Supplemento di AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 6 Giugno 2004
Editoriale Stefano Castiglioni, Presidente Consulta Regionale Lombarda
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Presentazione Paolo Avarello, Presidente Nazionale INU
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Programma Atti del Convegno del 18 marzo 2004
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I problemi e le sperimentazioni interventi di Leonardo Fiori, Marco Brambilla, Marco Engel, Gianfredo Mazzotta, Alfredo Mela, Piero Ranzani, Iginio Rossi, Gianni Verga, Alfredo Viganò
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Le politiche e gli strumenti operativi interventi di Ettore Bonalberti, Roberto Ceresoli, Luciano Niero, Giovanni Oggioni, Mario Rossetti
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Contributi tematici Jacopo Gardella e Fabrizia Iacci, Emanuele Tortoreto
Direttore Responsabile: Stefano Castiglioni Direttore: Maurizio Carones Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Martina Landsberger, Mina Fiore Assistente di Redazione: Irina Casali Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico: Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa: Alberto Greco Editore srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 300391 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: age@gruppodg.com Concessionaria di Pubblicità: Profashion srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 30039330 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: profashion@gruppodg.com Stampa Diffusioni Grafiche, Villanova Monf.to (AL) Rivista mensile: Spedizione in a.p.- 45% art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 25.250 copie Abbonamento annuale (valido solo per gli iscritti agli Ordini) € 3,00
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Sommario
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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 w w w.consultalombardia.archiw orld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidenti: Daniela Volpi, Giuseppe Rossi, Ferruccio Favaron; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 18.3.03) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 2.10.02) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Angelo Monti; Segretario: Marco Francesco Silva; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Franco Andreu, Renato Conti, Gianfredo Mazzotta, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 30.6.04) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 1.8.03) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 15.2.03) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi, Giuseppe Rossi (Termine del mandato: 10.7.03) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guernieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 25.5.03) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Giulio Barazzetta, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 30.6.04) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Quintino G. Cerutti; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Maura Lenti, Paolo Marchesi, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 2.10.03) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 19.2.03) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 3.7.03)
Periferie urbane: dalla denuncia alla proposta
Stefano Castiglioni Presidente Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti
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Editoriale
Più che un’entità definita un ambito identificabile con parametri puntuali, “la periferia” resta una valutazione di discontinuità tra assetto edificato e qualità del vivere, e quindi in sintesi una sorta di giudizio critico sulla città. L’approfondimento posto dal recente Convegno ha tra l’altro rilevato come “la periferia”, più che una distinzione con il “centro”, con il “nucleo antico”, rappresenti piuttosto una contrapposizione tra un contesto urbano considerato inadeguato, estraneo, se non ostile (la “città non c’è”, il “non luogo”) e l’immagine (più concettuale che reale) di città auspicata, di una fisicità idealmente riconoscibile, del “luogo” avvertito nel pensiero, negli atteggiamenti, nella vita dei suoi abitanti. Per questo forse il termine di periferia appare oggettivabile con difficoltà: non è neppure direttamente traducibile nella cultura anglosassone che adotta le terminologie di hinterland, surrounding neighborhood, outskirts, suburb, ciascuna con proprie specificità ma nessuna in grado di sintetizzarne il reale significato. “Dalla città degli affari alla città dei diritti” intitolava un recente convegno sul tema, sottolineando come sussista in ogni caso una rivendicazione diffusa, un’esigenza e quindi una domanda reale di politiche urbane diverse, rivolte espressamente alle aree marginali, quando non emarginate, per: • disegno sociale; • reddito; • presenze dequalificanti sotto il profilo ambientale; • inadeguata accessibilità/mobilità pubblica; • scarsità di servizi; • qualità edilizia; • immagine urbana, solo per citare le evidenze più macroscopiche. Se quanto sopra investe ben oltre le competenze di architetti e urbanisti, è opportuno sottolineare 3 ambiti di approfondimento e intervento, attivabili sin d’ora tramite la nuova legislazione urbanistico-edilizia regionale: • il ricorso agli strumenti dei piani d’area per un governo del territorio a scala metropolitana che favorisca estesa diffusione della “qualità urbana” (tramite in particolare un efficace ruolo dei trasporti pubblici e una distribuzione territoriale equilibrata dei servizi), evitando che interi comuni possano scadere al rango di periferie; • una considerazione estensiva del cosiddetto “piano delle regole”, recuperando la precedente più ampia formulazione di “piano morfologico”, che non si limiti a tutelare qualità e valori storico ambientali paesaggistici ove già sussistono ma riconosca e identifichi ove crearli ex novo; • lo specifico ruolo esemplare che gli interventi di edilizia sociale possono rivestire, adottando una politica della casa che non si limiti a soddisfare la pura e semplice emergenza abitativa ma risulti associata a: – progetto urbanistico; – attenzione a interventi di recupero dell’esistente prima che di nuova edificazione; – abbinamento organico a adozioni di standard pubblici (verde, strutture scolastiche e di assistenza realizzate in concomitanza con progettazioni unitarie/correlate); – progetto partecipato e socialmente condiviso; – soluzioni tipologiche e morfologiche correlate all’intorno urbano; – scala di intervento proporzionata e compatibile con il contesto. Si tratta naturalmente di indicazioni elementari che necessitano di ben più esteso approfondimento dato che economia e politica si confronteranno nei prossimi anni proprio sul tema del territorio, destinando risorse per investire sulla città (e in entità rilevante proprio sulle periferie) nella consapevolezza che il “dove” e il “come si abita” non dovranno configurare oggetto di emarginazione, contrasto sociale, rivendicazione e che proprio la ricostruzione ed il miglioramento dell’ambiente edificato costituiranno una domanda sempre più condivisa diffusa, pressante ed ineludibile.
Verso progetti integrati per la qualità urbana
Presentazione
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Una prima osservazione riguarda la titolazione di questo incontro, quanto mai appropriata sia per la connessione con l’abitare, sia per il plurale: le periferie. Le periferie sono state, infatti, concepite essenzialmente come i luoghi della residenza, e in gran parte lo sono ancora, ma non sono affatto tutte uguali, come troppo spesso si dice. Ci sono le periferie “ storiche” , quelle dei quartieri operai, delle case “ popolari” , che in qualche città sono diventate appetibili per il ceto medio-alto, o quelle delle borgate; ci sono le periferie dei grandi quartieri di edilizia pubblica, che oggi fanno tanto discutere, un po’ in tutta Europa, e che spesso sono condannate, dimenticando le situazioni e i mezzi con cui sono state prodotte; ci sono le periferie della “ speculazione” degli anni ’50, ’60 e oltre: quelle dense e consolidate, e quelle ancora incerte, che alternano densità elevate a vuoti residuali; ci sono le periferie delle lottizzazioni a villette e villoni, e anche di condomini più o meno di lusso: chi le abita scambia i valori di centralità con vere o presunte qualità ambientali, e/o con la disponibilità di servizi più o meno “ esclusivi” , a cominciare dalla sicurezza. C’è poi anche il “ diffuso” , che però è sempre più difficile interpretare come periferia, e certo non come periferia “ degradata” , anche perché è invece spesso espressione del benessere. Il che non vuol dire che non presenti aspetti critici, che incidono senz’altro sulla qualità della vita, ad esempio il pendolarismo, rigorosamente in auto propria, che tra l’altro è causa non secondaria del traffico in città. Il “ diffuso” , comunque, sembra segnare un salto concettuale, rispetto alla periferia, fino a perdere di fatto ogni rapporto con la città, e con il centro città, per come storicamente li conosciamo, e per come noi italiani, in particolare, li abbiamo impressi nel nostro Dna. Qualcuno ha detto, e concordo, che finché continueremo a pensare in termini di città, di questa città, avremo sempre un centro e una o più periferie. In questo senso – e anche questo è stato detto – è piuttosto la “ dimensione” metropolitana, in termini anzitutto concettuali, che consente se non altro di guardare gli insediamenti con altri occhi. Ma attenzione: la condizione metropolitana, la città metropolitana, non è un dato di fatto, o un mero concetto amministrativo. La città metropolitana non “ accade” , non si fà da sola, spontaneamente, non è un semplice agglomerato di conurbazioni. La città metropolitana, invece, è sostanzialmente un sistema, che però deve essere rintracciato e costruito in concreto, lavorando sui “ materiali” che esistono (vuoti e pieni), ma non solo sulle “ parti” come areali, quanto piuttosto sulle connessioni. Dunque la città metropolitana è piuttosto un progetto che non uno stato in essere. Mi sembra evidente, e possiamo anzi considerarlo un esito consolidato e condiviso di questo convegno, che almeno per Milano le connessioni da privilegiare non sono solo quelle tra centro e periferie, ma forse soprattutto quelle reticolari, orientate cioè a individuare e rafforzare
altri centri, esistenti, possibili e/o potenziali e le connessioni tra questi. Il caso di Roma ad esempio è diverso, perché a Roma bisogna inventare ex novo centralità alternative e/o complementari a quella storica e consolidata, come appunto si sforza di fare il nuovo piano. In questo senso non vedo però contraddizioni tra occuparsi delle “ grandi reti” (ad esempio delle ferrovie già esistenti, da ricondizionare alla mobilità metropolitana) o dei singoli luoghi e tanto meno contrapposizioni tra piani e progetti. E vorrei anzi manifestare apprezzamento per gli intenti cooperativi che qui si manifestano tra urbanisti e architetti; non solo nel riconoscere che servono sia piani che progetti, come è ovvio, ma nel capire che chi opera su uno dei due versanti non può comunque ignorare l’altro, e tanto meno cercare di subordinarlo al proprio. Dico questo perché nell’università sono passato da una fase, negli anni ’70 – in cui tutto era urbanistica, e mi sembra davvero troppo – a dover oggi combattere con i troppi colleghi che ritengono salvifico e risolutivo, da solo, il “ grande progetto di architettura” ; naturalmente ciascuno il proprio. Invece il “ progetto urbano” , come ormai si chiama in tutta Europa, è qualche cosa di molto più complesso del semplice “ ridisegno” di una parte di città in senso architettonico, ovvero della “ prefigurazione” di spazi e manufatti. Questa resta tuttavia una componente importante nella costruzione del progetto complessivo di intervento, che assume di fatto carattere processuale, dovendo rispondere a obiettivi plurimi, perseguiti da soggetti diversi e per fini diversi, attraverso meccanismi di concertazione e procedure di tipo contrattuale. Più che a “ un progetto” conviene quindi pensare a una “ attività di progettazione” , che si esprima in parallelo e interagendo con le fasi di avanzamento dell’iniziativa, entro le quali per altro può svolgere ruoli e funzioni diversi. Vedo quindi con interesse, e mi solleva, che qui si consideri fondamentale anzitutto l’integrazione tra i punti di vista, e poi tra le tecniche e le pratiche che inevitabilmente caratterizzano i due diversi versanti disciplinari. E anzi ne mancano altri, come ad esempio l’economia e la sociologia, visto che il “ progetto urbano” tende a integrare gli interventi di trasformazione fisica anche con interventi “ immateriali” (es. sviluppo di attività e occupazione in loco, “ animazione urbana” , etc.) diretti alle compagini sociali interessate. L’integrazione mi sembra dunque anche più in generale il di questo convegno: integrazione tra funzioni (non solo case); integrazione tra interventi di trasformazione fisica e interventi sociali; integrazione tra operatori pubblici e operatori privati. Integrazione come strategia, ma anche come presupposto per il consenso e la partecipazione. Strategia come strumento per la creazione di valore aggiunto, ma anche come strumento per una redistribuzione dei plusvalori prodotti il più equamente possibile.
Paolo Avarello Presidente Nazionale I.N.U.
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Presentazione
Ristrutturare, riqualificare la città, anche solo migliorarne un poco la situazione esistente, costa tanto, in termini economici e finanziari, ma anche in termini sociali e di risorse umane. Ogni “ programma complesso” – l’unica e importante sperimentazione che si è fatta finora in Italia – si fonda sulla ricerca di equilibri: tra interessi diversi, pubblici e privati, ma anche, per esempio, tra densità e qualità ambientale, e tra residenza e altre funzioni. Equilibri sempre difficili, ma che è impossibile raggiungere se non si mette in campo un minimo di risorse; se intorno al progetto o programma non si aggregano le poche risorse disponibili, ma anche se il programma o progetto non sono essi stessi in grado di creare valore, e di redistribuirlo come risorsa. Le periferie, si è detto, sono fatte soprattutto di case, di residenza. Troppe case, e solo case. Sebbene i processi di riqualificazione siano sostenuti in genere da altre funzioni, e sebbene si concentrino spesso sugli spazi pubblici e/o collettivi, difficilmente si potranno raggiungere risultati di qualità – e quindi un percepibile miglioramento delle attuali situazioni di degrado, o anche solo di insoddisfazione – se non si lavora anche e direttamente sulla trasformazione degli spazi residenziali, dei volumi residenziali, delle stesse tipologie residenziali. Se, infatti, il modernismo è ormai quasi scomparso come stile, esso sopravvive però nell’inerzia dei regolamenti, delle tecniche costruttive, e appunto delle tipologie edilizie. Mi auguro perciò che lavorando molto si possano trovare anche altre e nuove soluzioni per ricostituire ambienti davvero urbani, vivibili e di qualità, senza per questo dover scimmiottare soluzioni che appartengono alla cultura e alla società di ormai due secoli fa.
CONSULTA REGIONALE LOM BARDA DEGLI ORDINI DEGLI ARCHITETTI - INU LOM BARDIA
CONVEGNO
Abitare le periferie problemi, sperimentazioni, politiche e strumenti operativi 6
M ILANO, 18 marzo 2004 Centro Congressi delle Stelline
Programma
Corso M agenta 61
PROGRAMMA Registrazione partecipanti Apertura dei lavori Leonardo Fiori, Presidente Onorario INU Lombardia Stefano Castiglioni, Presidente Consulta Regionale Lombarda Ordini Architetti Proiezione video Iginio Rossi, INU Lombardia I problemi e le sperimentazioni Presiede: Leonardo Fiori Relazioni tematiche: Alfredo Mela, Politecnico di Torino Piero Ranzani, INU Lombardia Gianfredo Mazzotta, Consulta Regionale Lombarda Ordini Architetti Marco Engel, Consulta Regionale Lombarda Ordini Architetti Marco Brambilla, Consulta Regionale Lombarda Ordini Architetti Presentazione di casi: Daniela Gasparini, Sindaco del Comune di Cinisello Balsamo Il caso del Quartiere Sant’Eusebio di Cinisello Balsamo Giovanni Verga, Assessore allo sviluppo del territorio del Comune di Milano Le politiche di Milano e i casi del Villaggio Barona e del Quartiere Ponte Lambro Alfredo Viganò, Assessore al territorio del Comune di Monza Progetti Europan a Monza Le politiche e gli strumenti operativi conducono: Stefano Castiglioni, Presidente Consulta Regionale Lombarda Ordine Architetti Piergiorgio Vitillo, INU Lombardia Tavola rotonda con la partecipazione di: Ettore Bonalberti, Regione Lombardia - Direttore Generale Lavori Pubblici e Edilizia Popolare Mario Rossetti, Regione Lombardia - Direttore Generale Territorio e Urbanistica Giovanni Oggioni, Comune di Milano - Direttore del Progetto di Pianificazione Strategica Luciano Niero, Presidente ALER Franco Cazzaniga, Presidente CIMEP Roberto Ceresoli, Direttore Ingegneria FNM Conclusioni Paolo Avarello, Presidente Nazionale INU
At t i del Convegno
I problemi e le sperimentazioni
Atti del Convegno
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Introduzione. Periferie tra definizioni e interventi Il tema di questo convegno è la “ periferia” , cioè quella parte del territorio che rappresenta per il senso comune “ l’abitare senza qualità” . Argomento alla ribalta da un ventennio con risultati deludenti. L’ incontro odierno può essere l’occasione di ripensare la città attraverso la periferia. Si è pensato di accantonare l’approccio strettamente disciplinare, per affrontare questo arcipelago del degrado, dove sono naufragate le speranze dell’urbanistica e dell’architettura moderna, confrontandoci sul concreto per quello che è, con occhi vergini. Presupposto è stato quindi che se non si accetta la realtà così com’è, non la si può capire e non se ne viene a capo. Allo stato dell’arte lo spettro dei possibili interventi sulle periferie spazia fra due estremi. Non pochi pensavano che è impossibile rimediare agli errori del passato e recuperare le periferie perché gli ostacoli e i costi sono ormai inaffrontabili. D’altra parte è inconfutabile che la periferia è la città contemporanea, dove vivono i due terzi dei cittadini che danno energia e operosità allo sviluppo urbano. Non vi sono quindi alternative a investimenti adeguati nelle periferie per la qualità e la crescita della città nel suo insieme. La necessaria reversibilità del degrado periferico porta ad alcune considerazioni e interrogativi da non trascurare nel corso di questo incontro. Il concetto di “ periferia” può rimanere ancorato a un centro storico circondato da una città dormitorio, oppure deve essere rapportato all’area metropolitana dei Comuni fortemente integrati da un punto di vista geografico e economico? Le periferie della città diffusa sono indissolubilmente associate alle condizioni materiali del continuo metropolitano oppure possono essere connesse a una rete di nuove categorie di centralità? È pensabile una strategia multipolare di municipalità di 50100 mila abitanti da ritagliare nel tessuto periferico milanese e di città provinciali, esistenti quantitativamente ma non ancora qualitativamente? Per scaricare l’area centrale di maggiore densità, che soffoca, sono sufficienti provvedimenti basati sulle “ comunicazioni e i trasporti” che non siano collegati a insediamenti di dimensioni critiche conformi, in cui si possa abitare, lavorare, svagarsi, riducendo le necessità di spostamento? Se a questi interrogativi si vorrà dare una risposta positiva, bisognerà prevedere che ogni parte di città, ogni periferia dovrà essere recuperata con un progetto completo, in grado di coordinare le componenti in gioco. Un progetto che comprenda ad esempio: • un “ Progetto strategico per le periferie” articolato in una struttura centrale e più strutture decentrate, dedicato al
coordinamento e alla verifica del Piano generale – e dei singoli Piani di quartiere; • una “ Consulta per le periferie” articolata anche a livello decentrato con la presenza di tutte le istituzioni, dell’associazionismo, dei sindacati, dell’imprenditoria; • i Forum e Laboratori di quartiere per l’effettiva partecipazione, essenziale per il successo del progetto, per garantire che gli interventi siano comunicati ai cittadini, progettati con i cittadini, realizzati con l’aiuto dei cittadini. Un’altra questione da porre è se sia principalmente la qualità urbana e architettonica a influire in positivo o in negativo sul disagio sociale. Le sperimentazioni dei “ Contratti di quartiere” hanno messo in luce altri problemi – gli anziani, i malati mentali, gli immigrati, la sicurezza, il lavoro, i luoghi di incontro, la solitudine – portando in primo piano per la loro soluzione la partecipazione diretta degli abitanti in un nuovo quadro di relazioni e di assistenza. Ma centrale per il recupero delle periferie è una vigorosa politica per la casa che apra una stagione di adeguati finanziamenti e qualità progettuale. La cultura progettuale si è orientata verso i “ monumenti” – musei, grattacieli, spot pubblicitari – e le tipologie abitative risalgono ormai alla prima metà del secolo passato. Ci si interroga sull’opportunità di abbandonare i grandi contenitori dormitorio per andare verso piccoli edifici di pochi piani abitati da un mix di diversi ceti, con portici, negozi, percorsi alternativi, piazze e strade di connessione sociale. Venendo a Milano, di fatto città metropolitana, è prioritario affermare dei princìpi, cioè un sistema di valori, intorno ai quali ci si può accordare? Gli interventi nelle periferie milanesi possono essere concepiti come riqualificazioni di interesse locale, o piuttosto come operazioni da integrare nella struttura urbana esistente, con un continuo riesame della città nel suo insieme? Ritengo infine che per una fisicità spaziale della democrazia urbana, non solo ideologica, occorre spostare l’attenzione verso la politica dell’ascolto e la partecipazione dei cittadini. Una partecipazione che ci ricorda il pensiero di Calvino: “ felici quelle città che attraverso gli anni e i mutamenti continuano a dare la loro forma ai desideri degli uomini” . Leonardo Fiori Presidente Onorario INU Lombardia
Mentre cerco di ordinare la moltitudine di questioni e indicazioni che subito si affollano nella mente, al risuonare del termine “ riqualificazione” , un dubbio mi assale: l’architettura ha qualcosa da spartire con il convegno di oggi? Rispetto alla qualità delle periferie, c’è ancora un ruolo dell’architettura? Oppure è solo un problema di programmazione, di scelte urbanistiche, di attivazione delle risorse? Dopo un’attenta riflessione, mi rispondo che sì, esiste un ruolo dell’architettura, per tanti motivi. Ne individuo quattro, che ritengo validi ed attuali. • 1° motivo: 23 novembre 2000, risoluzione del Consiglio Europeo: Qualità architettonica dell’ambiente urbano e rurale. Fortemente voluta dalla rappresentanza italiana degli architetti, la risoluzione afferma che: – l’architettura è un elemento fondamentale della storia, della cultura e del quadro di vita di ciascuno dei nostri paesi; essa rappresenta una delle forme di espressione artistica essenziale nella vita quotidiana dei cittadini e costituisce il patrimonio di domani; – la qualità architettonica è parte integrante dell’ambiente tanto rurale quanto urbano; – la dimensione culturale e la qualità della gestione concreta degli spazi devono essere prese in considerazione nelle politiche regionali e di coesione comunitarie. • 2° motivo: 16 dicembre 2002, Direttiva 2002/91/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio sul rendimento energetico nell’edilizia. Dopo un’interessante lista di “ considerando” , che spazia dalle tematiche generali fino alle questioni più tecniche legate alla gestione del patrimonio edilizio, la direttiva dispone l’applicazione di requisiti in materia di rendimento energetico degli edifici e la certificazione energetica degli edifici stessi. Ciò permetterà di verificare un aspetto importante della qualità di un edificio. • 3° motivo: 27 febbraio 2004, Consiglio dei Ministri - Disegno di legge recante: Legge quadro sulla qualità architettonica. “ (...) le amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle rispettive competenze, perseguono i seguenti obiettivi: – l’incentivazione della qualità del progetto e dell’opera architettonica, con riferimento anche agli interventi di riqualificazione; – (...)” Art. 3 - Princìpi Fondamentali. Inoltre, il disegno di legge prevede riconoscimenti ai progetti e alle opere di qualità architettonica e urbanistica (Art. 7), contributi economici (Art. 8) ed un “ Piano per la qualità delle costruzioni pubbliche” , con individuazione delle risorse da destinare alla sua attuazione (Art. 12).
• 4° motivo: 27 maggio 2004, Ricorre il 10° anniversario della promulgazione della Carta delle città europee per un modello urbano sostenibile (Aalborg, 27 maggio 1994). Sono evidenti gli effetti prodotti dall’applicazione della Carta di Aalborg in molte città europee: il prossimo appuntamento Aalborg+10 sarà sicuramente interessante ed importante, anche per le nostre città. Il ruolo dell’architettura L’architettura oggi sa rispondere molto bene alle esigenze eccezionali e spettacolari della società, ma forse non soddisfa altrettanto bene i normali bisogni quotidiani delle persone. Noi architetti abbiamo sullo scaffale Kevin Lynch, Christopher Alexander, Jan Gehl, Ralph Erskine, ecc., quindi sappiamo bene come si devono soddisfare i bisogni della gente, quale deve essere il contributo originale degli Architetti, senza rubare il mestiere ad altri. Ma non si può soddisfare i bisogni della gente se: circa il 40% dell’energia primaria si consuma per riscaldare o raffreddare gli edifici; se il traffico soffocante impedisce lo svolgimento di attività sociali; se il disagio sociale continua a crescere. Dobbiamo occuparci di: qualità delle infrastrutture, qualità dell’assetto urbano, qualità del manufatto edilizio. Dobbiamo anche avere il coraggio di “ demolire” quello che non va, ma avendo poi il coraggio di “ ricostruire” in modo nuovo, secondo un criterio reale di sostenibilità dell’ambiente (urbano) o, più concretamente, di verificare l’effettiva sostenibilità economica, sociale e ambientale del modello di organizzazione del territorio; individuare e valorizzare le risorse autentiche di un territorio, individuare modelli di densificazione urbana, partendo dai caratteri bioclimatici dell’insediamento, sviluppare l’approccio solare, sia con sistemi solari passivi, che con sistemi solari attivi, fare il bilancio energetico degli edifici, darsi degli obiettivi di bilancio. Oggi è tecnologicamente possibile realizzare edifici a basso consumo energetico, con costi di realizzazione che poco si discostano dai costi dell’edilizia corrente, come spesso è possibile intervenire nella ristrutturazione edilizia con forti riduzioni dei consumi energetici. Come intervenire Abbiamo capito che la congestione del traffico, l’inquinamento dell’aria, l’esigenza di sicurezza delle persone, la cattiva qualità dei quartieri periferici, l’eccessivo uso dell’auto, le carenze nei trasporti pubblici, il degrado sociale, sono tutte facce dello stesso problema, come uno è il territorio in cui tutto questo accade. Quindi occorre progettare il rinnovo urbano, la trasformazione: elaborare i criteri tecnicieconomici-sociali che devono sottendere agli interventi, individuare modalità di partecipazione degli utenti, attivare agevolazioni e meccanismi premianti. Dare priorità, nel finanziamento, agli interventi che producono un’effettiva riorganizzazione sostenibile del territorio. Serve operare
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Atti del Convegno
Criteri e metodologie di riqualificazione
Atti del Convegno
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nella complessità, attivare sinergie con interventi coordinati plurisettoriali, secondo tematiche-chiave: • modelli urbanistici (concentrazione/decentrazione; mescolanza/plurifunzionalità; densità equilibrata sul piano sociale ed ecologico; immagine della città/identità/misurabilità/qualità). • corretto utilizzo delle risorse (clima: interventi coerenti rispetto ai dati climatici; energia: riduzione dei consumi/utilizzo di fonti energetiche rinnovabili; suolo: economia nell’uso dei suoli, permeabilità dei suoli, valorizzazione dell’elemento acqua, recupero e valorizzazione dei caratteri ambientali/flora/fauna). • attività edilizia (gestione ottimale del patrimonio edilizio finalizzata alla valorizzazione dei singoli manufatti e dell’ambiente in cui sono collocati). • traffico (sviluppo e razionalizzazione delle reti di trasporto/pubblico/privato/ciclabile/pedonale; gestione dello spazio pubblico). • comunicazione (ogni azione può dare esito positivo solo con la partecipazione dei cittadini. La consapevolezza delle questioni e la condivisione delle soluzioni si costruiscono con un’informazione globale e tempestiva ed il concorso dei cittadini ai progetti e alle iniziative). Il dialogo con le istituzioni È indispensabile, per la riuscita di qualunque intervento sul territorio, instaurare il confronto e lo scambio continuo tra tutti gli operatori coinvolti e le istituzioni competenti a normare, indirizzare, incentivare il rinnovo urbano. La Regione è, e sarà sempre più, l’Ente di riferimento per questi interventi. Gli Architetti, come sempre, non faranno mancare il loro contributo e propongono, come avvenuto recentemente per la definizione delle “ linee guida per la progettazione e requisiti prestazionali di controllo della qualità del manufatto edilizio negli interventi di edilizia residenziale sociale” , di attivare una collaborazione per l’approfondimento e la definizione di linee guida e proposte normative sulle seguenti tematiche: • continuare, con più convinzione, nella richiesta di qualità ecologica-energetica dei manufatti edilizi che usufruiscono di sostegno pubblico, predisponendo servizi e supporti adeguati per progettisti e operatori del settore; • stimolare e indirizzare, incentivare e premiare il comportamento virtuoso del privato, dall’edilizia agli spazi aperti; • individuare il corretto proporzionamento e le giuste relazioni spaziali tra spazi pubblici e privati; • individuare modalità innovative di gestione “ democratica” degli spazi e delle attrezzature pubbliche, secondo obiettivi di qualità ed efficienza; • elaborare norme per la qualità dei lavori pubblici, all’interno di una strategia complessiva, basata sul riconoscimento del ruolo esemplare svolto dall’intervento pubblico; • produrre interventi “ modello” che sappiano essere “ persuasivi” più di mille discorsi. Conclusione: in questa società, c’è ancora un “ ruolo” degli architetti, che non può essere disatteso. Marco Brambilla Consulta Regionale Lombarda Ordine Architetti
Periferie e metropoli “ La società industriale è una società urbana. La città costituisce il suo orizzonte. Essa produce metropoli, conurbazioni, città industriali, grandi complessi residenziali, ma non riesce a controllarli e ad ordinarli.” Così inizia il libro di Francoise Choay “ La città: utopie e realtà” , pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1965. Una constatazione asciutta, che descrive compiutamente la realtà urbana, nella quale il disordine della periferia è l’espressione necessaria dello sviluppo, rimanendo al contempo l’antitesi della città e l’emblema di una insanabile contraddizione. Questa contraddizione connoterà lo sviluppo delle città dell’Europa occidentale per tutto l’arco del ‘900. Nello stesso periodo, il tema del riscatto della periferia rimane saldamente al centro del dibattito urbanistico. La periferia, la residenza, le condizioni abitative delle classi subalterne sono il cuore delle elaborazioni di architetti e urbanisti durante tutto lo sviluppo del Movimento Moderno. In Italia, tra l’inizio degli anni ’60 e la fine dei ’70, il tema della periferia monopolizza la scena culturale invadendo le università, le riviste e le mostre di architettura, contemporaneamente alla diffusione su grande scala dei quartieri di edilizia sociale. È la stagione delle innovazioni legislative volte a dare risposte anzitutto al bisogno di abitazioni ma subito dopo anche alla qualità dell’abitare: una stagione che inizia idealmente con la legge che disciplina l’acquisizione delle aree per l’edilizia economica popolare, nel 1962, e raggiunge l’apice con la legge urbanistica della Lombardia (1975) e col piano decennale per la casa (1978). È un periodo confuso ma entusiasmante, nel quale trovano ragione e necessità la passione politica, i disegni e le strategie dello sviluppo urbano, gli studi sulla forma della città, ed in particolare sulla forma della periferia, e sul modo di progettarvi la nuova architettura. È un momento di contrasti aspri, con posizioni diversissime, che spaziano dai fabbricati residenziali di Rossi e Aymonino, al quartiere Gallaratese, alla stecca del Corviale di Mario Fiorentino. Si studiano, in quel tempo, le leggi economiche della formazione della periferia, le sue ragioni strutturali: i meccanismi della rendita differenziale, il ciclo edilizio ed i suoi sprechi. Tutti argomenti che oggi sembrano lontani e tramontati, come se non fosse più in quelle ragioni strutturali che risiede la motivazione profonda del modellio di sviluppo della città. Nel contempo si precisano i contenuti disciplinari dell’azione sulla periferia: se ne colgono i valori, la morfologia e le relazioni con la città centrale; si descrivono i modi particolari della sua formazione e la stretta relazione tra questi, l’architettura e la qualità della vita dei suoi residenti. Si arriva ad attribuire alla periferia il compito rivoluzionario di sovvertire il sistema dei valori urbani misurati sulla distanza dal centro, storico o geometrico, della città. “ Va accantonato ogni interesse per la periferia come parte malata o caotica della città. Anzi, è già erroneo e limitativo vederla come un’escrescenza anomala della città storica. Al contrario è la stessa città storica a diventare, da un punto di vista morfologico, elemento tra elementi di un insieme. Se spesso ha una sua preminenza funzionale, per i valori economici accentuati nel mantenere una baricentricità funzionale, non per questo resta sempre il centro spaziale, geografico o architettonico del territorio” . Così scriveva nel 1973 Maurice Cerasi nel bel saggio “ Città e periferia” , fra i primi pubblicati dalla Cooperativa Libraria Universitaria Politecnico (Clup) costituita pochi anni prima. Tutto questo è parte della storia, come parte della storia è la città industriale trattata nel bel libro di Francoise Choay.
Troppe cose sono cambiate sulla scena urbana negli ultimi trent’anni per poterle anche solo richiamare in questo breve spazio. Troppo cambiata è anzitutto la società, la sua ripartizione in gruppi sociali più o meno omogenei – un tempo si definivano classi – e la distribuzione di questi gruppi sul territorio, che oggi è il territorio metropolitano. La grande città si è diffusa e dispersa, determinando una geografia completamente nuova, fatta di numerosi centri e di innumerevoli periferie, che cambiano continuamente di ruolo a seconda del nostro punto di vista o del tema che stiamo affrontando: la mobilità, il verde, le sedi produttive, ecc. In quella città centrale che negli anni ’70 veniva contrapposta alle periferie vive ormai un’esigua minoranza della popolazione della grande Milano. La maggior parte dei milanesi non abita a Milano ma in quello che, negli anni ’70, veniva definito il suo “ hinterland” e risiede in una vastissima periferia residenziale, per lo più decorosa, ben dotata di servizi e assai di frequente anche di spazi verdi di buona qualità. I residenti di questa periferia sarebbero pienamente soddisfatti della loro condizione abitativa se solo potessero usufruire di un sistema di trasporto pubblico decente; ma anche così, ben difficilmente si lascerebbero indurre ad abbandonare le loro residenze attuali per trasferirsi nella “ città compatta” , nel centro di Milano. I cittadini di Settimo Milanese, o quelli di Cinisello, di Brugherio o di Assago, non si sentono per nulla periferici, né rispetto al centro di Milano, lontano e congestionato, né rispetto al loro proprio centro, quello del comune in cui abitano. Nella grande metropoli, dove i centri commerciali competono alla pari con i centri storici e dove i grandi parchi arrivano a rappresentare un riferimento più forte di entrambi, è diventato ormai difficile attribuire correttamente i valori della centralità. Anche la periferia storica di Milano è cambiata, come dimostra fin troppo vistosamente la lievitazione dei valori immobiliari. L’allontanamento delle grandi industrie favorisce il decentramento delle sedi universitarie, la realizzazione di nuovi quartieri residenziali con pretese di prestigio, la localizzazione di nuove attività commerciali, la realizzazione di nuovi parchi e presto, forse, anche la costruzione di nuove importanti attrezzature urbane. Esistono ancora sacche di degrado, nel Comune di Milano come nei comuni vicini: situazioni nelle quali disagio sociale e degrado edilizio coincidono, determinando condizioni insopportabili per chi è costretto a risiedervi. Si tratta di casi importanti, talvolta riportati nelle pagine della cronache cittadine. ma si tratta sempre di episodi singoli, situazioni circoscritte a pochi isolati quando non ad un unico cortile. Situazioni da affrontare con interventi specifici, mirati sul singolo caso, difficilmente riconducibili ad una politica generale di intervento sulle periferie. Piuttosto riferibili a politiche di sostegno sociale, al rilancio dell’intervento pubblico nel campo dell’edilizia residenziale, al rinnovato riconoscimento della casa come diritto e non solo come bene di mercato. Oggi ciò che maggiormente influisce sulla qualità dell’abitare sono i problemi del traffico, dell’inquinamento e del rumore. E subito dopo vengono la qualità del paesaggio urbano e degli spazi inedificati, la prossimità dei servizi essenziali e la facilità di accesso. Ma anche la qualità delle architetture della città, dei singoli edifici e degli spazi aperti ha una grande importanza, come dimostra il diffuso ricorso
agli architetti dello “ star system” per la progettazione dei grandi interventi nella periferia storica di Milano. Forse quest’ultimo tema è quello che ci riguarda più direttamente ed è bene che qui siano concentrate le nostre energie, da profondere con entusiasmo e competenza paragonabili a quelli elargiti dai nostri colleghi trent’anni fa e con la speranza di migliori risultati. Marco Engel Consulta Regionale Lombarda Ordine Architetti
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Ma la periferia non è forse anch’essa parte di quella storia? Non sono radicalmente nuovi, in molti casi addirittura sovvertiti, i termini del problema delle periferie? Non è legittimo domandarsi se abbia ancora senso l’impiego di questo termine e cosa oggi si intenda parlando ancora di “ periferie” ?
La strumentazione urbanistica in Lombardia oggi: aspettando il futuro prossimo!?
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Nell’affrontare il tema legato alla strumentazione urbanistica, la commissione territorio della Consulta, si è posta subito quattro domande fondamentali per inquadrare il tema e provare a definire un quadro della situazione: 1. Cosa intendiamo oggi con il termine ” periferie” . 2. Quali sono oggi le difficoltà, le problematicità e le necessità del vivere e del pianificare le diverse periferie lombarde. 3. Quali sono le possibili soluzioni e i relativi strumenti urbanistici oggi, ma soprattutto domani. 4. Quali obiettivi vogliamo raggiungere come associazioni in merito alla “ questione periferie” . L’intervento proverà per punti a dare gli input che sono emersi dal dibattito in commissione per arrivare alla fine ad esplicitare poche e semplici proposte operative di lavoro, da proporre sia alla Regione Lombardia sia alle nostre associazioni, INU e Consulta. Il significato oggi del termine periferie Oggi il termine periferie è associato ad una visione quasi sempre negativa: ovvero di una città separata dal centro. Ma soprattutto si tende ad identificare la periferia cittadina come un “ corpo degradato ed emarginato” , senza elementi di positività. Questo è dovuto soprattutto al conflitto sociale/urbanistico venutosi a creare dal dopoguerra ad oggi con “ l’esaltazione del centro storico” a scapito delle parti di città più marginali. Passo importante per parlare di periferie in termini di strumenti urbanistici per la loro “ ricomposizione” o recupero o riprogettazione, è il riconoscimento di esse nelle diverse realtà territoriali lombarde. Infatti, non possiamo ragionare sulla pianificazione urbanistica e sulle leggi ad essa correlate, se prima non definiamo, non ricerchiamo le regole urbane e sociali delle diverse e variegate periferie, che oggi esistono in Lombardia. Chiaramente le maggiori problematiche derivano dalle città ed in particolar modo dall’area urbana milanese e dalla conurbazione pedemontana (Varese, Como, Bergamo, Brescia), che hanno però differenti livelli di congestione e rapporto con i propri centri. Quindi, il lavoro e l’analisi fondamentali da svolgere sono quelli del riconoscimento del carattere specifico delle molteplici Periferie delle città nelle diverse realtà territoriali e di come la strumentazione urbanistica attuale ha agito, ma soprattutto quali possibile conseguenze potrà produrre la legislazione futura. Obiettivo finale è quello di ricreare una “ Identità Urbana Condivisa” per migliorare concretamente i modi di vivere e i luoghi della quotidianità. Per fare questo emerge la necessità di usufruire, da parte dell’urbanista/architetto, di figure professionali legate al mondo del sociale. Quali sono oggi le difficoltà, le problematicità e le necessità del vivere e nel pianificare le diverse periferie lombarde? Da una breve analisi scopriamo che quasi sempre la risoluzione dei problemi avviene prima che dal punto di vista urbanistico e sociale, dal punto di vista edilizio. L’architettura viene usata oggi come rimedio ai problemi urbani (“ La sindrome di Bilbao” come la definisce Gianni Beltrame), come palliativo alla mancanza di progettazione strutturale della città. Infatti, la città viene percepita e progettata per parti, do-
tate ciascuna di individualità, ma che però non diventano complementari, sinergiche tra loro. Le necessità della città moderna legate ai fenomeni dell’immigrazione e dei nuovi poveri, trovano nelle periferie delle città la loro risoluzione parziale e tumultuosa. Senza però trovare al contempo una armatura urbana (infrastrutture, alloggi, servizi, sostegni sociali) adatti. Periferie, soprattutto oggi nel continuum edificato dell’area metropolitana milanese, che diventano a loro volta centro di un sistema urbanizzato molto più ampio e complesso, nel quale cresce sempre più l’esigenza oggettiva di dare indirizzi di sviluppo condiviso e coordinato (Piani Territoriali Regionali e Provinciali). La sfida e la difficoltà del pianificatore, ma anche della legislazione in materia, è quella di definire una progettazione territoriale che non sia omologazione ma creazione di un sistema articolato di relazioni spaziali e sociali. Dettare indirizzi generali ma non generici. La strumentazione urbanistica in Lombardia: tra presente e futuro Partendo dalla premessa sopra fatta, dobbiamo inquadrare la legislazione attuale e futura, secondo tre grandi tipologie: • la prima riguarda la legislazione di tipo “ Edilizio” : – L. 18 aprile 1962 n. 167 - Disposizioni per l’Edilizia Economico Popolare; – L. 5 agosto 1978, n. 457 - Norme per l’edilizia residenziale; – L. 17 febbraio 1992, n. 179 - Norme per l’edilizia residenziale pubblica; – L. 4 dicembre 1993, n. 493 - Art. 11 - Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 5 ottobre 1993, n. 398, recante disposizioni per l’accelerazione degli investimenti a sostegno dell’occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia; – D.L. 5 ottobre 1993, n. 398 - L. 4 dicembre 1993, n. 493 - Art. 11 - testo coordinato Disposizioni per l’accelerazione degli investimenti e il sostegno dell’occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia (stralcio); – L. 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modifiche (D.L. 3 aprile 1995, n. 101 - L. 2 giugno 1995, n. 216) testo coordinato - Legge quadro in materia di lavori pubblici; – D.M. LL.PP. 5 agosto 1994 - Nuovi limiti di costo per gli interventi di edilizia residenziale sovvenzionata e di edilizia residenziale agevolata; – D.M. LL.PP. 5 agosto 1994 - Criteri e modalità per la definizione del valore dei contributi in materia di edilizia agevolata; – D.M. LL.PP. 1 dicembre 1994 - Realizzazione dei programmi di recupero urbano ai sensi dell’art. 11, comma 5, del D.L. 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, nella Legge 4 dicembre 1993, n. 493 (criteri e procedure di formazione); – D.M. LL.PP. 1 dicembre 1994 - Realizzazione dei programmi di recupero urbano ai sensi dell’Art. 5, del D.L. 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, nella Legge 4 dicembre 1993, n. 493; – D.L. 31 marzo 1998, n. 112 - Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della Legge 15 marzo 1997, n. 59; – L. 9 dicembre 1998, n. 431 - Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo; – D.M. Lavori Pubblici, protocollo n. 7632/23/2, 23 luglio 1998; – L. 30 aprile 1999, n. 136 - Norme per il sostegno ed il ri-
Da qui scaturiscono una serie di strumenti operativi come i: – PRERP - Programma regionale per l’edilizia residenziale pubblica Il Consiglio Regionale, con D.C.R. 0/605, ha approvato nella seduta dell’8 ottobre 2002, il Programma regionale per l’Edilizia Residenziale Pubblica (PRERP) relativo al triennio 20022004. Nuove politiche regionali sulla casa, dirette principalmente a soddisfare il bisogno abitativo sull’intero territorio lombardo. A renderle operative saranno soprattutto i Comuni, che in questa fase assumeranno, un ruolo di grande rilevanza. Tra le novità del programma si segnalano: la costruzione di diecimila nuove case in affitto, e l’avvio dei Contratti di quartiere II, intervento diretto al recupero e al risanamento delle periferie degradate. – Contratti di Quartiere II La Regione Lombardia il 29 luglio 2003, ha approvato il proprio Bando attuativo del Programma nazionale “ Contratti di Quartiere II” , per la riqualificazione complessiva di quartieri degradati caratterizzati da una prevalente presenza di patrimonio immobiliare residenziale di proprietà pubblica. I Contratti di Quartiere sono programmi caratterizzati da una serie coordinata ed integrata di interventi edilizi e di azioni sociali che complessivamente sono finalizzati alla riqualificazione definitiva di un quartiere degradato – POR - Programma Operativo Regionale Il Programma nazionale “ 20.000 abitazioni in affitto” prevede per la sua attuazione la formazione di Piani operativi regionali, predisposti da ciascuna regione. La Regione Lombardia procede alla formazione del piano operativo attraverso un Bando regionale per individuare gli interventi da inserire nel programma. – Programmi comunali per l’edilizia residenziale sociale; – Programma regionale per l’emergenza abitativa; – Centri sperimentali per l’integrazione sociale; – PRU - Programmi di Recupero Urbano. • La seconda famiglia, riguarda leggi aventi come oggetto gli aspetti “ Urbanistici” Se è vero che esistono leggi nazionali e regionali specifiche in materia, dalla Legge 167/62, alle Leggi Verga e Legge Adamoli, che hanno sicuramente contribuito a recuperare e migliorare le periferie delle nostre città. È pur vero che tali strumenti sono stati usati per superare le rigidità o le difficoltà di applicazione dello strumento di progettazione principale per la città, il Piano Regolatore Generale. Allo stesso modo le recenti leggi regionali L.R 9/99 (recentemente aggiornata per consentirne una maggiore decisionalità comunale) o la L.R. 4/03 (inerente la sicurezza ur-
bana) permettono, al pianificatore e agli amministratori locali, di andare in deroga ai PRG comunali. Lo stesso Piano dei Servizi, introdotto dalla L.R. 1/2001 può essere uno strumento valido e concreto, per progettare le periferie, ma ancora meglio l’intero sistema urbano. Definendo princìpi, idee, regole, parametri. Ma se non “ capito” può diventare l’ennesimo grimaldello per lasciare che le scelte siano dettate dal “ mercato” . Emergono quindi tre aspetti significativi dall’analisi delle due tipologie legislative: 1. la preponderanza di leggi edilizie rispetto a quelle urbanistiche; 2. porre l’accento sull’aspetto operativo edilizio rispetto all’aspetto pianificatorio deriva da un problema che ben conosciamo: la crisi del PRG come strumento di coordinamento che in teoria il nuovo T.U. sull’urbanistica dovrebbe superare; 3. la necessità di un coordinamento molto stretto tra le politiche e le azioni riguardanti l’edilizia e gli aspetti urbanistici. T.U. sull’urbanistica L’attuale progetto legislativo muta completamente l’indirizzo metodologico passato, definendo come nuovi strumenti della pianificazione comunale: il Piano di Governo del Territorio (PGT) e i Piani Attuativi e gli Atti di Programmazione Negoziata. Il PGT si articola in: Documento di Piano, Piano dei Servizi, Piano delle Regole. Essi sono tutti strumenti di pianificazione degli ambiti del tessuto urbano consolidato. I Piani Attuativi sono gli strumenti di pianificazione degli ambiti di “ espansione” . Tralasciando tutte le considerazioni generali sul testo, ma considerando che la struttura proposta dal Governo Regionale non muterà sostanzialmente quello che sembra mancare, proprio in riferimento alla pianificazione delle periferie (non solo quelle esistenti ma soprattutto di quelle future, ovvero quelle che scaturiranno dalla edificazione dei PA) è ciò che le prime linee guida per il TU definivano Piano di Assetto Morfologico. Infatti, il Piano di Assetto Morfologico definiva gli indirizzi e i parametri delle aree di interesse urbano e paesaggistico individuate in base a criteri e regole del PGT. Esso definiva in particolare: – i criteri e i princìpi insediativi da seguire nelle aree di nuovo impianto e di rilevanza territoriale; – l’individuazione di sistemi ambientali e elementi naturali e rurali con condizioni di trasformabilità secondo indirizzi, parametri e salvaguardie; – l’individuazione di eventuali caratteristiche insediative che conformano la città da rispettare in caso di eventuali interventi integrativi. Questi elementi non devono essere persi, ma dovrebbero almeno essere recuperati nel nuovo testo di legge all’interno del capitolo relativo ai Piani Attuativi. Come abbiamo già più volte avuto occasione di ribadire nei diversi convegni svolti, la libertà metodologica che scaturisce dalla proposta di legge è un’arma a doppio taglio. Se da una parte permette d’impostare metodologie e parametri che consentiranno di adeguare la gestione urbanistica alle diverse realtà lombarde, lasciando spazio alla capacità propositiva dell’architetto, che torna quindi al centro della pianificazione comunale insieme a ruolo di guida degli amministratori locali, dall’altra necessita però di una “ base comune” , ovvero di parametri, indirizzi, regole che la legge deve dare per controllare e frenare eccessi di modelli o troppo liberisti o troppo vincolistici.
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lancio dell’edilizia residenziale pubblica e per interventi in materia di opere a carattere ambientale; – L.R. 6 dicembre 1999, n. 23 - Politiche regionali per la famiglia; – D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 - Regolamento di attuazione della Legge quadro in materia di lavori pubblici febbraio 1994, n. 10, e successive modificazioni; – L.R. 5 gennaio 2000, n. 1, Art. 3, commi 41, 45, 46 e 47, Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazione del D.L. 31 marzo 1998, n. 112 (conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della Legge 15 marzo 1997, n. 59); – L.R. 21 febbraio 2000, n. 8 - Art. 7 - bis - Interventi regionali per la sicurezza nei comuni; – L. 8 febbraio 2001, n. 21 - Misure per ridurre il disagio abitativo ed interventi per aumentare l’offerta di alloggi in locazione.
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Le proposte Il progetto territoriale deve tornare al centro del complesso sistema di costruzione e gestione della città, coniugando le occasioni di sviluppo economico date dal recupero, dalla rigenerazione delle periferie, con occasioni di recupero sociale. La Commissione della Consulta chiede quindi all’Assessorato al Territorio Regionale di: – integrare il nuovo testo di legge urbanistica, in special modo la parte relativa ai PA, con indicazioni di assetto morfologico del territorio; – la definizione di una “ carta del grado di compromissione del territorio” ove l’analisi deve ricercare le potenzialità del tessuto urbano per un suo recupero urbanistico e sociale; – attivare una ricerca specifica su scala regionale sul tema delle periferie; – attivare quanto prima un tavolo tecnico di confronto e aggiornamento con la Consulta e l’INU; – attivare progetti pilota e rendere pubblici i risultati; – progettare concorsi urbani. Gianfredo Mazzotta Consulta Regionale Lombarda Ordine Architetti
La città contemporanea: quali politiche per le periferie? Periferia: un concetto da ridefinire In questi ultimi anni, molto è stato detto e qualcosa è stato anche fatto riguardo alla riqualificazione delle periferie urbane in Italia. Tuttavia, nel valutare tali riflessioni (e le politiche che ad esse si ispirano) non si può fare a meno di far notare, preliminarmente, come l’idea stessa di “ periferia” rappresenti oggi un concetto carico, per molti aspetti, di significati inattuali. Ciò dipende, in primo luogo, dalla stessa etimologia del termine, in cui il prefisso “ perì” rinvia all’immagine di un contorno, di un territorio che sta ai margini della città “ vera” rappresentata dal suo nucleo centrale. Quest’immagine, in realtà, ben poco si adatta alla realtà effettiva delle aree metropolitane contemporanee: come più volte è stato notato, se per “ periferia” si intende tutta la parte di città che si è sviluppata esternamente ai centri storici, anche includendo in essi i loro prolungamenti dell’Ottocento o del primo Novecento, dovremmo ammettere che la maggior parte del sistema urbano è costituita di periferie. Ma la semplice presa d’atto di questa situazione servirebbe assai poco ad orientare l’intervento progettuale: in realtà, al di là delle indicazioni puramente geografiche, quello che davvero si intende evocare, alludendo alle periferie, è una condizione di non piena fruizione dei vantaggi connessi con la partecipazione alla realtà socio-economica e spaziale della città. Si tratta, dunque, di una situazione di “ perifericità” , vale a dire di emarginazione, di strutturale distanza dal completo esercizio di diritti di cittadinanza sociale; una situazione che siamo portati ad associare con le parti del territorio più distanti dal centro, istintivamente visto come il simbolo stesso dell’urbanità. Ora, per quanto storicamente motivata, questa identificazione tra distanza fisica e marginalità sociale non è più giustificabile con riferimento alle aree metropolitane contemporanee, vale a dire a sistemi urbani spazialmente dilatati, che non riguardano più unicamente la città e le tradizionali cinture, ma anche ambiti sempre più estesi di “ città diffusa” , sempre più distanti dal centro, i quali comprendono nuovi insediamenti residenziali, grandi aree commerciali, nuclei di attività produttiva, oltre che insediamenti “ rurbani” , nei quali l’urbano si mescola strettamente con nuove forme di ruralità e con aree di interesse ambientale. In realtà, nella metropoli contemporanea il tradizionale schema centro-periferia ha perso gran parte del suo valore esplicativo. Da un lato, infatti, la centralità, pur trovando ancora un riferimento privilegiato nel centro storico, tende ormai a diffondersi anche in una pluralità di poli specializzati, a distanza maggiore o minore dal centro stesso, ma comunque interconnessi dalla rete delle comunicazioni fisiche e di quelle telematiche. Dall’altro lato, anche la perifericità, nel senso prima richiamato, appare sotto diverse vesti in parti diverse del territorio metropolitano, compresi alcuni quartieri strettamente contigui con i luoghi della massima centralità. In definitiva, dunque, “ perifericità” e “ centralità” , emarginazione e connessione, opportunità e rischi per la qualità della vita sembrano presentarsi interconnessi in ambiti territoriali distinti, rendendo vana l’applicazione di semplici modelli interpretativi basati su contrapposizioni dicotomiche. Questa affermazione, peraltro, non equivale affatto all’idea di una indifferenza spaziale, alla convinzione secondo cui, venendo meno gli schemi tradizionali di distinzione degli ambiti territoriali, si andrebbe incontro ad una completa omologazione tra le parti di città. In realtà, se è vero che in molte diverse zone sono presenti tanto carat-
Perifericità e centralità Ambiti metropolitani ˙ Le aree deboli del centro
Perifericità
Centralità
Marginalità, degrado
Accessibilità al centro
Le periferie del “ core”
Sacche di marginalità
Presenza di aree di recupero
Gli ambiti diffusi
Frammentazione Accessibilità residenziale alle reti
Le aree rurbane
Individualismo dei modi di vita ambientale
Rapporto con spazi di valore
Come si può vedere, anche nella parte centrale dell’area metropolitana e nelle periferie “ storiche” , che fanno parte della città compatta, sono presenti fattori di marginalità sociale, spesso connessi con la presenza di un patrimonio abitativo obsoleto e/o di nuclei di edilizia pubblica. Per contro, negli stessi ambiti sono riscontrabili vantaggi legati alla relativa vicinanza con il centro e – per quanto concerne le vecchie periferie – vi sono opportunità che derivano dalla presenza di aree ex industriali, disponibili per operazioni di recupero e rifunzionalizzazione. Nei nuovi ambiti diffusi sorti nelle fasce esterne dell’area metropolitana, i caratteri di marginalità dipendono, piuttosto, dalla frammentazione dell’habitat, che si accompagna spesso con l’assenza di criteri ordinatori dello sviluppo spaziale; i vantaggi consistono, invece, nella maggiore disponibilità di spazio e, spesso, nella presenza di collegamenti stradali che rendono agevole l’accesso alle reti di livello metropolitano, creando, tuttavia, una dipendenza quasi esclusiva dall’uso dell’automobile, il che aumenta l’esclusione dei soggetti sociali che non possono disporre di tale mezzo. Ancora più esternamente, nelle aree rurbane, si ripropone in modo persino più accentuato tanto la presenza di fattori di perifericità connessi con la frammentazione residenziale e con la presenza di stili di vita individualistici, quanto le opportunità relative ad una disponibilità di spazi a migliore qualificazione ambientale. Politiche “hard” e “soft” In base a quanto si è detto sin qui a proposito della varietà delle situazioni di perifericità, risulta improponibile l’idea di una possibile ricetta unitaria per la riqualificazione degli spazi più marginali. Anzi, per molti aspetti risulta inaccettabile l’idea stessa di una politica mirata solo alle periferie. Occorre, infatti, tenere conto, da un lato, del fatto che le aree metropolitane sono sistemi di parti fortemente interrelate, per cui il destino di ogni tipologia di ambiti urbani non può essere completamento separato dall’andamento di variabili di livello più ampio. Dall’altro lato, bisogna essere consapevoli del fatto che ciascuna parte del territorio è una miscela peculiare di caratteri positivi e negativi e richiede un’attenzione alle singolarità del proprio contesto. Nonostante quanto si è appena osservato, si deve registrare
come, negli ultimi dieci anni, siano stati fatti notevoli sforzi in molte città italiane proprio in direzione della riqualificazione degli spazi periferici e come tali interventi, pur non configurando in alcun modo una ricetta unitaria, abbiano fatto riconoscere un orientamento prevalente, che potremmo sintetizzare parlando di un consenso crescente verso il modello delle “ politiche integrate di rigenerazione urbana” . Come è noto, questo modello perviene alla cultura urbanistica italiana dall’esterno ed ha alle spalle le esperienze già consolidate (con luci ed ombre, ma con indiscutibili margini di efficacia) in altri paesi europei. Del resto, le stesse politiche europee – e in modo particolare i progetti Urban – hanno fornito risorse per questo tipo di politiche, suggerendo ai governi nazionali e regionali la moltiplicazione degli strumenti analogamente diretti. Le politiche in questione possono essere dette “ integrate” per diversi motivi. Innanzitutto esse aggrediscono il problema della marginalità sociale e spaziale dei quartieri periferici intervenendo con una pluralità di finalità convergenti: attraverso la riqualificazione architettonica ed urbanistica, con il miglioramento dell’ambiente, incentivando lo sviluppo locale, combattendo l’emarginazione degli strati più deboli, stimolando la partecipazione. Inoltre, presuppongono la cooperazione di molteplici soggetti istituzionali e non istituzionali (operatori economici, associazionismo locale, Terzo settore, ecc.), favorendo una complementarità tra i loro interventi. Infine, esse richiedono la convergenza interdisciplinare di competenze di varia natura: accanto alle figure progettuali e tecniche assumono un rilievo non consueto anche figure di formazione sociologica, psicologica, esperti in tecniche della comunicazione e così via. Si tratta, in genere, di politiche che potrebbero essere definite di tipo soft; per quanto le risorse che le supportano possano essere anche rilevanti (ma questo avviene solo in alcuni casi), il loro carattere morbido dipende dal fatto che esse propongono una trasformazione socio-spaziale di natura endogena e favoriscono un cambiamento che non esige una brusca rottura, ma, piuttosto, la valorizzazione di risorse sociali ed identitarie che esigono una continuità di processo. Di particolare interesse, come esempio di politiche di questo tipo, è il caso degli interventi sulle periferie promossi dal comune di Torino: essi si sviluppano nella parte finale degli anni ‘90 come “ Progetto speciale Periferie” , diventando, con l’attuale amministrazione, parte integrante della politica cittadina. Gli strumenti utilizzati sono diversi: P.R.U., Urban, contratti di quartiere, ecc.: in ogni caso, comunque, molta enfasi è posta tanto sull’integrazione degli interventi, nei vari sensi prima chiariti, quanto (almeno in linea di intento) sulla partecipazione dei cittadini alle diverse fasi di svolgimento dell’azione di riqualificazione. Tale partecipazione si esplica in vario modo: attraverso azioni di informazione e comunicazione (sito internet, ufficio stampa, “ punti” di quartiere, ecc.), momenti di progettazione partecipata, forme di animazione, attività di accompagnamento sociale del progetto e di mediazione dei conflitti, iniziative per la promozione dello sviluppo locale (corsi di formazione, sostegno alla progettualità giovanile, ecc.). È ancora troppo presto per poter valutare sino in fondo il valore aggiunto di questo tipo di approccio rispetto a forme più tradizionali di intervento, basate quasi esclusivamente sulla trasformazione, mediante un progetto definito centralmente, dell’ambiente costruito e sorrette dall’implicita convinzione che questo basti a muovere anche variabili sociali ed economiche. Alcuni risultati, comunque, sono già visibili sul territorio ed altri – non immediatamente percepibili dal cittadino – sono di non minore importanza: essi riguardano, tra l’altro, l’incremento della qualità della macchina comunale preposta a questi interventi, l’accresciuta
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teri di centralità, quanto fattori di perifericità, non è vero che esse si equivalgano: non solo, infatti, la proporzione tra i due tipi di caratteri è ben diversa da un caso all’altro, ma la stessa natura dei vantaggi e dei rischi varia da luogo a luogo. A titolo di esempio, potremmo indicare (vedi tabella) alcuni degli ambiti metropolitani nei quali più frequentemente è possibile riscontrare situazioni di perifericità, segnalando, tuttavia, per ciascuno di essi, anche la presenza di vantaggi ed opportunità che in qualche modo indicano, al tempo stesso, l’esistenza di fattori di centralità.
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capacità di lavorare in modo coordinato e in base ad obiettivi (anziché seguendo procedure), l’aumento della competenza comunicativa. Anche alcuni limiti possono già essere evidenziati. Un difetto costitutivo sta, forse, proprio nel fatto che tali politiche sono state pensate unicamente come interventi adatti ad aree periferiche o, in ogni caso, a quartieri in crisi. Questo può favorire (e, a mio avviso, nel caso torinese questo rischio è presente) una sorta di duplicità irrisolta fra due tipi di policies territoriali: da una parte gli interventi soft, integrati e partecipati, da applicare ai contesti meno pregiati; da un’altra parte i più consueti interventi hard, da applicare alle zone forti della città. Ove, con quest’ultima espressione, ci si intende riferire alle trasformazioni derivanti dall’attivazione di grandi progetti (come – per restare al caso torinese – quelli oggi in atto nell’area del Lingotto e lungo la linea del passante ferroviario), o di opere infrastrutturali di grande portata (la prima linea della metropolitana, l’asse stradale della Spina). Ora, una separazione di questo tipo non è giustificata da nessuna ragione teorica e, nella pratica, può contribuire a diminuire l’efficacia degli interventi e le loro sinergie. In realtà, l’esigenza di una complementarità tra approcci hard e soft vale per ogni tipo di politica urbana, anche se in ciascun caso si tratta di calibrare la natura degli uni e degli altri. Così, non vi è motivo per cui il metodo della partecipazione e dell’integrazione non debba essere altrettanto importante per le aree forti della città, come per quelle deboli. Ma, soprattutto, sarebbe sbagliato coltivare l’illusione che, per le zone affette da perifericità, ovunque esse si collochino nel territorio metropolitano, tutto dipenda dalla stimolazione partecipata di risorse locali, mettendo in ombra il peso delle scelte che si riferiscono alla sfera delle politiche hard. In realtà, le grandi scelte infrastrutturali e progettuali, come pure le politiche localizzative per i servizi di livello metropolitano e per il commercio, hanno un peso specifico che non può essere trascurato e che influenza notevolmente i destini delle zone urbane più deboli. Se non esiste una strategia adeguata a riguardo di tali scelte, non ci si può attendere di riequilibrare gli effetti negativi di questa debolezza del piano, che ricadono sulle zone periferiche, solo con la moltiplicazione di interventi soft di rigenerazione urbana. Per fare un esempio particolarmente attuale, non si può pensare di rivitalizzare l’attività commerciale di un quartiere se manca una politica complessiva sull’insediamento delle grandi strutture commerciali. Né, d’altro canto, si può pensare di attenuare l’isolamento di un’area esterna senza intervenire sull’offerta di trasporto pubblico. In sostanza, dunque, interventi hard e soft devono essere pensati come due aspetti complementari della stessa strategia: i primi sono diretti soprattutto a favorire trasformazioni strutturali che coinvolgono l’intero sistema metropolitano e pongono le basi per lo sviluppo locale delle singole zone; i secondi operano direttamente su queste ultime, cercando di mobilitare le risorse endogene verso obiettivi condivisi e attraverso politiche che favoriscono la più ampia partecipazione sociale. Senza i primi, i secondi non hanno peso sufficiente per incidere nella realtà socio-spaziale dei quartieri periferici; senza i secondi, i primi calano dall’alto sulla testa degli abitanti e non influiscono in modo capillare sulla qualità della vita di tutti i giorni Alfredo Mela prof. ordinario di sociologia urbana, Dip. di Scienze e Tecniche per i processi di Insediamento, Politecnico di Torino
Testimonianze sui luoghi critici della realtà metropolitana lombarda • 1. Con l’incontro “ Abitare le periferie” si intende ascoltare le testimonianze di persone che a diretta conoscenza dei fatti possono contribuire alla comprensione dei luoghi critici prodotti da un urbanesimo che persiste pervasivo nelle aree lombarde di maggiore densità. Oggetti di attenzione sono non soltanto le periferie del capoluogo e delle municipalità maggiori ma tutte quante le situazioni materiali della città diffusa, che manifestano effetti negativi (indesiderati) dello sviluppo: zone residuali in decadenza, sacche di emarginazione, scampoli di aree agricole, ma anche infrastrutture autostradali, stradali e ferroviarie al collasso. La loro criticità è variata poiché si differenzia per un’ampia gamma di connotati che vanno dal degradato all’anonimo, dal territorialmente isolato all’emarginato socialmente, dal troppo diluito al troppo concentrato, dal malfatto all’inadeguato. Dinnanzi ad aspetti che, in quanto intrinseci al processo di agglomerazione dell’intera area, sono tra loro interconnessi seppure in modi diversi, si avverte che non basta estrapolarli e considerarli episodicamente, qualora venga a mancare la consapevolezza della peculiare fenomenologia di questa città indefinibile e in continuo divenire. Si è indotti a pensare che anche da questa mancanza dipenda il difetto di progettualità invece richiesta per agire efficacemente: un genere di progettualità interattivo che, peraltro, potrebbe dirsi completo solo se incisivamente coinvolgente la pluralità dei “ cittadini” e dei “ territori” inglobati. • 2. Sebbene lo spunto dell’incontro sia il dibattito che da tempo si protrae sulle periferie come generatrici di criticità, è inevitabile che – se lo scopo suaccennato è di attualizzare alla scala della città diffusa la conoscenza delle problematiche inerenti – il campo di indagine debba essere osservato nell’articolazione dell’insieme e traendone gli elementi tipici emergenti. Operazione che, altrettanto inevitabilmente, priva il termine periferia del significato originario e lo espone al rischio che si tramuti in una metafora evocativa che può divenire ingannevole. Infatti, l’ampliamento della visione fa sì che l’etimo del termine – una zona più esterna formatasi intorno ad un centro preesistente da cui dipende – sia fuorviante laddove le espansioni costruite raggiungono dimensioni abnormi rispetto al nucleo di origine e le funzioni incluse lo superano per numero e varietà. Come è accaduto e sta accadendo nelle suddette aree lombarde senza distinzione tra centri piccoli e grandi. Criticità generalizzata • 3. Prima di focalizzare i luoghi critici è indispensabile considerare che alla città diffusa (una sorta di città/non città) della Lombardia densa corrisponde una criticità altrettanto diffusa che si manifesta con un disagio generalizzato di reazione alle conseguenze insostenibili dello sviluppo. Negli ultimi cinquant’anni le espansioni sono cresciute a velocità variabili ma senza sosta diramandosi dai centri originari e, spesso, saldandosi: il risultato è che la proliferazione a dismisura di villette, condomini e capannoni, accompagnata qua e là da nuovi centri settoriali (attrezzat ure commerciali, sport ive, ricet t ive, f ormat ive e di svago) estranei all’immediato contesto e conflittuali rispetto ai centri originari, ha fatto divenire le espansioni in molti casi autonome e, loro stesse, le realtà insediative dominanti. Rispetto agli effetti indesiderati di cui si diceva all’inizio, gli insediamenti rivolti a domande di servizi collettivi rappresenterebbero la faccia vitale dello sviluppo, se non fosse
dello Stato, trascurando che quest’ultima è insieme causa ed effetto della generale stagnazione economica. Neppure su un altro versante, quello della comunicazione, si intravedono delle convinte e convincenti iniziative regionali rivolte a far capire quanto incidano negativamente molti comportamenti individuali, che sono purtroppo divenuti consuetudinari in quanto da un lato reattivi nei confronti di contesti divenuti ostili, dall’altro sospinti dalle derive indotte dai modelli di consumo ad un punto tale da poter essere definiti subliminali. Luoghi emergenti della criticità • 5. Si è detto che la matrice comune dello stravolgimento di città e paesi originari è stata la loro sommersione ad opera delle rispettive espansioni che hanno preso il sopravvento. Ma il fatto essenziale sul quale insistere è che ora in queste ultime risiede e si muove la maggior parte delle persone, in esse sono numerose le attività economiche e produttive, in esse spuntano iniziative spontanee di incontro e socializzazione. Per queste ragioni, le aree di espansione costituiscono il corpo cospicuo della città indefinibile. Per quanto possano sembrare poco identificabili o dispersive, esse hanno comunque in sé le potenzialità per divenire strategiche al riguardo dell’evoluzione complessiva della città anche perché, se comparate alla rigidità dei centri storici, risultano più malleabili e trasformabili dal punto di vista fisico. Vi sono dunque delle energie che per emergere richiedono sia un lungo e costante lavoro di riabilitazione di situazioni ambientali estesamente degradate o di nessuna qualità sia una redistribuzione compensativa delle risorse che fanno città e che all’origine degli insediamenti non furono attinte o lo furono in modo insoddisfacente. Non sembra questa la sede in cui affrontare il nodo della diffusione di un crescente senso di insicurezza tra i cittadini: altre sono le cause della sua diffusione messe in luce dalla ricerca sociologica. Mentre invece devono essere presi di petto il disamore generalizzato per il paesaggio, le molte disfunzioni infrastrutturali, il degrado dei manufatti di gran parte dei quartieri popolari, la qualità scadente degli spazi pubblici che hanno sicuramente contribuito, in qualità di concause, all’affermarsi del disagio sociale e del senso di isolamento ed estraneità. • 6. Pertanto, è un’esigenza: attenuare i disagi provocati dalle situazioni materiali critiche, ponendo le condizioni che, ascoltate le parti svantaggiate, si renda possibile accogliere le domande sociali e economiche da esse attualmente provenienti. È convergente che l’annullamento dei disagi, o almeno il miglioramento di tante situazioni critiche localizzate, vada a vantaggio delle più ampie comunità che le inglobano. Nelle peggiori situazioni un ruolo trainante è sicuramente ricoperto dalle associazioni che concorrono con un lavoro di tipo volontaristico a rendere operativi interventi di integrazione sociale e culturale oltre che di riqualificazione edilizia. Ma ben diverso, da quello che è ora, dovrà essere il rapporto collaborativo delle istituzioni con questi soggetti. Certo è di qualche imbarazzo dire quali sono le parti dove i cittadini sono maggiormente svantaggiati, a fronte di una situazione complessiva dell’arcipelago lombardo in cui svantaggiati lo sono un po’ tutti per le molteplici cause già accennate. Tuttavia, non sono forse quelle che coincidono con i luoghi dove le condizioni umane risultano escluse, disinserite o estranee alle eventuali prospettive di trasformazione? Che le priorità di intervento dovrebbero essere individuate in tali situazioni di maggiore criticità è un obiettivo largamente condiviso, se non altro per ragioni di buon senso. Ma che ciò accada è tutt’altro che certo. Anche perché tracciare
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che anch’essi hanno effetti negativi, stressando ulteriormente di traffico indotto le infrastrutture di trasporto e impattando pesantemente sui paesaggi in cui si inseriscono. Anche in questi casi è mancata sinora la capacità di comprendere i fenomeni – ormai in atto da tempo – e la progettualità occorrente per indirizzarli di cui pure si diceva: rimane da constatare che il processo di impianto disseminato di nuove attrezzature di forte attrazione per molti versi debba considerarsi solo iniziato e che perciò rappresenti un aspetto del futuro cui guardare. Le espansioni sono dunque aree che, valutate nel loro complesso, non possono certo considerarsi marginali al confronto del centro maggiore e/o degli altri centri minori che un tempo monopolizzavano la vita cittadina, anche quando essi conservano capacità di gravitazione (tuttavia limitata a certe funzioni e in determinate circostanze). Anzi, le espansioni urbane sono a pieno titolo i luoghi deputati ad accogliere le nuove centralità, a condizione che nulla sottraggano ai ruoli dei centri originari. • 4. Le situazioni materiali – evidenziate dallo sterminato arcipelago espansivo determinato dalle parti della Lombardia più dense di attività – danno l’impressione di essere sfuggite agli intenti di governo del territorio contenuti in leggi e piani, indifferentemente che siano le prime buone o cattive e i secondi adeguati o inadeguati. L’insieme di queste grandi aree urbanizzate si presenta infatti come un continuum frammentato che perlopiù è interpretabile come una dispersione caotica che si contraddistingue per l’affastellamento di oggetti disparati e la congestione dei traffici, ma che in definitiva non si sa come affrontare. Intanto, con il passare del tempo si accumulano i problemi e si aggravano le difficoltà per risolverli. E non si può dimenticare che la frammentazione/dispersione non è avvenuta in luoghi per nulla o poco abitati ma ha progressivamente preso piede appoggiandosi alla struttura territoriale che in gran parte già esisteva. Avviene così che il policentrismo di insediamenti secolari e le reti infrastrutturali (strade, ferrovie, corsi d’acqua, elettrodotti e quant’altro abbia fatto da connessione delle parti) rispondenti alle esigenze di prima dell’espansione, continuano ad essere l’intelaiatura portante dell’arcipelago lombardo. Come non ammettere che gli effetti così spesso devastanti degli equilibri originari siano di fatto le conseguenze sia dell’accumulo eccedente di azioni sia dei comportamenti particolaristici dei soggetti, pubblici e privati, ivi agenti? Quando si tenta un rendiconto di quanto è avvenuto si arriva alla conclusione che per decenni si è tendenzialmente proceduto in modo parassitario rispetto al passato e miope rispetto al futuro, senza darsi carico che prima o poi, con il superamento, uno ad uno, dei punti di rottura, si sarebbe raggiunto il cedimento strutturale dell’intera area. Insomma, non sarebbe una fatalità che i processi non solo dello sviluppo ma anche della sua più recente involuzione abbiano in tanti casi travolto qualunque limite di accettabilità, persino i più allentati. La legislazione regionale più recente esprime forse la volontà di effettuare una svolta rispetto a tante azioni che hanno danneggiato paesaggi, naturali e urbani, e condizioni ambientali? Si direbbe di no. Per un verso, visti gli esiti, si teme che le situazioni materiali richiamate non siano affrontabili con gli indirizzi e le pratiche sinora prevalenti negli enti preposti al governo del territorio, da un altro, ancor più preoccupante, i recenti provvedimenti sostitutivi appaiono non certo orientati a correggere almeno parzialmente le disastrose conseguenze di uno sviluppo distorto. E non aiuta granché, sul piano delle risorse finanziarie, che si invochi il concorso degli operatori privati a sostegno della scarsità di mezzi e risorse pubbliche dovuta alla crisi fiscale
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delle priorità richiede approfondimento e allargamento delle conoscenze, una continua comparazione con l’insieme delle situazioni, la possibilità di incidere mediante collaudati criteri di valutazione sui processi decisionali. • 7. In via preliminare premono alcune domande, le cui risposte non sono cosi scontate come potrebbe apparire a prima vista se poste a persone che hanno opinioni confortate da una esperienza di prima mano delle svariate realtà. Inoltre, le testimonianze vanno poi inquadrate da chi le commenta in ben precise coordinate di riferimento. Ad esempio: – quando si verifica la separazione tra dimensione sociale e struttura fisica e quanto essa influisce sulle situazioni di disagio? – in quale misura l’esclusione sociale è imputabile alla disgregazione urbana? – sino a che punto si accetta l’eventualità di prossimi ghetti e come ci si prepara ad affrontarla? Sono domande di ordine generale che incanalano le opinioni che saranno espresse (riguardanti una molteplicità di casi, magari anche discordanti) su questioni già individuate, ma che potrebbero anche trovare altre formulazioni. Dalle risultanze dell’incontro potranno essere tratti elementi utili per decidere se avviare un’azione continuativa su questi temi, non solo da parte dell’INU Lombardia con l’apporto attivo dei soci operanti nelle sedi provinciali (da cointeressare nell’iniziativa), ma anche di tutte le altre forze interessate alle questioni richiamate. Si ritiene auspicabile che questo avviamento al confronto – tra le domande che provengono da situazioni critiche emergenti e le sperimentazioni di nuove pratiche relative ad iniziative, politiche e progetti – possa indirizzare ad un approccio più consapevole alla realtà delle aree dense della Lombardia. Piero Ranzani INU Lombardia
Ascoltare le periferie Nel corso del convegno “ Abitare le periferie” , promosso da INU Sezione Lombardia e dalla Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, è stato presentato un breve video (1) incentrato su testimonianze raccolte tra alcuni soggetti che svolgono un ruolo attivo nell’ascolto degli abitanti dei quartieri “ sofferenti” in condizioni di disagio. Le motivazioni principali di questo lavoro sono state quelle di porre alla base del dibattito il patrimonio conoscitivo “ maturato” direttamente dagli abitanti, e soprattutto la necessità di partire con le pratiche della partecipazione già nella fase preliminare dei progetti urbani e di riqualificazione. Obiettivi non certo secondari se si considera che tra amministratori, progettisti e operatori la costruzione del consenso è spesso relegata alle pratiche di consultazione-concertazione, ai confronti assembleari, alle indagini di mercato, ecc.. Invece, la partecipazione diretta dei cittadini è un’azione vissuta, purtroppo frequentemente, con disagio da chi ha il ruolo decisionale, da chi ritiene oltraggioso che un salumiere dia indicazioni utili alle scelte progettuali. Proprio questa carenza culturale sostiene l’idea di una presentazione, giustificando, quindi, i limiti dovuti alla ristrettezza dei tempi e all’inevitabile sintesi che il mezzo audiovisivo impone. Le trasformazioni urbane, anche là dove il progetto architettonico presenta elevati gradi di qualità, non è detto che autonomamente comportino le riqualificazioni attese. Affinché si generi il circuito virtuoso, la progettualità deve essere in grado di coinvolgere pluralità di cittadini e di riconnettere territori specializzati e separati. L’annullamento dei disagi, o almeno il miglioramento, deve andare a vantaggio della comunità. Un ruolo importante è svolto dalle associazioni di abitanti che concorrono con un lavoro di tipo volontaristico a rendere operativi interventi d’integrazione sociale e culturale oltre che di riqualificazione. È auspicabile che si debbano indicare politiche, priorità, criteri. Ciò richiede approfondimento delle conoscenze, continua comparazione con l’insieme delle situazioni, disponibilità a intervenire sui problemi di fondo: cominciando dall’ascolto attivo dei disagi più diffusi. Secondo Franca Caffa, presidente Comitato Inquilini Molise-Calvairate-Ponti, il quadro è ben definito. “ Loro vivono una condizione di classe peggiore e ci sono i nuovi arrivati che sono i protagonisti delle cosiddette nuove povertà. Trovo spaventoso che si usi il termine esclusione che vuol dire che nella popolazione di Milano, nella fattispecie fra i più poveri e i più deboli, una parte è fuori dalla città” . La dimensione di queste condizioni sociali, inoltre, subisce repentine modificazioni. Secondo Valeria Negrini, vicepresidente Cooperativa La Rete, “ di fatto negli ultimi anni stiamo assistendo anche a una variazione del fenomeno, quindi non più soltanto persone che hanno problemi di tossicodipendenza, di alcolismo, ma anche categorie di persone che fino a poco tempo prima conducevano comunque una vita dignitosa e normale, ma che per ragioni varie – può essere la perdita di un lavoro, può essere a volte anche una malattia di un familiare – si trovano a rischio di essere esclusi poi dalla società” . Centralità dei problemi La centralità dei problemi scatenanti il disagio abitativo è, dunque, racchiusa in due assetti sociali. È quanto mai evidente che senza casa o senza lavoro non si riescono a stabilire livelli adeguati d’equilibrio all’interno della società. Per Don Raffaello Ciccone, responsabile Pastorale del Lavoro, Curia Arcivescovile di Milano “ il lavoro oggi ha una
M igliorare il sistema delle relazioni e dell’abitare È quindi strategica l’attuazione di percorsi progettuali aperti, non gestiti rigidamente, in grado di consentire la nascita dei sentimenti di condivisione degli spazi dell’abitare, dando a questa funzione il significato esteso di risiedere, lavorare, studiare, divertirsi, condurre l’aggregazione sociale. Bruno Retoli, coordinatore del Centro sociale Barrio’s illustra la soluzione messa in atto nella specifica realtà. “ Privilegiamo particolarmente le attività che sono gestite direttamente dai cittadini, fatte da volontari e che prevedono una partecipazione, un’attivazione di ragazzi giovani e meno. Questo ci permette di avere una serie di attività molto variegate e d’altra parte di non avere una caratterizzazione particolare del centro che non si occupa principalmente di disagio, e nello stesso tempo se ne occupa, non si occupa principalmente di cinema, e nello stesso tempo se ne occupa” . Su questo fronte, cioè la qualità dell’abitare, in generale si registrano carenze di strategie e politiche dei servizi da parte degli enti pubblici ai vari livelli territoriali. È opinione diffusa, tra chi si occupa delle forme di disagio abitativo, che il grado d’impegno diretto della pubblica amministrazione nei confronti degli interventi assistenziali vada progressivamente ma inesorabilmente a ridursi. Come si potrebbe porre rimedio? Franca Caffa non ha dubbi e la sua risposta è precisa. “ Occorrono progetti integrati e partecipati su un indirizzo generale di cultura del progetto integrato e partecipato, in
assenza di questo il progettificio vigente a Milano fornisce progetti calati dall’alto, con contenuti inventati lontano, non partecipati, che considerano gli abitanti di questi quartieri alla stregua di oggetti” . Articola ulteriormente la proposta Gianni Barbarossa, volontario Comitato Inquilini Molise-Calvairate-Ponti. “ È essenziale l’istituzione di un tavolo interistituzionale che è supporto indispensabile al progetto partecipato ed integrato nella città e relativo ai quartieri a rischio. Una sperimentazione valida per tutta la città potrebbe assumere un nuovo ruolo in cui anche l’Università avrebbe una sua funzione, quella di apprendere da chi vive la situazione, le possibilità di risoluzione della stessa in modo globale e definitivo” . Servizi e assistenza che nascono per rispondere alle emergenze La sempre maggiore diffusione di condizioni e livelli di vita precari ha comportato l’avvio di esperienze sostitutive da parte del volontariato. Ciò che non riesce a fare il governo amministrativo, in parte, viene tamponato dalla solidarietà degli attori sociali. Le parti di territorio, in cui emergono con maggiore drammaticità le richieste di aiuto, si riferiscono ai grandi agglomerati. “ Il problema maggiore è legato alla città metropoli di Milano – conferma Maria Rosa Labadini, assistente sociale Siloe – nelle comunità piccole il problema si risolve più facilmente perché c’è una solidarietà e una conoscenza e una vicinanza da parte delle persone che permette di superare con più agilità la difficoltà. Le istituzioni sono quasi carenti su questo terreno e anche i fondi che mettono a disposizione sono ogni anno decurtati del 30, del 50, del 70 per cento e quindi questi fondi non riescono a superare le difficoltà delle famiglie” . Per mantenere livelli adeguati di qualità delle soluzioni gli attori urbani sostitutivi hanno imboccatto la strada della gestione diretta per garantire l’efficienza. Scelta complicata se si considera che la nuova composizione socio-demografica ha rapidamente modificato i riferimenti dei vari servizi assistenziali che, pensati per la popolazione italiana, devono essere riconsiderati per gli abitanti di provenienza straniera. Quindi, soluzioni ad hoc, agili, rispettose dei caratteri culturali e che consentano forme d’integrazione sociale diffuse e condivise. “ Una delle esperienze più interessanti che la nostra cooperativa ha fatto in questi anni – spiega Valeria Negrini – è stato nel 2000 l’acquisizione di un intero immobile situato in un quartiere storico della città di Brescia, denominato il Carmine, immobile venduto a noi dalla Congrega della Carità Apostolica e poi interamente ristrutturato dalla nostra cooperativa, sia attraverso i contributi della Fondazione Cariplo e della Caritas bresciana, sia attraverso una raccolta fatta nella città, quindi da cittadini, da privati, da imprese. Al piano terra c’è il centro Millesole, che è un piccolo centro diurno dove vengono ospitate delle donne segnalate dal dormitorio femminile e svolgono delle semplici attività occupazionali, mentre dal primo al quarto piano sono inserite le persone che assistiamo nei nostri servizi” . Chiavi di lettura dei fenomeni descritti Il campo d’indagine, osservato nell’articolazione dell’insieme periferia, non è più riferito soltanto a zone esterne formatesi intorno ad un centro preesistente da cui le stesse dipendono. Si tratta di nuove dimensioni del territorio che cambiano soprattutto per l’affermazione inarrestabile degli insediamenti rivolti a domande di servizi collettivi. Ciò rappresenta la faccia vitale dello sviluppo, ma anche il principale produttore di effetti negativi che stressano ulterior-
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particolare difficoltà perché entra dalla flessibilità alla precarietà e quindi soffre di infiniti problemi, di disorientamento e anche di esclusione sociale. Ora, il problema della casa è diventato drammatico perché l’istituzione tende a non costruire più a canoni moderati e il privato o vende, o affitti a canone moderato praticamente non esistono, anzi tutti investono sulla casa e quindi i costi dell’affitto diventano altissimi, si arriva fino a 10.000,00 Euro all’anno di affitto” . Sempre lo stesso Don Ciccone avanza alcune proposte. “ Una casa potrebbe essere il risultato di un contributo che il Comune fa, per esempio, dando a prezzi simbolici il terreno, che pare venga a costare circa il 30 per cento della costruzione di una casa, l’altro 30 per cento potrebbe essere dato come sovvenzione dalla Regione a fondo perso, e l’altro 30, 35, 40 per cento potrebbe essere dato da una cooperativa che costruisce, fa un mutuo e poi a lunga distanza lo ricupera attraverso gli affitti” . Emerge però anche la necessità di porre mano allo stato manutentivo dei quartieri di edilizia residenziale, in particolare, pubblica che invecchiano e degradano. In queste condizioni, quali sono le più diffuse richieste di prestazioni? “ Di fatto le esigenze degli abitanti – risponde Ermanno Ronda, segretario Sicet Milano – sono appunto quelle di vivere in un contesto dove funzionino le cose e dove diciamo soprattutto si possa rendere onore anche a loro ovviamente delle scelte che in questi quartieri possono essere fatte” . “ La partecipazione – avverte sempre Ronda – per noi non è un un gioco non è una questione che si può risolvere a tavolino, non è una questione che può risolvere qualcuno perché ha delle buone idee. È un processo, è un lavoro, è un lavoro di ascolto, è un lavoro di sintesi, cioè nel senso che bisogna raccogliere i problemi ed è un lavoro appunto di rappresentare questi bisogni come si è fatto nell’esperienza svolta al San Siro per le corti di via Maratta e Piazza Falterona. In altre parti di Milano, per esempio allo Stadera e anche al Ponte Lambro, il nostro ruolo però è un ruolo critico, è un ruolo di messa in crisi delle scelte calate dall’alto, ed è un ruolo che mette al centro sempre le richieste degli inquilini, le loro proposte” .
mente il traffico indotto, le infrastrutture di trasporto pubblico-privato e impattano pesantemente sui paesaggi. Le avvertenze di chi attua l’ascolto delle richieste dirette degli abitanti, però mettono in luce la necessità di affrontare, seguendo strategie a rete, disfunzioni infrastrutturali, dissennato consumo del suolo, degrado dei quartieri popolari, qualità scadente degli spazi pubblici, livelli di prestazione dei servizi assistenziali. In altri termini la richiesta è di agire radicalmente sui principali responsabili dei disagi abitativi. Iginio Rossi INU Lombardia
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Note 1. Il video è il risultato di un lavoro di gruppo svolto presso INU, Sezione Lombardia, da Leonardo Fiori, Piero Nobile, Piero Ranzani. Copia del video “ Ascoltare le periferie” può essere richiesta alla Segreteria dell’INU Lombardia, Via Monviso 10, 20154 Milano, tel. 0233605130, E-mail: lombardia@inu.it. 2. Il Comitato Inquilini Molise-Calvairate-Ponti è un’associazione nata nel 1985 che opera nei quartieri di case popolari realizzati a partire dagli anni Trenta nella periferia est di Milano. Fornisce assistenza burocratica e legale agli inquilini, svolge attività di doposcuola e di scolarizzazione per italiani e stranieri. Contro gli interessi della speculazione edilizia e delle politiche di emarginazione, si occupa della tutela dei più deboli. 3. La Cooperativa La Rete, nata nel 1991 a Brescia, è aderente a Confcooperative. Gestisce servizi di assistenza socio-sanitaria, di orientamento ed educazione al lavoro per fasce deboli. Accoglie in appartamenti protetti persone che hanno problemi di malattia mentale e in alloggi in affitto sparsi nella città, comunità residenziali che necessitano di accompagnamento. 4. Nell’ambito della Curia Arcivescovile di Milano, La Pastorale del lavoro promuove percorsi di avvicinamento e reinserimento per persone in difficoltà aiutandole a riappropriarsi dell’autonomia e a regolarizzare normali condizioni di vita. Tra i principali problemi di questi ultimi anni l’impegno più arduo è la riduzione della forbice tra ricchezza e povertà. 5. Il Sicet, Sindacato Inquilini Casa e Territorio aderente alla Cisl, oltre all’assistenza sulle vertenze inerenti l’edilizia residenziale pubblica e privata, svolge anche attività di ascolto con proprie sedilaboratorio in diverse zone periferiche. 6. Il Centro sociale Barrio’s nel quartiere Barona, una zona periferica del sud-ovest milanese frutto dello sviluppo degli anni Sessanta, è attivo sui temi dell’aggregazione rivolta soprattutto agli abitanti. L’iniziativa di Comunità Nuova, che fa capo a Don Gino Rigoldi, è in collaborazione con Associazione Amici di Edoardo, è sostenuta dal Comune di Milano e dalla Fondazione Cariplo. Oltre alle attività di assistenza socioculturale e d’intrattenimento, il Centro dispone anche di un pubblico esercizio attrezzato per eventi musicali e di aggregazione. 7. Siloe, Servizi integrati lavoro orientamento educazione, dal 1997 si propone di aiutare concretamente le famiglie a superare il disagio creato dal costo degli affitti, sia nel pubblico che nel privato. Il servizio offre consulenza e sostegno alle parrocchie delle province di Milano, Varese, Lecco e in parte di Como, al fine di progettare in modo condiviso interventi a favore delle diverse situazioni di povertà, disagio ed esclusione sociale con prevalente riferimento alle aree del lavoro, della casa e del sostegno economico.
Le politiche di M ilano e i casi del quartiere Ponte Lambro e del Villaggio Barona Premessa: rapporto pubblico-privato per una “città pubblica” Soltanto un nuovo rapporto tra pubblico e privato può portare alla realizzazione della città pubblica. Un rapporto che per instaurarsi, ha dovuto superare la conflittualità arrivata all’esasperazione della seconda metà degli anni ‘80 quando gli strumenti urbanistici, non più in grado di cogliere le trasformazioni del mondo produttivo, consentivano al soggetto privato soltanto di cercare di inserirsi nelle maglie di una pianificazione già stabilita. Alla fine degli anni ’80, prima in Italia, la Regione Lombardia, con le sue leggi speciali dedicate prevalentemente al recupero delle aree residenziali e alle trasformazioni di quelle industriali, ha ripreso il dialogo tra il pubblico e il privato per i progetti, dando un nuovo impulso positivo alle grandi trasformazioni del territorio. Uno slancio che ha reso possibile le successive innovazioni negli Accordi di Programma e nella nuova generazione delle Società di Trasformazione Urbana. Entrambi strumenti che conferiscono al soggetto privato un ruolo attivo e ben definito. Le S.T.U., ad esempio, sono molto simili a vere e proprie società private/aziende in cui il soggetto pubblico e il soggetto privato siedono insieme e hanno un obiettivo comune. La Legge Regionale n° 9 del ’99 e l’approvazione del Documento di Inquadramento del giugno 2000 hanno definito un nuovo scenario di riferimento creando le condizioni per una rinnovata stagione dell’urbanistica a Milano. L’istituzione dei P.I.I. (Programmi Integrati di Intervento), lo strumento urbanistico di trasformazione urbana di ultima generazione, ha introdotto anche lo standard di qualità che consente l’acquisizione a costo zero da parte dell’Amministrazione di opere di interesse pubblico (come ad esempio i centri congressi, strutture espositive, asili nido, biblioteche, strutture sportive ecc.) realizzate, e in molti casi gestite in convenzione, dai privati promotori del P.I.I. In questo modo l’Amministrazione, oltre alle aree, acquisisce anche opere di interesse pubblico. La flessibilità dello strumento dei P.I.I. ha consentito di affrontare non solo la riqualificazione e la trasformazione di grandi aree dismesse, ma anche il recupero ambientale, il ripensamento di azzonamenti ormai inattuali, la ricerca della coerenza con il sistema della mobilità e l’attuazione delle previsioni di servizi e spazi verdi, a favore di uno sviluppo della qualità ambientale. Una flessibilità necessaria per la realizzazione di una città pubblica dove la collaborazione tra soggetto pubblico e soggetto privato è vissuta già nella fasi preparatorie. Nella città pubblica i due soggetti condividono sia le fasi antecedenti alla realizzazione sia le successive come quelle legate alla stessa gestione dell’intervento. Il soggetto privato è ora chiamato a collaborare con l’Amministrazione Pubblica per lo sviluppo della città, attraverso proposte e progetti strategici, in una prospettiva di sussidiarietà, non venendo più quindi considerato come mero attuatore delle scelte pianificatorie operate dall’Amministrazione stessa. È importante che ci sia questo dialogo e comunicazione da parte di entrambi i soggetti. Da un lato la Pubblica Amministrazione deve tener conto delle esigenze e dei bisogni del cittadino, dall’altro quest’ultimo deve collaborare con il settore pubblico attraverso proposte e progetti che siano di utilità comune. Gli Enti Pubblici devono assumere un ruolo nuovo che vada nella direzione della promozione, dell’apertura, della sensibilizzazione e dello stimolo. Una posizione, a tutti gli effetti, alternativa al ruolo di prevarica-
I caso: quartiere Ponte Lambro Fino agli inizi del ‘900 si configura come un comparto esclusivamente agricolo con la presenza di grandi cascine. Lo sviluppo del centro abitato risale ai primi decenni del XX secolo lungo l’argine del Lambro con l’insediamento di alcune lavanderie artigianali e si sviluppa la rete di strade. Successivamente il tessuto abitativo si caratterizza con edilizia a bassa densità e si attrezza di attività commerciali e artigianali. Nel 1935-36 si insedia, immediatamente a ridosso dell’abitato di Linate, il nuovo aeroporto la cui presenza introduce un forte elemento di discontinuità nell’antica rete di canali e strade che da Milano conduceva, attraverso Ponte Lambro e Linate, fino a Paullo. Negli anni Sessanta e Settanta le ingenti opere di infrastrutturizzazione (l’aeroporto Forlanini, completato nel 1962, la nuova Paullese, la Tangenziale est, inaugurata nel 1975) alimentano il processo di disgregazione di questa porzione di territorio già iniziato decenni prima con la nuova cintura ferroviaria (1933) e l’aeroporto di Taliedo (1913). Negli stessi anni ‘70-’80 il quartiere muta radicalmente: sorgono alle spalle del nucleo storico, senza alcuna relazione spaziale e tipologica con esso, i nuovi plessi scolastici, il mercato comunale e il CTS di via Parea, le case popolari (1973-74) che vengono parzialmente occupate nei due anni successivi da famiglie di meridionali richiamati dai parenti residenti a Milano. L’inserimento nel 1981 delle case parcheggio, in via Rilke, la trasformazione della scuola media in aula bunker nel 1988, e ampliata nel 1995 ha portato alla formazione di una vasta zona scarsamente frequentata per la maggior parte del giorno. Questo sviluppo insediativo determina la concentrazione di ceti a bassa estrazione che ha favorito lo sviluppo di un contesto sociale fortemente problematico e la diffusione negli anni della cultura mafiosa. Questa situazione fu causa di una ghettizzazione interna a Ponte Lambro tra abitanti del vecchio borgo e quelli dei caseggiati di edilizia che ancora oggi viene percepita. In questo contesto sociale sono molti i soggetti pubblici e privati che vi hanno lavorato e continuano ad operare. Contesto urbano Ponte Lambro appare isolato tra la Tangenziale est, il Lambro e ampie zone inedificate. Si collega alla città da nord attraverso lo storico asse della via Bonfadini (oggi Vittorini) e della via Mecenate (dorsale dell’insediamento industriale di Taliedo, oggi parzialmente dismesso). Il quartiere è dunque escluso dalla viabilità primaria, che in questo settore urbano è rappresentata dal viale Forlanini, dalla strada statale 415 (“ Paullese” ) e, più a sud, dall’asta del corso Lodivia Emilia; la direttrice Mecenate-Bonfadini, che sfocia nell’abitato di Linate, ha invece un’importanza esclusivamente locale. Anche le reti principali del trasporto pubblico (rete ferroviaria urbana, passante ferroviario e metropolitana) non toccano l’abitato in esame che, a livello di trasporto pubblico, viene servito solo da nord, tramite le linee di autobus 39 (è previsto l’accorpamento della linea 39 alla linea 45, con percorso da via Cadore alla MM3 San Donato; è previsto per il 21 giugno 2003) e 66 che si immettono dalla via Vittorini, attraversano il quartiere in direzione nordsud con un percorso ad anello ed escono nuovamente sulla via Vittorini. Il quartiere Ponte Lambro è inserito in un contesto urbano che prevede una forte trasformazione in quanto si stanno ipotizzando grandi progetti:
• area Mecenate: riconversione di volumi esistenti a laboratori ed attività artigianali-produttive; • sistema dei parchi: riqualificazione e ampliamento area orientale dei parchi orientali della città. Riprogettazione del Parco Forlanini, parco Monluè, parco previsto nel progetto Montecity, aree verdi del quartiere Feltre; • area Montecity - Rogoredo: grande operazione di trasformazione dell’area industriale dismessa dell’ex Montedison che comprenderà residenza, terziario, residenza alberghiera, commercio, funzioni compatibili, parcheggi, aree verdi, strutture pubbliche; • San Donato, capolinea MM3; • nuove previsioni per le linee metropolitane: prolungamento della MM3 verso Peschiera Borromeo e San Donato e la costruzione della linea 4 verso Linate (areoporto MILorenteggio); • previsioni per la Paullese: prolungamento della Paullese verso la città. Il progetto di riqualificazione Il Progetto di Riqualificazione Ponte Lambro a capo dell’Assessorato allo Sviluppo del Territorio nasce nel 2000 su iniziativa dell’Amministrazione Comunale in collaborazione con l’Aler, la Regione Lombardia e l’arch. Renzo Piano in qualità di ambasciatore dell’UNESCO. Si tratta di un intervento integrato finalizzato alla riqualificazione del quartiere che presenta diverse criticità in ambito sociale, economico, architettonico-urbanistico. Il Comune di Milano ha quindi inteso intervenire attivamente a questo processo di rivitalizzazione di Ponte Lambro predisponendo un progetto articolato su più livelli e su varie tematiche, che si propone di attivare il coinvolgimento di numerosi soggetti interni ed esterni all’Amministrazione, e di stimolare meccanismi di partecipazione collettiva per le scelte che riguardano la qualità degli spazi di uso pubblico e privato. Percorso del Progetto di Riqualificazione Nel novembre 2000 sono state avviate delle attività propedeutiche al percorso di riqualificazione del quartiere, all’interno del salone del Centro Civico di via Parea 26. L’obiettivo era quello di attivare un graduale contatto con il quartiere (soggetti locali, abitanti, ecc.) e svolgere un’analisi sul campo delle potenzialità, risorse, esigenze e problematiche espresse dal territorio. Alcune attività avviate che hanno permesso di istaurare i primi contatti con i soggetti locali e gli abitanti sono: • corsi di informatica di base per adulti gestiti dal Gruppo di Volontariato Vincenziano; • corsi di informatica multimediale per la scuola elementare gestiti dall’associazione MXM; • informazione e consulenza sul bando per i finanziamenti alla Piccola e Media Impresa (Legge Bersani); • incontri con il Tavolo di Consultazione. Una delle attività principali è stata la creazione di una rete di contatti con i soggetti locali attivi sul territorio (associazioni, parrocchia, servizi Socio-Assistenziali e Sanitari, ecc.) che hanno portato inizialmente a un dialogo costruttivo e di conoscenza delle realtà del quartiere e, in seguito, alla costituzione di un Tavolo di consultazione. Il Tavolo di Consultazione si è riunito quattro volte (da dicembre 2001 a gennaio 2002) e ha individuato una serie di azioni – a breve, a medio e a lungo termine – per avviare un processo condiviso di riqualificazione e di valorizzazione delle potenzialità di Ponte Lambro. Al Tavolo di Consultazione diretto dall’arch. Lamberto Rossi (uno dei progettisti del Laboratorio di Quartiere UNESCO) hanno partecipato i soggetti locali attivi sul territorio: Cooperativa Sociale “ Mosaico” , Gruppi di Volontariato Vin-
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zione, di burocratizzazione e di costrizione che Enti Locali e Pubblici in genere hanno spesso avuto nei decenni passati.
cenziano, Centro di Aggregazione Giovanile, parrocchia “ Sacro Cuore” di Ponte Lambro, Istituto Statale Comprensivo di Scuola Elementare e Scuola Media “ Madre Teresa di Calcutta” , Consiglio di Zona 4, Cooperativa di Consumo Ponte Lambro, SICET, Unione Inquilini, Nuovo Comitato di Zona 4, Centro Territoriale Sociale, ALER, Settore Pianificazione e Progettazione Urbana e alcuni abitanti. In questi incontri sono emersi i problemi e le necessità del quartiere che hanno portato alla redazione di un Dossier Ponte Lambro.
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Dossier Ponte Lambro: questo documento aveva l’obiettivo di avviare un’analisi delle energie culturali, politiche, sociali e imprenditoriali che operano all’interno di Ponte Lambro al fine di costruire un processo partecipato di riqualificazione fisica e sociale del quartiere. La prima parte presenta i molti materiali di analisi storica, urbanistica, demografica e socio-economica raccolti e sistematizzati nella fase di Pre-Laboratorio, svoltasi a Ponte Lambro dal novembre 2000 al gennaio 2002 dai Periferia Manager, integrati con le indagini urbanistiche elaborate in occasione della redazione del progetto preliminare del Laboratorio di Quartiere su proposta dell’arch. Renzo Piano nella veste di Ambasciatore dell’UNESCO per le Aree Urbane. La seconda parte del Dossier è concepita come una ricognizione sul campo della condizione attuale del quartiere e presenta i risultati del Tavolo di Consultazione aperto agli interlocutori privilegiati. Gli interventi Il Comune di Milano ha costituito da febbraio a dicembre 2002 un Gruppo di Lavoro Intersettoriale, presieduto dall’Assessore Verga con il dr. Del Debbio, coordinato dal Settore Periferie e composto da: Settore Urbanistica, Settore Demanio e Patrimonio, Settore Parchi e Giardini, Settore Anziani e Strutture Residenziali del Comune di Milano, Settore Servizi alla Famiglia, Settore Strade, Parcheggi e Segnaletica, Settore Manutenzione Strade, Settore Edilizia Patrimoniale, Settore Edilizia Scolastica, Direzione di Progetto Pianificazione Tessuto Urbano, Il Corpo di Polizia Municipale, Consiglio di Zona 4, ALER, AMSA, ATM, Regione Lombardia. Questo gruppo si è formato con lo scopo di affrontare e risolvere alcuni dei problemi emersi e meglio descritti nel Dossier redatto nel Tavolo di Consultazione. Piano di accompagnamento sociale Nell’ambito del Progetto di Riqualificazione Ponte Lambro è stato attivato un percorso di Accompagnamento Sociale che ha per obiettivi attivare un lavoro di sviluppo di comunità finalizzato al coinvolgimento dei cittadini nei processi di cambiamento del quartiere e affiancare il Piano della Mobilità. L’attività del piano di accompagnamento ha portato alla costituzione del Forum di Accompagnamento, nel quale si intende individuare e valorizzare le risorse locali e portare i soggetti locali e i cittadini ad assumersi in prima persona responsabilità in merito al cambiamento della qualità della vita del quartiere. Con il Forum si vuole avviare un percorso atto a individuare e valorizzare le risorse locali per potenziarne l’efficacia al fine di uscire dal luogo comune che vede i cittadini impotenti di fronte agli eventi. Nel Forum, chi vive o lavora a Ponte Lambro ed è interessato a dare il proprio contributo per migliorare la qualità della vita nel quartiere, può esprimere le proprie idee, confrontarsi e collaborare con altri soggetti del territorio, assumendosi in prima persona una responsabilità verso il processo di cambiamento. Permettere la partecipazione dei cittadini e sostenere la col-
laborazione tra i diversi soggetti, per costruire orientamenti condivisi sul progetto di riqualificazione, è il compito sostanziale del Forum. II caso: Villaggio Barona Il Villaggio Barona è il risultato di un’azione congiunta tra l’Amministrazione comunale e la Fondazione Cassoni (proprietaria di gran parte dell’area) e vede il completo asservimento ad uso pubblico dell’area e delle strutture. Un intervento di riqualificazione urbana fortemente innovativo frutto della collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti. Il Villaggio Barona, infatti, ha visto la partecipazione dell’intero quartiere (oltre 1000 volontari coinvolti) e ha consentito agli operatori del privato e del privato sociale di ottimizzare le loro risorse realizzando le finalità pubbliche in favore delle esigenze della comunità locale, e ha offerto l’occasione al Comune di Milano di fornire un servizio alla città a beneficio dei suoi cittadini oltre ad aggiungere un tassello importante per il processo di riqualificazione dell’intero ambito dei navigli. L’inaugurazione del Villaggio Barona nel dicembre scorso, si è aggiunta agli altri importanti interventi di riqualificazione che l’Amministrazione comunale sta portando avanti e che vede cantieri aperti in molte zone. Oltre alla firma dell’accordo di programma con la Regione Lombardia e lo stanziamento di 7 milioni di Euro per il recupero dei navigli, l’Amministrazione comunale è già da tempo impegnata nel recupero e nella riqualificazione urbanistica dell’ampia area a sud ovest della città. Sotto il profilo urbanistico, infatti, sono in fase di realizzazione importanti progetti di riqualificazione. I diversi cantieri aperti in zona lasciano intravedere ciò che, oltre i recinti, sarà la nuova vita di questo brano di città. Percorrendo l’Alzaia del Naviglio Pavese e via Magolfa, diversi programmi di recupero introducono al sistema urbano costruito intorno agli edifici e alle aree a verde che collegano i parchi a sud della città con la Darsena fino ai parchi del centro stabilendo le nuove regole tra luoghi pubblici e privati. Questi progetti sono il frutto di un accurato lavoro comune, di studio e di progettazione realizzato dagli uffici tecnici dell’Assessorato allo Sviluppo del Territorio volto a dare una visione d’insieme e una linea unitaria a piani urbanistici differenti. Molti di essi, infatti, verranno lambiti, se non attraversati dalla prima greenway della città, uno strumento di connessione: tra persone, parchi, aree di interesse storico e culturale, abitazioni e luoghi di studio e lavoro. Il Villaggio Barona è un complesso integrato al centro del quartiere. Si tratta di un intervento organico su un’area di circa 44 mila mq, situata a sud della città e compresa tra le vie Ettore Ponti, Svevo e Zumbini, che prevede la realizzazione di un villaggio: un luogo di incontro tra i bisogni espressi dalla società locale. Il recupero dell’area avviene grazie a un progetto innovativo che, seguendo le indicazioni espresse dall’Unione Europea in tema di politiche urbane, tratta simultaneamente la dimensione economica, sociale e fisica della riqualificazione. È sotto i nostri occhi un centro gradevole e accogliente all’interno del quartiere che fa riemergere quanto è normalmente sommerso: l’handicap, la richiesta di assistenza della popolazione anziana, la condizione di emarginazione di alcune categorie di cittadini. All’interno del parco pubblico (22 mila mq circa) le attività socio-assistenziali, orientate al trattamento delle situazioni di disagio e di difficoltà, vengono integrate e si collegano strettamente con residenze e negozi.
Aspetti tecnici L’intervento prevede la realizzazione di un insediamento integrato composto da servizi speciali di carattere assistenziale; attività commerciali/artigianali e residenze connesse alle attività di servizio; spazi, servizi ed attrezzature pubbliche di interesse locale. Sinteticamente l’ipotesi progettuale propone di: • mantenere le attività di carattere socio-sanitario e assistenziale lungo la via Ettore Ponti (dove sono già oggi localizzate) in parte ristrutturando gli edifici esistenti e in parte attraverso interventi di demolizione e ricostruzione; • realizzare un intervento di edilizia residenziale in affitto sociale (integrata con funzioni commerciali e artigianali) funzionalmente legata alle attività di assistenza e di servizio; • realizzare il giardino del villaggio, elemento centrale di connessione delle diverse parti del progetto, da rendere accessibile al quartiere come nuovo spazio pubblico attrezzato e vitale per una superficie complessiva di circa 22.000 mq; • realizzare un pensionato con una serie di servizi aperti ad un uso di quartiere (auditorium, sala lettura e biblioteca, mensa). Attraverso apposita convenzione stipulata con il Comune di Milano, la Fondazione Cassoni si impegna ad asservire tutta l’area ad uso pubblico ai sensi dell’Art. 22 della L.R. n.51/1975 e successive modifiche ed integrazioni; il progetto costituisce pertanto piena attuazione delle previsioni di Piano Regolatore vigente che prevede per l’area in oggetto una destinazione a “ spazi pubblici o riservati ad attività collettive a livello comunale (SC)” . Oltre alle evidenti finalità di riqualificazione urbanistica e di rivitalizzazione sociale, non va dimenticato che l’intervento consente di realizzare una importante operazione di risanamento ambientale in quanto prevede il recupero alla zona di un’ampia area che, rimasta fino ad oggi chiusa per assolvere alle proprie funzioni produttive e di deposito, è stata compromessa dal punto di vista della qualità architettonica ed ambientale.
Dal punto di vista strettamente urbanistico il progetto è finalizzato al miglioramento di un tessuto periferico sostanzialmente compromesso che cerca, attraverso l’intervento, di realizzare nuove connessioni e nuove forme di scambio con il territorio, in particolare: • rendendo del tutto permeabile l’area e agevolando i percorsi che consentono un attraversamento nord-sud di un isolato che ancora oggi risulta sovradimensionato e difficilmente fruibile; • rispondendo alla carenza in zona di verde ed attrezzature collettive per lo sport e il tempo libero con la realizzazione di un giardino di qualità e con la realizzazione di una serie di attrezzature di uso pubblico; • recuperando gli immobili esistenti (fronte via Ettore Ponti) dotati di una qualità edilizia interessante per ospitare le attività di servizio che possono sfruttare al meglio le tipologie edilizie presenti; • utilizzando tipologie residenziali ad altezze contenute che si contrappongono agli interventi massicci ed anonimi tipici di questo brano di periferia; • creando un percorso vitale di quartiere (viabilità locale e parcheggi), già previsto dagli studi di inquadramento dei PRU predisposti dal Comune, sul proseguimento del tratto già esistente di via Venosta; • allontanando una serie di attività incompatibili con il prevalente carattere residenziale presente in questa parte del quartiere. Gianni Verga Assessore allo Sviluppo del territorio del Comune di Milano
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Gli aspetti innovativi del progetto Il progetto si presenta come un programma d’azione complesso e innovativo sia per quanto riguarda i contenuti, sia per le procedure che esso ha promosso per arrivare alla definizione progettuale di maggiore dettaglio, essendo i due aspetti strettamente intrecciati: • l’innovazione, dal punto di vista dei contenuti, consiste nel carattere di progetto integrato, nella realizzazione di un brano della città che mette al centro (fisico e dell’attenzione) servizi destinati a situazioni di marginalità gravi combinandoli con una serie di funzioni “ normali” quali la residenza, i servizi di quartiere, i servizi di formazione per l’inserimento lavorativo dei giovani, le attività artigianali e commerciali, superando così le modalità più tradizionali di trattamento settoriale praticate negli interventi pubblici e privati di assistenza sociale; • all’innovazione nei contenuti del progetto corrisponde una innovazione nelle modalità della sua costruzione; l’attività di definizione del progetto è stata caratterizzata infatti, fin dai suoi primi passi, da un ampio coinvolgimento non solo di tutti i soggetti pubblici e privati a diverso titolo impegnati nella erogazione di servizi alle persone in condizioni di disagio, ma anche della popolazione del quartiere attraverso il metodo della progettazione partecipata che è finalizzato a far sì che il quartiere, non solo accolga l’intervento, ma veda in esso anche la realizzazione dei propri obiettivi, come ad esempio la risposta a legittime esigenze di riqualificazione della zona e di realizzazione di nuovi servizi per la popolazione.
Progetti Europan a M onza
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Alcune considerazioni preliminari: la prima è di natura generale e in riferimento al concetto di periferia e, con un brutto termine, di periferizzazione. Senza riferirmi a categorie grandi che investono aspetti inerenti la concezione del mondo come il divario tra paesi ricchi e paesi poveri, mi preme sottolineare che oggi non esiste solo il tema della periferia come fatto fisico, sociologico ed urbano, della città e del suo contesto territoriale nella sua accezione usuale, ma più generalmente anche la condizione che talora, al di là del reddito, del censo e della posizione urbana, rende “ periferica” la qualità della vita individuale e sociale. Il modello urbanistico prodotto scricchiola anche in casi di buon livello economico e stabilità sociale, mi piace fare un esempio evidente, chi guida una Ferrari o una Cinquecento, in fila nel traffico caotico o durante un sempre più frequente maxi-ingorgo o per il fatto che per andare al lavoro, a scuola, per dedicarsi al tempo libero, per incontrare gli amici o corteggiare, passa importanti ore della sua giornata in macchina, quasi a passo d’uomo ha una qualità di vita periferica, cioè esclusa da qualcosa di importante. Qualche settima fa ad un dibattito sui tempi della città citavo il fatto che un risparmio del 10% di tempo sulla mobilità, nella vita di un uomo, diventano anni, anni che possono essere dedicati a cose sicuramente più utili e piacevoli. La stessa cosa vale per molti altri settori come quello della casa che oggi, da noi, e per le condizioni di un mercato senza attenta programmazione urbanistica, senza piano, investe e “ periferizza” (cioè esclude dal normale mercato della casa con implicazioni anche territoriali e di periferia fisica) ceti sociali ampi, anziani, giovani coppie che pur dotate di normale reddito sono escluse dai benefici dei servizi integrati della città e del territorio (sembrano ormai lontani gli anni di teorizzazione che di edilizia economico e popolare non vi era più sostanziale esigenza e che regole fondamentali dello stato sociale sarebbero archeologia del secolo scorso). Sottolineo senza entrare nel merito l’aspetto più conosciuto dello stato dei grandi interventi di edilizia popolare periferica degli anni 70/80 e che oggi generano problematiche sociali non indifferenti. Si tratta del risultato di interventi di risposta residenziale a fabbisogni emergenti senza politiche coordinate di servizi compatibili. Una seconda considerazione è che gli aspetti sopra segnalati, che mi sembrano caratterizzanti la situazione di questi anni, investe anche il tema, che qui all’INU è stato molto discusso e che si riferisce alla nuova proposta di legge urbanistica regionale e in particolare il rapporto tra Piano e Progetto. Devo dire a questo proposito che ho sempre sostenuto nel dibattito, ancor più oggi come Assessore di Monza, che l’univoca fiducia nel progetto (cosa che pure è importante e rilevante) come elemento risolutore della riqualificazione urbana e di riorganizzazione di “ punti” della città, periferici o centrali, è una eccessiva valorizzazione del rapporto progetto-risorse-tempistica. Valorizzazione che per sua natura privilegia l’aspetto negoziale come risolutore e come tale rivolto con priorità agli aspetti economici a breve ed immobiliari. Con ciò non valutando con attenzione i tempi di trasformazione della città che non sono solo tempi economici e di modifica fisica ma anche sociali e di accettabilità generazionale e cioè tempi di piano e non solo di progetto. Piano dove gli stessi progetti possano trovare casa, coordinamento e verifica. L’aspetto positivo della proposta della nuova legge urbanistica, è sicuramente quello, pur in forme diverse che nel passato, di fare presente ancora la centralità del piano. Infatti, non ri-
tengo che i problemi della periferia che investono la qualificazione di una rete di servizi, il riassetto ambientale e la mobilità, possa trovare riferimento solo nei pure significativi obiettivi che si pone l’urbanistica negoziata e la puntualità del progetto. Un altro aspetto generale che voglio sottolineare è che l’illusione del “ progetto” ha comportato spesso l’idea che la periferia della città si riqualifica esportando o “ espiantando” importanti destinazioni dal centro ed in particolare destinazioni pubbliche che per loro natura sono “ centrali” . Lo ritengo un grosso errore che ancor più parcellizza la città e dequalifica il quartiere dove viene “ innestato” il nuovo intervento. Perché insisto sul tema di un nuovo modo di intendere la periferia? In realtà a Monza la periferia “ tradizionale” , confrontabile con altre realtà urbane della provincia di Milano, per disagio sociale e problemi inerenti lo stato di servizi di base non si pone. Mentre il disagio diffuso in una città ad alti valori urbani che emargina fasce sociali consistenti dalla città stessa e che tende all’espulsione, ad esempio delle giovani coppie in ragione dei costi della casa e dei servizi urbani, è fortemente in crescita. Paradossalmente, Monza, per esempio non presenta “ aree” con le caratteristiche richieste dai bandi regionali per attivare un Contratto di Quartiere. I dati statistici sui servizi di base, che caratterizzano a livello nazionale gli indici di qualità della vita, fanno rilevare più servizi nelle zone urbane ritenute meno pregiate per i valori immobiliari. Il nostro problema sulle periferie è pertanto diverso da quello di una città medio/grande, o come la si voglia considerare, dove uno sviluppo di immigrazione “ benestante” ha comunque determinato un eccessivo consumo di suolo e la crisi del rapporto tra ambiente e città, tra mobilità e città, tra servizi a scala urbana di tipo culturale, universitario ecc. e città, tra risposta composta per tutte le fasce sociali e destinazioni urbane e città. In questo contesto vi sono problemi di progetto e di singoli programmi, ma nel contesto di forti indirizzi di piano. In questo senso abbiamo operato nella precisa coscienza che il problema delle nostre periferie deve essere affrontato non tanto ricercando distribuzioni territoriali forzatamente omogenee nel territorio ma organizzando, nell’insieme di piano la qualità delle differenze tra valori urbani, centro storico, quartieri ecc., in modo che ogni parte abbia delle proprie centralità ma come componente di più ampie centralità urbane e territoriali. In un certo senso alla ricerca di un equilibrio per cui, come diceva Plinio del perché la terra stà insieme, pur essendo rotonda, nello spazio, ogni cosa stia “ al suo posto” . È ovvio che in questo concetto gioca con priorità l’organizzazione della mobilità, a cui stiamo pensando anche con il sistema del ferro e delle metrotramvie, perché la mobilità determina la fruizione delle opportunità che si propongono in singoli punti del territorio urbano ed a scala territoriale. Singoli punti ricercati e valorizzati come “ polarità” nel più ampio contesto urbano. In un certo senso, per dare quasi un modello grafico di riferimento, operare perché a una forma a piramide della intera città si sostituisca una forma con più piramidi di cornice a quella centrale. Ciò nella convinzione che esaltando il vertice centrale, in una azione di piano, ne consegue anche un innalzamento di qualità di singoli vertici e polarità periferiche o di cornice alle destinazioni centrali o dominanti. Ad esempio il Concorso a cui tiene particolarmente il Sindaco, quello della destinazione e valorizzazione della Villa e Giardini reali, risponde pienamente a questo concetto, nel senso che fare della Villa Reale un punto di riferimento a livello nazionale ed internazionale determina, con l’aumento di questo vertice, una ricaduta di elevamento della qualità dell’intera città.
zione tra soluzione di architettura (e di bisogni fondamentali come la casa) e qualità urbana di funzionamento di quella parte di città e quindi di risposta sociale. Ciò non toglie, comunque, che faremo tesoro delle tante idee che i trenta progetti di giovani architetti ci hanno dato. Alfredo Viganò Assessore al territorio del Comune di Monza
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Il Concorso Europan, nel 2003 dal titolo “ Periferia In. Intensità urbana e diversità residenziale” , è alla sua settima edizione e coinvolge, sotto l’egida dei ministeri dei singoli paesi, l’intera Europa per architetti giovani, under ‘40. Come città abbiamo partecipato ritenendo importante un contributo di idee su un pezzo periferico della città, nel contesto di altre iniziative. Infatti Monza è città di antica attività industriale diffusa dentro e ai margini della città dell’’800. Ciò ha determinato una diffusione di aree con insediamenti produttivi – più o meno antichi – oggi dismessi che offrono grandi opportunità di ridisegno urbano, di nuove polarità nei quartieri e utilizzazione di grandi contenitori di archeologia industriale per servizi urbani e di quartiere. Abbiamo pertanto avviato, in una città dotata di un Piano Regolatore che risale al 1971! , un documento di indirizzo delle politiche urbanistiche (Piano Regolatore, Programmi Integrati e Piano Casa) come Piano generale in attesa del Piano di Governo, e organizzato un Piano Operativo intervenendo sulle proposte di Programmi Integrati di Intervento nonchè con una Società di Trasformazione Urbana. Programmi pertanto coordinati già a formare parte sostanziale del Piano dei Servizi che stiamo definendo con l’adeguamento del PRG. Il Concorso ha interessato proprio quella parte di territorio a sud del centro su cui opereremo con una STU finanziata dal Ministero. Parte del territorio è esemplare ai fini di riqualificazione urbana dato che vi è una ferrovia che attraversa il quartiere, ma senza fermata, industrie dismesse ma anche accompagnate da presenze produttive e terziarie di alta e innovativa qualità tecnologica, la prossimità degli accessi del nuovo terminal della metropolitana e delle metrotramvie alla Bettola, il vicino accesso alla viabilità autostradale e, non indifferente la presenza del fiume (il Lambro) all’incrocio storico (Punt del Negher) col Canale Villoresi. Tema complesso e rilevante come caratteri territoriali. Abbiamo fatto un piccolo convegno e mostra sui circa trenta progetti pervenuti e ne faremo un altro a settembre. Vi sono stati tre progetti menzionati e due segnalati senza un primo premio. Ci siamo chiesti il perché notando che molti progetti hanno affrontato cose interessanti per soluzioni e idee. Prendo qui l’occasione di segnalare la lettura che abbiamo dato del problema. Lettura di ordine metodologico nell’individuazione della corretta scala di progettazione tra piano e progetto. Chiudo con questo aspetto metodologico perché non lo ritengo indifferente per la ricercata qualità delle periferie. Trovo che vi sia stato un ritardo nella nostra cultura, nell’insegnamento universitario, nella professione, nella disciplina, nel capire che la qualità di molte parti del nostro territorio non dipende solo dal progetto, dalla soluzione di architettura più o meno complessa, ma dalla relazione che il progetto ha con il resto della città, sia per aspetti vicini e planivolumetrici che di funzionalità a più ampia scala. Il tema investe in particolare il paesaggio e la qualità del livello intermedio di progetto che stà tra scelte urbanistiche e di piano e scelte di architettura. Il risultato del concorso è stato in questo senso significativo. L’approccio metodologico di molti concorrenti ha privilegiato il progetto architettonico anche alla scala propria della progettazione urbanistica ed intermedia. Questa non chiara e determinata scelta di campo tende a non riconoscere che ogni scala di progetto determina caratteri paesaggistici, di compatibilità e di funzionalità che non possono essere saltati o confusi. Questa scelta non chiara ha spesso determinato la mancanza di qualità urbana e il degrado sociale in aree periferiche o noccioli urbani. Talvolta la qualità dei progetti è lì a dimostrare questa contraddi-
Le politiche e gli strumenti operativi
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Spunti sintetici relativi alla politica per la casa della Regione Lombardia
Atti del Convegno
1. “ Abitare le periferie” è sinonimo di abitare luoghi senza qualità urbana, invece richiesta da chi li abita. 2. La qualità dell’abitare è uno dei bisogni che si manifesta in particolare in tutte quelle situazioni di difficoltà che possono emergere soprattutto nelle grandi città, dove i fenomeni di degrado sono maggiormente evidenti. 3. Qualità dell’abitare significa innanzitutto evitare il degrado. Questo vuole dire per prima cosa mettere tutti nelle condizioni di avere un’abitazione, anche quelle categorie in difficoltà o particolari, oggi emergenti nella nostra società in evoluzione (meno abbienti, immigrati, lavoratori temporanei, ecc). 4. L’abitazione è un elemento fondamentale per perseguire l’inclusione sociale. Per evitare fenomeni di emarginazione e raggiungere l’inclusione sociale occorre offrire abitazioni dignitose, inserite in contesti altrettanto decorosi. 5. Il diritto all’abitazione discende da un bisogno dell’individuo. L’Ente Pubblico ha il compito di raccogliere i bisogni espressi dai cittadini e di individuare le modalità per soddisfarli, poiché il cittadino è il soggetto centrale della politica. Quindi, il dovere dell’Ente Pubblico consiste, prima di tutto, nel trovare soluzioni per permettere a ciascuno secondo le proprie possibilità di accedere all’abitazione. 6. La qualità dell’abitare è trasversale a tutte le azioni intraprese per l’attuazione della politica dell’ambito casa: siamo infatti abituati a pensare che la qualità abbia esclusivamente implicazioni progettuali. Forse, anzi probabilmente nella prima fase vengono i progetti, ma affinché essi esprimano qualità occorre orientare l’attività dei tecnici con idonei strumenti amministrativi e legislativi. È necessario però concepire una realtà in cui sia presente e abbia un senso la qualità e che lo sviluppo non sia orientato solo alla città centrale, ma anche alla periferia, perchè non manchi di qualità. 7. Partendo da questi presupposti la Direzione Generale Opere Pubbliche, politiche per la casa ed edilizia residenziale pubblica, che ha competenza in materia di “ casa” , ed in particolare dell’ERP, nel corso della VII legislatura si è impegnata e si impegnerà: • a riorientare le politiche della casa relazionandole alle nuove esigenze dei cittadini, con particolare riguardo alle emergenze abitative per categorie quali immigrati e lavoratori temporanei (v. PRERP 2002-2004 e le relative misure previste); • alla individuazione di nuovi strumenti normativi e legislativi idonei a rispondere a queste esigenze;
• a considerare con attenzione la qualità dell’abitare intesa sia come ricerca di soluzioni progettuali differenti, sia come incentivazione della dotazione di servizi a supporto della funzione residenziale. Una politica per la casa attenta ai nuovi bisogni sociali Le politiche per la casa hanno fatto riferimento in passato all’“ edilizia residenziale pubblica” che sostanzialmente si articolava nella realizzazione di alloggi per cittadini economicamente disagiati a canoni calmierati (edilizia sovvenzionata) e nell’abbattimento dei costi di realizzazione delle case da parte di imprese e cooperative affinchè potessero essere acquistate da cittadini un po’ meno disagiati (edilizia agevolata). Questa impostazione ha prodotto nel primo caso un mercato distorto con le note conseguenze di marginalizzazione urbana e iniquo privilegio per fasce di cittadini protetti, mentre nel secondo una eccessiva quantità di alloggi in proprietà a discapito delle locazioni, quindi con irrigidimento delle mobilità oggi ancor più contraddittoria rispetto alle mutate esigenze dello sviluppo sociale ed in particolare del mercato del lavoro. Pertanto si è abbandonato questo modello, eccessivamente finalizzato al sostegno dell’offerta, per recuperare un maggior orientamento alla domanda all’interno di un approccio integrato al problema dell’abitare concepito come complesso di relazioni economiche, territoriali, sociali e anche affettive. A questo obiettivo si sta procedendo gradatamente nel tempo provvedendo: • a regolamentare gli accessi all’edilizia residenziale pubblica e relativi canoni con il fine di rendere indifferente per l’utenza rivolgersi al mercato pubblico o a quello privato; • a riformare le attuali ALER finalizzandole alla efficienza e redditività coerenti però con la dimensione della socialità; • a sostenere le iniziative dei Comuni volte a favorire l’offerta di alloggi per la locazione temporanea; • ad attuare il programma Regionale per l’Edilizia Residenziale Pubblica attraverso lo sviluppo di forme di partenariato territoriale pubblico-privato per la promozione di interventi di realizzazione di alloggi per la locazione e capaci di generare nel tempo una sostanziale copertura dei costi di investimento. Ettore Bonalberti Direttore Generale della Direzione Opere Pubbliche, politiche per la casa ed edilizia residenziale pubblica
Contratti di Quartiere: un programma per M ilano
Presento in questo breve scritto un punto di vista leggermente diverso: quello del gestore del trasporto pubblico e delle possibili interazioni con le problematiche del territorio e in particolare della residenza fin qui trattate. Nel trattare con la ferrovia bisogna sempre tenere presente che si parla con una vecchia signora – come Ferrovie Nord Milano in questi giorni stiamo celebrando il nostro 125° compleanno – che però sta vivendo una seconda giovinezza, inconcepibile fino ad una quindicina di anni fa. I sintomi di ripresa sono evidenti soprattutto in alcuni settori come quello del trasporto nell’area metropolitana milanese che caratterizza le FNM. Nei comuni della grande area metropolitana milanese, la ferrovia, che ha cessato di essere un fattore localizzativo per le industrie, ha ripreso ad essere un grande fattore localizzativo per la scelta della residenza. Praticamente, in tutti i comuni serviti dalle nostre linee si assiste ad un vero boom immobiliare. Certamente contribuiamo, se non a risolvere, almeno a “ diluire” le problematiche abitative di cui hanno parlato gli interventi precedenti. Questo fenomeno si accentuerà nei prossimi tre o quattro anni con il completamento del Passante (da dicembre 2004 sarà “ Passante” verso Pioltello e dal 2007 verso Lodi e Pavia) e del sistema delle 10 linee metropolitane regionali di tipo S-Bahn (o tipo RER parigina). Un’anticipazione della qualità del servizio che sarà offerta in tutta la cintura milanese si ha già con la nostra linea da Milano a Saronno, che già oggi offre un servizio ogni 15’ tutto il giorno, per cui, chi abita a Novate, Bollate, Garbagnate o Caronno, raggiunge il centro di Milano in meno tempo di molti residenti nella periferia del capoluogo. Accenno infine ad un’altra problematica dell’interazione tra ferrovia e territorio, che probabilmente meriterebbe una sessione specifica di lavoro. Il tema del riuso delle grandi superfici che la tecnologia ferroviaria richiedeva e che oggi sono spesso terre di nessuno gravemente degradate. Il degrado del territorio e delle stazioni impresenziate è talora un disagio peggiore del fastidio da rumore e perfino delle attese in sosta ai passaggi a livello. Senza attendersi miracoli da grandi operazioni immobiliari, interessanti ma limitate a poche stazioni principali, c’è un grande campo di potenziale collaborazione tra ferrovie, amministrazioni e operatori del privato sociale. La regionalizzazione delle competenze e la separazione tra la gestione pubblica delle reti e quella tendenzialmente privata dei servizi di trasporto possono essere di aiuto in questo campo, se passerà il principio che i gestori delle reti hanno tra i propri compiti anche il presidio del territorio.
Il bando dei Contratti di Quartiere ha suscitato: grande interesse da parte delle Istituzioni (comuni, che individuano nel Contratto di Quartiere uno strumento attuativo, di promozione, di trasformazione, di integrazione e socializzazione, di sviluppo), Aler, che individuano nel Contratto di Quartiere risorse finalizzate a riqualificare il patrimonio di E.R.P., ad attuare iniziative di rilevanza urbana in sinergia con le amministrazioni ed altri soggetti concorrenti al processo di riqualificazione. Grandi aspettative dei residenti nel patrimonio E.R.P., che individuano nei Contratti di Quartiere l’ultima opportunità per restituire l’ambiente abitato al decoro fisico edilizio, a funzionalità, socialità e sicurezza. Negli stessi quartieri sono in atto da tempo, per iniziativa Aler, interventi di riqualificazione fisica di singoli immobili o isolati, sviluppati secondo priorità dettate da necessità, non coordinati a sinergici programmi comunali di trasformazione ed integrazione urbana e quindi, non sufficientemente sostenuti da processi di socializzazione dell’ambiente urbano interessato. Considerata la consistenza patrimoniale E.R.P. coinvolta, un programma di riqualificazione “ complessivo” di tutte le realtà abitative indicate assorbirebbe ben oltre le disponibilità messe in campo dalle istituzioni pubbliche: Ministero, Regione, Comune ed Aler. Di contro non corrispondere alle attese dei residenti nei quartieri citati, può essere interpretato come scarsa attenzione da parte delle istituzioni alle crescenti criticità di tali ambiti, soprattutto da quella parte dei residenti motivata da spirito di appartenenza, che vede nell’impegno e presenza attiva delle istituzioni, la risposta preminente al complesso quadro dei bisogni espressi (socialità, sicurezza, infrastrutture, qualità dell’ambiente urbano, ecc.). Nell’attuale contesto, la rinuncia alla progettualità da parte delle istituzioni è interpretabile come rinuncia alla opportunità-necessità di elaborare una “ grande idea” per quegli ambiti di città suscettibili di una grande occasione di trasformazione e riscatto sociale, e di incapacità a formulare proposte sostenute da finanziamenti dedicati alle stesse. Una possibile proposta di Contratto di Quartiere potrebbe considerare, su diversa scala: • uno scenario complessivo urbano che inquadri un coerente sviluppo dei singoli ambiti di città; • un programma di iniziative riferite agli ambiti locali, mirate a corrispondere agli specifici fabbisogni dei singoli contesti; • un complesso di iniziative sinergiche attuabili, in termini esaustivi ed in tempi definiti, nel quartiere ovvero in un comparto prioritario, fattibili e finanziariamente sostenibili con le risorse attribuite e concretamente attivabili. Tale ipotesi configura uno straordinario impegno progettuale coordinato da parte della Amministrazione e dell’A-
Roberto Ceresoli Direttore Ferrovie Nord Milano Ingegneria
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Le Ferrovie Nord e la riqualificazione del territorio
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ler. Richiede altresì notevoli contributi esterni di professionalità conseguibili con convenzioni, con strutture accademiche e con studi con esperienza specifica. La collegialità dei soggetti coinvolti, la pluralità delle iniziative sul territorio, la rilevanza dei contesti interessati, sono occasione e presupposti per configurare uno studio urbano coordinato ed articolato e quindi una risposta “ complessiva” sulla città. Il programma dei “ Contratti di Quartiere” della città di Milano dovrebbe offrire: • al Comune di Milano, una nuova progettualità complessiva sulla città, un modello urbano attuabile attraverso uno strumento attivo di promozione e condivisione; • all’Aler, risorse economiche finalizzate all’attuazione di un programma coordinato nel prossimo quinquennio; • ai cittadini residenti, concrete prospettive di riqualificazione del proprio ambiente e l’avvio di un ruolo partecipativo presupposto anche di un attivo coinvolgimento e responsabilizzazione nella gestione dell’ambiente vissuto. Società di trasformazione urbana Aler dà grande importanza alla partecipazione a grandi progetti di sviluppo che riguardano le periferie con le Società di Trasformazione Urbana. Sono di interesse strategico e qualificato nell’ottica di un inquadramento generale con le restanti aree di Edilizia Residenziale Pubblica con proposte di riqualificazione che costituiscono, infrastrutture viabilistiche e ferroviarie nuovi impianti ed investimenti per gli aspetti energetici, nuclei strategici a partire dai quali si avvierà l’operazione di trasformazione dell’asseto urbano, anche con riguardo al recupero dello standard e della dotazione di attrezzature/servizi pubblici. L’ambito rappresenta, sotto il profilo urbanistico, una vasta e grande opportunità per i Comuni proponenti coinvolti, al fine di predisporre studi volti ad orientare le scelte delle Amministrazioni, sul territorio, in forma coordinata. Complessivamente la grande disponibilità di aree interessate alla trasformazione e alla riqualificazione costituisce una grande opportunità e consente di pensare anche a processi di “ sperimentazione” sul piano urbanistico, secondo i nuovi indirizzi in materia con particolare riferimento all’applicazione dei criteri di perequazione e di trasferimento dei diritti volumetrici. A ciò vanno aggiunte, si ricorda, le rilevanti iniziative di contesto tra le quali si segnala il PRUSST Vittoria ed il piano urbanistico Montecity-Rogoredo. Dal “ Lorenteggio-Vigevanese” sino ai quartieri realizzati prima degli anni ’40 come il “ Solari” e il quartiere “ Giambellino-Lorenteggio” per passare a quelli realizzati negli anni dell’immigrazione nei comuni dell’hinterland (Cesano Boscone, Corsico e Trezzano sul Naviglio). Il tema è proprio quello di riqualificare queste grandi presenze ed integrarle nelle città e nell’ambito metropolitano. Luciano Niero Presidente ALER - Milano
L’edilizia residenziale a M ilano Per una città della dimensione e con il livello di infrastrutturazione quale Milano risulta difficile stabilire quale sia il concetto di periferia, in realtà la dimensione urbana è ben più ampia della parte di territorio compresa nei confini comunali, è una regione urbana, o meglio sono più regioni urbane che si articolano spazialmente in un territorio che deve trovare politiche, strumenti e regole di governo. Anche la realtà sociale, oltre che quella fisica oggi ha superato le tradizionali distinzioni centro/periferia o comune capoluogo / prima e seconda cintura; i parchi stessi, il Parco Nord come il Parco Sud non costituiscono più il bordo della città verso l’esterno ma costituiscono parchi territoriali urbani a cui si affacciano le diverse parti edificate e vissute dei comuni contermini; il problema è ridare significato a queste parti della città diffusa che hanno sempre vissuto situazioni di margine, di confine, di risulta, in buona sintesi di periferia. Ma oggi va considerato anche che alcuni fattori che generalmente vengono considerati come portatori di problemi possono invece costituire l’occasione di una riforma di qualità del territorio e della introduzione di elementi rivitalizzatori o significanti intere parti di città. Uno dei punti determinanti del Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche Comunali approvato dal Consiglio Comunale nel giugno del 2000 indicava la questione del rientro della residenza in città, peraltro da una recente analisi sul fabbisogno abitativo svolta dal centro studi PIM si rileva come a Milano città emergono dati che dimostrano che gli abitanti diminuiscono, ma aumenta il numero delle famiglie di cui diminuisce il numero medio dei componenti. Il fabbisogno abitativo ha un arretrato di 19.000 alloggi e si prevede una domanda nel prossimo decennio pari a 12.000 alloggi. Gli studenti fuori sede sono 43.000 e oggi sono alla mercè degli affittacamere, cosa indegna per una città di rango come Milano. Inoltre non si può certo dire che l’esperienza del recupero delle aree industriali dimesse abbia prodotto risposte adeguate sul piano della casa o meglio della casa per i più, quelli con un reddito medio che non possono acquistare la casa ai prezzi con cui in quegli interventi è stata venduta. Tralascio ogni commento sulla qualità dell’edilizia prodotta in questi interventi di riqualificazione che è inferiore a quella delle televendite e di cui spero presto si possa chiedere in pubblico ai progettisti, noti, le ragioni di tanta sciatteria. La difficoltà di muoversi tra comuni limitrofi e capoluogo con i mezzi di trasporto individuali e collettivi, la qualità dei servizi della città, la necessità di risiedere in città per studio o lavoro unitamente al fattore mattone come forma sicura di investimento rendono la casa un bene sempre più prezioso e introvabile e di conseguenza con prezzi spropositati. Questi sono tutti fattori che hanno rilevanza urbanistica che possono cioè costituire elemento di modificazione sostanziale di parti della città, che possono modificare il volto della città, ma occorre un metodo, un modo di intervenire teso alla qualità. Le opportunità che la Regione Lombardia ha promesso di attivare in ordine al finanziamento ma anche la possibilità di far convergere sulla casa a canone o a prezzo controllato altre risorse pubbliche o private potrebbe, nella realtà di una città come Milano, non essere sufficiente a produrre l’edilizia controllata necessaria, il costo del terreno è troppo alto, ed è troppo alto anche per fattori che oggi l’Amministrazione stenta a controllare, o per un regime giuridico dei suoli che è fortemente influenzato dalla liberalizzazione più o meno strisciante delle destinazioni d’uso o da altri elementi di debolezza normativa che ora risulterebbe difficile
Giovanni Oggioni Comune di Milano, Direttore del Progetto di Pianificazione Strategica
La qualità delle periferie Come è evidente, e la mia partecipazione a questo convegno in parte lo dimostra, il tema delle periferie induce ad approcci differenti, che determinano differenti tipologie di soluzioni. In buona parte, oggi più che ieri, i molteplici approcci e le diverse letture hanno origine da un fattore di “ scala” , dal quale si esamina il fenomeno o al quale ci si propone di intervenire. La manifestazione del concetto di “ periferico” , cui si associa comunemente l’idea di “ degradato” , agisce, infatti, a diversi livelli, fino al punto che non può essere negata, anche se con una propria connotazione, l’esistenza di un tema “ Periferie” alla scala regionale. Si pensi alla città diffusa presentata in Triennale, che è poi la stessa che abbiamo inquadrato nel tema del “ sistema metropolitano” nei lavori preparatori per la costruzione del PTR (la proposta del Documento Strategico) previsto dal progetto di legge sul Governo del Territorio. In questo spazio, luogo della città diffusa o infinita, la maggior parte della popolazione vive in un contesto periferico. È allora necessario comprendere cosa, nella continuità più o meno omogenea dello spazio urbano che attraversa tutta la Pianura Padana, sia da considerare periferico e rispetto a cosa, rispetto a quali centralità, vecchie o nuove che siano, e rispetto a quali funzioni. Evidentemente non basta la localizzazione di alcune funzioni per fare un centro, così come i quartieri degradati delle periferie di molte nostre città non sono paragonabili agli agglomerati sparsi di quella cosiddetta “ marmellata” di abitazioni mono o bi-familiari che segnano la pianura dalla Lombardia al Veneto. Le periferie non sono cioè tutte uguali e non è sempre uguale l’emergenza che esse pongono. Il tema delle periferie si intreccia così a quello della qualità, che è qualità architettonica, ma anche sociale o prestazionale (intesa come offerta di servizi), o ambientale. I centri storici continuano ad assumere, nell’immaginario della maggior parte della gente, il ruolo di “ centralità positiva” , anche se nella realtà non è sempre vero o comunque non tutte le qualità si sovrappongono. In realtà in molte situazioni i “ centri” espellono persone verso l’esterno, generando al proprio interno isole di emarginazione, con presenza di situazioni di insospettabile degrado. Solo per citare la cronaca recente si pensi al “ ghetto” di via Adda, in pieno centro direzionale, contesto di degrado le cui implicazioni aprono a temi che in qualche modo influenzano la geografia del “ periferico” oltre che i connotati del concetto di “ marginale” . In effetti le grandi città, Milano prima di tutto, perdono popolazione e non più solo verso la cintura, ma oramai anche verso città più piccole, instaurando differenti rapporti fra centro e periferia e proponendo problemi a scala regionale che anche nel momento della pianificazione, e non solo in quello della progettazione, devono trovare un proprio spazio di attenzione adeguato alle possibilità di azione, sia a livello comunale che a quello provinciale o regionale. Negli ultimi anni la concezione classica del Piano è stata gradualmente superata nel suo porsi come strumento privilegiato per affrontare i problemi della città, orientandosi verso strumenti più agili ed operativi come quelli della programmazione negoziata a partecipazione pubblico-privata (PRU, PRUSST, PII, Contratti di quartiere). Sono molti gli esempi realizzati o in corso di realizzazione che a vario titolo hanno coinvolto Comuni, Regione e Ministero con la partecipazione di soggetti privati, che hanno portato al recupero di aree degradate periferiche e semiperiferiche puntando verso mix funzionali e sociali. Si tratta sicuramente, come si vede, delle principali modalità di azione utili ad intervenire sul miglioramento della qualità urbana diffusa e per risolvere situazioni particolarmente critiche in
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descrivere; tutti fattori che innalzano il valore fondiario dei suoli. Chi in questa situazione si mette, su terra sua, a costruire case in affitto? Nessuno è votato al fallimento. Inoltre è da considerare che terra libera ce ne è troppo poca e quella poca che c’è, è “ prenotata” dallo strumento urbanistico generale per altri usi altrettanto importanti e richiesti a gran voce dalla cittadinanza (parchi, verde sotto casa, infrastrutture, servizi) usi che saranno comunque di difficile attuazione considerata la politica di bilancio delle amministrazioni comunali. Come risolvere questo problema senza trovare una soluzione alternativa, una soluzione che unisca i vantaggi del tradizionale Piano di Zona alla agilità degli strumenti complessi quali i PII, e soprattutto come trovare la terra su cui edificare? La proposta allo studio individua una serie di aree pubbliche, di proprietà del Comune, dell’ALER o nell’ambito dei Piani CIMEP, a cui per motivi di carattere strettamente urbanistico possono essere attribuite delle volumetrie; abbiamo individuato aree vicine agli assi di forza del trasporto pubblico, vicine ai servizi, oppure che per la loro collocazione o conformazione si prestassero per essere l’occasione per la risoluzione di problemi esistenti. Il complesso di queste aree porterebbe alla possibile realizzazione, nel corso di un programma pluriennale, di circa 20.000 alloggi. A queste aree abbiamo attribuito una possibile capacità edificatoria generale una sorta di riserva pubblica di edificabilità, che dovrà essere calibrata area per area in funzione di una serie di studi morfologici e progettuali in sede di predisposizione del preliminare alla progettazione dello strumento urbanistico attuativo. Le aree sono pubbliche, le volumetrie pubbliche, ora bisogna trovare le risorse, non solo, essendo le aree pubbliche e le volumetrie pubbliche il progetto deve essere totalmente in mano pubblica. L’ipotesi allo studio prevede di definire un documento preliminare alla progettazione che definisca i contenuti relativi sia agli obiettivi pubblici che alla composizione del mix di edilizia controllata. Una delibera quadro definirà in modo indicativo le aree e le quantità complessive sul territorio comunale e indicherà i termini di riferimento per gli interventi di edilizia a canone sociale, a canone moderato e speciale e in diritto di superficie per la prima casa. Il progetto edilizio verrà definito attraverso procedure concorsuali e, se non interverrà il Comune o l’ALER in proprio, la realizzazione dell’intervento sarà soggetta a procedura di evidenza pubblica al fine di individuare l’operatore che interverrà in diritto di superficie; tale scelta sarà in funzione della qualità dell’intervento, della quota di edilizia in affitto a canone sociale e moderato proposta e dall’impegno alla realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione previste dal documento preliminare. Certamente tutta questa operazione ha un costo, un costo alto per la città, si deve rinunciare a delle area a verde e a servizi in attesa che il PGT le ricalibri all’interno della nuova organizzazione territoriale ma è anche vero che se l’Amministrazione Comunale di Milano riuscirà a introdurre nel nuovo PGT criteri di perequazione e compensazione dei diritti edificatori avremo probabilmente la certezza che le aree a standard che oggi sono solo individuate sulle carta del PRG diventino una realtà e questo non può altro che contribuire decisamente a innalzare il livello della qualità urbana con un notevole abbassamento dei costi e dei tempi di attuazione..., ma questa è un’altra storia.
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aree specifiche; forse, però, tale approccio non è sufficiente, non più, perchè l’intensità dei fenomeni negativi che si manifestano e la varietà degli stessi ci chiedono di individuare forme articolate e multisettoriali di azione: affrontare il governo del sistema metropolitano che attraversa tutta la Lombardia è un tema da porsi, per riuscire a governare quella grande periferia che continua a crescere, ma che nel contempo rappresenta il sistema forte della Lombardia. Al livello del piano regionale il tema ha una sua specificità. Nel Documento allo studio è detto che il tema della qualità urbana, avendo assunto una rilevanza così importante nel contesto lombardo, è da considerare “ criticità di quadro” , ovvero elemento di riferimento da affrontare in modo “ concorrente” con tutti i soggetti, i livelli e le forme che possono appunto concorrere ad incidere sull’innalzamento della qualità dei nostri territori e ambienti urbani. La qualità degli abitati è anche qualità del territorio e quindi anche capacità competitiva, ed è in quest’ottica che bisogna trovare le capacità finanziarie per intervenire, oltre che le risorse in termini di innovazioni e creatività. Il Piano, dicevo, non è più uno strumento onnicomprensivo o esaustivo, ma può ancora giocare un ruolo, soprattutto nelle sue nuove forme e articolazioni. La proposta di legge per il Governo del Territorio prevede, come noto, due livelli di azione del Piano: quello del Documento di Piano, ovvero delle strategie sul lungo periodo, e quello del Piano dei Servizi, delle Regole e degli strumenti operativi, ovvero delle azioni e degli interventi che influiscono più direttamente sul disegno della città, sulla sua qualità urbana e architettonica. Piano dei Servizi e Piano delle Regole rappresentano in tal senso una potenzialità reale per intervenire su funzioni, forma urbana, livello di servizi e, in definitiva, su qualità urbana, con una modalità più dinamica di quanto i vecchi strumenti dell’urbanistica non abbiano offerto fino ad ora. Non voglio con questo dimenticarmi del ruolo del progetto, al quale è affidata l’ultima parola di un percorso verso la qualità, percorso che deve essere caratterizzato, come ho brevemente illustrato finora, da una integrazione positiva di livelli e di settori, oltre che ispirato alla creazione di un paesaggio in cui sia piacevole, oltre che necessario, risiedere. Mario Rossetti Regione Lombardia, Direttore generale Territorio e Urbanistica
Contributi tematici
Sette progetti per la Zona 7 Nella primavera dell’anno 2003 l’Assessore alle Periferie Guido Manca dà come incarico agli architetti Jacopo Gardella e Fabrizia Iacci, e ai fotografi Paola Mattioli, Angelo Mereu ed Antonio Ria, il compito di preparare una documentazione dello stato di fatto e uno studio di massima per la riqualificazione urbana di alcune località periferiche comprese all’interno della Zona 7 e limitrofe al nucleo abitato di Baggio. Obiettivo dello studio è la parziale trasformazione di queste località, la cui qualità di vita non è ancora soddisfacente, nonché la loro possibile rielaborazione urbanistica allo scopo di migliorarne le condizioni di vita, di lavoro, di svago. Le località prese in esame sono le seguenti: Quartiere degli Olmi; Istituto Marchiondi; Cascina Molinello; Cascina Sella Nuova; Villa Amantea; Via Caldera. A queste località viene aggiunto lo studio della Piazza parrocchiale di Figino e della viabilità del borgo; e lo studio di risanamento da Via Caldera a Quinto Romano. Le soluzioni progettuali vengono presentate all’Assessore alla fine dell’estate; e poco dopo vengono illustrate alla popolazione del quartiere e ai Consiglieri della Zona 7. Scopo dell’Assessore è quello di poter disporre di progetti sufficientemente definiti, sia sotto l’aspetto grafico sia sotto l’aspetto economico; e di poter esibire questi progetti ad eventuali finanziatori, pubblici o privati, così da assicurarsi lo stanziamento necessario alla concreta realizzazione dei progetti stessi. Ovviamente il concorso dei finanziatori prevede una contropartita che è ancora da studiare, ma che deve essere tale da rendere l’operazione appetibile sotto l’aspetto imprenditoriale. La successiva mancata risposta e il disinteresse dimostrati dai finanziatori interpellati sono da attribuire più alla generale situazione economica del paese che non ad una mancanza di concretezza e di realismo imputabile ai progettisti? Questi in realtà, nella stesura degli elaborati, hanno tenuto conto dei pareri espressi dai Consiglieri di Zona, delle opinioni registrate fra gli abitanti, delle istanze presentate agli Enti Pubblici, delle previsioni contenute negli strumenti urbanistici vigenti; e sono sempre stati consapevoli del rischio insito in opere eccessivamente costose perché sanno che tali opere non troverebbero accoglienza presso nessun finanziatore dotato di prudenza e di buon senso. Alla domanda: “ Perché un privato dovrebbe investire in opere pubbliche collocate in periferia?” i progettisti credono di poter dare la seguente risposta: “ Anzitutto per ottenere la defiscalizzazione degli investimenti; e in secondo luogo per aderire ad una filosofia imprenditoriale non esclusivamente rivolta al profitto economico ma sensibile e attenta ai problemi della collettività” . I sette progetti sopra nominati possono essere considerati come micro-interventi circoscritti entro zone ben definite,
• In primo luogo occorre ribaltare il concetto di periferia come luogo emarginato e depresso, e al contrario farlo assurgere a centro di interesse urbano, che si ponga in concorrenza con il centro storico e, come questo, sia capace di offrire stimolanti opportunità. Per realizzare un simile obiettivo non basta la riqualificazione urbanistica della periferia, ma occorre anche una sua integrazione con il centro della città. Centro e periferia sono infatti parti complementari di un tutt’uno, cioè sono elementi costitutivi della metropoli, e non possono vivere autonomamente. La periferia non potrà mai (né dovrà) staccarsi, isolarsi e rendersi autonoma dal centro urbano, pena il prolungarsi delle sue attuali condizioni di avanzato degrado; ed il centro non potrà mai (né dovrà) ignorare la periferia, pena il progressivo deteriorarsi delle sue già precarie qualità di vita. Obiettivo dell’urbanistica futura dovrà essere la reciproca concorrenza delle due parti, la stretta osmosi fra le due entità; le quali, viste erroneamente in reciproca contrapposizione, dovrebbero costituire invece una intima fusione. Un simile obiettivo tuttavia non potrà mai essere raggiunto se non si miglioreranno radicalmente i trasporti urbani, ancora oggi vergognosamente scadenti in una città di ambizione europea quale vuole essere Milano. La rete di trasporto pubblico e la sua progressiva diffusione e sostituzione al trasporto privato è condizione imprescindibile sia per la salvezza delle periferie sia per la salvaguardia del
centro. Solo un trasporto pubblico diffuso capillarmente, funzionante ininterrottamente, garante di una mobilità intensa e continua, offrirà la soluzione del problema e consentirà alla popolazione una vita dignitosa non solo nella periferia ma anche nel centro, ossia sull’intero territorio della città. • In secondo luogo occorre ricordare la genesi storica delle nostre città, italiane ed europee; e non dimenticare la presenza in esse di un cuore urbano, di un centro storico, di un nucleo antico da cui la città è nata e intorno al quale si è via via sviluppata. Non lo stesso può dirsi delle città nate nel Nuovo Mondo, in America e negli Stati Uniti; città che non hanno né tradizione né radici; non vantano un passato; non posseggono un centro antico, un nucleo storico. A Los Angeles non esiste una zona paragonabile ad un nostro centro urbano; vi sono, è vero, molte zone di maggiore densità urbana, collegate fra loro da ampie superstrade, ma nessuna di queste zone è capace di rappresentare il cuore della città. Può sembrare un controsenso parlare di centro storico in un convegno dedicato alla periferia; eppure la periferia, se non è collegata al centro, muore; così come muoiono le estremità del nostro corpo se non sono collegate al cuore. Lo stesso dilemma offre l’attuale centro storico nello stato di congestione in cui si trova oggi; il centro storico, se non ha una periferia che gli serva da supporto ed espansione, soffoca; così come soffocano i nostri polmoni se non sono circondati da una adeguata riserva d’aria. Al contrario di ciò che avveniva in passato, la vita di oggi non permette di riunire e di accumulare nel centro della città tutte le consuete funzioni e attività quotidiane svolte da una fitta e accresciuta popolazione urbana. Il moltiplicarsi delle esigenze e l’incremento demografico obbligano a distinguere e a differenziare le funzioni del centro da quelle della periferia. Nel centro devono trovarsi e rimanere le grandi funzioni civiche: rappresentative, culturali, amministrative, giuridiche, politiche. Alla periferia devono spostarsi e trovare luogo le funzioni più private ed individuali: ricreative, sportive, di residenza, di svago. Entrambe le funzioni sono necessarie alla vita della città; ma entrambe devono essere collocate e mantenute nella sede che per loro è più appropriata. Non vi è errore più grave del voler trasferire, per ragioni di miope demagogia, le funzioni che sono proprie del centro in zone che appartengono alla periferia; e distruggere, così facendo, il privilegio straordinario che possono vantare le città nate nella vecchia Europa, il privilegio di possedere un centro storico. D’altra parte non vi è progetto che sia più improponibile ed irrealizzabile di quello che volesse dislocare all’interno del vecchio centro urbano le attrezzature destinate ad insediarsi in periferia; ed incorrere, così facendo, in un palese assurdo urbanistico.
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e volti sia ad ottenere una razionalizzazione delle varie funzioni attinenti alle zone, sia a conseguire una migliore configurazione urbanistica delle zone stesse. Ci si è proposti di migliorare l’immagine spaziale delle località prese in esame, di ristudiarne la rete viaria, di ampliarne e valorizzarne le superfici a verde, di rivedere le condizioni statico-igieniche degli edifici più ammalorati. Ma soprattutto si è cercato di far rinascere nella popolazione il senso di appartenenza ad una comunità riconoscibile; e per questo obiettivo si è voluto identificare ed evidenziare un luogo aggregante: una piazza, uno slargo, una strada, un polo frequentato spontaneamente, dove la gente possa ritrovare una propria identità. Là dove è stato possibile, superando le violente ferite apportate dalle nuove gigantesche opere viarie (autostrade, tangenziali, svincoli) si è cercato di riattivare antichi percorsi pedonali, o di aprire nuovi percorsi ciclabili, in modo da allacciare fra di loro le diverse parti di una stessa località, e di creare un collegamento delle periferie nelle periferie, ossia tra le zone più periferiche delle zone già periferiche. Non è questa la sede in cui esporre in modo dettagliato ciascuno dei progetti presentati; gli elaborati sono depositati presso gli uffici dell’Assessorato alle Periferie e sono accessibili al pubblico. Può invece essere utile trarre, dall’esperienza fatta, alcune conclusioni generali, estendibili a tutta la periferia milanese e ai problemi che essa presenta.
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• In terzo luogo occorre considerare le periferie anche sotto un rapporto del tutto opposto a quello visto sopra: un rapporto non più centripeto, ossia rivolto verso il centro della città, ma centrifugo, ossia esteso al territorio della Regione. In occasione di una Triennale passata Antonio Monestiroli, in linea con le più avanzate teorie urbanistiche, prospettava uno schema territoriale formato da una corona di poli perimetrali che, a scala regionale, circondano le metropoli e ne alleggeriscono il carico demografico. Ciò significa né più né meno la rivalutazione e rinascita delle nostre città di provincia; le stesse che fino all’inizio del XX secolo vantavano una rispettabile importanza economica, amministrativa e politica. Queste città, potenziate ed integrate da una nuova ed efficiente rete di collegamenti, consentirebbero di contrastare il deprecabile fenomeno dell’urbanizzazione illimitata, che si allarga intorno alla nostra metropoli; e faciliterebbe un trasferimento dei futuri insediamenti verso i poli secondari, sparsi a cerchio sul territorio lombardo. Uno schema urbanistico così concepito eviterebbe sia le abnormi concentrazioni periferiche che soffocano le metropoli (e le fanno degenerare in megalopoli), sia le inarrestabili proliferazioni dell’hinterland che erodono la campagna e fagocitano le poche aree ancora non costruite. Se all’inizio avevamo detto che le periferie non possono essere scisse dal centro urbano, con queste ultime considerazioni aggiungiamo (concludendo) che le periferie non devono ignorare le preziose potenzialità offerte dalle città di provincia, dalle quali è formato il sistema urbanistico regionale e nelle quali troverebbero migliore accoglienza i nuovi insediamenti non più sostenibili dalla metropoli. Jacopo Gardella e Fabrizia Iacci
Alcune considerazioni a proposito del Convegno Il convegno INU-Consulta degli architetti lombardi tenutosi il 17 marzo alle “ Stelline” ha scoperchiato una pentola in cui bollivano da mesi alcune questioni irrisolte, o aggravatesi, dell’area metropolitana milanese. Anzitutto, esso ha dato un notevole apporto di chiarificazione del concetto stesso di “ periferia” , che dovrebbe essere via via sostituito dalla qualificazione puntuale dei diversi “ luoghi” da indagare prima di progettare ex novo, se possibile, o da recuperare. Esistono ora le premesse normative perché il “ luogo” , concetto elaborato dalla cultura urbanistica, diventi lo strumento corrente della progettazione degli interventi del territorio. È, infatti, una relazione permanente del territorio sia nelle parti storiche della città sia in quelle di nuova edificazione. La normativa vigente ignora il termine “ periferia” , che tutt’al più appare in qualche documento programmatico delle amministrazioni. Ma recepisce, almeno in Toscana, il concetto di “ luogo” . È la premessa per un’ulteriore interpretazione di esso, anche nelle aree metropolitane di recente edificazione. Il caso del P.R.G. di Brescia, discusso in pubblico e impugnato in sede giudiziaria, insegna molto in questa direzione. Il convegno ha poi riproposto una questione che fu addirittura al centro della politica dei primi anni ’70, la questione della casa, che sembrava dimenticata. Naturalmente essa è rientrata solo mediatamente attraverso i convegni. Purtroppo sta nella realtà, sta nelle condizioni di abitazioni disumane degli immigrati e nel caro-affitti e caro-mutui. La terminologia stessa adottata in questo e in altri convegni o corsi universitari sa, in molti casi, di scoperta di fatti che sono oggettivamente di antica data, quasi di stupore che “ certe cose” esistano ancora e siano più gravi di dieci o vent’anni fa. In verità gli studi, le indagini, le inchieste in materia sono andati diminuendo di forza e interesse. Che fine hanno fatto alcuni grandi studi su Milano, come per esempio quelli programmati e affidati negli anni ’80 a parecchie Università? Si potrà riprenderli, ma seriamente? È questa una prima domanda che anche questo convegno rivolge alla pubblica amministrazione, ma anche ai privati che ormai, mediante i Programmi Integrati di Intervento, governano gran parte del territorio da urbanizzare. La centralità del progetto, e quindi delle indagini preliminari, proclamata a ogni cantone, è oggi imposta dalla prevalente presenza privata nel governo del territorio. Si discute, ma per ora è la tendenza legislativa. E per restare alle sole indagini, organizzazioni minori, quasi prive di mezzi, hanno fatto meglio e più di altre: restano così un punto fermo gli studi sui quartieri di Milano prodotti dal Circolo Carlo Perini, sorto a Quarto Oggiaro nel nord-Milano quarant’anni fa e tuttora attivo, e le inchieste del Comitato Molise-Calvairate-Ponti, nella parte sud della città. Intorno all’attività e ai risultati di quest’ultimo ha lavorato per mesi una candidata al PhD in antropologia, la giovane statunitense Julie J. Smith che presenterà il suo rapporto finale nel prossimo maggio al congresso mondiale di antropologia in Canada. A questo punto la parola passa, o dovrebbe passare, alla pubblica amministrazione; in carica o da eleggere. La parola spetta prima, quindi, ai cittadini, anche se i più colpiti, gli extra-comunitari, a Milano non sono rappresentati nemmeno in sede consultiva, come invece a Roma e altrove. E poi alle forze politiche e sindacali. E c’è la buona volontà dei progettisti riunitisi anche alle Stelline, marzo 2004: essi sono ormai una componente autonoma del governo del territorio. Emanuele Tortoreto