AL 6, 2004

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giugno 2004

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Periferie

Mensile di informazione degli Architetti Lombardi Ordini degli Architetti delle Province di: Bergamo Brescia Como Cremona Lecco Lodi Mantova Milano Pavia Sondrio Varese

Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti via Solferino, 19 - 20121 Milano Anno 27 - Sped. in a.p. - 45% art. 2 comma 20/B - Legge 662/96 - Filiale di Milano



AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 6 Giugno 2004

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Forum Periferie interventi di Giulio Barazzetta, Alessandro Balducci, Stefano Boeri, Giancarlo Motta, Marco Romano Bergamo Como Lecco Lodi M ilano Pavia Varese

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Argomenti

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Concorsi

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Professione e aggiornamento Legislazione Strumenti

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Informazione Dagli Ordini Stampa Libri, riviste e media M ostre e seminari

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Indici e tassi

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Direttore Responsabile: Stefano Castiglioni Direttore: Maurizio Carones Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Martina Landsberger, Mina Fiore Assistente di Redazione: Irina Casali Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico: Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa: Alberto Greco Editore srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 300391 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: age@gruppodg.com Concessionaria di Pubblicità: Profashion srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 30039330 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: profashion@gruppodg.com Stampa Diffusioni Grafiche, Villanova Monf.to (AL) Rivista mensile: Spedizione in a.p.- 45% art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 25.250 copie Abbonamento annuale (valido solo per gli iscritti agli Ordini) € 3,00 In copertina: foto di Riccardo Bucci, Milano, 2002. Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL .

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Sommario

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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 w w w.consultalombardia.archiw orld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidenti: Daniela Volpi, Giuseppe Rossi, Ferruccio Favaron; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 18.3.03) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 2.10.02) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Angelo Monti; Segretario: Marco Francesco Silva; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Franco Andreu, Renato Conti, Gianfredo Mazzotta, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 30.6.04) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 1.8.03) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 15.2.03) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi, Giuseppe Rossi (Termine del mandato: 10.7.03) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guernieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 25.5.03) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Giulio Barazzetta, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 30.6.04) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Quintino G. Cerutti; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Maura Lenti, Paolo Marchesi, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 2.10.03) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 19.2.03) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 3.7.03)


Maurizio Carones

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Editoriale

Il Forum di questo numero e il fascicolo che raccoglie gli Atti del Convegno promosso dalla Consulta e dall’INU, tenutosi a Milano lo scorso 18 marzo, possono costituire un utile contributo per riconsiderare quelle discussioni che in questi ultimi mesi si sono tenute sul tema delle “ periferie” . Discussioni suscitate da occasioni di cronaca e non di rado caratterizzate da un dipanarsi di luoghi comuni che poco hanno a che vedere con la vicenda della costruzione della città moderna e contemporanea, considerata da un punto di vista seriamente architettonico. La partecipazione degli architetti a questo genere di dibattiti è infatti solitamente nel ruolo di corresponsabili della costruzione di una città “ sbagliata” oppure di grandi demiurghi chiamati a risolvere i gravissimi problemi creati da altri. A quella città sbagliata vengono quindi opposte le rassicuranti immagini della città storica oppure quelle di una un po’ vaga “ città-giardino” , per la verità molto vicina ai fondali delle scenografie di alcuni film o all’iconografia caratteristica della comunicazione commerciale. Attribuire tali responsabilità all’architettura è come se si contestassero alla filosofia o alla letteratura o alla pittura alcune caratteristiche della società contemporanea: la società è invece il risultato di un’opera collettiva. Il nostro compito di architetti può essere quindi quello di spiegare come la città contemporanea, il suo stesso “ centro” , così come le “ periferie” e la “ città diffusa” , siano in stretta relazione con i caratteri della nostra società, dei nostri modi di concepire lo sviluppo, propri di una modernità, alla quale l’architettura ha dato un alto e determinante contributo, anche di natura severamente critica. E come i problemi sociali ed urbani non si risolvano solamente proponendo di demolire quel determinato quartiere sperimentale o, in generale, additando le periferie “ degradate” come il problema della città, oppure organizzando colpi di teatro per ottenere facili consensi. Lo studio dell’architettura e della città devono essere invece lo strumento costantemente utilizzato dagli amministratori per poter riconoscere, attraverso precise tecniche disciplinari, le forme della città contemporanea, la quale, lo si voglia o no, è un’unica grande “ periferia” . Rivendicare la competenza disciplinare dell’urbanistica, degli studi di storia urbana e dell’architettura in ogni dibattito sulla città e sul territorio è quello che pazientemente si deve fare, attraverso la serietà di studi specifici sulla questione “ periferie” e, più in generale, sulla città contemporanea. Serietà a volte riconosciuta da ambiti contigui, ma non sempre dagli stessi architetti che potrebbero, con più forza, riferirsi alla grande tradizione di studi urbani italiani, riconosciuta in tutto il mondo e così poco praticata nel nostro Paese. In questo senso le autorevoli voci degli interventi che presentiamo e le esemplificazioni offerte dai contributi degli Ordini – che evidenziano come il tema della periferia consenta differenti interpretazioni a seconda dei contesti territoriali in cui viene declinato – affermano con chiarezza una via disciplinare, fatta di studi e ricerche, di piani e progetti e indicano come, accanto alle discussioni occasionali e divulgative, ci sia un modo di trattare la questione della città contemporanea con un approccio disciplinare e competente.


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Il Forum di questo numero, alla cui realizzazione ha collaborato Giulio Barazzetta, è composto dagli interventi di Alessandro Balducci, direttore del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano, Stefano Boeri, professore ordinario di Urbanistica presso lo IUAV di Venezia e direttore di “ Domus” , Giancarlo Motta, professore ordinario di Composizione architettonica e urbana presso il Politecnico di Torino, Marco Romano, professore ordinario di Estetica della città presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Genova. Ringraziamo gli intervenuti per i loro contributi.

urbana contemporanea. Una città diffusa o infinita, cresciuta sull’estensione diseguale delle diverse periferie congiunte lungo le aste dei tracciati. Una metropoli nutrita certamente dal tessuto policentrico delle città lombarde e coincidente con il territorio del gaddiano ducato, ma incognita e vasta come un nuovo continente da esplorare attentamente e rappresentare con cura per poter dar luogo agli spazi di una città nuova ancora da inventare con il nostro lavoro.

Riqualificare le periferie di Alessandro Balducci Lo scorso agosto, le prime pagine dei giornali sono state

La periferia come forma della città attuale occupate per alcuni giorni dalla tragedia di Rozzano. Si di Giulio Barazzetta Abbiamo chiesto ad alcuni architetti, studiosi della città, di esprimere in questo forum sinteticamente il proprio punto di vista sulla questione della periferia. Ne risulta una definizione basata sui due campi di osservazione della sua forma fisica e del suo corpo sociale. Gli studi sulla periferia condotti in questi anni da questi due punti di vista si sono intrecciati e danno ora spesso nuove visioni per considerare il fenomeno e per poter comprendere come operare nella città del nostro tempo. Ma occorre dire innanzi tutto che essi sono accomunati dal fatto di essersi fondati sulla osservazione di questa città, per come si è venuta a configurare, come campo di studio e non come oggetto da omettere. Per parte nostra pensiamo che ci si debba chiedere come e in che modo la periferia sia forma della città attuale, piuttosto che attardarsi nel negare la trasformazione della edificazione del territorio lombardo. Domandandosi anche se sia mai esistita una forma definitiva della città, in cui centro e periferia fossero collocati in una loro dimensione fissata, formalmente conclusa. Che cosa sia davvero questa sorta di proteiforme fraintendimento, che nel nostro caso concreto è la metropoli in cui si muovono ogni giorno, per necessità o voglia di divertirsi, abitanti di molte città. Quattro o sette milioni di individui, a seconda della definizione geografica che se ne dà. Quelli dei comuni della cintura, quelli della cosiddetta area metropolitana o della città-regione. Una città: “ Milano” che è la conurbazione del territorio lombardo, molteplice ed estesa a insediamenti lontani ma compresi nel ragionevole tempo di percorrenza sulle reti infrastrutturali fra le sue parti e quello che viene inteso come suo centro geografico. Che cosa siano, come siano conformati, brani di territorio urbano e di spazi aperti. Parti di città in cui abbiamo stentato a riconoscere una nuova forma nella banalità

è improvvisamente aperta una finestra sulla realtà delle periferie urbane. Come sempre avviene, sotto la spinta delle emozioni, si sono operate drastiche semplificazioni, la più discutibile delle quali è ridurre l’intera questione ad un problema di ordine pubblico: più polizia, più controllo del territorio per contrastare una criminalità sempre più diffusa. Questa strada è non solo difficilmente praticabile in modo generalizzato, ma anche tremenda per il modello di convivenza che prefigura: una città che deve difendersi da se stessa, nella quale i meccanismi di costruzione della coesione sociale sono sempre più deboli e vengono sostituiti da sistemi di polizia. Altre semplificazioni, altrettanto drastiche, sono quelle che invocano la demolizione dei quartieri o di parte di essi. Si dimentica in questo caso un aspetto importante del problema: per quanto difficili siano i quartieri pubblici, essi rappresentano l’unica risposta al bisogno di casa espresso da popolazioni a reddito basso che vengono espulse da un mercato quasi esclusivamente rivolto alla vendita ed a prezzi proibitivi per molte famiglie. I quartieri pubblici inoltre sono tutt’altro che mere concentrazioni di problemi: ci sono anche risorse e capacità che debbono e possono essere scoperte e valorizzate. Cosa si può fare allora? In primo luogo occorre capire che i problemi principali riguardano alcuni insediamenti costruiti con una logica puramente quantitativa e con una certa disattenzione agli uomini ed alle donne che sarebbero andati ad abitarci. Ciò è avvenuto in una fase, quella degli anni ’50 e ’60, in cui la città cresceva al ritmo di svariate decine di migliaia di nuovi abitanti l’anno. Il solo Comune di Milano è passato da 1.274.000 abitanti nel 1951 a 1.732.000 abitanti nel 1971. Alla quantità si è subordinato tutto. E c’è qui anche una responsabilità della cultura architettonica che non ha saputo resistere alla possibilità di costruire secondo geometrie astratte insediamenti che, se avevano una qualità, questa era al più percepibile sulle carte o dall’aereo. I quartieri pubblici sono stati occupati simultaneamente


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da una popolazione giovane con molti figli. Hanno avuto impianti rigidamente monofunzionali (solo case, nessuna delle attività complesse che fa di un gruppo di edifici una città), lontani dai centri per pagare poco i terreni, hanno mostrato da subito difficoltà di gestione. Negli anni la situazione è solo peggiorata: la popolazione è invecchiata tutta assieme mettendo in crisi il sistema dei servizi; non si sono costruite più case popolari ad un prezzo accessibile e le uniche case disponibili sono diventate quelle che si liberavano via via nei quartieri esistenti, con un’enorme sproporzione rispetto alla domanda. A fronte dei circa 1000 alloggi di risulta che vengono riassegnati ogni anno a Milano, ci sono 17.000 domande inevase di aventi diritto dai vecchi bandi e oltre 12.500 nuove domande presentate nel bando del 2001. In secondo luogo occorre muoversi sul terreno culturale e su quello pratico in varie direzioni. È necessario superare l’idea che la riqualificazione sia essenzialmente un’operazione sugli edifici e lavorare, invece, sugli e con gli abitanti con interventi sociali, di ricostituzione o di rafforzamento di un tessuto di relazioni comunitarie che non faccia vivere questi quartieri come dei territori abbandonati. Occorre intervenire, come ci hanno insegnato altri paesi e la stessa Unione Europea, con progetti di riqualificazione che affrontino gli aspetti strettamente architettonici e urbanistici assieme a quelli di assistenza alle famiglie, alle situazioni di difficoltà, di

accompagnamento sociale, per ricostruire fiducia. Ci sono programmi come Urban, Urban Italia, Contratti di Quartiere, che hanno indicato la strada, ora occorre renderla stabile e consistente. Un ulteriore terreno di intervento è quello gestionale, del controllo dell’abusivismo, dell’organizzazione della pulizia e della manutenzione. Occorre trovare soluzioni che consentano all’Aler di Milano di articolarsi meglio territorialmente, costruendo strutture più vicine agli abitanti. L’Aler di Milano gestisce oltre 90.000 alloggi. La seconda Aler della Lombardia per dimensione è quella di Brescia che gestisce 8.600 alloggi e la terza è quella di Bergamo con 6.500, entrambe queste ultime funzionano piuttosto bene. Infine, è necessario rilanciare una politica di edilizia sociale che dia sfogo alla domanda di case in affitto accessibili, altrimenti nei quartieri Aler continueranno a concentrarsi tutte le situazioni problematiche: ultra-anziani, abusivi, malati psichici, situazioni di disagio multiplo, perché sono gli unici che legalmente o illegalmente riescono ad entrare. È solo in questo contesto e in questo quadro che possiamo tornare ad occuparci di architettura e di urbanistica, questa volta però stando bene attenti a guardare gli edifici, gli spazi pubblici e le abitazioni dal punto di vista degli abitanti che le debbono vivere più che da quello delle nostre proiezioni disciplinari. Non possiamo sbagliare un’altra volta.


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Le fotografie pubblicate fanno parte di un servizio fotografico realizzato da Riccardo Bucci nell’autunno del 2002 in occasione del concorso indetto dalla Provincia di Milano che riguardava alcuni comuni limitrofi della Città di Milano (Cesano Boscone, Corsico, Buccinasco, Assago, Rozzano e Opera). Una parte del lavoro è stata selezionata ed esposta presso la sede dell’Urban Center di Milano in occasione della mostra La Provincia di Milano ed il suo territorio, giugno 2003.


di Stefano Boeri Periferia milanese. Una piazza. Quattro facciate di residenze popolari. Un porticato di saracinesche arrugginite sotto cui si fronteggiano una vecchia sede dell’ARCI e un bar frequentato da immigrati. Al centro, uno spazio sterrato e un campo giochi in abbandono. Ovunque motorini, panchine scrostate, graffiti. Sguardi incrociati. Pensionati, carrozzine, pusher, caporali in cerca di manodopera a basso costo, poliziotti. E tre amici ventenni. Uno spacciatore; il figlio di un ex sindacalista impiegato in lavori saltuari e la figlia del leader che chiede di recintare il piccolo lembo di spazio. Fame chimica, il film di Paolo Vari e Antonio Bocola che esce presentato in questi giorni nei cinema di Milano, ha il merito di entrare nell’anima – e non solo nel corpo – di un luogo della periferia milanese. Di veder scorrere la vita quotidiana negli occhi di tre giovani: il bisogno di lavoro e di soldi, le richieste dei genitori, le rivalità tra gang, i ricordi della scuola, la droga, le incursioni in discoteca. Ma anche improvvise passioni, musiche condivise, progetti di viaggi... Nel film, la piazza, con le sue miserie, resta un luogo davvero pubblico, collettivo, che accoglie a intermittenza popolazioni diverse; un luogo “ centrale” , dove tutto ritorna e si rielabora: nei gruppetti che si guardano in cagnesco, tra il fumo delle “ canne” , le petizioni e le chiacchiere davanti al bar. A Rozzano, dove pochi mesi fa la vendetta ad uno sgarbo è costata la vita a quattro persone, ci sono piazze simili a quella di “ Fame chimica” ; altre ne esistono a Quarto Oggiaro, alla Barona, alla Comasina; al Laurentino di Roma, o a Secondigliano, nella periferia napoletana. Quello che vi succede, ogni giorno, non ha certo la potenza per sfondare la distrazione dei media, ma meriterebbe di essere osservato con cura; anche per evitare di lasciare alla sola cronaca nera il compito di raccontare la vita di questi pezzi di città. Attorno ad un luogo urbano – anche il più derelitto – si intrecciano infatti traiettorie di vita che nessun evento di cronaca, nemmeno il più drammatico, può pretendere di riassumere. Gli eventi di cronaca non sono mai delle semplici didascalie del luogo che li ospita; non aderiscono al loro calco fisico. Non lo rappresentano. Sono semmai delle “ chiavi” preziose per entrare nella complessità di un mondo vitale. Ma per far questo bisogna saper scostare la “ schiuma” dell’eccezione, dell’emozione e guardare da vicino, con attenzione, sia le vite ordinarie di protagonisti che quelle “ non illustri” dei loro comprimari; proprio come faceva, anche su queste pagine, Giuseppe Pontiggia. Il delitto di Rozzano è stato invece lasciato solo: isolato dalle dinamiche che lo hanno preparato, è stato appic-

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Periferia milanese *


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cicato come una decalcomania ad un pezzo di quartiere. È diventato un “ logo” astratto, un catalizzatore di verità banali: la periferia-ghetto, i casermoni dormitorio, i servizi assenti, i piccoli crimini tollerati dalla polizia... E così, in questi giorni si è parlato di “ periferie abbandonate” a proposito di quartieri nati troppo lontano dal cuore della città, dimenticandosi che a Milano vi sono oggi periferie centralissime e ben più degradate di Rozzano, come le nicchie di povertà sorte a fianco degli snodi tra le circonvallazioni e i grandi viali radiali. O le favelas e i microinsediamenti – si pensi al caso di via Adda – dove vivono in condizioni di mera sopravvivenza quasi 500 persone (secondo il NAGA), per lo più di recente immigrazione, in maggioranza dotati sia di un permesso di soggiorno che di un lavoro. Si è discusso di “ quello che a Rozzano manca” , senza riconoscere gli sforzi compiuti dalla giunta comunale; senza capire che il centro di Milano è un nodo di attività e di simboli che è del tutto velleitario pensare di esportare o “ decentrare” . Dimenticando che, se c’è una cifra del vivere metropolitano dei giovani, è proprio quella del muoversi, del portare il proprio corpo dove le cose già stanno, senza pretendere di averle a pochi metri da casa. La retorica del “ delitto in periferia” ha addirittura messo in secondo piano alcuni caratteri precipui del luogo della

tragedia, come la fortissima omogeneità socio-culturale che caratterizza i suoi abitanti. Casermoni rimasti sotto il controllo delle solide reti parentali nate con l’immigrazione degli anni ’60 e ’70. Strade e ballatoi restati impermeabili agli altri stili di vita che hanno invece contaminato nell’ultimo decennio molte zone dell’edilizia economica milanese, dove convivono giovani coppie in fuga dai costi impossibili del centro, immigrati extracomunitari, piccoli nuclei di tradizione contadina. Ad essere “ periferici” sono infatti oggi soprattutto i luoghi dell’omologazione, quelli dove ci si conosce e ci si assomiglia, dove si vive in una sorta di incestuosa “ cattività” , culturale o etnica. Quando invece divengono luoghi misti e polivalenti, le grandi macchine dell’abitare cambiano natura. Restano spazi difficili, dove però il conflitto tra stili di vita diversi, il controllo reciproco, pur generando traumi e rischi, aiutano a volte a creare delle relazioni comunitarie; reti di vicinato, magari contrapposte, che agiscono però da antidoto alla follia solitaria. Invece che predicarne la demolizione (come sembrano suggerire alcuni urbanisti “ pentiti” ), bisognerebbe abolire le norme che vietano in questi blocchi rigidi la commistione di attività e incentivarvi la coabitazione di popolazioni diverse. Trasformare questi “ dinosauri di cemento” in laboratori di convivenza.


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Ma tutto questo richiederebbe un grande coraggio e una conoscenza diretta, precisa dei luoghi. Richiederebbe soprattutto di usare la cronaca come indizio per capire la verità locale; non come una sua comoda spiegazione.

* una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su “ Il Sole 24 Ore Domenica”

Il territorio della periferia di Giancarlo Motta “M ilano è oggi la periferia” Come sempre cerco di fare in queste circostanze, preferisco attenermi ai risultati degli studi da me condotti con altri studiosi e collaboratori, piuttosto che proporre un mio punto di vista di natura generale. Che Milano e in generale le grandi città siano oggi identificabili con la periferia piuttosto che con i loro antichi centri è stata, oltre che una intuizione iniziale, anche la conclusione solo apparentemente paradossale di questi studi. Il venir meno di quelli che della struttura della città sono ritenuti i pilastri fondamentali (la presenza di tipi edilizi

chiaramente definiti e ricorrenti, il rapporto tra questi e la forma della città, l’emergenza dei monumenti dal tessuto urbano, lo sviluppo della città per aggregazione di parti formalmente compiute anche se tra loro differenti) era, circa trent’anni fa e lo è tuttora, uno dei motivi per cui gravava sulle periferie un giudizio sostanzialmente negativo; da parte degli architetti venivano essenzialmente proposte ricette o progetti di modifica, di “ sostituzione” o di “ riqualificazione” , ma non veri e propri studi (cosa che non credo che sia a tutt’oggi, anche nei nuovi e più estesi campi di osservazione, sostanzialmente cambiata). Per noi lo studio iniziava necessariamente applicando i criteri di indagine e i metodi operativi che erano stai messi a punto dagli studi di analisi urbana, ed era naturale che in un primo tempo si mettessero in evidenza le differenze e gli elementi di rottura che separano queste nuove parti della città da quelle della città più antica. Ponendo in primo piano la questione dell’origine urbana, architettonica e formale delle periferie, si mise in atto un’attitudine positiva capace di aprire a nuovi campi di osservazione ricerche capaci di trarre da esse nuovi principi compositivi e importanti indicazioni per il progetto. Anche nella periferia, non diversamente che nelle parti antiche della città, lo studio si configurava come un modo di ap-


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prendere, come un tipo di formazione: un’educazione realista all’architettura. Questo ci ha consentito di parlare di una “ bellezza della periferia” , non in riferimento ad alcuni diversi canoni estetici e nemmeno come slogan provocatorio costruito sulla base di suggestioni letterarie o figurative, ma per gli straordinari percorsi di ricerca che si rendevano disponibili in questo mondo così universalmente trascurato e vilipeso. Il giudizio si riferiva al fatto che, penetrando all’interno della struttura della periferia e indagando in profondità i caratteri della sua architettura, risultava evidente la possibilità di trarre fondamentali indicazioni sulla città contemporanea e sulle modalità da seguire nella sua trasformazione, persino là dove era in gioco la ricostruzione di centri storici. “ Milano è oggi la periferia” non voleva essere dunque una semplice frase ad effetto, ma il riconoscimento dell’importanza che queste zone fino ad allora escluse dallo studio e dalla valutazione positiva dovevano avere rispetto ai destini dell’intera città. Idee di città e città contemporanea Ciò che sostanzialmente risultava essere messo in crisi nelle formazioni della periferia era il concetto stesso di “ idea di città” . Vista dalla parte della periferia, questa appariva e appare sempre di più come una nozione che, se ha certamente

segnato la storia degli insediamenti del mondo occidentale, non può certamente essere vista come qualcosa di assolutamente necessario e di imprescindibile. Non solo perché nella periferia si intrecciano e si sovrappongono, anche se in modi sempre frammentari, le più diverse idee di forma urbana, ma soprattutto perché l’insieme degli insediamenti non sembrano più essere necessariamente ascrivibili a un’idea unitaria, conclusa e alternativa come è stata quella della città storica nei confronti del territorio ad essa circostante. Ciò che si andava scoprendo era, ad esempio, che l’intreccio tra attività produttive e residenza metteva in atto una straordinaria sperimentazione formale, che la maglia degli isolati non era il presupposto dell’uniformità urbana bensì una sorta di casellario che catalogava un articolato sistema di differenze, che, infine, il tipo edilizio subiva nuove ed impreviste deformazioni nella sovrapposizione dei corpi di fabbrica, nel differenziarsi del suolo costruito della città, sino a diventare elemento dotato di una forte autonomia rispetto ai caratteri dell’edificato nel suo insieme. Pezzi di edifici, le “ parti separate della casa” , si misurano con la costruzione urbana indicando modalità impreviste ma estremamente significative nel modo di incidere nel rapporto tra architettura e piano.


La territorializzazione della città Il recente interesse diffuso per la dispersione degli insediamenti, pur occupandosi delle nuove estese forme delle attuali periferie, ha lo stesso carattere urbanocentrico che avevano anche le prime proposte sui rimedi da apportare alle periferie storiche: ritrovare centri di aggregazione paragonabili alle piazze storiche, ricostruire, pur nelle mutate dimensioni, il valore delle strade, riconoscere nuove monumentalità, o addirittura individuare maglie urbane o tracciare limiti, il tutto al fine di riproporre e ricostruire ciò che della città antica viene riconosciuto come valore permanente e assoluto. Ciò che caratterizza il nostro lavoro a questo proposito è l’ipotesi che il venir meno della città chiusa e la sua conseguente dispersione nel territorio siano da studiare proprio in relazione alle strutture geografiche del territorio in cui la dispersione degli insediamenti si attua: i fiumi, i laghi, i mari, le colline, le pianure, ecc. La loro particolare e sempre diversa struttura formale rappresenta nel nostro lavoro sulla morfologia degli insediamenti un necessario e fondamentale termine di confronto. Ed è anche per questo motivo che uno studio come quello del Barattieri, che da geografo e da architetto insieme ha costruito quello che è forse il primo trattato sui fiumi Architettura d’acque (1659), ha rappresentato per noi un caso di studio particolarmente importante e significativo. Le diverse caratteristiche formali degli elementi geografici che nel caso del fiume sono i terrazzi fluviali, i conoidi di deiezione, le isole, le zone di confluenza dei corsi d’acqua, le lanche, i rami morti, le isole, e altro ancora, devono essere gli oggetti di uno studio che proceda a un continuo confronto tra ciò che appartiene alla natura dei luoghi e degli elementi geografici e ciò che invece fa parte dell’architettura, applicando una sorta di “ doppio sguardo” . La rappresentazione cartografica viene assunta come quel sistema di rappresentazione che è in grado di cogliere contemporaneamente ciò che appartiene alla natura e ciò che appartiene all’architettura: gli elementi geografici naturali e l’artificialità delle costruzioni. Il che è come dire che le carte tematiche sono lo strumento fondamentale di studio dell’architettura, quando il campo di indagine sia la città dispersa lungo le linee delle strutture territoriali.

Appartenere all’urbs di Marco Romano Intorno al 1050 le case del centro di Milano costavano tre volte tanto quelle della periferia (più o meno come oggi), come Brescia due secoli dopo. Ma perché il centro era più pregiato della periferia? Serlio dà nel Cinquecento una risposta, che “ le abitazioni dei più poveri uomini sono lontani dalla piazze e dalli luoghi nobili ma presso le porte” : dunque sono le piazze e i luoghi nobili a rendere così pregiato il centro della città. Di fatto, alla metà dell’XI secolo i luoghi nobili erano a Milano le due cattedrali, estiva e iemale, e la zecca; ad essi si aggiungeranno col tempo il municipio, la loggia, il teatro, il parco e parecchi altri temi collettivi. Ma perché la prossimità alla cattedrale e alla zecca avrebbe dovuto essere fonte di prestigio? A questa domanda abbiamo già dato una risposta esauriente (1). La nostra struttura sociale di appartenenza primaria è in Europa da mille anni la città – invece che una gens, un clan o una tribù – che è per questo l’ambito nel quale prende forma la nostra identità individuale, quella di cittadino della città, città che viene a sua volta per questo personalizzata come soggetto olistico, attribuendole cioè una personalità e una volontà propria di ordine superiore a quella dei singoli individui che ne fanno parte. I temi collettivi sedimentati nei secoli sono i termini consolidati attraverso i quali i cittadini esprimono la loro nozione territoriale (e non per esempio morale) dell’appartenenza primaria, creando nell’urbs una sfera simbolica che rinvia subito all’esistenza di una civitas, di una comunità olistica. I cittadini delle città europee sono poi tali perché hanno il possesso di una casa. Per l’uomo europeo abitare nella propria casa all’ombra dei temi collettivi cittadini è l’appropriato ambiente ecologico, sicché è ben comprensibile come a sua volta la prossimità della casa ai temi collettivi rispecchi la gerarchia sociale della civitas, più vicini i ricchi e più lontani i poveri, fermo restando che in una società mobile e democratica il miglioramento dello status può sempre rispecchiarsi nel cambiare casa dalla periferia al centro. A questa “ sottotematizzazione” di alcuni quartieri, che registra nell’urbs le disuguaglianze sociali della civitas, i progettisti delle città hanno cercato nei secoli di porre rimedio con vari artifici, ultimo nel corso dell’Ottocento quello di intrecciare le nuove espansioni con strade tematizzate (strade trionfali, passeggiate, boulevard e viali alberati). Le periferie urbane vengono oggi giudicate ormai degradate e abitarci è quasi sempre insoddisfacente. Ma a guardar meglio queste periferie sono poi i quartieri costruiti dopo il 1950, quelli “ moderni” , mentre quelli del secolo precedente, pure anch’essi lontani dal centro an-

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Su questi temi ed altri ancora propri della costruzione della periferia, l’elaborazione di una cartografia tematica diventava sempre più determinante: le carte iniziarono a rivelare la loro natura di fondamentali macchine dove vengono fissati i temi della costruzione del progetto e di controllo della sua qualità. Furono proprio le questioni legate alla rappresentazione cartografica su cui sono venuti sempre più concentrandosi i nostri interessi di studio quando il campo di applicazione inizia a riguardare la città nella prospettiva del suo intorno geografico e quindi del suo territorio.


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tico, non vengono coinvolti in questo giudizio negativo e sono anzi spesso molto ricercati. E non si tratta di un problema derivante dalla crescita improvvisa ed eccessiva delle città, perché i quartieri precedenti appaiono dignitosi e vivibili anche quando sono ai margini di una grande città. I quartieri costruiti quando Milano aveva settecentomila abitanti, negli anni Trenta del secolo scorso, sono tutt’oggi molto dignitosi, mentre i quartieri costruiti negli ultimi cinquant’anni, anche in città di soli centomila abitanti, sono per l’appunto quelle periferie delle quali ci lamentiamo. È dunque un problema che dipende proprio dalla forma fisica “ moderna” di queste periferie, progettate sull’onda delle esperienze artistiche del Novecento che hanno indotto ad eliminare tutte le strade e le piazze tematizzate, e a concentrare i temi collettivi in una zona propria, accanto alle scuole e agli asili, come se il costrutto simbo-

lico sedimentato in Europa da mille anni avesse perso ogni senso. E invece sono proprio le esperienze moderne a rivelarsi tragicamente fallimentari. Le periferie delle grandi città sono cresciute negli ultimi cinquant’anni prive di temi collettivi che ne sottolineassero l’appartenenza all’urbs, quasi fossero quartieri di un’indefinita città moderna aleggiante virtualmente dovunque: occorre dunque tematizzarle ricorrendo a quei temi collettivi che hanno depositato nel tempo una cospicua valenza simbolica (2).

Note 1. M. Romano, L’estetica della città europea, Einaudi, Torino, 1993. 2. M. Romano, Costruire le città, Skira, Milano, 2004.


a cura di Antonio Cortinovis e Alessandro Pellegrini

Nuclei storici e quartieri periferici Il recente dibattito scaturito a seguito dell’approvazione, da parte della Giunta cittadina, del Piano di recupero dei vecchi abitati e la riqualificazione dei quartieri periferici ci offre l’opportunità per una rilettura di questi programmi che hanno comportato un lavoro protrattosi per oltre dieci anni. Quando, nel 1994, il progetto di riqualificazione fu avviato, parallelamente allo studio del nuovo P.R.G., emergeva l’esigenza di effettuare un’analisi attorno ad alcuni aspetti predominanti quali: • lo sviluppo della periferia urbana cresciuta in modo poco significativo, non tanto in termini volumetrici, quanto piuttosto nella qualità architettonica; • la continua richiesta di terreni edificabili che pone in secondo piano le potenzialità offerte dal recupero delle aree dismesse e degli antichi nuclei storici; • il superamento della barriera rappresentata dal nodo ferroviario, che ha determinato un sostanziale isolamento della parte sud della città; • la grande viabilità esterna ed il potenziamento dei trasporti pubblici; • la concentrazione, nel centro cittadino, delle attività legate alla funzione pubblica. Partendo da queste tematiche, lo studio del Piano di recupero dei vecchi abitati e la riqualificazione dei quartieri periferici ha riguardato principalmente le aree periurbane di: Grumellina, Celadina, Valtesse, Grumello del Piano, Colognola e Campagnola. Le analisi condotte hanno approfondito alcuni aspetti fondamentali quali: il costruito consolidato, le modificazioni morfologiche, le mutazioni tipologiche intervenute, le funzioni dei luoghi, le variazioni tecnologiche e la rete dei trasporti. L’indagine ha voluto considerare i quartieri non tanto come elementi del tessuto urbano isolato, bensì come realtà puntiformi da ricondurre all’interno di un più complesso sistema urbano. In effetti, tale sistema riflette la cultura e la realtà sociale in cui siamo inseriti. Si evidenzia da un lato l’aumento (anche se differenziato e selettivo) di ricchezza con la comparsa di un ceto medio benestante, maggioritario nella stratificazione sociale, che mira ad uno stile di vita più elevato, fatto che influenza anche le esigenze riferite alla struttura abitativa e urbana. Ciò pone in luce i fenomeni di disuguaglianza sociale che vedono tra le fasce problematiche della popolazione – oltre ai poveri “ autoctoni” – anche i nuovi immigrati extracomunitari che tendono peraltro a concentrarsi in specifici ambiti della città e dei paesi. Di conseguenza, taluni nuclei storici degradati o non adeguatamente ristrutturati, diventano interessanti per chi non dispone di un reddito sufficiente; inoltre si evidenzia sul tessuto urbano una struttura “ a macchie” che richiama la multietnicità della popolazione e induce a modificare la realtà precedente anche dal punto di vista sociale e culturale. Inoltre, si nota un incremento della flessibilità degli stili di vita, esito della rottura dei vincoli spazio-temporali: le persone tendono ad appartenere al territorio di provenienza, ma anche ad altri contesti connessi allo studio, al lavoro, ai vari interessi e legami, e desiderano collocazioni urbane che consentano loro la massima accessibilità alla pluralità di luoghi in cui si svolge la loro vita. Da qui lo sviluppo della periferia urbana e l’aumento delle edificazioni, specie lungo le vie di comuni-

cazione; ciò porta alla creazione di una struttura urbana nuova definita come “ città lineare” che si dispone lungo le arterie principali di collegamento, creando una continuità tra i nuclei urbani precedenti, ma provocando nel contempo una modifica del senso del territorio. Appare un nuovo “ locale” che non coincide più necessariamente con i confini fisici della famiglia o della comunità di persone presenti in un determinato spazio, bensì è esteso a tutto ciò che un individuo può considerare accessibile. Ma anche in tal modo, il senso di località (cioè l’appartenenza ad una società locale) rimane una componente fondamentale dell’identità dei cittadini. Anche le dinamiche familiari incidono fortemente sul modo di vivere il territorio e sul volto della realtà urbana. La fami-

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Bergamo

Struttura virtuale dei nuclei nella corona urbana di Bergamo (da: “ POLIS” , Idee nella Città, Bergamo, n. 2, novembre 1994).

glia si trasforma evidenziando una drastica riduzione della natalità ed un invecchiamento medio della popolazione, fenomeno che contribuisce all’attrazione di una quota di popolazione immigrata nella funzione sostitutiva di lavori rifiutati e di cure rivolte ai genitori anziani ed ai soggetti non autonomi. In particolare, le famiglie tendono a modificare la loro collocazione abitativa in funzione delle necessità dei figli: quando questi sono piccoli, i genitori preferiscono sobbarcarsi trasferimenti più onerosi pur di garantire ai figli di poter vivere in un contesto (tipico della “ seconda cerchia” intorno alla città) nel quale vi siano abitazioni più ampie, spazi di gioco, di incontro, di apertura nel verde. Quando i figli sono grandi ed autonomi, viene meno la necessità di spazi più ampi e progressivamente cresce il bisogno di essere più vicini ai servizi essenziali ed alle opportunità di cura che spesso sono meglio accessibili nei centri urbani minori piuttosto che nei grossi aggregati. Anche per questi motivi, oltre che per cause economiche, i centri urbani – come il caso di Bergamo – via via perdono densità abitativa, e se le famiglie, le botteghe ed i negozi tendono ad uscire dal centro, essi vengono sostituiti da strutture di servizio che trovano in questo contesto occasioni ed opportunità migliori per la loro attività. La città – con l’eccezione di qualche quartiere che mantiene ancora una forte densità di vita comunitaria – diventa quindi luogo di studio, lavoro e passaggio, ma non di vita. Sul piano del costume, emerge la diffusione di uno stile di vita individualistico, che non sostituisce ma si somma con lo stile tradizionalmente comunitario; ciò comporta un aumento di opportunità e di condotte autonome, ma trascina con sé anche senso di insicurezza, vulnerabilità, timore per il futuro.


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Gli spazi della vita comunitaria – dove si svolgono attività “ sicure” perché si svolgono sotto l’occhio di persone che hanno a cuore la cura del contesto e il controllo della convivenza – sono ridotti anche a causa della enorme mobilità sociale, della trasformazione della popolazione e dell’anonimato della vita quotidiana. Ciò accentua ancor di più il bisogno di sicurezza, ma anche per amministratori e progettisti, la necessità di evitare nel tessuto urbano luoghi degradati, bui, preferendo la strutturazione degli spazi urbani sotto forma di aree e di piazze in luce, dove si svolge la vita e quindi vi è maggiore possibilità di controllo. Tutto ciò ha una notevole influenza sulle dinamiche territoriali; gli elementi culturali e sociali evidenziati portano con sè fattori di instabilità presenti nel quadro urbano cittadino che dovrebbero pertanto essere considerati come altrettanti punti critici, su cui sviluppare un’analisi attenta in grado di cogliere le dinamiche sottostanti e capace di offrire occasioni progettuali per il ridisegno di una nuova forma della città in dialogo con la periferia. Lo studio ha consentito di prendere in esame la vocazione insediativa nei nuclei della corona urbana superando il semplice concetto di espansione periferica con la sua connotazione di emarginazione rispetto al cuore della città. In tal modo è possibile restituire a queste aree di prima periferia (mentre la seconda, per i motivi indicati, appare segnata da dinamiche interessanti di sviluppo e qualificazione) un ruolo attivo di supporto ed interscambio con la città, sottolineandone le potenzialità e con un recupero forte dell’identità specifica di ciascun nucleo. Dario Nicoli Alessandro Pellegrini

Como a cura di Roberta Fasola

Como. Città recente e città antica: riequilibrio della qualità urbana L’assetto urbanistico della città di Como è delineato dal nuovo Piano regolatore Generale che ha posto termine, nel 2001, ad un lungo periodo di ricerca di politiche e di strumenti in grado di essere operativi su fenomeni evolutivi non sempre riconducibili all’ambito urbanistico-edilizio. La revisione degli strumenti precedenti inizia nella seconda metà degli anni ’80 e raggiunge traguardi parziali con gli studi del 1989 e in due versioni di P.R.G. adottate rispettivamente nel 1993 e nel 1998. Lo strumento oggi vigente è, a sua volta, dichiaratamente base per ulteriori perfezionamenti e arricchimenti, in aderenza a rinnovati obiettivi di funzionalità (Piano dei Servizi) e integrazione delle risorse (Programmi Integrati di Intervento). Il quadro individuato, con chiarezza e lucidità metodologica, dall’arch. Gianfranco Caniggia nel 1987 (sostanzialmente ancora valido) definiva l’assetto di Como “ composito” e non organicamente configurato, tanto che asserire, senza incertezza, che “ la sola Città Murata sembra aver mantenuto le specifiche qualità del luogo urbano: il resto, più del 90% del costruito posto a monte e ai lati della città antica, mostra aspetti discontinui da “ grande periferia” , resa episodica a causa del sommarsi, con scarsa integrazione, dei piani di espansione settoriali dell’anteguerra, dei “ piani di vincoli” degli anni Sessanta, dei “ piani dei servizi” degli anni Settanta, in assenza di una configurazione complessiva dell’insieme urbano e delle molteplici modularità organiche che lo strutturano” . Si ricorda, per una più efficace comprensione, che la città murata occupa un rettangolo di 500 m per 700 m, rispetto ad una estensione complessiva del territorio di circa 3.712 mq, di cui più di un terzo edificato. Le condizioni orografiche del territorio comasco hanno inoltre determinato differenziazione di ruolo tra convalle e quartieri esterni alla dorsale collinosa che delimita l’insediamento storicamente consolidatosi in prossimità del lago. La convalle accoglie, oltre il centro storico urbano, anche l’espansione determinata dalla prima industrializzazione di fine Ottocento, proseguita fino alla soglia degli anni ’70 quando si manifestarono le prime consistenti dismissioni o i trasferimenti delle attività seriche nelle aree esterne alla convalle e nei comuni limitrofi al capoluogo. Accanto alle attività industriali la convalle è stata progressivamente occupata da residenze, prima quelle destinate ai ceti operai, poi alla totalità della popolazione; gli altri indici di densità raggiunti negli anni ’50 e ’60 hanno reso difficoltoso il reperimento di una pur minima dotazione di standard, messa in atto a partire dagli anni ’60, mediante il vincolo di parte delle aree industriali dismesse. La funzione residenziale continua ad essere il principale esito delle iniziative di ristrutturazione urbanistica in convalle, con pericolo di appiattimento della fisionomia della città in ruoli subalterni nel contesto di una più vivace attrazione esercitata dagli altri centri dell’area pedemontana (oltre che dalla città metropolitana di Milano). I cosiddetti “ quartieri esterni” rappresentano infatti i margini settentrionali di quella diffusa urbanizzazione cha ha occupato (pur con qualche significativo vuoto di naturalità agricola e boschiva) l’intero territorio a nord del capoluogo regionale. I “ quartieri” di Como sono tutti caratterizzati dalla preesistenza di centri storici sub-urbani, configurati in comuni autonomi fino alla soglia di fine Ottocento (Camerlata e Mon-


conoscibili in altre parti della città. In proposito, nella seconda metà degli anni ’90, sono stati avviati, da parte dell’ALER, tentativi di ristrutturazione edilizia e frammentazione distributiva, accompagnati anche da azioni di prevenzione e sostegno sociale alle varie categorie di abitanti (bambini e ragazzi), al fine di ottenere un riequilibrio qualitativo del quartiere, teatro, attualmente, di ulteriori insediamenti sia di tipo residenziale che commerciale, in sostituzione di impianti produttivi da tempo dismessi. Luigia Martinelli già Dirigente del Comune di Como

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teolimpino); altri comuni vennero ammessi al capoluogo negli anni ’30 e ’40 (Rebbio, Breccia, Albate, Civiglio, Camnago Volta); di questi alcuni mantengono ancora caratteri di autonomia sottolineati dalla sopravvivenza di manifestazioni tradizionali; altri quartieri, per l’ampiezza dei terreni pianeggianti disponibili, sono stati interessati da consistenti operazioni industriali e dalla localizzazione di Piani di Edilizia residenziale. A Como il fenomeno di crescita della popolazione è stato particolarmente significativo tra gli anni ’50 e ’70 (da 70.000 abitanti a quasi 100.000); è seguito un declino costante, rallentato solo negli ultimi anni, che ha portato la popolazione a circa 80.000 attuali. La risposta urbanistica-edilizia si manifesta, negli anni di crescita, con nuovi insediamenti presso i quartieri esterni, creando agglomerati costituiti da palazzine (INA Casa, Gescal, IACP, Comune). Le residenze, nell’urgenza posta dalla domanda di case, precedono la dotazione di servizi (scuole, chiese, centri civici, aree attrezzate) che verranno realizzati quasi contemporaneamente tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’80, cominciando dalle strutture scolastiche dell’obbligo e per l’infanzia. Nelle zone collinari, ai quartieri di residenza popolari, si aggiungono, successivamente, gli insediamenti di edilizia convenzionata e privata, che beneficiano dei servizi già realizzati e annullano l’isolamento iniziale dei primi insediamenti e determinano un continuo edificato di media e bassa densità. La frammentazione nel tempo delle iniziative, prive di un ampio disegno territoriale, produce, nonostante la dotazione quantitativamente adeguata dei servizi, gli effetti di marginalità funzionale dei settori esterni, evidenziati anche dal Piano Regolatore. Tra gli obiettivi del Piano è stato assunto quello di “ perseguire una centralità diffusa attraverso il riconoscimento della specificità insediativa e tipologica dei nuclei di antico impianto, evitando l’omologazione del tessuto storico con quello di recente e nuova formazione, cercando di favorire l’accessibilità ai singoli componenti e rileggendone il disegno” . La progettualità urbanistica si applicherà alle potenzialità di trasformazione individuale del Piano e sarà indirizzata al recupero dell’assetto insediativo raggiunto, valorizzando il quadro di relazioni e le gerarchie in atto; il Piano è infatti definito di “ incremento qualitativo e di mutazioni quantitative di settore” attraverso la selezione delle polarità urbane in fieri e le prospettive dello scenario infrastrutturale della mobilità. Una osservazione a parte richiede la situazione del quartiere esterno di Rebbio, già indicata nel 1937 come una delle più vaste aree da destinare all’espansione industriale e residenziale della città; l’apporto di Giuseppe Terragni nel gruppo C.M.8, vincitore del concorso per il progetto di massima del Piano Regolatore (1933-34), viene sviluppata nel 1938 nella progettazione con Alberto Sartoris di un Quartiere Satellite. Il progetto (non realizzato) e commissionato dall’Istituto Autonomo Case Popolari, prevedeva un insediamento operaio, ripartito in edifici di differente tipologia, dotata di centro comunitario e di impianti sportivi, servito da una rete stradale opportunamente derivata e filtrata rispetto le direttrici di transito adiacenti (per Milano e Varese). Il progetto venne divulgato all’epoca come un esempio auspicabile di decentramento residenziale, rispetto la deprecabile commistione di industrie e residenze. Il quartiere di residenza popolare sorto nella medesima area non ne ha riprodotto, purtroppo, alcun elemento compositivo e funzionale; in particolare l’asse principale della viabilità in diretta connessione con il traffico delle direttrici esterne, ha compromesso la vivibilità delle residenze e degli spazi pubblici adiacenti; inoltre la scelta di riunire un consistente numero di unità abitative in un solo grande edificio lineare, ha prodotto fenomeni di segregazione e degrado sociale non ri-

Alberto Sartoris, Giuseppe Terragni, progetto del quartiere di Rebbio, 1938. Planimetria e veduta prospettica.


Lecco a cura di Maria Elisabetta Ripamonti

Periferie della Provincia di Lecco

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Le aree marginali rispetto al centro storico nelle grandi città sono spesso divenute emarginate, contraddistinte da un’immagine poco gratificante e con una pessima qualità edificatoria; si sono, insomma, trasformate in periferia con tutto ciò che di negativo il termine connota. Nella Provincia di Lecco, al contrario, queste aree esterne alla città sono per lo più contraddistinte da spazi verdi e da angoli di grande valenza paesaggistica, aree scelte proprio perché distanti da traffico ed inquinamento acustico e visivo. La periferia di Lecco non è costituita da sacche d’emarginazione e di degrado, ma dallo sviluppo di tessuti diversi con caratteristiche di nuove centralità venutesi a creare lontane dal centro della città. Ciò non significa che la Provincia di Lecco sia “ un’isola felice” avulsa da ogni problema di disordine: molte sono ancora le aree produttive dismesse, le strutture ferroviarie non più utilizzate, gli angoli bui, i luoghi sporchi, dimenticati. Periferie sono luoghi in cui non si è verifica una trasformazione positiva, dove non ci sono state novità e cambiamenti; esistono periferie nei centri fisici se non c’è trasformazione, se non c’è progetto. È accaduto anche a Lecco: abbiamo assistito in questi anni allo svuotamento del centro storico a favore delle nuove centralità costituite dai centri commerciali. Se progetto è sinonimo di cambiamento, di sperimentazione, di un modello nuovo, perché non pensiamo di cambiare i nuovi centri di aggregazione convogliandoli verso una formidabile risorsa della Provincia di Lecco: la sua ricchezza paesaggisticoambientale? Non siamo più in una fase espansiva urbana ma di riqualificazione, e risolvere il problema periferia significa riorganizzarla funzionalmente, grazie ad un ordine fisico degli spazi, ricercando qualità delle infrastrutture, dell’assetto urbano, del manufatto edilizio. Ma, soprattutto, occorre l’individuazione di una nuova identità che per Lecco e la sua provincia potrebbe essere proprio la rivalutazione del proprio territorio, così ricco dal punto di vista paesaggistico. Risolvere il problema periferia per noi significa individuare nuovi punti di aggregazione che potrebbero essere legati a circuiti paesistico-culturali della provincia. Se la reversibilità del degrado periferico avviene attraverso la rivitalizzazione del paesaggio, desidero presentare in questa sede un’interessante iniziativa che, nella nostra provincia, si è mossa nella direzione della valorizzazione e nella pianificazione del territorio, partendo proprio dalla sua analisi e conoscenza grazie allo studio della Cartografia Tematica della Pianificazione degli enti sovracomunali. Carmen Carabùs, responsabile dell’iniziativa, in questa sede ce ne illustrata gli obiettivi. Ho ritenuto interessante affrontare il tema delle possibili soluzioni del problema delle periferie tramite la rivalutazione dell’ambito paesaggistico-ambientale insieme all’assessore al Territorio e Trasporti della Provincia di Lecco Pierfranco Mastalli, il quale, da attento conoscitore del nostro territorio, ha illustrato le soluzioni offerte dalla strumentazione urbanistica. Infine, l’ingegner Pietro Francesco Canali, dirigente al settore Patrimonio e Demanio della provincia di Lecco, fornisce una panoramica sulla situazione riferita all’edilizia pubblica nella periferia di Lecco e provincia. Ringrazio l’Architetto Carmen Carabùs e l’Assessore al Territorio e Trasporti della Provincia di Lecco, Pierfranco Mastalli, per la loro collaborazione. M. E. R.

La conoscenza di un territorio La Provincia di Lecco non ha periferie nel termine comunemente usato; il rapporto fra spazi antropizzati e naturali ha mantenuto nel tempo un equilibrio che non ha permesso, ad eccezione di casi isolati, lo sviluppo di una crescita disordinata. L’equilibrio è andato scemando nel secondo dopoguerra a causa della crescita economica, dell’aumento dell’immigrazione, della crescita demografica che hanno determinato un uso del suolo inappropriato trovando spesso istituzioni poco preparate ad una pianificazione del territorio a lungo termine. Periferia, sono diventati, invece, nella nostra provincia, i luoghi dimenticati all’interno delle stesse aree urbane, i corridoi ferroviari, le aree attraversate da sovrastrutture stradali e quelle rimaste senza destinazione d’uso. Aree che non dipendono direttamente dalle amministrazioni comunali ma da enti sopra-regionali che ne rendono più complessa qualsiasi modalità d’intervento. La legislazione, nel tentativo di frenare una crescita disordinata, non ha mai smesso di predisporre norme che intendono salvaguardare il territorio costituendo aree parco, comunità montane, fasce di rispetto, vincoli paesistici, piani regolatori ed infine il recente Piano Territoriale Provinciale. La conoscenza e l’analisi del nostro territorio rappresentano, infatti, un primo passo essenziale verso la sua pianificazione in quanto permette la visualizzazione grafica convenzionale del territorio. L’Ordine Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Lecco, l’Ordine Ingegneri della Provincia di Lecco, l’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali di Como, Lecco e Sondrio, l’Ordine dei Geologi della Regione Lombardia, il Collegio dei Geometri della Provincia di Lecco con il patrocinio dell’Associazione Libere Professioni di Lecco si sono riuniti in un’iniziativa che ha come obiettivo il coinvolgimento degli iscritti e l’aggiornamento professionale degli stessi, con approfondimenti culturali e di conoscenza del Territorio attraverso la lettura della cartografia tematica della Pianificazione degli enti sovracomunali riferita soprattutto ai Piani Territoriali sovracomunali dei Parchi e delle Comunità Montane di questa Provincia. Se per capire il significato di una pianificazione destinata alla realizzazione dei progetti di carattere ambientale, di recupero del patrimonio culturale e di salvaguardia del territorio occorre prima conoscere, quest’iniziativa si è mossa proprio dall’analisi e dalla conoscenza del nostro territorio, consapevoli dell’importanza di questa nostra risorsa. I funzionari della Regione Lombardia e della Provincia di Lecco hanno inizialmente illustrato le loro linee guida di pianificazione territoriale, quindi abbiamo visitato i vari parchi colloquiando e confrontandoci con i vari Enti preposti alla salvaguardia di detti parchi. L’attenzione per l’ambiente, la salvaguardia per l’habitat naturale, la flora e la fauna, la presenza costante dell’attività dell’uomo, è quanto è emerso dalle nostre visite. Sono stati oggetto d’analisi Il Parco Adda Nord con il suo percorso fluviale, la pianificazione delle riserve naturali a Brivio, con la memoria storica degli interventi di Leonardo, il parco del Monte Barro, la cui salvaguardia si manifesta anche con la realizzazione del Museo Etnografico che custodisce una memoria rurale oggi scomparsa. Dal Parco naturale della Valle del Lambro si è venuti a conoscenza del progetto Life Natura con interventi sul lago di Alserio (Co) e una percorribilità ciclabile per i suoi quaranta chilometri di lunghezza. I relatori del Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone hanno illustrato il progetto Life Natura: le Sorgenti Pietrificate, Prati Magri, Boschi Umidi che completano le diverse iniziative oltre alla manutenzione e il recupero di aree dismesse. Gli incontri con le Comunità Montane della Provincia sono stati la conclusione dell’iter volto alla conoscenza del territo-


rio montano, alla pianificazione e modalità d’interventi attraverso la cartografia. Come professionisti è importante, infatti, interagire affrontare il concetto di “ ambiente” in maniera interdisciplinare consapevoli dell’importanza della nostra unica risorsa: il territorio. Nella consapevolezza che la cultura ambientale vada professata attraverso l’informazione e la divulgazione di quanto si sta facendo e condividendo a livello sociale, le relazioni dei vari relatori intervenuti in questa iniziativa saranno raccolte in una pubblicazione di prossima uscita che ci aiuterà a capire meglio il significato di una pianificazione destinata alla realizzazione dei progetti di carattere ambientale e di salvaguardia del territorio.

Tale strategia persegue gli obiettivi generali di: • sostenibilità ambientale (riduzione delle emissioni in atmosfera corresponsabili dei preoccupanti cambiamenti climatici che si vanno evidenziando; riduzione dell’ulteriore degrado ambientale da rumore in aree residenziali); • miglioramento delle interrelazioni fra insediamenti residenziali e trasporto pubblico, correggendo le tendenze alla dispersione insediativa (residenza e industria), generatrice di costi di urbanizzazione e di sprechi di territorio; • specificazione di ruoli delle infrastrutture (viarie e ferroviarie) in rapporto con i tessuti insediativi residenziali, produttivi, misti. La scelta di accessibilità sostenibile è, anche, volta a guidare

Carmen Carabùs

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Il termine “ periferie” evoca condizioni e situazioni sociali che non possono essere uniformi per ogni territorio; in ogni caso il fenomeno è riconducibile alle tipologie di organizzazione urbanistica che si sono sviluppate, indirizzate o meno nel tempo. Per questo potremmo predefinire che nel territorio della Provincia di Lecco, che si è incardinato attorno ai nuclei storici, non può esistere una periferia come nel caso delle grandi metropoli: nel nostro contesto siamo di fronte ad una disseminazione policentrica, che si evidenzia nella stessa città capoluogo, cresciuta per effetto dell’aggregazione di più Comuni. La nostra è la realtà dei “ mille campanili” , e dei “ cento municipi” , che sottolineano una tradizionale tendenza a compattarsi intorno ai luoghi della socialità e dei servizi. Non possiamo parlare di un’isola felice, però le condizioni geomorfologiche, la cultura e l’esperienza dei nostri antenati ci hanno trasmesso una situazione interessante, positiva anche se delicata e costellata da rischi. Dal nostro punto di vista provinciale, non possiamo che prendere atto della situazione esistente, analizzarla e, nello stesso tempo, svolgere il ruolo assegnato all’Istituzione Provincia, che in via prioritaria è quella di predisporre il P.T.C.P. quale strumento di programmazione generale che definisce gli indirizzi strategici del territorio a livello sovracomunale con riferimento al quadro delle infrastrutture, agli aspetti di salvaguardia paesistici-ambientali, all’assetto idrico, idrogeologico ed idraulico forestale. Si tratta dunque delle grandi scelte che attraversano i confini comunali e i cui effetti coinvolgono l’insieme delle comunità locali. Quindi il P.T.C.P. pone la base per orientare e coordinare la pianificazione urbanistica comunale, demandata ai Consigli Comunali. Il nostro è un ragionamento che partendo dalla situazione attuale, ne evidenzia i fenomeni negativi e detta criteri basati sulla razionalità localizzativa, sulla ridotta conflittualità ambientale e sull’agevole accessibilità. Ne consegue una particolare attenzione alla localizzazione di quegli insediamenti che per destinazioni funzionali, dimensione, quantità, interessamento di bacini di utenza sovracomunali, accessibilità, elevata concentrazione di presenze, determinano forti impatti sul territorio e sono da considerarsi di natura sovracomunale: la corretta applicazione di questi criteri e attenzioni eviterà il prodursi di situazioni negative che in taluni casi assumono il connotato di periferia. Spetta poi alle comunità locali, che hanno condiviso le scelte di pianificazione provinciale, modellare e organizzare il loro spazio in coerenza con gli indirizzi e le norme del P.T.C.P., che è improntato su una strategia di “ accessibilità sostenibile” per le relazioni fra insediamenti e mobilità.

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La realtà dei “mille campanili”

Veduta della città.

un assetto più razionale delle localizzazioni insediative, tale da favorire la convivenza del vitale sviluppo industriale con la qualità del territorio e la persistenza di preziosi spazi aperti. Pur in ritardo rispetto alla cultura europea, oggi è possibile pensare che una buona pianificazione possa perlomeno evitare la formazione di sacche di “ abbandono urbano” , sia edificato che a verde, terreno di cultura di fenomeni di emarginazione e disgregazione sociale e di devianza. Più in positivo la pianificazione apporterà per la sua valenza paesistico-ambientale un contributo alla rivalutazione del nostro territorio. Infatti il ruolo paesistico del P.T.C.P., intrecciato con quello della pianificazione territoriale, consente di governare insieme l’evoluzione delle trasformazioni antropiche e l’evoluzione della “ naturalità” . Esso appare inoltre coerente con la recente Convenzione Europea del Paesaggio, con la quale: • si attribuisce al paesaggio un significato complesso riferito in modo sistemico all’intero territorio e non solo a singoli areali di eccellenza; • si conferisce un significato innovativo alla tutela, indirizzandola non solo alla gestione statica dei vincoli, ma anche verso progetti di “ innovazione conservativa” . In quest’ottica, e in coerenza con le indicazioni del Piano Territoriale Paesistico Regionale, le politiche paesistiche del PTCP si sviluppano lungo tre direttrici: conservazione, innovazione, fruizione-comunicazione.


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La Provincia, nell’assumere tali importanti competenze nella gestione del paesaggio intende attivare e valorizzare – applicando a sua volta il principio della sussidiarietà – il ruolo dei comuni, portatori di conoscenze dettagliate e diretta espressione della popolazione. Ciò in considerazione del fatto che il patrimonio costituito dal paesaggio è vissuto dalle stesse popolazioni come proprio genius loci, in quanto il legame con il paesaggio è costituito da valori simbolici, sensoriali ed identitari, radicati genuinamente nel comune sentire locale. Come si vede, gli strumenti urbanistici diventano una base certa di indirizzi e criteri che permettono alle comunità locali, alle associazioni di volontariato e di categoria, ai singoli cittadini di operare come attori e protagonisti della civile convivenza nel rispetto del prossimo, della natura, dell’ambiente, evitando così il formarsi di periferie, che prima di essere fisiche sono mentali.

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Pierfranco Mastalli Assessore al Territorio e Trasporti della Provincia di Lecco

A colloquio con Pietro Francesco Canali Ingegner Canali, come vede il territorio della Provincia di Lecco in termini di ambiti pubblici? Come sono distribuite le scuole a tutti i livelli in Lecco città e nei paesi di provincia? Con riferimento all’edilizia scolastica, il territorio della Provincia può essere suddiviso in sette ambiti funzionali (relazione dell’Assessore Marelli sul piano provinciale dell’offerta formativa 2003), precisamente: Lecco città, Colico, Valsassina, Oggionese, Casatese, Meratese, Calolziocorte e Valle San Martino. Ciascun ambito territoriale è strutturato per fornire l’istruzione relativa all’infanzia ed al primo ciclo (materna, elementare, media) che coinvolge complessivamente 20.223 alunni ospitati in 195 edifici scolastici di competenza delle diverse amministrazioni comunali. Tutti gli ambiti territoriali, ad eccezione della Valsassina, sono anche strutturali per fornire l’istruzione relativa al secondo ciclo (istruzione superiore) di competenza della Provincia. In questo caso gli studenti coinvolti sono pari a 10.364 ospitati in 17 strutture scolastiche, incluse le sedi staccate, con una volumetria complessiva pari a mc 547.307 nella quale sono conteggiate anche 17 palestre ed un valore economico, stimato per difetto in quanto relativo al solo costo di costruzione, di 172 milioni di euro. Relativamente al secondo ciclo gli studenti che frequentano le scuole del capoluogo di Provincia sono 5.992 pari a circa il 60% del totale. Situazione, questa, che è causa del notevole pendolarismo e sovraffollamento nelle fasce orarie corrispondenti all’inizio e fine lezioni. Sembra, quindi, vi sia sostanziale uniformità di servizio scolastico sul territorio della Provincia per quanto riguarda il primo ciclo. Quali sono i criteri e le metodologie di riqualificazione per i prossimi anni? L’Amministrazione si è impegnata nella riorganizzazione dell’offerta formativa, con l’introduzione di nuovi indirizzi di studio nei diversi ambiti territoriali, che corrispondono alla periferia del territorio provinciale, ma anche con investimenti perseguendo l’obiettivo del potenziamento delle strutture scolastiche periferiche, quali ad esempio l’ampliamento dell’Istituto Marco Polo in Colico (in costruzione), della sezione staccata dell’Istituto Bachelet in Calolziocorte (avviato cantiere), dello stesso Istituto Bachelet in Oggiono (in costruzione) e dell’Istituto Vigano in Merate (previsto nel bilancio 2004), mentre è allo studio la localizzazione di un nuovo istituto scolastico nell’area del Casatese.

Lodi a cura di Antonino Negrini

L’articolo che tratta per la nostra provincia il tema delle periferie, è stato curato dall’architetto Gio Gozzi, che ringrazio per il contributo prezioso prestato alla rivista. Il collega svolge attività quale libero professionista, occupandosi di progettazione architettonica e urbanistica; collabora come docente presso la Facoltà di Architettura di Bovisa, nei corsi di costruzioni dell’architettura e di scienza dei materiali. Ha tenuto lezioni al MPA (Master universitario di Progettazione Ambientale) e nel corso di Dottorato nuovo ciclo. Nella Facoltà di architettura di Leonardo è stato esercitatore di fisica tecnica ambientale e gestione delle risorse naturali. Ha approfondito i temi dell’ambiente (naturale e urbano), durante il dottorato di ricerca in tecnologia dell’architettura e dell’ambiente XV° ciclo. Relatore di diversi convegni, si citano i due recenti di marzo 2004, uno con l’ANAB e Legambiente sui temi dell’architettura bioclimatica ed uno presso la Facoltà di Agraria di Milano, sui temi dell’urbanizzazione dei suoli. Consigliere presso il Comune di Lodi. A. N.

La non-pianificazione delle periferie, sotto l’impulso della speculazione immobiliare Lodi, come molte altre città del nord Italia, a partire dai primi anni del ‘900 iniziò quel programma di industrializzazione, che ebbe come conseguenza una profonda trasformazione del tessuto urbano ed una espansione edilizia oltre il tracciato storico; espansione per lo più legata ai nuovi insediamenti industriali. La necessità di nuove aree e soprattutto di aree a basso prezzo, per un’industria dagli incerti capitali, che muoveva i primi passi, fecero abbandonare il buon senso edilizio che, nei secoli precedenti, aveva dettato le linee di sviluppo delle città. Lodi, infatti, sorge su di un terrazzo morfologico, lambita dal fiume Adda e confina per tre lati con ampie zone fluviali, periodicamente soggette ad esondazioni. Fu così che fino ai secoli scorsi, le uniche direttrici dello sviluppo urbano, ad eccezione del quartiere dei barcaioli, furono nella zona elevata, quella posta a sud, in direzione Piacenza, con i quartieri fuori mura, cresciuti lungo la via Emilia. I primi insediamenti industriali scelsero, invece, di localizzarsi o lungo la ferrovia, allora principale via di trasporto o in quelle zone alluvionabili dove, proprio per questo motivo, i terreni avevano un minor prezzo. È così che, poco per volta, si costruì in zone golenali o limitrofe al fiume, dove il solo nome (Isola bella, Isola carolina, Isola caprera, via lungo Adda) avrebbe dovuto ricordare una condizione alluvionabile e sconsigliarne l’edificazione. Rotto il confine storico dell’edificato, alle piccole aziende, seguirono la residenza e il processo di edificazione continuò negli anni ’60, ’70, ’80, fino ai nostri giorni, con conseguenze talvolta drammatiche, come ci ricordano i circa 3.000 alluvionati di Lodi durante l’esondazione del novembre 2002. Ma se questo processo di edificazione poteva essere in parte giustificato un secolo fa, in assenza di indirizzi pianificatori,


simi anni è prevista una costante contrazione del mercato immobiliare, con un calo anche del 2% annuo. Per volontà o per necessità è il momento per intendere un nuovo concetto di recupero urbano, con interventi finalizzati e con un valore aggiunto, che possa concorrere al miglioramento delle condizioni urbane e della collettività, in una cooperazione sinergica tra amministratori, aziende, istituti bancari e operatori del settore edile. Alcune città come Milano, hanno già preso coscienza di ciò e si sono orientate in tal senso; citiamo, ad esempio, le università nelle aree di Bovisa o della Bicocca, il polo fieristico nella ex raffineria di Pero, il terziario produttivo alla ex Marelli, o il futuro parco nella zona Fiera. Tutti interventi che non solo concorrono alla riqualificazione del tessuto urbano, ma sono anche direttamente od indirettamente produttivi in termini economici, per le attività che vi si andranno ad insediare. A Lodi un primo passo, è stato fatto dalla Banca Popolare Lodi che, nella realizzazione della sua nuova sede (il Bipielle a firma dell’arch. Renzo Piano), nell’area occupata dagli stabilimenti dismessi dell’industria lattiero casearia Polenghi, anziché realizzare un edificio chiuso che si affacciasse sulle vie perimetrali, ha optato per una soluzione opposta, “ aprendo” al pubblico il nuovo edificio, tramite la realizzazione di una piazza e di percorsi interni, di nuove strade e nuovi scorci. Un edificio, quindi, con forti obiettivi sociali, in una frammistione di spazi pubblici e privati, dove parcheggi, uffici, negozi, bar, sono un tutt’uno e dove i percorsi hanno la funzione di cucire il nuovo intervento col tessuto storico. Al Bipielle Center seguirà ora un nuovo intervento di circa 35.000 mq sull’area delle officine ABB ADDA, sempre per iniziativa della Banca Popolare di Lodi, ma questa volta con un progetto dell’arch. Mario Botta; si tratta di un’azienda storica, all’interno di un comparto industriale molto più ampio e ormai dismesso, che comprendeva il linificio, i magazzini generali, un mulino ed altre industrie minori; una periferia ormai assimilata nel contesto urbano. È questa una nuova occasione per la Banca Popolare per realizzare un progetto che valga anche per le aziende, per il territorio in cui è collocata e conseguentemente per la collettività. È infatti un’area che, compresa all’interno di un programma integrato di intervento (P.I.N.) o di un programma di recupero urbano (P.R.U.), in una cooperazione tra risorse pubbliche e private, potrebbe essere destinata all’uso pubblico, al fine di creare un centro direzionale con istituti di ricerca e di sperimentazione, per promuovere l’economia di Lodi, delle aziende lodigiane e non solo; un centro consorziato su iniziativa e gestione della Banca Popolare, dove essa abbandona il ruolo passivo legato al prestito bancario o alla semplice operazione immobiliare, per divenire imprenditrice e finanziatrice di un futuro economico per il territorio. L’urbanistica dell’azzonamento è terminata e ha mostrato in questi anni i propri limiti, è questo un momento, quindi, in cui essa va ripensata, in cui la pianificazione deve essere dinamica, al passo con i mutamenti che il nostro tempo ci impone, ma soprattutto deve essere rivolta a produrre benessere e ricchezza collettiva, in una sinergia tra pubblico e privato, prendendo coscienza del peso e del valore delle scelte e soprattutto prendendo coscienza che un recupero urbano errato non ha solamente costi economici, ma anche e soprattutto sociali. Gio Gozzi

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di certo non può esserlo ai nostri giorni, in totale disprezzo del buon senso e di una normativa urbanistica dalle molte falle e possibilità di deroga. È così che le periferie storiche della città, occupate dalle aree dismesse di quelle prime fabbriche, ormai chiuse da tempo, oggi, anziché essere un’opportunità per ridisegnare la città, si trasformano in un’aspettativa disattesa, per far spazio ad un’ulteriore residenza e ad operazioni immobiliari, dove l’insipienza amministrativa permette – di fatto – al privato di pianificare a suo piacimento, secondo logiche dettate esclusivamente dai profitti edificatori. Un clamoroso esempio recente è la lottizzazione sull’area ex Sicc; si tratta di un complesso industriale di prefabbricati ormai dismesso, edificato negli anni ’60 all’interno di una zona di espansione del fiume Adda, di circa 50.000 mq, sottoposta nel P.R.G. vigente a tutela idrogeologica e in cui non è ammessa l’edificazione, ma solo il rinsaldamento del suolo mediante il ripristino del bosco naturale. Recentemente l’area è stata acquistata all’asta da un’immobiliare, che subito ha chiesto all’Amministrazione comunale di poter edificare un centinaio di appartamenti in edifici alti più di 18 metri, per circa 34.000 mc. E l’Amministrazione comunale? Ovviamente dice sì, in disprezzo dei vincoli urbanistici, del parere contrario di Legambiente e delle proteste dei quasi duemila cittadini dei quartieri circostanti, che temevano le conseguenze delle arginature a protezione del nuovo insediamento, le quali sarebbero andate a compromettere una preziosa zona di espansione del fiume. Al di là del dubbio buon senso di una simile operazione, il programma di recupero urbano (P.R.U.) proposto, trovava specifiche all’interno di un accordo di programma, tra il privato e il pubblico in cui all’Amministrazione comunale venivano ceduti 5.368 mq di terreni da bonificare (con i ruderi dei capannoni) per un valore di circa € 81.000,00, 33.195 mq di area a verde per circa € 30.000,00 e delle palazzine diroccate senza alcun valore: beni e terreni per un valore globale di circa € 113.000,00. Di contro l’Amministrazione avrebbe dovuto rimborsare all’immobiliare le spese di progettazione, avrebbe redatto a suo onere la necessaria variante al P.R.G. e avrebbe dovuto realizzare (con contributi regionali, ergo pubblici, ergo della collettività) le arginature a protezione delle nuove edificazioni, nonché a proprie spese la viabilità di collegamento tra la città e il nuovo complesso e il parco fluviale sulle aree verdi cedute; il tutto per un importo complessivo pari a circa € 3.500.000,00. Il confronto tra € 3.500.000,00 di costi pubblici e € 113.000,00 di benefici, rende superfluo qualsiasi commento. Il tutto, poi, realizzato senza uno studio paesaggistico, senza una verifica urbanistica delle reali necessità del quartiere, senza verificare le conseguenze ambientali delle nuove arginature e della sottrazione di una cassa di espansione. È così che, dietro la foglia di fico di un programma di recupero urbano, si celava un’operazione immobiliare di dubbia utilità, dove l’operatore privato e l’Amministrazione Pubblica in una congiunta miopia non si rendevano conto della potenziale pericolosità di un simile intervento e, soprattutto, che è finito il tempo delle speculazioni edilizie fini a sé stesse e che un intervento di riqualificazione urbana debba essere visto in maniera produttiva e finalizzata ad elevare lo standard di qualità del luogo in cui si colloca. Non è più il momento di grandi interventi residenziali, perché non ci sono più le condizioni economiche e di mercato per farli, e anche la bolla immobiliare di questi ultimi anni è destinata ad esaurirsi. I recenti rapporti sul mercato immobiliare, confermano che il 79,4% degli italiani è proprietario di case, che il 40% delle operazioni immobiliari di questi ultimi anni è dovuto ad investitori e non a soddisfacimento di una richiesta reale, con già un 4% di immobili vuoti; per i pros-


Milano a cura di Roberto Gamba

La riqualificazione della periferia nella Provincia di Milano

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La richiesta di contributi sul tema del progetto sulle periferie ha avuto molto seguito nella nostra provincia; sia in città, che nella conurbazione; evidenziando quanto l’area metropolitana milanese abbia un carattere di monocentrismo e le aree più esterne siano spesso prive di identità e di nuclei qualificanti. Il tema è affrontato in molti comuni da appositi settori, che realizzano, a seconda dei casi, progetti di riqualificazione, piani urbani, contratti di quartiere; promuovono concorsi e studi sui territori e i rioni, che necessitano di interventi specifici. Nel convegno “ Abitare le periferie - problemi, sperimentazioni, politiche e strumenti operativi” , tenutosi alle Stelline di Milano, nel marzo scorso, la Consulta e l’INU hanno messo a confronto le opinioni soprattutto di amministratori, esponenti istituzionali, studiosi e urbanisti. Il materiale qui raccolto, pur non tecnicamente esaustivo, vuole invece esemplificare progetti e realizzazioni a cui i relatori talvolta hanno fatto riferimento. R. G.

Restituire centralità attraverso la progettazione di nuove forme e di nuovi contenuti Nel mese di dicembre 2003 è stato inaugurato il primo lotto del progetto “ Villaggio Barona” , un intervento integrato di riqualificazione urbana che interessa un’area di circa 40.000 mq nella periferia sud del Comune di Milano che per anni è stata occupata da attività industriali, da depositi e da magazzini di stoccaggio. L’iniziativa, promossa e realizzata dalla Fondazione benefica Attilio e Teresa Cassoni (Milano, via Ettore Ponti 25), proprietaria dell’area, animata dall’azione della vicina Parrocchia dei Santi Nazaro e Celso e dell’Associazione Sviluppo e Promozione, una realtà di volontariato fortemente radicata nel quartiere e sostenuta economicamente da Fondazione Cariplo e da Banca Popolare di Milano, è nata con l’obiettivo di restituire alla città uno spazio che per lungo tempo è rimasto escluso, caricandolo di significati e di “materiali nuovi”. Aspetti innovativi del progetto Dal processo di interazione con le organizzazioni e gli abitanti che vivono e lavorano nel quartiere e da un confronto avviato nel 1996 con l’Amministrazione Comunale, la Fondazione Cassoni è giunta a definire una proposta di intervento che mostra diversi fronti di innovazione. Dal punto di vista dell’articolazione funzionale il progetto è suddiviso in quattro lotti: la residenza sociale e il commercio, il pensionato studentesco integrato, i servizi alla persona e il verde pubblico. L’intervento prevede: 78 alloggi di edilizia in locazione a canone calmierato, all’interno dello stesso comparto 4 comunità alloggio (per anziani non completamente autosufficienti, per malati terminali, per disabili intellettivi, per ragazze madri), 12 spazi per il commercio e per l’artigianato connessi con le funzioni di servizio, 120 posti letto per studenti e giovani lavoratori, un parco pubblico attrezzato, una palestra, una sala di let-

Villaggio Barona, veduta del cantiere.

tura e una sala per incontri pubblici aperte anche al quartiere, strutture di servizio destinate alle famiglie in difficoltà con bambini in età prescolare a carico, agli anziani autosufficienti del quartiere, ai disabili fisici e psichici, ai drop out, un centro di animazione e promozione culturale. Iniziative e attività che si affiancano e convivono nello stesso spazio. Dal punto di vista degli obiettivi il villaggio Barona esprime una forte finalità pubblica e si fa carico di una serie differenziata di bisogni sociali pur essendo completamente promosso, sostenuto e gestito da soggetti privati e del privato sociale. Dal punto di vista delle procedure e dei vincoli amministrativi si tratta di una proposta che – disciplinata da specifica convenzione stipulata con il Comune di Milano nella quale, tra le altre cose, si prevede l’asservimento perpetuo ad uso pubblico dell’intera area e delle strutture e si definiscono una serie di misure a garanzia dell’interesse generale che si dovrà tutelare e perseguire con l’intervento – consente di realizzare un sistema integrato di servizi e di dare spazio ad azioni a forte contenuto sociale anticipando di alcuni anni, a partire dal riconoscimento del principio di sussidiarietà, quanto recentemente la L.R. 1/2001 intende promuovere attraverso il Piano dei Servizi. Dal punto di vista della metodologia progettuale e dei contenuti sviluppati all’interno del programma si tratta di una esperienza che ha scommesso sulla possibilità di collocare al centro della vita del quartiere una serie di realtà e di situazioni sociali tradizionalmente poste al margine inserendole in un contesto urbano ordinario e qualitativamente interessante. Il tema dello spazio pubblico (la nuova strada, i percorsi di collegamento tra le parti e tra l’interno e l’esterno, il parco di quartiere), il tema delle forme dell’abitare, degli elementi simbolici e funzionali hanno trovato modalità e linguaggi differenti per esprimere lo sforzo progettuale teso al superamento di una condizione di isolamento e di perifericità attraverso l’introduzione di nuove centralità e la ricerca di connessioni e di rapporti con il tessuto urbano circostante. La ricerca di nuovi significati attraverso aggiunte parziali e forme di irrobustimento Il progetto aggiunge nuovi ambiti di azione e nuovi spazi per le diverse attività che saranno ospitate nel Villaggio. Il programma di realizzazione intende rafforzare, anche attraverso una valorizzazione delle strutture, degli spazi e dei “ contenitori fisici” il destino di un’area la cui vocazione sociale, emersa all’inizio degli anni Novanta, si è andata progressivamente consolidando. Il complesso residenziale, suddiviso in due corpi di fabbrica tra loro collegati con un camminamento in quota, si compone di una varietà di tagli di alloggio che rendono la struttura fortemente articolata al suo interno: ai monolocali si affiancano i bilocali, i bilocali con studio, i trilocali e i quadrilocali, i grandi


Gli altri lotti di intervento Nel mese di febbraio si è aperto il cantiere che andrà a realizzare il secondo lotto: il pensionato sociale integrato. Tale struttura ha una capienza complessiva di 122 posti letto suddivisa in tre differenti sezioni: pensionato sociale integrato per studenti e soggetti deboli; foresteria/ostello; area autonomia abitativa. Il pensionato è affiancato da una serie di spazi per attività collettive aperti anche al quartiere: una mensa/ristorante, una biblioteca-sala di lettura e una sala per incontri e conferenze che si affaccia su un cortile interno ipogeo dal quale si accede anche ai locali di servizio (depositi e magazzini, autorimessa, vani tecnici). La struttura dovrebbe essere pronta a metà 2005. Il terzo lotto riguarda l’organizzazione delle strutture che andranno ad ospitare i servizi alla persona. Si tratta di un progetto di ristrutturazione che interessa un corpo di fabbrica di due piani fuori terra, per complessivi 3.600 mq di slp. Arretrato rispetto al fronte strada per mezzo di una fascia interna di rispetto profonda una decina di metri nella quale verranno localizzati i parcheggi di servizio e eventuali aree a giardino, affaccia sulla via Ponti. L’edificio, articolato in diversi comparti, ospita tutte le attività diurne di servizio alla persona e le iniziative di accompagnamento sociale previste all’interno del Villaggio Barona. I lavori relativi a questo comparto dovrebbero partire nel mese giugno 2004 e concludersi nell’arco di un anno e mezzo. Il quarto ed ultimo lotto riguarda la realizzazione del parco di quartiere. Organizzato su una superficie di circa 20.000 mq. Conclusi gli interventi di nuova edificazione e di ristrutturazione si partirà con la realizzazione del parco la cui durata sarà di circa un anno. Riferimenti per gli aspetti progettuali: A. Balducci, coordinamento scientifico, P. L. Saccheri, G. Rabaiotti, D. Maglie, M. Villani, R. Montagna, Ebner Europe, G. Sala, Land srl. realizzazione primo lotto: Impresa Borio Mangiarotti

Ponte Lambro: un Laboratorio sulle Periferie Urbane Il Laboratorio di Quartiere Unesco di Ponte Lambro a Milano, nasce da una provocatoria intuizione di Renzo Piano: dichiarare le periferie metropolitane Patrimonio dell’Umanità. L’obiettivo, decisamente eretico, è quello di enunciare il tema cardine che la cultura urbanistica avrà davanti nel XXI secolo. Il Comune di Milano ha accettato la sfida, affidando a Ottavio Di Blasi e Lamberto Rossi una sperimentazione pilota in uno dei quartieri più problematici della periferia orientale.

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appartamenti che ospiteranno progetti sociali residenziali (le comunità alloggio). I corpi di fabbrica, che degradano verso il centro del Villaggio, offrono a quest’ultima tipologia alloggiativa (presente al quarto e quinto piano dei due edifici) dei grandi terrazzi necessari per dare uno sfogo esterno agli ospiti che spesso hanno difficoltà fisiche ed impedimenti nel raggiungere il parco pubblico. Al terzo piano di uno dei due fabbricati è stato realizzato un giardino pensile e una sala comune vetrata dedicata agli inquilini e finalizzata a premiare momenti di incontro e di aggregazione. Gli appartamenti dei primi tre piani sono raggiungibili attraverso un ballatoio che si sviluppa sotto la galleria commerciale e che consente di avere uno sguardo sui percorsi a terra e sugli attraversamenti orizzontali ai diversi piani; la soluzione del “ ballatoio rivisitato” – (è stato arretrato di 3 m rispetto all’ingresso degli appartamenti per assicurare una maggiore privacy e prevede delle sedute che rompono la continuità del percorso) – non solo “ premia” l’interazione tra gli abitanti delle case, ma consente di ridurre i corpi scale e gli ascensori al minimo indispensabile consentendo realizzare complessivamente più appartamenti. In un momento segnato da una grande debolezza delle politiche abitative pubbliche e da un elevato grado di instabilità interna ai meccanismi tradizionali di produzione e di gestione dell’edilizia sociale, il Villaggio Barona non rappresenta solo una sfida impegnativa intrapresa esclusivamente da realtà di terzo settore e lanciata alle istituzioni e alla comunità locale, ma anche la dimostrazione concreta della possibilità di intervenire con progetti di qualità e a costi contenuti (per la parte residenziale si è riusciti a contenere i costi complessivi di intervento – area esclusa – sotto i 900 euro/mq) in un ambito, quello dell’housing sociale, tanto rilevante per la società di oggi quanto trascurato dalla politica e dal mercato.

Ponte Lambro, veduta del progetto.

È stato scelto Ponte Lambro in quanto emblematico di una condizione frequente: una serie di errori evidenti di pianificazione ha contributo a creare un disagio sociale diffuso. Ponte Lambro – 2.800 abitanti – è il classico esempio di mancata integrazione tra un borgo storico dei primi del Novecento e insediamenti degli anni ’70 di edilizia popolare: stecche parallele di 5/6 piani, alcune lunghe più di 250 metri non a caso chiamate “ case bianche” per sottolinearne l’estraneità. È un quartiere-dormitorio, monofunzionale, affetto da problemi di malvivenza e emarginazione, ma anche testimone di grande solidarietà - come nota Ermanno Olmi che segue in parallelo, con una propria lettura visiva, l’avvio del laboratorio. L’obiettivo è quello di trasformarlo in un “ quartiere polimorfo” , centro di nuove iniziative di richiamo comunale nella consapevolezza che l’affermarsi di un’idea di città diffusa, cablata, basata su una crescita esponenziale, possa invertire i termini attuali del problema caricando le aree più esterne – di fatto più accessibili dalle grandi infrastrutture di comunicazione – di una plurifunzionalità ora impensabile. Il processo da attivare, non vuole e non può essere chirurgico, semmai micro-chirurgico o forse meglio “ omeopatico” , cioè lento, giocato su quantità esigue ma tali da far reagire le difese interne dell’organismo. Il Laboratorio, concepito come uno strumento ” sul campo” – che “ progetta” ma anche, e soprattutto, che “ fa” – attraversa da parte a parte, nel punto più problematico, le due “ stecche” . Ha quattro sezioni - Impresa, Vita, Habitat, Fabbrica - che sono anche l’enunciazione dei quattro temi-cardine delle periferie. Il settore Impresa vuole favorire l’insediamento di attività imprenditoriali, tecnologicamente avanzate e innovative, all’interno del quartiere e comprende un vero e proprio incubatore di imprese. Il settore Vita ha la funzione di integrare diverse culture sia in senso multietnico che in senso generazionale al fine di favorire il senso di appartenenza al quartiere. Si rivolge alle due classi estreme - giovani e anziani - per migliorarne la quotidianeità offrendo occasioni di svago, di aggregazione, di consu-


lenza e di assistenza tecnologica. Ospita un Centro di alfabetizzazione telematica transgenerazionale e spazi per la musica e, per quanto concerne la funzione di servizio agli anziani, sperimenta forme innovative di residenza e di assistenza. Il settore Habitat punta a elaborare un progetto di riqualificazione urbanistica dell’intero quartiere. A scala edilizia, punta alla trasformazione dell’edilizia pubblica, sia per favorire l’insediamento di attività imprenditoriali e artigianali nuove, al piano terra e ai primi due livelli, sia per il miglioramento e la trasformazione degli alloggi, una volta acquisiti dagli affittuari. Il settore Fabbrica ha funzione di consultorio tecnico per il miglioramento delle condizioni abitative, sia attraverso l’autocostruzione che lo sviluppo di un artigianato specializzato.

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Laboratorio di Quartiere di Ponte Lambro/Milano Lamberto Rossi con Ottavio Di Blasi, Stefano Grioni; supervisione: Renzo Piano (ambasciatore Unesco); collaboratore: Maddalena Dossi

M ilano: riqualificazione del complesso Cascine Chiesa Rossa Nell’ambito dell’attività del Settore Periferie del Comune, vengono realizzati una serie di interventi puntuali sul territorio volti ad operare un sensibile recupero delle periferie attraverso la riqualificazione funzionale di strutture esistenti o nuovi organismi. Il fine ultimo è di rispondere alle attese pregresse e ai fabbisogni rilevati sul territorio e nel contempo contribuire alla valorizzazione del patrimonio pubblico. In quest’ambito si inserisce la riqualificazione del complesso monumentale Cascine Chiesa Rossa, situato alla periferia sud, in zona 5, lungo la direttrice Milano Pavia; comprende 5 edifici, tra cui la Chiesa di Santa Maria alla Fonte, due edifici di abitazione, due edifici prettamente rurali (uno dei due trasformato in biblioteca) e un ampio parco per un totale di mq 48.000. È una sorta di isola, circondata dai quartieri Stadera, Chiesa Rossa, Montegani, Savoia, molto cara ai vecchi abitanti del quartiere. Nell’ambito di un gruppo di lavoro intersettoriale, composto, oltre che dal Comune di Milano (capogruppo Francesca Romana Galli), da MM SpA, ATM, AEM, Amsa e dal Comitato per il recupero della Cascina Chiesa Rossa, era stato studiato un progetto generale che tenesse conto anche delle trasformazioni in atto nelle immediate vicinanze, quali il prolungamento della linea M2 con la nuova sistemazione di piazza Abbiategrasso. Così i lavori di prolungamento della linea M2 hanno consentito di proporre il ridimensionamento della via Savio per realizzare, a cura della MM SpA, un miglior accesso alla Chiesa situata a meno 3 metri dal piano stradale. Il risanamento conservativo della cascina grande e sua conversione in biblioteca multimediale è il primo intervento di recupero effettuato nell’ambito del progetto generale. Il progetto architettonico e di restauro (anno 1997) è di Francesca Romana Galli, con la collaborazione di Luigina Garzonio; progetto impiantistico e strutturale: MM SpA; direzione lavori: MM SpA; indagini sui materiali, rilievo materico: prof. Luigia Binda del dipartimento di ingegneria strutturale, Politecnico di Milano. L’edificio, costruito per il ricovero degli animali e del fieno nel 1873, ha una pianta piuttosto insolita generata dall’unione di un rettangolo con un trapezoide. Nella parte rettangolare si trovava un ampio ambiente di mq 620 diviso in due piani (stalla e fienile) da un assito in legno, circondato da un portico di mq 770 di forma regolare su tre lati. La copertura è a doppia falda piuttosto pronunciata. Nella parte trapezoidale di mq 550 chiusa

Cascine Chiesa Rossa, veduta dell’intervento.

su tre lati venivano svolte attività al riparo dalle intemperie e accumulata l’erba. La superficie coperta complessiva è di mq 1895. L’edificio era in pessime condizioni statiche. Il progetto architettonico ha puntato, per quanto riguarda il volume esistente della vecchia stalla, sul conseguimento della proporzione e della sobrietà, considerando la nuova destinazione d’uso a biblioteca; pertanto l’aula ricavata, dove è stata collocata la sala lettura e di lavoro è un ambiente unico ad un solo piano. Le parti alte aperte dell’aula sono state chiuse da ampie vetrate non volendo aggiungere nulla all’impianto originale. Sotto l’ampio porticato trapezoidale è stato ricavato un nuovo ambiente a pianta irregolare, parzialmente su due piani, in grado di ospitare la reception, i servizi igienici, gli impianti tecnologici, gli uffici e un deposito. Nell’ambito del progetto di riqualificazione sono stati anche realizzati i progetti del bosco e del frutteto (Francesca Romana Galli e Carlo Maria Marinoni, Settore Parchi e Giardini); il risanamento conservativo della Chiesa Santa Maria alla Fonte, della canonica e delle aree di pertinenza (progetto architettonico e di restauro: Francesca Romana Galli; progetto impiantistico e strutturale MM SpA, Antonio Guandalini con studio SPS Arturo Donadio; D.L.: Francesca Romana Galli, Marco Pinotti; rilievo materico: Luigia Binda); la recinzione del complesso monumentale (progetto Daniele Nocito, Settore Periferie; D.L.: Daniele Nocito, Monica Gabbiazzi). Sono ancora da compiere il recupero del portico e la riqualificazione delle aree a verde di cui è già approvato il progetto preliminare. Una predominante nel progetto di riqualificazione del complesso è il riuso dell’acqua e la rielaborazione degli spazi verdi, partendo dall’immagine del paesaggio agreste lombardo. Nelle mappe catastali del 1939 erano ancora presenti le rogge che attraversavano l’area in varie direzioni e che, cessata l’attività agricola e iniziato il processo di inurbazione della zona, sono state interrate. I corsi d’acqua in progetto riprendono nel tracciato le vecchie rogge, conformandosi però alle esigenze del parco pubblico e della città a contorno. L’acqua del progetto trova l’origine e la fine all’interno del parco. Le rogge terminano appoggiandosi lungo i margini del parco, allargandosi a macchia fino a definire piccole piscine la cui forma appare morbida e naturale. Al centro del complesso, in prossimità dell’edificio Cascina Grande - ex stalla, il corso d’acqua si allarga fino a formare una piscina quadrata, come quadrate sono le distese prative che in questa zona centrale si formano dall’intersezione dei percorsi con i corsi d’acqua. Attualmente il patrimonio verde consta di casuali aree prative e di qualche albero in prossimità delle scuole. I poli della nuova sistemazione a verde sono il frutteto-labirinto e il bosco, realizzati nell’ambito del 2° lotto funzionale. Il frutteto-labirinto copre un’area di circa 2.300 mq nel settore nordovest del parco e ha forma di quadrato irregolare. È cinto da un muretto di mattoni. All’interno un vialetto è pavimentato in calcestre e fiancheggiato da siepi. In corrispondenza di ogni al-


bero da frutto si trova una piazzuola di sosta con qualche panchina. Lungo il lato nord del labirinto scorre una roggia, che nell’angolo nord-ovest forma un piccolo specchio d’acqua. Poco oltre la metà del tragitto si incontra anche un gazebo. L’accesso alla Chiesa e le radure prative sono da realizzare successivamente. Sul fronte della Chiesa viene ricostruito un sagrato di forma irregolare: si appoggia agli edifici e ai muri perimetrali esistenti, che vengono restaurati e ricostruiti. Comune di Milano - Settore Periferie

Attuare il Contratto di Quartiere portando a Sant’Eusebio una reale e concreta prospettiva di cambiamento, ha consentito di gestire numerose situazioni di conflitto, di superare muri e barriere invisibili, di ricucire separazioni e di costruire reti di relazioni centrate sul rispetto, la fiducia e la credibilità. • Coinvolgimento e partecipazione: nello svolgimento del processo è stata fin dalle prime fasi molto importante l’attività di coinvolgimento dei soggetti locali resa possibile dalla formazione di strutture progettuali aperte (il laboratorio di quartiere e i gruppi di lavoro) per la definizione dei contenuti e delle strategie di progetto. Abbiamo inteso il coinvolgimento come costruzione di una base di condivisione delle scelte progettuali e di fiducia con gli abitanti. Si tratta della fiducia degli abitanti

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Scommettere sulla possibilità del cambiamento nella periferia urbana

Scommettere sulla possibilità del cambiamento nella periferia urbana Negli anni, a Sant’Eusebio si sono rese manifeste quelle espressioni di degrado e abbandono che rendono simili tra loro molti quartieri pubblici: povertà, disoccupazione, marginalità sociale e tossicodipendenza, degrado edilizio e cattiva manutenzione. Nel 1998 Cinisello Balsamo ha promosso un progetto selezionato nell’ambito del bando nazionale “ Contratto di Quartiere” . Oggi l’intervento è in fase avanzata di realizzazione e si è articolato intorno a quattro misure di intervento: • miglioramento delle condizioni generali degli edifici (in particolare del “ Palazzone” , un edificio costruito nel 1974, con 15 scale e otto piani, in cui sono dislocati 288 alloggi e più di mille abitanti), attraverso manutenzioni degli appartamenti e degli spazi comuni; di frazionamento degli alloggi di dimensioni maggiori; • inserimento all’interno del caseggiato di alloggi sperimentali; • progettazione e insediamento di attività di servizio sociale. Il Contratto di Quartiere ha richiesto un’intensa attività progettuale, mediante la partecipazione degli abitanti e delle associazioni di Sant’Eusebio e il coinvolgimento di un gran numero di soggetti pubblici e privati. Tre sono le dimensioni chiave che segnano il processo di attuazione del programma d’intervento. • Riqualificazione e integrazione: migliorare le condizioni abitative del quartiere significa trattare in maniera integrata le diverse dimensioni dell’abitare; quelle legate alla riqualificazione fisica degli edifici, ma anche al miglioramento delle condizioni di vita, ad una diversa integrazione con il quartiere e con la città di Cinisello, alla fruizione di nuovi servizi, al rafforzamento del senso di appartenenza nella comunità locale, ad un rapporto di maggiore fiducia con le istituzioni. Le logiche progettuali e localizzative dei vari ambiti di intervento si sono misurate con condizioni iniziali difficili: sfiducia nel progetto istituzionale, marginalità e segregazione fisica dell’edificio nei confronti del contesto, conflittualità tra gli abitanti, resistenza al cambiamento.

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Cinisello Balsamo conta oggi circa 76 mila abitanti. L’Amministrazione comunale ha mirato a “ qualificare” una città a lungo percepita come “ città dormitorio” e citata come esempio di crescita tumultuosa e disordinata, periferia senza qualità, attraverso progetti mirati e nuovi programmi di intervento per sviluppare “ centralità” . Tra le principali azioni e politiche si segnalano: la riorganizzazione del Centro Città, il Museo Nazionale della Fotografia, la metrotramvia Milano-Cinisello, l’estensione e qualificazione dei grandi parchi intercomunali. L’investimento del Governo Locale in nuove forme di programmazione si concentra soprattutto in due “ scommesse” : il Contratto di Quartiere e il programma di rigenerazione Urban Italia. Cinisello Balsamo, veduta dell’intervento.

nei confronti dei soggetti istituzionali coinvolti, ma anche nella possibilità di giocare un ruolo attivo e costruttivo (a partire dalle proprie risorse e potenzialità) nella gestione di un’infinita serie di problemi che inevitabilmente in un contesto così difficile si generano. Il progetto è stato profondamente modificato nel passaggio alla parte esecutiva, verificandolo e rendendolo più conforme alla esigenze degli abitanti. Il Contratto di Quartiere Sant’Eusebio ha scommesso su un modello di partecipazione orientato alla condivisione più che al consenso, all’aumento di complessità più che alla sua riduzione, alla gestione del conflitto e alle ricostruzione di rapporti fiduciari. • Sperimentazione e cambiamento: il carattere sperimentale dell’intervento è centrato su una stretta collaborazione tra soggetti diversi che produce in rispondenza di problemi specifici: nuove soluzioni tecniche e procedurali, nuove forme organizzative, nuove regole da condividere, continuamente verificati sul campo e che rappresentano dei precedenti utili per la loro esportazione in altri ambiti di analogo intervento. Si è tradotta in una serie di percorsi differenti, tra gli altri: la costruzione di ambiti e luoghi di lavoro innovativi che hanno portato alla configurazione di una struttura organizzativa integrata tra: istituzioni (è il caso del gruppo di lavoro integrato Aler-Comune), settori dell’amministrazione e diversi livelli istituzionali; la definizione di soluzioni tecnologiche innovative; la definizione di nuove modalità di trattamento delle problematiche abitative (morosità, abusivismo ecc.); l’inserimento di modelli di gestione di nuovi servizi centrati sul partenariato locale e sulla collaborazione tra pubblico e realtà territoriali organizzate. a cura dell’” Unità di progetto - programmi partecipati di riqualificazione urbana” (Lides Canaia, Angelo Foglio, Effisia Cabras, Paolo Toselli, Bruno Palena, Alessandro Taino, Elena Vertua)


Europan 7 per il Comune di M onza

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Europan è una federazione europea di associazioni nazionali che gestiscono dei concorsi di architettura seguiti da realizzazioni, lanciati simultaneamente da più paesi su un tema e degli obiettivi comuni. Si rivolge a tutti i giovani architetti e giovani professionisti della progettazione, con meno di quarant’anni. Al concorso Europan 7, avviato nel gennaio 2003, hanno partecipato 29 gruppi, di cui 25 italiani; in ogni paese una giuria nazionale ha giudicato i progetti architettonici corrispondenti alle aree dei relativi paesi e, a livello europeo, un comitato scientifico ha analizzato in maniera tematica e comparativa i progetti selezionati per ogni giuria nazionale. Con deliberazione della Giunta, il Comune di Monza ha aderito al programma Europan 7, dal titolo “ Periferia IN, intensità urbana e diversità residenziale” . Il contesto di sua competenza comprende la zona sud del territorio comunale, al limite del Centro storico. È caratterizzata dalla presenza della stazione ferroviaria che fa da confine tra due sistemi: uno di espansione degli anni ‘60 e l’altro di aree industriali e residenze ai bordi del fiume Lambro oltre il quale si trova una vasta area agricola con una grande cascina. Il sito comprende due aree strategiche: la prima è la testata del sistema ferroviario di ingresso alla città e la seconda è l’ex stabilimento Fossati & Lamperti di proprietà comunale. Il programma prevedeva la sistemazione dei percorsi, sistema di connessione stazione-centro, residenze e attrezzature di tipo ricettivo per il sito della stazione e del piazzale retrostante ove è già in atto il recupero di una ex-Gil; servizi d’interesse pubblico e strutture residenziali ricettive, l’attraversamento della ferrovia in relazione ad un area comunale attuale deposito TPM e ad una villa ottocentesca privata con annesso parco, attualmente utilizzata dai Giudici di Pace per la ex-Fossati Lamperti. Dopo il concorso l’Amministrazione ha previsto una commissione tecnica per definire le modalità di lavoro e scegliere tra i progetti premiati, quelli che ritiene interessanti per invitare i progettisti ad un workshop di approfondimento. L’esito del concorso per il sito di Monza ha visto segnalati i progetti di Daniele Borin, Natalia Santarelli, Stefano Colombo. Sono altresì stati “ menzionati” i progetti di Alberto Gasparini e quello di Riccardo Dell’Osso. I progetti sono stati esposti all’Arengario di Monza, nel febbraio scorso. L’iter concorsuale è stato seguito dal settore PRG, pianificazione territoriale del Comune di Monza, diretto da Giorgio Maioli.

Europan 7 per Monza, progetto di Daniele Borin.

Pavia a cura di Vittorio Prina

Un’occasione mancata Èdi questi giorni la pubblicazione di diversi saggi dedicati ai caratteri della metropoli odierna e il dibattito prosegue sulle pagine dei principali quotidiani delineando un quadro inquietante: Vittorio Gregotti scrive “ dell’aggregato-disperso urbano” e afferma che “ un mondo molteplice, mobile, senza limite non è il mondo della libertà ma solo dell’assenza di progetto” (1). Massimo Cacciari afferma che “ questa espansione si fa sempre più occasionale, sempre meno programmata e governabile (...) esistono ancora attività che possiamo definire ‘centrali’, e che orientano attorno a sé le forme di connessione, la mobilità, ecc. Ma sempre più queste polarità possono organizzarsi ovunque (...) i ruoli di centro e di periferia possono scambiarsi incessantemente. Ma tutto ciò avviene occasionalmente, o sulla base di logiche mercantili o speculative (...) al di fuori di ogni progetto complessivo” (2). Con le dovute proporzioni, anche una piccola realtà quale è Pavia, ove il ruolo nodale svolto dal centro storico, nonostante molti problemi, apparentemente “ tiene” , è affetta da squilibri dovuti alla mancanza di un nuovo Piano Regolatore per un lungo periodo, allo sviluppo anomalo di alcuni paesi situati a corona, alla nascita di nuove aree “ centrali” commerciali poste all’estrema periferia, allo sviluppo di una periferia senza qualità. Alcuni errori che in parte hanno determinato uno sviluppo informe di molta periferia pavese, vanno cercati nel passato ed è opportuno citare forse il più emblematico; a distanza di alcuni decenni dal fatto e alla luce di quanto è stato realizzato successivamente, penso si possa con maggior serenità valutare quanto è accaduto e affermare, come molti detrattori all’epoca oggi pentiti, che è stato commesso un errore e la città ha perso una grande occasione. Mi riferisco al quartiere progettato da Alvar Aalto nel 1966. In deroga al Piano redatto dall’Ufficio Tecnico Comunale, rielaborazione del Piano del Morandotti vincitore del concorso del 1933, e adottato nel 1941, l’Amministrazione Comunale attua dal 1952 al 1958, attraverso Piani di Lottizzazione, una forsennata espansione periferica, a nord-ovest ma soprattutto nelle aree ad est della città: a sud-est nel 1953, alla Frigirola nel 1952 e al Vallone nel 1954. Nel 1963, dopo un travagliata elaborazione, viene adottato il nuovo Piano Regolatore redatto con la consulenza del Dodi, piano che prevede lo spostamento ad ovest dei principali interventi residenziali, individuando una vasta area compresa tra San Lanfranco e l’attuale raccordo autostradale. È a questo punto, 1966, che si inserisce la proposta di un impresario pavese che propone un progetto redatto come proposta di variante al Piano Regolatore Generale dell’epoca, e commissionato ad Alvar Aalto (che lo concepisce con Elissa Aalto e Leonardo Mosso). Il quartiere, denominato “ Patrizia” – 1.120.715 metri cubi previsti, infrastrutture escluse per un’area di 970.000 metri quadri – pensato per insediare 12.500 abitanti, è compreso tra i progetti italiani redatti da Aalto e mai realizzati. Possiamo immaginare un ideale completamento del progetto, per alcune parti solo accennato, sia del quartiere che dei singoli edifici, riferendoci senza dubbio alle analoghe realizzazioni di Alvar Aalto, come pure alla particolare sensibilità che il Maestro dimostra versi i temi della residenza e dell’abitazione. Il progetto è in varie forme osteggiato da più parti, sia dal punto di vista politico che sostanziale di metodo progettuale,


principali, delle strade secondarie, dei sentieri... oltre che con il rispetto della giacitura e dell’orientamento originari proposti per alcuni edifici pubblici. Basta scorrere l’indice della relazione illustrativa al progetto per accorgersi della qualità del metodo progettuale basato sulla flessibilità, su di una corretta idea formativa, sull’attenzione – con estremo anticipo se si considera l’epoca – verso “ l’inserimento ambientale” , sul preciso studio del “ sistema acqua-verde” , sull’innovativa soluzione della rete viaria e delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, sull’interpretazione attenta della normativa rispetto allo sviluppo del quartiere, ai problemi legati all’intervento di diversi esecutori, all’interpretazione tecnico-progettuale e alla

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Inserimento del progetto di Aalto nella carta fotogrammetrica del 1986 (fotomontaggio di V. P.).

Individuazione dell’area di progetto nel Piano Regolatore Generale vigente all’epoca.

vendita (ritmo delle fronti, modulazione flessibile, unità cromatica, tetti accessibili con terrazzi e giardini pensili, varietà tipologica, ecc.). La mancata realizzazione del progetto costituisce a mio parere una fondamentale perdita per la qualità dello sviluppo urbano di Pavia. Qui di seguito Remo Dorigati espone alcune considerazioni che pongono in relazione il progetto di Aalto con il territorio pavese. V. P. Note 1. V. Gregotti, “ Se la periferia diventa centro” , in: “ la Repubblica” , 27 marzo 2004, p. 40. 2. M. Cacciari, “ Quando la città non ha più confini” , in: “ la Repubblica” , 23 marzo 2004, p. 40. 3. Alvar Aalto, Urbanistica ed edifici pubblici, in: Marcello Fagiolo, Alvar Aalto. Idee di architettura. Scritti scelti 1921-1968, Zanichelli, Bologna, 1987, p. 143.

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spesso con inconsistenti e offensive motivazioni persino da parte di Italia Nostra che nel numero 59 del 1968 della propria rivista titola “ Pavia: la presenza del ‘Genio’ per derogare dal Piano Regolatore Generale?” . Di fatto il progetto è purtroppo strumentalizzato e usato come scusa per scatenare lotte politiche, che poco conosco, poco hanno a che fare con la qualità del progetto, e non mi interessa approfondire. In un primo momento (1969) il progetto viene approvato come variante al Piano Regolatore e approvato anche dalla Soprintendenza; una variante del 1973 al Piano Regolatore del 1963 vincola a verde pubblico il territorio a ovest della città. In seguito il progetto è escluso dal nuovo Piano Regolatore e accantonato. Il nuovo Piano Regolatore Generale, peraltro meritorio per molte ragioni prima fra tutte la “ politica” di recupero del centro storico, redatto da Astengo e Campos Venuti, adottato nel 1976 e in vigore nel 1978, individua le principali aree di sviluppo residenziale nel territorio ad est della città. Purtroppo la cultura urbanistica di allora, riferibile anche alla maggior parte delle esperienze europee, appare carente proprio in relazione allo sviluppo delle periferie, individuando aree da destinare a sviluppo residenziale senza fornire più puntuali prescrizioni relative a soluzioni planivolumetriche, morfologiche, ecc., in sintesi alla forma urbana demandata a successivi e poco controllabili strumenti. Lo sviluppo della periferia di Pavia, che è proseguito sino ad oggi, viene realizzato con piani esecutivi: dal 1974 in poi viene completato il P.E.E.P. del 1964 con interventi al Cassinetto, al Cravino e alla Cascina Scala; il nuovo P.E.E.P. del 1979 comprende gli interventi al Rocchino del 1980, alla Cascina Pelizza del 1981, e soprattutto al Vallone del 1985; sviluppo per la maggior parte, ad esclusione di rare eccezioni, condizionato purtroppo da esigenze politico-economiche e dai limiti di molti strumenti urbanistici, caratterizzato spesso dall’assenza di forma urbana, di un disegno unitario e di un modello urbano di riferimento, creando una situazione complessiva determinata da un debole accostamento di parti. La logica sottesa alla redazione del complesso aaltiano è individuabile nell’ambito della ricerca relativa all’urbanistica moderna che procede “ per interi distretti urbani, per raggruppamenti residenziali (...) Le abitazioni, che sono state il lavoro principale da quando il mio diploma professionale è stato messo negli archivi del Politecnico, non possono essere trascurate per nessuna ragione. La loro importanza resta immutata. Eppure anche questo settore è afflitto dalle stesse difficoltà, la burocrazia intralcia il percorso della realizzazione. Se progettiamo nelle vicinanze di una piccola città, ecco le varie fasi che occorre superare: piano territoriale, piano regolatore generale, piano regolatore particolareggiato, le loro varianti e poi alla fine la costruzione. La nostra resistenza psicologica, passata attraverso tanti ostacoli, è così stanca da mettere in pericolo la qualità del progetto” (3). Il progetto costituisce una vera e propria “ summa” sia delle istanze sociali insite nella ricerca aaltiana, che delle tipologie residenziali e degli schemi aggregativi proposti nei precedenti progetti. Stupisce, nel progetto aaltiano, la qualità e l’unitarietà delle soluzioni proposte per i singoli nodi progettuali; la possibilità di realizzare il complesso per parti; la dotazione di servizi pensati quali elementi di mediazione e di aggregazione tra le parti stesse che compongono il quartiere a determinare un complesso sovrapporsi di sistemi; la particolare attenzione dedicata all’” inserimento ambientale” del progetto in uno dei luoghi di maggior pregio del corso pavese del fiume Ticino, e al complesso storico costituito dalla Basilica di San Lanfranco, vero e proprio elemento nodale e di mediazione del progetto con la matrice storica del luogo, del costruito con lo spazio aperto a verde pubblico; l’estrema sensibilità dimostrata nel porre in continuità il nuovo rispetto all’esistente perseguita con una minuziosa continuità dei percorsi


Paesaggi urbani La progettazione delle espansioni urbane che vanno dal dopoguerra sino ai periodi più recenti sono ancora profondamente legate agli schemi più banalizzati del Movimento Moderno. Tasselli di addizioni urbane di modelli che fanno della polarità città-campagna, e quindi della netta separazione fra spazio urbanizzato e spazio agricolo, un paradigma che permane anche nella cosiddetta periferia contemporanea. Qui, la struttura aperta ha significato solamente la proposizione di manufatti staccati uno dall’altro, in cui le innovative proposte dei razionalisti, per inondare di luce e verde le abitazioni, si appiattiscono nelle banali normative che ripetono

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Alvar Aalto a Pavia in visita alla mostra del progetto allestita presso il Broletto.

monotonamente gli spazi distanziatori senza che questi riescano a trovare una loro forza autonoma per imporsi come fatti primari nella progettazione. Solo nel 1966, con il progetto del complesso residenziale a S. Lanfranco, conosciuto come “ Quartiere Patrizia” (1), Alvar Aalto introduce nella realtà pavese un principio di progettazione che fa degli spazi aperti e del paesaggio la materia base da cui prende corpo una proposta sorprendente. Il piano non andrà a termine per ragioni politiche, ma anche sul piano culturale non mancarono polemiche e critiche che dimostrano quanta incomprensione e refrattarietà vi fosse nell’accettare i presupposti di una vera alternativa alle addizioni urbane che in quegli anni, ma anche nei periodi successivi, avrebbero urbanizzato le periferie. Il n. 59 della rivista “ Italia Nostra” demolisce la proposta come il prodotto di una “ visione poetica personale” e di modelli di “ estrazione accademica” , che è quanto di peggio si potesse dire, in quegli anni. L’accusa di poetica stava a significare che, se il progetto poteva anche esprimere degli aspetti qualitativi in sé, rimaneva pur sempre avulso dalla realtà sociale e culturale in cui veniva calato. Come dire che i problemi della città erano ben altri e che non potevano certo essere riscattati da un “ buon linguaggio” o da una buona composizione architettonica. L’esperienza dei cosiddetti quartiere razionalisti era stata definitivamente chiusa con il QT 8 di Bottoni a Milano, e così era terminata la sperimentazione del neorealismo-Ina casa che, almeno in Lombardia e Piemonte aveva subito una forte influenza da parte dell’empirismo nordico. La proposta di

Aalto a Pavia sembrava a molti una sorta di appendice di esperienze già consumate e prive di reali prospettive. Per di più, lo schema proposto non avrebbe tentato nessuna relazione con i tipi storici della città tradizionale né con l’ordine urbano disegnato dalla partitura regolare degli isolati di matrice romana. Il punto di vista di Aalto sposta l’attenzione dalla morfologia urbana e dai tipi edilizi verso il principio più generale di ambiente e di abitare che definisce come “ un continuo respiro di intimità” . La relazione fra il comfort dello spazio domestico e lo spazio esterno è mediato da un concetto di natura che ha la forza di organizzare e orientare tutta la struttura compositiva dell’insieme. Così, luce, aria, verde, topografia, fiume diventano gli elementi basilari di una cerniera indissolubile che articola l’individualità della singola cellula abitativa ad una comunità in cui gli spazi di incontro e di relazione sono calibrati sulla bellezza del luogo piuttosto che su astratti principi urbani. Non esiste una strada o una piazza in senso tradizionale, esistono piuttosto percorsi, passeggiate, luoghi di incontro, posti dove le viste e le aperture sul paesaggio sono più coinvolgenti. L’intervento, che prevede una densità piuttosto bassa di circa 130 abitanti/ettaro, è costituito da una serie di edifici filiformi che variano da 9 a 5 piani con profilo seghettato cosi da enfatizzare quanto più possibile la vista da ogni alloggio. A questi si aggiungono una serie di case unifamiliari a 1-2 piani e un alto edificio lamellare (casa albergo). Una variazione tipologica che allude alla volontà di miscelare sociologicamente quante più possibili tipologie di utenti (per reddito e per nucleo familiare). Attrezzature collettive come scuole materne, elementari e medie convivono, nello spazio aperto, con la chiesa, i club sportivi, il centro sanitario e le strutture commerciali. Un pezzo di città il cui livello di urbanizzazione primaria e secondaria non ha simili in Italia in quegli anni. Ma ciò che meraviglia è l’abilità con cui Aalto inventa un dispositivo progettuale per controllare la dispersione dei manufatti nello spazio aperto. Perché la disposizione dei manufatti non sia casuale o lasciata al semplice capriccio, egli ruba dalla città storica il principio della maglia ordinatrice del periodo romano ma, come lasciando alla topografia il compito di deformarla e farla propria, essa subisce quelle distorsioni che l’idea del paesaggio suggerisce, ed orienta e misura l’andamento curvilineo degli edifici filiformi come il calco di una lamiera stirata. Allo stesso modo, Aalto trae dalla città storica il concetto di corte ma non come tipo accademicamente definito (la corte quadrata) ma come spazio raccolto che appartiene a chi vi abita, gerarchicamente separato dallo spazio pubblico. Le onde degli edifici curvilinei, disposte a sinusoidi parallele ma alternate nel ritmo, generano una successione di spazi ora dilatati, ora compressi che producono una sequenza di spazi introversi che assumono il ruolo di corti aperte disegnate da spazi comuni a da piastre a verde sotto cui sono sistemati i parcheggi. Il paesaggio delle terrazze naturali, che scendono al fiume, entra fra i filamenti abitati proponendo una visione di città che mette in discussione la netta separazione fra città e campagna. Come in un collage dadaista, i due domini, legati alle proprietà naturali del paesaggio e a quelle artificiali della città, si dissolvono uno nell’altro generando un suolo che viene manipolato come luogo pubblico. Il tessuto viene inciso da poche strade carrabili che conducono ai parcheggi interrati delle abitazioni e dei servizi, mentre una ragnatela di passeggiate lega i singoli spazi sino alla discesa al Ticino, senza attraversare alcuna strada veicolare. L’area è attraversata da una bretella autostradale che allaccia Pavia con la Milano-Genova e quindi assai appetibile per chi dovesse recarsi a Milano per lavoro. Questa infrastruttura, che assieme al fiume rappresenta uno dei punti di partenza


edifici con diversi livelli di gronda, con un andamento scalare, torri che sono sculture che scattano come saette, un fronte là in fondo che chiude la prospettiva, un lungo muro da cui trabocca il verde, tessiture in mattoni mischiate a intonaci ocra-grigi del colore della sabbia del fiume, una corte interna da cui traspare il suo carattere domestico e raccolto… Poi, verso tardi, dicono, ma ne sono certo, con una scusa qualsiasi si allontana da tutti e, solo, va giù al Chiozzo, si siede ad un tavolino di fronte al fiume, ordina vino dell’Oltrepò, tira fuori il suo quaderno di appunti e di getto butta giù quelle linee incerte che gli appaiono ai bordi dell’acqua. Segni impastati, tremuli che ogni tanto si addensano in grumi. C’è già un’idea. Poi annota: ” questo sistema acqua-verde (...) ha nelle rive del Ticino la sua meravigliosa sorgente genetica.” (dalla relazione di progetto). Remo Dorigati Note 1. V. Prina, Pavia moderna. Architettura moderna in Pavia e provincia 1925-1980, Edizioni Cardano, Pavia, 2003, pp. 233-36 e V. Prina, Alvar Aalto Progetto di complesso residenziale a Pavia, località San Lanfranco, 1966, in: “ Edilizia Popolare” n. 240, luglio-agosto 1995, pp. 44-59.

Veduta del modello.

Planimetria generale.

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dello schema di progetto, affronta uno dei temi contemporanei più affascinanti per la progettazione della città diffusa là dove le arterie di traffico veloce sono contigue o spesso integrate alla struttura urbana. Aalto propone di collocare alle due estremità dell’area edifici di natura commerciale con muri a protezione visiva e acustica e arretra le abitazioni, filtrandole con un ampio margine di verde. Ma non solo, egli pensa che l’andamento curvilineo sia un’eccellente risposta al problema del rumore e della vista poiché da ogni alloggio lo sguardo non si affaccia mai direttamente sull’autostrada ma si orienta verso prospettive che non sono mai assiali. Uno schema già collaudato dall’autore nel Dormitorio per studenti a Cambridge (USA), ma che qui a Pavia diventa un vero e proprio pezzo di città in cui la forma non è legittimata da ipotetiche permanenze storiche, ma dalle ragioni delle cose. Dato il luogo in cui doveva sorgere l’insediamento, egli apre lo sguardo al territorio per assumere come tema “ i problemi più importanti che (...) sono il fiume Ticino, la città di Pavia, la Basilica di S. Lanfranco e l’asse autostradale” . Ma è lo sguardo diverso con cui osserva questi fenomeni che rende questa esperienza del tutto originale. Molti storici, come L. Mumford, ritengono che il vero monumento storico della città di Pavia consista nella permanenza della maglia romana che ancora oggi appare in tutta la sua evidenza. Ma questo fatto indiscutibile spesso rappresenta un ostacolo ad una lettura più attenta alla città per cui accade che non si voglia vedere tutti quei processi di modificazione che si sono susseguiti nel tempo o, ancor peggio, che essi vengano semplicemente rimossi in quanto considerati trasgressioni e lacerazioni dell’integrità di uno schema perfetto di città ideale. Che non si vuol vedere perché non piace. Così viene rimossa la forte impronta medioevale data alla città che, per così dire, ha distorto e impastato la rigidità della maglia introducendo movimenti fluidi e spezzando lunghe prospettive con piccoli spostamenti di fronti e allineamenti. Modificazioni assai significative come quelle introdotte dall’inserimento dei palazzi barocchi e neoclassici come palazzo Mezzabarba (oggi municipio), palazzo Orlandi o palazzo Malaspina che producono importanti ribaltamenti urbani alla ricerca di spazialità che ne aumentassero il prestigio della ricca famiglia nobiliare. La corte interna si apre, il lato su strada lascia spazio ad un ampio vestibolo urbano alla cui fine è collocata la facciata aulica prospetticamente arretrata. A loro modo, come in epoca fascista, molti di questi interventi hanno rappresentato degli “ sventramenti” entro il tessuto compatto della città, ma oggi, a distanza di anni, molti di questi spazi aperti sono stati metabolizzati entro l’unità urbana. La storia della città ci restituisce una realtà fatta di stratificazioni, lacerazioni, rotture e permanenze. Il nostro sguardo deve saper cogliere anche le pieghe di una identità, rifiutando modelli di lettura astratti come gli unici attendibili. Quando Le Corbusier e Aalto percorrono l’Italia sulle tracce dei viaggiatori del Grand Tour, sui loro quaderni di appunti non disegnano, se non tangenzialmente, i grandi monumenti romani o rinascimentali, ma al contrario colgono le compressioni e le verticalità delle cittadelle toscane, il loro essere tutt’uno con la topografia, l’impasto dei materiali e il paesaggio che le accoglieva. Cercano, e quindi trovano, quelle forme generate dalla necessità e dalla libertà, non dai canoni. Cercano la purezza dei volumi e le loro infinite combinazioni, tentano di dare risposte ai nuovi problemi dell’abitare contemporaneo. Pongono delle domande, non accettano modelli già predeterminati. Si racconta che Aalto in visita a Pavia, per studiare l’area di progetto, sia stato accompagnato da alcune persone colte della città, con il compito di illustrargli la storia e i monumenti pavesi. Mentre gli spiegano la difficoltà di assegnare filologicamente ad un certo autore la paternità di un determinato progetto di architettura, lui sbircia nella strada vicina e vede


Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni

La strada a fondamento delle periferie

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La mutazione del territorio urbano lombardo trova riscontro nel modificarsi delle dinamiche della popolazione con una crescita maggiore nei comuni esterni alle città capoluogo, nei flussi pendolari, motivati non solo dalle relazioni tra residenza e lavoro, ma anche da cambiamenti più generali nei comportamenti e nei modi d’uso del territorio (1). La periferia come non luogo, dove la mancanza di spazi aperti, di piazze, di luoghi di incontro, di edifici per la collettività hanno svilito i fragili rapporti che sostenevano il viver civile. Oggi nelle periferie come in quelle della nuova urbanizzazione dispersa (2). La negazione dell’urbanità. Urbanità come qualità che interessa tanto gli assetti fisici quanto il sistema di relazioni favorendo rapporti improntati ai valori della convivenza civile e della socialità (3). La creazione di spazi sempre più separati da grandi distanze, di funzioni dislocate senza un’analisi ordinata e precisa inducono il corpo umano ad un isolamento e ad una mortificazione dei sensi. Al contrario, il bisogno del nostro corpo è quello di avere un continuo scambio e percezione tra spazi interni ed esterni. “ Le città sono sempre state un mezzo per realizzare un certo grado di simultaneità, di associazione e di consapevolezza tra gli uomini. In questo assolvevano per molti la funzione che la famiglia e la tribù avevano avuto per pochi. Oggi la tecnologia cancella ogni muro, ogni giustificazione della città” (4). La strada come corridoio, la piazza come stanza sono l’occasione per creare bellezza ed armonia, connessioni di lacerazioni. Luoghi ove il corpo si riconosca. Come ci insegna Piero Bottoni, l’arte urbanistica non è una tecnica astorica. Il QT8 perseguiva nuovi risultati nella sperimentazione architettonica centrata sull’integrazione: il quartiere, organico alla città, il parco con il Monte Stella parte intima del quartiere, ma anche il patrimonio dell’intera metropoli: le case, differenti e coerenti, inserite in un molteplice spazio sociale. Nota per lui l’importanza della strada vitale come elemento essenziale della città. Irrinunciabile ed essenziale componente della città viva (5). Chi sa ascoltare l’architettura, lo spazio umanizzato, la composizione urbana, il paesaggio, quando ha cercato di ascoltare anche quei pezzi “ città esplosa (...) brutta” (6). non ha udito, sentito (recepito con tutti i sensi) musica. “ Svagavano nell’aria suoni fessi o muti, cosa ben diversa dal silenzio delle pause, indispensabili nella composizione musicale“ (7). “ La musica non è forse la suprema delle arti che raduna a sé tutte le altre, compresa l’architettura?” (8). Come potremmo giudicare allora le nuove costruzioni finanziario e/o commerciali sparpagliate sul territorio? Il rumoroso silenzio ci dovrebbe cogliere attoniti. Questa città “ esplosa“ viene definita ” diffusa” . Aggettivo non sufficiente per indicare negatività né per indicare positività. Forse, al termine diffusa bisognerebbe aggiungere ” confusa” . Certamente ci troviamo di fronte ad un tessuto che ha perso consistenza, che si è ridotto allo spappolamento, con alterazioni tali che hanno prodotto gravi lesioni. A proposito delle lottizzazioni della città diffusa, Bernardo Secchi attribuisce discontinuità, eterogeneità, apertura, assenza di narrativa. Un mondo opposto a quello di tutti i grandi compositori. I modi d’uso dello spazio e del tempo metropolitani coin-

volgono così le stesse potenzialità semantiche dell’architett ura. Accant o alla drast ica riduzione della capacità dell’architettura di dar vita a spazi per il convivere, si verifica un altrettanto ridimensionamento della sua capacità di esprimere significati e di essere portatrice di senso (9). Si è testimoni di una caduta della abitabilità dei luoghi e una perdita di sentimento dell’abitare. Occuparsi non solo della configurazione materiale, ma anche della modalità d’uso e delle relazioni funzionali e sociali che interessano i luoghi, è un passaggio essenziale per un’analisi e una progettazione volte a restaurare e a conservare per la vita (10). Laura Gianetti

Note 1. Vedi C. Macchi Cassia, X Milano: indizi di uno scenario possibile, in Periferie e Nuove urbanità, a cura di F. Bucci, Electa, 2003, p.148. 2. Vedi G. Tonon, La strada come tramite della qualità urbana, in Op. Cit. p.186. 3. Vedi G. Consonni, Progetto urbanità per la periferia milanese, in Op. Cit. p.172. 4. L. Meneghetti, La partecipazione in urbanistica e architettura, Edizioni Unicopli, Milano, 2003, p.171. 5. Vedi Marshall McLuhan, The media Fit the Battle of Serico, in “ Exploration six“ , luglio 1956, traduzione italiana Spazio di relazione e spazio privato. Verso una nuova architettura urbanistica, Il Saggiatore, 1968, p.25. 6. G. Consonni, Urbanistica come medicina e musica, in C. Macchi Cassia (a cura di) Il progetto del territorio urbano, Politecnico di Milano, 1993, p. 196. 7. L. Meneghetti, Op. Cit., p.222. 8. B. Barilli in AA.VV. Wassilly Kandisky, tradizione e astrazione in Russia 1896-1921, catalogo della mostra della fondazione Mazzotta, Milano febbraio-giugno 2001, Mazzotta, 2001, p.41-42. 9. Vedi G. Consonni, L’internità dell’esterno, Clup Città Studi, 1989, p.174. 10. Ibid. p.184.


Festa per l’architettura alla Triennale di Milano Nel luglio 2000, a Parigi, il Forum Europeo delle Politiche Architettoniche decide di dare l’avvio a due importanti inziative: l’adozione di una Risoluzione europea per la qualità architettonica e il progetto GAUDI (acronimo di Governo, Architettura, Urbanistica, Democrazia, Interazione) che nel 2001 ha ottenuto un finanziamento europeo all’interno del programma Cultura 2000. Il progetto GAUDI, il cui fine è lo sviluppo dei rapporti che intercorrono tra cultura architettonica ed esigenze della società civile, coinvolge quattordici istituzioni appartenenti a nove paesi diversi. Il suo principale obiettivo è la promozione di un’architettura aperta ai cittadini, più vicina e comprensibile. L’ambizione è quella di offrire loro i mezzi per essere protagonisti attivi e reattivi di fronte alle decisioni inerenti l’architettura e la città. L’Istituto di Cultura Architettonica (ICAR), nell’ambito del progetto GAUDI, coordina, quest’anno, la Prima Festa Europea dell’Architettura 2004 pensata per sottolineare come l’architettura migliori la qualità della vita e dell’ambiente in cui viviamo. Si tratta di un’iniziativa presente già in molti paesi euro-

pei e sperimentata in Italia con un discreto successo nel 1998 con la Festa Italiana dell’Architettura, svoltasi dal 23 al 28 novembre. È in questo contesto che si iscrive il programma di attività organizzate dalla Triennale di Milano con il contributo della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Milano. Per due mesi, maggio e giugno, il Palazzo della Triennale di Milano ospita una serie di eventi, mostre, convegni sull’architettura e sul suo rapporto con le altre arti, il cinema e la letteratura, oltre ad un ciclo di visite dedicate alla ri-scoperta del patrimonio architettonico moderno milanese. Il programma, coordinato da Luca Molinari, si caratterizza per presentare una serie di eventi di impegno e complessità molto differenti. Due importanti seminari rappresentano il momento più complesso della programmazione della Festa per l’Architettura. Il primo di questi ha riguardato i tre giorni del convegno internazionale, che si è svolto in occasione dell’Assemblea Generale del Consiglio degli Architetti d’Europa, organizzato dal CNA e dal Consiglio degli Architetti d’Europa in collaborazione con la Consulta degli Ordini della Lombardia

Triennale di Milano di notte, foto del 1933.

e l’Ordine degli Architetti di Milano, seminario il cui tema è “ L’architettura e il mercato” . Su questo argomento si sono confrontati pubblicamente il 6 maggio (unico giorno di apertura al pubblico del seminario), rappresentanti degli Ordini e del Consiglio degli Architetti d’Europa oltre che amministratori, storici, economisti, esperti di comunicazione e imprenditori. Il secondo convegno, aperto al pubblico, invece ha affrontato il tema dell’utopia. “ Utopia e tradimento” è il titolo di questo Forum Internazionale curato da Luca Molinari che presentando il convegno ha scritto: “ Il Novecento è stato segnato nella sua storia politica, culturale e artistica dalla drammatica tensione e dialettica tra una visione utopica, di rinnovamento radicale della realtà e un continuo tradimento e fallimento degli ideali e dei suoi autori. Insieme, il secolo passato ha espresso una costante tendenza ad applicare la pratica della visione (progettuale e culturale) per delineare nuovi scenari, proporre mondi possibili, trasferire ideologie sociopolitiche in una pratica di riforma della città, del territorio e della vita di tutti i giorni. Per contro la realtà ha spesso opposto una tenace resistenza a questi slanci visionari proponendo una inerzia dei processi e insieme un diverso passo alla metamorfosi in corso (...) Il Forum internazionale vuole fare il punto su questa dimensione, latente ma fondamentale, di tutto

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A cura della Redazione

Marchio della Festa per l’Architettura.


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il ‘900 e insieme vuole riflettere su cosa significhi oggi parlare di visione, di utopia, di ideali, di politica in rapporto alle realtà che ci troviamo ad attraversare e su cui siamo chiamati a intervenire” . Il Forum è stato pensato come un momento di confronto fra i più importanti rappresentanti internazionali delle diverse discipline. Si è trattato di un dialogo aperto fra le parti che ha privilegiato lo scambio di punti di vista fra pubblico, moderatori e autori. Si è cercato, in sostanza, di evitare la “ conferenza passiva” . Da un punto di vista organizzativo si è pensato di dedicare la giornata (mattina e pomeriggio del 19 e 20 maggio) al confronto fra pubblico, maestri e nuovi protagonisti della cultura europea e internazionale. Le rispettive serate hanno invece visto dialogare alcuni dei più importanti protagonisti delle giornate con autori diversi. Con un riferimento ai noti “ Lunedì del Piccolo Teatro” , la Triennale ha, inoltre, organizzato i “ Lunedì dell’Architettura” con l’obiettivo di avvicinare il grande pubblico da un lato alla “ letteratura architettonica” e dall’altro ai modi in cui il cinema ha rappresentato la città. A partire dalle ore 19 di ogni lunedì si sono susseguiti due diversi appuntamenti. Il primo, Le voci dell’architettura, curato da Luciano Patetta, professore di Storia dell’Architettura presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, è consistito in un viaggio, sulla base di una sorta di sceneggiatura composta dal curatore stesso, attraverso i classici della letteratura architettonica, da Vitruvio a Le Corbusier. Attori del Piccolo Teatro, durante i primi quattro lunedì di maggio, hanno interpretato alcuni dei testi più significativi dell’antichità per arrivare al Seicento, secondo quattro questioni generali: la polemica contro il gotico e il barocco; la vita in villa; il progetto, la conservazione, il completamento e la demolizione; la figura di Leon Battista Alberti, i testi e le polemiche. Il ciclo prose-

guirà nei prossimi mesi secondo un calendario ancora da stabilire. Sempre il lunedì sera, dalle ore 21, Gianni Canova e Vittorio Magnago Lampugnani hanno selezionato quattro diversi film d’autore in cui la città reale o quella inventata appare come protagonista. Le città prescelte sono state Las Vegas (Un sogno lungo un giorno, di Francis Ford Coppola), Milano (Il posto di Ermanno Olmi), Lisbona (Lisbon Story di Wim Wenders) e New York (La 25° Ora di Spike Lee). Parallelamente agli “ Eventi” si sono svolte, sempre all’interno del Palazzo della Triennale, una serie di mostre e presentazioni di libri, che proseguiranno anche nei prossimi mesi. Fra le mostre ricordiamo quella dedicata ai risultati del Concorso per il Nuovo Palazzo della Regione Lombardia. Uno sguardo a parte lo meritano gli Itinerari di architettura milanese, iniziativa organizzata dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Milano, da un comitato scientifico coordinato da Fulvio Irace, professore di Storia dell’Architettura Contemporanea presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano, il cui obiettivo è stato l’incoraggiamento alla conoscenza degli edifici e dei quartieri che hanno segnato la storia e la cultura di Milano. Secondo quest’ottica sono stati individuati quattro diversi temi sulla base dei quali costruire le successive visite (visite effettuate durante le quattro domeniche di maggio), in particolare: la casa alta; il condominio; i luoghi del lavoro; l’edilizia popolare. Per ogni itinerario, condotto ogni volta da un esperto sul tema, è stata predisposta un piccola dispensa. Son proseguiti, inoltre, le visite ai cantieri, Cantieri aperti, già attivate dalla Triennale, con il sopralluogo al cantiere del teatro alla Scala di Milano e con la proiezione del documentario inedito dei lavori di restauro del Teatro della Fenice di Venezia.

Meridiana, la Casa in via S. Calimero, la direzione centrale della Banca Commerciale Italiana a Milano, Villa Crespi a Vigevano, oltre ai progetti e ai piani per la ricostruzione di Milano. Parteciperanno a questa giornata: G. Ballio, rettore del Politecnico di Milano, A. Monestiroli, preside della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, M. Fortis, direttore del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano, A. Bona, E. Bordogna, G. Canella, G. Cislaghi, M. De Benedetti, R. Duilio, C. Pellegrini, B. Podrecca, A. Quintavalle, G. Semino, A. Torricelli, D. Vitale, P. Worthington. La seconda giornata, che si svolgerà presso la sede della Banca Intesa a Palazzo Besana, è dedicata al contesto storico, politico e cul-

turale europeo in cui Giuseppe de Finetti si è formato e ha lavorato. Discuteranno di questi temi. E. Decleva, rettore dell’Università degli Studi di Milano, S. Brenna, F. Bucci, M. Lupano, G. Muratore, W. Oechslin, F. Pino. Infine, nel corso di una tavola rotonda a cura di A. Acuto, saranno discussi i progetti di de Finetti per Milano (tra gli altri quelli per la Fiera, per la Darsena, per i Navigli e per l’aeroporto di Malpensa) anche in relazione ai futuri assetti del territorio lombardo. Durante il Convegno verrà presentato il catalogo multimediale delle opere di de Finetti, realizzato dal Laboratorio Informatico del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura: Giuseppe de Finetti, architettura e città.

Villa Crespi ai Ronchi di Vigevano 1936-1940, foto di Marco Introini realizzate in occasione del convegno.

Fronte principale verso la marcita.

Martina Landsberger

Un convegno internazionale sulla figura di Giuseppe de Finetti Corpo principale e terrazza verso la marcita. Il 7 e 8 giugno 2004 si terrà a Milano un Convegno internazionale dedicato alla figura e all’opera di Giuseppe de Finetti (1892-1952), architetto e urbanista milanese allievo, a Vienna, di Adolf Loos. Il Convegno, organizzato dal Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano, in collaborazione con l’Archivio Storico della Banca Intesa e con il contributo del Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, intende, da un lato, riscoprire l’opera di un maestro dell’architettura italiana che, per la sua intransigente ricerca di una modernità legata alla tradizione,

spesso è stato giudicato “ scomodo” , dall’altro, invece, intende riconoscere l’attualità della figura di de Finetti nelle proposte di sviluppo radicate storicamente nella città di Milano e sperimentate anche attraverso un suo forte impegno nella vita politica della città dell’immediato dopoguerra. Su questi temi sono stati chiamati al confronto studiosi italiani e stranieri, testimoni e amministratori pubblici. Nella prima giornata del Convegno, che si terrà presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, verranno esaminati i principali progetti architettonici e urbani di de Finetti: la Casa della

Particolare fronte sud-est.


Terragni architetto europeo fico si stava affacciando, un nuovo strutturalismo linguistico si era già costituito, basta pensare a Chomsky e a Barthes, al quale il nostro architetto deve un debito di pensiero, visto che l’architettura ha un’“ onda lunga” rispetto alle altre arti. Sembra essere stato questo il tentativo di Libeskind, una sorta di rilettura retorica tesa alla dimostrazione che in ogni sua architettura vi fosse un “ frammento” di Terragni, una volontà quasi ritardataria e anacronistica di sostituirsi alla celebre, quanto provocatoria, frase di Eisenman. Vorrei quindi riquadrare l’intervento di Libeskind in questo contesto, in questa, a sua volta, ri-lettura della “ questione Terragni” , come nel pomeriggio ha giustamente rammentato Paolo Portoghesi dentro la Casa del Fascio, trasformata per l’occasione in un vero e proprio teatro. Un intervento distante da quello della mattina basato sulla lettura di alcuni scritti storici sulla figura di Terragni e sul suo lavoro, sul rapporto con la committenza e sulla storia fascista del nostro paese. La lettura, a volte frammentata da piccoli interventi personali, si è tutta concessa elegantemente nella direzione dello spirito dialettico della giornata: ripensare a Terragni e alla cultura architettonica europea - questo il messaggio distaccato e la speranza anche per il proseguimento degli eventi. La giornata ha anche visto l’apertura di una mostra dentro lo spazio dell’ex chiesa di San Francesco e di una sezione multimediale dal titolo “ Terragni fra ragione e utopia” che verrà proiettata da qui fino a settembre tutte le sere, restituendo finalmente alla città questo spazio urbano unico per tensione e bellezza.

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Immagine di Giuseppe Terragni (copyright Centro Studi Giuseppe Terragni).

Francesco Fallavollita

Casa del fascio di Como con le immagini della mostra multimediale (copyright Francesco Corbetta).

Casa Rustici, Milano (copyright Centro Studi Giuseppe Terragni - Paolo Rosselli).

Casa del fascio, Como (copyright Centro Studi Giuseppe Terragni - Paolo Rosselli).

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Inaugurato a Como l’anno dedicato all’architetto Giuseppe Terragni, di cui ricorre il centenario della nascita (1904-2004). Le manifestazioni si sono aperte nella sala delle conferenze di Villa Erba a Cernobbio dove Daniel Libeskind, uno degli architetti più in vista del momento, ha tenuto una conferenza dal titolo “ Life after life: what I love about Terragni” . Ed è stato proprio così, una conferenza tutta costruita sul rapporto visivo e formale tra l’architettura di Terragni e quella di Libeskind. Sono lontani quei tempi dove sulla rivista “ The Harward Architetture Review, vol.3, 1984” quest’ultimo scriveva un articolo dal titolo “ Peter Eisenman and the Mith of Futhility” ; ma la vicinanza intellettuale a quello scritto sembra essere rimasta, anzi sembra essersi consolidata e affermata come posizione del fare architettura. Un intervento tutto strutturato ad evidenziare l’approccio spiritual-formalistico dell’architetto comasco mettendo in risalto il tema della costruzione di grandi e spettacolari scenografie “ terragnesche” grazie alla struttura e alla luce, al colore e ai riflessi. Lettura questa, di un architetto che, per quanto esposto nell’incontro, ha astratto dalle architetture di Terragni una posizione ben lontana dalle più classiche letture e ri-letture; a partire da quella di Ciucci, Tafuri, per arrivare fino all’analisi “ matematico-geometrica” di Peter Eisenman. Tutti ricordiamo, a proposit o di quest’ultimo, la frase ormai simbolo dell’apertura di una stagione nuova nel campo dell’arte e dell’architettura: “ Terragni non esiste. Terragni l’ho inventato io. Terragni sono io” (Peter Eisenman affermerà questo concetto in un convegno pubblico). Quelli erano anni lontani, un nuovo pensiero filoso-


Conversazioni a cura di Antonio Borghi

Intervista a Giancarlo De Carlo • Il Centro Pompidou ha recentemente inaugurato la mostra “Giancarlo De Carlo, des lieux, des hommes” (21 aprile-14 giugno 2004) il cui titolo richiama l’importanza dei luoghi e delle persone nella sua poetica progettuale. Eppure la sua è anche un’architettura in-

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dividuale e disegnata, piuttosto diversa dall’idea corrente di architettura partecipata. Come intende il rapporto dell’architettura con i luoghi e le persone? • Il Centro Pompidou ha una piccola collezione di progetti del Team X e da tempo era interessato ad aggiungere qualche mio lavoro. Mi hanno chiesto di partecipare alla loro collezione ed io ho dato loro alcuni disegni - specificando che il grosso del mio archivio è a Venezia perché voglio che rimanga in Italia. Qualche tempo dopo mi hanno chiesto di più, mi hanno proposto di fare una mostra. Abbiamo discusso sul titolo e il taglio e il Centro ha trovato la formula che poi è rimasta, un po’ aulica, ma che corrisponde ai miei interessi di fondo. Mi sono sempre occupato dei luoghi pensando agli esseri umani: un posto non è un luogo se non c’é l’uomo; altrimenti c’é solo lo spazio. L’essere umano dà sostanza allo spazio con la sua presenza, lo modifica e si esprime attraverso i suoi cambiamenti. Quando sono andato a Parigi ho detto che non volevo una mostra ” ferma” , bloccata all’interno di un periodo - non sono mai stato fermo in tutta la mia vita! Volevo una mostra vivace, polivalente, che scavasse in varie parti della mia produzione. Rispetto al titolo, forse nel mio lavoro c’è qualcosa di più o di meno, ma tutto sommato rispecchia quello di cui mi sono sempre occupato. • Quindi non si riferisce esclusivamente all’architettura partecipata. • Quella partecipata è una particolare modalità dell’architettura, ma è anche vero che la vera architettura è sempre partecipata. Niente a che fare con quello che produce lo star-system di oggi, og-

gettoni che possono stare a Shangai o in Sudafrica. Queste cose con la gente non c’entrano niente. • Un esempio di questa partecipazione è stato anche il suo progetto per i Nuovi Giardini di Porta Nuova sull’area Garibaldi-Repubblica. Com’è stata questa esperienza? • Quando ho visto il bando ho pensato che avrei voluto partecipare con un gruppo di giovani di Milano. Gente che ama Milano, la conosce, la critica e vuole contribuire a trasformarla. Per questo ho accolto con grande piacere la sollecitazione a fare il capogruppo. Abbiamo lavorato molto e non mi sono limitato a fare il capogruppo: ho preparato programmi che sono stati discussi, elaborati e condivisi. Ho trovato questi giovani eccellenti, appassionati e competenti. Abbiamo lavorato bene ed è stata un’esperienza che mi ha fatto piacere perché mi ha rinfrescato e mi ha dato fiducia. Purtroppo l’ambiente del concorso era superficiale e incerto (anche se la Giuria era composta di persone serie, nella maggioranza) come tutti gli ambienti promossi dalla burocrazia milanese, ampiamente al di sotto del valore di questa città. Una burocrazia ignorante che governa la città da quarant’anni in modo deplorevole e che adesso si è messa in testa di fare grandi opere senza sapere neanche cosa sono. Una delle tesi del nostro progetto è che Milano è sempre stata disegnata per paesaggi, come aveva fatto il Piermarini alla fine del ‘700 nel tratto di via Palestro, i Bastioni, Giardini di Porta Venezia, via della Moscova, e avanti fino all’Arena. Un paesaggio che ha entusiasmato Stendhal e Hemingway e all’interno del quale si andava poi a costruire. Forse, avendo perso, non dovrei criticare il progetto che ha vinto, eppure questo potrebbe essere realizzato ovunque, perfino a Kuala Lumpur. È come se Milano si fosse comprata un quadro e ora se lo mettesse in salotto: non avrà alcun effetto sulla città. I problemi di quell’area sono assai complessi perché contiene una parte fondamentale dell’infrastruttura di Milano; però in quel progetto non vedo traccia di consapevolezza in questo senso. Forse è stata persa una grande occasione: non di avere me come progettista, ma di avere un gruppo di giovani competenti e appassionati che lavorano a Milano e sanno come vorrebbero che fosse. È una perdita imperdonabile perché una città che guarda avanti pensa anche a formare i quadri che dirigeranno il suo sviluppo. • Nei dibattiti urbanistici attuali ricorrono spesso gli schemi elaborati per il Piano Intercomunale trenta anni fa e ci sono idee che continuano a dare frutti, ad esempio nel nuovo tracciato della pedemontana. Sono questi i tempi

dell’urbanistica o è un problema della “ palude milanese” ? • Ci sono diversi fattori che concorrono. Da un lato ci vuole tempo perché le idee vengano comprese. Allora mi avevano perfino deriso: dicevano che io volevo fare una turbina intorno a Milano. Questa era la rappresentazione di un’idea, una figura che avrebbe tenuto insieme 114 comuni e regolato i loro rapporti reciproci contando sugli apporti della natura e dell’ambiente. Il fatto è che abbiamo una burocrazia deprecabile che per capire e realizzare un’idea ha bisogno di decine di anni. Eppure Milano non era così, non era paralizzata dalla stanchezza generale di oggi. Viviamo sotto un dominio spropositato della finanza: i committenti illuminati dei due secoli scorsi sono stati sostituiti da anonimi amministratori delegati che dirigono importanti enti con enormi disponibilità di denaro; ma domani faranno qualcos’altro, per cui non c’è più chi abbia interesse a rappresentarsi attraverso l’architettura. • A proposito del Nord Milano, lei dopo tanti anni torna a progettare a Sesto San Giovanni, in un’area che a torto o a ragione viene definita periferia. Che cosa è la periferia e cosa comporta fare architettura in periferia? • Quello di Sesto San Giovanni è un piccolo progetto per concorrere a un finanziamento regionale. Si tratta di riqualificare un quartiere piuttosto degradato, quello delle Torri. Il principio è quello di rompere la monotonia del quartiere con interventi che riequilibrino l’ambiente fisico e sociale e di costruire luoghi a misura d’uomo per riacquistare un’identità nella quale le persone possano identificarsi. Chi ci abita oggi è come se stesse su un treno – pronto a scendere alla prossima fermata – non si sente legato al quartiere: da lì nascono i disagi, le tensioni e la non manutenzione, che è uno dei fenomeni più gravi di questi luoghi. Si tratta di un progetto preliminare che prevede un insieme di piccoli interventi; un lavoro minuto per costituire luoghi d’incontro e ragioni per occuparsi delle cose che si hanno intorno. L’architettura può e deve impegnarsi su questi obiettivi. • Dunque l’architetto può avere un ruolo attivo nella riqualificazione delle periferie. • Certo che può averlo. Quello delle periferie è uno dei grandi problemi che abbiamo davanti. Dire che le periferie fanno schifo è troppo facile e soprattutto non è vero. Le periferie hanno tante qualità e molta energia. Tra le periferie milanesi ce ne sono alcune che si sono rialzate con le loro forze. Portano i loro difetti, le loro ferite e le loro cicatrici profonde, ma si sono risollevate da sole. Altre si potranno rialzare se gli architetti lavoreranno su questi temi con impegno e immaginazione.

• Le politiche urbane tendono a non considerare più l’architetto l’interlocutore principale a favore di chi detiene il potere economico: developer e alta finanza. La priorità è quella di fare operazioni a costo zero. Qual è oggi e quale potrà essere domani il ruolo dell’architetto nei progetti urbani, nella costruzione della città? • Uno dei ruoli principali dell’architetto, preliminare a quello della progettazione, è quello di svelare. Questa storia del “ costo zero” non è vera. Forse continueranno a sostenere che sarà a costo zero il giardino dell’area Garibaldi, ma sappiamo bene che cosa ha investito la comunità su quell’area, ricca di infrastrutture costosissime. Gran parte delle cosiddette operazioni a costo zero sono basate su questo principio: noi vendiamo la città e loro costruiscono e guadagnano. Non ci chiedono una lira perché guadagnano già abbastanza. Questa è la verità. L’architetto deve svelare queste situazioni ambigue – non può far finta di niente ed essere contento di avere l’incarico – deve scegliere, denunciare le operazioni dubbie per non tradire le persone per le quali lavora: i cittadini. Siamo attorniati da colleghi che mentono, che pensano che il loro compito sia solo di svolgere gli incarichi affidati, ma secondo me l’architettura è molto di più. L’architettura ha un significato importantissimo: gli uomini esistono perché possono proiettarsi nello spazio. Se togliamo loro questa possibilità, gli impediamo di espandersi e di essere veri esseri umani. In questo caso non facciamo architettura: facciamo il mestiere come si fa qualsiasi altro mestiere. L’architetto è qualcosa di più, lascia segni che durano, che influiscono sugli esseri umani generazione dopo generazione. Deve avere piena consapevolezza dei suoi atti e saper dire di no. Io ho cercato ogni volta di scegliere e per questo ho lavorato molto meno di altri, ma questo non è importante. Non credo di fingere, né di essere pazzo. Al contrario sono molto realista e penso davvero che fare l’architettura sia una responsabilità civile. Penso anche che l’architettura deve riconcettualizzarsi, cambiare punti di vista e interessi. Il mondo è fatto di cose diverse da quelle che l’architettura sta perseguendo oggi. Chi se ne infischia del progetto di Libeskind a Ground Zero, che assomigli o no alla Statua della Libertà? Alla gente interessano i problemi reali che hanno a che fare con lo spazio in cui vivono. Come aveva f at t o a suo tempo il razionalismo, l’architettura deve riformulare i problemi reali e reinventare i suoi linguaggi. Deve trovare il modo di coinvolgere di nuovo le persone con espressioni dirette, scoprire modi d’espressione che magari sembreranno ingenui, ma che invece rappresenteranno quello che la gente vorrebbe dire.


Sistemazione della piazza Chiesa ed aree limitrofe ad Arosio (Co) L’Amministrazione Comunale ha promosso questo concorso nel luglio 2003, per riqualificare alcune aree nel centro storico e, in particolare, lo spazio antistante l’accesso alla chiesa e il sagrato. L’attuale piazza Chiesa è delimitata dalle vie: S. Giovanni Bosco ed Emiliani sul lato nord, dalla via degli Alpini sul lato sud e dal viale Grandi Invalidi sul lato ovest. I percorsi automobilistici lambiscono il sagrato della chiesa; un’ampia area a parcheggio si sviluppa dalla chiesa in direzione sud; in parte deriva dalla recente demolizione di un fabbricato in disuso. Altro elemento caratterizzante l’area di intervento è la stazione ferroviaria ed il passaggio a livello sulle Ferrovie Nord Milano, posto

di fronte al sagrato. Esso collega la piazza al viale Grandi Invalidi, recentemente riqualificato. Oltre alla chiesa parrocchiale, non vi sono altre presenze architettonicamente rilevanti. Le aree oggetto di intervento sono state concesse in uso all’Amministrazione comunale con apposita convenzione con la Parrocchia dei S.S. Nazaro e Celso ed individuate nel P.R.G. vigente “ aree di uso pubblico” e viabilità esistente. Ai concorrenti è stata chiesta l’elaborazione di una proposta ideativa estesa all’intero sedime della piazza, al suo arredo urbano ed alla viabilità del suo immediato intorno perimetrato dalle vie sopra citate; l’individuazione dei materiali ed elementi di arredo urbano.

1° classificato Andrea Savio con Sabrina Gallini

ficie a verde (piantumazione esistente) di forma triangolare. Il sagrato, nel progetto, si configura come una superficie delimitata da linee curve, centrata sull’ingresso principale della chiesa, ma dilatata anche verso sud, così da accogliere il percorso secondario di accesso al transetto e connettersi, infine alla piazza adiacente dove è situato il parcheggio delle autovetture. Il limite del sagrato verso la ferrovia è segnato da un dislivello che varia da 0 a cm 65 circa; il profilo curvilineo è sottolineato dall’inserimento di alberi, panchine e pali

Il progetto propone la razionalizzazione del sistema viabilistico, la creazione di un ampio sagrato connesso alla chiesa, la ridefinizione della superficie destinata a parcheggio e la costituzione di un’ampia superficie destinata a verde. Lungo il lato ovest (verso via degli Alpini) è stata inserita una fascia di verde piantumato, tra il marciapiede e la recinzione esistente delle ferrovie; a nord del passaggio a livello sono stati creati un ampio marciapiede ed una super-

per l’illuminazione disposti in modo tale da creare una sorta di “ quinta” per la facciata della chiesa. Il punto centrale del sagrato è stato lasciato volutamente libero, così da consentire l’inquadramento prospettico del fronte della chiesa dall’asse di viale Grande Invalidi. La struttura morfologica del progetto è segnatamente contraddistinta dalle linee curve che delimitano il sagrato, i percorsi, la zona a verde. Questa scelta consente di ottenere un disegno organico e unitario risolvendo le irregolarità geometriche delle diverse giaciture che caratterizzano il contesto. Le linee curve coincidono con il limite dei percorsi e dei dislivelli di

progetto e vengono sottolineate da cambi di materiale, dalle alberature e dagli elementi di illuminazione e di arredo previsti. Tutta la superficie occupata dal sagrato, i percorsi pedonali ed i marciapiedi posti ai lati della nuova strada saranno pavimentati con cubetti di porfido posati a coda di pavone nel rispetto di una tradizione consolidata in Lombardia, in materia di arredo urbano, ed in continuità con l’intervento, da poco ult imat o, di nuova pavimentazione del viale Grande Invalidi. I cordoli dei marciapiedi così come i cordoli del sagrato che segnano i dislivelli tra i diversi piani saranno in granito grigio (Montorfano).

2° classificato Francesco Corti con Ernesto Colombo, Davide Corti, Davide Corti

con tutta l’unità della piazza. Le due “ lingue” che proiettano le facciate storiche della chiesa, lungo la componente orizzontale e che sembrano galleggiare sulla sottostante vasca d’acqua, sono caratterizzate da pendenze e materiali diversi: una pavimentata con lastre di ardesia e l’altra con lastre di travertino. La stessa pavimentazione di travertino verrà utilizzata per il sagrato e la piastra a copertura dei parcheggi. La piazza si conclude con una piastra raggiungibile da un’ampia rampa di collegamento, sulla quale sono presenti due parti coperte di cui una rialzata e più ampia, e l’altra a copertura del corpo scala che collega la piazza alla zona parcheggi.

Gli spazi del progetto si articolano su tre ambiti principali: uno spazio antistante le facciate della chiesa; uno spazio centrale situato ad una quota superiore atto a svolgere la funzione di “ sagrato” , una zona più ampia, punto di incontro di più funzioni, costituita da una piastra con sottostante area a parcheggio. L’area antistante l’accesso alla chiesa, entra nella strada negando le linee del tracciato stradale per andare ad evidenziare, con un fluido innalzamento delle quote, uno spazio caratterizzante e privilegiato da cui potersi rapportare

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Concorsi

A cura di Roberto Gamba


Concorsi

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Il disegno e il gioco delle forme è valorizzato anche nello scenario notturno attraverso un utilizzo scenografico dell’illuminazione artificiale, trattata in tre differenti tipologie (fari puntiformi dal basso per le grandi superfici verticali, fasci di luce diffusa, luce zenitale proveniente da steli metallici per gli spazi funzionali). La piastra è volutamente priva di elementi di arredo urbano onde permettere la sua ampia versatilità; inoltre si affaccia su uno spazio verde posto a livello dei par-

cheggi percepibile e raggiungibile anche dal “ sagrato” . Il dislivello della piastra rispetto al sedime stradale (via degli Alpini) è enfatizzato dalla presenza di un setto in muratura, che annulla la percezione del livello inferiore destinato a parcheggi. La zona parcheggio, per un totale di 50 posti auto, è parzialmente coperta dalla piastra di cui una parte, scoperta ma allo stesso livello, è destinata a verde attrezzato racchiuso dalla rampa di risalita.

3° classificato Danilo Duroni, con Andrea Meregalli e Elena Mottadelli

La piazza alta ha un ingombro complessivo di m 80x10 con un’altezza variabile che segue l’andamento del sedime stradale. La prima parte della piazza ai piedi della chiesa, assume la connotazione di sagrato vero e proprio. Un’ampia scalinata rivolta ad ovest, verso il passaggio a livello, accoglie le persone provenienti da via Grandi Invalidi. Una serie di muretti trasversali in cemento a vista bocciardato, prospicienti la strada, assumono la funzione di sedute e concorrono a movimentare il prospetto. Entrambe le suddette aree sono caratterizzate da scalinate realizzate da ampi gradoni. La piazza alta è rifinita con parapetti, in ferro zincato a caldo, sull’intero perimetro della stessa. La piazza bassa è realizzata con una maglia quadrata regolare che riprende la conformazione del perimetro. È realizzata con alveolari in cemento armato a vista, di profondità tale da poter accogliere le piantumazioni.

La geometria del disegno bidimensionale della piazza è stata abbandonata a favore di uno spazio progettato tridimensionalmente per volumi, per pieni-vuoti in grado di definire e di aumentare le superfici in gioco. Il progetto è riassumibile in 4 “ livelli” : il parcheggio interrato, elemento forte ma discreto del progetto pensato per liberare la strada dallo stazionamento delle auto in sosta e rendere disponibile una maggiore quantità di spazio in superficie; la piazza alta, la piazza bassa, la viabilità ed i percorsi. Tutte le aree di sosta attualmente sparpagliate sulla piazza, sono state aggregate ed interrate. L’area destinata a tale intervento si colloca lontano dalla chiesa, nell’area quadrangolare tra l’oratorio e le abitazioni, mantenendo nell’interrato il perimetro superiore, sviluppandosi poi, lungo l’asse guida del progetto in direzione nord.

Riqualificazione urbanistica delle aree del centro storico di Mariano Comense (Co) Il Concorso aveva lo scopo di acquisire la migliore proposta ideativa per la riqualificazione urbanistica, architettonica, culturale e sociale, della vasta area, ora in parte abbandonata e degradata, posta nel centro storico di Mariano Comense, in provincia di Como, compresa tra le vie Risorgimento, d’Adda, Montebello, Palestro. Un’area caratterizzata dalla presenza di edifici di particolare valore “ simbolico” e architettonico: il Municipio, la Villa Sormani con il suo parco, la “ Cà di passer” , peraltro in parte soggetti a vincolo monumentale. L’obbiettivo era quello di costituire un polo di aggregazione in grado di rivitalizzare il centro storico attraverso la localizzazione di nuovi insediamenti e servizi, ed attraverso il recupero funzionale e architettonico della Villa Sormani e del relativo Parco. Erano richieste soluzioni, possibilmente innovative, di ridisegno planimetrico, di arredo urbano e anche eventuali riconfigurazioni planivolumetriche, con particolare attenzione all’uso

collettivo e pedonale del suolo, linee guida per il restauro conservativo e riconversione a funzioni pubbliche della Villa Sormani e del Parco. Il tutto doveva mirare a definire, entro un quadro di assetto di insieme del sistema pubblico, i punti di riferimento necessari ai successivi approfondimenti progettuali e/o per la stesura di normative e regolamenti specifici da adottare. In particolare si doveva demolire il fabbricato dell’ex “ Cinema Astor” (edificato nel 1965 - mc circa 9700); utilizzare l’area recuperata dalla demolizione, nonché delle aree di proprietà comunale e/o da acquisire, per realizzare una piazza, un nuovo/i fabbricato/i, da destinare, parte a residenza, commercio e uffici, e parte a funzioni pubbliche di tipo istituzionale ma anche di ricreazione, spettacolo e informazione, il recupero funzionale della Villa Sormani. L’ambito oggetto della proposta è individuato nel centro storico, delimitato dalle vie Risorgimento, D’Adda, Montebello, Palestro.

1° classificato Corrado Tagliabue, Paolo Brambilla, Stefano Seneca, Mauro Montagna

prendono il passo strutturale dei nuovi edifici, determinano la scansione delle finestre e la modularità dei pannelli. Nell’ala nobile della Villa Sormani trovano collocazione gli spazi di rappresentanza dell’amministrazione, mentre gli uffici saranno collocati al piano superiore. Sempre al piano terreno verranno attrezzate delle sale atte ad accogliere le varie associazioni. La pro-

La Villa, il Parco, i nuovi edifici e tutto lo spazio progettato vengono organizzati utilizzando una griglia modulare di m 5 x 5, sottolineandone misure, ritmi e alternanza di pieni e vuoti. Queste linee disegnano il pavimento, ri-


stre saranno visibili dall’interno, ma anche dalla piazza e dal parco sul quale si affaccia. La prospettiva distorta tra il muro storico e la vetrata segna il percorso che dal vicolo conduce sulla nuova piazza e verso l’ingresso del nuovo padiglione espositivo. L’edificio biblioteca è costituito da due corpi; il primo si sviluppa su tre livelli, contiene il bar caffetteria che si affaccia sulla piazza gli uffici e i servizi della biblioteca. Il secondo volume contiene lo spazio lettura, caratterizzato da una facciata in graniglia di cemento sagomata da 24 piccoli tagli verticali che risvoltano anche sul piano copertura; lo spazio “ introverso” della sala lettura è così connotato dalla luce naturale che pervade al suo interno dividendo gli ambienti di lettura. Al piano terra, al di sotto della biblioteca trova collocazione l’emeroteca che dà l’opportunità di accesso alla lettura direttamente dalla piazza e dal parco.

vede il consolidamento strutturale dell’edificio in mattoni e pietra, della volta nell’atrio al piano terreno e la realizzazione di una copertura trasparente in ferro e ve-

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3° classificato Luciano Crespi, Patrizia Brivio, Marino Crespi, Osvaldo Pogliani, Fabio Reinhart, Dario Sironi; collaboratori: Nicola Caminito, Andrea Colcuc, Enrica Lavezzari, Simone Proverbio, Nicoletta Silva, Alberto Stallone

2° classificato Alberto Bertolini, con Alessandra Galli; collaboratori: Guido Baldrati, Martino Bisaccia, Lucio Visintini, Maria Silvia Cadario, Raffaella Donatelli, Simone Poletti La nuova piazza riprende le proporzioni del giardino che nel Catasto Teresiano (1722) e nella carta disegnata dal Brenna (1837) è compreso tra la “ casa di affitto” e l’esedra di ingresso al parco. Il parterre rettangolare della piazza è aperto sul verde ed è costituito da una pavimentazione in porfido, scandita da fasce ortogonali di pietra bianca. Sul lato della via Palestro la piazza è delimitata da un nuovo muro, costituito da tre ordini di sedute in legno, che fungono anche da lunghe panche su cui sostare e da cui contemplare il parco. Punto focale della nuova piazza è l’esedra d’ingresso con al centro una fontana semicircolare. Il nuovo edificio viene proposto come fondale della nuova piazza riprendendo la pianta rettangolare della “ casa di affitto” e riproponendo i rapporti originari tra “ pieni e vuoti” riscontrati nella mappa

del Catasto Teresiano. L’edificio, alto tre piani, ospiterà la nuova sala civica e la nuova biblioteca. E’ quasi completamente vetrato su tutti i lati e costituisce la testata conclusiva dell’isolato su via Palestro e allo stesso tempo il fondale prospettico dell’asse nuova piazza - municipio. Dal punto di vista architettonico si è fatto riferimento alle serre costruite all’interno dei parchi e dei giardini delle ville storiche. Il progetto prevede la valorizzazione di Villa Sormani che diventa il cardine principale del sistema culturale-espositivo. Nell’ala di rappresentanza della villa al piano terreno, con i saloni decorati con soffitti a cassettoni e camini in marmo nero di Varenna ed in pietra d’epoca, si prevede un percorso espositivo. Nei rustici della villa si prevede invece la collocazione del museo archelogico con spazi per esposizioni temporanee. La Cà di Passer, edificio a torre quadrangolare utilizzata in passato come magazzino agricolo, viene trasformata in “ contenitore” espositivo in continuità con il percorso museale della villa e dei rustici. Dal punto di vista del restauro si pre-

tro. Il parco verrà ridefinito con una composizione che ripropone alcuni caratteri del giardino prospettico all’italiana e del giardino paesaggistico all’inglese.

La nuova piazza dà forma ad un luogo altro rispetto a quello rappresentato da piazza Roma. La lunga galleria, sorta di passage, puntata in direzione della “ Cà di passer” , ampliata e destinata a spazio espositivo, organizza un nuovo dispositivo architettonico, destinato a definire i limiti delle piazza stessa e a contenere funzioni, come la biblioteca, la sala civica, le attività commerciali, capaci di trasmettere energia al luogo. Sempre dalla piazza si può accedere sia al parco, attraverso la “ porta” posta tra la biblioteca e il nuovo edificio disposto lungo la via Palestro, sia alla piazza Manlio che, resa pedonale, acquista una nuova identità, in grado di valorizzare il carattere per così dire metafisico e dechirichiano di alcuni degli edifici che la delimitano. L’obiettivo di restituire il parco e la Villa Sormani alla città viene affidato ad una serie di provvedimenti che si potrebbero definire di restauro urbano, l’introduzione di un nuovo percorso pedo-

nale che, inserendosi in modo naturale, mette in comunicazione la nuova piazza con il parcheggio di via Risorgimento. Mentre, per ciò che riguarda la configurazione dei “ materiali vegetali” presenti, si limita ad introdurre un nuovo filare di tigli, a protezione e sottolineatura del tratto del nuovo sentiero esterno al confine del parco, l’abbattimento delle alberature compromesse o vistosamente estranee alla natura del luogo e la realizzazione di un nuovo piccolo, prezioso giardino di carpini, dal disegno più “ formale” , nella zona compresa tra l’antico muro esistente, e conservato, disposto lungo la via Garibaldi e l’inizio vero e proprio del parco stesso. Per quanto riguarda la villa, il progetto prevede l’inserimento di funzioni capaci di assecondare il suo impianto, che non necessitano, cioè, di misure destinate a comprometterne la tipologia. Il progetto restituisce alla sua configurazione originaria il portale a tre fornici e due colonne, oggi murate, che è presente nella corte di via Risorgimento. È ora completato dal portico/galleria su cui si impernia la nuova architettura progettata e dall’ingresso al parco da via Palestro che, posto in corrispondenza di uno dei grandi cedri azzurri, restituisce, anche visualmente, il parco alla città.

Concorsi

posta di sistemazione del parco prevede un ampliamento e riqualificazione del giardino paesaggistico esistente. Nella forma attuale coesistono elementi che probabilmente appartengono ad un disegno originario (aiuola formale all’interno della corte, grande prato centrale con cortine vegetali, filari di tigli), elementi caratteristici di interventi di riqualificazione della prima metà del ‘900 (cedri e conifere in varietà, magnolia a cono al centro della corte) ed elementi recenti di trasformazione incoerente (con la sola eccezione di qualche intervento di diradamento) verso sud a definizione del prospetto sud. Il filare di tigli ad ovest viene sostituito da una carpineta all’interno della quale sono ricavati tre spazi di sosta ombreggiati. Il muro vincolato posto lungo via Garibaldi definisce lo spazio espositivo, una scatola diafana protetta dalla piastra di copertura contiene il nuovo centro culturale di Mariano; le mo-


Legislazione a cura di Walter Fumagalli

Il Paesaggio delle periferie

Professione e Aggiornamento

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Salvo alcune rare eccezioni, tutti i comuni italiani, da quelli più grandi e rinomati in ogni parte del mondo, a quelli più piccoli e meno conosciuti, hanno un loro centro storico, di cui giustamente ciascuna comunità locale va fiera. Da almeno trentacinque anni, cioè dell’entrata in vigore del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444, le norme urbanistiche riservano particolare attenzione alla salvaguardia ed alla valorizzazione dei pregi architettonici ed ambientali che costituiscono le caratteristiche di maggior rilievo dei centri storici. Tali norme hanno indubbiamente rappresentato uno strumento di cui gli amministratori pubblici, seppur con alterne fortune, hanno potuto avvalersi per tentare di fronteggiare le spinte speculative e promuovere processi di recupero e di riqualificazione. Ma se tanta cura è stata dedicata alla tutela dei centri storici, si può dire che il legislatore abbia prestato analoga attenzione alla salvaguardia delle periferie? Decisamente no, tant’è che, nel comune sentire, molto spesso la periferia viene considerata e viene vissuta come un luogo in cui predomina un’architettura di scarsa qualità, ed il concetto di periferia è sovente accomunato a quello di degrado ambientale, ed alle volte addirittura di degrado sociale. Eppure le porzioni meno centrali degli attuali centri storici spesso sono nate, e si sono poi sviluppate negli anni, come periferie di nuclei urbani ancora più antichi, periferie magari meno ricche di monumenti ed opere d’arte, ma concepite a misura d’uomo e costruite con quel gusto e quelle qualità architettoniche che oggi riteniamo meritevoli di particolare tutela. Perché, quindi, non definire un sistema di regole che garantiscano il rispetto di determinati standard qualitativi, architettonici ed ambientali, anche nella costruzione delle periferie? In questa prospettiva, da qualche tempo si può registrare un nuovo approccio al problema delle periferie: si sta infatti facendo largo, anche se in modo abbastanza titubante e non senza qualche contraddizione, il concetto per cui anche le attuali periferie concorrono a costituire il paesaggio nel quale i cittadini trascorrono la loro vita quotidiana, e che proprio per questa ragione meritano di essere tutelate con un certo riguardo. In proposito un passaggio fondamentale è costituto sicuramente dalla Convenzione Europea del Paesaggio che, il 20 ottobre 2000, a Firenze, è stata presentata agli Stati membri del Consiglio d’Europa per la sottoscrizione. Tale Convenzione muove da una considerazione che difficilmente potrebbe essere contestata, e che risulta così espressa nel Preambolo: “ il paesaggio è in ogni luogo un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana” : anche i luoghi della nostra vita quotidiana, e quindi anche le periferie, sono dunque elementi costitutivi del paesaggio, e come tale vanno salvaguardati. Nella relazione esplicativa della convenzione, poi, si ribadisce che “ ogni paesaggio costituisce un ambito di vita per la popolazione che vi risiede; esistono delle interconnessioni complesse tra i pae-

saggi urbani e rurali; la maggior parte degli Europei vive nelle città (grandi e piccole), la cui qualità paesaggistica ha un’enorme influenza sulla loro esistenza; infine, i paesaggi rurali occupano un posto importante nella sensibilità europea” . Per tutte queste ragioni, “ la presente Convenzione si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani” , e “ concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati” (Articolo 2 della Convenzione). Pochi giorni più tardi, il 23 novembre 2000, a Bruxelles, il Consiglio Europeo ha poi approvato una Risoluzione avente ad oggetto la qualità architettonica dell’ambiente urbano e rurale, con lo scopo di “ migliorare la qualità dell’ambiente di vita quotidiano dei cittadini europei” , attraverso “ la creazione architettonica, la qualità edilizia, il loro inserimento armonico nell’ambiente circostante e il rispetto del paesaggio e dell’assetto urbano” . Tale Risoluzione riconosce esplicitamente che “ l’architettura è un elemento fondamentale della storia, della cultura e del quadro di vita di ciascuno dei nostri paesi…e costituisce il patrimonio di domani” . In Italia, può ascriversi e questo nuovo approccio la diversa configurazione dei piani paesaggistici: con il Decreto Legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 questi ultimi avevano ancora il compito di sottoporre “ a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale” i beni dotati di particolare pregio paesaggistico (Articolo 149), e quindi avevano ad oggetto solo alcune ben individuate porzioni di territorio, ma ora con il Codice dei Beni culturali e del paesaggio approvato in forza del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 41 sono diventati uno strumento generalizzato, e devono riguardare “ l’intero territorio regionale” e quindi anche quelle zone che, come le periferie, risultino prive di particolari pregi ambientali (Articolo 135.1). Ancora prima, in Lombardia, questi concetti avevano trovato riscontro nel Piano territoriale paesistico regionale (P.T.P.R.) approvato in forza della Delibera del Consiglio regionale n. 43749 del 6 marzo 2001, ed in particolare nel cosiddetto “ esame dell’impatto paesistico dei progetti” . L’intero Capo IV delle relative norme di attuazione è dedicato a questo istituto, il quale è disciplinato secondo le seguenti regole. • a) “ In tutto il territorio regionale i progetti che incidono sull’esteriore aspetto dei luoghi e degli edifici sono soggetti a esame sotto il profilo del loro inserimento nel contesto” (Articolo 25.1): la norma riguarda quindi tutti i progetti di opere che comunque possano modificare l’esteriore aspetto dei luoghi e degli edifici, in qualunque parte del territorio regionale esse vadano realizzate, e quindi anche nelle periferie. Essa detta inoltre una prescrizione che, una volta divenuta operativa (cioè, come si vedrà fra breve, a far tempo dal 21 novembre 2002), vincola direttamente i cittadini senza necessità della mediazione di ulteriori disposizioni locali, e che pertanto deve essere rispettata e fatta rispettare dai comuni senza eccezioni e limitazioni di sorta. • b) Nelle aree soggette al vincolo paesaggistico, imposto direttamente dalla legge oppure appositamente istituito mediante specifico provvedimento amministrativo, l’autorizzazione paesaggistica sostituisce l’esame paesistico (Articolo 25.5): quest’ultimo costituisce quindi un elemento peculiare del procedimento di approvazione dei progetti, proprio nelle porzioni di territorio meno pregevoli dal punto di vista del paesaggio, e quindi non vincolate. • c) Al fine di permettere l’esame dell’impatto paesistico dei progetti, “ il progettista, in fase di elaborazione del progetto, considera preliminarmente la sensibilità paesistica del sito e il grado di incidenza del progetto” (Articolo 25.3). • d) Il sito è “ l’area complessivamente interessata dalle opere progettate” (Articolo 26.1), e la sua sensibilità paesistica “ è determinata dalle caratteristiche del sito stesso, nonché dai rapporti che esso intrattiene con il contesto paesistico con il quale interagisce” (Articolo 26.2).


W. F.

I programmi integrati di intervento in variante Uno degli strumenti più adatti per il recupero e la riqualificazione delle periferie è senz’altro il programma integrato di intervento (P.I.I.). Il procedimento di approvazione di tale strumento, regolamentato in Lombardia dalla Legge Regionale 16 aprile 1999 n. 9, è stato di recente modificato dall’articolo 1 della Legge regionale 23 febbraio 2004 n. 9. La novità legislativa consiste nella integrale sostituzione dell’Articolo 9 della Legge n. 9/1999, intitolato “ Accordi di programma” . Sebbene il titolo dell’articolo 9 sia rimasto immutato, in realtà, il nuovo testo contiene norme di portata più ampia, poiché disciplina i P.I.I. che comportino variante agli strumenti urbanistici comunali ed al piano territoriale di coordinamento provinciale, prevedendo tre distinte ipotesi. La prima concerne i P.I.I. che comportino variante agli strumenti urbanistici comunali vigenti od adottati ed abbiano rilevanza regionale (Articolo 9, commi 1-4), la seconda riguarda i P.I.I. che comportino variante agli strumenti urbanistici comunali vigenti od adottati ma non abbiano rilevanza regionale (Articolo 9, comma 5), la terza ha ad oggetto i P.I.I. che comportino variante “ anche al piano territoriale di coordinamento provinciale vigente” (Articolo 9, comma 6). Ai sensi del comma 2 dell’Articolo 9, hanno rilevanza regionale i P.I.I. che prevedono: a) interventi finanziari a carico della Regione; b) opere previste dal programma regionale di sviluppo e dai suoi aggiornamenti annuali, nonché dagli altri piani e programmi regionali di settore; c) grandi strutture di vendita; d) opere dello Stato o di interesse statale. • 1. Nel caso in cui il P.I.I. di rilevanza regionale comporti variante agli strumenti urbanistici comunali, il Sindaco è tenuto a promuovere “ la procedura di accordo di programma prevista dall’Articolo 34 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), fatto salvo l’espletamento delle procedure relative alla pubblicazione ed alle osservazioni, da effettuarsi, rispettivamente, nel termine di quindici giorni consecutivi” (Articolo 9, comma 1). La legge non disciplina la fase di promozione dell’accordo di programma che, comunque, dovrebbe logicamente articolarsi come segue: – il Sindaco promuove l’accordo di programma mediante inoltro della relativa proposta alla Regione ed alla Provincia; – successivamente, qualora riscontri l’interesse delle citate Amministrazioni, il Sindaco convoca una conferenza tra i rappresentanti delle stesse; – espletate tali formalità, il Comune procede al deposito del progetto di P.I.I. per quindici giorni consecutivi presso la segreteria comunale e ne dà comunicazione al pubblico mediante affissione dell’avviso di deposito all’albo pretorio e pubblicazione dello stesso su almeno un quotidiano di interesse locale; – entro i successivi quindici giorni gli interessati possono presentare osservazioni. In sede di conferenza il Comune, la Provincia e la Regione verificano la possibilità di addivenire alla approvazione del progetto di P.I.I. e la Provincia rende, ai sensi dell’Articolo 3, comma 18, della Legge Regionale n. 1/2000, il parere circa la “ compatibilità del progetto di variante urbanistica con gli aspetti di carattere sovracomunale del piano territoriale di coordinamento provinciale vigente” (Articolo 9, comma 4). Nulla dice l’Articolo 9 circa le sorti delle eventuali osservazioni presentate con riguardo al progetto di P.I.I.. Si potrebbe ipotizzare, da un lato, che tali osservazioni debbano essere esaminate dalle Amministrazioni che prendono parte all’accordo di programma e che le determinazioni assunte al riguardo debbano essere poi trasfuse nell’accordo stesso, dall’altro lato, si potrebbe ritenere che, come previsto per gli accordi di programma promossi dalla Regione (Articolo 6, comma 11, della Legge Regionale n. 2/2003), debba essere il Consiglio comunale a formulare le controdeduzioni in sede di ratifica del consenso espresso dal Sindaco sull’accordo di programma.

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• e) L’incidenza paesistica di un progetto è invece “ l’entità e la natura del condizionamento che il progetto stesso esercita sull’assetto paesistico del contesto, in ragione delle dimensioni geometriche di ingombro planimetrico e di altezza, del linguaggio architettonico con il quale si esprime, della natura delle attività che è destinato a ospitare” (Articolo 27.1), fermo restando comunque che “ non è ammesso frazionare artificiosamente un progetto unitario al fine di ridurne l’incidenza” (Articolo 27.2). • f) Premesso che “ l’impatto paesistico esprime l’entità dei prevedibili effetti sul paesaggio conseguenti alla realizzazione dell’intervento progettato” (Articolo 28.1), una volta redatto il progetto il progettista procede alla valutazione di tali prevedibili effetti applicando le indicazioni contenute nelle “ Linee guida per l’esame paesistico dei progetti” , ed ove ne ricorra la necessità predispone una relazione paesistica (Articolo 25.6). • g) In particolare, se detta valutazione dimostra che l’impatto paesistico prodotto dal progetto non supera la “ soglia di rilevanza” determinata secondo le citate Linee guida, l’intervento si considera automaticamente accettabile sotto il profilo paesistico, e quindi la richieste del permesso di costruire o la denuncia di inizio di attività possono essere presentate senza bisogno di relazione paesistica (Articolo 29.2). Resta fermo, ovviamente, il potere dell’amministrazione comunale, di verificare la completezza e l’attendibilità dell’esame paesistico predisposto dal progettista (Articolo 29.1). • h) Qualora, invece, l’impatto paesistico superi la “ soglia di rilevanza” , il progettista deve redigere una relazione paesistica che va presentata a corredo della richiesta di permesso di costruire o della denuncia di inizio di attività (Articolo 29.3), ed il comune deve sottoporre il progetto al giudizio di impatto paesistico (Articolo 29.6), acquisendo, a tal fine, il parere della commissione edilizia integrata dagli esperti in materia di tutela paesistico-ambientale (Articolo 29.8). • i) “ Il giudizio di impatto paesistico valuta le caratteristiche dell’impatto prodotto dall’opera prevista” , e può giungere alla conclusione che quest’ultima produce un impatto positivo, oppure un impatto neutro, o infine un impatto negativo (Articolo 29.5). Qualora, a seguito di tale giudizio, emerga che l’opera supera la soglia critica di tolleranza determinata dalle Linee guida e produce un impatto negativo, il relativo progetto non può essere approvato, e quindi l’intervento non può essere realizzato (Articolo 29.7). • l) “ La metodologia di esame paesistico dei progetti (...) diventa operativa dalla data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia di apposite Linee guida per l’esame paesistico dei progetti approvate dalla Giunta regionale” (Articolo 30.1). Di fatto, tali Linee guida sono state approvate in forza della delibera della Giunta regionale n. 11045 dell’8 novembre 2002, e sono state pubblicate sul Bollettino Ufficiale in data 21 novembre 2002: da quest’ultima data, quindi, tutti i progetti devono essere obbligatoriamente sottoposti all’esame paesistico prescritto dal P.T.P.R., da esperire secondo quanto stabilito dalle citate Linee guida. Dallo stesso 21 novembre 2002 “ decorre la fase sperimentale di applicazione della metodologia di esame paesistico dei progetti di durata pari a quindici mesi, entro i quali vengono raccolte osservazioni e proposte da parte degli enti locali e dei soggetti pubblici e privati interessati, in base alle quali la Giunta regionale approva un rapporto di attuazione e, se del caso, assume conseguentemente i provvedimenti previsti dall’Articolo 10, comma 4” (Articolo 30.2): a partire dal 21 febbraio 2004, quindi, tale fase sperimentale si è esaurita, e fino all’adozione di eventuali provvedimenti integrativi da parte della Giunta regionale, la metodologia tratteggiata dalle Linee guida continuerà ad applicarsi non più in via sperimentale, bensì in via definitiva.


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Sarà la prassi a determinare la procedura da applicare in concreto, fermo restando che sarebbe auspicale l’intervento di una circolare esplicativa sul punto. L’accordo, consistente nel consenso unanime di tutte le Amministrazioni che hanno preso parte alla conferenza, una volta raggiunto deve essere sottoscritto dai rappresentanti delle medesime Amministrazioni, con la precisazione che l’adesione del Sindaco all’accordo deve essere ratificata dal Consiglio Comunale, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla sottoscrizione dell’accordo stesso (Articolo 34, comma 5, del Decreto Legislativo n. 267/2000). Espletate tali formalità, l’accordo viene approvato dal Presidente della Regione e pubblicato nel bollettino ufficiale della Regione (Articolo 34, comma 4, del Decreto Legislativo n. 267/2000). Esso comporta variante degli strumenti urbanistici e sostituisce i permessi di costruire qualora via sia l’assenso del Comune interessato (Articolo 34, comma 4, del Decreto Legislativo n. 267/2000). Sebbene la Legge non dica nulla al riguardo, si deve ritenere che l’accordo di programma approvato dal Presidente della Regione abbia valore di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere in esso previste. Ciò trova conferma nell’Articolo 6, comma 10, della Legge Regionale n. 2/2003, che espressamente attribuisce tale effetto agli accordi di programma approvati dalla Regione. L’iter procedimentale appena descritto si applica, ovviamente, agli accordi di programma promossi successivamente all’entrata in vigore della Legge Regionale n. 9/2004. Per quanto attiene, invece, agli accordi promossi anteriormente all’entrata in vigore della Legge n. 9/2004, si applica come confermato dal Comunicato regionale 20 aprile 2004 n. 55 (pubblicato sul B.U.R.L. Serie Ordinaria n. 18 del 26 aprile 2004), la disciplina transitoria introdotta dall’Articolo 3 della medesima Legge che testualmente recita “ agli accordi di programma di cui all’Articolo 6 della L.R. n. 2 del 2003 e di cui all’Articolo 34 del D.Lgs. n. 267 del 2000, comportanti variante urbanistica e promossi prima dell’entrata in vigore del piano territoriale di coordinamento della relativa provincia, continuano ad applicarsi le procedure di approvazione vigenti al momento della loro promozione, acquisita, se non già resa, la verifica di compatibilità del progetto di variante urbanistica con gli aspetti di carattere sovracomunale del piano territoriale di coordinamento provinciale, secondo le disposizioni della presente Legge” . In altri termini, per tali accordi continua ad applicarsi la disciplina vigente al momento della loro promozione fermo restando l’obbligo di munirsi della verifica di compatibilità provinciale, sempre che la Provincia sia dotata del Piano territoriale di coordinamento e sempre che detta verifica non sia già stata resa. Tale obbligo, stando a quanto affermato nel citato comunicato regionale, dovrebbe peraltro ritenersi soddisfatto anche qualora il parere sia stato reso a titolo meramente collaborativo, purché detto parere provinciale contenga, sul piano sostanziale, una verifica della compatibilità degli aspetti sovracomunali dell’accordo di programma con il Piano territoriale di coordinamento della Provincia interessata. • 2. Qualora il P.I.I. comporti variante agli strumenti urbanistici comunali vigenti o adottati ma non abbia rilevanza regionale si applica il procedimento di cui all’Articolo 3 della Legge Regionale 23 giugno 1997 n. 23, dimezzati i tempi ivi previsti per la pubblicazione e le osservazioni. Tale procedimento si articola nelle seguenti fasi: – il Consiglio comunale delibera la adozione del progetto di P.I.I.; – tale delibera con i relativi allegati viene depositata per quindici giorni consecutivi nella segreteria comunale; – del deposito viene data comunicazione al pubblico mediante avviso affisso all’albo pretorio e pubblicazione dello stesso su almeno un quotidiano di interesse locale; – entro quindici giorni consecutivi decorrenti dalla scadenza del termine per il deposito chiunque può presentare osservazioni; – il progetto di P.I.I., contestualmente al deposito presso la segreteria comunale, viene trasmesso alla Provincia onde consentirle di verificare, entro quarantacinque giorni dal ricevimento degli atti, la

compatibilità dello stesso con gli aspetti di carattere sovracomunale contenuti nel piano territoriale di coordinamento provinciale; – decorso il termine di quarantacinque giorni dall’inoltro alla Provincia del progetto di P.I.I., quest’ultimo viene sottoposto alla approvazione del Consiglio comunale che in tale sede deve prendere in esame tutte le osservazioni pervenute tempestivamente e motivare, per ciascuna di esse, le determinazioni assunte; – la delibera di approvazione viene depositata presso la segreteria comunale ed assume efficacia dalla data di pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia dell’avviso di deposito. • 3. Infine, qualora il P.I.I. comporti variante anche al piano territoriale di coordinamento provinciale vigente, “ il progetto di variante” deve essere trasmesso dal Comune alla Provincia, che ne cura il deposito presso la segreteria provinciale, e deve essere pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia per quindici giorni consecutivi, contestualmente al deposito presso la segreteria comunale (Articolo 9, comma 6). Nei successivi quindici giorni chiunque può formulare osservazioni, che vengono controdedotte dal Consiglio provinciale in sede di approvazione della variante. La approvazione deve intervenire entro sessanta giorni dall’avvenuto deposito degli atti presso la segreteria provinciale, decorsi i quali la variante si intende respinta. Tale procedimento si applica sia nell’ipotesi che il P.I.I. abbia rilevanza regionale, sia nell’ipotesi che il P.I.I. sia privo di tale rilevanza. Non poche perplessità sorgono quanto alla sua applicazione in presenza di un P.I.I. di rilevanza regionale, atteso che la complessità dell’iter sopra descritto mal si concilia con le esigenze di speditezza e concentrazione che connotano l’istituto dell’accordo di programma. Sta di fatto che la formulazione letterale della norma non pare consentire soluzioni diverse. Ed anzi, considerato che l’Articolo 2, comma 2, della Legge Regionale n. 9/2004 prevede la medesima sequenza procedimentale qualora l’accordo di programma sia promosso dalla Regione e comporti variante al piano territoriale di coordinamento provinciale, si dovrebbe pervenire alla conclusione che la previsione di un sub procedimento per la approvazione della variante da parte della Provincia sia il frutto di una precisa scelta del legislatore. Al termine di queste prime riflessioni sulle modifiche introdotte dalla Legge n. 9/2004 è opportuno evidenziare che il legislatore regionale con tale Legge ha disciplinato in modo completamente nuovo la approvazione dei P.I.I. in variante. Il nuovo Articolo 9 della Legge n. 9/1999 impone alle Amministrazioni comunali di verificare semplicemente se il P.I.I. in variante abbia o meno rilevanza regionale: nel primo caso si applicherà la procedura dell’accordo di programma, nel secondo caso si applicherà, quale che sia il contenuto della variante, la procedura semplificata di cui all’Articolo 3 della Legge Regionale n. 23/1997. Ne consegue che la nuova disciplina dovrebbe determinare l’abrogazione implicita delle disposizioni con essa incompatibili e, segnatamente, l’abrogazione dell’Articolo 8, comma 4, della Legge Regionale n. 9/1999, che prevede la applicazione della procedura semplificata nei soli casi disciplinati dall’Articolo 6, comma 2 della citata Legge n. 23/1997. A questo proposito è opportuno, tuttavia, evidenziare che il comunicato regionale sopracitato pare orientato diversamente, poiché sostiene che qualora al P.I.I. siano applicabili “ le ipotesi di variante semplificata di cui all’Art. 6, comma secondo, della L.R. n. 23/1997, nulla è innovato dalla nuova disciplina regionale e pertanto in tali casi continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’Art. 8 della citata L.R. n. 9/1999” . Ne consegue che, stando a quanto affermato nel comunicato, la procedura semplificata di cui all’articolo 3 della Legge Regionale n. 23/1997 dovrebbe applicarsi anche in presenza di un P.I.I. che, pur avendo rilevanza regionale, rientri nelle ipotesi di variante semplificata di cui all’Articolo 6 della precitata legge regionale. Purtroppo tale ipotesi non è stata disciplinata dal legislatore regionale, il che determina l’insorgere di contrasti interpretativi che solo un ulteriore intervento normativo potrà risolvere. Doris Mansueto


Strumenti a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato

G.U. n. 60 del 12.3.2004 - Serie generale Deliberazione 25 febbraio 2004 Ulteriori criteri cui debbano uniformarsi le Soa in materia di applicazione di tariffe minime (Deliberazione n. 35) L’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici dispone che le Soa per il rilascio di attestazioni, che costituiscono le variazioni di precedenti attestazioni in corso di validità, applichino a seconda delle varie fattispecie dei coefficienti elencati nella presente deliberazione. Tali fattispecie sono: la riduzione di requisiti speciali; il riconoscimento dell’abilitazione, oltre che per la prestazione di esecuzione, anche per la prestazione di esecuzione e per la prestazione di progettazione; l’adesione dell’impresa a un consorzio stabile; l’adesione di una nuova impresa al consorzio stabile cui l’impresa è aderente; il caso di una società a responsabilità limitata; la contemporanea presenza di più di una delle precedenti fattispecie. G.U. n. 60 del 13.3.2004 - Serie generale Legge Regionale 9 dicembre 2003, n. 25 Interventi in materia di trasporto pubblico locale e di viabilità Il Consiglio regionale ha approvato le seguente legge. L’Art. 1 prevede l’acquisto di autobus a metano, l’Art. 2 l’accessibilità all’aeroporto internazionale Malpensa 2000, l’Art. 3 e successivi talune modifiche ed integrazioni ad alcune leggi regionali riguardanti i trasporti. G.U. n. 66 del 19 dicembre 2003 Art. 14, Legge n. 109/ 1994 e successive modifiche ed integrazioni. Programma triennale dell’Agenzia interregionale per il fiume Po (A.I.P.O.): verifica di compatibilità con i documenti programmatori vigenti (Deliberazione n. 133/2003) Il comitato interministeriale per la programmazione economica delibera di esprimere, ai sensi dell’Art. 14, comma 11, della Legge n. 109/1994, parere di compatibilità del Programma triennale 2003/2005 dell’A.I.P.O. con i documenti programmatori vigenti. G.U. n. 66 del 19.3.2004 - Serie generale Decreto 7 gennaio 2004 Individuazione di ulteriori immobili di pregio Il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali decreta all’Art. 1 che tra gli immobili trasferiti alla società di cartolarizzazione, ai sensi del primo decreto del Ministro dell’economia, sono da considerarsi di pregio, oltre a qualunque altro immobile che soddisfi i criteri indicati nella delibera allegata sub 1 al Decreto Ministeriale 31 luglio 2002, gli immobili elencati nell’Allegato 1 al presente decreto. All’Art. 2, in considerazione dell’Art. 3, comma 7, del Decreto Legge n. 351, al criterio n. 3 della delibera allegata sub 1 al Decreto Ministeriale 31 luglio 2002 i valori di mercato a metro quadro, rispettivamente, minimo e massimo devono intendersi adeguati di volta in volta ai valori pubblicati dall’OMI dell’Agenzia del territorio. All’Art. 3 il presente decreto specifica immobili da non considerarsi di pregio. G.U. n. 75 del 30. 3. 2004 - Serie generale Decreto Legge 29 marzo 2004, n. 79 Disposizioni in materia di sicurezza di grandi dighe Il Presidente della Repubblica emana il seguente decreto legge. All’Art. 1 sono individuate le grandi dighe da mettere in sicurezza. L’Art. 2 elenca gli interventi urgenti per la messa in sicurezza. L’Art. 3 il monitoraggio degli interventi e disposizioni per il Registro italiano dighe. L’Art. 4 tratta le rivalutazione delle condizioni di sicurezza delle grandi dighe. L’Art. 5 dispone il finanziamento di interventi urgenti di protezione civile. L’Art. 6 riguarda l’entrata in vigore.

G.U. n. 75 del 30.3.2004 - Serie generale Decreto Legge 29 marzo 2004, n. 80 Disposizioni urgenti in materia di enti locali Il Presidente della Repubblica emana il seguente decreto legge. L’Art. 1 riguarda le disposizioni per l’approvazione dei bilanci di previsione 2004. L’Art. 2 lo scioglimento degli enti territoriali per mancata adozione degli strumenti urbanistici generali. L’Art. 3 le modalità di presentazione delle dimissioni dei consiglieri comunali e provinciali. L’Art. 4 le modalità di applicazione dell’avanzo di amministrazione presunto. G.U. n. 76 del 31. 3. 2004 - Serie generale Decreto Legge 31 marzo 2004, n. 82 Proroga in termini di materia edilizia Il Presidente della Repubblica, ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di prorogare il termine per la presentazione delle domande di regolarizzazione in materia di illeciti edilizi emana il seguente decreto legge nel quale sono apportate talune modificazioni al Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326. G.U. n. 83 dell’8.4.2004 Deliberazione 18 marzo 2004 Adozione del regolamento delle attività di accertamento della sicurezza degli impianti di utenza a gas (Deliberazione n. 40/04) L’Autorità per l’energia elettrica ed il gas delibera di approvare il seguente regolamento nel quale al titolo I sono definite le disposizioni generali, al titolo II gli impianti di utenza nuovi, al titolo III gli impianti di utenza modificati o riattivati, al titolo IV gli impianti di utenza in servizio, al titolo V le disposizioni finali. G.U. n. 84 del 9.4.2004 - Serie generale Decreto 1° aprile 2004 Linee guida per l’utilizzo dei sistemi innovativi nelle valutazioni di impatto ambientale Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio emana il seguente decreto. L’Art. 1 tratta della individuazione delle linee guida, l’Art. 2 dell’istituzione della commissione di valutazione, l’Art. 3 della presentazione, deposito e diffusione delle istanze dei sistemi innovativi. G.U. n. 86 del 13.4.2004 - Serie generale Decreto del Presidente delle Repubblica 10 marzo 2004, n. 93 Regolamento recante modifica al Decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34, in materia di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici Il Presidente della Repubblica emana il seguente regolamento che apporta talune modifiche al Decreto del Presidente della Repubblica del 25 gennaio 2000, n. 34 riguardante la qualificazione degli esecutori dei lavori pubblici. B.U.R.L. del 1°aprile 2004, 2° Suppl. Ordinario al n. 14 D.g.r. 19 marzo 2004 - n. 7/ 16805 Approvazione dello “Schema di bando tipo per assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica nella regione Lombardia” e della “M odulistica per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica”, come previsto dall’Art. 7, comma 6 del Regolamento regionale del 10 febbraio 2004, n. 1 La Giunta regionale delibera di approvare lo “ Schema bando tipo per assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica nella regione Lombardia” e la “ Modulistica per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. B.U.R.L. del 27 febbraio 2004, 1° Suppl. Ordinario al n. 9 Legge regionale in materia di programmazione negoziata con valenza territoriale Il Consiglio regionale ha approvato la seguente legge regionale. L’Art. 1 riguarda la sostituzione dell’Art. 9 della Legge Regionale 12 aprile 1999, n. 9 riguardante gli accordi di programma; l’Art. 2 gli accordi di programma promossi dalla Regione; l’Art. 3 la norma transitoria; l’Art. 4 l’entrata in vigore. C. O.

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Pubblicistica Appalti “Gli Ordini restino fuori dagli appalti: rischiano di falsare la concorrenza”. No all’offerta per il censimento del Demanio (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 12/2004) Gli Ordini professionali non possono partecipare a gare pubbliche. Non possono essere considerati alla stregua di imprese con fini di lucro. Hanno e devono mantenere finalità di tutela degli interessi degli iscritti. Con queste motivazioni il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità dell’azione dell’Agenzia del Demanio che aveva bocciato la candidatura di diversi collegi dell’Ordine dei geometri alla gara per il censimento del patrimonio demaniale.

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Contratti misti, Lunardi ridimensiona il “peso” dell’importo lavori sul totale (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 14/2004) A guidare le amministrazioni nella scelta della normativa da applicare nei contratti misti di lavori, servizi e forniture non deve essere solo il peso della componente dei lavori, ma anche la natura del contratto che l’ente pubblico vuole firmare. Con questa indicazione, espressa in una circolare, Lunardi anticipa il contenuto della DdL comunitaria 2004 al vaglio del Parlamento.

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Edilizia M ilano, varato il Piano Casa. Il Comune cede aree per 20 mila alloggi sociali (da “ Italia Oggi” del 31.3.04) Il Comune di Milano ha approvato la delibera che individua le aree di proprietà pubblica per 1,7 milioni di mq che il Comune ha intenzione di mettere a disposizione per la costruzione di alloggi di edilizia residenziale sociale, convenzionata e speciale, ed edilizia residenziale universitaria, da affittare a canone calmierato. In totale ci saranno circa 20 mila abitazioni contro un fabbisogno arretrato stimato in 18 mila abitazioni, quello insorgente di 12 mila alloggi, cui si aggiungono altri 7 mila alloggi per gli immigrati più la domanda di circa 9 mila case destinate agli studenti e a chi si trasferisce da un’altra città. “ È il più grande impegno mai assunto dall’amministrazione” ha sottolineato l’assessore allo Sviluppo del Territorio di Milano, Gianni Verga, “ un’operazione che permette di rispondere all’emergenza abitativa” . Infrastrutture M etrotranvia M ilano-Sesto, via allo studio di fattibilità. Sarà realizzata dalla M etropolitana M ilanese entro l’anno (da “ Il Sole 24 Ore” del 18.4.04) Lo studio per la realizzazione di un “ trasporto pubblico a energia pulita” , che ha preso il via grazie a un accordo fra la Regione Lombardia, la Provincia di Milano e i Comuni di Milano, Monza, Cinisello Balsamo e Sesto San Giovanni, avrà un costo di circa 200 mila euro. La nuova metrotranvia dovrebbe avere una lunghezza di circa 7 chilometri e sarà destinata a servire soprattutto l’utenza di Sesto San Giovanni. Il Ponte sullo Stretto nella lista UE. Il costo coperto al 10% dal finanziamento europeo. Il ministro Lunardi: confermate le scelte del Governo italiano (da “ Il Sole 24 Ore” del 22.4.04) Il Ponte di Messina si farà e potrà beneficiare dei co-finanziamenti comunitari previsti per la realizzazione delle grandi reti di trasporto transeuropee (Ten) nell’Unione, presto allargata a 25 Paesi. C’è ormai il via libera in tutta Europa all’apertura dei cantieri delle grandi opere destinate in prospettiva a dotarla di un mercato unico, non penalizzato dalla mancanza dei necessari collegamenti. L’Anas sblocca la “BreBeM i”. Al Cipe il progetto dell’Autostrada - Variante di Valico; sì ad altri due lotti (da “ Il Sole 24 Ore” del 22.4.04) L’Anas sblocca l’iter per la realizzazione dell’autostrada Milano-Brescia, fermo dal 2003 per motivi giuridici. Il Cda dell’Anas ha riaperto l’iter. Restano ancora però dei problemi da risolvere in particolare per le osservazioni critiche del Nars (Nucleo di valutazione presso il ministero dell’Economia) su alcuni aspetti. Inquinamento Infrastrutture stradali, fissati i limiti per contrastare il rumore eccessivo. M atteoli ha stabilito le soglie contro l’inquinamento acustico (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 12/2004) Il provvedimento con cui il ministero dell’Ambiente ha stabilito i limiti di rumore per le infrastrutture stradali ha ottenuto il via libera dal Consiglio dei ministri. Il decreto fissa soglie diverse a seconda della tipologia dell’edificio posto nelle vicinanze della strada. I limiti più severi riguardano scuola, ospedali, case di cura e di riposo.

Progettazione Vale il 20% il risarcimento dei danni al progettista a cui spettava la vittoria. Più il 5% per la “lesione” nel curriculum (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n.15/2004) Il Consiglio di Stato sezione V, con la sentenza n. 1980 del 7 aprile 2004, ha quantificato in un 20% dell’importo d’aggiudicazione (al netto cioè del ribasso) il risarcimento dovuto al progettista che doveva risultare vincitore di una gara illegittimamente assegnata ad altri. Nel caso dei servizi il calcolo è analogo a quello per i lavori, ma va tenuto conto della mancata incidenza dei materiali. A questa percentuale va aggiunto un ulteriore 5% che rappresenta il danno da mancato inserimento della prestazione nel curriculum del potenziale aggiudicatario. Se l’affidamento è illegittimo spetta il risarcimento anche ai professionisti. Principio esteso anche ai piccoli incarichi fiduciari (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 14/2004) Il risarcimento del danno spetta anche ai professionisti e non solo alle imprese quando l’affidamento dell’incarico è illegittimo. Lo precisa il T.A.R. Campania, con la sentenza n. 3081 del 23 marzo 2004, che ha disposto l’indennizzo a favore di un professionista, risultato primo nella selezione avviata dall’ufficio tecnico che si era visto scavalcare da un collega indicato dalla Giunta. Direzione lavori e tecnico sicurezza: ribassi ammessi anche oltre il 20% se il bando adotta i vecchi minimi tariffari (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 12/2004) Per le voci relative alla direzione lavori e al coordinatore per la sicurezza sono ammessi ribassi anche superiori al 20% in quanto si tratta di attività non regolate dalla Legge 143/1949. Questo è il principio che ha consentito al T.A.R. Lombardia di promuovere un concorrente che aveva scontato su queste voci il 50%. La condizione regge, in quanto il bando faceva riferimento alla Legge n. 143 e non al D.M. 4 aprile 2001, che invece ora rappresenta la disciplina applicabile alle gare di progettazione e contempla in modo esplicito queste due voci. Professione Il professionista può essere pagato con la cessione dell’opera progettata. Il compenso in natura può arrivare una volta concluso l’incarico (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 12/2004) Una sentenza della Corte di Cassazione, Sezione II civile, (sentenza n. 4021 del 27 febbraio 2004) decreta, in tema di compenso al professionista ex articolo 2033 del codice civile, che non è inibito al cliente di compensare il professionista con la cessione pro soluto di parte dei beni in relazione ai quali era stato affidato l’incarico. Ristrutturazioni Ristrutturare in campagna. Dallo stato 24 mln di euro di finanziamenti a fondo perduto per i lavori sugli edifici rurali storici (da “ Il Sole 24 Ore” del 10.4.04) La “ 378“ che assegna fondi per la tutela e la ristrutturazione dell’architettura rurale, ha da subito suscitato aspettative tra i proprietari di seconde case di pregio. Obiettivo della normativa è quello sia di far restare, sia quello di portare o riportare più persone a vivere in campagna. La modalità è quella di un finanziamento a fondo perduto fino al 50% del costo dei lavori eseguiti sugli edifici rurali storici, costruiti fino al 1899 o al 1900. Le tipologie ammesse al finanziamento, secondo la Coldiretti, potrebbero essere cascina, malga, maso, villa, marchesa, casa colonica, casale, masseria, stazzo e furriadroxiu. La decisione verrà presa dalle singole regioni. Urbanistica Enti locali senza P.R.G., altri 18 mesi per scacciare l’incubo scioglimento. Prorogato il termine di adozione per chi ha più di mille abitanti (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 14/2004) Miniproroga per i Comuni senza P.R.G. In fase di prima applicazione della norma che impone lo scioglimento del Consiglio comunale a chi non adotta entro 18 mesi i termini vengono ammorbiditi. Lo slittamento è contenuto nell’Articolo 2 del D.L. sugli enti locali. In pratica si dispone che il conteggio di 18 mesi decorra solo dalla entrata in vigore dl D.L. (31 marzo). M. O.


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Bergamo Attività della Commissione Informazione ed Internet Significativamente la Commissione Informazione ha aggiunto al proprio nome la specificazione “ ... e Internet” . L’uso degli innovativi strumenti telematici è stato infatti l’oggetto di molti degli sforzi compiuti. Per qualcuno l’uso dell’” elaboratore” anche per comunicare, dopo che a fatica lo aveva accettato nella pratica quotidiana del disegno, era davvero troppo. Ci rendevamo conto del clima di diffidenza che avrebbe accompagnato il nostro lavoro. Ci siamo allora mossi dalla considerazione che se vogliamo diffondere l’uso di uno strumento, ne dobbiamo innanzitutto valorizzare le peculiarità: ecco l’idea di cominciare dalla proposta di distribuire le circolari dell’Ordine anche via Internet, invece che solamente cartacee. Le circolari vengono infatti confezionate interamente in formato digitale, tanto che spesso con lo stesso stampatore i rapporti si svolgono tramite file. Dunque perché non mandare lo stesso file direttamente agli iscritti dell’Ordine chiedendo di rinunciare all’invio della copia cartacea, evitando i tempi di stampa e di spedizione, per non parlare dei relativi costi? Messa in questi termini sembrerebbe una domanda retorica, eppure i primi risultati sono arrivati dopo lunghi mesi di martellamento ed azioni di convincimento “ porta a porta” per vincere la ritrosia dei colleghi. I risultati, però, sono innegabili: quasi un terzo dei colleghi riceve la circolare solo via posta elettronica, facendo risparmiare alla segreteria parecchi soldi e ricevendo le notizie con almeno tre o quattro giorni di anticipo, non pochi pensando che una circolare contiene infomazioni dell’ultima ora, è fatta di date e di scadenze, non certo di servizi fotografici a doppia pagina. Per il formato abbiamo scelto il pdf, formato adottato anche dalla pubblica amministrazione per i suoi documenti ufficiali in quanto indipendente dal sistema operativo e dai programmi installati sui computer. È stato un buon inizio: ormai tutti gli studi professionali utilizzano la posta elettronica quotidianamente ed è stato un passo importante per familiarizzare con lo strumento telematico vedendone immediatamente i vantaggi: nel caso delle circolari il risparmio economico e la tempestività delle informazioni. E proprio la sete di informazione che caratterizza la nostra realtà ci ha portato a spingere su un altro obbiettivo, caldeggiato dalla Commissione Informazione ed Internet e condiviso dal Consiglio dell’Ordine: la sottoscrizione dell’abbonamento ad Europaconcorsi offerto gratuitamente a tutti gli iscritti dell’Ordine di Bergamo. Anche qui gli abbonamenti attivati dal lancio dell’iniziativa lo scorso dicembre hanno

superato ogni più rosea aspettativa, testimoniando l’utilità del servizio offerto. Per apprezzare il risultato dell’iniziativa basti pensare che nei primi quindici giorni dall’attivazione del servizio, notizia tra l’altro data inizialmente solo via internet ai colleghi che già ricevono la famosa circolare digitale, hanno attivato l’abbonamento quasi duecento colleghi e a tutt’oggi siamo un mezzo migliaio, ossia il fatidico terzo degli iscritti di Bergamo che verosimilmente apprezza lo sforzo fatto dal nostro Ordine per trarre il massimo vantaggio dalle moderne tecnologie. Dal punto di vista più prettamente “ editoriale” abbiamo rinnovato completamente il sito Internet dell’Ordine rendendone la navigazione chiara e veloce, suddividendo in sezioni i contenuti e segnalando i nuovi contributi sin dalla prima pagina, Home Page per chi non vuol rinunciare al “ lessico internettiano” . Il servizio più utilizzato è certamente la sezione “ Cerco/Offro Lavoro” : sia chi cerca collaboratori sia chi si offre per collaborazioni ai più svariati livelli può compilare un semplice modulo digitale e spedirlo via posta elettronica alla segreteria che quotidianamente aggiorna i due elenchi (ad oggi formati da più di cento richieste/offerte): ovviamente tutto questo in tempo reale e senza muoversi dallo studio. Oltre all’utilizzo del sito come “ bacheca” , ne abbiamo promosso anche l’uso quale vetrina, o meglio palcoscenico visto che il paziente lavoro della Commissione Informazione ha permesso di portare in rete prima la mostra “ Felicittà 2003” , organizzata al Teatro Sociale a Bergamo Alta, e poi lo stand che l’Ordine di Bergamo ha allestito alla Fiera Edile 2004, con il vantaggio di mantenere accessibili i lavori compiuti per queste iniziative anche dopo la conclusione delle stesse. La nostra maggior soddisfazione, oltre naturalmente a quella di aver tenuto fede agli impegni assunti, è nel vedere che gli obbiettivi che ci eravamo posti si sono rivelati effettivamente di grande utilità per i colleghi e questo ci ripaga ampiamente delle energie spese per un Ordine fin troppo bistrattato. Dott. Arch. Gabrio Rossi membro della Commissione Informazione ed Internet

M ilano a cura di Laura Truzzi Serate di architettura • Corpo a corpo. Dialettica tra Razionalismo, Storia e Modernità nell’opera di Piero Bottoni a Bologna e Imola 19 marzo 2004 Sono intervenuti: Giancarlo Consonni, Mauro Galantino, Angelo Torricelli Moderatore: Federico Acuto La pubblicazione del libro di Giancarlo Consonni Piero Bottoni a Bologna e a Imola. Casa, città, monumento. 1934-1969, in concomitanza con l’inaugurazione presso l’Ordine degli Architetti di una mostra sul medesimo tema curata dallo stesso Consonni, ha fornito lo spunto per riflettere, durante l’incontro del 19 marzo scorso sul positivismo dell’Architettura Razionalista. Ha condotto la serata l’architetto e consigliere dell’Ordine Federico Acuto, il quale, dando la parola a Consonni, ha osservato come già il formato del suo libro sia tipico di un “ militante” , quindi particolarmente coinvolto a trasmettere il suo messaggio. Il libro, infatti, vuol essere una rivisitazione decisamente positiva dell’opera di Bottoni e, più in generale, del Razionalismo. L’opera di Bottoni, legata in particolare a quattro città: Milano, Sesto S. Giovanni, Bologna e Imola, rappresenta il grande “ travaglio” dell’architetto milanese: dall’intervento sulle strutture architettoniche a quello, forse fallito, sulle strutture urbanistiche; anche se in ogni caso egli fu tra i primi a trattare l’urbanistica secondo una concezione moderna, con un interesse per il sociale e il collettivo. Il Razionalismo, ha continuato Consonni, ha fallito nell’urbanistica, in quanto, tendendo alla perfezione, ha praticamente provocato un blocco nello sviluppo del territorio. Passando poi a delineare le tappe del percorso creativo di Bottoni, Consonni ha ricordato la sua precoce vocazione (già a venticinque anni, nel 1933, era a contatto con i grandi maestri del tempo frequentando già i CIAM), il suo interesse vivissimo per l’architettura antica e per lo studio del corpo umano, i suoi “ fallimenti” urbanistici. Nel presentare alcuni dei suoi progetti bolognesi più significativi (da quelli urbanistici – che peraltro non giungeranno a realizzazione – a quelli architettonici di Villa Muggia nel podere Bel Poggio a Imola, il Circolo ippico in via Siepelunga a Bologna e il Monumento ossario dei partigiani alla Certosa di Bologna), Consonni ha rivendicato a Bottoni il merito di aver iniziato la sperimentazione tentando di risolvere il problema dell’inserimento dell’architettura razionalista nella città storica. A proposito del tema della serata, ovvero il “ corpo a corpo” tra Razionalismo e Storia, Angelo Torricelli, docente del Politecnico, ha sostenuto che l’architettura raziona-

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lista non ha negato la storia sul piano urbano, ma ha negato, semmai, la storia “ libresca” : il suo compito non poteva essere quello di risolvere in assoluto i problemi della città moderna, ma di dare il suo contributo, anche architettonico, alla nuova configurazione della città, e in questo non ha fallito. Come ha affermato mostrando insigni esempi di progetti architettonici e pittorici di grandi artisti e architetti, è la continuità della storia ad essere “ lineare” , mentre il contributo dell’architettura è inevitabilmente “ puntuale” e in questo anche il razionalismo non è mancato. Ultimo dei relatori della serata, l’architetto Mauro Galantino, ha ricordato la sua esperienza personale, che lo ha portato, per lunghi anni, a riflettere sull’opera di Bottoni nell’ambito della progettazione di una chiesa milanese: immaginando come Bottoni l’avrebbe concepita. Galantino, trovandosi di fronte al problema conclusivo della realizzazione dell’altare, ha proposto come soluzione l’utilizzo del tavolo della sala da pranzo di villa Muggia, soluzione accolta dalla commissione di arte sacra di Milano, ma respinta dalla commissione romana. In conclusione, a proposito della contrapposizione ideologica tra positivismo razionalistico e travaglio della progettazione, Consonni ha ribadito come il Razionalismo abbia trovato le sue ragioni quando ha lavorato “ corpo a corpo” con l’architettura, più che con l’urbanistica, mentre dal pubblico in sala è sorta la domanda di rinnovati princìpi fondanti per l’architettura del nuovo millennio. • Righe d’acqua. Il design nautico tra interno ed esterno raccontato da alcuni protagonisti 15 aprile 2004 Sono intervenuti: Riccardo Bonadeo, Guido Maisto, Silvia Piardi, Vincent Lauriot Prévost, Marc Van Peteghem Conduttore: Claudio Mazzanti L’incontro, dal titolo quanto mai appropriato, è stato incentrato sul tema del design nautico raccontato da alcuni dei suoi protagonisti più prestigiosi. Il conduttore, Claudio Mazzanti, che ha coinvolto il pubblico e guidato gli interventi con competenza e vivo interesse, ha focalizzato le direttive del dibattito e presentato i relatori, progettisti di barche che hanno fatto il giro del mondo, ma anche esperti velisti che hanno partecipato a impegnative regate. Per primi sono intervenuti Vincent Lauriot Prévost e Marc Van Peteghem, architetti nautici francesi dal curriculum straordinario (hanno lavorato per i più noti velisti, come Soldini, realizzando, tra gli altri, il più grande trimarano attualmente esistente). I due, che collaborano dal 1983 lavorando – grazie all’uso delle moderne tecnologie – l’uno a Parigi l’altro in Bretagna, hanno realizzato pluriscafi (catamarani e

trimarani) da corsa, yacht su commissione, scafi per la produzione di serie. Esperti nella realizzazione dei trimarani – autentici “ missili dell’acqua” , come li ha definiti Mazzanti – hanno illustrato con diapositive proiettate alle loro spalle le tappe evolutive di questo genere di imbarcazioni, che spinge ai limiti estremi le potenzialità di uno scafo alla ricerca della massima velocità. Per Riccardo Bonadeo, invece, la priorità assoluta nella scelta di un’imbarcazione deve essere la sicurezza: i pluriscafi sono esaltanti per le prestazioni, per la maggior velocità e accessibilità ai porti, ma non c’è dubbio che i monoscafi siano più sicuri e confortevoli. Un importante contributo al dibattito è venuto dall’intervento della professoressa Silvia Piardi, docente della Facoltà di Design del Politecnico di Milano, che ha invitato a riflettere sul legame tra la progettazione di barche e la progettazione di case. Entrambe le attività sono accomunate dall’appartenenza alla “ cultura del progetto” , mentalità che si radica in molteplici elementi: la cultura della “ cross pollination” , ovvero l’attitudine a favorire il passaggio di esperienze da un campo all’altro della progettazione (basti pensare che la nautica è stata influenzata notevolmente dall’aeronautica nell’utilizzo di materiali come il carbonio); l’attenzione ai concetti di trasformabilità e adattabilità; la valutazione dell’eco-compatibilità; l’adesione alla cultura del radicamento. Le regole condivise della “ cultura del progetto” , in qualunque ambito essa si realizzi, sono la semplificazione, la coerenza dentro-fuori, la relazione con il contesto, l’attenzione allo spazio, al tempo, alla sicurezza. La docente ha concluso il suo intervento con la proiezione di diapositive che ritraggono interni nautici ispirati all’architettura minimalista. Un appello al recupero della tradizione è giunto da Guido Maisto, che ha chiuso la serie degli interventi: ben venga l’uso della più sofisticata tecnologia e dell’elettronica per prestazioni sempre più elevate, ma non bisogna disdegnare anche la semplicità (“ Chi sa più usare una bussola?” si è domandato provocatoriamente). Rispetto, attenzione per le piccole cose, ritorno alle origini e alla qualità del viaggiare in barca a vela sono valori da promuovere e tutelare. Le serate di architettura sono inoltre proseguite tra la fine da aprile e il mese di maggio a ritmo serrato con i seguenti temi: • Lodo-Meneghetti - storie di inattuale rigore 22 aprile 2004 Sono intervenuti: Leo Guerra, Federico Bucci, Lodovico Meneghetti Moderatore: Ugo Rivolta • Dentro la nuova legge urbanistica della Lombardia 27 aprile 2004 Sono intervenuti: Fulvia Delfino, Gianni Beltrame, Massimo Giuliani Moderatore: Marco Engel

Serata organizzata in collaborazione con INU Lombardia • Sottotetti - una città coi capelli ritti 29 aprile 2004 Sono intervenuti: Giovanni Verga, Marco Romano, Alessandro Toccolini, Giancarlo Bianchi Jannetti, Gae Aulenti Moderatore: Emilio Pizzi • Il moderno salvato - La questione della modernità e memoria del moderno 6 maggio 2004 Sono intervenuti: Silvia dell’Orso, Carla Di Francesco, Fulvio Irace, Bruno Morassutti Moderatore: Giulio Barazzetta • Ampliamento dell’università Bocconi 11 maggio 2004 Sono intervenuti: Shelley McNamara, Yvonne Farrell, Emilio Pereira Traduttrice: Simona Castelli Moderatore: Antonio Borghi • Milano com’è e come sarà 3: dal Sempione alla Fiera 13 maggio 2004 Sono intervenuti: Ermanno Ranzani, Paola Pessina, Augustangela Fioroni, Claudio Artusi, Federico Acuto Moderatore: Giulio Barazzetta

Itinerari di Architettura M ilanese La Fondazione dell’Ordine degli Architetti, nell’ambito delle sue finalità istituzionali, ha iniziato nel 2003 un’attività particolarmente riferita alla promozione della conoscenza dell’architettura milanese attraverso l’organizzazione di Itinerari di architettura. Un rapporto più approfondito con le forme dell’architettura e della città passa attraverso quelle capacità di osservazione e di descrizione che uno sguardo specifico e disciplinare possono promuovere, non solo presso gli architetti, ma più in generale nei confronti della società. A questo proposito è stato istituito un Comitato scientifico che ha il compito di stabilire le linee programmatiche dell’attività, finalizzata a stabilire un preciso ruolo della Fondazione dell’Ordine nella organizzazione di itinerari di architettura e di cultura urbana. Il Comitato Scientifico è composto da, in ordine alfabetico: Giulio Barazzetta, Federico Bucci, Maria Vit-

toria Capitanucci, Maurizio Carones, Giovanni Cislaghi, Fulvio Irace, Ugo Rivolta, Annalisa Scandroglio, Daniela Volpi. È interamente dedicato a Milano il maggio dell’architettura che la Fondazione dell’Ordine degli Architetti ha organizzato per far conoscere al pubblico della città parte di quello straordinario patrimonio di realizzazioni che fanno della metropoli lombarda la “ città più architettonica d’Italia” . Capitale del Moderno, Milano ha sintetizzato nei suoi edifici e nei suoi quartieri speranze ed aspettative che di volta in volta hanno contrassegnato le epopee del nuovo, definendosi, magari inconsapevolmente, laboratorio nazionale dell’architettura contemporanea. Uno sguardo retrospettivo a un’avventura lunga un secolo e che le imminenti e radicali trasformazioni annunciate dai “ grandi progetti” di trasformazione delle aree dismesse rilanciano in una sfida inedita che richiede, più che mai, il supporto della consapevolezza e della memoria condivisa: questo è il senso dei quattro itinerari che il Comitato Scientifico della Fondazione propone con l’intento di diffondere la conoscenza e l’apprezzamento dell’architettura del Novecento come strumento per interpretare l’anima stessa della città. Ciascuno degli itinerari si propone di evidenziare un viaggio dentro alcuni temi su cui la cultura architettonica ha investito in modo particolare la sua scommessa di rappresentare il volto mutevole della storia urbana: la necessità dell’abitare collettivo, dai primi insediamenti dell’IACP all’inizio del secolo, alle sperimentazioni favorite negli anni ‘50 dalla nuova politica dell’INA Casa; l’abitare alto, ovvero l’aspirazione alla verticalità come simbolo dell’audacia tecnologica e dell’avvenirismo simbolico, dalla Torre SNIA di piazza San Babila degli anni ‘30 al grattacielo Pirelli, recentemente restituito alla città dopo un restauro di due anni; l’abitare borghese, ovvero la ricerca di un’identità di classe attraverso gli attributi simbolici e tipologici di complessi abitativi ispirati alle variabili idee di signorilità e di decoro, dalle “ artistiche” declinazioni di Arata ai tersi condomini di Caccia Dominioni; la casa del lavoro, ovvero il palazzo d’uffici nelle sue estreme configurazioni degli Headquarters della Arnoldo Mondadori a Segrate e de “ Il Sole 24 Ore” in viale Monterosa. Ciascun itinerario è accompagnato da un’agevole “ dispensa” informativa, che potrà comporsi in un prossimo futuro in una vera e propria guida alla città, ed è guidato da un accompagnatore che illustra la storia e le caratteristiche di ciascun edificio. Fulvio Irace Coordinatore del Comitato Scientifico


Rassegna a cura di Manuela Oglialoro Architettura Como celebra il genio di Terragni. Le manifestazioni per il centenario della nascita (dal “ Corriere della Sera” del 18.4.04) Sono numerosi gli appuntamenti, conferenze, spettacoli e proiezioni, organizzati a Como per le celebrazioni del centenario della nascita di Giuseppe Terragni, nato a Meda nel 1904 e morto a Como nel 1943. La città in cui lavorò gli dedica un anno di celebrazioni con la supervisione di Attilio Terragni e un comitato scientifico internazionale composto dal gotha dell’architettura internazionale. Design Design e creatività, così Milano riparte (dal “ Corriere della Sera” del 13.4.04) Contro il “ pericolo cinese” , il Salone del Mobile ha deciso di non ospitare nemmeno un produttore dell’estremo oriente. “ La crisi del settore arredo è durata meno del previsto. Da Milano, con il design, può ripartire il motore Italia” dichiara Rosario Messina, presidente del Cosmit. Del resto, nonostante il meno 7,3% registrato da gennaio a ottobre 2003 nel settore arredo, “ rimaniamo i primi esportatori di mobili nel mondo con il 17% ” , ricorda l’amministratore del Cosmit , M anlio Armellini. L’anno scorso si puntò sul bagno come luogo del benessere. Quest’anno si declina il benessere in cucina e in ufficio. Progetti Così lo scarto diventa bene rifugio. Gli originali progetti del Rural Village Group (da “ Il Sole 24 Ore” del 4.4.04) Parte dei materiali che l’Italia non riesce a riciclare potrebbe essere impiegata in altro modo, diventando il motore di un circolo virtuoso: gli scarti di plastica, metallo, carta e vetro potrebbero essere esportati nei Paesi d’emigrazione dell’area mediterranea per essere lavorati e trasformati in al-

cambierà Milano sta per essere realizzata. Si tratta del complesso che si est ende all’ int erno dell’ampio quadrilatero tra via Imbonati, via Bovio, viale Crespi e via Bracco nel quartiere Bovisa di Milano con la ristrutturazione totale dell’ex fabbrica Carlo Erba e degli edifici limitrofi per una superficie totale di oltre 97 mila metri quadrati. Qui sorgerà il Maciachini Center, un centro direzionale nel quale accanto a edif ici dest inat i a uff ici, ci saranno aree destinate alla ricreazione: da locali per la ristorazione a pub, negozi e soprattutto un parco. loggi temporanei da impiegare in situazioni di emergenza, in occasioni di calamità naturali, o per accogliere i rifugiati. Questa è un’ipotesi a cui sta lavorando l’architetto Maria Jose Laiòn, fondatrice nel 2001 con Peter Lynch e Gust av Crembil del Rural Village Group, una rete internazionale di architetti, designer e comunicatori visivi volta a sviluppare soluzioni abitative innovative basate sul riuso dei materiali. Fuksas: la mia Shanghai alle porte di M ilano. L’architetto fa da guida per la prima volta nel cantiere della nuova Fiera (dal “ Corriere della Sera” del 20.4.04) Al posto della vecchia raffineria dell’Agip presto ci sarà una nuova città, non solo il polo fieristico di Milano. L’architetto Massimiliano Fuksas ha progettato oltre mezzo milione di metri quadrati (su un’area fondiaria di due milioni) lungo la direttrice tra Rho e Pero nell’area di quella che un tempo era stata una delle più grandi raffinerie d’Europa. Tutto sarà pronto nella primavera del 2005 e la prima Fiera prenderà il via ad ottobre. Costo previsto per l’intera operazione, autofinaziata e basata sul modello del general contractor, ottocento milioni di euro circa. Palazzi di vetro, verde e fontane: la Fiera degli architetti superstar. I progetti custoditi in un bunker (dal “ Corriere della Sera” del 2.4.04) I sei progetti in cui è racchiuso il futuro di una parte importante di Milano sono chiusi in un bunker. È la nuova Fiera che sorgerà al posto del vecchio quartiere fieristico, una volta che le esposizioni si saranno in parte trasferite alle porte della città nel polo esterno disegnato da Massimiliano Fuksas. Si sono chiusi i termini per presentare le offerte per la maxi gara che parte da una base di 310 milioni di euro per trasformare 225 mila metri quadrati di Milano. La metà dell’area, secondo le richieste della committenza sarà da disegnare a parco. M aciachini, dalla fabbrica al business park. Su un’area di oltre 90 mila metri quadrati totalmente bonificata sorgerà un grande centro direzionale (da “ Il Sole 24 Ore” del 10.4.04) Un’altra importante opera che

M ilano “Via le port e st oriche della Scala, facevano rumore”. Il Comune ha deciso di sostituire i 370 infissi. L’opposizione: avevano promesso di restaurarli, così il t eat ro perde un alt ro pezzo (dal “ Corriere della Sera” del 1.4.04) Milly Moratti, consigliere comunale dei Verdi - Arancia, non è sorpresa. “ È l’ennesima prova di come questa amministrazione sta gestendo tutta la vicenda Scala. Ogni scelta è motivata con la volontà di aprire in fretta e furia: così si forzano i tempi e si prendono decisioni assurde” . Il vicesindaco Riccardo De Corato difende così la scelta: ” Non c’è nessun mistero. Le porte non vengono rest aurat e perché cambiandole avremo un’acustica migliore e migliori soluzioni tecniche, come ha verif icat o la Soprintendenza” . Omaggio alle “vette” lombarde. La scomparsa di Lodovico Belgiojoso, la ristrutturazione del Pirellone. Le celebrazioni per Terragni (da “ Il Sole 24 Ore” del 18.4.04) Verrà ricordata dai lombardi la giornata in cui è stato celebrato a Milano il restauro del grattacielo Pirelli e sono iniziate a Como le manifestazioni per il centenario della nascita di Terragni. A questa “ giornata della memoria” si accompagna purtroppo il rimpianto per la scomparsa di Lodovico Belgiojoso (1909-2004), principale esponente del razionalismo milanese e del celebre gruppo BBPR, alla cui opera si deve la creazione della Torre Velasca e il polo espositivo del Castello Sforzesco. Nuovo Pirellone, lo st rappo della Lega. Il Carroccio diserta la cerimonia per il restauro e annuncia: scontro anche in Comune. La struttura “restituita ai milanesi” dopo due anni (dal “ Corriere della Sera” del 19.4.04) Il Grattacielo Pirelli è stato restituito ai milanesi a due anni dall’incidente. Il ministro Urbani l’ha definito un recupero da record. Assenti i rappresentanti della Lega per protesta contro l’arrivo della spazzatura dalla Campania.

Paesaggio Oro al Parco della memoria. Un territorio protetto sopravissuto alle bonifiche (da “ Italia Oggi” del 31.3.04) Il progetto vincitore della quindicesima edizione del premio Carlo Scarpa per il giardino, promosso dalla Fondazione Benetton studi ricerche, è Kongenshus Mindepark, un territorio di 1.200 ettari di brughiera risparmiato dalla bonifica integrale, nello Jutland (Danimarca). La giuria quest’anno ha voluto prendere in esame la scuola del paesaggismo nord-europeo, privilegiando il progetto del paesaggista Carl Theodor Sorensen (1893-1979) e di Hans Georg Skovgaard (1898-1969) che vennero incaricati nel 1945 di dare forma di memoriale ad una delle piccole valli di origine glaciale, presenti all’interno del parco. Parcheggi “Scandalo box alla Fabbrica del vapore”. Parcheggi nella “città dei giovani” (dal “ Corriere della Sera” del 8.4.04) La Fabbrica del vapore cede spazio a un parcheggio. Il 30 giugno scadrà un bando per la realizzazione di un autosilo pubblico realizzato in project financing proprio nella stessa area dell’annunciato “ laboratorio della creatività giovanile” . La denuncia è del consigliere di zona 8 Enrico Fedrighini: “ Vorremmo capire se la realizzazione dei posti auto toglierà spazio alla fabbrica, uno dei pochissimi progetti di recupero di un’area industriale destinato ad attività culturali” . L’annuncio della Fabbrica del vapore è del 1997: doveva diventare un grande spazio culturale aperto tutto l’anno con mostre e laboratori, la vetrina delle t endenze art ist iche contemporanee. Una marcia per salvare gli alberi dai box. I comitati di quartiere: basta con il taglio delle piante. Un corteo dal Ticinese a Palazzo M arino (dal “ Corriere della Sera” del 23.4.04) L’obiettivo della marcia organizzata dagli abitanti di ogni quartiere è quello di portare al sindaco le proteste contro la costruzione di parcheggi al posto delle piante. In risposta alla mobilitazione dei quartieri le società incaricate della costruzione dei box tentano la strada del dialogo: apertura di qualche cantiere slitta a quest’estate. L’assessore ai Parchi e Giardini, Riccardo De Corato difende la politica ambientale del Comune: ” Il verde in città rispetto al 1997 è praticamente raddoppiato. Fino ai 18 milioni e più di metri quadrati di oggi” .

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Libri, riviste e media a cura della Redazione

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Rassegna di Valentina Cristini e Giulia Miele F. Infussi, G. Feller, A. Longo Città di Seregno, guida agli interventi e alla valutazione del progetto Arti Grafiche Bianca e Volta, Truccazzano (Mi), 2004 pp. 444, € 28,00 Orietta Lanzarini Carlo Scarpa, l’architetto e le arti, gli anni della Biennale di Venezia 1948/72 Marsilio, Venezia, 2003 pp. 250, € 27,00 Giuliano Gresleri, Glauco Gresleri Alvar Aalto, la chiesa di Riola Ed. Compositori, Bologna, 2004 pp. 190, € 45,00 Gianpiero Spinelli Il verde pubblico come spazio urbano Clup, Milano, 2004 pp. 136, € 10,00 Werner Oechslin Wagner, Loos e l’evoluzione dell’architettura moderna Skira, Milano, 2004 pp. 218, € 15,00 Angela M. Germano Bolles & Wilson Electa, Milano, 2004 pp. 500, € 44,00 Corrado Latina, Luca Giannini Repertorio di particolari costruttivi per l’edilizia residenziale Utet, Torino, 2004 pp. 182, € 38,00 Elena Rosa Ge-Nova-04 Alinea, Firenze, 2004 pp. 230, € 16,00 Mario Pisani Pica Ciamarra Associati. Città della scienza e altre opere Liguori, Napoli, 2002 pp.144, € 35,00 (con Dvd) Sergio Brenna La città architettura e politica Hoepli, Milano, 2004 pp. 96, € 13,00

L’architetto a casa sua

Rilievo a regola d’arte

I Carmassi: lavori in corso

Un bel libro, anche per la scelta dell’editore. 100 è un riferimento più che un numero che possa concludere un elenco e limitare il campo. Si tratta della pubblicazione di una ricerca del DPA del Politecnico di Milano, con il supporto del programma Cultura 2000 della UE, e di un sito: www.meamnet.polimi.it - Modern European Architecture Museum NET, da visitare - che ha predisposto la consultazione alle foto e a i disegni raccolti per le mostre e i convegni che si sono susseguiti in Europa dalla mostra alla Triennale nell’ottobre 2001. 100 case degli architetti nel senso delle abitazioni degli autori. Non solo costruzioni, ma anche e soprattutto interni – il caso di Albini è esemplare – in cui si intuiscono la vita, anche il lavoro, di chi le abita. Spazi che al di là degli intenti dimostrativi contengono una buona dose di sperimentalismo esercitato su oggetti di affezione. Luoghi che mostrano un modo di essere e lavorare che a volte è legato ad un’opera, ma che comunque ne mette in luce retroscena inattesi. Ambienti che messi insieme possono rivelare l’esistenza di quello che Postiglione ha chiamato un panorama transnazionale della cultura europea del secolo passato. Un mondo che amplia la conoscenza, ora sempre più possibile, della cultura del nostro mestiere al di fuori delle Storie ufficiali, sulle tracce delle opere non censite dalle visioni del mondo militanti. Soprattutto un catalogo che ci costringe – come ogni buon elenco di esempi – a rivedere il nostro lavoro e a metterlo in rapporto ad una tradizione che ineluttabilmente ci appartiene. Un’eredità che forse non richiede immedesimazioni spirituali o azioni provocatoriamente innovative, ma semplicemente buone interpretazioni. Talmente analitiche, dirette e approfondite, da risultare forse alla fine così nuove nel mostrare concretamente una via.

Ogni disciplina per definirsi tale deve necessariamente avere come fondamento un insieme di norme trasmissibili, che ne determinano il campo e che ne rendono evidente il ruolo rispetto ad altre attività conoscitive. Tali norme, per essere confrontabili, affidano a segni convenzionali le informazioni da trasmettere. Ciò accade ogni qual volta il segno, in architettura il disegno, si fonda su di un identico significato tra chi lo produce e chi lo osserva. Stabilendo una tacita convenzione sia riguardo ai modi della rappresentazione che agli elementi da rappresentare. Questo punto di vista, che lega la rappresentazione tramite segni convenzionali all’aspetto conoscitivo dell’oggetto, si fonda sull’impersonalità del disegno, che come strumento trova la sua ragion d’essere non tanto in se stesso, quanto nell’oggetto che porta a conoscenza. Attraverso l’impersonalità del disegno, si sposta l’interesse dalla particolarità dei modi della rappresentazione alla generalità delle questioni da rappresentare. Il volume si può considerare come un manuale. Il campo di indagine è relativo al rilievo degli edifici e alle tecniche di ricerca sull’esistente, in cui il disegno, come la fotografia e la schedatura, assumono il compito di restituire una realtà esterna attraverso la conoscenza delle parti che la compongono. Del costruito è descritto quello che è necessario conoscere e le operazioni di rilevamento per attuarlo: dal rilievo geometrico e le sue modalità, alla precisazione qualitativa dello stato degli elementi costruttivi. L’interesse di questo atteggiamento coincide con la capacità dimostrativa di un metodo, in cui ogni teoria presuppone il riconoscimento complessivo degli strumenti operativi per verificarla.

Electa, con questo volume, edito dopo Del restauro - quattordici case (1998) e Architettura della semplicità (1992), raccoglie alcune recenti proposte dei Carmassi a scala urbana (lungomare di Ancona, 2001; piazza Pellini a Perugia, 2001) e realizzazioni in corso (Museo della concia a Santa Croce sull’Arno, 2002; scuola materna di Arcore, 2001; polo museale di Ferrara, 2002). Francesco Dal Co, nell’introduzione, considera il valore architettonico dei restauri; vale a dire l’impegno per il recupero dell’esistente: pratica diffusa nella ricca Europa, di cui, da un punto di vista operativo, i Carmassi sono forse i maggiori interpreti nazionali. La loro attività viene definita come uno “ sperimentalismo concreto” , che si origina dall’analisi delle stratificazioni storiche e delle modalità insediative dei luoghi. Ricercano un rapporto appropriato con il contesto e pervengono a esiti di grande semplicità, senza alterare equilibri e manifestandosi con originali “ formalismi” . Propongono altresì disegni di progetto e di rilievo di qualità, che il libro, strumento fondamentale per valorizzare e testimoniare, con la loro riproduzione e con le belle foto di Mario Ciampi, Paola de Petri e di alcune soprintendenze toscane, rende parte essenziale delle attuazioni. I mattoni sono spesso i protagonisti costruttivi; la contrapposizione tra manufatto originario e superfici nuove diventa espressione di uno stile e di un metodo costruttivo che esalta la pratica del restauro. Marco Mulazzani sintetizza invece l’attività professionale dei Carmassi e ripercorre la nutrita bibliografia esistente, appunto testimonianza letteraria di progetti monumentali, tipologici e di piccola scala. I commenti alle opere sono dettagliati, fondati su un’analisi tecnologica dei procedimenti costruttivi adottati, descrittivi dei materiali e dei cromatismi.

Ilario Boniello

Giulio Barazzetta

Gennaro Postiglione (a cura di) 100. One hundred Houses for one hundred European Architects of the Tw entieth Century Taschen, Colonia, 2004 pp. 480, € 29,99 Ed. inglese

Roberto Gamba

Christian Campanella Il rilievo degli edifici. Tecniche di restituzione grafica per il progetto di intervento Il Sole 24 Ore, Milano, 2004 pp. 320 con Cd, € 55,00

Marco Mulazzani Gabriella e Massimo Carmassi. Opere e progetti Electa, Milano, 2004 pp. 256, € 50,00


Tecniche di ripetizione

La costruzione di un pensiero

La memoria di una vita

Il libro di Ackerman è una raccolta di studi su temi differenti, tutti trattati attraverso una riflessione sulla rappresentazione in architettura. L’indagine è di tipo storico-critico, sempre relativa all’analisi di disegni e testi di cui si studia la particolarità rispetto al tema della rappresentazione. Negli scritti sono presenti argomentazioni di cui è interessante riconoscere la ricorrenza, indice di una ricerca che si appoggia a precisi riferimenti bibliografici, sempre chiaramente esplicitati, ed alla tradizione degli studi del famoso storico dell’architettura. Anche se il titolo della edizione italiana sembra proporre uno sguardo evolutivo, dalla classicità sino alla contemporaneità, l’intenzione di Ackerman (titolo originale: Origins, Imitation, Conventions) appare più essere quella di individuare come, nel disegno di architettura, alcune “ stupefacenti invenzioni grafiche, una volta conseguite, si sono immediatamente tramutate in convenzioni, perdurando immutate nei secoli” . Quindi, quella di sottolineare la nascita e la natura convenzionale delle tecniche di rappresentazione in architettura. Tali aspetti convenzionali del disegno, introdotti nella Prefazione, trovano la loro compiuta trattazione nello scritto conclusivo, Convenzioni e retorica nel disegno architettonico, che dà una connotazione alla raccolta attraverso la evidenziazione di come gli strumenti (la carta, la mano, il CAD) e le diverse tecniche di rappresentazione (la pianta, la sezione, la prospettiva) caratterizzino ogni disegno di architettura. L’importanza e l’attualità di questi scritti di Ackerman – particolarmente relativi al rilievo: “ la retorica del disegno è forse meglio illustrata dalla rappresentazione degli edifici esistenti” – sono sottolineate dal confronto con ciò che le discipline compositive, dal punto di vista del progetto di architettura, hanno elaborato in questi anni sulle stesse questioni.

Tecniche di ripetizione... Sembra essere tutto nel titolo lo sforzo di questa coerente e compatta ricerca conclusa e formalizzata in quest’interessante libro da Carlo Ravagnati. Coerente perché capitolo dopo capitolo, si chiarifica la struttura complessiva del pensiero sotteso a tutto il discorso, prima di analisi, poi compositivo. Ravagnati ri-affronta la questione teorica del trattato di architettura e della sua necessità fondativa nella pratica architettonica del periodo rinascimentale, dimostrando come alla base del lavoro degli stessi progettisti stava un’intensa opera di rilievo-disegno-progetto. Azioni successive e legate da un unico concetto: costruire prima come attività d’intelletto e poi come attività pratica. Una narrazione costruita per continue citazioni-parafrasi dei temi oggetto di pensiero estrapolati dagli stessi trattati (Vitruvio, Alberti, Serlio, Palladio), quest’ultimi resi ancora più espliciti con una ricerca iconografica sempre presente; una sorta di scambio dialogico tra testo e immagini, quasi a voler confermare l’operazione che l’autore (nel cuore del lavoro) sceglie di perseguire nella costruzione di tavole sintetiche, scritte e disegnate, dei vari temi di tesi. L’intera analisi punta poi all’indagine di una singola architettura: la basilica di San Pietro. Il tema viene sviluppato in tutti i suoi aspetti, dalla questione tipologica e di rapporto con il suolo, fino al problema della costruzione della cupola. Dicevo all’inizio “ compatto” , un testo che arriva direttamente al centro della questione, che non viene affrontata da storico e nemmeno con spirito storicista, bensì con l’interesse del progettista che interroga una costruzione per poterne astrarre delle regole e dei principi utili al suo lavoro di architetto.

Kollhoff è una figura a sè stante nel panorama dell’architettura contemporanea: nessuno come lui ha articolato nell’arco degli anni un pensiero architettonico che andasse dalla critica del movimento moderno al recupero della tradizione ottocentesca, dalla declinazione tipologica e morfologica degli edifici (alla maniera di Ungers, del quale Kollhoff è stato assistente alla Cornell University) alla valorizzazione di patrimoni trascurati dalla storiografia e dalle mode di oggi, come l’architettura americana tra il XIX e il XX secolo o il Novecentismo milanese. Questo percorso si compone di edifici essenziali, asciutti, a tratti severi, curati in ogni dettaglio per corrispondere agli imperativi vitruviani di Venustas, Firmitas e Utilitase allo stesso tempo dedica grande attenzione ai temi urbani, al decoro della città. L’intensità del confronto con questi temi non ha lasciato spazio alle mode, alla creazione di icone per il mercato internazionale dell’architettura patinata, eppure tutti conoscono Kollhoff e tutti, con un po’ di attenzione, possono identificare nei suoi lavori caratteri che accomunano le numerose realizzazioni. Uno per tutti: la precisione, il controllo dell’edificio in ogni sua parte, la netta costruzione di uno spazio in conformità ad un pensiero. In molti casi Kollhoff ha scelto la via più difficile invece di cavalcare l’onda dell’affermazione attraverso i media. Già nella metà degli anni ‘80 le sue prime realizzazioni a Berlino avevano richiamato l’attenzione della critica internazionale e l’edificio residenziale nella Luisenplatz a Berlino, terminato nel 1987, era ed è ancora oggi oggetto di visite da parte di studenti e architetti di tutto il mondo. Eppure sfogliando questo libro è evidente che la sua ricerca allora era appena iniziata e, dopo 25 anni di professione e 15 di insegnamento a Zurigo, i suoi lavori non cessano di evolversi e di sorprendere.

Piuttosto che a una ricerca di scientificità autobiografica, questo piccolo, ma intenso libro di uno dei protagonisti dell’architettura del Novecento, si comprende proprio nella dimensione frammentaria, nel carattere episodico, con cui vengono ricostruiti, in brevi capitoli, alcuni, non tutti, i momenti centrali della sua vita. Una raccolta di memorie, riflessioni e commenti in margine a una vita intensa, in cui sicuramente l’esperienza della deportazione, “ proprio per la sua eccezionalità” , ha costituito il “ baricentro” . In questo senso si potrebbe inserire il libro in quella ricca, per quanto sempre vitale, famiglia di opere centrate appunto sulla tragedia della guerra, da Primo Levi a Kerenyi. Anche se quello che qui colpisce è proprio l’autore, la sua figura, a cenni descritta, e il suo rapporto con un mondo, quello dell’aristocrazia milanese, che viene, a tocchi leggeri, rievocato attraverso i suoi luoghi e i suoi personaggi. Luoghi milanesi che costituiscono “ i confini del mio mondo” , radicati nella memoria al pari di quelli berlinesi dell’infanzia di Benjamin; luoghi oltre i quali si apriva “ tutto un altro universo” , dove “ i giardini pubblici” rappresentavano “ l’inizio della campagna, perché non sapevo dove finissero” . Epoi i suoi personaggi, tra cui, ma non solo, i suoi compagni di studio, di cui in particolare emerge quel modo di lavorare a quattro e la controversa relazione con il suo “ maestro di pensiero” , Rogers, uno il “ fuoco” , l’altro la “ scintilla” ; e poi ancora quella lunga serie di personaggi incontrati nel corso della vita, dai commilitoni fino ai compagni di prigionia, dai protagonisti della rinascita architettonica del dopoguerra fino ai più stretti collaboratori. Un importante documento di vita, ma anche un insegnamento all’insegna della “ pazienza, della sopportazione e dell’astensione da giudizi severi” , e infine un esercizio di memoria, attività che troppo spesso sembra oggi dimenticata.

Francesco Fallavolita

Antonio Borghi

Maurizio Carones

James S. Ackerman Architettura e disegno La rappresentazione da Vitruvio a Gehry Electa, Milano, 2003 pp. 276, € 32,00

Carlo Ravagnati Tecniche di ripetizione. Rappresentazione e composizione nei progetti per la basilica di San Pietro Ed. Tecnograph, Bergamo, 2003 pp. 242, € 14,00

Michele Caja

Jasper Cepl (a cura di) Hans Kollhoff Electa, Milano, 2003 pp. 446, € 68,00

Lodovico Barbiano di Belgiojoso Frammenti di una vita Archinto, Milano, 2004 pp.120, € 12,50

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Informazione

Origini, Imitazione, Convenzioni


Mostre e seminari a cura della Redazione

Informazione

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Rassegna mostre

Rassegna seminari

A caccia in Paradiso. Arte di corte nella Persia del Cinquecento Milano, Palazzo Reale piazza del Duomo 12 Milano, Museo Poldi Pezzoli via Manzoni 12 10 marzo - 27 giugno 2004

Master Europeo in Storia dell’Architettura Università degli Studi Roma Tre, Université Paris 8, Universidad Politecnica de Madrid, Université de Provence-Aix-Marseille Accademia Naz. di San Luca, Università degli Studi di Siena iscrizione entro 18 giugno 2004 masterstoriarch@arch.uniroma3.it

ll secondo palazzo della Regione Lombardia Risultati del concorso internazionale Milano, Triennale viale Alemagna 6 15 maggio - 31 luglio 2004 Terragni architetto europeo Como, ex chiesa San Francesco largo Spallino 1 20 aprile - 30 novembre 2004 Marc Chagall e la Bibbia Genova, Museo Ebraico via Bertora 6 19 aprile - 15 luglio 2004 Albrecht Durer 1471-1528 Ancona, Mole Vanvitelliana 9 aprile - 6 giugno 2004 Mario Cresci Le case della fotografia 1966-2003 Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea via Magenta 31 7 aprile - 25 luglio 2004 Sironi. La grande decorazione Milano, Triennale viale Alemagna 6 10 giugno - 25 luglio Luca Gazzaniga architetture silenziose Ceggia (Ve), General Membrane via Venezia 28 8 maggio - 10 luglio 2004 Adriano. Le memorie al femminile Tivoli, Antiquarium del Canopo Villa Adriana 1 aprile - 25 settembre 2004 Il territorio nella società dell’informazione Dalla cartografia ai sistemi digitali Venezia, Museo Correr piazza San Marco 52 1 maggio - 11 luglio 2004

Ciclo di conferenze “ Cantieri aperti” Sesto appuntamento David Chipperfield. Città della giustizia di Salerno Milano, Triennale viale Alemagna 6 16 giugno 2004 L’organizzazione del cantiere impiantistico all’estero ANIMP, Associazione Nazionale di Impiantistica Industriale; OICE, Associazione delle organizzazioni di ingegneria, di architettura e di consulenza tecnico-economica; ECI, European Construction Institute Milano, Arum Centro Convegni via Larga 31 14 - 15 giugno 2004 tel. 02 58376257 E-Government: sarà un vero cambiamento nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadini? Relatore: Giuliano Noci Politecnico di Milano Facoltà di Architettura Urbanistica Ambiente Aula S01 p.za Leonardo da Vinci 32 15 giugno 2004 ore 18.00 tel. 02 23992532 Domotica: tecnologie per una casa più amica Relatore: Pierluigi della Vigna Politecnico di Milano Facoltà di Architettura Urbanistica Ambiente Aula S01 p.za Leonardo da Vinci 32 29 giugno 2004 ore 18.00 tel. 02 23992532

Tempi moderni

Dalla ricostruzione al Boom economico

Richard Long, Jivya S. Mashe. Un incontro in India Milano, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea 18 marzo - 6 giugno 2004

Milano la fabbrica del futuro. Il rinnovamento di una metropoli del Novecento Milano, Spazio Oberdan v.le Vittorio Veneto 2 31 marzo - 6 giugno 2004

Tendenza delle mostre della stagione in corso è il grande interesse per l’arte extra-occidentale. Anche Milano non si sottrae a questo filone proponendo un interessante confronto fra arte tribale indiana e land art, secondo le interpretazioni, rispettivamente, di Jivya S. Mashe e R. Long. Le comparazioni però sono più stimolanti se si sottolineano non solo le somiglianze, ma anche le differenze. E di queste qui ci occupiamo. Come è noto, con la land art si fuoriesce dalla cornice del quadro per invadere lo spazio. Nuovo supporto diventa la terra su cui imprimere i segni dell’intervento artistico. L’opera è poi opportunamente documentata con fotografie o video per poter circolare nelle varie gallerie e mercati d’arte. La tribù Warli è una comunità di circa 300.000 membri stanziata a 150 km da Mumbay, priva di scrittura e conosciuta per le splendide pittografie praticate in occasioni rituali da un particolare gruppo (le donne). Nel corso degli anni ’60 il governo indiano, al fine di conservarne la millenaria iconografia, ha preso la discutibile decisione di introdurre nei villaggi carta e tela, ovvero supporti durevoli, trasportabili, vendibili, affrancando la pittura dalla fragile superficie muraria delle capanne. Dunque mentre la tendenza prevalente dell’arte occidentale moderna implica il rifiuto dei media tradizionali, là li si è imposti e non senza notevoli ripercussioni, perché al di qua o al di là della telaquadro non è più la stessa cosa, non è più lo stesso mondo. Infatti, l’atto sacrale Warli del dipingere inizia a diventare arte: travalica la propria funzione religiosa per assumerne una estetica. L’incontro fra i due artisti focalizza allora due cammini drammaticamente inversi: quello di Jivya S. Mashe verso il quadro (soglia di passaggio dal rito alla rappresentazione); quello di Long verso il suo oltrepassamento, per ritrovare una natura mitica, marcando la terra con cerchi e spirali di pietra, acqua e fuoco. Sonia Milone

Con questa mostra dedicata a Milano nel vent ennio 1945-65 si chiude l’esperienza di “ Specchio d’Europa” , progetto nato con la finalità di indagare sulla storia della città e di proporre una riflessione sulla sua immagine attuale. Il periodo del dopoguerra è stato scelto perché considerato emblematico per capire la trasformazione della città nel corso del XX secolo. La mostra documenta la voglia di rinnovamento di Milano, la forza e il coraggio dei suoi cittadini, la capacità di crescere e di lavorare dopo lo sfacelo, morale e materiale, seguito alla Seconda Guerra Mondiale. Alla fine degli anni ‘60, Milano si mostrerà alla nazione come un modello di complessità e di ricchezza da imitare in tutti i campi. Nel percorso espositivo le prime immagini presentano il tormento di una città uscita dai bombardamenti: edifici distrutti, infrastrutture inesistenti, popolazione in cerca di cibo e di ricoveri di fortuna. Immediatamente si passa alle fotografie che illustrano l’alacre lavoro di ricostruzione dei suoi abitanti: lo sgombero delle macerie, l’edificazione di alloggi, la riorganizzazione dei trasporti, la ripresa delle attività economiche e industriali. Le sezioni dedicate alla progettazione architettonica e urbanistica illustrano, a partire dai primi anni ‘50, il nuovo assetto della città. Sorgono i nuovi quartieri, come il QT8, si erigono i moderni edifici simbolo della città: il grattacielo Pirelli e la Torre Velasca. Per quanto riguarda lo sviluppo economico, si realizza negli anni ‘60 a Milano il culmine della crescita industriale, nel cui contesto si inseriscono positivamente l’installazione della Fiera Campionaria Internazionale e l’impulso dato all’innovazione del prodotto industriale dai progressi della ricerca applicata alle arti visive. Altre sezioni testimoniano il fervore nella vita culturale e artistica e la partecipazione alle attività teatrali e musicali. Manuela Oglialoro


Anselmi: progettare e disegnare

Un punto di vista sulla residenza

La periferia e il caso di Rozzano

Come comete. Annunci e messaggi nella grafica della Triennale. Milano, Triennale 25 marzo - 20 giugno 2004.

Anselmi. Piano Superficie Progetto Roma, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo via Guido Reni 2 13 marzo - 16 maggio 2004

Klaus Theo Brenner Wohnhäuser - Abitazioni urbane Milano, Facoltà di Architettura Civile aula mostre, via Durando 10 6 aprile - 4 maggio 2004

Città di Rozzano. Evoluzione di un progetto 4ª sessione: “ La periferia come forma della città attuale” Rozzano, Editoriale Domus 28 aprile 2004

La grafica, si sa, a differenza di altre discipline più “ nobili” , produce artefatti effimeri che trovano la loro ragion d’essere nel particolare evento che comunicano; il loro ruolo è quello di annunciare per poi svanire una volta scaduto l’evento stesso. Da qui il titolo Come comete scelto dai curatori per raccontare la storia di 70 anni di grafica della Triennale - da sempre impegnata nella diffusione della cultura del progetto e quindi attenta anche alla propria comunicazione, affidata di volta in volta ai grafici italiani più famosi. Gli oggetti e gli stampati, organizzati in mostra per tema grafico (manifesto, diploma, medaglia, tessera, catalogo, ecc.), sono in grado di tracciare, non solo una storia particolare, ma un più ampio rendiconto sulla comunicazione visiva in Italia, sull’evoluzione del gusto e dell’approccio progettuale dagli anni ‘30 fino ad oggi. Si possono apprezzare e confrontare i lavori dei più importanti maestri della grafica italiana: dai manifesti di M. Sironi per la V e VI Triennale, con un’impostazione decisamente pittorica, alla nuova grafica più razionale e sintetica di M. Huber e Albe Steiner degli anni ‘40, agli elaborati festosi e ironici tipici di B. Munari, che cura la decima esposizione. I contributi di E. Carmi, E. Sottsass e R. Sambonet danno all’immagine della Triennale un tocco espressivo giocato su elementi gestuali, mentre la grafica di M. Vignelli introduce il secco stile internazionale basato su modularità e forme geometriche pure. Si riconosce, poi, lo stile impeccabile di I. Lupi, artefice del marchio istituzionale ancor’oggi usato; la capacità di sintesi di Bob Noorda e la grafica più articolata e complessa degli ultimi lavori di M. Panzeri. Insomma, una storia sicuramente non completa ma assai interessante e significativa. Un bel catalogo completa la mostra con un approfondito contributo storico di M. Piazza.

La mostra delle architetture di Alessandro Anselmi presenta molti progetti, da quelli elaborati in seno al GRAU, ai successivi progetti di scala maggiore, alle opere realizzate in Francia, fino ai progetti più recenti italiani, tra i quali molto spazio è dedicato al municipio di Fiumicino, unica opera realizzata in Italia negli ultimi anni. Molte sono anche le pubblicazioni che testimoniano la ricerca e le riflessioni parallele al lavoro progettuale, nonché la pubblicistica sull’opera dell’architetto. L’allestimento della mostra è ironico: grandi dinosauri accompagnano il visitatore, e nelle viscere dei mostri stessi si definiscono nuovi spazi. C’è tutto quello che serve per dire che Anselmi è uno dei grandi architetti italiani di questo periodo, tutto tranne - forse - le opere costruite, anche se i suoi progetti hanno tutte le caratteristiche per uscire dal mondo della carta. La sproporzione tra i progetti e le realizzazioni è davvero molta, se poi si restringe il campo alle opere italiane, allora il bilancio è veramente triste. Per fortuna Anselmi è un architetto italiano, anzi romano, e da quest o suo mondo d’appartenenza ha, tra le varie qualità, tratta ed egregiamente sviluppata la capacità di disegnare: disegna bene, benissimo, ed i suoi disegni ci danno conto in maniera efficace delle sue architetture, degli spazi pensati, della materialità delle superfici, della luce e soprattutto dell’ombra, dei nuovi paesaggi che si vengono a creare. Questi disegni ci dicono anche della sua propensione a lavorare lo spazio secondo leggi prospettiche, ad assemblare volumi e a definire spazi procedendo per controlli non geometrici ma visivi; queste splendide prospettive sembrano essere lo strumento di controllo, per eccellenza, di questi progetti. Per fortuna Anselmi disegna bene... ma speriamo ci siano più occasioni per vedere gli edifici uscire dalla carta.

La mostra sul lavoro dell’architetto berlinese Klaus Theo Brenner rappresenta un punto di vista particolare sull’architettura civile, più precisamente, sul tema dell’abitazione urbana. L’esposizione si compone di due sezioni: la prima presenta una ricerca tipologica commissionata dalla Città di Berlino, la seconda illustra una serie di progetti realizzati o in via di esecuzione; nel complesso, il tema principale consiste nel tentativo di dialogare con gli elementi stabili della città ponendo l’accento sull’individuazione tipologica e formale delle singole architetture. L’essenzialità delle proposte, raccolte in disegni ed immagini di grande efficacia, riassume con chiarezza il procedimento compositivo di Theo Brenner, volto a comprendere, tramite un’attenta analisi teorica indirizzata al progetto, i nessi e i modi con cui l’architettura prende parte alla definizione complessiva dello spazio urbano. Sicuro che l’architettura della città, nel suo rivelarsi come insieme di relazioni tra singoli edifici e spazi pubblici, debba assumere con chiarezza un ruolo antagonista alla cosiddetta “ città degli oggetti” , intesa come antologia di scenografiche architetture individuali di incerta lettura, Brenner elabora una ricerca su alcuni temi e tipi propri della storia urbana, che, seppure adottati come rimandi talvolta non esclusivamente concettuali, vengono reinterpretati in tono libero da ogni sentimento nostalgico o puramente storicista. Le tavole esposte testimoniano, al di là delle evoluzioni linguistiche e tematiche avvenute in un ventennio di attività, la permanenza di diversi tratti costanti, riconducibili alla tradizione architettonica berlinese, quali il ricorso a volumi elementari variamente articolati, l’essenzialità delle piante e delle facciate, la sobrietà dell’apparato decorativo.

Il Comune di Rozzano, promotore di un ciclo di conferenze multidisciplinari sul proprio sviluppo, ha presentato la sessione dedicata all’urbanistica, proponendo significativamente il tema della “ periferia” . I relatori invitati affrontano la questione secondo tre principali approcci: da studiosi, da ricercatori e da progettisti. A un dibattito teorico si deve infatti affiancare uno sguardo “ più vicino alle cose” , come sottolinea Giulio Barazzetta, moderatore del convegno insieme a Stefano Casciani. I primi interventi riguardano allora una definizione aggiornata di periferia. Se Marco Romano ne parla in termini di una “ mancanza o perdita di temi collettivi” , Giancarlo Motta ne sottolinea la ricchezza: periferia come oggetto di studio da cui trarre principi ispiratori e idee per la città attuale. Secondo Edoardo Marini, alla base del meccanismo che genera “ periferie” anche in aree geograficamente centrali, si pongono dinamiche di tipo psicologico, come l’odierna paura di una minaccia esterna. Sul fronte della progettazione Rozzano, intervengono Alessandro Tutino, che negli anni ’50 affronta, per la prima volta nel contesto nazionale, la questione degli standard urbanistici; Renato Restelli, Franco Raggi e Francesco Isidori, che presentano il recente “ Istituto Clinico Humanitas” , 3° polo ospedaliero del milanese, e il futuro Polo Universitario (Facoltà di Medicina e di Scienze infermieristiche); Matteo Vercelloni, che ha realizzato un intervento di edilizia residenziale convenzionata; Patrizio Cimino e M at t eo M ai, responsabili del Piano di Recupero Urbano dei quartieri ALER. Tutti i progettisti condividono l’attenzione per una qualità architettonica abbinata a un equilibrato inserimento paesaggistico degli interventi. Anche il Sindaco Maria Rosa Malinverno, ribadisce in conclusione il ruolo di Rozzano quale caso esemplare di pianificazione, rifiutando, assieme agli altri relatori, la definizione di “ periferia delle periferie” , attribuita in modo superficiale dalla recente cronaca.

Ivana Tubaro

Francesco Bruno Pisana Pisocco

Mina Fiore

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Informazione

Storie visive della Triennale


A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l'adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice - novembre 1969:100 Anno 2001 2002 2003 2004

Gennaio 1430 1430,28 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00

Febbraio

Marzo

Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre 1440 1435,31 1436,56 1441,59 1445,35 1446,61 1447,86 1447,86 1449,12 1470 1480 1467,96 1471,72 1475,49 1478 1480,51 1481,77 1484,28 1486,79 1510 1520 1504,37 1509,4 1511,91 1513,16 1514,42 1518,19 1520,7 1524,46

2001

48

2002 2003

Indici e tassi

2004

1525,72 1529,49 1529,48

1537,02 1538,28

2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978) Anno

Ottobre Novembre Dicembre 1450 1452,89 1455,4 1456,65 1490 1490,56 1494,33 1495,58

Gennaio Febbraio

Marzo

novembre 1978: base 100

dicembre 1978:100,72

Aprile

Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre 500 495,00 496,74 497,18 498,91 500,22 500,65 501,09 501,09 501,52 502,83 510 506,30 508,04 509,35 510,65 511,52 512,39 512,82 513,69 514,56 515,86 520 519,78 520,64 522,38 523,25 523,69 524,12 525,43 526,29 527,6 528,03 530 530,21 531,94 532,38

Novembre Dicembre 503,70 504,13 517,17 517,6 529,34 529,34

3.1) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Milano)

anno 1995: base 100

Anno

Gennaio Febbraio

Giugno

2002 2003 2004

111,80 112,18 112,47 112,76 112,95 113,14 113,24 113,43 113,62 113,91 114,2 114,29 114,77 114,97 115,35 115,54 115,64 115,73 116,02 116,21 116,50 116,60 116,89 116,89 117,08 117,46 117,56

Marzo

Aprile

Maggio

Luglio

giugno 1996: 104,2

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

3.2) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) anno 2000: base 100 Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno 2002 2003 2004

Gennaio Febbraio

Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

dicembre 2000: 113,4

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

102,73 103,08 103,35 103,61 103,79 103,96 104,05 104,23 104,4 104,67 104,93 105,02 105,46 105,64 105,99 106,17 106,26 106,34 106,61 106,79 107,05 107,14 107,40 107,40 107,58 107,93 108,02

4) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

gennaio 1999: 108,2

Anno

Gennaio Febbraio

2002 2003 2004

107,67 108,04 108,31 108,59 108,78 108,96 109,05 109,24 109,42 109,7 109,98 110,07 110,53 110,72 111,09 111,27 111,36 111,46 111,73 111,92 112,19 112,29 112,56 112,56 112,75 113,12 113,21

5) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

anno 2001: base 100

gennaio 2001: 110,5

2001 2002 2003 2004 103,07 105,42 108,23 110,40

6) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

Luglio

anno 1999: base 100

anno 1995: base 100

1996 1997 1998 105,55 108,33 110,08

7) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno

1998 1999 2000 101,81 103,04 105,51

novembre 1995: 110,6

1999 2000 2001 2002 2003 2004 111,52 113,89 117,39 120,07 123,27 125,74 anno 1997: base 100

febbraio 1997: 105,2

2001 2002 2003 2004 108,65 111,12 113,87 116,34

Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all'art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l'elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d'Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.

Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv.

della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U.

3,25% 3,75% 4,25% 4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%

8.2.2000 n° 31) dal 9.2.2000 3.5.2000 n° 101) dal 4.5.2000 14.6.2000 n° 137) dal 15.6.2000 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003

Con riferimento all'art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “ Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.

Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003

3,35% +7 2,85% +7

Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) 10,35% 9,85%

dal 1.7.2003 al 31.12.2003

2,10% +7

9,10%

Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)

dal 1.1.2004 al 30.6.2004 Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.

2,02% +7

9,02%

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10% . Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato) G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, re-lativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione per-centuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove).

Applicazione Legge 415/ 98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


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