapponese. Attualmente vi si trova la sede dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Quest’opera di Varisco è interessante per la possibilità di conversione d’uso, pregio che si presenta raramente. Ritroviamo il carattere di “ architettura neoplastica” della villa Varisco a Selvino, dove le facciate sono “ tagliate” da piani obliqui. F. Aghemio, Architettura di Tito Varisco, op. cit
s. n., Milano: quartiere in via Dessiè, in “ Urbanistica” n. 7, 1951, pp. 17-19; s. n., I.A.C.P. - Quartiere via Harar, in “ Edilizia Popolare” n. 6, settembre 1955; s. n., in “ Architettura cantiere” , n. 12, 1957, p. 5
8. Già nel secondo anteguerra si era pensato all’ampliamento dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Era stato proposto addirittura un progetto per una nuova sede. Ma il problema è rimasto irrisolto, fino all’intervento di Varisco. Per recuperare nuovi spazi all’interno di Brera, l’architetto ha ricavato dalle serre fatiscenti dell’Orto Botanico, ristrutturate e modificate opportunamente, una serie di aule luminosissime perchè vetrate e orientate a sud. Le “ serre” sono state inaugurate il 16 novembre 1956 dal Presidente dell’Accademia, architetto Paolo Candiani. A. Disertori, Il Palazzo di Brera, in “ Dedalo” , febbraio 2000
M. Grandi, A. Pracchi, Milano. Guida all’architettura moderna, Zanichelli, Bologna, 1980
D. Manzella, E. Pozzi, I teatri di Milano, vol. II, Milano 1985, pp. 116-17; G. Agosti, Il teatrino dell’Accademia, in “ La Città di Brera. Due secoli di progetto scenico” , Milano, 1998, p. 115
11. Villa a Selvino, 1958 Selvino (Bergamo) via Cremona 9
12. Banca depositi e sconti, 1964-65 Milano via Verdi, accanto al Teatro della Scala
13. Istituto suore angeliche, 1967 Milano via Buonarroti 49
14. Casa-studio-museo Messina, 1968-70 Milano via San Sisto 10
11. Selvino si trova a circa 1.000 metri di altitudine, poco distante da Bergamo. Varisco vi ha fatto costruire una casetta di due piani, progettata per se stesso nel 1954. La sua forma originalissima, dipendente dalla disposizione interna, richiede una visione “ dinamica” che la rivela sempre diversa a seconda dei punti di vista. Il gioco dei volumi inclinati delle facciate è sottolineato dal contrasto tra il bianco dell’intonaco e il rivestimento in legno di ramin, protetto da una vernice trasparente. Vi ritroviamo il modello neoplastico della Manifattura Givaudan, che rivela la fantasia di Varisco scenografo. La muratura di fondazione, alta fino a mezzo metro da terra, è in pietra a vista. Il primo piano è occupato da tre camere da letto, uno spogliatoio e un bagno, oltre a uno studiolo. All’estremità del grande terrazzo spunta una originalissima “ ciminiera” rivestita in pietra con le canne fumarie per due caminetti: uno all’interno del sottostante soggiorno, l’altro in giardino per il “ barbecue” . Il vasto soggiorno “ passante” a piano terra, con scala a vista, è illuminato da grandi vetrate. Alla sala da pranzo, direttamente collegata con la cucina, si aggiungono l’atrio, un guardaroba, un bagno di servizio e il locale della caldaia di riscaldamento. Da una rampa si scende nel garage interrato.
s.n., Tito Varisco Architetto. Villa a Selvino, in “ Casa e Turismo” n. 22, 1962, pp. 37-39; L. Bolzoni, Architettura moderna nelle Alpi italiane, Pavone Canavese (Ivrea), 2002, p. 22
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12. A questo progetto ha collaborato l’architetto Paolo Rossetti, nello studio di via Fiori Scuri 7. Successivamente l’edificio ha cambiato più volte proprietari, tra cui la Banca San Paolo. Il fronte in marmo violaceo chiaro e la forma della facciata rappresentano un superamento delle precedenti espressioni razionaliste e neoplastiche di Varisco. L’edificio è stato pensato in armonia con il confinante Teatro della Scala.
A. Disertori, Tito Varisco architetto e scenografo, in “ Dedalo” , op. cit.
13. La Superiora dell’Istituto traccia una sintetica storia di queata bella architettura con la facciata caratterizata da un originale gioco di pieni e vuoti. L’Istituto S. Paolo, sito in via Buonarroti 49, è stato costruito come edificio scolastico, in quanto il vecchio monastero delle Suore Angeliche non era più sufficiente per rispondere alle esigenze della zona che in quegli anni si era popolata. L’edificio di sette piani ne dispone quattro per la scuola, elementare e media, con aule molto luminose dotate di grandi finestroni, di cui un piano è predisposto per aule speciali (laboratorio scientifico, informatico, linguistico, biblioteca, aula proiezioni). Inizialmente il quinto piano era destinato all’educandato; finita la richiesta di questo servizio si è trasformato in pensionato universitario. Già il sesto e settimo piano erano stati predisposti a questo scopo con camere singole e doppie, complete di servizi privati. Il piano terra è destinato alla scuola materna e, da pochi anni, al nido. All’ingresso si trovano la cappella e gli uffici amministrativi. L’edificio, pur avendo subito alcune trasformazioni interne, è sempre adibito all’educazione dei giovani, impegno primario della Congregazione. La palestra e l’auditorium servono per le attività sportive dei ragazzi e vengono anche utilizzate per conferenze, incontri per genitori e feste. Questo servizio è richiesto anche da persone esterne alla scuola.
14. La celebrità di Francesco Messina (1900-95) scultore e professore all’Accademia di Brera, ci dispensa dal parlarne a lungo. Ci basti dire che è uno dei più noti artisti contemporanei polemicamente alieno da teorizzazioni e da programmatici rinnovamenti. La sensibilità e il grande “ mestiere” gli consentono di raggiungere risultati di alta poesia. La chiesetta di San Sisto al Carrobio (fine XVI sec.), attribuita all’architetto manierista Pellegrino Tibaldi (1527-96), era in uno stato di totale abbandono. Messina propose al Comune di Milano di restaurarla a sue spese e trasformarla in un museo che ospitasse la donazione delle sue opere migliori: disegni e sculture con i soggetti più amati, ritratti (cardinale Schuster, la moglie Bianca, Carla Fracci, ecc.), celebri danzatrici in movimento e in riposo, bozzetti di cavalli, nudi, ecc. Varisco, nel lavoro di restauro e cauta trasformazione, venne coadiuvato dallo scultore stesso, oltre agli architetti Paolo Rossetti e Nardis della Soprintendenza ai Monumenti. Il pavimento della chiesa venne trasformato in una balconata, affacciata sulla cripta, creando un unico spazio espositivo, collegato con una scala e un ascensore. La canonica sul fianco sinistro della chiesa era stata adibita a studio privato di Messina.
A. Disertori, Tito Varisco architetto e scenografo, in “ Dedalo” , op. cit.