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luglio 2004

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UniversitĂ in Lombardia

Mensile di informazione degli Architetti Lombardi Ordini degli Archit et t i delle Province di: Bergamo Brescia Como Cremona Lecco Lodi M ant ova M ilano Pavia Sondrio Varese

Consult a Regionale Lombarda degli Ordini degli Archit et t i via Solf erino, 19 - 20121 M ilano Anno 27 - Post e It aliane Spa - Spedizione in abbonament o post ale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art . 1, comma 1 - DCB M ilano



AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 7 Luglio 2004

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Forum Università in Lombardia interventi di Roberto Formigoni, Giulio Ballio, Antonio Acuto, Pier Carlo Palermo, Adalberto Del Bo, Remo Dorigati, Elisa Pozzoli, Lanfranco Senn Bergamo Brescia Como Cremona Lecco Lodi M antova M ilano Pavia Varese

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Argomenti

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Concorsi

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Professione e aggiornamento Legislazione Strumenti

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Informazione Dagli Ordini Stampa Libri, riviste e media M ostre e seminari

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Indici e tassi

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Direttore Responsabile: Stefano Castiglioni Direttore: Maurizio Carones Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Martina Landsberger, Mina Fiore

Editoriale

Assistente di Redazione: Irina Casali Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico: Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa: Alberto Greco Editore srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 300391 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: age@gruppodg.com Concessionaria di Pubblicità: Profashion srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 30039330 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: profashion@gruppodg.com Stampa Diffusioni Grafiche, Villanova Monf.to (AL) Rivista mensile: Spedizione in a.p.- 45% art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 23.700 copie Abbonamento annuale (valido solo per gli iscritti agli Ordini) € 3,00 In copertina: Facoltà di Architettura Civile, Aula CT3 (foto di Pietro Licari). Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL

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Sommario

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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 w w w.consultalombardia.archiw orld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidenti: Daniela Volpi, Giuseppe Rossi, Ferruccio Favaron; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 18.3.03) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 2.10.02) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Angelo Monti; Segretario: Marco Francesco Silva; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Franco Andreu, Renato Conti, Gianfredo Mazzotta, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 30.6.04) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 1.8.03) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 15.2.03) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi (Termine del mandato: 10.7.03) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guernieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 25.5.03) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Giulio Barazzetta, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 30.6.04) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Quintino G. Cerutti; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Maura Lenti, Paolo Marchesi, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 2.10.03) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 19.2.03) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 3.7.03)


Maurizio Carones

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Editoriale

La Lombardia rappresenta un esempio molto evidente di una tendenza generale che determina la diffusione delle sedi universitarie nel territorio. Da un sistema fondato su pochi centri universitari di antiche tradizioni – in Lombardia, ad esempio, Pavia – nella seconda metà dell’‘800 e nel corso del ‘900 si è passati ad una ubicazione delle sedi universitarie riferita ai grandi centri come, nel caso lombardo, Milano. Negli ultimi decenni si è invece andato progressivamente strutturando un sistema universitario capillarmente diffuso nel territorio, con riferimento agli ambiti provinciali. Si può dire che in Lombardia oggi tutte – o quasi – le undici province lombarde abbiano una sede universitaria, autonoma o riferita ad un ateneo milanese. Questo cambiamento si riferisce a questioni che attengono più in generale a fatti di ordine sociale, economico, politico e culturale. Ne derivano possibili riflessioni sulla trasformazione dei rapporti tra cittadino e istituzioni, fra poteri centrali e poteri locali, così come sulla stessa strutturazione degli studi universitari. Un processo di localizzazione delle istituzioni universitarie genera inoltre, per un verso, la ricerca e l’affermazione di identità culturali particolari, da proporre come aspetti salienti e caratterizzanti i singoli atenei, e, per un altro, una relazione più diretta della formazione e della ricerca con le realtà territoriali, sia culturali che produttive. Ma il fenomeno riguarda direttamente anche gli aspetti disciplinari dell’architettura e dell’urbanistica. La diffusione delle sedi universitarie ha infatti notevoli conseguenze sul territorio: dalla necessità di una rete di trasporti che assecondi la mobilità per contrastare una possibile tendenza al “ radicamento” dello studente, in ragione di esclusive scelte logistiche, alla necessità di un adeguato sistema di infrastrutturazione urbana che riguarda i servizi, gli spazi pubblici, le residenze di chi frequenta l’università. Tutto ciò determina trasformazioni molto riconoscibili nelle città: alcuni atenei nel proporsi agli studenti indicano addirittura l’intera città come una sorta di unica grande struttura connessa all’università. La città stessa diventa – soprattutto per le città più piccole – una sorta di grande campus universitario. Anche Milano, d’altra parte, ha visto alla scala urbana verificarsi lo stesso fenomeno: l’università si frammenta e si disperde nella città, nelle periferie, dando loro un nuovo significato. Zone come quelle della Bicocca o della Bovisa, da quartieri periferici e progressivamente abbandonati dalle industrie, sono diventati i luoghi della formazione in cui migliaia di studenti producono modificazioni urbane, anche esternamente ai campus che frequentano. L’insieme degli interventi ospitati dal nostro Forum, alcuni rappresentativi di enti come la stessa Regione Lombardia con il suo presidente, Roberto Formigoni, o il Politecnico con il suo rettore, Giulio Ballio, indicano molto bene la complessità del tema e come esso possa costituire una particolare chiave di lettura per descrivere il territorio della nostra regione, evidenziandone una vocazione formativa che può accompagnarsi ad un preciso pensiero urbano ed architettonico.


Università in Lombardia

Forum

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Nel Forum di questo numero, alla cui realizzazione ha collaborato Silvia Malcovati, intervengono Roberto Formigoni, Presidente della Regione Lombardia, Giulio Ballio, Rettore del Politecnico di Milano, Antonio Acuto, professore ordinario di Composizione architettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, Pier Carlo Palermo, Preside della Facoltà di Architettura Urbanistica Ambiente del Politecnico di Milano, Adalberto Del Bo, professore ordinario di Composizione architettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, Remo Dorigati, professore ordinario di Progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura Urbanistica Ambiente, Elisa Pozzoli, dottore di ricerca in Pianificazione e Politiche Pubbliche del Territorio presso l’Università IUAV di Venezia, Lanfranco Senn, professore ordinario di Economia regionale presso l’Università Bocconi di Milano. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.

Sussidiarietà, identità culturale e territorio: una grande sfida per il futuro di Roberto Formigoni Ringrazio la Consulta dell’Ordine degli Architetti Lombardi per la possibilità che mi offre di affrontare uno dei temi così decisivi nella nostra azione di governo. Alla base della quale c’è un’impostazione, culturale prima ancora che politica, che mette al centro la persona e la libertà, perchè il presupposto è che il governare debba essere funzionale al primato del cittadino e dei soggetti sociali, e che nostro compito non sia “ fare” il bene comune, bensì creare le condizioni perché a ciò provvedano con slancio continuamente creativo le forze migliori della società civile. Vogliamo che la genialità dei nostri studenti universitari si manifesti in questo contesto, e per questo motivo sosteniamo e incentiviamo la trasformazione del territorio attorno ai poli universitari,

affinché sempre più e sempre meglio possa rispondere alle esigenze dei nostri studenti. In questo nuovo scenario in cui la globalizzazione da un lato ha indotto una forte omogeneizzazione di comportamenti e di stili culturali, dall’altro ha enfatizzato l’importanza del territorio e dell’identità, due rimangono le “ cose” che possono fare la differenza in modo stabile, come cardini attorno a cui costruire una società avanzata: il territorio e l’identità culturale. Insieme alla qualità delle sue infrastrutture e dei suoi centri di ricerca, la qualità ambientale di un determinato territorio diviene determinante da un lato per evitare l’esodo delle risorse umane autoctone più qualificate, e dall’altro per favorire l’afflusso di risorse umane qualificate dall’esterno. Per parte sua, l’identità culturale e le

sue eccellenze diventano la fonte di quella tipicità che, se apprezzata, rende “ unico” quanto si produce e quanto si esprime. Se il compito alto, dunque, o meglio la vocazione della politica, è quella di difendere e incrementare il benessere di un popolo, ciò non può avvenire se non si difende e non si incrementa la coscienza di una identità, come coscienza dei legami che uniscono la persona alla sua famiglia, al suo lavoro, alla terra dove vive, lavora o studia come a tratti costitutivi del suo personale destino. In tutto ciò emerge prepotentemente come territorio e identità culturale siano indissolubilmente legati a filo doppio; dunque compito della politica non è creare, ma riconoscere una cultura, quella del suo popolo. La cultura rappresenta il segno e la radice della nostra storia, ma è anche uno straordinario veicolo per iniziative innovative. Quando parlo di cultura, penso a quella dimensione fondamentale che dà un’impronta decisiva a tutte le nostre azioni, costituendo l’identità e la costruttività di una persona, quindi di una società e di un popolo. Per questo sono convinto che il criterio che ci deve guidare, e che dovrà continuare a farlo nella definizione delle politiche a favore di ogni forma di cultura, è sempre il rispetto della massima libertà di espressione, valorizzando tutto ciò che c’è di interessante e innovativo, mettendo a disposizione dei nostri ragazzi tutto ciò di cui necessitano affinchè la loro creatività possa affermarsi. È in quest’ottica che va letta e interpretata l’importanza decisiva che la Regione Lombardia attribuisce allo sviluppo dell’autonomia universitaria, cioè alla sua capacità di correlare davvero l’offerta formativa alle esigenze di sviluppo dei territori lombardi. Il mondo universitario, con tutto il bagaglio di esigenze ed esperienze che si porta dietro, ci dimostra che governare il territorio significa programmare e promuovere un quadro che consenta, al massimo grado e con la massima flessibilità, l’espressione della vita sociale, culturale ed economica. In questo senso il principio di articolazione del governo territoriale è il principio di sussidiarietà. La nuova città diffusa si chiama

territorio e il territorio deve essere il luogo della sussidiarietà orizzontale in cui la società vive insieme alle istituzioni. Chi, come me, si rapporta quotidianamente con le logiche di governo del territorio, sa che la bellezza è un marchio di identità dal quale non si può prescindere nel costruire o nel restaurare, perché il bello è il filo conduttore capace di attraversare e unire tutto ciò che ancora deve essere fatto e tutto ciò che è già stato fatto. Realizzare, quindi, un connubio indissolubile tra ciò che è eticamente corretto e ciò che è esteticamente bello diventa, più che una necessità, un dovere verso i cittadini. Questa affermazione ha un significato certamente più rilevante in un territorio come il nostro; un territorio altamente complesso in cui lo sviluppo di politiche urbanistiche e territoriali deve saper essere funzionale, nel completo rispetto dell’ambiente, alle necessità produttive e commerciali, che ci rendono il motore economico del Paese; un territorio che però non può e non deve dimenticare di recuperare quei valori propri dell’identità storica, culturale e geografica, che appartengono alla sua tradizione. Ci troviamo quindi di fronte ad una vera e propria sfida per il futuro; una sfida che deve essere affrontata in primo luogo da chi ha il compito di amministrare il territorio. Da un lato dobbiamo impegnarci in prima persona per far emergere tutti quegli aspetti di bellezza insiti nel lavoro che quotidianamente svolgiamo. Dall’altro dobbiamo reinterpretare il nostro ruolo sul territorio, indirizzando la nostra attenzione verso tutti quei nuovi elementi che l’evoluzione in atto ha trasformato in prioritari. Per questo dobbiamo attuare una politica che non si basi unicamente sulla pianificazione, sul controllo più o meno burocratico, più o meno efficace, più o meno tempestivo, ma è necessario un intervento in grado di contribuire, in collaborazione con i cittadini, alla promozione della libertà, e della capacità di iniziativa e di costruzione della società. Non è una scelta facile, dare spazio alla creatività e alla bellezza, ma è una sfida a cui non vogliamo rinunciare.


Le foto che illustrano il Forum di questo numero sono state espressamente realizzate da Mina Fiore (pp. 5, 6 e 9) e Pietro Licari (pp. 7 e 10), studenti di architettura che ringraziamo per la loro preziosa collaborazione.

Forum

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Università e territorio di Giulio Ballio Università non significa solo luogo per offrire didattica; sarebbe una scuola preposta a trasfondere nei giovani le conoscenze prodotte da altri. Raramente le scuole riescono a mantenersi sulla frontiera del conoscere e quindi a durare nel tempo. Università non significa solo luogo di ricerca; sarebbe un ente di ricerca proteso a realizzare gli obiettivi assegnatigli al momento della sua creazione. Raramente enti di ricerca hanno secoli di storia alle spalle; spesso si spengono lentamente perché non sono capaci di aggiornare le proprie tematiche di ricerca. Solo se formazione e ricerca sono interconnesse si ha una Università,

istituzione che costituisce un motore di innovazione nel territorio in cui vive, un motore di relazioni fra territori e in definitiva un motore di sviluppo economico e sociale. Una Università è per sua natura una istituzione duratura nel tempo, indissolubilmente legata al territorio a cui appartiene. La comunità sociale investe nell’Università se vuole progresso, se vuole mantenere i propri giovani nei propri territori, se vuole attrarne da altre comunità, se vuole relazionarsi con pari dignità con altri territori. La comunità sociale ignora l’Università se non ha interesse nelle proprie risorse umane migliori, se con-

sidera la formazione e la ricerca come un bene di consumo, se si riconosce vassalla di altre comunità più evolute. Nella sua storia Milano è stata un esempio di città universitaria. È stata la comunità milanese a volere tra la seconda metà dell’’800 e i primi anni del ‘900 il Politecnico, l’Università degli Studi, la Bocconi, a cavallo delle due guerre l’Università Cattolica, più recentemente la Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) e l’Università Vita e Salute San Raffaele, infine l’Università degli Studi di Milano Bicocca insediata sui terreni di una delle più grandi industrie milanesi. Non è un caso che di queste sette Università solo le due Università degli Studi e il Politecnico siano università pubbliche, ben quattro abbiano un regime finan-

ziario e amministrativo di tipo privatistico. Milano offre così uno spettro completo di possibilità di formazione ai circa 200 mila studenti che frequentano le sue università, provenienti per il 20% da altre regioni; Milano è sede di attività di ricerca in tutti i settori delle scienze con rapporti con le migliori università di tutto il mondo; Milano attrae giovani, li inserisce nel mercato del lavoro, crea per essi opportunità di relazioni internazionali. Il sistema universitario milanese si è ramificato nel territorio lombardo istituendo ad esempio la sede a Crema della Università degli Studi e i poli del Politecnico a Como, Lecco, Cremona, Mantova, Piacenza, ed ha profondi legami di collaborazioni sia nel campo della formazione che della ricerca con le altre università


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lombarde: Pavia, una delle più antiche e gloriose università italiane, le più recenti Università Statali di Brescia, di Bergamo e dell’Insubria, quest’ultima localizzata a Como e a Varese, l’Università Carlo Cattaneo (LIUC) a Castellanza. Non si può nascondere che il sistema universitario lombardo vive oggi alcune difficoltà, tipiche del sistema universitario nazionale, da cui dipende strettamente. Si deve però riconoscere che il sistema universitario italiano, ed in particolare quello milanese, ha alcuni straordinari punti di forza: • I nostri ricercatori sono quantitativamente inferiori a quelli che operano nelle migliori università ed enti di ricerca internazionali (rispetto al numero di abitanti siamo superiori solo alla Grecia), ma sono decisamente più produttivi ed efficienti: rispetto al numero di ricercatori siamo sopra la media europea e decisamente sopra gli USA per numero di pubblicazioni, siamo in media europea, a livello USA e sopra Francia e Germania, per numero di citazioni nella letteratura scientifica; siamo un po’ sotto media europea, ma comunque superiori a Francia e Regno Unito, per numero di brevetti europei. • I nostri docenti impiegati nella educazione post-secondaria sono quantitativamente inferiori a quelli che operano negli altri paesi (siamo con il rapporto studenti/docenti più elevato dopo la Grecia, superiore del 50% alla media europea e quasi doppio rispetto agli USA), ma anche in questo caso dimostriamo efficienza e capacità di lavoro essendo in media europea per laureato/docente e solo del 10% inferiori agli USA. Nei momenti di difficoltà economica le collettività più lungimiranti investono in formazione e in ricerca. Essere un motore di ricerca e di formazione comporta attrarre i giovani migliori, innovare nel territorio e produrre relazioni fra territori. Quando i costi sociali e di mano d’opera sono molto superiori a quelli di altri paesi, l’unica speranza di crescita economica per un territorio è la continua innovazione di tecnologie e di prodotti. Una collettività riesce ad essere un centro di innovazione se ha dei giovani bravi, immersi in un tessuto produttivo attento alla loro formazione e alla loro conseguente valorizzazione. Vi sono molti settori di produzione e di servizi, oltre la moda e il design, per i quali la Lombardia potrebbe essere riconosciuta fra i leader mondiali. Pensiamo alle scienze e alle tecnologie a servizio dell’ambiente, della salute, del governo della società civile, pensiamo alla domotica a servizio dell’handicap, dei malati e degli anziani, alla valorizzazione dei beni culturali, ai trasporti e alla mobilità sostenibile, alla sicurezza pubblica in tutte le sue accezioni, dalla protezione civile a quella sanitaria, a quella informatica. Dobbiamo però riconoscere che non è né facile né immediato raggiungere obiettivi così ambiziosi.

Pensare che ricercare e formare sia compito e dovere di altri consente di piangerci addosso, dà pace alle nostre coscienze, comporta quella paralisi che ci farà perdere l’opportunità di continuare a competere con le altre regioni europee e le altre nazioni. Con molto realismo e poche disponibilità finanziarie cerchiamo di fare i primi passi, possibili anche in un contesto economico così difficile come quello attuale. • Tutti insieme, politici, imprenditori, associazioni di categoria, fondazioni e università, battiamoci af-

L’insediamento universitario in Lombardia

1. L’anno scorso gli Atenei lombardi erano dodici, cui facevano capo sessantasei Facoltà, le quali hanno organizzato oltre settecento percorsi didattici (corsi di laurea, diplomi, lauree triennali, lauree specialistiche), erogati in ventidue località, per la metà capoluoghi di provincia (tutti, escluso Sondrio) e destinati a oltre duecentotrentamila studenti iscritti.

soprattutto nella dimensione aziendale, gli Atenei, attenti (quando lo sono) alle aspettative immediate di famiglie e imprese (dagli enti pubblici pare ci si debba aspettare poco), si dispongono a competere offrendo didattica su misura quanto più possibile a domicilio. Si tratta di confermare e adattare l’assetto centralizzato, che nel

finché venga concessa dal governo la defiscalizzazione alle donazioni finalizzate alla ricerca e alla formazione; • chiamiamo a raccolta tutte le forze della nostra comunità sociale per organizzare una accoglienza dignitosa ai giovani e agli studiosi stranieri che desiderano venire nelle nostre città; • chiamiamo a raccolta tutte le forze produttive affinché ogni azienda, piccola o grande che sia, “ adotti” un ricercatore da assumere a tempo determinato per 5 anni dall’università. Con un costo del tutto ragionevole, anche per aziende di piccole dimensioni, si finanzierebbe un progetto di ricerca di interesse dello “sponsor” da svolgere congiuntamente presso l’azienda e una università.

Questi sono dati generali, che devono essere approfonditi nel dettaglio e poi rappresentano una situazione destinata per alcuni aspetti – soprattutto la struttura dell’offerta didattica – ad evolvere anche nel breve periodo, ma credo che manifestino con immediatezza la frantumazione dell’assetto istituzionale dell’università e la sua dispersione territoriale. D’altra parte, la casualità delle localizzazioni e il disordine edilizio, che caratterizzano quasi tutte le sedi più o meno consistenti allestite recentemente, testimoniano di quanto debole e marginale sia il rapporto tra territorio e università. Di certo risulta impossibile identificare in questo quadro un “ sistema” . Tra i diversi Atenei mancano connessioni (istituzionali e territoriali), che conseguano da obiettivi (politico-culturali, scientifici e formativi) condivisi e coerenti al ruolo dell’università e del suo insediamento nel contesto lombardo. Ma perché parlare ancora di “ sistema” universitario? In regime di autonomia, praticata

tempo si è venuto attestando soprattutto a Milano (Pavia, la storica città universitaria di Lombardia, ha perduto molto della sua vitalità), dotandolo di polarizzazioni periferiche il più possibile prossime ai bacini di utenza, in modo che l’accesso alla didattica implichi il minimo della mobilità studentesca. Un’area dismessa o uno “ storico contenitore” (così si continuano a chiamare edifici monumentali restaurati e “ messi a norma” , pronti per molti usi) acquisiti a condizioni favorevoli, sono più che sufficienti per allestire una sede universitaria, considerando che ciò di cui disporre si può limitare alle aule, qualche laboratorio, poche o nessuna attrezzatura collettiva (del resto serve ancora la biblioteca, quando c’è internet che ci soccorre?). E la ricerca? Quella poca che ancora si fa – sempre meno in futuro, considerate le risorse a disposizione – si pratica nei Dipartimenti, i quali occupano ancora (con poche eccezioni significative) i locali dei vecchi Istituti nelle sedi centrali degli Atenei. 2. “ L’episodio più significativo di tutti ci sembra, nel campo urba-

L’unica alternativa ad un lento e inarrestabile declino sta nell’avviare giovani promettenti a ricercare in settori di interesse del mondo produttivo, nell’avvicinare sempre di più il mondo imprenditoriale alle università, nell’introdurre innovazione, nel formare i futuri docenti universitari e i futuri dirigenti aziendali.

di Antonio Acuto


Eppure duecentomila studenti, tanti ne possiamo prevedere ancora presenti nell’università della regione nei prossimi anni, possono rappresentare una risorsa formidabile: una città di giovani grande come Brescia, che è seconda solo a Milano in Lombardia. Mettendo in gioco, oltre che la loro intelligenza, anche la mobilità territoriale, un comportamento ormai acquisito da tutti anche per percorsi consistenti, si potrebbero articolare le sedi dipartimentali (cioè la ricerca) negli ambiti dove i processi di tra-

Le molteplici forme di relazione tra università e territori di Pier Carlo Palermo Le relazioni tra università e territorio assumono forme molteplici, credo che sarebbe un errore privilegiare soltanto il tema dell’insediamento di nuove strutture formative nei contesti locali. Un territorio denso e complesso come quello lombardo richiede legittimamente un’articolazione spa-

che non rappresentino soltanto una banale moltiplicazione di off ert e già consolidat e, ma approfondimenti di frontiera, coerenti con alcuni caratteri peculiari del contesto, ma anche con prospettive di sviluppo di interesse non solo locale. Inoltre, non si deve dimenticare che solo inve-

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Forum

nistico milanese, la creazione della Città degli Studi (...). La scelta dell’area non è avvenuta per meditate ragioni connesse allo sviluppo e all’armonia della città, ma è stata determinata da un dono del “ valore anteguerra di mezzo milione di lire” di una società fondiaria privata. (...). Che il collocamento della università al NE, in un settore lontano dalle grandi radiali, senza collegamenti diretti e adeguati con il restante della città, fosse urbanisticamente erroneo lo comprovano due fatti: 1. La società fondiaria interessata allo sviluppo di quel quartiere non giudicò troppo oneroso il sacrificio di un’area del valore di mezzo milione per “ avviare l’affare” ; 2. Il Rettorato universitario non volle mai trasferire alla Città degli Studi la propria residenza! ” . Così annotava Giuseppe De Finetti nella prima stesura del capitolo relativo a La scelta delle aree per i grandi enti e impianti cittadini per il suo Milano Risorge. Siamo nel 1945. Tutti possiamo fare, senza difficoltà, un raffronto tra questa lontana vicenda (i fatti risalgono all’inizio degli anni venti del secolo scorso) con quella recente dell’insediamento sulle aree Pirelli alla Bicocca della nuova Università, nata dal ceppo della Statale di Milano. Almeno una differenza c’è: per “ avviare l’affare” , in questo caso non c’è stato alcun “ dono” , anzi, si è pagat o caro, come capita a chi preferisce ignorare le risorse del pubblico demanio per rincorrere l’offerta privata. Ma la scelta urbanistica si fa carico di una strategia insediativa adeguata al necessario respiro regionale? Considerando il criterio centralistico che la ispira e il regime di accessibilità del tutto asfittico che la condiziona, sembrerebbe lecito riproporre, immutato nella sostanza, il giudizio definettiano riferito allora alla Città degli studi. 3. Si potrebbero esaminare i casi del Politecnico a Bovisa, Como, Lecco, Mantova, Cremona, Piacenza, dell’Università di Pavia al Cravino, di quella di Brescia a Mompiano, e altri ancora; ciascuno richiederebbe una propria specifica storia, ma da tutte emergerebbe, connotata in modi diversi, la tendenza a privilegiare un ruolo di servizio dell’università, piuttosto che un ruolo direttamente produttivo fondato sulla ricerca, necessaria a sviluppare conoscenze, innanzitutto per alimentare una didattica autenticamente formativa. Forse si tratta di una strada obbligata nel disperato tentativo di sopravvivenza di un’istituzione, che, invischiata in un impasto di incultura, burocrazia, corporativismo, non ha cercato né trovato modo di essere protagonista negli anni della “ grande trasformazione” e ora gestisce senza illusioni, spesso con cinismo, la propria marginalità, cui ben si addice il regime di separatezza, proprio di vecchi e nuovi “ campus” .

sformazione si presentano più complessi e consistenti, per costituirvi, magari anche solo temporaneamente, veri e propri laboratori, nei quali convergerebbero (i modi si dovrebbero inventare caso per caso, alla maniera dei veri imprenditori) studenti impegnati nella ricerca e destinatari partecipi nell’individuazione dei problemi ai quali applicarla. Da qui potrebbe prendere avvio, per il manifestarsi di interessi comuni e l’intrecciarsi di relazioni, il progressivo confederarsi delle iniziative di ricerca, instaurando circuiti tra le sedi, man mano più consistenti e strutturati. Le istituzioni universitarie oggi presenti nel territorio regionale potrebbero promuovere o almeno favorire la formazione di questo “ sistema” , riconquistando così nuova, autentica centralità. D’altra parte contribuirebbero in maniera determinante a ricostruire l’insediamento lombardo nella sua storica configurazione policentrica, che ha bisogno di forti impulsi per riattivare i fuochi delle sue molte culture. Ma questo forse è solt ant o un vecchio sogno: senz’altro è un progetto inattuale.

ziale del sistema di formazione universitaria. Si dovrebbe evitare però ogni deriva “ localistica” , che rischia di disseminare sul territorio piccoli presìdi di bacino, che possono assumere una valenza simbolica positiva nel contesto e offrire servizi di prossimità agli abitanti, ma poco hanno a che fare con i principi della Universitas. Tanto più se l’offerta didattica è generica – corsi di base già ampiamente disponibili nel quadro regionale – o troppo auto-referenziale, perché le aspirazioni contingenti della docenza prevalgono su interessi e potenzialità specifiche dell’area e vengono a mancare prospettive plausibili di sviluppo sostenibile a una scala più vasta. Situazioni analoghe si sono verificate nel nostro paese, negli ultimi vent’anni, in più di un contesto. Per evitare questi rischi, alcune condizioni sembrano necessarie. È richiesta una capacità effettiva di guida e coordinamento territoriale delle politiche di sviluppo del sistema universitario. È necessaria una qualificazione delle nuove strutture decentrate come sedi di progetti formativi “ rari” ,

stimenti adeguati per le strutture di accoglienza e di servizio possono rendere attrattivo un nuovo polo universitario rispetto alle sedi più tradizionali (il giovane che proviene dall’estero o da altre regioni del nostro paese tende a preferire, probabilmente, un’esperienza metropolitana nella grande Milano, se non è di alto livello la qualità dell’offerta formativa e dei servizi dei centri minori). Nel quadro delle politiche di sviluppo a rete del Politecnico, la I° facoltà di Architettura ha cercato di mettere in atto questi principi. I corsi di studio attivati a Mantova e (più recentemente) a Piacenza, presentano alcuni caratteri originali rispetto all’offerta della sede di Milano: una laurea specialistica in Architettura e una laurea triennale in Edilizia orientate ai temi della progettazione e degli interventi sull’esistente, a Mantova; una laurea triennale in Architettura Ambientale, che tende ad approfondire la progettazione di luoghi e tempi della mobilità, a Piacenza. Grazie all’impegno degli enti territoriali, lo sviluppo e la qualificazione delle strutture delle sedi è stato notevole e ga-


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rantisce fin d’ora una interessante capacità di attrazione (a Mantova, quasi l’80% degli studenti proviene da altre province). Il modello a rete consente di unire i vantaggi della piccola scala e del radicamento nel contesto locale con l’appartenenza a un sistema di relazioni sufficientemente aperto, dinamico e competitivo (con la possibilità, dunque, di superare alcuni limiti delle “ scuole di bacino” ). Riteniamo che questa sia una giusta via, da continuare ad esplorare e da perfezionare. Ma le relazioni con i territori non si limitano alla possibilità di decentramento dei corsi di studi. Almeno altre due questioni devono essere ricordate. La prima è la responsabilità che il Politecnico di Milano viene ad assumere per la formazione di giovani studiosi e prof essionist i che provengono in buona misura dalle province lombarde e, per una parte consistente, desiderano ritornare a operare nei luoghi di origine. La nostra sede di Milano contribuisce ancora oggi a formare la maggior parte dei professionisti, funzionari e ricercatori che operano nei campi dell’architettura, dell’urbanistica, dell’edilizia, delle trasformazioni ambientali e insediative. Si tratta di garantire la formazione di figure responsabili, aggiornate, capaci di continuare ad apprendere, sensibili all’evoluzione delle domande sociali e delle possibilità tecniche e disciplinari (rispetto a questi temi, le relazioni tra università e ordini professionali assumono un notevole rilievo). Si tratta, d’intesa con i contesti locali, di saper anticipare e misurare correttamente le esigenze del mercato del lavoro. L’osservazione ricorrente sul numero troppo elevato degli architetti italiani può essere fuorviante. Il confronto con altre autorevoli situazioni europee (come Gran Bretagna, Francia o Germania) mostra che il numero complessivo delle figure professionali che si occupano di città, ambiente, edilizia e territorio non è molto diverso da quello italiano. La differenza è che in Italia una concezione forse troppo generica e comprensiva della figura dell’architetto non ha consentito lo sviluppo di altri profili, considerati altrove assolutamente legittimi e necessari. La nostra facoltà ha avviato da tempo un processo di articolazione degli studi, che rivendica una matrice unitaria (tipica delle scuole di architettura), ma anche la necessità di alcuni approfondimenti mirati: nei campi della architettura ambientale (un profilo di architetto con competenze avanzate sui temi della ecosostenibilità dei progetti), del planning, del design di politiche pubbliche (di riqualificazione, rigenerazione o sviluppo di territori problematici), della gestione dei processi edilizi. Tra questi profili (tutti complementari rispetto alla figura classica dell’architetto), alcuni assumono intenzionalmente

un orizzonte triennale (è il caso dei corsi in Edilizia e in Architettura ambientale), nel tentativo di interpretare alcuni obiettivi disattesi della riforma universitaria: un rapporto più intenso e più immediato tra formazione e lavoro, in alcuni ambiti che sembrano esprimere un’offerta consistente di posti di lavoro (è il caso della gestione di cantiere), alla quale non sempre corrisponde una domanda adeguata. Rapporti istituzionali e cooperativi più evoluti con i territori potranno aiutare a diffondere tra i giovani una maggiore consapevolezza delle opportunità. Non si tratta di negare l’aspirazione di molti a diventare architetti, ma di chiarire che può essere interessante ed efficace anche una via che passa attraverso un confronto diretto con i processi produttivi (prima di proseguire, eventualmente, gli studi specialistici). Il rapporto con i territori può essere importante anche per dare sostanza e valore alle esperienze di tirocinio previste dal nuovo ordinamento e per concepire esperienze mirat e di approfondimento. La richiesta (diffusa) di decentramento di progetti formativi non deve necessariamente mettere in gioco interi corsi di laurea. Un’ipotesi interessante può essere l’attivazione in contesti locali di progetti di master che affrontino temi pertinenti: come il Politecnico ha iniziato a fare quest’anno presso il comune di Lainate, in una sede prestigiosa come Villa Litta Borromeo. Un altro grande campo di relazioni (che mi limiterò ad accennare in questa sede) riguarda le esperienze di ricerca. Si tratta di un tema forse sottovalutato dai contesti locali. La presenza dell’università è associata di solito alla localizzazione di attività formative, minore attenzione è dedicata ai contributi di ricerca che l’università può aver elaborato sulla base di domande che nascono proprio dai contesti. Eppure, se riconsiderassimo insieme i prodotti di ricerca che i dipartimenti del Politecnico hanno realizzato nei territori regionali, potremmo riscoprire un tessuto denso e vivo di relazioni ed esiti. La nostra facoltà, per i temi di sua pertinenza, intende promuovere un bilancio critico e riflessivo sui risultati della ricerca politecnica nei contesti territoriali (in particolare, in quelli più critici e più innovativi). Forse questa è una iniziativa che potrebbe vedere un impegno cooperativo di istituzioni e ordini professionali. Il quadro emergente ci potrebbe aiutare a individuare nuove forme di relazioni virtuose e innovative tra università e territori.

L’idea di campus di Adalberto Del Bo Gli insediamenti universitari costituiscono straordinarie occasioni per la trasformazione della città contemporanea sempre che, in primo luogo, essi vengano previsti opportunamente per localizzazione e dimensione: sembrerebbe questa una condizione talmente ovvia da non dover essere neppure accennata ma, trattando di questo argomento in Lombardia, occorre ricordare che il più grande Ateneo milanese, in anni recentissimi, nel duplicarsi ha considerevolmente aumentato le proprie strutture insediandosi in aree mal collegate alla città e al suo territorio (dal quale proviene la gran parte degli studenti), oltretutto con carenze di parcheggi e servizi. Si tratta di una delle purtroppo non rare occasioni perdute a causa dell’abbandono del tema dell’organizzazione urbana, per l’improvvida decisione, dopo il fallimento dell’urbanistica nei confronti del controllo funzionale e qualitativo delle grandi città, di gettare, come si usa dire, insieme all’acqua anche il bambino, slegando le decisioni strategiche da una qualsivoglia idea di piano. Il tema dei trasporti pubblici risulta decisivo per la riuscita di una operazione di questo tipo, il cui successo non va misurato solo sulla dimensione quantitativa degli studenti, ma anche nella capacità raggiunta di aver creato un luogo reale di vita associata (quindi riconoscibile per identità e forma) appartenente all’intera estensione metropolitana. Come è noto, a Milano non mancano esempi positivi per i quali, rispettata la logica organizzativa urbana, le nuove Università hanno costituito occasione di rinnovamento (per il momento prevalentemente economico) di interi quartieri. Secondo le previsioni relative al tendenziale aumento dei “ lavoratori della conoscenza” in Europa, il ruolo futuro dell’università e della ricerca nel paese non potrà che estendersi attraverso la ristrutturazione dell’esistente e la creazione di nuove sedi. Le potenzialità di insediamenti così vasti e strategici rispetto alle trasformazioni metropolitane potrebbero sicuramente essere ancor meglio utilizzate se alla base delle decisioni ci fossero studi e proposte di ampiezza adeguata al problema; occorre, quindi, che l’amministrazione pubblica si prepari affidando agli apparati della ricerca presenti per i diversi settori nelle università milanesi e lombarde, il compito di studiare i problemi e di indicare soluzioni. La società sarebbe così in grado di rispondere adeguatamente alle necessità (spesso poste con urgenza) attraverso piani in grado di indirizzare responsabilmente le

scelte, superando il deleterio ricorso alle improvvisazioni. L’insediamento universitario, inoltre, se inteso secondo l’idea originaria di campus, è in grado di costituire una vera e propria parte urbana dotata di alti gradi di aut onomia; per ot t enere quest o scopo è indispensabile che il luogo possa sviluppare una propria vita comprendendo al suo interno anche le attrezzature delle diverse attività quotidiane del vivere collettivo che si affiancano allo studio quali, ad esempio, centri di ricerca, mense e campi sportivi. La residenza studentesca interna all’area universitaria è, da questo punto di vista, una condizione importante per garantire, insieme alla piena utilizzazione delle strutture, l’espressione della vera identità dell’insediamento; la ancora limitata accettazione dell’idea originaria di campus da parte della cult ura it aliana cost it uisce, a tutt’oggi, una condizione da superare, così come il problema dell’utilizzo pieno delle attrezzature per lo studio (biblioteche e laboratori) ovunque all’estero attive anche negli orari notturni. Il campus universitario di Chieti, progettato a partire dalla fine degli anni ‘80 insieme ai colleghi Pepe Barbieri, Carlo A. Manzo e Raffaele Mennella, è un intervento di ampie dimensioni (non ancora del tutto ultimato) comprendente la Facoltà di Lettere e Filosofia, il nuovo Rettorato, le facoltà mediche di Odontoiatria, Medicina e Farmacia, il Centro sportivo e due Centri di ricerca. Per singolare coincidenza i due edifici preesistenti alla sistemazione generale sono opera di architetti milanesi: il blocco del Rettorato (ora Centro Congressi) costruito negli anni ’60 su progetto dello Studio B.B.P.R. e la Casa dello Studente, celebre opera di Giorgio Grassi e Antonio Monestiroli, parzialmente realizzata alla fine degli anni ‘70. L’idea architettonica del campus, disposto sulle ultime propaggini delle colline e delle valli che scendono da Chieti con dolci declivi un tempo coltivati a viti, ulivi e granturco, è caratterizzata dalla forte adesione alla morfologia naturale e alla struttura della campagna (di cui ricomprende in modo sostanzialmente inalterato ampie porzioni) e dal carattere urbano degli edifici disposti secondo un impianto di relazioni (triangolazioni e corrispondenze reciproche dettate dall’identità e dalla gerarchia degli elementi) che tendono a costruire una parte di città riconoscibile, volta a configurarsi come elemento d’ordine rispetto alla casualità delle espansioni urbane circostanti. Al di là del giudizio sull’opera, è stato da più parti sottolineato il ruolo progressivo che il campus svolge nello sviluppo sociale ed


economico di Chieti, contribuendo alla formazione di una cultura che si riconosce e talora si identifica anche nel luogo ad essa dedicato. Sebbene ancora in assenza delle ultime parti previste (alcuni edifici per la didattica, la Mensa e la Biblioteca delle Facoltà mediche) l’insieme, costituito da un percorso-vita che attraversa l’area, dalle Cliniche mediche e dai Centri di ricerca aperti al pubblico, dal Museo di Storia delle scienze biomediche, dall’Auditorium adatto anche a concert i e dal Cent ro Sportivo, consente di considerare il campus universitario come una parte della città aperta, viva e ricca di significati collettivi.

Università: gli spazi che non servono di Remo Dorigati In questi ultimi anni ho avuto la sorte di progettare alcuni edifici universitari. Questi appunti vogliono essere una semplice riflessione che nasce direttamente da un’esperienza e dalle normali difficoltà che emergono nell’affrontare un tema così complesso poiché la sua identità sfugge alle consuete classificazioni tipologiche o ai tradizionali legami con la città e il territorio. Tale processo, per la verità, è comune a molte grandi istituzioni pubbliche che sono alla ricerca di nuovi ruoli e legami con il territorio. Convivono tendenze del tutto contraddittorie. Processi di concentrazione, sostenuti dalla necessità di sinergie fra i differenti ambiti disciplinari, convivono con fenomeni di diffusione che frammentano l’istituzione universitaria in micro-sistemi in nome di un rapporto di reciproco scambio con le diverse realtà territoriali. A questo si aggiunga la tendenza alla costituzione di alcuni capisaldi che diventano gangli attivi di un sistema di diffusione informatica della ricerca e dell’istruzione universitaria e che presentano notevoli potenzialità di indifferenza localizzativa. Ma forse il processo più impressionante, che ha coinvolto non solo la realtà italiana, ma anche tutta la Comunità Europea, è stato un’ampia proliferazione, spesso avvenuta per partenogenesi, di sedi universitarie collocate in centri minori che tentano un radicamento con i problemi locali ma che, allo stesso tempo, presentano il rischio di una eccessiva polverizzazione che, alla fine, si ripercuote nel livello delle dotazioni scientifiche, nella qualità dei sevizi agli studenti e alla didattica e nel ruolo stesso dell’Università. Non vi è capoluogo di provincia

che non voglia la sede di un istituto universitario. Palazzi e conventi nei centri storici sono spesso ottimi pretesti per collocarvi rettorati e dipartimenti che spesso riproducono in piccolo importanti facoltà disposte a poca distanza. Si assiste, in tal modo, ad una settorializzazione disciplinare che non può essere ragionevolmente sostenuta dalle peculiarità del luogo se non forzando, oltre ogni limite, la parcellizzazione del sapere in infiniti rivoli che disperdono la densità e l’unità della conoscenza. È del tutto evidente che la complessità dei problemi posti dalla società contemporanea apra nuovi orizzonti disciplinari e ponga la necessità di rivedere metodi che si rivelano ormai obsoleti, ma l’eccesso di frammentazione, invece di essere un crogiuolo di nuove sperimentazioni, può produrre atteggiamenti velleitari che, alla fine, hanno ricadute deboli sul contesto rispetto cui vogliono interloquire. Un secondo aspetto, riguarda invece la progettazione dell’edificio universitario. La quasi impossibilità a costruire programmi attendibili a tempi medi, la permanente carenza in termini di risorse e spazi per la didattica e la ricerca, rendono la progettazione assai complessa. Essa appoggia su basi incerte e rincorre affannosamente l’emergenza e le domande che giorno per giorno le varie Università si trovano ad affrontare. Manca spesso una riflessione approfondita che aiuti a comprendere i destini e le tendenze che le nuove tecnologie applicate alla ricerca, i diversi metodi didattici e la diversa relazione con il territorio, per loro natura inducono sulla tipologia universitaria. La dimensione delle aule e il tipo di didattica, affrontato dalle di-

verse discipline è uno degli argomenti più scottanti, e non è certo sufficiente rispondere con il “ dispositivo magico” della flessibilità che, in questi casi, aiuta assai poco. In realtà una comunità scientifica, che vive la propria esperienza fondata sullo scambio di informazioni e di idee, necessita di una ricchezza e varietà di spazi che si insinuano entro le tradizionali funzioni come una nuova linfa. È su questi spazi che bisogna operare o, più precisamente, su quegli spazi che “ non servono” . Quegli spazi che la cultura politica della continua emergenza non considera standard dovuti e quindi, a tutti gli effetti sono superflui. Forse, oggi un’Università si qualifica per tutto ciò che non è direzione, aule e laboratori, ecc. Si, perché queste funzioni, a guardar bene, possono essere quasi del tutto sostituite in futuro da un’efficiente sistema di reti informatiche. Sembra un paradosso, ma proprio in virtù di una possibile eliminazione della distanza e distinzione dei luoghi, attraverso un continuo scambio dei dati e delle informazioni, diventerà sempre più importante il luogo fisico, non virtuale dell’incontro. Questo spazio è quello del contatto fisico, del vedersi negli oc-

chi, dello scambio diretto di un’esperienza..., poiché nel campo della ricerca, ma anche in quello della didattica, non è importante tanto il risultato raggiunto ma soprattutto il suo quotidiano divenire, lo scambio giorno per giorno dei piccoli spostamenti, delle trappole scartate all’ultimo momento, dei tentativi provati e abbandonati. In altri termini è fondamentale vivere il processo di ricerca nel suo lento evolversi e confrontarsi con tutti i membri della comunità. Per questo gli spazi necessari sono la caffetteria, i grandi atri aperti alle mostre e ai risultati ottenuti, l’aula magna che può essere spazio teatrale e per concerti, i giardini e le passeggiate come luogo di discussione, il living degli studenti dove passare il tempo studiando con gli amici, la mediateca dove leggere della quotidianità, gli spazi commerciali come librerie, materiale didattico e informatico. Basta, in fondo, far fluire dentro le torri del sapere gli elementi pubblici della città e, con essi, anche i cittadini. Basterebbe avere orari più flessibili e capire che, con un piccolo sforzo, tutti questi servizi avrebbero anche ricadute economiche positive per la gestione di tutta l’Università.

Le università come attori della trasformazione urbana di Elisa Pozzoli La progressiva e ormai ampia diffusione di sedi universitarie in centri urbani di grandi e medie dimensioni osservabile in Lombardia e in Italia invita ad avanzare alcune riflessioni circa il rapporto che queste strutture instaurano con il contesto locale e territoriale in cui vanno a collocarsi. Una riflessione non banale deve necessariamente prendere in considerazione il tema a diverse scale di osservazione – la col-

locazione delle Università nel contesto nazionale e regionale, oltre che a livello urbano e suburbano – e necessita di un approccio multidimensionale che ne indaghi le diverse connotazioni sociali, territoriali ed economiche. Se da un lato vanno sicuramente considerate le relazioni fisico-spaziali, funzionali e infrastrutturali o i rapporti tra manufatto architettonico e tessuto urbano, non si può

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prescindere dall’indagare anche il significato e il ruolo che l’Università assume in quanto attore rilevante – non necessariamente unitario – sulla scena urbana, gli impatti che la sua presenza e la sua attività generano in termini culturali, sociali ed economici nel contesto locale. Dal punto di vista architettonico e urbanistico l’insediamento dell’Università ha spesso rappresentato – e continua oggi a rappresentare – una straordinaria occasione di recupero urbano e rifunzionalizzazione di spazi, strutture e parti di

dentro alle trame del sistema urbano consolidato sollecitandone una trasformazione minuta e “ dall’interno” . Questo modello di insediamento diffuso genera i presupposti perchè si attivi un più ampio processo di micro-sostituzione funzionale nell’immediato intorno dell’Università, con la nascita di piccole attività commerciali e di servizio, la sollecitazione del mercato degli affitti e, in alcuni casi, significativi effetti di rigenerazione di medio-lungo periodo: assai eloquente a questo riguardo è il caso del quartiere Bovisa a Milano, dove,

L’impatto dell’Università sul territorio

città che hanno per diverse ragioni abbandonato la loro vocazione originaria. Casi di questo genere si sono verificati in passato: l’Ospedale Maggiore e il Monastero di Sant’Ambrogio sono esempi illustri di architetture che hanno visto radicalmente modificata la loro prima destinazione e si sono trasformate in due dei più grandi complessi universitari della città di Milano. Il fenomeno assume oggi dimensioni decisamente più ampie e ricorrenti, con la trasformazione di numerose aree produttive dismesse in sedi universitarie: il Politecnico di Milano nei suoi due poli alla Bovisa, l’Università Statale alla Bicocca e la LIUC Università Cattaneo a Castellanza sono esempi eloquenti di strutture che a Milano e in Lombardia hanno riconvertito la loro funzione da luoghi della produzione economica e materiale a luoghi della “ produzione del sapere” . La specifica natura degli insediamenti universitari in Italia – tipicamente diffusi nel tessuto urbano e non segregati come accade invece nel modello del campus anglosassone e nordamericano – implica una compenetrazione più spinta tra città e Università, maggiori occasioni di interscambio e di contaminazione reciproca. Tra i tanti esempi si possono citare Como, Lecco, Mantova, Varese, dove le strutture universitarie si inseriscono

a distanza di quindici anni dall’arrivo del Politecnico, la trasformazione dell’intorno urbano e il processo di gentrification cominciano ad assumere connotati riconoscibili. La condivisione di spazi pubblici e servizi tra la popolazione residente e la popolazione universitaria costituisce certamente una possibile fonte di competizione e di conflitto che richiede forme intelligenti di gestione e di trattamento, ma rappresenta anche una preziosa potenzialità di arricchimento e valorizzazione della specificità del contesto locale e delle reti di relazione che lo compongono. Gradualmente si creano nuovi “ fatti urbani” , modificazioni dell’ambiente fisico e parziali modificazioni sociali, esito della composizione di interessi diversi e in qualche caso anche di contraddizioni e conflitti. Osservando in prospettiva questo quadro, lo scenario desiderabile è un rapporto di interscambio non banale tra città e Università, in cui quest’ultima rivesta un ruolo reale di sollecitazione e arricchimento culturale per l’intera comunità, ricevendone in cambio stimoli, indirizzi, correzioni di rotta e ulteriori occasioni di crescita: uno scenario in cui l’Università si riveli effettivamente un attore urbano capace di contribuire a produrre innovazione nelle politiche e sul territorio.

lità nei propri prodotti, che necessitano di competenze che solo l’Università può formare. L’Università produce anche una ricchezza diretta per il territorio nel quale opera: è infatti una grande istituzione, con numerosi dipendenti, che investe per il rinnovamento delle proprie strutture e che consuma, attivando una domanda di beni e servizi che si riversa in parte sul territorio circostante; inoltre, attrae studenti e professori da altre regioni italiane ed estere, persone che necessitano di vitto e alloggio o che approfittano di brevi permanenze nel capoluogo per visitare e conoscere la città e i suoi negozi. Un recente studio del Certet-Bocconi, Bocconi 2000. L’impatto dell’università sul tessuto urbano ha stimato l’impatto sul territorio lombardo, prodotto dalla spesa della Bocconi e dei suoi studenti, in 172,9 milioni di euro annui, dei quali 44,8 nel solo quartiere dove ha sede l’Università e 96,7 nel resto dell’area urbana. La presenza dell’Università produce, inoltre, anche un impatto sul sistema urbano dei trasporti e sul mercato immobiliare locale. Per rendersene conto, è sufficiente pensare che, su una popolazione che supera le 21 mila persone tra studenti e personale docente e non docente, più di 10.000 si recano ogni giorno in Università: di

di Lanfranco Senn L’Università è fonte di ricchezza per il territorio che la ospita: attrae intelligenze e risorse umane qualificate, ne completa la formazione e le immette sul mercato del lavoro; è grazie alla presenza di un’offerta di lavoro altamente qualificata che si insediano nell’area circostante le imprese più innovative, capaci di competere sui mercati con l’innovazione e la qua-

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queste, 3.100 dispongono di un alloggio sufficientemente vicino all’Università per trasferirvisi a piedi o in bicicletta, altre 5.000 utilizzano il trasporto pubblico; mentre 1.900 si spostano in automobile o in motocicletta e incrementano la domanda complessiva di parcheggi del quartiere. La ricerca di alloggi in prossimità della sede universitaria da parte degli studenti, inoltre, esercita una pressione sul prezzo degli affitti nel quartiere: ogni anno più di 5.300 studenti under e post-graduate della sola Bocconi necessitano di un alloggio a Milano e più di 1.900 lo ricercano nel quartiere universitario. Il progetto di ampliamento Bocconi 2000, avviato negli ultimi anni dall’Università milanese, permetterà di contenere i risvolti problematici di questi impatti e di offrire alla città ulteriori servizi. Per ridurre l’impatto sul traffico cittadino e rispondere ad almeno una parte della domanda di alloggi nel quartiere, il progetto prevede, tra le numerose opere, la costruzione di 500-600 alloggi per gli studenti e la realizzazione di due ampi parcheggi, per un totale di 900 posti auto, oltre a diversi altri interventi urbanistici. Ulteriori impatti positivi sul quartiere saranno indotti dalla presenza di una rilevante componente giovanile nel quartiere, che contribuirà all’animazione anche serale dello spazio urbano, migliorandone la sicurezza, e dalla possibilità di fruizione di alcune infrastrutture e servizi universitari da parte dei cittadini, quali le attrezzature sportive, la libreria Egea, o gli eventi culturali organizzati direttamente negli spazi universitari. Ma, è necessario che anche gli enti locali si attivino, in particolare sul versante del trasporto pubblico: un incremento di efficienza dei mezzi pubblici tra il 10% e il 20% (sia in velocità che in frequenza) sull’intera rete metropolitana permetterebbe uno shift modale che diminuirebbe del 60% le auto utilizzate dai frequentatori della Bocconi. Ulteriori interventi pubblici potrebbero contribuire al miglioramento della dotazione infrastrutturale relativa agli alloggi per gli studenti. Un buon coordinamento tra le Università e l’Amministrazione pubblica – peraltro già in atto – permetterà così di offrire alla città e ai suoi residenti la possibilità di avvalersi pienamente della benefica presenza delle sedi universitarie sul proprio territorio.


a cura di Antonio Cortinovis e Alessandro Pellegrini

L’università di Bergamo ed il suo sviluppo Appare oggi chiaro che la competitività di un paese e di un’area economico-geografica è fortemente legata al patrimonio di conoscenze, da quella più teorica ed astratta, che sarebbe più corretto definire “ di base” , fino a quella più immediatamente applicativa. La crescita esponenziale della frequenza universitaria che è avvenuta a livello mondiale, includendo anche paesi emergenti, ha provocato dapprima un “ ingolfamento” delle grandi università (chi non ricorda le migliaia di frequentanti a Milano alle lezioni del Teatro Carcano o a quelle di alcuni corsi della Sapienza di Roma?); successivamente è avvenuto un processo di decentramento, che ha dato origine sia a nuovi Atenei nelle grandi città, sia a nuove università, come Bergamo e Brescia, sia a sezioni di vecchie università in capoluoghi di provincia (vedi Forlì e Rimini, facenti parte di Bologna). Bergamo ha anticipato questo processo grazie alla scelta lungimirante di alcuni amministratori, docenti ed esponenti della società civile, che, tra l’altro, avevano colto l’occasione proveniente dal disimpegno della Bocconi dal corso di laurea in Lingue e Letterature straniere. Nel 1968 ha avuto inizio il processo di sviluppo dell’Università di Bergamo come istituto universitario totalmente autonomo e non “ sezione staccata” o derivazione di altri, processo tutt’altro che semplice, vista la forte concorrenza dei vari atenei milanesi e di altri limitrofi come Pavia, dotati di una lunga tradizione. L’inizio è avvenuto con l’istituzione della Facoltà di Lingue e Letterature straniere, e con l’attivazione di un unico corso di Laurea in Lingue e Letterature straniere, che si qualificherà ad alto livello nel panorama italiano. La gestione dell’Università viene affidata ad un consorzio, di cui detengono paritariamente le tre quote più elevate la Camera di Commercio di Bergamo, il Comune e la Provincia di Bergamo (enti che tuttora detengono un posto nel Consiglio di Amministrazione dell’Università Statale di Bergamo). Il Rettore viene nominato dai docenti secondo le modalità previste dallo Statuto. L’Istituto Universitario appartiene alla categoria delle “ Università Libere” , cioè non statali; il soggetto gestore qui non è un privato, o un’istituzione no profit, ma un “ consorzio” di enti locali (Comune e Provincia) e parapubblici territoriali (Camera di Commercio), con una minima partecipazione di alcune banche locali. La sede originaria è in Piazza Vecchia, in antichi palazzi ristrutturati,

ben inseriti in un ambiente di alto valore storico, culturale ed artistico: si tratta di una cornice che ben si adatta ad una Facoltà che vuole essere ad alti contenuti umanistici e culturali. Tra l’altro nella stessa Piazza si trova la Biblioteca Civica “ Angelo Mai” , di secolari tradizioni, con la quale si crea subito un’utile e feconda sinergia. Il corso di laurea da un lato porta avanti la preparazione degli studenti e l’attività di ricerca nell’ambito delle lingue e letterature più diffuse, come inglese, tedesco e francese, dall’altro aggiunge una particolare specializzazione per la lingua e la cultura russa, grazie anche all’apporto di una serie di docenti di madrelingua. Nel 1973 la Facoltà di Lingue e Letterature straniere istituisce al suo interno il corso di laurea in Economia e Commercio, che si insedia in via Salvecchio (storica “ viuzza” di Città Alta), in uno storico palazzo patrizio. Il tessuto economico della Provincia di Bergamo appare in grado di assorbire i laureati di questa Facoltà e il corso gode all’inizio del grande vantaggio di un ridotto numero di studenti per aula e per docente, che permette un più diretto rapporto didattico. L’università non è solo un’istituzione didattica, ma anche una struttura che deve “ produrre” ricerca ed avere un fall out, sia formativo che culturale, sul territorio: in questo senso l’” accoppiata” lingua/letteratura (in cui tra l’altro hanno spazio anche studi letterari e storici) ed economia/commercio (con ampio rilievo anche per studi matematico-statistici e giuridici) può rivelarsi un’opportunità importante. Le lingue straniere assumono in quegli anni un ruolo formativo importante anche nella laurea in Economia e Commercio, come premessa alla internazionalizzazione della didattica, in particolare nei progetti Erasmus e Socrates, che inizieranno alla fine degli anni ’80. Presto il numero degli iscritti cresce e all’inizio degli anni Ottanta si avvertono problemi di insufficienza di spazio. Diviene necessario spostare gli uffici dei docenti e diverse aule di medio - piccole dimensioni in un altro palazzo in Piazza Rosate, di fronte al liceo “ Paolo Sarpi” , ma per le lezioni più frequentate si deve ricorrere a locali esterni, come le aule del Seminario “ Giovanni XXIII” e il cinema-teatro del “ Seminarino” . Negli anni ‘90 si utilizzerà anche l’Auditorium del Collegio Vescovile S. Alessandro in Città Bassa, con tutti i conseguenti problemi di spostamento di docenti e studenti da Città Alta a Città Bassa. Tornando alla laurea in Economia e Commercio, nella metà degli anni Ottanta si arriva alla nascita della Facoltà di Economia e Commercio ed al passaggio dall’Istituto Universitario di Bergamo alla Libera Università di Bergamo, con nomina non solo di un Rettore, ma anche di due Presidi di Facoltà (Lingue e Letterature straniere ed Economia

e Commercio, ciascuna con un corso di laurea), mentre in precedenza esisteva un solo Rettore con funzioni anche di Preside. In quegli anni lo sviluppo della laurea in Economia e Commercio è tumultuoso, mentre anche Lingue si consolida, sia per quantità che per qualità. Le due Facoltà iniziano la già citata esperienza dell’internazionalizzazione, in cui si distinguono a livello nazionale, tanto che la Facoltà di Economia e Commercio viene a un certo punto classificata al secondo posto in tutta Italia per la percentuale di studenti che utilizzano il progetto Erasmus, poi Socrates. Questi progetti permettono agli studenti di frequentare i corsi in Università europee per un determinato periodo, con pieno riconoscimento degli esami sostenuti presso di esse; analogamente l’Università di Bergamo accoglie studenti europei. Tra l’altro attraverso questi scambi gli studenti si “ impratichiscono” sul sistema dei crediti formativi, unità di “ peso” dei corsi, per i quali esiste anche uno standard internazionale (ECTS), mediante il quale i corsi stranieri vengono in qualche modo “ equiparati per peso didattico” ai corsi dell’Università di Bergamo e viceversa. Nel 1992 si ha una prima riforma degli ordinamenti didattici, che modifica (allargando un po’ il sistema di regole, che resta molto rigido e centralizzato) i piani di studio dei numerosi corsi di laurea quadriennali, introducendo anche i diplomi triennali. Questi ultimi sono ora in via di esaurimento e non hanno più corsi autonomi, poiché sono nate le lauree triennali (tra l’altro molti studenti dei diplomi sono passati ad esse). Le grosse novità di quegli anni sono comunque due, contestuali e collegate: la nascita della Facoltà di Ingegneria, con sede in edifici dismessi dello stabilimento siderurgico “ Dalmine” (a circa 10 km da Bergamo) e la statalizzazione dell’Università di Bergamo. La Facoltà di Ingegneria risponde chiaramente ad esigenze specifiche di un’area fortemente industrializzata come la provincia di Bergamo e trova subito sia consensi ed appoggi nel mondo imprenditoriale, sia un adeguato numero di iscritti. Parallelamente all’apertura di ingegneria, anche in relazione alle connesse maggiori esigenze di risorse dell’Università, non facilmente sopportabili da un consorzio di istituzioni ed enti locali, la gestione dell’Università di Bergamo passa allo Stato. La statalizzazione dell’Università è avvenuta quando essa aveva bilanci positivi e l’organico era sottodimensionato, così si è dovuta cercare sempre un’attenta gestione, anche con sforzi da parte di un personale amministrativo che è sempre stato significativamente più ridotto della media nazionale. Contestualmente nasce la Fondazione “ Pro Universitate Bergomensis” , con cui aziende e istitu-

zioni varie supportano l’Università. Nel 2000 entra in vigore la riforma universitaria che, salvo alcune modifiche ancora in corso di attuazione, è stata accettata anche dal governo sorto dalle elezioni del 2002. In conseguenza vengono istituiti molti e nuovi corsi di laurea, che aumentano fortemente la diversificazione dell’offerta formativa superiore. Il problema degli spazi si pone allora con sempre maggiore forza e viene risolto con l’acquisto, con risorse proprie dell’Università di Bergamo, dell’edificio di una ex banca in via dei Caniana 2. Si ha poi anche l’allocazione della Facoltà di Lettere e Filosofia nella chiesa, da lungo tempo sconsacrata, di S. Agostino. La chiesa necessita di una radicale ristrutturazione che viene finanziata dalla Banca Popolare di Bergamo con il concorso del Comune di Bergamo. Nel frattempo la riforma permette anche l’istituzione di lauree triennali e specialistiche particolari. La Facoltà di Economia organizza così, con il concorso della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano Bicocca, il corso in “ Scienze della sicurezza economico-finanziaria” , cui l’Accademia che forma gli ufficiali della Guardia di Finanza (sede a Bergamo) iscrive i suoi allievi. La riforma è in corso di attuazione a Bergamo a partire dall’anno accademico 2001-2002. Senza entrare in dettagli tecnici generali, questo grande cambiamento ha provocato: • la sostituzione dell’unico percorso di laurea con 4 diversi livelli di titoli accademici: – la laurea triennale, – la laurea specialistica biennale (3+2), – il master di primo livello (un anno dopo la laurea triennale), – il master di secondo livello (un anno dopo la laurea specialistica e dopo la vecchia laurea quadriennale); • l’allargamento dell’autonomia non solo alla gestione dei budget e dell’amministrazione in genere (l’organico del personale, per esempio, non è più fissato dal Ministero), ma anche alla scelta dei tipi di laurea entro le Facoltà, dei piani di studio e delle materie: a livello centrale si deve solo controllare il rispetto di una serie di requisiti fissati dalla legge e dalla regolamentazione governativa; • l’introduzione del “ sistema dei crediti” , cioè di un criterio, già in uso in vari paesi europei, per misurare il “ carico didattico” di ogni corso. In estrema sintesi: fissato un livello standard di 1500 ore di impegno didattico dello studente di media capacità e impegno, ogni anno accademico è distribuito su 60 crediti, da attribuire autonomamente (nel rispetto di alcune esigenze minime fissate dalla legge) dalle Facoltà ai corsi da esse istituiti. Le Facoltà scelgono, in modo anche differenziato secondo le esigenze dei corsi, come ripartire le

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25 ore del credito fra l’insegnamento frontale (lezioni, esercitazioni, seminari) e lo studio personale. Ad esempio nella Facoltà di Economia si hanno per un credito: 8 ore “ frontali” e 17 “ personali” (incluso il tutoring, assistenza di gruppo o personale agli studenti), nei corsi del secondo, terzo anno e specialistici, mentre al primo anno si è deciso per il futuro di aumentare il lavoro in aula a 10 ore (quindi 15 a casa), per le maggiori necessità di didattica diretta da parte delle “ matricole” . Appare chiaro che lo sforzo da parte della struttura è stato enorme. Dopo la riforma: • quasi nessun docente tiene un solo (sia pure più consistente) corso, ma spesso due ed anche tre; • gli uffici amministrativi devono gestire un numero molto più elevato di corsi, rendendo compatibili gli orari e l’utilizzo delle aule senza creare sovrapposizioni, essendo anche aumentata la gestione degli incarichi da assegnare, mentre sono ancora iscritte molte centinaia di studenti che devono sostenere esami con i vecchi ordinamenti, non avendo optato per il nuovo; • gli studenti devono orientarsi con un’offerta didattica enormemente più ampia, che propone molte opportunità, ma richiede anche maggiore informazione e capacità di scelta consapevole. Dal 2002-2003 sono iniziati i corsi di psicologia (con domande doppie rispetto al numero massimo accettato) nell’ambito della Facoltà di Lettere e Filosofia e dal 20042005 decolla anche la Facoltà di Giurisprudenza, mentre è in corso d’attuazione il corso di Laurea in Scienze Politiche entro la Facoltà di Economia e si è sdoppiato il corso di Scienza della Comunicazione (Facoltà di Lingue), che ha avuto un gran numero di iscritti. Attualmente l’allocazione delle Facoltà dell’Università di Bergamo permette di gestire un’offerta didattica e un numero di studenti inimmaginabile quando si è fondata l’Università: si è passati dai 400 del 1968 ai 12.000 di oggi, con una media di 3.000 per Facoltà! Nonostante ciò, è migliorata negli ultimi anni la situazione degli spazi: non ci sono più lezioni con 500 studenti, per non parlare di lezioni con 2-3000 partecipanti come avveniva, e forse in qualche caso avviene ancora oggi, in alcune grandi università italiane. Sono comunque auspicabili ulteriori miglioramenti in relazione a: • una maggiore disponibilità di uffici per i docenti, che hanno necessità di privacy e di non intralciarsi (uno riceve lo studente, mentre il collega sta studiando o scrivendo, ecc.); • possibilità di incrementare il lavoro di ricerca dei dottorandi; • maggiore elasticità nella gestione delle aule; • aumento delle disponibilità per l’assistenza tutoriale agli studenti: già oggi si riesce a fornire, sia pure compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, alcuni servizi

inimmaginabili in passato, come le ore di tutorato individuale, vere e proprie lezioni private di recupero, ovviamente gratuite, agli studenti che le richiedono. L’ultima novità, ancora in fieri, riguarda il trasferimento a lungo termine di tutta l’Università in un unico “ campus” , dove oggi si trovano gli Ospedali Riuniti, che, a loro volta, si devono spostare in altra località. Per questa iniziativa ovviamente non bastano le risorse attualmente disponibili, ma in questi giorni è stato ottenuto l’impegno per un finanziamento straordinario da parte del ministero dell’Università che dovrebbe sopperire alle necessità. In conclusione si può osservare che le prospettive per l’Università di Bergamo sono sicuramente buone; tuttavia il suo destino dipende anche da una serie di fattori esterni, in particolare dai finanziamenti, che spesso non sono stati all’altezza delle necessità. Gianfranco Rusconi prof. ordinario di Economia Aziendale, Università di Bergamo

Brescia a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli

Le sedi universitarie a Brescia A Brescia ci sono due università, la Statale con le Facoltà di medicina, ingegneria, economia e giurisprudenza, e la Cattolica con le Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, Lettere e filosofia, Scienze linguistiche e letterature straniere, Scienze della formazione, Sociologia. Con l’aiuto del primo Rettore dell’Università statale, tuttora in carica, prof. Augusto Preti, ripercorriamo la vicenda della formazione a Brescia di una sede universitaria, che, di anno in anno, si è venuta articolando e radicando in maniera sempre più significativa nel tessuto urbano e sociale, contribuendo ad una positiva trasformazione di una parte di città. Dopo gli iniziali tentativi di portare a Brescia, a partire dai primi anni Sessanta, dei corsi universitari, questi cominciarono ad esser tenuti, dalla seconda metà del decennio: per quanto riguarda Economia, dal 1964, con una Scuola di Amministrazione industriale biennale, legata sia didatticamente che amministrativamente all’Università degli studi di Parma, promossa dall’Associazione Industriale Bresciana e dalla Fondazione Milziade Tirandi; il corso di Ingegneria meccanica iniziò invece nel 1969, con la formula della ripetizione a Brescia dei corsi tenuti al Politecnico di Milano, e quello di Medicina nel 1971, con la collaborazione delle Università di Milano e Parma, questi due ultimi corsi sostenuti dall’Eulo (Ente Universitario della Lombardia Orientale). L’istituzione dell’Università statale di Brescia, risale al 1982 esattamente al 14 agosto con Legge 590/82, assieme ad altri atenei italiani, come ricorda il professor Preti “ quasi per far finta che non costasse nulla“ ; due furono i problemi che, per primi, la neonata struttura dovette affrontare: quello del finanziamento e quello dl tipo di insediamento da realizzare. Le ipotesi alternative furono due: la prima quella di realizzare un polo dove tutte le funzioni fossero l’una vicina all’altra e la cui localizzazione, quindi, fosse necessariamente periferica, esterna al centro; la seconda, visto che si sentiva che la città, intesa soprattutto come centro storico, si stava impoverendo, quella che si inserisse nel suo tessuto, per rivitalizzarlo. Il compromesso che fu trovato fu un “ compromesso alto” , che consistette nel mantenere nella zona a nord della città le facoltà scientifiche di Medicina ed Ingegneria, non solo per l’evidente vantaggio di mantenere la vicinanza della prima con l’Ospedale che era sorto negli anni Cinquanta in questa zona, ma

anche perché questo tipo di indirizzi di studio necessita di aule, laboratori e spazi accessori di notevoli dimensioni, difficilmente reperibili all’interno del tessuto storico; si sono quindi ampliati gli insediamenti nei terreni a nord che erano gia stati acquisiti dall’Eulo, con nuove strutture. La Facoltà di Economia, invece, cui si aggiunse nel 1996 quella di Giurisprudenza, venne mantenuta nel centro storico dove era anche il suo nucleo iniziale, la Casa dei Mercanti in corso Mameli 27, messa a disposizione dalla Camera di Commercio. Una serie di fortunate coincidenze, assieme ad un paziente lavoro dell’Università stessa, ha poi consentito di reperire numerose altre sedi in prestigiosi edifici storici, a cominciare dal complesso conventuale di S. Faustino, dal 1997 sede di alcuni dipartimenti della Facoltà di Economia e delle segreterie didattiche dell’Ateneo, ceduto dal demanio militare nell’ambito del piano di smantellamento delle strutture militari all’interno del centro storico, cui si sono aggiunti negli anni le sedi del complesso conventuale di S. Chiara, inaugurato nel 2001, palazzo Calini ai Fiumi, dal 1999 sede di Giurisprudenza, la sede del rettorato e degli uffici amministrativi in palazzo Martinengo Palatino in piazza del Mercato, fino alle più recenti acquisizioni di palazzo Bettoni in via Gramsci, e dei chiostri della chiesa del Carmine che presto ospiteranno la biblioteca interfacoltà di economia e giurisprudenza. Tutti questi insediamenti hanno comportato e consentito il recupero e restauro di palazzi e strutture di prestigio, con un occhio di riguardo alla sicurezza degli edifici anche da un punto di vista antisismico. Il pericolo avrebbe potuto essere quello di acquisire delle belle strutture, ma di avere un insediamento a macchia di leopardo, invece, grazie al tessuto connettivo, dato proprio dal popolo universitario, si deve constatare che nella zona nord occidentale del centro, il quartiere del Carmine, da sempre zona artigianale e popolare, si è venuta a creare una vera cittadella universitaria, che ha equilibrato la forte presenza di stranieri, che si sono insediati nella zona, e stanno ora fiorendo una serie di servizi che accompagnano l’insediamento universitario. P. T.

Il chiostro dell’ex convento di S. Faustino a Brescia, sede della Facoltà di Economia.


a cura di Roberta Fasola

Nascita e sviluppo del Politecnico comasco Incontro con il prof. ing. Roberto Negrini, Pro-Rettore del Politecnico di Milano per la nostra città L’evoluzione di Como, da città prettamente turistica e dedita alla produzione della seta, a città anche a sede universitaria, ha influenzato la sua trasformazione urbana, con una rivalutazione di quelle parti che erano sempre state considerate una sorta di anello periferico esterno alle mura. Il fenomeno del decentramento universitario ha comportato un riassetto funzionale di alcune aree, testimoniato soprattutto dalla presenza di edifici “ teste di ponte” , vale a dire di aule ricavate in immobili dislocati in più punti della città, seppur circoscritti in un ambito abbastanza ristretto e riconducibile alle aree limitrofe all’ex ospedale psichiatrico. L’inserimento, all’interno di una città piuttosto piccola come Como, di un decentramento universitario ha indubbiamente comportato l’introduzione di una serie di vantaggi per la sua economia; vantaggi riconducibili tutti alle esigenze che necessariamente gravitano intorno ad un sistema universitario, a partire dalle minori (bar, librerie, copisterie, ecc.), per arrivare sino ad interessare momenti commerciali e infrastrutturali di più ampio raggio, quali potrebbero essere, ad esempio, quelli legati ai flussi (intesi sia come percorsi e, conseguentemente, come mezzi di affluenza utilizzati dagli studenti) e quelli inerenti la questione degli alloggi. Attualmente il numero di case per gli studenti appare piuttosto ristretto rispetto alle necessità: sono infatti circa 150 gli studenti del Politecnico che trovano alloggio in residenze private convenzionate, per lo più a struttura mista (appartamenti singoli e doppi o semplici camere). Resta da soddisfare ancora molta dell’utenza legata alla laurea on line in ingegneria informatica del Politecnico, una presenza innovativa nel panorama dei corsi universitari italiani, seguita soprattutto da studenti lavoratori non più giovanissimi che frequentano di fatto le strutture del Politecnico a Como nel momento in cui affrontano gli esami. L’introduzione di una struttura universitaria in Como è comunque una valida opportunità per discutere sulla gerarchia, sulla natura e sui significati dell’evoluzione urbana della nostra città. Una riflessione sulle condizioni del progetto di oggi e sui suoi procedimenti. Significa riconoscere la consistenza urbana degli anelli periferici esterni al “ girone” della città murata, per ripartire dalla loro comprensione e un riordino, per evitare la frammentazione della forma urbana.

Ci si augura, chiaramente per l’economia comasca, uno sviluppo futuro di questo aspetto, che non dipende certo solo dall’Università, ma anche e soprattutto dalle sinergie pubbliche e private nei confronti di questo “ problema” . Concretamente, i palazzi destinati a sedi di aule, uffici per docenti, laboratori di didattica e di ricerca del Politecnico gravitano intorno alla zona dell’ex ospedale psichiatrico (via Valleggio, via Castelnuovo, via Anzani, piazzale Gerbetto), mentre quelli adibiti a residenze sono stati ricavati nell’ex meccanografica di via Panilani ed in via Carloni, nel cosiddetto “ dadino” dove trovano alloggio anche ricercatori e docenti. Questo per motivi di comodità per l’organizzazione gestionale dei luoghi. La stessa zona dell’ex ospedale psichiatrico è perciò sicuramente foriera di interesse futuro: sin da oggi, infatti, si evidenzia la necessità di un’espansione degli spazi, fondamentale per il miglioramento della didattica e della ricerca (nuovi spazi per laboratori, uffici, aule tradizionali ed informatiche). Da Como è nato il “ Politecnico rete” , il progetto che chiama a raccolta attorno alla sede storica di Milano le comunità e i territori centrati su Como, Lecco, Cremona, Mantova e Piacenza, per potenziare il contributo del Politecnico allo sviluppo della Lombardia. Nato nell’anno 1987 come Scuola a Fini Speciali di Informatica, si evolve nel 1989 come corso completo di Laurea in Ingegneria Informatica, affiancato dal biennio di tutti gli altri corsi di ingegneria. In coincidenza con l’avvio del Nuovo Ordinamento universitario, la sola presenza del biennio iniziale dei corsi di laurea è stata però abolita, sostituita con l’attivazione a Como di tutti i cinque anni di tutti i corsi di studio comaschi, parallelamente alla sostituzione della laurea tradizionale con due fasi di tre e di due anni di studio (le Lauree e le Lauree Specialistiche), in successione nel tempo. A Como sono quindi attivi: • il triennio dei corsi di Laurea in Disegno Industriale per quanto attiene la Facoltà del Design, e in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, Ingegneria Gestionale, Ingegneria Informatica ed Ingegneria Informatica on line (trattasi, in sostanza, di un corso estremamente innovativo in quanto erogato via internet, dove, interagendo tramite un portale, si è organizzati in classi virtuali che partecipano sia tramite funzioni sincrone – classi live on line – che asincrone – chat e posta elettronica – dove schiere di tutor fanno lezione), per le Facoltà di Ingegneria; • la Laurea Specialistica (di due anni di durata per i corsi di studio) in Disegno Industriale sempre riferita alla Facoltà del Design, e Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, Ingegneria Gestionale ed Ingegneria Informatica per quanto riguarda le stesse Facoltà di Ingegneria. Corsi che potranno essere valutati e scelti solo al momento dell’avvenuto ot-

tenimento della prima laurea (quella del triennio). Secondo quanto emerso dal colloquio con il prof Negrini, Pro-Rettore del Politecnico di Milano per la sede di Como, tra i presupposti che hanno guidato il Politecnico nella ristrutturazione dei vecchi corsi per la creazione dei corsi del nuovo ordinamento didattico ci sono anche quelli dettati dalla volontà di evitare la proliferazione spesso ingiustificata di nuove lauree, che, il più delle volte, soddisfano, invece di una reale esigenza di miglioramento culturale e

cerca. A tal proposito è senza alcun dubbio fondamentale ricordare il laboratorio comasco di fisica dei materiali per l’elettronica e la spintronica, per la ricerca a livello mondiale, sito in via Anzani. La sede comasca sembra chiaramente orientata verso una fase di profonda sperimentazione, dove la relazione col territorio ha assunto un ruolo fondamentale; relazione da intendersi come rapporto sia con gli enti Pubblici (si pensi ai progetti di e-government in collaborazione tra il Politecnico e gli Enti pubblici com’aschi) sia con imprese ed associa-

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Interno del Laboratorio L-NESS della sede di Como del Politecnico di Milano. professionale degli studenti, l’esigenza di proporsi sul mercato della formazione universitaria con titoli falsamente e superficialmente accattivanti. Presupposti, quindi, che hanno portato ad una ristrutturazione e un potenziamento delle lauree già esistenti, invece di farne nascere di nuove, al fine di garantire una qualità della didattica e sviluppare, al contempo, il patrimonio culturale storicamente consolidato nelle Facoltà. L’iscrizione al Politecnico a Como, pur garantendo la possibilità di accesso agli insegnamenti presenti presso altre sedi dell’Ateneo (possibilità vissuta come momento di ampliamento culturale - in sostanza è il vecchio concetto di piano di studi autonomo), dà accesso a una didattica in Como con proprie caratteristiche di specializzazione, dove, grazie anche alla presenza di laboratori e di aule informatizzate e all’aumento delle classi, con un miglioramento del rapporto fra docenti e studenti dato dalla diminuzione del numero di allievi per classe, viene garantita una maggiore assistenza agli studenti e si accede a corsi di studio specifici, aderenti ad una realtà formativa e culturale tipica ed esemplificativa di quest’area territoriale. Dal punto di vista dei rapporti più stretti con la società, si può facilmente rilevare che questi siano notevolmente aumentati rispetto agli anni addietro, proprio per via della regionalizzazione dell’Ateneo: in tal modo si sviluppano luoghi di contatto e qualità della ri-

zioni di categoria: e qui si pensi per esempio ai progetti centrati sui “ market place” tessile e meccanico, per le quali sono stati messi a disposizione strumenti informatici per la gestione interattiva via internet tra aziende lungo le filiere (scambi di ordini, documentazioni, progettazione in cooperazione, ecc.). Il Polo di Como, come già accennato, ha individuato delle vocazioni nella scelta dei propri corsi di laurea: per esempio, Ingegneria gestionale, Ingegneria informatica ed Ingegneria per l’ambiente e il territorio hanno parecchi punti di contatto e sviluppano tematiche che si sostengono tra loro. L’ampio spettro culturale delle lauree specialistiche si è, in sostanza, indirizzato verso settori propri, che nell’ambito dell’ateneo sono riservati al Polo di Como. Queste aree, peraltro, costituiscono anche la base per rispondere a specifiche esigenze del tessuto industriale circostante, con l’attivazione di filoni formativi e con lo sviluppo di iniziative di ricerca e di trasferimento tecnologico di respiro nazionale e internazionale, ma che prestano particolare attenzione alle esigenze delle aziende e degli enti pubblici del territorio. Per esempio, a Como sono radicati i filoni dell’e-government e dell’e-learning (che come si diceva ha portato all’attivazione della prima laurea interamente on line via internet italiana, in cui lo studente è inserito in classi virtuali che comunicano via internet). Un’e-


sperienza dunque molto innovativa questa, che, secondo il prof. Negrini, sarebbe stata molto più difficile da seguire se sviluppata in un ambiente più grande e meno coeso. In tal modo, i vari campus del Politecnico possono essere i luoghi in cui si fa più facilmente della sperimentazione didattica. Infine, per gli studenti, il Nuovo Ordinamento introduce in modo strutturato, durante i 3+2 anni di studio, i tirocini che possono essere paralleli a questa fase e non obbligatori, ma tuttavia quantificabili in termini di crediti e sostitutivi di esami se-

del triennio, che renderebbe gli studenti del quarto e quinto anno più omogenei e liberi di dedicarsi agli esami della laurea specialistica (scompaiono gli esami in arretrato rispetto alla preparazione pregressa di un tempo). Un altro vantaggio è dato dal fatto che lo studente potrebbe seguire percorsi misti di preparazione (per esempio, a una laurea in ingegneria informatica potrebbe far seguire una laurea specialistica in ingegneria gestionale). L’iscrizione agli Albi è chiaramente consentita anche ai laureati brevi,

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Una sessione di esame di laurea, nell’Aula magna di Como del Politecnico di Milano. condo le modalità decise dall’ateneo. Tra i vantaggi portati dalla scelta del Politecnico di fondare i suoi comprensori in varie province della Lombardia (Como, Lecco, Cremona, Mantova) e dell’Emilia (Piacenza), si può riconoscere la possibilità di fare esperimenti in ambienti più piccoli e per questo più controllabili e seguiti in maniera più puntuale; è il caso, ad esempio, del già menzionato caso della laurea on line. Presso il polo comasco, la frequenza non è obbligatoria, ma è vivamente caldeggiata e lo studente può accedere agli esami dell’anno successivo solo se rifrequenta gli esami persi. In tal modo dovrebbe aumentare mediamente il numero di corsi superati all’anno e contenere così la durata effettiva del corso di laurea. Anche se la situazione attuale, a causa della sua recente nascita, non consente di trarre conclusioni, si può affermare che c’è una forte tendenza in atto degli studenti a proseguire gli studi dopo il triennio; rafforzata dal concetto tradizionale di laurea quinquennale. La Facoltà è stata tuttavia strutturata in maniera tale che ogni laureato del corso di laurea triennale sia in grado di immettersi sul mercato del lavoro con delle competenze professionali ben definite. Il laureato specialistico, secondo lo stesso prof. ing. Negrini, però, rispetto a quello tradizionale cui si era abituati, godrebbe di una migliore preparazione culturale, dovuta al miglioramento della didattica del quarto e quinto anno di studi, per via dell’introduzione delle fermata obbligatoria intermedia, al termine

aprendo tuttavia il noto e attuale dibattito sulle ancora alcune aperte questioni sulle competenze professionali. Alcuni dati alla mano per capire meglio l’evolversi della sede comasca tramite l’affluenza degli studenti: a.a 2003-04: 2.235 Studenti, di cui 759 Matricole; 2003: 395 Laureati e Diplomati; 1.267 Laureati e Diplomati ad oggi; 20 Professori ordinari, 25 Professori associati, 22 Ricercatori e 30 Tecnici e amministrativi. Il Polo di Como è indubbiamente cresciuto in questi anni in modo rapido. Molti suoi studenti hanno avuto l’opportunità di completare la propria formazione con esperienze di studio all’estero, grazie proprio alla presenza del Politecnico nella rete di scambi delle più prestigiose università tecnico-scientifiche d’Europa. Di più: si sta attualmente verificando un’interazione molto forte con gli enti pubblici e non solo come supporto, poiché il Politecnico sta intervenendo in maniera massiccia su comuni, amministrazioni provinciali e regione, per partecipare al loro aggiornamento, con la creazione di servizi on line (ad esempio il portale per il Comune di Como a cui si legano le iniziative di e-government). Un punto fondamentale per il Politecnico di Como è il collegamento tra la società comasca e lo stesso Ateneo: in questo collegamento hanno una partecipazione positiva i Consorzi dell’ateneo (come il Cefriel e il MIP) e la Fondazione del Politecnico, recentemente istituita. R. F.

“Prove di comunicazione”. Riflessione e domande sul sistema città e il suo rapporto con la formazione universitaria Il “ Gruppo Giovani dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Como” , intende continuare il percorso di approfondimento culturale, critico e propositivo, intrapreso insieme al coordinamento con il convegno dal tema “ Alleanze per uno sviluppo condiviso” , del marzo 2003, entrando nel merito delle tematiche strutturali riguardanti la Provincia di Como e il ruolo delle città (non solo Como) nel complesso delle dinamiche territoriali (economiche ed urbanistiche) in atto e in previsione nella nostra zona. Le recenti iniziative legislative regionali in materia di urbanistica e di lavori pubblici, la nuova riforma sulla professioni e sulla università, il continuo e animato dibattito sul ruolo degli architetti nella trasformazione “ progettata” della città, l’attuazione del recente Piano Regolatore Generale di Como, gli studi per i P.R.G. di Cantù ed Erba, il probabile nuovo ruolo di indirizzo del redigendo Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, le nuove tendenze dell’economia e i cambiamenti che questi provocano nella gestione e costruzione della città, la consapevolezza della categoria degli architetti di poter svolgere un ruolo “ specialistico” nella costruzione della “ città sostenibile” e il dare visibilità ai nuovi approcci metodologici del “ fare urbanistica e architettura” , con particolare attenzione alle fasce meno protette (bambini ed anziani), dovranno guidare le future iniziative del gruppo. La strategia e le domande di fondo Per il “ Gruppo Giovani degli Architetti della Provincia di Como” , l’obiettivo del lavoro quotidiano è quello di sviluppare un lavoro di sensibilizzazione dei colleghi, degli Amministratori locali, dell’Università, al valore concreto dell’urbanistica e dell’architettura o meglio del progetto urbano. Non tanto nei suoi aspetti tecnici, ma come fondamentale strumento di intervento sulla qualità della vita quotidiana di ogni città e su come le nuove leve di professionisti dovranno affrontare le problematiche emergenti. Il tutto come momento multidisciplinare dove si fondano diverse componenti (economia, sociologia, paesaggio, tecnica edilizia...), per arrivare alla risoluzione dei problemi di grande e piccola scala. Quindi diventa indispensabile il confronto ma anche la sollecitazione ” propositiva” dei diversi interlocutori (Provincia, Comuni, università) che dettano le regole e ne controllano la corretta applicazione. La necessità di raffrontare le problematicità e le necessità del territorio e della nostra categoria professionale con le strategie politiche poste in essere o da attivare da parte dell’Ente Provincia e dai Comuni; un raffronto con le pro-

poste didattiche, oggi offerte dal mondo universitario, in un’ottica di scambio sinergico ma anche dialettico: rappresentano l’obiettivo primario del lavoro che il gruppo giovani intende attivare nei prossimi mesi. Conoscenza, Confronto, Coordinamento e Sensibilizzazione. Questo potrebbe essere lo slogan delle prossime iniziative del Gruppo Giovani, ma più in generale dell’Ordine degli Architetti di Como. Alcune domande di fondo possono aiutare a comprendere le tematiche da indagare: La Politica oggi può coniugare, in modo concreto, la gestione, difficile, del quotidiano, con la necessità di una pianificazione e programmazione studiata di lungo periodo? Quanto pesa la logica del “ mercato” nella definizione della programmazione didattica comasca? Che tipo di necessità emergono dalla professione a cui l’Università può dare risposta? Che ruolo culturale-sociale l’Università vuole o deve svolgere a Como? La qualità della vita quotidiana, il miglioramento di essa, la creazione di nuovi rapporti sociali tra le persone, la volontà e il bisogno di definire “ progetti” (idee) per lo sviluppo attento del nostro territorio passano inevitabilmente attraverso la costruzione di un nuovo modo di interpretare le “ relazioni” e i modelli territoriali. Vivere e non “ subire” il paesaggio costruito e “ naturale” , che noi tutti, ma in primis le scelte politiche ogni giorno “ inevitabilmente” (e a volte inconsciamente) contribuiscono a modificare, nel bene e nel male. Bisogna dunque riportare, indagare e sviluppare il rapporto tra città e la formazione. In adesione ad un orientamento nazionale, anche Como è incapace di coltivare le proprie risorse offrendo validi strumenti formativi e d’impiego. La città e i suoi cittadini non crescono e il territorio diventa un unico grande satellite-dormitorio di centri con maggior offerta di affermazione personale. Il patrimonio territoriale di capacità e professionalità viene pertanto disperso, impoverendo la realtà cittadina di effettive possibilità di sviluppo. Tutto questo pone delle questioni su quale politica della formazione vuole attuare (nelle sue facoltà) l’Amministrazione locale e di quali strumenti si possono avvalere gli operatori. Comitato di coordinamento dei Gruppi giovani provinciali Commissione Cultura Ordine degli Architetti della Provincia di Como maggio 2004 Nota L’articolo rappresenta la sintesi del dibattito interno, intercorso a seguito del convegno “Alleanze per lo sviluppo Condiviso del 2003” Gianfredo Mazzotta e Corrado Tagliabue.


a cura di Massimo Masotti

Università a Cremona e Crema. Presente e futuro Per avere il quadro attuale della struttura universitaria in Provincia di Cremona e capire, di conseguenza, quali sono le prospettive future, abbiamo chiesto all’assessore provinciale Francesco Spotti (Istruzione ed Edilizia Scolastica - Università Politiche delle Risorse Umane) di rispondere ad alcune domande sul tema. Gli insediamenti universitari pongono sempre, nei contesti in cui si collocano, questioni di tipo culturale, di relazione con la realtà scolastica e produttiva e, non ultimo, di localizzazione. Ci parli delle esperienze di Cremona e Crema. A Cremona l’università si è decentrata da qualche anno. L’Università Cattolica di Piacenza, nata originariamente come SMEA e poi come Facoltà di Economia Aziendale, si rivolge principalmente al sistema delle piccole imprese. L’altra facoltà che si è decentrata è la Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, che ha scelto di specializzarsi principalmente nei rapporti con l’ambiente e con il territorio. Un’altra Facoltà da sempre presente a Cremona è quella di Musicologia, collegata all’Università di Pavia, tradizionalemente legata al mondo musicale e liutario cremonese e alla presenza della Fondazione Stauffer, con il comune obiettivo di promozione della musica. A questo quadro si aggiunge la presenza dell’Università degli Studi di Brescia, di esperienza lunghissima in quanto nata dalle scuole professionali per infermieri, che con la Facoltà di Medicina e Chirurgia è legata al territorio per la presenza dei presìdi ospedalieri. La Facoltà di Musicologia è quella più tipicamente vicina alle caratteristiche di “ città della musica” di Cremona, ma ha anche diversi problemi. Ha una dimensione internazionale. Muove persone da tutto il mondo e quindi ha sempre posto alla città il problema dell’ospitalità degli studenti. La città di Cremona non si è ancora orientata ad essere una città universitaria, anche perché la dimensione numerica di queste università è tale da non far percepire Cremona come una città universitaria. Ci sono a Cremona circa 7000 studenti della secondaria superiore e poco più di 1000 studenti dentro il sistema universitario. Due gli elementi nuovi che possono svilupparsi all’interno di questo sistema: da una parte la Facoltà di Economia delle piccole imprese sta progressivamente aumentando di importanza e dall’altra la Facoltà di Musicologia, che recentemente ha aperto un corso specifico di lettere ad indirizzo mu-

sicale, ha la possibilità di modificare sensibilmente i propri numeri in termini di iscrizioni. Se si considera il numero consistente di studenti di lettere che gravita sui centri universitari limitrofi (Bergamo, Milano, Pavia, Bologna, Parma, Brescia, ecc.), l’aprire una facoltà di lettere a Cremona permetterebbe di recuperare molti di questi studenti, riportandoli ad avere Cremona come sede degli studi. La tendenza a vedere necessariamente fuori città la sede degli studi universitari sta quindi cambiando. La scelta di rimanere a studiare nel luogo di origine è anche supportata dal minor costo dello studio, da un clima sociale più idoneo, oltre al valore aggiunto di un rapporto docente-studente più diretto e una buona dotazione di spazi per attività didattica e per le esercitazioni. Il fenomeno più interessante si è però verificato nella città di Crema, con la Facoltà di Scienze dell’Informazione, che sta arrivando ad avere più di 2000 studenti. Diversamente dalle Facoltà presenti a Cremona quella di Crema ha numeri più consistenti, in quanto ha attinto al bacino degli studenti provenienti dal basso milanese e dal bergamasco. Università come incubatore di iniziative produttive e motore per le principali azioni di recupero dei contenitori dismessi. A Crema il recupero dell’ex Olivetti è partito da un progetto di crisi industriale e ha ragionato su come recuperare un contenitore. La prima idea di recupero è stata proprio dell’Olivetti e i passi successivi sono diretta conseguenza di un progetto ben preciso, cioè il formare un’università, che ha prodotto conseguentemente un “ incubatore per le piccole aziende” , oltre ad un rapporto stretto tra ateneo e territorio. La facoltà di Scienze dell’Informazione nasceva dall’idea di continuare una presenza nello stesso settore non di tipo produttivo, ma strettamente collegata alla funzione precedente (fabbrica di computer). Questo è interessante quando si analizza questo aspetto in funzione della nascita di attività produttive industriali. A Cremona questo processo non è ancora avviato. Anche perché il cremonese si trova schiacciato dai due poli universitari più forti, quello emiliano e quello che gravita attorno all’asse Milano, Bergamo e Brescia. L’unico elemento che può giocare a favore di Cremona come scelta per gli studi universitari è la sua caratteristica ambientale e sociale, altrimenti non ci sono motivi per venire a studiare a Cremona. Per quanto riguarda il recupero dei contenitori, questo processo è già attivo da diverso tempo. Ad esempio con il recupero del complesso di via Sesto, l’ex Aselli di via Milano e ora la Caserma Goito. L’università ha comunque sempre contribuito a processi di recupero, come il caso dell’ex Olivetti di Crema, come detto in precedenza. Una domanda che spesso ricorre:

l’università va collocata nelle zone centrali o è una funzione più consona al recupero di zone decentrate? Il recupero degli antichi monasteri porterà ad un ampliamento del centro storico. La città sa di avere questo grande patrimonio ma non lo vive. Èun’area non sfruttata a fondo. Con l’utilizzo a carattere universitario verrà dilatato il centro storico. L’operazione Feltrinelli porterà, inoltre, a considerare alcune delle aree marginali della città all’interno della città stessa, in particolare l’area universitaria di via Sesto utilizzata dal

Politecnico di Milano. Cremona non ha una sola università localizzata sul territorio, peculiarità tipica della nostra città. Il problema è connettere l’università con il sistema territoriale. In pratica, cercare di trasportare a Cremona il modello di Crema. Stabilire cioè un rapporto tra l’Università, il sistema pubblico e quello produttivo. L’Università al momento è finanziata dalla comunità cremonese. Viene vista generalmente come un fiore all’occhiello per Cremona, ma in realtà non interagisce con la città, se non in modo limitato. Manca l’intera-

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Cremona

Cremona, Palazzo Raimondi, sede dell’Università di Musicologia.

Cremona, Palazzo Pallavicino, futura sede del Centro di Restauro degli strumenti musicali.

Cremona, ex Aselli, sede dell’Università Cattolica di Piacenza.


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zione con il sistema pubblico e privato cremonese. Il sistema produttivo cremonese non avendo un distretto specifico non è riuscito immediatamente a collegarsi al sistema universitario in modo stretto e diretto. La facoltà di economia, infatti, si è collocata a Cremona con un cartello generico, a supporto delle piccole e medie imprese. In altre realtà si sarebbe configurata in modo più specifico (il tessile nel comasco, la meccanica nel modenese, ecc.). Le imprese fanno fatica ad interfacciarsi con l’Università. Si deve, in futuro, aggiungere un incubatore per piccole e medie imprese, oltre a pensare ad un’operazione di valorizzazione delle disponibilità di aree produttive, facendo un raccordo con le città medio piccole dell’hinterland e raccordando queste, a loro volta, con la presenza universitaria come elemento di garanzia rispetto alla presenza di servizi avanzati sul territorio. Questo processo può generare la coscienza di avere un sistema universitario strutturato sul territorio. Un ruolo importante in questo scenario è costituito dal finanziamento privato: la tendenza è quella di finanziare l’università non solo perché sia presente sul territorio ma per sostenere specifici progetti. Un altro elemento da sottolineare è che l’80% del finanziamento delle università è di origine pubblica. C’è quindi una contraddizione tra l’atteggiamento del privato con l’entità del finanziamento realmente apportato. Nelle altre realtà il sistema bancario è intervenuto pesantemente. Pensiamo alla realtà di Brescia. Inoltre la finanza pubblica locale non sarà in grado ancora per molto di supportare l’università. L’università deve necessariamente diventare propulsore di sviluppo. Definito lo scenario attuale, quali sono le principali novità in questo settore? Un elemento in nuce è quello relativo al recupero di Palazzo Pallavicino, che ruota intorno alla trasformazione da Liuteria a ISIA (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) come scuola di design e la connessione tra ISIA e sistema universitario, configurandolo come una di sorta di post-diploma. La nascita di un centro di restauro degli strumenti musicali crea, inoltre, un’altra idea di polo universitario, legato alla liuteria da una parte e al restauro degli strumenti musicali dall’altra. Questa funzione è localizzata in pieno centro storico. Questa è la vera novità per Cremona. M. M.

Lecco a cura di Maria Elisabetta Ripamonti

A colloquio con Giuseppe Turchini L’intervista al prof. Giuseppe Turchini, preside della Facoltà di Ingegneria Edile-Architettura del Politecnico di Milano presso il Polo Universitario di Lecco, e ordinario, per l’anno accademico 2003-2004, del corso di “Recupero e conservazione degli edifici” sviluppa un’interessante panoramica sulle problematiche relative al sistema universitario di Lecco che, per il momento, vede nell’insediamento del Politecnico di Milano, l’unico ambito accademico della nostra provincia. Prof. Turchini ci descriva l’attuale situazione dell’università nel settore delle costruzioni nella provincia di Lecco. Credo che sia noto, che il Politecnico di Milano ha creato una propria sede a Lecco a partire dai primi anni ’90 con l’attivazione di alcuni corsi di Diploma e di Laurea più fortemente richiesti dal territorio. In seguito, constatato il successo dell’operazione, ha fondato il Polo Regionale di Lecco che conta oggi quasi 2000 studenti e una sessantina di docenti organizzati in corsi di laurea e di laurea specialistica in diversi settori dell’ingegneria. Nel nostro settore delle costruzioni sono attivi: il corso di laurea triennale in Ingegneria Civile, il corso di laurea triennale in Edilizia, la laurea specialistica in Ingegneria Civile con un importante orientamento in Protezione civile, la laurea specialistica quinquennale di Ingegneria EdileArchitettura, che è il corso più frequentato del Polo. Mi sembra, quindi, che la presenza sia piuttosto significativa, anche ricordando che sia l’orientamento Protezione Civile, sia la laurea in Ingegneria Edile-Architettura sono presenti solo nel Polo di Lecco, e quindi richiamano studenti interessati anche da fuori provincia. Qual è il bacino d’utenza dell’Università di Lecco? Da dove arrivano gli studenti e dove alloggiano quelli che arrivano da altre province? Stavo appunto iniziando a parlare della provenienza dei nostri studenti. Direi che la percentuale maggiore viene dalla regione, ma non dalla provincia di Lecco. Ad esempio nel mio corso di Ingegneria EdileArchitettura, non più del 15% in media delle matricole viene dalla provincia di Lecco. Molti vengono dalla provincia di Bergamo o da quelle di Sondrio e di Como e molti, infine, forse il nucleo più consistente dal nord Milano, Monza, Brianza, ecc. C’è anche una presenza non alta ma significativa di provenienze extra regionale. Pure in aumento è la presenza di studenti stranieri, come sta aumentando in modo molto consistente la richiesta di no-

stri studenti per periodi di studio all’estero in importanti Università europee. Un punto decisamente debole del nostro insediamento lecchese è rappresentato dall’ospitalità per studenti residenti fuori provincia e non pendolari. Proprio per questo i dirigenti del Polo di Lecco, e in particolare il nostro prorettore, prof. Gasparetto, si stanno impegnando in programmi appositi che dovrebbero in breve tempo avviare a soluzione il problema. Tuttavia anche oggi, pur ammettendo che non è una soluzione, gli studenti interessati riescono a trovare sistemazioni attraverso normali canali di affittanze. Vorrei citare un episodio che mi ha fatto molto piacere. Qualche giorno fa abbiamo avuto la visita della delegazione ufficiale dell’Ecole Centrale di Parigi, che è una delle più prestigiose scuole di Ingegneria di Francia. Abbiamo a Lecco tre studenti che provengono da questa scuola e che sono da noi per il progetto TIME di doppia laurea. Altri tre sono preannunciati per il prossimo anno. Parlando con il direttore di questa scuola, lo avvertivo del fatto che l’ospitalità di Lecco lascia ancora a desiderare. Mi ha risposto che i suoi studenti sono così contenti e motivati che la sistemazione logistica non importa molto, pur di rimanere a studiare da noi. Lo dico perché è una bella soddisfazione! Quali sono attualmente gli spazi universitari? Le ricordo che abbiamo già descritto ampiamente il progetto relativo alla nuova sede universitaria che sorgerà nell’area dell’ex-Ospedale nel numero 11 di AL del 2003. Attualmente la maggior parte degli insegnamenti con lezioni, esercitazioni e laboratori si svolgono nella sede di via Marco d’Oggiono che non è quella definitiva ma che è in grado di ospitarci in modo molto decoroso. Abbiamo spazi migliori e più grandi rispetto alla precedente sede di corso Matteotti, nella quale, peraltro teniamo ancora alcuni insegnamenti. Abbiamo ora spazi ben attrezzati sia per aule normali, sia per aule da disegno e aule informatizzate. Si stanno inoltre allestendo anche spazi per docenti e ricercatori, tanto che si può finalmente vedere la nascita effettiva di un campus universitario. Rimane la prospettiva molto allettante della sede definitiva nell’area dell’ex ospedale, che però, come si legge nella domanda, è già nota. Che cosa manca alla provincia di Lecco e quali sono i problemi legati alla situazione odierna? Lecco è una realtà territoriale di grande interesse economico e sociale. Lecco e la sua provincia hanno riconosciuto nella presenza dell’Università un elemento forte per la crescita e lo sviluppo, e questo giustifica più, e prima di tutto, la nostra presenza. Ma Lecco non era una città universitaria, alla stregua di altre ben note realtà storiche ita-

liane. Lo vuole diventare e ci riuscirà in non moltissimi anni. Abbiamo visto sorgere molte nuove iniziative a livello di librerie, ad esempio, di centri di elaborazione e di calcolo, ma anche di strutture logistiche di sostegno. Direi che la cosa più significativa è lo spirito con cui le risorse del territorio e le amministrazioni guardano all’Università: vorrei fare due esempi. Uno è il rapporto di grande, cordiale e utilissima collaborazione che si è instaurato con le organizzazioni professionali provinciali, come gli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri con i quali abbiamo organizzato già moltissime occasioni e incontri culturali e che collaborano attivamente nella didattica. L’altro esempio è il rapporto che abbiamo con l’amministrazione comunale di Lecco che ha portato, fra l’altro, anche all’avvio del concorso per la nuova biblioteca civica che costituirà un importantissimo evento per la vita culturale della città. Quali sono i punti di forza, i motivi d’orgoglio dell’università di Lecco? Ci descriva alcune interessanti iniziative promosse dal Politecnico nella nostra provincia. Può sembrare strano o eccessivo, ma le iniziative culturali e di interesse professionale nate dalla collaborazione tra il Politecnico, le amministrazioni locali e le risorse del territorio sono ormai così numerose e importanti che diventa difficile citarne alcune, trascurandone altre. Potrei citare la nascita a Lecco di corsi di Master universitari – nella mia Facoltà uno riguarda la gestione dei Lavori Pubblici e un altro le tecniche di gestione e tutela del paesaggio. Abbiamo sviluppato corsi di formazione post secondaria – i corsi IFTS – in collaborazione con scuole medie superiori, istituti tecnici e organizzazioni di industrie e di produttori. Si sono organizzate mostre, in Comune, alla Torre Viscontea che è un delizioso spazio espositivo, tavole rotonde, conferenze, seminari sempre in collaborazione con forze e risorse locali, e così via. Naturalmente queste iniziative non sono solo caratteristiche del nostro settore, nel quale è molto attiva anche la presenza dei colleghi civili, ma riguardano anche gli ingegneri meccanici e gestionali nei loro rapporti con il tessuto industriale. Com’è il rapporto con l’ambito produttivo locale? Per l’appunto, il rapporto con le forze produttive locali è già molto ricco e ancor più promettente. A parte i contratti di ricerca con industrie che vengono sviluppati nei laboratori di corso Promessi Sposi, si sta avviando una vera politica di ricerca un po’ in tutti settori produttivi: abbiamo ad esempio avuto il finanziamento di cinque o sei borse di dottorato da parte di industrie e associazioni locali che consentono di vedere la nascita effettiva di nuclei di ricerca universitaria nel nostro territorio. Un consorzio di produttori nel settore del-


Che cosa si aspettano gli studenti dall’università e qual è il loro approccio con il mondo del lavoro a Lecco? Le statistiche che vengono costantemente elaborate dal prorettore e dagli uffici circa la collocazione dei nostri laureati nel mondo del lavoro sono molto incoraggianti: grosso modo constatiamo che l’assorbimento è dell’ordine del 98% a sei mesi dalla laurea, contando solo le occupazioni che hanno riferimento diretto al titolo di studio. Per ora il territorio non solo assorbe completamente i laureati, ma esprime anche la richiesta di un aumento del numero di essi. Quindi gli studenti che vengono a Lecco con la prospettiva di trovare, attraverso un percorso di laurea che è molto impegnativo, una buona collocazione professionale sono del tutto soddisfatti. Speriamo che questo trend si mantenga anche in futuro, e i segnali in questo senso sono molto incoraggianti. Ci descriva programmi di sviluppo e le prospettive per il futuro. Programmi di sviluppo ce ne sono sempre e sono molto interessanti. Si punta su alcuni elementi di forza dell’attuale offerta formativa come le lauree specialistiche, che ho già citato, che sono state scelte in base alla specificità del territorio e all’interesse professionale che garantiscono. Si punta sull’ampliamento dell’offerta di Master universitari di primo e di secondo livello per favorire l’espansione di una formazione permanente che l’Università si è impegnata a fornire. Si punta su alcune novità che dovrebbero essere non solo attraenti ma anche molto caratterizzanti la presenza di Lecco nel panorana universitario lombardo: ne cito una. È molto avanzato lo studio per l’attivazione di una laurea specialistica, con partenza a settembre 2005, nel settore del paesaggio, per la tutela, la gestione e la progettazione dei caratteri paesistici, che attribuiscono valore al territorio. Una laurea simile, che non esiste in altre università lombarde, potrebbe essere interessante anche perché abbiamo intenzione di inaugurare con essa utili e proficue collaborazioni con altre università.

Lodi a cura di Antonino Negrini

L’articolo che per la nostra provincia tratta il tema del sistema universitario lombardo, è stato curato dall’architetto Gio Gozzi, che ha già contribuito allo scorso numero con l’articolo sulle periferie. Ringrazio nuovamente Gio Gozzi per la sua preziosa collaborazione. A. N.

Il nuovo polo universitario di Lodi, un’opportunità per il rilancio di tutto il territorio Alle porte di Lodi sta sorgendo il nuovo Polo Universitario; su di un’area di circa 22.000 mq si trasferiranno la Facoltà di Medicina Veterinaria, la Facoltà di Agraria, quella di Farmacia e l’I.S.U. L’investimento ammonta a circa 100 milioni di euro. Il nuovo Polo Universitario dovrebbe sorgere in sinergia con il Parco Tecnologico Padano (biotecnologie), con il Business Park e con il centro polivalente (nuovo polo fieristico, centri congressi, incubatore di impresa e centro servizi per le piccole e medie imprese). Si tratta, senza dubbio, di uno degli interventi più significativi e importanti per tutto il territorio comunale e provinciale, sia per l’intervento in sé, sia per le conseguenze future indotte. Il Lodigiano, infatti, salvo poche eccezioni è rimasto un territorio a vocazione agricola, con una moltitudine di piccole e medie imprese, disseminate in maniera disordinata e colpite fortemente dalla congiuntura economica sfavorevole di questi anni. Il pendolarismo verso Milano è un fenomeno marcato ed evidente, confermato anche dai recenti dati dell’ISTAT. Se le aspettative non dovessero andare disattese, è facile comprendere le conseguenze di questa nuova realtà, dove Lodi sarà centro propulsore della ricerca universitaria in campo agricolo e zootecnico, punto di riferimento non solo regionale, ma per tutto il nord Italia, così come il Business Park potrà essere potenzialmente il motore della ripresa economica del territorio. Le conseguenze positive di simili interventi si ripercuoterebbero a cascata su tutto ciò che ruota intorno: servizi, infrastrutture, commercio, alloggi, ecc. L’arrivo di studenti, ricercatori, imprenditori dovrebbe modificare l’immagine di Lodi e i ritmi consolidati, quali – ad esempio – un’inversione o quantomeno un bilanciamento dei fenomeni migratori. Èperò facile comprendere come un simile intervento richieda un’attenta pianificazione ed una previsione degli scenari futuri, dove non basta decidere l’insediamento del polo universitario, ma bisogna scegliere e

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l’edilizia ha finaziato una cattedra convenzionata sull’argomento delle tecnologie innovative per l’edilizia e per la sostenibilità ambientale, cattedra che è già funzionante e che, di conseguenza, amplia in modo significativo la ricchezza dell’offerta formativa. Vorrei anche ricordare che la maggior parte delle tesi di laurea sviluppate dai nostri studenti, che sono assai impegnative, riguarda problemi reali del territorio, dalla progettazione di nuovi insediamenti al recupero di strutture edilizie e urbane, ecc., che muovono interessamenti diretti di amministrazioni pubbliche e private e che, quindi, aumentano il numero e la forza dei legami tra università e territorio.

Lodi, vista generale del polo universitario e una vista degli interni. definire location, tempi e modalità, nonché tutte quelle opere necessarie per il corretto funzionamento del primo. In questo purtroppo c’è invece il timore che qualche errore sia già stato commesso e qualcuno altro sia in procinto di esserlo; alcuni errori potranno essere risolti, seppur con costi elevati, altri no. I primi dubbi riguardano la localizzazione dell’intervento, sperduto nei campi, oltre la barriera della tangenziale di Lodi, naturale confine del centro abitato. Se questa può andar bene per i laboratori o per l’ospedale grandi animali, sicuramente non lo è per quanto concerne le aule: ci saranno problemi legati ai trasporti pubblici, una congestione della viabilità per i trasporti privati, una carenza di servizi accessori a un impianto universitario. L’accessibilità è la cosa più preoccupante, poiché rimandata ad un futuro di cui ancora non si conosce la data, con un intervento edilizio già avanzato e in alcuni casi (ospedale grandi animali e laboratori) già in fase conclusiva.

Dovrebbe essere istituito un servizio di ferrovia leggera, ma non si sa né come, né quando; la tangenziale e gli svincoli, così come sono impostati ora, permettono l’accesso automobilistico solo da chi proviene da Milano, mentre chi arriva dal lato opposto (Piacenza) deve proseguire per alcuni chilometri fino a San Grato e poi tornare indietro. La tangenziale di Lodi poi, per le sue dimensioni ridotte, non è in grado di sostenere un traffico veicolare eccessivo e congestionato, ma l’assenza di collegamenti pubblici non può che prospettare questo scenario; inoltre essa costitutisce una barriera per chi volesse raggiungere pedonalmente Lodi. Ad onor del vero è previsto un sovrappasso pedonale, ma preceduto e seguito solamente da campi, forse più utile ad un maratoneta, che a uno studente che voglia comprare un libro a Lodi o fare due passi in centro. La ferrovia leggera, l’ampliamento e la modifica degli svincoli della tan-


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genziale, l’istituzione di nuovi servizi di pullman, sono tutte soluzioni applicabili, spaventano però i costi e ancor più i tempi, già in ritardo. La dislocazione delle aule nelle zone industriali dismesse limitrofe alla stazione, quali i magazzini generali, l’ex linificio, ecc. sarebbero stati una soluzione ottimale sia per posizione, che per accessibilità, ancor più in un’ottica sinergica con l’intervento sull’adiacente area ABB, ad opera della Banca Popolare di Lodi e con l’erigendo terminal bus. Alcune di queste aree purtroppo sono già compromesse, come l’area dei magazzini generali, su cui già pende un progetto per la realizzazione di residenza e commercio. Lodi per conformazione geografica, per posizione strategica (facilmente raggiungibile da Milano, Piacenza, Bergamo, Brescia, Mantova, Pavia), per risorse naturali, ha in sé la potenzialità di un grande sviluppo, purtroppo negli anni passati ha mancato tutte le opportunità possibili, in una miopia imprenditoriale e progettuale del proprio futuro, non solo degli amministratori, ma anche dei lodigiani stessi, di fatto relegata a periferia milanese, dove costruire solamente centrali e impianti industriali inquinanti (Gulf, Viscolube, Lever Gibbs, centrale di Tavazzano, ecc.) discariche e capannoni per la logistica. Il polo universitario, insieme agli altri interventi, può essere finalmente un’opportunità per ridare a Lodi un’autonomia culturale ed economica; dispiace che parta già con errori vizianti, speriamo che non diventi un’opportunità disattesa. Gio Gozzi

Mantova a cura di Sergio Cavalieri

Università per il territorio Recente è la storia dell’Università a Mantova. Il progetto nasce circa 10 anni fa, nel 1992, quando viene fondato il Consorzio Universitario Mantovano con il compito di attivare Corsi di Laurea nel capoluogo, privo fino ad allora di specifici servizi di formazione a livello universitario. L’obiettivo non era quindi quello di dare vita ad una nuova e autonoma Università di Mantova, ma di creare una collaborazione di ampio respiro con istituti universitari già esistenti al fine di insediare un sistema di formazione che nasce dalle richieste e dalle aspettative locali. Con la predisposizione di due sedi completamente attrezzate nel centro storico della città (via Frattini per Ingegneria e via Scarsellini per Architettura), ad oggi il lavoro del C.U.M. ha consentito di attivare a Mantova 4 corsi di Laurea, dei quali due gestiti dall’Università degli Studi di Pavia (corsi di laurea triennali in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio e in Ingegneria Informatica) e due dal Politecnico di Milano (corso di laurea triennale in Edilizia e quinquennale in Scienze dell’Architettura). I corsi di laurea attivati risultano particolarmente coerenti con le domande specifiche di gestione delle potenzialità del territorio mantovano, caratterizzato da un contesto ambientale di particolare valore e sensibilità (il Parco del Mincio tutela e valorizza un’ampia fascia di territorio che corre trasversalmente alla provincia lungo tutto il corso del fiume), e da un patrimonio artistico e architettonico presente non solo nel centro storico, ma esteso anche all’interno dei centri minori. Mantova si è arricchita negli ultimi anni di una giovane popolazione universitaria, cresciuta in città fino a superare i 1.000 studenti iscritti presso le facoltà locali. Una crescita rapida che permette oggi di considerare l’Università di Mantova come un polo provinciale che offre possibilità di formazione specialistica non presenti nel contesto dei centri limitrofi. La posizione della città la pone infatti all’intersezione di due direttrici di strutturazione della Pianura Padana, assi di riferimento per il bacino di utenza e per lo sviluppo di una serie di relazioni culturali: • la direttrice est-ovest di connessione con le altre sedi universitarie di Pavia, Piacenza, Cremona e Ferrara; • la direttrice nord-sud che da Modena, attraverso Mantova, prosegue in direzione di Verona, Trento e Bolzano. Il corso di Laurea in Scienze dell’Architettura e quello in Ingegneria del Territorio e dell’Ambiente,

suggeriscono possibilità di formazione specifiche all’interno di un sistema a rete, composto da centri provinciali di media dimensione; si crea un sistema di offerta complementare e completa in grado di fornire, grazie alla dimensione contenuta delle facoltà (il limite orientativo è di circa 200 matricole l’anno per corso di laurea), servizi incentrati sul rapporto stretto e diretto tra docenti e studenti. A riprova della correttezza dell’idea di inserire i corsi di laurea in un bacino di utenza più ampio, si possono considerare gli oltre 600 studenti iscritti a Mantova che provengono da centri esterni alla provincia: una popolazione studentesca che, grazie ai programmi di formazione internazionali (Erasmus e Leonardo in primis), si è ulteriormente allargata grazie alla presenza sempre più estesa di studenti e laureandi provenienti da altre nazioni. Nel 2001 il Consorzio Universitario Mantovano è stato trasformato in Fondazione Università di Mantova: un passaggio questo non solo amministrativo, ma che allarga la prospettiva di sviluppo del polo di formazione. Negli ultimi anni il contesto universitario di Mantova ha, infatti, visto ampliarsi le attività culturali e didattiche. Piccoli concorsi, seminari, convegni, conferenze e mostre sono divenute un appuntamento ricorrente nelle sedi delle facoltà e nei locali della Casa del Mantegna. Finanziamenti locali, na-

zionali ed europei hanno poi consentito di attivare corsi di formazione post-lauream e master (tra cui spicca quello per la cooperazione per i paesi in via di sviluppo), oltre a garantire la presenza costante di un gruppo di giovani ricercatori che, soprattutto all’interno della Facoltà di Architettura, offrono servizi di consulenza per enti pubblici (1) e privati. Un progetto quello dell’Università a Mantova che diviene ogni anno più solido e concreto, che sta crescendo per offrire un servizio sempre più esteso e completo: le sedi didattiche si sono progressivamente ampliate e attrezzate con strutture e servizi quali biblioteche, aule informatizzate e laboratori. Nel 2001 infine il Dipartimento di Progettazione del Politecnico di Milano ha predisposto un progetto per la realizzazione di una residenza universitaria da 160 posti letto da realizzare in parte con finanziamento pubblico (attualmente in attesa di conferma) e in parte con la collaborazione di operatori privati. Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito www.unimn.it. Marco Caprini Note 1. I recenti strumenti di pianificazione del territorio sviluppati sia dalla Provincia che dal Comune di Mantova con la consulenza del Politecnico.

Progetto per la nuova residenza universitaria di Mantova Responsabile scientifico prof. Marina Molon, Dipartimento di Progettazione, Politecnico di Milano.


a cura di Roberto Gamba

Università della Provincia di M ilano Le università della città di Milano sono oggi assai numerose e di vario indirizzo: tecnico, umanistico, linguistico, economico. Hanno avuto uno sviluppo organizzativo e costruttivo assai notevole negli ultimi anni, che ha anche portato, nella periferia della metropoli, alla formazione di significativi quartieri, come alla Bicocca o alla Bovisa. L’indagine che è stata impostata redazionalmente, ha condotto alla richiesta di pareri e di illustrazione dei progetti in corso, presso gli enti e gli uffici tecnici di gestione dei vari atenei. In particolare ci è stato promesso un contributo (che non è arrivato) dall’Università Bocconi, che sta costruendo l’ampliamento progettato da Yvonne Farrell e Shelley McNamara, vincitrici del concorso bandito anni or sono: interessante poteva essere la conoscenza delle modalità di intervento e della struttura tecnica di supporto e di direzione dei lavori, che condurrà alla realizzazione. Ad alcuni docenti della facoltà di Architettura civile del Politecnico di Milano – Bovisa, è stata chiesta un’opinione sull’interruzione del progetto di ampliamento vinto per concorso da Ishimoto – Serete: ha risposto Marcello De Carli. Alla Sovrintendenza tecnico urbanistica dell’Università del Sacro Cuore è stato rivolto l’invito a illustrare le opere di ampliamento e di adeguamento in corso: ha risposto Gabriele Schiatti. Lo studio 5+1 di Genova ci ha inviato una relazione illustrata del lavoro che stanno predisponendo per lo IULM (Istituto universitario di lingue moderne). Per quanto riguarda i dipartimenti umanistici dell’Università degli Studi della Bicocca, è utile segnalare il nuovo volume edito a fine marzo da Skira, dedicato allo studio Gregotti Associati e a cura di Guido Morpurgo, che presenta elegantemente parte del sistema comprendente le facoltà di Giurisprudenza, Scienze economiche, Informatica, Sociologia, Statistica, realizzato in due edifici industriali recuperati dell’ex stabilimento Pirelli. R. G.

Area dei gasometri di Bovisa a M ilano. Architettura interrotta Cosa è successo Anni fa “ Controspazio” pubblicava, in una rubrica chiamata “ L’architettura interrotta” , progetti che, per varie vicende, non si erano inverati in edi-

fici. Da notizie ufficiose sembra che facciano parte idealmente di quella rubrica tutte le pubblicazioni che hanno documentato il progetto vincitore del concorso per Bovisa Gasometri (progetto di sintesi Ishimoto - Serete, 1998-99). Non è il primo progetto gettato nel cestino dell’area dei gasometri di Bovisa (e forse non sarà l’ultimo). Il motivo definitivo dell’interruzione è il costo delle opere di bonifica, molto maggiore del previsto. Questa vicenda certifica che nonostante la qualità degli attori (Regione Lombardia, Comune di Milano, Politecnico, AEM) resta molto da fare nel campo delle valutazioni di fattibilità (dato che l’inquinamento precede l’accordo di programma sulla cui base si è svolto il concorso). La prima conseguenza è che, come architetti e urbanisti milanesi, non abbiamo perso un argomento di discussione (che fare a Bovisa?). Prima di tutto possiamo legittimamente recriminare su uno spreco di denaro, energie e tempo e sui maltrattamenti subiti da uno dei progetti utili per la costruzione della (amata) città policentrica lombarda di dangioliniana memoria. Pensieri che tornano a galla Poi si possono fare alcune considerazioni. Il costo della bonifica è il motivo scatenante, ma non l’unico. Sull’esito del concorso molti (anche all’interno del Politecnico) hanno manifestato perplessità. Era migliore (a parere di molti) il progetto di massima redatto nel ‘90 a cura di alcuni dipartimenti del Politecnico. Il programma d’intervento era sicuramente perfettibile, per non dire che conteneva alcune previsioni non ragionevoli, come il tempo si è affrettato a dimostrare: • Il Politecnico di Milano ha deciso (penso giustamente) di conservare i primi capisaldi del suo insediamento a Bovisa (insediamenti di Durando, Cosenz, La Masa–Lambruschini). Di conseguenza va ridimensionato il programma edilizio per l’insediamento di Bovisa Gasometri, originariamente previsto come unico polo del Politecnico a Bovisa. • AEM ha abbandonato l’ipotesi di concentrare a Bovisa Gasometri tutti i suoi uffici. Di conseguenza vanno riconsiderati destinazione d’uso e carattere dell’intervento destinato agli uffici AEM. • La previsione di una grande biblioteca comunale in quel sito non è coerente con la riorganizzazione del sistema bibliotecario milanese, quindi, attendibilmente, la biblioteca non sarà costruita. • La soverchiante presenza di insediamenti per il lavoro (università e uffici), a fronte di poca residenza e di pochi servizi, avrebbe creato una vita diurna ed una vita notturna molto diverse (forse troppo); sul modello di certi, ormai esecrati, centri (direzionali) monofunzionali. Anche sui progetti per i trasporti c’è qualcosa da dire: sull’inoppor-

tunità di un tracciato stradale a raso che separa in modo invasivo l’area dei gasometri dalle restanti aree della “ goccia” , dove è insediato, fra l’altro, il polo di via La Masa. E sulla poca efficacia di una tramvia, a fronte della domanda di trasporto pubblico originata dal nuovo insediamento. Colgo l’occasione per ribadire la proposta di una metropolitana leggera (Gronda Nord su ferro) da Gobba (via Bicocca, Niguarda, Bovisa) al Nuovo Polo Fieristico di Rho Pero. Infine, il Comune di Milano ha deciso di localizzare in due gasometri di Bovisa il Museo del Presente (ottima idea, nonostante i pettegolezzi sul primo progetto architettonico, che si dice sia rimasto incastrato nelle lamiere arrugginite che voleva recuperare). Questa previsione crea nuove opportunità. Cosa sta per succedere Il primo riverente pensiero va alla “ urbanistica contrattata” . È del tutto attendibile che per non strozzare AEM (che ha ereditato l’inquinamento) e Politecnico, si concederanno diritti edificatori, vendibili sul mercato immobiliare, proporzionali al costo della bonifica. Il costo della bonifica è variabile: bisogna bonificare di più in caso di attività residenti (comprese le scuole e, fra queste, l’università), un po’ di meno in caso di uffici (chi lavora produce più anticorpi), ancora di meno in caso di produzione (i lavoratori manuali producono moltissimi anticorpi). Poi: più si scava più si bonifica; e dove si porterà tutta la terra inquinata?, ecc. Intrapresa la strada “ diritti edificatori in cambio di bonifica” si arriverà a un bivio. Da un lato c’è un sentiero minimalista: il disegno urbano è deciso dalla geografia dell’inquinamento, si insediano attività terziarie (quelle a costo di bonifica medio), l’università riduce la sua presenza a qualche nuovo padiglione, secondo una tradizione costruttiva (a spizzichi e

bocconi) che il Politecnico ha lungamente praticato nell’espansione di Città Studi. Dall’altro lato del bivio c’è un viale (massimalista?): c’è l’ambizione di costruire un centro di città policentrica lombarda, mantenendo il campus universitario (anche se un po’ dimagrito) e correggendo gli errori del programma d’intervento iniziale: si tratta di aumentare la residenza, in particolare quella degli studenti, di insediare servizi per la cultura e lo spettacolo, di consolidare il polo museale (oltre al Museo del Presente, il Museo del Design e, forse, un centro di comunicazione tecnico scientifica). Il tutto, ovviamente con maggiori problemi e costi di bonifica. Per me è meglio “ incamminarsi sul viale” , perché quando si costruisce è meglio costruire bene, perché gli insediamenti e gli edifici durano (anche quelli “ sbagliati” ), perché un’altra area come quella dei gasometri di Bovisa a Milano non c’è. Marcello De Carli

Università Cattolica del Sacro Cuore L’Università Cattolica del Sacro Cuore è presente in diverse città italiane e la sua sede storica e principale è situata a Milano in largo Gemelli 1, in un complesso di edifici nei pressi dell’abside della Basilica di Sant’Ambrogio, di cui l’immobile più rappresentativo è quello che anticamente ospitava l’omonimo monastero bramantesco ricuperato a sede universitaria negli anni ’30 del secolo scorso per opera di Giovanni Muzio. L’esigenza crescente di spazi e la caratteristica urbana della sede dell’Ateneo ha visto negli scorsi anni la necessità di acquisire nuovi edifici di prestigio nelle immediate vicinanze da trasformare, in sintonia con le specifiche caratteri-

Veduta della sede di via Carducci (foto di F. Brunetti).

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stiche morfologiche, in spazi ad uso istituzionale. La sua struttura di Sovraintendenza Tecnica e Urbanistica, è costituita da numerosi settori in grado di seguire i progetti di conservazione, recupero, restauro conservativo, affrontandone gli aspetti di pianificazione, innovazione tecnologica, di sicurezza. Per mano di Gabriele Schiatti (con le foto di Federico Brunetti) essa illustra qui di seguito alcuni recenti interventi operati su due stabili acquisiti nel centro di Milano, per ampliare le strutture della didattica.

L’immobile di sicuro pregio, vincolato da parte della Soprintendenza Regionale, è stato trasformato, compatibilmente con le sue caratteristiche, in ambienti dedicati a funzioni universitarie. L’intervento ha riguardato prevalentemente la riqualificazione degli spazi interni, eliminando il pesante frazionamento degli ambienti finalizzati nel passato ad uso prevalentemente ricettivo di tipo alberghiero. Le attività didattiche qui insediate sono consone al prestigio dell’immobile; vi sono uffici al servizio di attività post laurea ed alle relazioni

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Vedute della sede di via Nirone (foto di F. Brunetti). Edificio di via Carducci 28-30 È denominato “ Palazzo Gonzaga di Vescovado” e fu edificato tra il 1899-1906 da Cecilio Arpesani. È stato definito un “ caso raro in Milano di edificio aperto sul cortilegiardino, adibito ad uso di dimora nobile e casa d’affitto. La concezione di fondo e le decorazioni sono testimonianza dell’eclettismo neomedioevale” . La facciata principale su via Carducci è in mattoni a vista, con colonnati ed inserti in pietra fino all’altezza del terzo piano; nella parte superiore ha un rivestimento in intonaco decorato del tipo a sgraffito, ed è caratterizzata dalla presenza di finestre ad arco a tutto sesto e a sesto ribassato, logge chiuse e due ampi terrazzi simmetrici al primo piano. L’edificio si compone di cinque piani fuori terra, un piano ammezzato ed un seminterrato; ha configurazione in pianta genericamente a “ C” al piano interrato ed a doppia “ T” ai piani sovrastanti con sviluppo parallelo alla via Carducci; sostanzialmente l’impianto planimetrico è derivato dall’accostamento di due corpi specularmente simmetrici ancorché non identici. Il corpo centrale di 17x 52 m circa è parallelo alla sede viaria, ma arretrato di circa 15 m dal confine con la sede stradale di via Carducci ed è collocato nell’area pertinenziale formando due zone cortilizie aperte, delle quali la maggiore, situata sul retro, è interamente utilizzata a giardino con possibilità di sosta per gli studenti, la seconda, delimitata da una cancellata in ferro lavorato, prospetta sulla via Carducci.

internazionali dell’Ateneo; aule di medie e piccole dimensioni, sale computer, sale studio, locali di supporto alle nuove tecnologie multimediali e agli impianti, idonei servizi igienico sanitari, nuovi ed adeguati ascensori, una scala d’emergenza esterna di notevoli dimensioni inserita con estrema cautela nel contesto esistente in uno spazio già destinato sia al collegamento verticale che orizzontale. Nel progetto di recupero funzionale sono sempre state privilegiate le scelte conservative, utilizzati tutti gli accorgimenti per valorizzare al massimo gli spazi a saloni, a loggiati chiusi o a porticati aperti, recuperando dove possibile le finiture di pregio e le decorazioni esistenti. L’intervento ha compreso inoltre l’eliminazione delle superfetazioni più stridenti con il contesto. Il recupero delle facciate esterne e quello degli scaloni monumentali interni e di altre decorazioni in singoli locali è stato realizzato con una tipologia composita di materiali. Le facciate hanno richiesto un’accurata pulizia delle superfici, composte da materiali eterogenei, serizzo ghiandone, rosa di Baveno, pietra calcarea, cotto, intonaco sia esso del tipo a sgraffito che tradizionale. Particolarmente significativo è l’intervento per la riqualificazione del giardino. Edificio di via Nirone 15 Fu realizzato nel 1927 dall’arch. Paolo Mezzanotte con la collaborazione del fratello ing. Vittorio Mezzanotte, quale sede della “ Casa dei fasci milanesi” . Nel 1932 lo stabile passò

in proprietà al Comune, divenne sede di uffici di beneficenza ed in seguito sede milanese della Democrazia Cristiana; nel 2002 fu acquistato dall’Università Cattolica, per insediarvi attività istituzionali accademico didattiche. Insiste su un’area con forma rettangolare di mq 580 circa, interamente edificata, presenta un fronte di 23 m sulla via Nirone, mentre gli altri due lati perpendicolari alla via sono costruiti in aderenza agli stabili confinanti. È composto da un totale di cinque piani fuori terra e da un piano seminterrato. Da un punto di vista decorativo, ha praticamente un solo prospetto di pregio, quello sulla via Nirone, dove solo più profondi accenni chiaroscurali conferiscono un tono di moderata celebratività al disegno della facciata neoclassica; a seguito di un’accurata analisi mineralogica, risulta essere interamente costituita da travertino. Il piano rialzato è completamente rivestito da questo materiale; al centro del fronte si apre un ampio portone, sormontato da un’imponente balcone, le cui mensole si prolungano fino a terra con lesene; simmetricamente rispetto al portone, sui due lati, si trovano due finestre, di altezza e profondità uguali al portone principale, chiuse da un’inferriata decorativa; è stata autorizzata la loro trasformazione in portoni ad uso uscite di sicurezza. Il rivestimento in travertino prosegue sui due lati a confine quale cornice dell’intera facciata; il suo paramento interno è costituito da mattoni pieni faccia vista che contribuiscono al suo arricchimento cromatico, mentre il simmetrico susseguirsi di finestre e nicchie disegnate in asse alla porta finestra centrale del balcone crea una ritmica scansione. Al secondo piano in corrispondenza del davanzale delle finestre, si sviluppa orizzontalmente una trabeazione con caratteri plastici fortemente accentuati, sostenuta idealmente da lesene in mattoni e travertino terminanti con capitelli in altorilievo di stile corinzio. Al terzo piano la facciata è completata a coronamento da una trabeazione, che centralmente assume la configurazione di timpano arricchito decorativamente da tre grossi vasi in travertino in corrispondenza dei tre vertici. All’interno, un salone a doppia altezza (e altri saloni), sono stati ri-

cuperati, come da impostazione originaria e si è provveduto al restauro dei pavimenti in mosaico decorato. L’immobile di sicuro pregio è stato trasformato in ambienti dedicati a funzioni universitarie, eliminando il precedente pesante frazionamento degli ambienti finalizzati nel passato ad uffici, sale riunioni e depositi. Riguardo al restauro della facciata principale, la sua parte inferiore, fino al primo piano, è stata interessata da una pulizia del paramento in travertino e della maggior parte delle superfici in cotto dei piani sovrastanti, con applicazione di un trattamento protettivo. Gabriele Schiatti Sovraintendenza Tecnica e Urbanistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Progetto di massima per l’ampliamento della sede IULM di M ilano, via Carlo Bo Knowledge Transfer Centre, ovvero lo spazio in cui la città entra nell’università, e l’università apre i suoi saperi. Un luogo quindi di dialogo e di comunicazione, essenziale in ogni ateneo, ma tanto più nella principale università italiana di comunicazione. Dialogo, prima di tutto, degli spazi: nessun confine separa le corti del nuovo complesso dal tessuto urbano; zone verdi, passaggi, camminamenti, cortili, si mescolano ai pieni degli uffici e degli archivi, proponendo percorsi paralleli e alternativi. I tre edifici, che si suddividono lo spazio edificabile, sono pensati per funzioni distinte, ma complementari. Una torre, sopra tutto, per segnalare una presenza forte e una disponibilità autentica. Nella torre – centrata su una scala elicoidale – trovano spazio gli archivi e i loro spazi di consultazione: la memoria delle iniziative e delle attività di IULM nel campo della moda, del cinema, della comunicazione. L’edificio sud ospita spazi la cui flessibilità li rende fruibili sia per strutture accademiche – uffici, laboratori, sale, aule – sia come sedi per aziende.

Veduta del modello della sede IULM.


5+1 - architetti associati - agenzia di architettura, Genova Paola Arbocò, Pierluigi Feltri, Alfonso Femìa, Gianluca Peluffo, Maurizio Vallino collaboratori: Antonio Terranova, Enrico Martino, Andrea Michelini, Luca Bonsignorio, Lorenzo Monarca, Alessandra Quarello, Abel De Sousa Marques Patacho, Andrè Guimaraes Lira, Anna Patti, Domenica Laface

Pavia a cura di Vittorio Prina

La riorganizzazione dell’Università di Pavia e il rapporto con la città Pavia rappresenta nel panorama italiano un caso particolarmente significativo per quel che concerne il rapporto città-università, sia per la presenza storica dell’università (almeno da 500 anni), sia per il reciproco rapporto dimensionale che ha sempre reso le vicende universitarie determinanti, non solo per l’assetto urbano, ma anche per l’economia della città. L’altro motivo di interesse è strettamente disciplinare ed è relativo alle vicende del Piano di sviluppo universitario elaborato all’inizio degli anni ’70 da Giancarlo de Carlo (ovviamente non realizzato), che rappresenta il più interessante caso di ridefinizione urbanistica di un possibile nuovo fertile rapporto tra università e città. Lo sviluppo dell’Università fuori dal centro storico La liberalizzazione delle iscrizioni universitarie prevista dalla L. 910 del 1969 aveva trasformato prepotentemente il quadro previsionale all’interno del quale si era mosso l’ateneo pavese e alla fine dello stesso anno il Consiglio di Amministrazione dell’Università decise l’acquisizione di una vasta area libera posta ad ovest della città, prossima al Policlinico San Matteo e al di là della ferrovia Milano-Genova. Scelta corretta dal punto di vista dell’Università, poiché la zona ovest a causa della barriera ferroviaria non era ancora sostanzialmente edificata ed era attestata sul nuovo raccordo con l’autostrada Mi-Ge. Scelta obbligata in quanto l’area era contigua ad alcuni istituti universitari realizzati negli anni ‘50/’60, ma soprattutto era prossima al Policlinico San Matteo, sede della facoltà di medicina che da sempre determina le scelte dell’ateneo pavese. La scelta dell’espansione dell’università fuori del centro era traumatica per la città, che agli inizi degli ani ’70 aveva come unico punto di riferimento il centro storico, ed anche per l’università, che non riusciva a configurare in termini spaziali e funzionali gli effetti di questa decisione che avveniva oltretutto in un periodo storico in cui sembravano in discussione i tradizionali assetti delle Istituzioni ed in cui i movimenti politici degli studenti avevano una capacità di condizionamento fortissimo, sia nei confronti dell’Università, che nelle forze politiche cittadine. L’Università molto abilmente scelse quindi di governare la propria riorganizzazione attraverso un piano urbanistico di sviluppo che venne affidato a Giancarlo De Carlo che

interpretò il tema della progettazione del polo esterno universitario e la conseguente ridefinizione delle sedi nel centro storico come un’occasione per ridefinire anche spazialmente il rapporto tra città ed Università. Il Piano De Carlo Nel Piano (1) del 1974 si individuano abbastanza chiaramente le posizioni del progetto sul ruolo dell’Università nella società e nel contesto urbano e sociale nel quale era inserita: “ L’Università oggi dovrebbe partecipare allo sviluppo della società definendo

serma Calchi che era stata da poco ceduta dal Comune all’Università, l’ex Orfanatrofio S. Felice e l’edificio dell’Ex Genio Militare in S.Pietro in Ciel d’Oro; il secondo corrispondente al nuovo nucleo di facoltà scientifiche nella zona ovest della città. Un ulteriore livello era costituito dai Poli Intermedi (i Collegi e le principali strutture di servizio fruibili anche all’esterno, come l’Orto Botanico). Oltre a questo tipo di gerarchizzazione, è la previsione dei Poli Periferici a costituire l’aspetto più ine-

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Perché infatti la sfida decisiva del dialogo che questo complesso vuole rafforzare è proprio quella dell’osmosi operativa tra creazione del sapere e produzione. Il KTC potrà ospitare spin-offs e aziende esterne che individuano nella collocazione in ambito universitario un’occasione importante di specializzazione e crescita: aziende nel settore della comunicazione giornalistica, televisiva, d’impresa; aziende del settore moda e stile. Osmosi di idee, di persone, di strutture - studi televisivi utilizzati sia come laboratori per studenti sia come strutture di produzione, per esempio. Un’osmosi che supera radicalmente i concetti e le pratiche oggi in voga per articolare il rapporto sapere/produrre, università/azienda, cioè quelli della consulenza universitaria o di stage aziendali. A questa logica della collaborazione episodica e settoriale si sostituisce quella dell’osmosi organica, del saper produrre, dell’affrontare insieme le sfide del futuro riempiendo di contenuti concreti il concetto anche troppo abusato di knowledge based economy. L’auditorium rappresenta un altro snodo essenziale del complesso: la comunicazione università/territorio trova la sua dimensione più estesa e continua in un luogo di grande prestigio architettonico adatto a proiezioni congressi, eventi culturali e artistici. IULM può rafforzare in questo modo la sua vocazione di centro culturale polivalente per la città italiana più vitale in campo artistico, dove peraltro esistono ancora spazi per dar vita, soprattutto nel campo del cinema, a manifestazioni di respiro internazionale. Auditorium e torre rispecchiano, in basso e in alto, le due fasi implicite in questo tipo di eventi: la fruizione pubblica immediata, la conservazione della memoria come fonte duratura di sapere.

Piano per lo sviluppo dell’Università di Pavia di G. De Carlo: L’asse universitario all’interno della città e la collocazione dei Poli Periferici. la sua funzione all’interno di un processo iterattivo tra due ruoli complementari: quello di condurre un’accurata e continua osservazione della realtà e quello di procedere alla generalizzazione e teorizzazione delle acquisizioni estratte dall’osservazione compiuta per trasformarle in materiale critico e propositivo da ridiffondere ancora nel reale. Il primo ruolo implica uno stretto contatto col contesto sociale, una percezione precisa dei conflitti tra le classi, una chiara consapevolezza delle esigenze e delle aspirazioni individuali e di massa: quindi implica un forte decentramento, anche di carattere spaziale. Il secondo ruolo impone invece una situazione di autonomia tecnica, per conferire unità alla didattica e alla ricerca e per favorire la confluenza di varie specializzazioni su problemi di interesse comune, impedendo l’isolamento delle discipline e favorendo la formazione di attività inter e transdisciplinari: quindi implica la concentrazione, anche di carattere spaziale” (2). La connessione tra idea dell’Università nella città e condizioni reali che caratterizzavano l’Ateneo pavese si concretizza nel modello “ multipolare” proposto da De Carlo e costituito dai Poli Centrali corrispondenti alla sede storica e al nuovo raggruppamento didattico del Cravino. Il primo di cui fanno parte l’edificio della sede centrale, l’ex Ca-

dito del Piano; strutture non del tutto definite, ma comunque da finalizzarsi ad un rapporto stretto tra istanze ed esigenze dei quartieri e risposte che l’Università potenzialmente può dare: biblioteche, osservatori sociali, consultori, ecc. Rispetto al problema del rapporto città-università De Carlo afferma che l’attuazione del Piano “ non potrà compiersi nei modi tradizionali – esaurendosi nell’obiettivo della costruzione di una serie di edifici – ma dovrà svolgersi come un “ processo” , coinvolgendo nelle decisioni, ad ogni sua fase, non solo le varie componenti universitarie e non solo le forze politiche, amministrative ed economiche della città, ma l’intero insieme delle classi e dei gruppi sociali che agiscono nel territorio pavese” (3). Quindi, “ integrazione attraverso la partecipazione” di tutti i soggetti che da questo processo vengono a qualche titolo coinvolti. Il Piano De Carlo sembrò condiviso dal committente ma soprattutto ebbe un successo inaspettato nella città e convinse sia il Movimento Studentesco sia le forze politiche locali. La condivisione del Piano De Carlo fu tale che nel luglio 1972 i partiti della sinistra sottoscrissero un accordo politico che conteneva l’approvazione del Piano Universitario e la contestuale bocciatura di un’ipotesi di espansione residenziale posta a sud della prevista area


universitaria e progettato da Alvar Aalto. Su questo programma di politica urbanistica le sinistre vinsero le elezioni amministrative e incaricarono Giuseppe Campos Venuti e Giovanni Astengo di predisporre il nuovo P.R.G.

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Il successo politico ed il depotenziamento del Piano Il Piano De Carlo venne quindi inserito nel Piano dei Servizi del 1974 e poi nella variante generale al P.R.G. adottato nel 1976. La conferma della volontà di attuare questo Piano venne avvalorata dalla sottoscrizione di una convenzione Comune-Università che sanciva reciprocamente i principali impegni ed obiettivi. La convenzione resta attiva però solo 48 ore; infatti dopo l’approvazione della convenzione da parte del Consiglio Comunale di Pavia il 12 maggio 1975, l’Avvocatura dello Stato (con una performance da primato) il 14 maggio 1975 esprime parere negativo “ in ordine all’assunzione di impegni finanziari: • realizzazione del polo periferico del Vallone; • sistema di comunicazione di grande efficienza; • impianti infrastrutturali vari con allacciamenti ai pubblici servizi; ecc. che non rientrino nei programmi quinquennali approvati a norma dell’Art. 36 della L. 641 del 1967” . Al di là degli aspetti burocratici la bocciatura della convenzione Comune-Università sancisce la scelta dell’Ateneo pavese di abbandonare il Piano De Carlo o meglio di utilizzarlo come schema direttore di massima per lo sviluppo del polo esterno ad ovest. L’attuazione del polo esterno ad ovest e le successive trasformazioni del sistema urbano hanno confermato le criticità già lucidamente sottolineate da De Carlo negli anni ’70 in termini di relazioni tra centro e zona ovest che si è ormai configurata come un comparto urbano esclusivamente direzionale. Un altro effetto indotto della concentrazione al Polo Cravino è che Pavia a differenza di quanto è avvenuto in vari contesti, non ha potuto utilizzare il “ motore” dell’Università per conferire maggiore energia e soprattutto per conferire una concreta fattibilità agli interventi di riqualificazione urbana. Probabilmente è questo l’aspetto che più di tutti gli altri ha reso arduo la costruzione di un programma strategico di riutilizzo delle aree dimesse limitando la funzione dei piani urbanistici al puro disegno urbano ed alla semplice funzione regolativa. Il sogno di De Carlo ed il teorema di Cambridge Riesaminando con attenzione le componenti politiche, disciplinari ed ideali che hanno condizionato il Piano De Carlo è probabilmente molto facile determinare come il progettista abbia frainteso i veri obiettivi del committente (molto più concentrati nel determinare l’assetto del Polo esterno) e come il committente abbia abilmente utilizzato la carica visiona-

ria contenuta nel progetto per ottenere l’appoggio incondizionato al progetto in una stagione politica di forti conflittualità sociali. Sarebbe bello poter dire che l’Università ha rinunciato alla sfida di De Carlo e che la città è stata tradita ma non sarebbe vero, perché il Piano De Carlo conteneva e contiene elementi eversivi che né l’Università né la città hanno mai accettato. Il Piano De Carlo infatti propone un’organizzazione spaziale che esplicita fino in fondo la pervasività dell’Università (soprattutto con i poli periferici) nella città ma al contempo la costringe a prendere atto della città e a trasformarla in un laboratorio dove dare ed acquisire conoscenza. Dalla metà degli anni ’70 ad oggi il mondo è cambiato e l’Università di oggi ha acquisito un ruolo ancora maggiore nella città. In questi anni si è trasformato però radicalmente anche il sistema universitario e la proliferazione degli atenei in Lombardia ha determinato per la prima volta da oltre un secolo una diminuzione degli studenti. Oggi quindi l’Università di Pavia è in competizione con altre sedi e la competizione riguarda sia la qualità dell’Università che la qualità nel territorio. Molti a Pavia ritengono che la risposta a questa situazione sia “ copiare” il modello Cambridge (4). Qualcuno comincia invece a pensare che il Piano De Carlo in fondo fosse più concreto e realistico di come sembrava. Massimo Giuliani

Note 1. Il paragrafo relativo alla presentazione del Piano De Carlo è tratto da: C. Baracca, G. De Martini, Civitas Studiorum? Pavia e la sua Università, in: Annali di storia delle università italiane 7/2003. 2. Mostra del Piano di sviluppo e ristrutturazione dell’Università di Pavia. In particolare: “Il modello di Università prescelto”, Pavia, 30 maggio 1974 (documento illustrativo). 3. Mostra del Piano di sviluppo e ristrutturazione dell’Università di Pavia. In particolare: “Il modello di Università prescelto”, Pavia, 30 maggio 1974 (documento illustrativo): l’attuazione e i costi del Piano. 4. “Il giornale di Socrate al caffè”, n. 4 novembre 2003 e n. 5 gennaio 2004.

Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni

Università degli Studi dell’Insubria Per la nostra Università, ancora giovanissima, l’impegno edilizio resta una priorità assoluta e, per questo, sarà necessario proseguire l’attività molto intensa degli ultimi anni, continuando a gestirla e ad organizzarla secondo un “ metodo della programmazione” , basato su quanto previsto dal piano triennale (200204) delle opere pubbliche di Ateneo. L’adozione del piano triennale, approvato nel dicembre 2001, costituisce un risultato importante: la nostra Università risulta fra i pochi Atenei che hanno provveduto a tale adempimento e questo la avvantaggerà certamente nel prossimo futuro, poiché una recentissima nota del MIUR invita i Rettori delle Università italiane a provvedere con urgenza a tale riguardo, “ considerato che tale adempimento condiziona la concessione di finanziamenti da parte dello Stato” . L’adozione del piano triennale ci permette di passare dalla fase di prima strutturazione e di primo impianto dell’Università nel territorio, alla fase in cui diventa necessario unificare tutte le diverse iniziative e proposte e ci consente anche di dare maggior vigore al rapporto con le città di Varese e di Como e con le associazioni ed i gruppi che guardano con interesse all’Università. La sintesi delle iniziative future e della loro collocazione, che sono contenute nel piano, consente infatti di conoscere il volto che l’Ateneo andrà ad assumere nel prossimo futuro e di orientare le scelte che presuppongono la presenza di una importante realtà universitaria sul territorio. In questo senso, anche il rapporto con le Amministrazioni Comunali, titolari del potere di pianificazione territoriale, potrà assumere maggiore linearità ed i processi di pianificazione urbanistica potranno e dovranno tenere conto dei bisogni insediativi dell’Università. Seguendo sempre il “ metodo della programmazione” , e sfruttando, nel caso della sede di Varese, la disponibilità di un’ampia fascia di terreni in zona Bizzozero (circa 130.000 mq, di proprietà dell’Amministrazione Provinciale), l’Ateneo ha provveduto alla redazione di un disegno unitario dell’area per la progettazione di un campus universitario, dove è prevista la realizzazione di un collegio universitario, di una mensa, di sale studio, di impianti sportivi, di nuove strutture didattiche e di ricerca e anche di un asilo nido. Attualmente, in tale zona sono aperti i cantieri riguardanti l’edificazione di un fabbricato per didattica ed uffici e la ristrutturazione dell’ex colonia agricola. La speranza e l’impegno dell’Ate-

neo è di realizzare la stessa progettazione nella sede di Como, dopo aver identificato un’area idonea, di concerto con gli Enti locali. Per quanto riguarda gli interventi edilizi propriamente detti, le prospettive sono quelle di realizzare, o almeno iniziare, tutte le opere che sono comprese nel piano triennale, adeguandolo, se necessario, alle nuove esigenze, che certamente emergeranno in entrambe le sedi dell’Ateneo. Il piano comprende numerose opere, la cui realizzazione richiederà la continuazione e l’intensificazione degli sforzi fatti finora per reperire tutti i finanziamenti necessari. Nel caso di Varese, gli impegni edilizi prioritari, che si intende perseguire e realizzare, compatibilmente con le disponibilità finanziarie ed i tempi tecnici necessari, riguardano: • 1. La ristrutturazione dell’ex Collegio S. Ambrogio, che rappresenta il polo centrale e fondamentale della sede varesina dell’Università dell’Insubria. Il progetto prevede la razionalizzazione e l’adeguamento degli spazi necessari all’Amministrazione universitaria ed alla Facoltà di Economia (aule, uffici, laboratori didattici, uffici amministrativi, spazi per gli studenti) e alla sua biblioteca per un totale di 5.500 mq. I lavori consisteranno nella ristrutturazione interna, nell’adeguamento degli impianti e nella realizzazione di una biblioteca adeguata ai più moderni criteri, così da poter disporre di un complesso che permetta lo svolgimento di tutte le attività didattiche, di ricerca ed amministrative e che comprenda anche spazi a disposizione degli studenti. La progettazione seguirà alcune delle linee scaturite dal concorso di idee bandito nell’anno 2000 dall’Università. • 2. La realizzazione di un edificio di circa 5.250 mq in zona Bizzozero, per ospitare le attività didattiche attualmente svolte nell’ex Collegio S. Ambrogio e consentire quindi l’inizio della sua ristrutturazione. La consegna dei lavori è stata effettuata nel settembre 2003 ed i lavori sono regolarmente in corso. • 3. La realizzazione di una residenza per studenti nel futuro campus di Bizzozero. Per questa iniziativa il nostro Ateneo ha già acquisito un progetto esecutivo per un edificio di circa 8.200 mq, in cui potranno essere ospitati circa 100 studenti sulla base degli standard di legge vigenti ed ha ottenuto di recente dallo Stato un cofinanziamento di 5 milioni di Euro. Le esigenze degli studenti sono pressanti e, per risolvere alcune delle più importanti, l’Ateneo ha preso contatti con gli Enti locali per cercare di risolvere il problema della mensa e quello dei parcheggi e dei trasporti. • 4. La ristrutturazione dell’ex colonia agricola dell’Ospedale Neuropsichiatrico per un totale di circa 2.700 mq, per ospitare laboratori, uffici e servizi amministrativi per i gruppi di ricerca della Facoltà di Medicina e Chirurgia che ne sono


poco tempo fa a funzioni di degenza ospedaliera. Lo stabile è destinato ad ospitare strutture scientifiche, amministrative e didattiche della Facoltà di Medicina e Chirurgia. I lavori necessari per il suo utilizzo prevedono: messa a norma degli impianti; sostituzione dei serramenti; parziale riassetto degli spazi interni; rifacimento dei servizi igienici; tinteggiatura delle facciate; sistemazione degli esterni. • 10. La realizzazione di un nuovo edificio in zona Bizzozero, per ospitare le attività dei nuovi Corsi di Laurea della Facoltà di Scienze, fra cui quello di Ingegneria per la Sicurezza del Lavoro e dell’Ambiente. La Facoltà di Scienze ha definito orientativamente in 2.000 mq la dimensione necessaria, al netto di corridoi, atri, scale e servizi igienici. L’edificio sorgerà nelle immediate vicinanze del Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, in un’area che il piano di azzonamento, previsto dal disegno unitario, destina alla funzione universitaria. Nel caso di Como, gli impegni edilizi prioritari, che si intende perseguire e realizzare, compatibilmente con le disponibilità finanziarie ed i tempi tecnici necessari, riguardano: • 1. La ristrutturazione ed il restauro conservativo del Chiostro di S. Abbondio, che rappresenta l’iniziativa edilizia più ambiziosa del nostro Ateneo, poiché si propone di recuperare un manufatto inserito in un complesso architettonico di estremo interesse storico e artistico. Il complesso monumentale di S. Abbondio rappresenta uno dei luoghi più ricchi di storia e di memorie per la comunità di Como e l’opportunità di legare il suo recupero alla destinazione come sede della Facoltà di Giurisprudenza permetterà certamente una più ampia riqualificazione dell’intero comparto, rivitalizzando il suo legame con la città. La disponibilità del Chiostro di S. Abbondio sarà certamente motivo di orgoglio per la sede di Como del nostro Ateneo, che potrà disporre di un ambiente di assoluto prestigio, con un totale di circa 5.000 mq, distribuiti in due piani. Un primo lotto di lavori è già stato realizzato ed ha compreso il consolidamento delle fondazioni ed il recupero statico delle coperture. Attualmente, è in fase di completamento il secondo lotto dei lavori di consolidamento statico, con il recupero delle facciate, e di definizione degli spazi della struttura. Il loro termine è previsto per la fine del 2005. Per la realizzazione di un terzo lotto di lavori, che consentano il completamento di questo intervento, è stato siglato dall’Ateneo un accordo di programma con la Regione Lombardia e con la Provincia ed il Comune di Como. • 2. Il ripristino e l’adeguamento del palazzo “ ex-Poste” di via Oriani, acquistato dall’Ateneo nel luglio 2002 per le esigenze del Corso di Laurea in Giurisprudenza. L’Ufficio Speciale per l’Edilizia Universi-

taria dell’Ateneo, diretto dall’architetto Sorrentini ha eseguito la progettazione esecutiva per il ripristino e l’adeguamento dell’edificio e la consegna dei lavori è avvenuta nel novembre 2003. La loro conclusione è prevista per la fine del 2004. • 3. La ristrutturazione dello stabile di via Carso, per dotare il Corso di Laurea in Chimica di laboratori di ricerca. L’edificio è di proprietà dell’Ateneo e consiste di 2 piani fuori terreno per un totale di circa 2.950 mq. I lavori di ristrutturazione prevedono: demolizione, co-

sta di sei piani, per un totale di 6.800 mq. ed il suo completamento prevede la realizzazione di spazi a verde, parcheggi e servizi per gli studenti, fra cui una caffetteria ed una libreria e la realizzazione di un “ anello seminterrato” , da destinare a laboratori, aule e spazi a disposizione dei Dipartimenti. I lavori relativi, della durata prevista di due anni, sono iniziati nel marzo 2004. • 6. La ristrutturazione di Palazzo Natta, in cui verranno ubicati gli Uffici del Pro-Rettorato ed altri Uffici Amministrativi. Il Comune di Como ha provveduto alla messa in sicu-

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ancora privi, dotandoli così delle strutture necessarie alla loro ricerca scientifica. I lavori, già appaltati ed assegnati, prevedono: – demolizione, costruzione e nuove partiture interne per l’edificio esistente; – realizzazione di impianti elettrici e speciali; – realizzazione di impianti meccanici e di condizionamento; – sistemazioni esterne. I lavori, la cui consegna è avvenuta nel novembre 2003, sono regolarmente in corso e sono già state completate tutte le opere di demolizione previste. • 5. La realizzazione di impianti sportivi nel futuro campus di Bizzozero, comprendenti un impianto coperto destinato a sport di squadra (basket, volley) e campi di tennis e calcetto all’aperto. L’impianto coperto potrà essere utilizzato anche per manifestazioni non sportive di interesse studentesco ed attività ricreative. • 6. Il completamento dell’edificio “ monopiano” di via Dunant 3, struttura di circa 700 mq adiacente al Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, con la realizzazione di altri laboratori per la Facoltà di Scienze MM.FF.NN. ed uno stabulario per anfibi, pesci e piccoli animali. • 7. La ristrutturazione del Padiglione Morselli, edificio di due piani per complessivi 4.300 mq, localizzato all’interno dell’ex Ospedale Neuropsichiatrico, adibito, fino a poco tempo fa, a funzioni di degenza ospedaliera. La finalità dell’intervento è di dotare le Facoltà di Medicina e Chirurgia e di Scienze MM.FF.NN. di strutture comuni, che permettano lo svolgimento delle attività didattiche in un unico polo, comprendente tutte le aule necessarie per i corsi istituzionali previsti e spazi a disposizione degli studenti e di alcune attività amministrative. La riunione degli studenti delle due Facoltà nello stesso complesso didattico favorirà la loro integrazione culturale e sociale, contribuendo sicuramente alla formazione di uno spirito universitario tipico dei “ campus” di altre Università italiane e straniere. • 8. La ristrutturazione delle Aule Seppilli, che sono ubicate in prossimità dell’ex Ospedale Neuropsichiatrico ed hanno un’estensione di circa 850 mq. Le Aule, attualmente utilizzate per l’attività didattica delle Facoltà di Medicina e Chirurgia e di Scienze MM.FF.NN., sono destinate ad essere ristrutturate per ospitarvi una biblioteca biomedica unificata. Lo scopo dell’intervento, per il quale l’Ateneo dispone già di un progetto preliminare, è quello di concentrare il servizio bibliotecario biomedico in un’unica sede, inserita nel futuro campus universitario e vicina alle strutture didattiche e scientifiche di entrambe le Facoltà interessate. • 9. La ristrutturazione del Padiglione Antonini, edificio di due piani per complessivi 2.800 mq, localizzato all’interno dell’ex Ospedale Neuropsichiatrico ed adibito fino a

Università degli Studi dell’Insubria. Previsioni progettuali in Varese, zona Bizzozero. struzione e nuove partiture interne per l’edificio esistente; realizzazione di impianti elettrici e speciali; realizzazione di impianti meccanici e di condizionamento; sistemazioni esterne. Il cantiere è stato aperto nella primavera del 2002. Tuttavia, per una serie di eventi del tutto imprevedibili, sopravvenuti dopo l’apertura del cantiere, si è resa necessaria una variante al progetto, della quale si sta ora discutendo con il Provveditorato alle Opere Pubbliche della Lombardia, che ha assunto la direzione dei lavori e la responsabilità del procedimento, e con l’Amministrazione del Comune di Como, per accelerare al massimo i tempi di esecuzione dell’intervento. • 4. Il completamento di nuovi laboratori di ricerca nell’edificio di via Castelnuovo, già utilizzato dall’Ateneo, per far fronte alle necessità del Corso di Laurea in Chimica, aggravate dai problemi sorti con il ritardo della ristrutturazione dell’edificio di via Carso. I lavori sono già stati conclusi e si stanno completando le prove degli arredi scientifici. • 5. Il completamento dell’edificio di via Valleggio, che è utilizzato anche dal Politecnico di Milano per i suoi Corsi di Laurea in Ingegneria, e che ospita diversi Corsi di Laurea della Facoltà di Scienze MM.FF.NN., il centro di elaborazione dati della nostra Università, uffici amministrativi e di rappresentanza, come quello del Rettore Vicario. La struttura è di nuova costruzione, con-

rezza ed alla manutenzione straordinaria delle facciate e delle coperture, nonché alle opere di conservazione e adeguamento funzionale ed impiantistico, che sono attualmente in fase di completamento. • 7. La ristrutturazione della “ Manica lunga” , destinato ad ospitare un collegio-foresteria con circa 30 stanze. L’Università possiede un progetto definitivo per la sua ristrutturazione ed è in fase di completamento la progettazione esecutiva. • 8. La manutenzione dell’edificio di via Cavallotti, sede della Facoltà di Giurisprudenza, che ha subito danni in seguito alla realizzazione di un parcheggio sotterraneo adiacente. Per tale motivo, è stata avanzata al Comune di Como la richiesta di provvedere al ripristino statico dello stabile, provvedendo anche all’abbattimento delle barriere architettoniche ancora esistenti nell’edificio. Gli interventi relativi sono in fase di attuazione. L’Università, inoltre, appronterà un progetto di adeguamento funzionale dell’edificio, tenendo conto della nuova sede della Facoltà di Giurisprudenza, che è in fase di realizzazione nello stabile di via Oriani. • 9. L’acquisizione in locazione, l’adeguamento e l’arredo di nuovi spazi per le esigenze dei nuovi Corsi di Laurea della Facoltà di Scienze e dei nuovi Dipartimenti. prof. Giancarlo De Luca Università degli Studi dell’Insubria


A cura della Redazione

I collegi universitari in area lombarda tra XVI e XVIII secolo In età moderna l’unica sede universitaria del ducato di Milano era quella di Pavia, per cui tracciare la storia dell’architettura dei collegi universitari in area lombarda in quell’epoca significa in gran parte occuparsi dei due edifici pavesi costruiti in età controrifor-

difficoltà di trovare alloggio in città. Esso si inquadrava anche in un più ampio processo, teso a creare una rete di strutture adatte alla formazione del clero e della futura classe dirigente. La fabbrica, avviata nel 1564 sotto la direzione del Tibaldi, doveva

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Veduta dell’Almo Collegio Ghislieri di Pavia fondato da S. Pio V. Disegno di Giovanni Veneroni, Pavia, 1776. mistica: il collegio Borromeo e il Ghislieri. Un po’ in tutta Europa, quasi contemporaneamente alla nascita delle università, erano sorte apposite strutture per ospitare gli studenti meritevoli e tenerli al riparo dai pericoli. Tanto è vero che buona parte della trattatistica rinascimentale si era occupata di questi edifici, fornendo suggerimenti su come dovessero essere progettati e realizzati. Per quanto riguarda Pavia, il primo collegio, di cui si abbiano notizie certe, è quello fondato nel 1429 dal cardinale Branda Castiglioni con intitolazione a sant’Agostino, che in seguito assunse il nome del fondatore. Esso ebbe sede in due case attigue adattate per l’occasione a sede della nuova istituzione. Nel corso del XV sec. sorsero altre piccole istituzioni di questo tipo spesso destinate a particolari categorie di studenti. Tra queste il collegio istituito nel 1438 dal giurista Catone Sacco e destinato agli studenti di diritto e teologia d’oltralpe. La fondazione, nel 1561, del collegio Borromeo da parte dell’arcivescovo di Milano con l’approvazione del papa Pio IV, sebbene potesse contare sull’esempio di illustri precedenti, assunse una connotazione inedita per la profusione di mezzi e per l’inusitata mole dell’edificio, progettato dall’architetto di san Carlo, Pellegrino Pellegrini, detto il Tibaldi, per un centinaio di studenti meritevoli, ma privi di mezzi. Il gesto fu stimolato dall’esperienza personale del Borromeo, che – avendo studiato a Pavia – aveva sperimentato la sregolatezza della vita universitaria e le

essere pressoché conclusa nel 1584, alla morte del committente, nonostante problemi iniziali dovuti all’ostilità del vicinato e la sospensione dei lavori tra il 1576 e il 1577 a causa di una grave epidemia di peste. Già dal 1581 era stato possibile insediarvi i primi undici studenti. Successivamente al 1584, venne ultimata la struttura del salone d’onore al piano superiore verso il giardino e quella del cortile. Dopo la partenza del Tibaldi per la Spagna, nel 1587, il cantiere venne diretto da Lelio Buzzi, mentre Martino Bassi realizzò la doppia scalinata di accesso al giardino ultimato tra il 1616 e il 1630, con l’apporto di Francesco Maria Richino, mediante l’erezione del muro di cinta, terminante in un’esedra con fontana, e di due ali simmetriche, una con portico trabeato su colonne doriche. L’edificio assunse l’aspetto, che mantiene tuttora, solo nel secondo decennio del XIX secolo, quando la prof anazione della chiesa romanica di San Giovanni in Borgo – conservata da san Carlo in aderenza al fianco sud del collegio – offrì l’occasione di liberare tale prospetto, che venne ridefinito architettonicamente da Giuseppe Pollack a imitazione del fronte principale cinquecentesco. Dal punto di vista architettonico l’edificio – definito da Vasari “ un palazzo per la sapienza” – non aveva precedenti in ambito pavese, dal momento che riprendeva, nelle dimensioni e nella tipologia, i palazzi romani dell’epoca, ponendosi in evidente contrasto – a causa del suo enorme e regolare volume – con il tessuto edilizio minuto e irregolare di una parte della città esterna al circuito

delle mura romane, ma compresa nell’area di ampliamento medievale. Con il suo ampio cortile a doppio ordine di loggiati ad archi su colonne binate, il Collegio Borromeo costituì un modello per molti degli edifici destinati all’istruzione sorti in seguito, dai collegi gesuitici di Genova e Milano al Seminario della Canonica. Esso, tuttavia, costituisce, oltre che un importante prototipo, anche un caso eccezionale per i veloci tempi di realizzazione, unitaria, senza vistose smagliature, senza parti rimaste incompiute o modifiche delle intenzioni originarie, come sarebbe, invece, accaduto in altre fabbriche. Nel caso del Collegio Ghislieri, fondato nel 1569 da papa Pio V per gli studenti provenienti da Bosco Marengo, l’edificio si presenta compiuto in modo meno unitario, inoltre le vicende costruttive risult ano indagat e meno approfonditamente. Iniziato nel 1571 sotto la direzione del Tibaldi l’edificio fu compiuto solo all’inizio del XVII secolo, ben oltre l’allontanamento dal cantiere del progettista, al quale era succeduto il rivale Martino Bassi. Riforme consistenti vennero apportate nel corso

della prima metà del XVIII secolo da Giovanni Antonio Veneroni, il quale ridefinì il piano superiore dei prospetti sul cortile e progettò modifiche per la facciata principale, rimaste però sulla carta. Il collegio ha una struttura simile a quella del Borromeo, con un impianto regolare, organizzato attorno a un grande cortile quadrato porticato ad archi su colonne binate. Al contrario del Borromeo, il Ghislieri presenta un aspetto esterno severo, attraversato orizzontalmente da una fascia marcapiano e sottolineato agli angoli da bugne nella parte inferiore e da lesene in quella superiore. Non è, tuttavia, impossibile che la liscia superficie muraria fosse originariamente prevista per accogliere una decorazione dipinta mai eseguita. Nel corso dei secoli seguenti vanno, infine, segnalati il Collegio Caccia – aperto nel 1681 e destinato agli studenti provenienti da Novara – e il Collegio Germanico Ungarico, istituito da Giuseppe II e insediato nei locali dell’ex convento francescano riadattato dal Pollack. Davide Tolomelli

L’università come problema di architettura Più di ogni altro tema di architettura, l’università rappresenta, forse, nel suo rapporto dialettico con la città, l’edificio collettivo per eccellenza: luogo deputato della conoscenza, contenitore del sapere e della ricerca, ma anche luogo dell’aggregazione e della vita comunitaria, della crescita e della formazione, che incide in maniera diretta sullo sviluppo della città (sul piano culturale e rappresentativo) e sulla sua forma (nelle scelte localizzative e di configurazione architettonica). È difficile sostenere che l’università abbia caratteristiche architettoniche proprie, ma nella storia gli edifici per l’università con i loro annessi (collegi, convitti, aula magna, biblioteca e refettorio) si possono assimilare, sul piano delle scelte tipologiche e distributive e quindi anche architettoniche, ai grandi complessi conventuali (dai quali è provata la discendenza, a partire dallo stretto legame che in epoca medievale unisce il sapere ai conventi prima ancora che alle università) o ospedalieri, complessi che rappresentano un elemento riconoscibile e individuato nella costruzione del tessuto urbano, decisivo nella definizione del sistema delle relazioni e gerarchie che lo governano, ma anche dotato di una relativa autonomia (1). Un altro aspetto importante, e strettamente legato al precedente, è, infatti, che l’insediamento universitario, per ragioni quantitative e dimensionali in prima istanza, ma anche per la complessità del-

l’organizzazione spaziale che richiede, tende a configurarsi come piccola città nella città – “ una città semplificata, una città element are come un cast rum romano” (2) –: un sistema di edifici che ripete (dentro o fuori la città) le stesse regole insediative e gerarchiche delle fondazioni urbane (residenza e edifici collettivi, spazio pubblico, semi-pubblico e privato, ecc.), e che tende a individuarsi come una parte riconoscibile e definita nella forma complessiva della città. Si può dire che fondare un’università è come costruire una città: è un problema di architettura, che si misura con tutti i modelli architettonici che la tradizione ci ha fornito e che la società ha consolidato (insediamenti dentro la città storica e “ campus” fuori dalla città, corte chiusa per gli edifici umanistici e blocchi autonomi per le discipline tecnico-scientifiche, ecc.), e che ha come obiettivo quello di qualificare e rappresentare tramite il progetto i caratteri dell’università e degli spazi della collettività nella loro relazione con la città (3). Esempi insuperati sono, in questo senso, gli insediamenti universitari nelle antiche città in Italia (Milano e Pavia, Bologna e Padova), ma anche in Francia, Germania e Spagna, e lo sono anche le esperienze anglosassoni dai College (Oxford e Cambridge) fino ai Campus universitari americani (dall’Università della Virginia di Thomas Jefferson fino all’Illinois Institute of Technology di Mies van der Rohe).


G. Polesello e G. Marcialis, Facoltà di Agraria, Ingegneria e Scienze dell’Università di Udine, 1982.

C. Aymonino e altri, II Università degli studi a Tor Vergata, Roma, 1986.

A. Rossi, Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo a Castellana (Va), 1990.

È interessante osservare, da questo punto di vista, come si siano confrontati con questo problema, quello di costruire per l’Università architetture adeguate, con una forma appropriata e riconoscibile (4), alcuni progetti per insediamenti universitari degli ultimi decenni. In particolare, a partire dall’analisi degli aspetti più propriamente planimetrici e compositivi, emerge la presenza, in progetti lontani tra loro nello spazio e nel tempo, di un interesse esplicito per alcune caratteristiche distributive e idee tipologiche ricorrenti che hanno un riferimento ai temi sopra descritti. Un esempio particolarmente significativo è quello della corte, o dell’accrescimento per corti nel tipo della crociera, che a partire dal modello degli ospedali quattrocenteschi (molti dei quali divenuti nel tempo università, come a Pavia l’Ospedale San Matteo o a Milano la Ca’ Granda del Filarete), sembra ben esprimere quella necessità di costruire una struttura complessa a partire dalla combinazione di unità semplici che caratterizza sul piano organizzativo e quindi compositivo gli organismi universitari. Ne sono esempio il progetto di Gianugo Polesello per la Facoltà di Agraria, Ingegneria e Scienze di Udine (1982), o quello di Carlo Aymonino per la II Università di Roma a Tor Vergata (1986), o ancora il progetto del nuovo Politecnico di Milano alla Bovisa, coordinato da Antonio Monestiroli (1990), o i progetti di Aldo Rossi per l’Istituto Universitario Carlo Cattaneo a Castellanza (1990) e per il Politecnico di Bari (1991), tutti impostati su schemi tipologici che, a partire dalla corte come elemento generatore del disegno planimetrico, utilizzano la crociera o l’aggregazione di crociere come elemento principale di strutturazione dell’insediamento universitario. L’esempio storico di riferimento sembra essere, in prima istanza, quello della crociera secondo il modo filaretiano di ripetizione e aggregazione dello stesso sistema all’interno di un unico grande manufatto, che è poi anche quello del complesso pavese di Ospedale e cortili sei-settecenteschi

unificati dal fronte piermariniano. È fin troppo esplicito, in questo senso, il progetto di Rossi per il nuovo Politecnico di Bari, che individua nell’” accrescimento per corti” il carattere tipico degli edifici pubblici, e partendo da alcuni “ modelli” della storia (Padova, Oxford, Milano) arriva a definire un’architettura per l’università non “ senza tempo” , ma inquadrata in un tempo più vasto di quello contemporaneo, capace di evocare e ricreare attraverso il progetto quei “ luoghi” storici con i loro valori di riconoscibilità e bellezza (5). In altri casi, tuttavia, la tendenza è piuttosto quella a scomporre la compattezza dei grandi complessi della città antica, in singole parti aut onome, at t raverso l’ individuazione di un impianto tipologico di base (la corte o la crociera, appunto), che diviene elemento ripetibile per unità indipendenti, giustapposto alla sequenza degli spazi e degli edifici pubblici. Così avviene nel progetto del nuovo Politecnico alla Bovisa, strutturato come una porzione di città proprio a partire dal tema della crociera, dove il riferimento storico può essere direttamente evocato dal progetto (Grassi), piuttosto che liberamente interpretato e contaminato con riferimenti altri (Canella), nonostante l’adesione dei singoli interventi ai princìpi proposti dal piano e quindi al tipo della crociera in senso stretto (cioè ai suoi particolari caratteri distributivi). È anche il caso dei diversi progetti di Aymonino, e in particolare di quello per la II Università di Roma a Tor Vergata, in cui, accanto al riferimento esplicito alla tipologia a crociera, è evidente il ricorso a procedimenti geometrici e compositivi fondati su maglie edilizie ripetute, che consentono il disegno di una figura d’insieme, senza necessariamente implicare la definizione di un unico manufatto architettonico. Un principio ordinatore modulare governa secondo un disegno assiale l’organizzazione di elementi architettonici semplici (il sistema delle grandi corti) e di spazi destinati alla vita collettiva. Inoltre, molto raramente l’insediamento di un complesso universitario di nuova costruzione avviene all’interno della città storica (in questo caso si predilige la rifunzionalizzazione di importanti edifici antichi): il nuovo intervento è per lo più svincolato da un rapporto immediato con la città e si propone piuttosto come elemento f ondat ivo di un cont est o ext raurbano, di cui cost ruisce la nuova regola insediativa e il nuovo punto di riferimento nel rapporto complesso tra città, periferia e campagna. In questo senso appare quasi immediato lo slittamento del riferimento dalla crociera canonica verso schemi che richiamano piuttosto le architetture dei grandi complessi ottocenteschi: dai mer-

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Il cimento del progetto è, dunque, quello di costruire, al di là di tutte le più ragionevoli e motivate scelte “ strategiche” (sul piano della localizzazione, ma anche del sistema organizzativo e planimetrico, talvolta), attraverso la forma e la disposizione degli edifici quegli spazi austeri e accoglienti, abitati e silenziosi, che rappresentano la cultura nella sua forma più diretta e immediata, quella esperibile attraverso l’architettura. Edifici con una forte caratterizzazione funzionale, nei quali la cultura si produce, ma anche si rappresenta, attraverso le qualità evocative e formali degli spazi che la ospitano.


versità e città storica, in Scritti scelti 1965-1999, Franco Angeli, Milano, 2000. 4. Si ricorda a questo proposito la definizione di architettura di G. Lukács: “ L’architettura crea uno spazio reale e adeguato che evoca

visivamente adeguatezza”, spesso citata da G. Grassi nei sui scritti, ibid. 5. La relazione del progetto è pubblicata in A. Rossi, Architetture 1988-1992, Electa, Milano, 1992. 6. G. Polesello, in “ Zodiac” , cit.

Università e studenti. Un’idea semplice Pubblichiamo, qui di seguito, l’intervento di Carlo Gandolfi, studente iscritto al V° anno di architettura presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano.

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A. Monestiroli, coordinatore, progetto per la nuova sede del Politecnico alla Bovisa, Milano, 1990.

A. Rossi, progetto per il nuovo Politecnico di Bari, 1991. cati, ai palazzi per le esposizioni, con le loro coperture vetrate, fino ai “ passages” commerciali, come dispositivo architettonico di articolazione dello spazio. È il caso, per esempio, dell’intervento di ristrutturazione sui fabbricati dell’ex cotonificio Cantoni a Castellanza di Rossi, in cui l’introduzione di un sistema distributivo “ a tre crociere” come elemento connettivo dei quattro corpi preesistenti, opera uno slittamento concettuale dal tipo della crociera verso la sua riduzione in termini di schema distributivo, fino a trasformarlo in spazio coperto intermedio ad altri manufatti, accentuando il carattere storico di “ grande opificio” del complesso. Ed è anche il caso della lettura della crociera operata da Polesello nel progetto per l’Università di Udine: quattro “ quartieri” attestati su una strada-galleria, che definiscono “ un organismo architettonico precisamente definito e caratterizzato, con luoghi e spazi di ident it à immediat amente riconoscibile” (6). Questa breve e tendenziosa rassegna di esempi, centrati sul rapporto tra impianto tipologico e carattere degli edifici universitari,

non si propone di esaurire il problema né tantomeno di fornire delle indicazioni univoche e definitive rispetto ai problemi del progetto. Si tratta piuttosto di una rif lessione nat a a part ire dagli esempi stessi e dalla considerazione di un comune at t eggiamento analitico e critico nei confronti dell’esperienza architettonica della tradizione come strumento necessario ma non sufficiente nell’affrontare quel particolare e indefinito tema di architettura che è la progettazione di edifici per l’università oggi. Silvia Malcovati e Michele Caja

Note 1. Per queste questioni si veda G. Canella, Passé et avenir de l’antiville universitarie, in “ L’architecture d’aujourd’hui”, n. 137, marzoaprile (1968) e Università e città, in “ Zodiac” , n. 7 (1992). 2. La definizione è tratta da G. Polesello, Facoltà di Agraria, Ingegneria e Scienze dell’Università di Udine, in “ Zodiac” , cit. 3. Sul rapporto università-città vedi G. Grassi, Architettura, uni-

Il panorama universitario milanese appare, probabilmente, il più variegato d’Italia. La Lombardia conta su di una rete di atenei assai articolata (sia dal punto di vista dell’offerta che della distribuzione in ambito territoriale). Per fare un esempio, il solo Politecnico vanta numerose sedi e solo per la facoltà di Architettura, alla sede principale di Milano, si affiancano la facoltà di Architettura Civile di Bovisa, e quelle di Mantova e Piacenza. Tuttavia, quello lombardo, appare essere, a un’analisi superficiale, un sistema innervato in una rete infrastrutturale di trasporti tale da incitare il pendolarismo, ma non la permanenza. Equesto per la mancanza di attrezzature e luoghi, in primis, per gli studenti. Qui un piccolo paradosso che vede un carattere “ regionale” nella fruibilità e accessibilità effettivi, ma di dimensioni e dall’offerta a scala nazionale. La tematica è, a livello regionale, alquanto vasta sotto vari profili, ma riteniamo Milano in grado di fornire uno spaccato piuttosto veritiero, sebbene assai specifico, di una situazione più generale. Pensare al sistema universitario nella nostra regione, significa, per uno studente, portare immediatamente l’attenzione su una problematica più vicina alla sua vita d’ogni giorno, cioè la questione dello studio, intesa sotto il profilo della qualità dello studio e della possibilità di studiare. Qualche giorno fa, Alice, una ragazza che studia architettura a Leonardo, mi ha raccontato che viene a Milano da un paese vicino Brescia tre volte alla settimana, dalla mattina alla sera col treno, perché non si è mai potuta permettere una stanza in affitto. Lo fa da tre anni e sono in tutto quattro ore di viaggio al giorno. Mi ha anche raccontato che porta con sé un pasto, ogni giorno. Così risparmia. E come Alice, tanti studenti fanno avanti e indietro portando con sé un pasto che consumano seduti su un muretto, oppure in un’aula vuota. Parlo con parecchi altri studenti e mi accorgo che Milano è proibitiva per molti e, per dare una risposta a questo, non bastano i numeri: non bastano delle percentuali che, ultimamente, nelle sfere politiche e dell’amministrazione, sono spesso

usate per quantificare, arginare, descrivere e giustificare situazioni, per rassicurare su fenomeni, per promettere cose future. Ecco la discrasia che separa e divide gli studenti, alla fine, poi – forse un po’ schematizzando – in base alle loro possibilità economiche, in base al censo, alle possibilità della loro famiglia. Ne parlo con Alice, che rilancia: “ questo succede a Milano, figurati cosa capita nel resto d’Italia, dove le università sono anche messe peggio!” Tutto ciò, effettivamente, avviene in una regione dove il panorama è quello che abbiamo delineato più sopra: in una regione geograficamente centrale in Europa e con potenzialità economiche estremamente elevate. Noi studenti sentiamo spesso parlare di risorse, di centralità, di competitività, di adeguatezza al mondo del lavoro (e di molti altri altisonanti slogan, molti dei quali così lontani da noi) e ci rendiamo conto che è facile illudersi, confondersi e non capire. Èfacile sognare mondi che prescindono dalla vera formazione e dalla qualità di un percorso formativo, educativo e soprattutto critico, oltreché in-formativo tout-court. Assai raramente si sente parlare della condizione effettiva dello studente, e, nella fattispecie, della mancanza di tutti gli elementi che dovrebbero concorrere a formare un complesso di fattori costruttivi e contenutistici dell’università. Quello che crediamo è che non può essere sufficiente, soprattutto se si parla di qualche migliaio di studenti, costruire un’università, farci arrivare un treno, pensare di favorire una nuova socialità della zona e ritenersi soddisfatti. È abbastanza semplice capire quali altri possano essere gli elementi costitutivi; si tratta, poi, di un fatto complesso: non una mera sommatoria di strutture, di investimenti non coordinati tra loro e pertanto finalizzati alla formazione di uno scenario ambiguo e non integrato, come, ad esempio, è in parte capitato a Bovisa che continua ad essere una realtà ben poco interagente col quartiere. Pensiamo a investimenti, economici e di idee, sul singolo studente, sulla singola condizione di vita, sulla persona vista come risorsa effettiva, piuttosto che su un sistema che, talora, assume le dimensioni faraoniche proprie dei grandi progetti che, con la scala dell’uomo, discente, hanno ben poco a che vedere. Carlo Gandolfi


Triennale di Milano, 6 maggio 2004

Nel contesto delle nuove condizioni poste dalla liberalizzazione del mercato e in occasione dell’Assemblea Generale del Consiglio degli Architetti d’Europa, la Triennale ha ospitato un seminario internazionale che ha segnato l’apertura della “ Festa per l’architettura” , una fitta serie di incontri (vedi AL n. 6/2004, pp. 2930), svoltisi nei mesi di maggio e giugno. I rappresentanti degli organi coinvolti sono stati invitati a un dibattito sul futuro delle professioni – in particolare quella dell’architetto – all’interno di uno scenario che richiede capacità concorrenziali crescenti, tali da soddisfare interessi allargati, con l’obiettivo di riconoscere i mutamenti in atto, senza tradire le specificità della disciplina. Il tema del seminario è di viva attualità, dal momento che la Commissione europea ha avviato un processo di riforma dei servizi professionali (proposta del commissario Bolkestein da approvare entro il 2005), basato su regole a difesa dell’interesse generale; tali norme verranno concordate assieme ai rappresentanti degli Ordini professionali, cui vengono dunque riconosciuti un ruolo e un’autorità cruciali per razionalizzare l’eterogeneo panorama attuale. In apertura, Stefano Castiglioni, Presidente della Consulta degli Ordini degli Architetti Lombardi, sottolinea che “ lo scopo primario dell’incontro è dimostrare che, in campo architettonico, l’accesso al libero mercato deve evitare un atteggiamento di deregulation, bensì adottare senza dubbio delle regole, se necessario anche speciali (...). Rimane molto lavoro prima di ottenere suggerimenti concreti da fornire ai vertici decisionali per costruire il futuro della professione, ma soprattutto della città” . Occorre allora concentrarsi su chi utilizza il servizio. E, continua Castiglioni, “ il consumatore non è solo il promotore (in quanto cliente del servizio), ma piuttosto il cittadino (in quanto fruitore dell’edificio e della città). Questo è il motivo per cui la professione di architetto deve essere necessariament e riconosciut a come attività di pubblico interesse” . Le condizioni del mercato – Interviene sul tema l’Onorevole Vietti, Sottosegretario alla Giustizia: “ Siamo consapevoli di doverci confrontare con una sensibilità europea che in molti punti è diversa dalla nostra tradizione. Credo però che un Paese non debba mai fare riforme che si illudono di fare tabula rasa del proprio passato. Gli Ordini con tutti i loro limiti sono la storia delle

professioni nel nostro Paese (...). Bisogna partire da qui per tenere presente la spinta, che ci viene dall’Europa, di una maggiore aderenza al principio della concorrenza. Continuiamo a ritenere che (...) il rapporto tra il professionista e il cliente non è un rapporto assimilabile semplicemente a quello della cessione di beni o di servizi (...) è un rapporto asimmetrico in cui il depositario di tutte le conoscenze è il professionista” . Vietti conclude enunciando alcuni princìpi della proposta di riforma che lo vede tra i protagonisti: “ è necessario che il rapporto professionale sia assistito da una garanzia di qualità, che certifichi l’affidabilità del professionista nei rapporti con il cliente (...). C’è bisogno che qualcuno si faccia garante della preparazione, della f ormazione, del t irocinio, dell’aggiornamento, del rispetto della deontologia, della corretta concorrenza e della corretta applicazione delle tariffe” . È opinione del relatore che tale ruolo spetti appunto agli Ordini. – Uno degli strumenti per promuovere la qualità in architettura è rappresent at o dal concorso. Claudio Artusi, amministratore delegato Sviluppo Sistema Fiera Milano, afferma che iI concorso instaura un meccanismo di concorrenza che genera effetti positivi sulla qualità dell’offerta di servizi in architettura. Riferendosi all’esempio del concorso per il Polo esterno della Fiera, nella valutazione dei progetti è stata premiata la migliore qualità e non la proposta economicamente più vantaggiosa. – Per un’analisi dei meccanismi del capitalismo occidentale, si ricorre allo sguardo di un economista, Gian Paolo Prandstraller, docente alla Facoltà di Scienze Politiche di Bologna, che parla di “ capitalismo cognitivo” , basato cioè su un costante apporto di conoscenza scientifico-tecnologica, e afferma che due sfere dovrebbero sempre interagire: da un lato i knowledge workers, dall’altro professionisti ufficialmente riconosciuti. Se vi è attrito tra queste figure, la ricerca non può progredire. L’architettura è al contempo professione regolamentata e disciplina intellettuale: ricopre dunque un ruolo vitale per produrre servizi e strategie innovativi e competitivi. Le riforme possibili – Ruth Paserman, della Commissione Europea, Direzione Generale Concorrenza, riferisce delle azioni di riforma della Commissione; evidenzia l’emergere di difficoltà determinate dal panorama eterogeneo che i diversi Stati offrono in merito a requisiti di accesso alla professione, restrizione

della pubblicità, tipi di società permessi, diritti esclusivi, “ fissazione dei prezzi” . La Commissione riconosce in questi settori un certo grado di regolamentazione, ma è del parere che in alcuni casi, alle tradizionali regole restrittive, debbano subentrare meccanismi preconcorrenziali. – Per conoscere l’attività dello Stato italiano in rapporto alle politiche europee, viene ascoltata Armanda Bianchi Conti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Politiche Comunitarie. Molti Stati – e tra questi l’Italia – sono in fase di adeguamento alle direttive comunitarie. Tuttavia l’allargamento dell’Unione da 15 a 25 Stati incrina gli equilibri precedenti e sortisce nuovi problemi di comparazione. Lo Stato, di fronte a direttive europee sempre meno numerose e più generali, dovrebbe mirare a colmare il vuoto normativo, mantenendo una sensibilità verso gli specifici contesti e anticipando le tendenze del mercato, invece di attendere gli input europei. In questo l’architetto può esercitare un ruolo decisivo, grazie alla proprie qualità di flessibilità, aggiornamento e creatività. – Per quanto attiene all’operato del CAE, che ha il compito di fornire suggerimenti alla Commissione Europea per avvicinarla alla realtà della professione dell’architetto, intervengono John Wright, Presidente della Commissione Permanente 2, e Wolfgang Haack, Presidente del Gruppo di Lavoro Concorrenza. Ribadiscono la necessità di un codice “ pan-europeo” , che permetta alla categoria di adeguarsi al mercato che modifica forme e pratica dell’architettura. – Non manca il conf ront o con esperienze esterne all’ambito comunitario: Eugene C. Hopkins, Presidente dell’American Institute of Architects e Richard Burdett, Direttore del Dipartimento Cities Programme della London School of Economics, riconoscono entrambi l’importanza della formazione didattica per l’ottenimento di effetti positivi sulla qualità finale. – Anche Daniela Volpi, Presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Milano, si sofferma sulle riforme possibili per promuovere la qualità: “ La qualità dell’architettura non può esistere se non ha alla base la qualità del progetto e poiché a sua volta il progetto non è che la risposta a una domanda, dobbiamo lavorare per ricostruire la qualità della domanda (...). Perché questo avvenga è necessaria una nuova consapevolezza delle politiche per il territorio ed una più efficace organizzazione delle amministrazioni” . Si riprende la questione della concorrenza: “ una condivisibile riforma dovrebbe facilitare tutte le iniziative che pongono l’emulazione e il confronto alla base della realizzazione architettonica. Pensiamo quindi che il concorso di architettura sia un’in-

sostituibile occasione per stimolare la committenza ad assumere un ruolo attivo per migliorare la qualità degli interventi pubblici” . Cruciale per la riforma è inoltre “ giungere alla definizione di un codice etico condiviso che riguardi il comportamento dei professionisti nei confronti della categoria, della committenza, e della società civile” , poiché, conclude Volpi, “ l’architettura è più di ogni altra disciplina l’espressione culturale essenziale dell’identità storica di ogni paese, e si fonda su una serie di valori etici ed estetici

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che ne formano la qualità, contribuendo a determinare le condizioni di vita dell’uomo” . Dibattito finale e conclusioni Emergono in chiusura alcuni dubbi sostanziali: in primo luogo sulla possibilità stessa di giungere a uniformare le regole professionali, in quant o il sist ema a 25 pone problemi inaspettati e punti di differenza sempre più numerosi; in seconda ist anza, permangono interrogativi sul “ fattore formazione” , perché occorre ancora precisare i confini di competenza per i laureati appartenenti a “ classi” diverse; infine incertezze sul ruolo delle associazioni non regolamentate, che contestano il potere degli Ordini e premono per un equivalente riconoscimento delle professioni emergenti. Spetta a Leopoldo Freyrie, Presidente ACE/CAE, sintetizzare quanto emerso nel confronto e concludere il seminario. Lo fa con una semplice, quanto incisiva considerazione: “ Se è vero che l’80% dei cittadini europei vive in città e passa il 90% del proprio tempo all’interno di un edificio, è chiaro che l’interesse del consumatore dell’architettura coincide con l’interesse generale” . Sul cammino della riforma delle professioni all’interno di uno scenario dalla complessità crescente, questo messaggio riporta l’attenzione sul cittadino e sulla qualità della sua vita presente e futura. Mina Fiore

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Seminario “L’architettura e il mercato”


Conversazioni a cura di Antonio Borghi

Intervista ad Andreas Brandt • Da trent’anni a questa parte Andreas Brandt ha prodotto una straordinaria serie di progetti e visioni urbane – alcune realizzate, altre rimaste sulla carta – esercitando una forte influenza sulla teoria e sulla pratica dell’architettura contemporanea. Nel 1973

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ha part ecipat o alla XV M ost ra d’architettura della Triennale di Milano – quella diretta da Aldo Rossi –, nel 1985 la stazione dei treni a levitazione magnetica al Tiergarten di Berlino gli è valsa il Premio Mies van der Rohe, mentre il fabbricato viaggiatori della stazione di Kassel è stato esposto alla Biennale di Venezia. Ha insegnato a Yale, Berkeley, Berlino, Kassel e Darmstadt restando sempre protagonista della scena architettonica di Berlino con edifici residenziali nell’ambito dell’IBA e durante lo sviluppo vorticoso degli anni Novanta. Negli ultimi anni si è dedicato alla realizzazione del nuovo centro urbano per Hellersdorf, un enorme quartiere dormitorio alla periferia di Berlino. • Il progetto con il quale nel 1990 abbiamo vinto il concorso per Hellersdorf prevedeva la realizzazione di una nuova grande piazza e l’intensificazione del tessuto urbano adiacente. Nell’area di progetto si intersecano la linea dei tram e della metropolitana e, già ai tempi della DDR, era previsto un centro urbano che non era mai stato realizzato, mentre gli insediamenti residenziali tutt’intorno ospitavano circa centomila abitanti. Insieme a Rudolph Boettcher abbiamo realizzato la piazza e diversi edifici pubblici, mentre altre parti del masterplan sono state progettate da colleghi. Abbiamo addensato il tessuto urbano assumendo le direttrici del contesto e servendoci di suggestioni provenienti da culture diverse: c’è il quartiere italiano, il quartiere francese, il quartiere orientale e la grande piazza si richiama a modelli spagnoli. In alcuni casi abbiamo anche fatto togliere i piani

superiori agli edifici a lama in pannelli di cemento prefabbricato – i cosiddetti plattenbauten – e modificato i profili stradali con edifici bassi adibiti a funzioni pubbliche. Purtroppo molti dettagli del progetto non sono stati realizzati come volevamo: l’amministrazione è troppo debole di fronte ai developers ed è sempre pronta a fare compromessi pur di assicurarsi gli investimenti. Comunque il proget t o st a avendo un grande successo: mentre la maggior parte di questi insediamenti vengono abbandonati, a Hellersdorf gli abitanti sono aumentati del dieci per cento negli ultimi anni. • Mentre facciamo questa chiaccherata stai continuando a disegnare, colorando con le matite un disegno a china. Pensi che il risultato del lavoro di progettazione dipenda anche dai mezzi che si adoperano? • Credo che viviamo in un’epoca veramente noiosa. Tutti quelli che mi vengono a trovare non fanno altro che chiedere: ma perché stai ancora disegnando a mano? Perché non usi il computer? Il fatto è che quando faccio un progetto cerco di rappresentarlo non come sarà il giorno dell’inaugurazione, ma dopo qualche decina d’anni, quando gli alberi sono cresciuti e la gente si è appropriata dei luoghi. Per fare questo con il computer ci vuole troppo tempo e i risultati sono deludenti. Quando il computer cerca di imitare la realtà i risultati sono del tutto insoddisfacenti e se cerchi di migliorarli ci vuole talmente tanto tempo che preferisco farlo a mano. Poi ci vogliono troppe apparecchiature e si ha sempre bisogno di assistenti, così che non potrei mai disegnare quando sono in viaggio. A mano invece posso disegnare sempre e dovunque: in India, in Tibet, in Cina, sull’isola di Lussino, in Croazia, dove vado in vacanza con mia figlia, nel mio studiolo a Pellestrina o in Liguria, dove ogni tanto vado a trovare Rob Krier. A mio parere la dipendenza dal computer, come quella dal telefono cellulare, ha portato ad un grave decadimento dei costumi e della cultura occidentale. • I tuoi disegni di oggi sono molto diversi da quelli che conosciamo dalle pubblicazioni: da quanto tempo ti sei dedicato allo studio delle culture orientali? Qual è il tuo progetto? • Ho iniziato a lavorare a questi disegni nel 2001, anche se il mio interesse risale a molti anni prima. La maggior parte dei paesi che sto studiando sono raggruppati intorno all’Himalaya, in zone inaccessibili ai motoveicoli che conservano intatti molti loro caratteri originali. Sono villaggi raggiungibili con alcuni giorni di cammino, ognuno dei quali è autosufficiente e governa se stesso: questo è il tratto comune di queste realtà in India come in Tibet, in Nepal, in

Cina, in Mongolia e anche in Vietnam. Quello che mi affascina in questi luoghi è che nessuno prende ordini da nessuno: perfino i bambini – che vanno tutti a scuola e aiutano i genitori nei campi – vengono ascoltati ed educati alla libertà e all’ indipendenza. Tutti fanno tutto: il lavoro nei campi, le strade, le case, gli utensili. In Nepal ci sono 64 diverse confessioni religiose, ognuna con la propria lingua, che convivono pacificamente negli stessi villaggi. • D’accordo, è molto interessante, ma come mai un architetto con una carriera come la tua si dedica a queste indagini più vicine all’antropologia che all’architettura? • Per un sacco di motivi. Da noi la qualità delle costruzioni è così scadente che è davvero un grande piacere vivere in questi villaggi, dove non esiste una sola casa che sia mal fatta. Oggi la maggior parte degli architetti progetta edifici senza senso e pretende di insegnare a tutti quale sarà l’architettura del futuro. In questi villaggi ci sono alcune tipologie di case e ogni famiglia si costruisce quella che meglio soddisfa le sue esigenze. Se la famiglia cresce molto, si costruisce una nuova casa e le generazioni vivono una accanto all’altra. • Ma la complessità della nostra società non si può certo paragonare a questi semplici villaggi... • Certo che no, ma siamo proprio sicuri di amare così tanto il nostro stile di vita da pretendere di esportarlo in tutto il mondo? In questi paesi ci sono forme di democrazia molto più raffinata ed equa della nostra. Lo sviluppo del nostro sistema di vita comporta che la maggior parte degli architetti non possano più costruire una casa semplice e utile, ma sono costretti a fare progetti assurdi per soddisfare le assurde esigenze del mercato. • È questo che vuoi mostrare nei tuoi disegni: planimetrie, prospetti e sezioni di questi villaggi ritratti coi loro abitanti, la vegetazione e perfino gli animali domestici? • Proprio così! Inoltre scrivo una specie di diario che approfondisce alcuni aspetti della loro cultura e consegno queste relazioni al Ministero della Ricerca Scientifica che è interessato al mio lavoro, ma in fondo lo faccio soprattutto per me. Ormai i disegni sono tanti e sto pensando di metterli tra due lastre di plexiglass per renderli più maneggevoli. Bisogna vederli tutti insieme per vedere le differenze: ogni paese ha le sue case a seconda dei materiali e delle tecniche costruttive. Del resto ogni famiglia ha dei figli che vanno a fare il militare nell’esercito indiano, oppure vanno a fare i lavapiatti a Dubai, o le guardie privat e a Hong Kong. St anno via per un po’ di anni, dopo aver sposato una ragazza del paese e mandano i soldi a casa.

Tornano una o due volte all’anno, fanno un nuovo figlio e poi ripartono. Dopo una decina d’anni fanno definitivamente ritorno: con una piccola rendita riprendono la vita del villaggio e dopo poco sono i loro figli a partire. Alcuni di loro sognano di importare la cultura occidentale: nelle loro case trovi foto dei divi di Hollywood e dei grattacieli di Hong Kong, ma, se provano a costruire in cemento, le fondazioni vengono spazzate via dalla natura e alla fine tornano a costruire coi loro metodi tradizionali. • Trovi più similitudini o differenze tra le case in India, Tibet, Nepal, Mongolia e Vietnam? • Sono tutte diverse, soprattutto in relazione ai materiali di cui si dispone. In Vietnam cresce rapidamente un legno molto duro col quale si fanno buoni telai portanti e si costruiscono grandi case per otto o dieci persone. Ognuno ha il suo spazio privato intorno ad un grande vano centrale coperto. Dove il legno è meno disponibile si fanno case più piccole e si impiega anche la pietra. Più in alto, dove il legname da costruzione è ancora più scarso, si fanno case col tetto piano in paglia e fango – anche perché piove molto di rado. Se c’è una fessura nel tetto basta una manciata di argilla per ripararla e d’estate il tetto diventa una bellissima terrazza. Ovunque vado, trovo costruzioni diverse e straordinarie, soprattutto perché non si tratta dell’invenzione di qualcuno in particolare, ma dei modi di costruire che sono stati messi a punto da centinaia di anni. Ci sono villaggi in Vietnam dove le case private hanno stanze rettangolari e appartengono alle donne – gli uomini possono starci solo se invitati, altrimenti dormono in altre case, a pianta circolare, che sono riservate a funzioni ‘pubbliche’. • Uno dei tuoi progetti più ambiziosi è il rilievo di un complesso monastico in Mongolia, un progetto che segui da diversi anni. • Siamo andati in Mongolia per la prima volta nel 2001 per incarico della DFG, il centro nazionale di ricerca tedesco, che aveva inviato archeologi in questa zona cinque anni prima. Il complesso, all’interno del quale avevano vissuto fino a diecimila persone, è collocato ai margini dell’antica capitale mongola di Gengis Kahn ed è recintato da mura perimetrali in pietra alte otto metri, di oltre 400 metri di lato. Nel 2001 abbiamo rilevato le fondazioni degli edifici che si trovavano all’interno di questo recinto e che erano stati distrutti dai “ pionieri della Mongolia” nel 1937, in piena rivoluzione culturale. Il rilievo delle fondazioni – insieme alle foto panoramiche scattate dai russi prima della demolizione – hanno permesso la ricostruzione del complesso e la Kunsthalle di Bonn sta preparando una grande mostra.


A cura di Roberto Gamba

Concorso di progettazione “Giardini di Porta Nuova”, Milano

L’obiettivo del progetto è di ricucire e rivalutare il contesto urbano.

Le chiavi e i concetti intrinseci che ispirano e guidano il disegno sono le connessioni urbane, la memoria e la cultura del contesto, la comunità, il valore simbolico dell’acqua.

La Giuria, presieduta da Stefano Boeri e composta da Giovanna Giannachi, Pierluigi Nicolin, João Nunes, Ippolito Pizzetti, Ermanno Ranzani, Umberto Riva, Donato D’Urbino, Giancarlo Tancredi, Bruno Eduardo Viganò (supplente), ha vagliato, nel mese di settembre, le oltre cinquanta candidature giunte. Il progetto dal titolo “ La Biblioteca degli alberi” del gruppo Inside Outside è stato scelto dalla Giuria fra i 10 finalisti (6 stranieri e 4 italiani) e gli è stato conferito l’incarico per la progettazione definitiva ed esecutiva del Parco.

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Concorsi

L’intervento previsto dall’Amministrazione Comunale mirava alla creazione di nuovi giardini in un’area oggi fortemente degradata, che potesse soddisfare molteplici esigenze presenti e previste; che potesse costituire il punto di partenza per la realizzazione del programma già in atto di trasformazione di “ Garibaldi Repubblica” e diventare un vero e proprio nuovo centro per la città e per la regione urbana, un luogo del tutto inedito per Milano, con un carattere di straordinaria innovazione e modernità a livello internazionale.

Finalista Kathryn Gustafson con Neiv Porter, Marj Bowman (Londra)

Finalista Martha Schwartz con Isabel Zempel, Donald A. Booth e con Markus Jatsch, John Pegg (Cambridge, USA)

1° classificato Mathias Lehner MSCA con Petra Blaisse, Mirko Zardini, Michael Maltzan, Piet Oudolf e con Rob Kuster (Amsterdam) - Inside Outside Elemento centrale del progetto è la “ Biblioteca degli alberi” , luogo di collegamento tra le diverse realtà della zona: il nuovo polo delle istituzioni, il quartiere Isola, la Città della Moda, Piazza della Repubblica. Il parco sarà organizzato attorno ad una trama di percorsi che si intrecciano tra loro e attraversano gruppi di alberi, spazi verdi e architetture che ospitano servizi, in molteplici itinerari dal carattere didattico, conoscitivo e visivo. Nei giardini si svolgeranno eventi pubblici all’aperto e le attività culturali e ludiche che coinvolgeranno una popolazione diversificata: re-

sidenti, impiegati, turisti, giovani, anziani e famiglie. Nel Parco sono posizionati alcuni organismi didattici e formativi, destinati a fungere da luogo di accumulo e diffusione della conoscenza, come il “ Museo dei Fiori e degli Insetti” , negli edifici ristrutturati di via De Castilla e il “ Museo della Moda e del Design” , nel grande edificio a ponte su via Sassetti. L’area Garibaldi Repubblica è immaginata come un grande campusper la città e caratterizza, come possibile fonte di un’esperienza conoscitiva individuale, la relazione, ogni volta diversa e creativa, tra la fitta trama dei percorsi di attraversamento (e le relative sottostrutture), le porzioni piantumate del suolo e le “ foreste circolari” che punteggiano l’intera area.

I concetti ai quali si ispira il progetto sono: una casa con molte stanze, piccoli e grandi spazi aperti per tutte le età, culture e attività e la volontà di unire quartieri separati; la simultaneità, l’unità nella

pluralità, da utilizzare in tutte le stagioni dove diversi avvenimenti possono realizzarsi contemporaneamente. Un posto che salvaguardi le attività pubbliche, che si lasci plasmare dal tempo integrando vecchi e nuovi circondari in spazi costruiti in diverse fasi. Una potente nuova immagine per Milano, una nuova tipologia di parco per il ventunesimo secolo.


Finalista Marco Bay con Sophie Agata Ambroise, Francesco Dondina, Guido Durazzano, Giovanni Orefice, Marinella Patetta, Giuseppe Raboni, Claudio Valent, Luca Vitone, Marco Zanuso jr. e con Antonio Bucellati, Enrico Cappellini, Daniela Capuccio, Stefania De Meo, Jenny Mazzon, Alma Tursuonovic (Milano)

Le linee guida del progetto presentato si ispirano all’arte spaziale di Lucio Fontana e quindi i materiali del giardino (aria, terra, acqua e luce) si fondono con la spazialità ottenuta dalle modellazioni e dai tagli nella terra; attraverso campiture di erbe che rincorrono il vento; da boschetti di salice con densità variabile; e da allineamenti e intersezioni dei profili dei pioppi.

Finalista Andrea Branzi con Italo Rota, Ronan Pierre Bouroulec, Erwan Bouroulec (Milano)

vizi diversi, contenuti in un disegno che si basa sull’interpretazione del territorio come giacimento di energie biologiche che mutano nel tempo, producendo trasformazioni stagionali e ambientali, che possono essere governate all’interno di un progetto complessivo.

Concorsi

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Finalista Adriaan Geuze con Jerry Van Eyck, Paolo Pomodoro, Tim Power, Pietro Gelmini e con Joop Paul e Stefano Baia Curioni (Rotterdam) Gli ingredienti base del progetto sono l’ecologia, le infrastrutture,

le condizioni meteorologiche, i programmi di edificazione e le persone. Lo scopo è di incorporare questi vari aspetti in una maniera giocosa e ottimistica che stimoli il desiderio di conquista e possesso di uno spazio.

L’ipotesi è quella di realizzare un parco del tutto originale, dove convivono funzioni produttive e ser-


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Il progetto si basa sul concetto di ” Giardini di linee” che catturano i movimenti e “ Giardini del tempo” che si compongono di parti più resistenti e di parti disponibili a cambiamenti più rapidi legati alla possibilità di eventi inattesi.

Concorsi

Finalista Marco Navarra con Laura Gatti, Carlo Alberto Maggiore, Fabio Nonis e con Franco Cislaghi, Gianluigi Marazzi, Michele Rossi (Milano)

Finalista Michio Sugawara con Tomojuki Minami, Kazuhiko Matsuo, Kazuto Jokokawa, Nobuhiko Befu, Marco Corbella, Francescomaria Bonanotte, Antonio Godino, Stefano Monaco, Hiroki Hasegawa, Chisa Toda e con Antonio Cipriani, Davide Canepa, Roberto Verro (Tokyo) Il progetto consiste in un prato im-

Finalista Giancarlo De Carlo con Mark Owen Francis, Paolo Pejrone, Elio Tarulli, Clement e Schiatti, Arturo Busà, Marco Muscoggiuri, Annalisa Rossi Cairo, Iolanda Romano, Evaline Morant i, M at t eo Poli e con M assimo Majowiecki, Hans Ulrich Obrist (Milano)

La tendenza del progetto è di sostituire allo sviluppo della città per blocchi edificati lo sviluppo urbano per sequenze di paesaggi governati dalla presenza sostanziale, non decorativa, della natura; il Giardino di via Garibaldi è come un Giardino Pentafronte che da uno spazio centrale guarda, condiziona e stimola cinque diverse parti della città.

maginato come un mare verde dai confini indefiniti, caratterizzato da numerosi pontili che galleggiano su di esso localizzando le attività e trasferendo la vita quotidiana dai nodi urbani ai Giardini. La varietà dei luoghi è percepibile grazie a sottili differenze di tessiture e pieghe nel terreno come tasselli di un mosaico di essenze differenti.


Finalista Peter Walker con Antonio Montanari, Angelo Lunati, Luca Varesi, Loris Colombo, Bruno Finzi e con Giulio Orsi, Enrico Moretti, Francesca Pisani, Marco Pollice (Berkley, USA) Il giardino è stato concepito come un “ condensatore urbano” , capace

di aggregare attrezzature urbane e di ospitare le forme di vita della città contemporanea durante l’intero arco della giornata; il suo carattere tenta di evocare e riscoprire valori ancestrali legati all’uso della terra e dei suoi prodotti richiamando valori connessi alle nozioni di manutenzione e coltivazione e la ritualità ciclica delle pratiche connesse.

Concorsi

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Riqualificazione di lungolago a Stresa, (Verbano Cusio Ossola) Scopo del concorso è stato la riqualificazione urbana ed architettonica del lungolago relativo al nucleo di antica formazione, attraverso un insieme di interventi puntuali ma coordinati. Il percorso individuato si sviluppa lungo corso Italia, a partire dalla sua origine in piazza Matteotti verso Baveno e verso Belgirate. Gli ambiti di intervento sono stati due: il ridisegno dei prospetti architettonici degli edifici esistenti, nel tratto definito dall’Hotel Milano, l’edificio comprendente il distributore di carburanti e l’Hotel Ariston; la sistemazione e nuova definizione dei marciapiedi lungo

corso Italia e su piazza Matteotti, sino ai fronti degli edifici in affaccio che ne delimitano lo spazio fisico e percettivo; la nuova pavimentazione di piazza Matteotti, con una proposta che preveda l’utilizzo di materiali locali e un arredo compatibile con le attività commerciali e turistiche esistenti. La Commissione Giudicatrice era presieduta da Mario Ermini e composta da Carola Gracchi, Margherita Bianco, Paolo Colpo e Alberto Pizzetti. Oltre ai progetti qui presentati, sono stati menzionati i lavori di Guido Avignone Rossa e di Marta Veruggio.

1° classificato Gianfranco Gallina (Torino) La destinazione commerciale e turistica degli edifici interessati dall’intervento ha suggerito di scegliere lungo il percorso pedonale elementi di arredo semplici e di limitate dimensioni, tali da non creare difficoltà al transito dei frequentatori. La scelta cromatica della pavimentazione ha rispettato i colori della città. Il progetto ha proposto la sostituzione di pensiline, déhors, chioschi, fioriere, mediante la realizzazione di una passeggiata coperta realizzata con struttura por-

tante in acciaio inossidabile satinato e copertura in vetro trasparente. Per ombreggiare è stata posta sotto il vetro una pellicola serigrafata in kevlar. I pali di tale struttura sono stati utilizzati anche a sostegno dei corpi illuminanti realizzati mediante un sistema composto da uno schermo diffusore in resina poliestere e da un proiettore, tale da creare un’illuminazione uniforme priva di abbagliamento. La pensilina è sorretta da pali posti al centro del marciapiede. In corrispondenza dei déhors sia chiusi che aperti, la copertura si estende per permettere la creazione di altri spazi coperti.


Tutte le facciate sono state pensate intonacate e dipinte con cornicioni, fasce marcapiano e lesene tinteggiate a contrasto rispetto ai fondi. Per quel che riguarda il colore, il modello è sempre bicromatico, con rilievi, basamento e cornicione, imitanti materiali lapidei (rosa di baveno, bianco, e pietra grigia) con fondi gialli, verzini, rosa e rossi che riprendono il colore del laterizio o della terracotta. La propo-

sta prevedeva su corso Italia la realizzazione di un nuovo marciapiede suddiviso in un camminamento (pavimentati in granito rosa di Baveno fiammato) e in spazi adibiti a déhors (pavimentate con cubetti in serizzo). L’acqua è l’elemento fondamentale del paesaggio della città, per cui all’incrocio dei camminamenti viene realizzata una fontana a forma di spirale i cui getti d’acqua sono posizionati come delle canne d’organo.

modo diverso, differenziando il percorso dei marciapiedi dalla piazza. Una serie di fioriere sono posate sul ciglio del marciapiedi a ridosso dell’area a parcheggio sulla s.s. 33 “ del Sempione” ; permetteranno la creazione di una gradevole barriera “ verde” al rumore ed allo smog proveniente dalla strada. Il sistema-pensilina, in sostituzione degli elementi singoli esistenti (pensiline, tettoie e verande), è composto da una particolare struttura in profilati metallici su cui sono state installate speciali vetrate. Costruttivamente la struttura metallica reticolare verrà sostenuta da

una serie di sottili pilastri tubolari che avranno anche la funzione di pluviali. L’illuminazione della piazza Matteotti, ha punti luce disposti secondo le direttrici evidenziate con il nuovo disegno della pavimentazione e del percorso lungolago, attraverso un sistema incorporato nella struttura portante della nuova pensilina. Per l’illuminazione del percorso al di sotto della pensilina sono state disposte fibre ottiche integrate nel sistema portante della struttura, che non comportano la fastidiosa problematica dell’abbagliamento per i pedoni.

3° classificato Claudio Scillieri (Gallarate)

linguaggio tecnico comune, in grado di costituire anche un prezioso manuale di manutenzione ordinaria programmata. Secondo obiettivo del progetto è la fornitura di nuova qualità. La proposta consiste in un nuovo elemento urbano multifunzionale, in grado di segnare il percorso, quasi identificandolo territorialmente; da tale identificazione non si esclude un intento di riconoscibilità. Questo elemento risponde anche ad una serie di funzioni (ruoli) di cui si avverte la necessità, anche a seguito di una semplice passeggiata lungo l’ambito del concorso: copertura dalla pioggia in forma continuativa, possibilità di seduta, razionalizzazione degli elementi di affissione e di porta rifiuti, illuminazione discreta e funzionale. È stata proposta anche la realizzazione di una quinta verde sul lato edifici, in grado di costituire, con le alberature già presenti sul lato lago, una sorta di viale alberato.

Primo obiettivo del progetto consiste nel ripristino della qualità perduta, ricercando un sistema fondato non più sulla prescrizione cogente, ma sull’indicazione dei comportamenti possibili e sul riconoscimento qualitativo delle compatibilità; non tendere a divieti e obblighi ma consigli e interpretazioni. La norma deve essere frutto di conoscenza, non di decisione. È con questa modalità che diventa possibile un “ ridisegno dei prospetti architettonici degli edifici esistenti (…) una nuova e precisa unitarietà di carattere ed identità urbanist ico-archit et t onica, soprattutto in considerazione della presenza/eliminazione delle superfetazioni e pertinenze di cui sopra, con una proposta di definizione cromatica dei prospetti esistenti” . Il piano offre inoltre la possibilità di recuperare metodiche e modalità costruttive, offrendo un

2° classificato Attilio Barone con Massimiliano Bellini, Andrea Torri, Marco Torri (Stresa) Le variazioni di livello del percorso sono state superate mediante rampe evidenziate con variazioni cromatiche ottenute attraverso la diversa

lavorazione del materiale lapideo; la pavimentazione è in lastre regolari di serizzo, posate su un sottofondo rigido in calcestruzzo rinforzato da rete metallica elettrosaldata. Avendo scelto l’utilizzo di un unico materiale, si è studiato l’accostamento del materiale in lastre di forma regolare, ma posate in

Concorsi

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Legislazione a cura di Walter Fumagalli

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A chi spetta il compito di approvare i piani regolatori? Finalmente cominciano ad entrare in vigore i primi piani territoriali di coordinamento provinciali, ed in contemporanea i comuni delle province interessate hanno cominciato ad approvare in via definitiva i piani regolatori e le relative varianti, ivi comprese quelle che fino ad oggi erano state soggette all’approvazione della regione. Alla luce del contenuto delle norme di legge vigenti in materia, tuttavia, viene da chiedersi se ciò sia legittimo, e cioè se effettivamente l’entrata in vigore dei piani provinciali determini l’automatico trasferimento ai comuni di tali funzioni. Per dare risposta a questa domanda, non si può fare a meno di ripercorrere le disposizioni che, nel corso degli anni, hanno regolamentato la competenza ad approvare i piani regolatori. Ai sensi dell’Articolo 10 della Legge 17 agosto 1942 n. 1150, fino al 1972 tali piani venivano approvati dallo Stato. Con l’Articolo 1 del D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8 fu però stabilito che “ le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di urbanistica sono trasferite, per il rispettivo territorio, alle regioni a Statuto ordinario” (primo comma), e che “ il trasferimento predetto riguarda, tra l’altro, le funzioni amministrative statali concernenti (...) l’approvazione dei piani regolatori generali; l’autorizzazione e l’approvazione delle relative varianti” (secondo comma, lettera “ d” ). In Lombardia, in attuazione di tale regola, l’Articolo 27 della Legge Regionale 15 aprile 1975 n. 51 chiarì espressamente, al secondo comma, che “ il piano regolatore generale è approvato dalla Giunta regionale” . Qualche anno dopo, il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 confermò la competenza regionale in materia, disponendo da un lato che “ sono trasferite alle regioni le funzioni amministrative dello Stato (...) nelle materie urbanistica, tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale” (Articolo 79), e stabilendo dall’altro che “ restano ferme

tutte le funzioni amministrative già trasferite alle regioni con legge o con atti aventi forza di legge anteriori al presente decreto” (Articolo 136). Questo assetto rimase sostanzialmente inalterato per vent’anni, fino a quando l’Articolo 4 della Legge 15 marzo 1997 n. 59 non dispose che “ nelle materie di cui all’Articolo 117 della Costituzione, le regioni (...) conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non richiedono l’unità di esercizio a livello regionale” (primo comma), e che “ i conferimenti di funzioni (...) avvengono nell’osservanza dei seguenti princìpi fondamentali: (...) il principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l’esercizio delle funzioni amministrative” (terzo comma, lettera “ i” ). In attuazione di queste norme, l’Articolo 3 del Decreto Legislativo 31 marzo 1998 n. 112 fissò la regola per cui “ ciascuna regione, ai sensi dell’Articolo 4, commi 1 e 5, della Legge 15 marzo 1997 n. 59, (...) determina (...) le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire tutte le altre agli enti locali, in conformità ai princìpi stabiliti dall’Articolo 4, comma 3, della stessa Legge n. 59 del 1997” (primo comma), ed al contempo chiarì che “ la legge regionale di cui al comma 1 attribuisce agli enti locali le risorse umane, finanziarie, organizzative e strumentali in misura tale da garantire la congrua copertura degli oneri derivanti dall’esercizio delle funzioni e dei compiti trasferiti” (terzo comma). Lo Stato passava quindi la palla alle regioni, ed in coerenza con i princìpi fissati dalla legge nazionale la Regione Lombardia, con l’Articolo 3 della Legge Regionale 22 gennaio 1999 n. 2, dispose che: • “ la data di passaggio delle funzioni è stabilita, su conforme delibera della Giunta regionale, con uno o più decreti del direttore generale competente per materia (diciassettesimo comma); • “ i decreti di cui al comma 17 sono adottati entro quattro mesi dagli accreditamenti di risorse finanziarie occorrenti per l’esercizio delle funzioni conferite” (diciannovesimo comma). • “ il trasferimento agli enti locali di risorse umane deve comunque

concludersi non oltre sei mesi dalla data di passaggio delle funzioni fissata dai decreti di cui al comma 17” (ventesimo comma). Finalmente l’Articolo 3 della Legge Regionale 5 gennaio 2000 n. 1 ha stabilito che “ sono trasferite ai comuni le funzioni relative all’approvazione degli strumenti urbanistici comunali generali ed attuativi e relative varianti” (tredicesimo comma), fermo restando che a far tempo dalla data in cui acquista efficacia il rispettivo piano territoriale di coordinamento provinciale, “ sono abrogati i commi da due a cinque dell’Art. 27 della L. R. 15 aprile 1975 n. 51” (ventiduesimo comma). Il successivo Articolo 5 della medesima legge ha peraltro confermato che “ per i tempi e le modalità del passaggio delle funzioni e del trasferimento delle risorse finanziarie e strumentali si applicano le disposizioni di cui all’Art. 3, commi 17, 19 e 20 della L. R. 2/1999” (primo comma). Alla luce di quest’ultima normativa, si tratta di valutare se l’entrata in vigore dei piani provinciali faccia effettivamente migrare l’approvazione dei piani regolatori e delle relative varianti, dalla sfera di competenza della regione a quella dei comuni. A questa conclusione potrebbe indurre l’Articolo 3.22 della Legge Regionale n. 1/2000 che, come rilevato, prevede l’abrogazione dell’Articolo 27, secondo comma, della Legge Regionale n. 51/1975, come conseguenza diretta e immediata dell’entrata in vigore dei piani territoriali provinciali (un’abrogazione davvero insolita, visto che per diverso tempo la norma, “ abrogata” in alcune province, continuerà ad applicarsi in tutte le altre). In realtà, però, l’Articolo 3.22 citato non deve trarre in inganno: l’Articolo 27, secondo comma, della Legge Regionale n. 51/1975, infatti, si è limitato ad individuare l’organo regionale cui spetta il compito di approvare i piani regolatori, mentre la competenza della regione in materia è stata fissata dalle disposizioni statali poc’anzi elencate, disposizioni che il citato Articolo 3.22 non ha minimamente scalfito. D’altro canto, una disposizione regionale che avesse previsto il trasferimento della competenza dalla regione ai comuni, senza attribuire

loro “ le risorse umane, finanziarie, organizzative e strumentali in misura tale da garantire la congrua copertura degli oneri derivanti dall’esercizio delle funzioni e dei compiti trasferiti” , sarebbe stata fortemente sospetta di illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio sancito dall’Articolo 3.3 del Decreto Legislativo n. 112/1998 e dall’Articolo 4.3 della Legge n. 59/1997. In realtà, come si è visto, proprio per rispettare detto principio il legislatore regionale ha dettato l’Articolo 5 della Legge Regionale n. 1/2000, per cui non pare fondata un’interpretazione di quest’ultima legge che prescinda da tale articolo, il quale riguarda in generale il “ passaggio delle funzioni” regionali disciplinate dalle disposizioni precedenti, senza particolari distinzioni e senza esclusione alcuna. Non si è quindi lontani dalla realtà se si sostiene che, salvi i casi regolamentati dalla Legge Regionale 23 giugno 1997 n. 23, la funzione di approvare i piani regolatori e le loro varianti passi ai comuni solamente dopo che si siano verificati tutti i seguenti eventi: • anzitutto deve essere entrato in vigore il piano territoriale di coordinamento della provincia di appartenenza (vedi l’Articolo 3.13 della Legge Regionale n. 1/2000, in relazione all’Articolo 3.22 della stessa legge); • secondariamente la Giunta regionale, con propria delibera, deve aver indicato la data di passaggio della relativa funzione (vedi l’Articolo 3.17 della Legge Regionale n. 2/1999, richiamato dall’Articolo 5.1 della Legge Regionale n. 1/2000); • devono essere state accreditate ai comuni le risorse finanziarie occorrenti per l’esercizio della funzione conferita (vedi l’Articolo 3.19 della citata Legge Regionale n. 2/1999, anch’esso richiamato dall’Articolo 5.1 della Legge Regionale n. 1/2000); • entro i successivi quattro mesi deve essere fissato, con decreto del competente Direttore Generale della Regione ed in conformità alla precedente delibera della Giunta regionale, il giorno preciso a partire dal quale inizia ad operare la competenza comunale (vedi ancora l’Articolo 3.17 della Legge Regionale n. 2/1999). Non pare pertanto infondato rite-


W. F.

I mutamenti di destinazione d’uso: il rito ambrosiano Il Comune di Milano si è sempre contraddistinto per un’applicazione “ creativa” delle norme di legge in materia urbanistico-edilizia: chi non ricorda le licenze edilizie rilasciate negli anni ’50 in attuazione del piano regolatore “ e delle sue future varianti” ? La stessa sorte sembra stia accadendo alle disposizioni che disciplinano i mutamenti di destinazione d’uso, contenute negli Articoli 1, 2 e 3 della Legge Regionale 15 gennaio 2001 n. 1. Il Legislat ore regionale ha demandato alle singole amministrazioni comunali il compito di aggiornare lo strumento urbanistico generale, al fine di individuare le destinazioni d’uso non ammesse nelle singole zone omogenee, e di indicare in quali casi i mutamenti di destinazione d’uso di aree o edifici, attuati con opere, siano idonei a comportare un aumento o una variazione del fabbisogno delle aree di standard. Il Comune di Milano non ha ancora provveduto ad adeguare il proprio P.R.G., ma in compenso il Direttore del Settore concessioni ed autorizzazioni edilizie lo scorso 2 febbraio 2004 ha emanato la disposizione n. 7/2004, avente lo scopo di “ fornire disposizioni operative riguardo al significativo numero di interventi che (...) vengono presentati (...) e aventi per oggetto la realizzazione di opere edilizie che comportano modifiche di destinazione d’uso” . Tale disposizione suscita più di una perplessità. Anzitutto ci si chiede: visto che l’Articolo 3.1 della Legge Regionale n. 1/2001 attribuisce al consiglio comunale, esaminate anche eventuali osservazioni dei cittadini, il compito di decidere attraverso una variante di piano regolatore “ in quali casi i mutamenti di destinazione d’uso di aree e di edifici attuati con opere edilizie, comportino un aumento ovvero una variazione del fabbisogno di standard” , può un Dirigente sostituirsi al consiglio comunale rimast o troppo a lungo inerte, ed assolvere tale compito impartendo apposite disposizioni ai propri uffici? In un Paese normale la risposta sarebbe probabilmente negativa. La disposizione n. 7/2004 prende

comunque le mosse dalla definizione di destinazione d’uso, contenuta nell’Articolo 1 della Legge Regionale 9 maggio 1992 n. 19: “ è da intendersi destinazione d’uso di un’area o di un edificio il complesso di funzioni ammesse dallo strumento urbanistico per l’area o per l’edificio” . Partendo da tale definizione, che non a caso qualifica come “ tutt’altro che intuitiva” , la disposizione asserisce che “ il concetto di destinazione d’uso al quale occorre fare riferimento non è la destinazione d’uso in atto in un immobile esistente, ma il complesso di funzioni ammesse dallo strumento urbanistico” . E qui nasce un’altra perplessità. È vero che la normativa regionale è quanto mai confusa, ma forse l’Articolo 1.3 della Legge Regionale n. 1/2001, quando parla di “ mutamenti di destinazione d’uso di aree o di edifici” , intende proprio riferirsi alla “ destinazione d’uso in atto di un immobile esistente” , e non al complesso di funzioni ammesse dallo strumento urbanistico per l’area o per l’edificio” : questo “ complesso di funzioni” può essere infatti mutato solo con una variante di tale strumento urbanistico, ritualmente approvata dal consiglio comunale con il concorso dei cittadini e degli altri enti competenti in materia, e non dalle decisioni prese dai proprietari degli immobili, decisioni che invece devono uniformarsi alle previsioni dei P.R.G. e non possono certo modificarle. Forse non è un caso, del resto, che la Legge Regionale n. 19/1992 sia richiamata solo nel secondo comma dell’Articolo 1 della Legge Regionale n. 1/2001, che appunto spiega come va redatta la disciplina urbanistica del territorio, e non nel successivo terzo comma, che regolamenta in modo specifico i mutamenti di destinazione d’uso. Dopo aver ricordato che, secondo la precedente Circolare n. 4/2002, “ i cambi di destinazione riguardanti immobili oggetto di opere edilizie effettuate entro i dieci anni precedenti dovevano essere equiparati ai cambi d’uso con contestuale esecuzione di opere” , facendo leva sulla richiamata Legge Regionale n. 19/1992 la disposizione asserisce che i mutamenti di destinazione d’uso potrebbero essere posti in essere anche mediante l’esecuzione di interventi di nuova costruzione “ nell’ambito di quanto previsto dall’Art. 13” del regolamento edilizio. E qui un’altra perplessità non può mancare: il contenuto del citato Articolo 13 non sembra davvero applicabile alle nuove costruzioni! Tale norma stabilisce infatti che, “ al fine di favorire il miglioramento dell’ambiente urbano nei termini del suo completo utilizzo, (...) è sempre consentita la variazione d’uso attuata mediante la sostituzione, anche con opere di carattere edilizio, di un’attività o funzione esercitata con altra che, secondo le N.T.A. del P.R.G., sia con-

siderata compatibile con la zona funzionale” . La regola è applicabile nei soli casi in cui si proceda alla “ sostituzione (...) di un’attività o funzione esercitata” , e davvero non si vede come possa essere “ esercitata” un’attività in un edificio non ancora esistente. La disposizione n. 7/2004 sostiene poi che a Milano, nonostante il comune non abbia ancora approvato la variante di P.R.G. che individua i casi in cui il mutamento di destinazione d’uso comporta una variazione del fabbisogno di standard, l’Articolo 3 della Legge Regionale n. 1/2001 sarebbe già oggi applicabile, anche nella parte in cui commina sanzioni per i mutamenti di destinazione d’uso con opere edilizie, effettuati senza la preventiva presentazione dell’atto unilaterale d’obbligo o della convenzione che dovrebbero essere previsti da detta variante. Questo, salvo poi riconoscere espressamente che “ la presentazione dell’impegnativa al conferimento degli standard e relative garanzie deve considerarsi un’iniziativa autonoma (forse si intendeva dire “ spontanea” ) della parte, non imposta da norme, alla quale essa ricorre in sostanza allo scopo di non pagare la sanzione prevista dall’Art. 3 della L. R. 1/2001” . Come non essere perplessi di fronte a tale affermazione? Il piano regolatore di Milano non prevede alcun caso in cui il mutamento di destinazione d’uso necessita dell’atto d’obbligo unilaterale o della convenzione, nessuna norma li impone, l’Articolo 3.3 punisce la mancata presentazione dell’atto d’obbligo o della convenzione solo ove ciò sia previsto dal piano regolatore, ma se il cittadino non presenta tali atti è soggetto all’applicazione di una sanzione! Se l’interpretazione del comune fosse esatta, sarebbe il primo caso di una sanzione comminata per un comportamento perfettamente lecito, il che evidentemente non è possibile. Al di là di tutte le perplessità che la disposizione n. 7/2004 fa nascere, resta comunque il fatto che, salvo improvvisi ripensamenti, la stessa verrà concretamente utilizzata dagli uffici preposti alla trattazione dei mutamenti di destinazione d’uso e che quindi gli operatori dovranno attenersi alle indicazioni ivi contenute. A tal fine la disposizione prevede che le parti debbano: • quantificare la s.l.p. di progetto che comporta aumento del fabbisogno di standard, e ciò sulla base della superficie lorda di pavimento oggetto del mutamento di destinazione d’uso ed in riferimento alle quantità di s.l.p. presenti nell’unità urbanistica di riferimento, suddivise per ciascuna destinazione in atto; • in funzione di tali dati quantitativi, determinare la corrispondente superficie delle aree di standard da conferire ed impegnarsi alla relativa cessione;

• infine fornire idonea garanzia per l’assolvimento dell’impegno assunto, la cui entità dovrà essere pari al valore di monetizzazione delle aree da cedere. Per l’ipotesi in cui l’istante procedesse alla quantificazione della s.l.p. che comporta la necessità di reperimento di una quota di standard aggiuntivo e si impegnasse alla sua cessione, senza fornire alcuna garanzia, l’Amministrazione comunale provvederà d’ufficio al calcolo degli importi corrispondenti al valore di monetizzazione della aree da cedere. Qualora invece l’istante non provvedesse a fornire all’Amministrazione i dati quantitativi necessari per la determinazione della s.l.p. oggetto di cambio di destinazione d’uso sarà l’amministrazione ad effettuare i relativi conteggi, ad indicare l’ammontare delle aree di standard da reperire, a richiedere la presentazione dell’impegnativa alla cessione e della relativa garanzia ed infine a segnalare l’importo della sanzione applicabile nei casi di mancata presentazione di quanto richiesto, pari al doppio degli oneri di urbanizzazione. Infine, per quanto concerne i casi più frequenti di mutamento di destinazione d’uso, la disposizione comunale contiene una tabella esemplificativa, che dovrebbe aiutare ad individuare quali mutamenti di destinazione siano ammessi, quali siano in contrasto con il piano regolatore ed in quali casi gli interventi generino un fabbisogno aggiuntivo di aree di standard. Emiliano Fumagalli

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nere che, in mancanza anche di uno solo di questi adempimenti, l’approvazione dei piani regolatori e delle relative varianti (diverse, ben inteso, da quelle individuate dall’Articolo 2 della Legge Regionale n. 23/1997) rientri fra i compiti della Regione anche dopo l’entrata in vigore dei piani territoriali provinciali.


Strumenti a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato

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Leggi G.U. n. 45 del 24.2.2004 - Suppl. Ordinario n. 28/ l Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’Art. 10 della Legge 6 luglio 2002, n. 137 Il Codice unico unifica nella nozione di bene culturale sia il patrimonio storico, artistico ed archeologico che quello paesaggistico. La parte prima tratta delle disposizioni generali. La parte seconda dei beni culturali. La parte terza dei beni paesaggistici. La parte quarta delle sanzioni. La parte quinta delle disposizioni transitorie, abrogazioni ed entrata in vigore. G.U. n. 96 del 24.4.2004 - Serie generale Legge 23 aprile 2004, n. 104 Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto Legge 23 febbraio 2004, n. 41, recante disposizioni in materia di determinazione del prezzo di vendita di immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione Il Decreto Legge 23 febbraio 2004, n. 41, recante disposizioni in materia di determinazione del prezzo di vendita degli immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione, è convertito in legge con le modificazioni apportate alla presente legge. G.U. n. 96 del 24.4.2004 - Serie generale Testo del Decreto Legge 23 febbraio 2004, n. 41 (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale n. 45 del 24 febbraio 2004), coordinato con la Legge di conversione 23 aprile 2004, n. 104 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla p. 4), recante: “Disposizioni in materia di determinazione del prezzo di vendita di immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione” All’Art. 1 la presente legge tratta delle modalità di determinazione del prezzo degli immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione. G.U. n. 104 del 5.5. 2004 - Serie generale Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 2004, n. 115 Criteri per il rilascio dell’autorizzazione alla prestazione, da parte di intermediari finanziari, di fideiussioni in relazione all’affidamento di lavori pubblici, ai sensi dell’Art. 30, comma 1, della Legge 11 febbraio 1994, n. 109 All’Art 1 il presente decreto tratta delle definizioni quali “ testo unico, elenco speciale, rilascio di garanzie, mezzi patrimoniali, esercizio in via preliminare dell’attività di rilascio di garanzie” . All’Art 2 dell’autorizzazione ai sensi dell’Art 30, comma 1 della Legge 11 febbraio 1994, n. 109 definendo che tale autorizzazione è rilasciata dal Ministero dell’Economia e delle finanze agli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale che svolgono in via esclusiva o prevalente l’attività di rilascio di garanzie, a condizione che tali intermediari siano sottoposti a revisione contabile da parte di una società di revisione iscritta nell’albo previsto dall’Art 161 del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Le caratteristiche che deve possedere tale domanda sono indicate al comma 2 del seguente articolo. L’Art 3 definisce le disposizioni per i soggetti aventi sede legale all’estero che esercitano nel territorio della Repubblica, ai sensi del decreto del Ministro del Tesoro in data 28 luglio 1994, attività finanziarie di cui all’Art. 106, comma 1, del testo unico.

G.U. n. 110 del 12.5.2004 - Serie generale Determinazione 21 aprile 2004 Appalti di progettazione e di supporto alla progettazione (Determinazione n. 3) L’associazione delle organizzazioni d’ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica chiedeva all’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici di valutare la legittimità di alcune procedure adottate dall’Anas per l’affidamento di servizi di supporto alla progettazione preliminare di lavori relativi ad alcuni collegamenti viari. L’associazione sosteneva che le prestazioni poste a base di gara costituivano una vera e propria attività di progettazione preliminare in violazione delle norme previste dalla Legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni e del Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999 n. 554, concernenti l’affidamento al fine di non applicare tariffe professionali per i compensi dovuti ai progettisti. L’Anas faceva presente che le opere da realizzare erano comprese nel programma d’infrastrutture strategiche d’interesse nazionale. Per tali opere l’ente aveva provveduto ad elaborare i relativi studi di fattibilità, ed in alcuni casi, aveva sviluppato la progettazione di livello preliminare organizzando una struttura di progettazione interna, cui affidare lo sviluppo ulteriore dei progetti; al contempo aveva indetto una gara per acquisire apporti professionali esterni occorrenti all’implementazione del detto ufficio di progettazione interna. Successivamente il consiglio dell’Autorità, al fine di verificare le coerenze dell’iniziativa dell’Anas con le regole normative, ha assunto la seguente determinazione. B.U.R.L. del 18 marzo 2004, 2° Suppl. Ordinario al n. 12 D.c.r. 17 febbraio 2004, n. VII/ 959 Piano pluriennale dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA) Il Consiglio Regionale della Lombardia delibera di approvare il Piano pluriennale 2003-05 dell’Agenzia regionale per la Protezione dell’ambiente ARPA, di cui all’Allegato “ A” , che costituisce parte integrante della presente deliberazione. B.U.R.L. del 16 aprile 2004, 1° Suppl. Ordinario al n. 16 Legge Regionale 14 aprile 2004, n. 7 Consulta regionale degli Ordini, collegi e associazioni professionali L’Art. 1 della presente legge regionale tratta delle finalità. L’Art. 2 dell’Istituzione della Consulta, l’Art. 3 dei compiti e delle competenze, l’Art. 4 della composizione della Consulta, l’Art. 5 del funzionamento della Consulta, l’Art. 6 della raccolta di segnalazione e istanze, l’Art. 7 del regolamento di attuazione, l’Art. 8 della norma finanziaria. B.U.R.L. del 30 aprile 2004, 3° Suppl. Straordinario al n. 18 D.g.r. 16 aprile 2004, n. 7/ 17129 Criteri per la presentazione dei progetti di cui alla Legge Regionale 29 giugno 1998, n. 10 “Disposizioni per la valorizzazione, lo sviluppo e la tutela del territorio montano”. Riparto anno 2004 La giunta regionale delibera di stanziare la somma di € 18.075.991,47 concernente il fondo regionale della montagna per gli interventi speciali, demandando alle Comunità montane ed ai comuni montani capoluogo di provincia il compito di prevedere l’utilizzo della quota loro assegnata, tramite l’adozione di progetti d’intervento. C. O.


Appalti Supporto alla progettazione interna: le condizioni per coinvolgere i privati. Le regole per legittimare l’appalto. Stop ai bandi dell’Anas (da ” Edilizia e Territorio” Norme e Documenti n. 18/2004) L’attività di progettazione non è scindibile in quanto espressione creativa, opera dell’ingegno. Quella che invece può essere frazionata è l’attività di supporto alla progettazione che consiste in attività materiali ripetitive spesso eseguibili solo da professionalità specifiche. L’Autorità di vigilanza detta le quattro condizioni che legittimano la creazione di gruppi formati da tecnici interni ed esterni cui affidare il supporto alla progettazione. Soa, in vigore la proroga al 15 luglio. M a è caos sui certificati non scaduti. Pubblicato il decreto legge che rinvia la validità degli attestati (da ” Edilizia e Territorio” Norme e Documenti n. 17/2004) É in vigore dal 28 aprile la proroga degli attestati Soa decisa con il D.L. 107/2004. Il Consiglio dei Ministri ha fissato la proroga al 15 luglio 2004. Ma per un errore di coordinamento formale tra la prima e la seconda proroga l’interpretazione letterale dell’ultimo D.L. porta a ritenere che siano prorogati solo gli attestati in scadenza entro il 30 aprile. Codice unico Beni culturali, la tutela parte dal Codice. Presentate le nuove norme in vigore dal primo maggio (da “ Il Sole 24 Ore” del 30.4.2004) Il ministro dei Beni culturali, Giuliano Urbani, ha presentato il nuovo Codice Unico rispondendo anche alle polemiche che hanno accompagnato la nascita del decreto. Polemiche recentissime scatenate soprattutto dalla possibilità di vendita del patrimonio pubblico e dal meccanismo del silenzio/assenso che incombe sulle decisioni dei soprintendenti, che devono dire se un immobile è di interesse artistico e va tutelato oppure può essere messo all’asta. Se la risposta non arriva entro 120 giorni, il bene viene comunque dichiarato alienabile. Condono Non basta l’ok alla sanatoria edilizia per ottenere il certificato di agibilità. Il rilascio del documento non è automatico (da ” Edilizia e Territorio” Norme e Documenti n. 17/2004) Il rilascio della concessione edilizia in sanatoria non dà diritto in modo automatico a ottenere il certificato di agibilità dell’immobile. Le due procedure seguono strade distinte. Il certificato di agibilità infatti non è un atto dovuto, ma scaturisce dal controllo sulle condizioni igienicosanitarie che, anche in caso di bene condonato, possono avere esito negativo. Lo ribadisce il Consiglio di Stato in una sentenza che si allinea alle precisazioni già svolte dalla corte costituzionale. L’agibilità deve anche verificare la rispondenza del manufatto al progetto. Infrastrutture Ponte accelera grandi opere. Il progetto sullo Stretto favorirà anche il turismo (da “ Italia Oggi” del 5.5.2004) Il ponte sullo Stretto? “ Un vantaggio per la Sicilia perché favorisce lo spostamento di flussi di persone, assecondando la vocazione turistica dell’isola, ma anche perché è destinato ad accelerare il processo di infrastrutturazione del territorio” , spiega Andrea Monorchio, presidente

di Infrastrutture S.p.A. Secondo Monorchio, “ Resta centrale i ruolo dell’intervento pubblico nel processo di infrastrutturazione. “ Solo il passante di Mestre, la Brescia-Bergamo-Milano, la variante di valico e un intervento sulla pedemontana, sono stati realizzati senza l’intervento dello Stato” .

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Professioni Professionisti, risorsa irrinunciabile. Sirica: gli albi sono elementi insostituibili del sistema - Italia (da “ Italia Oggi” del 6.5.2004) Rapporto Monti sulla concorrenza. Decreto legislativo “ La Loggia” sulla competenza concorrente fra Stato e Regioni, sullo sfondo dell’eterna vicenda della riforma organica delle libere professioni. Sono mesi caldi per il Cup, il Comitato Unitario Permanente degli ordini e dei collegi professionali, chiamato a salvaguardare, come spesso accaduto nel corso delle due ultime legislature, il ruolo e l’identità delle professioni intellettuali italiane, mettendole al riparo dagli attacchi di quanti in esse individuano un freno alla libera concorrenza. Architetti anti-rischio per prevenire emergenze territoriali. Corsi di formazione con protezione civile, ordini e regioni (da “ Italia Oggi” del 19.5.2004) È stato firmato un accordo di collaborazione tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento della protezione civile, e il Consiglio nazionale degli architetti. L’iniziativa deriva dal fatto che al dipartimento della protezione civile sono demandati i compiti di predisporre i programmi nazionali di previsione e prevenzione nonché l’attuazione dei suddetti programmi a livello regionale. Ciò in ottemperanza alle disposizioni impartite dalla Legge n. 183/1989, sulla difesa del suolo, e da altri provvedimenti di legge collegati. Con la stipula dell’accordo il Consiglio nazionale ha espresso la volontà di instaurare un rapporto organico di collaborazione con il dipartimento della protezione civile per l’organizzazione di percorsi formativi. Perde l’onorario chi non avvisa il cliente dell’inutilità dell’opera (da “ Il Sole 24 Ore” del 17.5.2004) Il professionista non ha diritto al compenso se non informa il cliente dell’inutilità della prestazione richiestagli. Il contratto d’opera prevede, infatti, il dovere di dissuadere l’assistito tutte le volte in cui è certo o molto probabile che non è possibile conseguire il risultato richiesto. Questi i princìpi indicati dalla seconda sezione della Cassazione con la sentenza 8507/2004, che ha “ punito il comportamento omissivo di un geometra che aveva stipulato un contratto con una società” . M. O.

Professione e Aggiornamento

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Dagli Ordini

M ilano a cura di Laura Truzzi Designazioni

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• Impresa Edile F.lli Gallo s.a.s. di Gallo Aldo e C.: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative ad un complesso residenziale costituito da una palazzina di n. 12 alloggi, una palazzina di n. 4 alloggi, due edifici bifamiliari e una villa unifamiliare in Magnago – via San Martino. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Elio Guido RONZONI, Roberto SUMMER, Mauro TORESINI. • Impresa Edile Dotti Mario: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla realizzazione di due palazzine ad uso civile abitazione in Rovellasca - via Monte Grappa. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Claudio PIROLA, Roberto Vittorio POZZI, Piero RIMOLDI. • Impresa Edil Domar s.r.l.: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla costruzione di tre ville unifamiliari in S. Stefano Ticino - via Ermanno Turati. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Pierangelo F. CAVAZZA, Roberto FOCARDI, Vittorio MEAZZA. • Impresa Fausto e Pasquale Rinaldi S.n.c. Costruzioni Edili: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative ad una costruzione di civile abitazione in Brugherio loc. San Damiano - via Valsugana angolo via Piave. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Maurizio CERIANI, Michela LOCATI, Gaspare SAFINA. • Impresa F.lli Labriola di Rocco e Vito s.n.c.: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla costruzione di una villetta bifamiliare e una palazzina in Limbiate – via Stromboli angolo via Gran Sasso Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Clemente Orazio BESTETTI, Gian Battista CONFALONIERI, Roberto POZZOLI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Disegno Industriale del 16 aprile 2004 Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Beth Ellen CAMPBELL, Marcello CUNEO, Massimo HACHEN, Francesca MARGARIA, Luigia Luisella PENNATI, Claudio SALOCCHI, Vittorio SALVATI, Ambrogio TRESOLDI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in P.T.U.A. nuovo ordinamento del 4 marzo 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Alessandro ALÌ, Valerio TESTA. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in P.T.U.A. vecchio ordinamento del 31 marzo 2004. Si sorteggiano e si approvano i se-

guenti nominativi: Davide ANDREOLI, Patrizio Antonio CIMINO. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Architettura del 20-21 aprile 2004 Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Chiara Maria FREYRIE, Egidio PORTA, Gaetano SELLERI, Caterina VARANO. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Architettura del 30 marzo 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Barbara AGOSTINI, Francesco ANZIVINO, Giuliano Paolo BANFI, Lucia BERGO, Giancarlo BORELLINI, Carlo Andrea BORGAZZI BARBÒ DI CASALMORANO, Roberto Franco DELL’ACQUA BELLAVITIS, Ennio MAZZOLI, Stefano CALCHI NOVATI, Maria Elena PAPINI, Lorenzo PONTIGGIA, Sarah SAIANI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea per il Corso di Studio in Edilizia Bazzi D.M. del 4 marzo 2004. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Sandro GHIOZZI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea per il “ Corso di Studio in Architettura Ambientale D.M. 509/99” del 5 marzo 2004. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Roberto GIUSSANI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Scienze dell’Architettura del 4 marzo 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Elettra BRESADOLA, Marco G. GONELLA, Gianluigi REGGIO. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea di I° livello in Architettura delle Costruzioni del 3 marzo 2004. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Guido FOCHI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea di I° livello in Scienze dell’Architettura del 3 marzo 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Gisella Maria DEMARIA, Aline Danielle LEROY, Luca RANZA. • Comune di Vedano al Lambro: richiesta membri per Commissione Giudicatrice di gara per la Concessione di LL.PP. di “Realizzazione della Piazza dell’Università ed autorimessa interrata” . Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Giovanni COPPADORO, Enzo RANIERI. • Comune di Brugherio: richiesta membri Commissione Giudicatrice “ Concorso nazionale di idee per la riqualificazione urbana delle aree centrali e di margine comprese tra la piazza C. Battisti e la via interna alla N. Sauro n. 24” . Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Alessandro ALÌ, Aurelio CUSARO, Alberto MIONI.

Comune di M ilano Dal giorno 15.5.2004 il Comune di Milano ha adottato il nuovo modulo della D.I.A. aggiornato secondo le prescrizioni della Legge Biagi (D.Lgs. 276/2003) relative alla documentazione da presentare per l’impresa esecutrice. La modulistica aggiornata è scaricabile dal sito del Comune di Milano all’ indirizzo: w w w.comune.milano.it/edilizia privata/index.html. Serate di architettura Da fine aprile a metà maggio, un fitto calendario di serate ha rilanciato un ampio ventaglio di temi: dall’architettura moderna milanese a quella contemporanea, dagli interventi che stanno trasformando Milano ai nuovi strumenti legislativi per governare tali trasformazioni. Protagonisti delle serate architetti, legislatori e addetti ai lavori che accolgono sempre con entusiasmo l’invito a dare di volta in volta il loro contributo sui temi più attuali della nostra professione. • Dentro la nuova Legge Urbanistica della Lombardia 27 aprile 2004 sono intervenuti: Fulvia Delfino, Gianni Beltrame, Massimo Giuliani moderatore: Marco Engel. Dopo l’incontro con i legislatori del 4 marzo scorso e le tante questioni allora sollevate, il dibattito sulla nuova Legge Regionale Urbanistica è proseguito con il contributo di tre addetti ai lavori: l’arch. Fulvia Delfino, consulente urbanistico per il Comune di Cremona, il prof. Gianni Beltrame, l’ing. Massimo Giuliani, del direttivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, i quali sono intervenuti rispettando il “ gioco dei ruoli” (pro e contro la nuova legge) previsto dalla serata. Il moderatore Marco Engel ha dato la parola per prima a Fulvia Delfino, che ha illustrato la sperimentazione della legge in atto presso il comune di Cremona. Dopo alcuni dati statistici e geografici sul territorio in cui lavora, Delfino ha indicato nella formula “ surrogare la pianificazione con la progettazione” il criterio seguito. L’imprenditoria – ha continuato – richiede flessibilità per adeguarsi al mercato, ma tale richiesta non deve comunque prescindere dalle regole. Delfino si è soffermata sui tre documenti legislativi su cui poggia la Legge: il Piano dei Servizi, innanzitutto, il più sperimentato dopo la legge 1/2001; il Documento di Piano, che contiene prescrizioni non nuove, quali la lettura del territorio per sistemi (sistema della viabilità, sistema produttivo, ecc.), e si propone di indicare le linee di tendenza dello sviluppo; il Piano delle Regole, documento innovativo in base al quale a Cremona vigono delle regole


sta come un tentativo di rendere immediatamente operative le decisioni politiche in quanto si confronta con lo stato di fatto del territorio. Ha concluso la serata un dibattito, proposto dai presenti in sala, sui temi della qualità urbanistica: nella nuova legge si parla solo di gestione e non di territorio. È necessario dare regole precise per la salvaguardia delle qualità del passato oppure bisogna affidarsi alla bontà della politica urbanistica attuata dalla singola amministrazione come sembra voler fare questa nuova legge urbanistica? • Sottotetti - una città coi capelli ritti 29 aprile 2004 sono intervenuti: Gae Aulenti, Giancarlo Bianchi Janetti, Marco Romano, Alessandro Toccolini, Giovanni Verga moderatore: Emilio Pizzi. Illustri ospiti all’Ordine, nella serata del 29 aprile scorso, per dibattere su uno degli effetti più evidenti delle nuove disposizioni regionali in materia edilizia: la proliferazione dei sottotetti. L’argomento, ritenuto particolarmente scottante dato il riscontro che ha avuto sulla Città di Milano, era già stato anticipato da un editoriale di questa stessa rivista nel mese di ottobre. Dopo l’intervento di Daniela Volpi, riportato integralmente in appendice, che ha avviato la riflessione sulle conseguenze del “ recupero abitativo dei sottotetti” (risparmio del territorio, ma soprattutto profonde trasformazioni del medesimo), Giancarlo Bianchi Janetti ha introdotto il dibattito con una nota di voluta ed ironica polemica escludendo a priori le questioni che secondo lui riguardano il diritto e gli avvocati per dare sostanza al tema architettonico. La “ campagna tetti protetti” infatti, promossa da alcuni cittadini e consiglieri comunali di zona, chiede quotidianamente all’arch. Bianchi Janetti, dirigente del Comune di Milano, che venga posto in essere l’obbligo della richiesta del parere del condominio per l’eventuale intervento di recupero del sottotetto. Quello che sta succedendo, ha proseguito Bianchi Janetti, è effetto non della legge, ma della cultura del progetto, ed è su questa che si deve intervenire. Tuttavia non nega i problemi interpretativi della L. 22/99 e le conseguenze negative del fatto che le D.I.A. non vengano più esaminate in Commissione Edilizia. È proprio per ovviare a questa situazione che l’amministrazione regionale ha emanato recentemente le “ Linee guida per l’esame paesistico dei progetti” . Dopo aver affrontato alcuni problemi tecnici relativi alle misure massime e minime previste dalle Leggi n. 15 e 22, che comportano inevitabilmente un appiattimento della falda, ha osservato che fondamentalmente non siamo di fronte ad un pro-

blema legislativo (basterebbe allora imporre il mantenimento dell’inclinazione della falda esistente), ma ad un problema progettuale di cui fa parte anche il tema strutturale. Bisognerebbe, infatti, fare il maggior sforzo (anche economico) possibile nella progettazione delle strutture pensando che nel momento in cui si interviene sul sottotetto si interviene contemporaneamente sull’ambiente di tutti noi. Infine sostiene, facendosi portavoce dell’amministrazione comunale, la necessità di un più proficuo dialogo tra Amministrazione, Commissione Edilizia e professionisti. Marco Romano, membro della Commissione Edilizia, dopo aver sottolineato gli aspetti negativi della L. 22 che, in contrasto con le leggi urbanistiche in vigore, interviene sull’esistente senza tener minimamente conto degli standard e non valuta gli effetti estetici prodotti, ha concluso con un appello alla tutela della bellezza delle nostre città, patrimonio tipicamente europeo da valorizzare con leggi urbanistiche adeguate. Alessandro Toccolini, vice presidente della Commissione Edilizia all’esame paesistico dei progetti, ha ricordato che la qualità delle città passa attraverso i piccoli interventi, ribadendo la necessità di un rapporto di collaborazione con i progettisti. Personalissimo è stato il contributo di Gae Aulenti al dibattito con il suo pressante appello al rispetto delle regole; non le regole dettate da normative, ma le regole della composizione architettonica. Appello alla tutela dell’estetica accompagnato, tuttavia, dal dilemma: “ chi può decidere che cosa siano il bello e il brutto in architettura?” al quale aggiunge il richiamo all’attenzione per la qualità dell’abitare. In conclusione Gianni Verga ha chiarito le linee guida della Regione nella valutazione dei progetti (“ nessuno progetto può essere rifiutato a priori” ) e il suo personale giudizio sulla specificità della professione dell’architetto, spesso sottopagata e deprivata di un ruolo culturalmente significativo. La Commissione Edilizia, ha continuato, deve avere un ruolo di verifica sulla qualità del prodotto, non sulla regolarità burocratica e amministrativa del progetto. Quanto alle leggi regionali, esse costituiscono una sperimentazione positiva, ma non sono depositarie di verità assoluta. Bisogna restaurare la cultura del progetto e valorizzare l’estetica di Milano, compito formativo fondamentale della nostra università. La serata si è conclusa con una lunga serie di interventi nella quale tutti hanno espresso soddisfazione per l’atteggiamento comune volto ad interrompere la negativa trasformazione avvenuta sui tetti di Milano in questi ultimi anni. Rimangono però questioni irrisolte sulla qualità dei progetti, sulla qua-

lità della vita urbana e sulla logica speculativa sottesa alla normativa vigente. Intervento del presidente dell’Ordine degli Architetti Daniela Volpi alla serata del 29 aprile 2004 Dopo l’entrata in vigore della Legge Regionale 22/99, il mensile della rivista della Consulta degli Ordini lombardi dedicava il numero di ottobre ai sottotetti. Numero nel quale, tra l’altro, ponevamo l’accento su alcune questioni che esemplificavano, come sottolinea Maurizio Carones nell’editoriale, “ come una norma pur semplice, potesse provocare gradualmente effetti anche molto riconoscibili nella città e nel territorio” . Raccogliemmo allora alcuni pareri per cominciare a verificare le conseguenze di tali norme, cercando di mettere in evidenza, alla luce delle differenti interpretazioni della disposizione legislativa, i molteplici aspetti di una questione che ritenevamo non potesse essere solo di interesse degli architetti o degli amministratori, ma di tutti i cittadini. “ Il primo di questi aspetti” , leggiamo sempre nell’editoriale, “ riguarda il rapporto che la modifica dei sottotetti stabilisce con il più generale problema della riqualificazione dell’edificato” . Una seconda questione “ riguarda l’aspetto compositivo, cioè il rapporto architettonico tra la parte nuova e l’edificio esistente” . Esiste poi un problema di inserimento delle modifiche della singola architettura nel contesto e non va sottovalutato l’aspetto tecnologico che tali trasformazioni comportano. Gli effetti delle leggi non hanno tardato a farsi vedere, e le voci di indignazione per quanto ogni giorno spuntava sui tetti a “ ponteggi smontati” non hanno tardato a farsi sentire. Molti i giudizi critici negativi in tema di paesaggio urbano e di controllo estetico degli interventi (si parla di recuperi selvaggi, di mostri in cima ai palazzi, di scempi urbanistici, di orrori aggrappati lassù). Si accusano architetti e costruttori. Nel suo libro Un paese sfigurato Vittorio Sgarbi sostiene che la fine dell’Italia inizia verso la fine degli anni Cinquanta, epoca in cui gli interessi particolari passano davanti a quelli generali e che di fronte alla provata difficoltà di far rispettare i princìpi di legge, si potrà ottenere quell’abitudine al rispetto che oggi tanto si invoca, solo con un’opinione pubblica sufficientemente educata. Nell’attesa che questo avvenga, sostiene Sgarbi, occorre intervenire subito con opportuni divieti. Non condivido ciò che scrive Sgarbi almeno per i 4/5 del suo libro e mi offende che si permetta di definire Carlo Scarpa e Franco Albini degli allestitori. Ma spazzare via di colpo ogni vin-

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molto rigide: regole però morfologiche e non funzionali. Infine sottolinea come, nel Piano delle Regole di Cremona si sia fatta la scelta della perequazione totale delle aree, anche le aree a standard, ad esclusione di quelle agricole; scelta compensativa per il privato che favorisce allo stesso tempo l’acquisizione da parte dell’Amministrazione di aree non utilizzabili. L’intervento del prof. Beltrame si è concentrato dapprima sulle ragioni di una legge organica di “ seconda generazione” : l’urbanistica è passata da disciplina della città a disciplina del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. Bisogna, quindi, rivederne gli strumenti operativi e gestionali, ma il quadro legislativo vigente non è in grado di dare risposte positive. Beltrame è stato molto critico a proposito: tra 1997 e 2001 è avvenuta, a suo dire, una “ sgangherata” e “ dissennata” forma di “ deregulation” ; ora la regione Lombardia si sta muovendo come se non esistesse già più la legge nazionale. I temi informatori di una legge di “ seconda generazione” dovrebbero essere la questione ambientale e la ricerca di uno sviluppo sostenibile, mentre il progetto di “ Legge per il Governo del Territorio” , approvato in Giunta il 18 luglio 2003, opera in direzione opposta, cancella anche quel poco di buono e di chiaro che era stato fatto negli anni precedenti e giunge all’esito, paradossale e pericoloso, di “ deregolare la deregulation” . Massimo Giuliani, intervenendo a sostegno del progetto di legge, ha affrontato i temi delle criticità insite nel governo del territorio: strumenti, tempi, livelli di pianificazione, pianificazione risorse e fiscalità. Il P.R.G. previsto dalla L.R. 51/75 allunga i tempi e non gerarchizza gli interventi, rendendo di fatto impossibile per un’amministrazione realizzare i progetti (8 anni intercorrono in media tra redazione e adozione dei P.R.G.) che ha essa stessa programmato. Inoltre, i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale mettono in luce le problematiche create dai Piani Comunali rispetto a localizzazioni di forte impatto territoriale per le quali le piccole amministrazioni risultano impreparate. Infine, il problema del rapporto tra pianificazione e risorse: nei piani comunali, per i motivi di cui sopra di scollamento tra pianificazione e tempi di realizzazione della stessa, si evidenziano ancora di più le carenze di risorse messe a disposizione per i servizi che vogliono offrire all’utente. È chiaro quindi che ogni volontà di fornire nuovi servizi per un comune significa “ consumo del suolo” , cioè necessari introiti per oneri di urbanizzazione. In conclusione, Giuliani ha sostenuto che il difetto principale della pianificazione tradizionale è la lunghezza dei tempi e il procedimento per “ varianti” , mentre la nuova pianificazione, che si avvale del Documento di Piano, deve essere vi-


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colo introducendo dei divieti punitivi e delle imposizioni inadatte a far fronte dignitosamente all’avvio di un passo significativo di così ampia portata, è stata una decisione che ha quantomeno sottovalutato l’entità delle trasformazioni che si sarebbero verificate nella città e che non ha tenuto conto di quale riflesso importante avrebbero avuto sul suo stesso destino. La Legge 22, forse in seguito alle pressioni degli interessi fondiari e delle imprese edilizie, ampliando le possibilità date dalla Legge 15, ha di fatto reso possibile realizzare interventi anche su edifici esistenti che spesso si configurano come veri e propri sopralzi, senza necessità di verifiche di volumi e di superfici. Contemporaneamente sono state poste delle condizioni restrittive e introdotti dei rigidi criteri numerici che si ripercuotono sulle stesse forme architettoniche, costringendo i progettisti a soluzioni spesso drammaticamente in disaccordo con le regole compositive, con le tecniche costruttive e con gli edifici sottostanti. I tetti di Milano sono sempre stati “ pieni di cose” , che si sono sommate nel tempo e alle quali gradatamente abbiamo fatto l’abitudine: foreste di antenne crescono con l’avvento della televisione, grappoli di “ padelle” maturano alla comparsa del satellite, camini improbabili sbucano per riscaldarsi durante l’inverno e “ unità esterne” prosperano per rinfrescarsi durante l’estate. E poi piccoli abbaini per accedere alla manutenzione del tetto, extracorsa degli ascensori per portatori di handicap e non, locali tecnici di vario genere. E ancora terrazzi con alberi e ombrelloni e anche qualche piscina, che però da terra non si vede. Molti edifici milanesi sono stati sopralzati in varie epoche, anche nel centro storico come in via Manzoni e in via Verdi. Anche la Scala sarà sopralzata: per inconfutabili motivi tecnici di adeguamento ai tempi moderni e ai nuovi modi del teatro di essere teatro. Certo che il paragone tra oggi e le epoche passate non è così facile da sostenere. Oggi infatti, data l’innegabile mutata situazione culturale, ci è permesso di comprendere meglio le opere del passato, facendo sorgere l’esigenza della loro conservazione, esigenza che sembrerebbe comportare la rinuncia ad introdurre il nuovo nel passato in modo tassativo e rigido. Allora, tra le due teorie del “ ogni singolo muro è intangibile” e “ possiamo ovunque e comunque sostituire quello che c’è” quale scegliere? Crediamo che ci siano delle vie di mezzo. Notoriamente le più difficili da realizzare e perseguire. Si dovrebbe comunque evitare la contrapposizione ideologica tra coloro che reclamano il diritto a

operare comunque anche nei centri storici e coloro i quali vorrebbero congelare tutto e costruire, nella migliore delle ipotesi, come era e dove era. Gli effetti di alterazione o stravolgimento si possono verificare in entrambi i casi. La distruzione dei paesaggi non avviene sempre in modo brutale. Spesso si attua in modo progressivo, passando quasi inosservata. È per questo che una strategia specifica per la protezione del paesaggio è difficile da realizzare, perché risiede soprattutto nella sua composizione di insieme e non nei suoi elementi presi isolatamente. Quando nel 1957 uscì il primo numero del bollettino di Italia Nostra, un gruppo di architetti avanzò alcune richieste. Che venisse, ad esempio, vincolato il rapporto volumetrico in caso di ricostruzione, dando per scontato che un edificio nuovo possa sempre e in ogni caso sostituirne uno antico, secondo la teoria che questo è avvenuto in ogni epoca e che proprio da questa stratificazione si è formato il carattere degli antichi quartieri. Che nelle zone di interesse monumentale i nuovi progetti fossero messi a concorso allo scopo di raggiungere la migliore qualità della realizzazione. Negli ultimi 5 anni l’Unione Europea, con l’obiettivo di “ migliorare la qualità dell’ambiente mediante la creazione architettonica, la qualità edilizia, il loro inserimento armonico nell’ambiente circostante e il rispetto del paesaggio e dell’assetto urbano” , approvò e sottoscrisse documenti e risoluzioni oggi diventate leggi. La stessa Regione Lombardia, esprimendo una certa sensibilità al tema del paesaggio, nel 2001 ha approvato il Piano Territoriale Paesistico Regionale, e l’anno successivo le Linee guida per l’esame paesistico dei progetti. Possiamo forse giungere alla conclusione che basterebbe definire, e far rispettare dopo averli definiti, gli strumenti per attuare correttamente una politica per il nostro territorio prima di emanare leggi che poi non siamo in grado di tenere sotto controllo e che siamo costretti a rivedere in senso restrittivo quando non si può più fingere di non vederne le conseguenze. Dobbiamo dunque cercare con forza e determinazione gli strumenti che ci permettano di gestire correttamente i processi di evoluzione della città e del territorio (che non possono essere immutabili nel tempo), sia promuovendo e favorendo la qualità del progetto attraverso la collaborazione con le pubbliche amministrazioni e con i privati, sia sensibilizzando un pubblico il più vasto possibile sull’importanza della conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico, facilitandone la riconoscibilità, la comprensibilità e quindi il rispetto. Il 4 luglio 2003 il Consiglio del-

l’Ordine ha inviato all’Amministrazione comunale le osservazioni condivise per la modifica degli Artt. 18.5.2 e18 bis 5.2.1 delle N.T.A. che qui rileggiamo e delle quali ribadiamo la validità. Pur essendo chiaro e condivisibile l’obiettivo delle leggi di limitare il consumo di territorio, varrebbe anche la pena di fare un bilancio degli effettivi vantaggi ottenuti dallo sfruttamento dei sottotetti a favore del risparmio di aree non edificate. Vorremmo stasera valutare, insieme con i nostri invitati, le conseguenze del fenomeno “ recupero abitativo dei sottotetti” e le trasformazioni che si sono determinate nell’ambiente costruito in seguito all’entrata in vigore di Leggi come la 15 e la 22 che hanno generato una situazione che sembra essere drammaticamente sfuggita di mano. • Il Moderno salvato - la questione della modernità e memoria del Moderno 6 maggio 2004 sono intervenuti: Silvia dell’Orso, Carla Di Francesco, Fulvio Irace, Bruno Morassutti moderatore: Giulio Barazzetta. I rappresentanti di diversi ambiti disciplinari sono stati invitati all’Ordine per una riflessione sul senso della tradizione e della storia intorno ad un tema, spesso trascurato, della valorizzazione e della salvaguardia delle opere del Moderno. La Fondazione dell’Ordine prosegue pertanto il suo impegno, già anticipato nel marzo scorso in occasione della serata dedicata a Piero Bottoni, per la difesa e la valorizzazione delle opere di questo periodo storico presentando il caso della chiesa di Baranzate di Morassutti, Mangiarotti e Favini. Uno dei progettisti, l’arch. Morassutti ha aperto la serata riassumendo con inalterato entusiasmo la storia di questa chiesa, regalata da un benefattore svizzero affinché fosse il prototipo e l’esempio di come avrebbero dovuto essere realizzate tutte le nuove chiese, passando dalle ben più tristi vicende del 1978/79 con il danneggiamento subito per l’esplosione di una bomba incendiaria, fino ai problemi attuali per un restauro difficile. Vincolata prima dei 50 anni, la chiesa si trova oggi in uno stato di profondo degrado. Il prof. Fulvio Irace ha parlato del compito dello storico che deve tessere la tela della storia e coinvolgere le specificità che ne accendano su di essa i riflettori. La storia è influenzata dalla nostra contemporaneità. Il Moderno deve quindi essere studiato e non dimenticato, con il ruolo fondamentale della Soprintendenze che non devono più parlare di intangibilità assoluta delle opere, ma tentare di dialogare con i protagonisti della conservazione e della trasformazione. Il restauro deve

essere inteso come una variante della progettazione, rimanendo sicuramente vigili sulle trasformazioni che in esso si compiono. Carla Di Francesco, soprintendente regionale, sottolinea come la soprintendenza di Milano sia tradizionalmente attenta verso il Moderno (già vincolate 4 opere moderne tra cui il Pirellone) e che verrà sicuramente aiutata dal Nuovo codice dei beni culturali che all’Art. 11 indica come finanziabili gli interventi su opere di architettura contemporanea di particolare valore artistico. Chiude la serata la giornalista Silvia dell’Orso con una domanda volutamente provocatoria: ampliando ulteriormente il campo di tutela e di finanziabilità dei beni culturali e ambientali, a parità di fondi, non si verrà a ridurre l’effettivo intervento? La risposta unanime degli intervenuti è stata quella che solo la comprensione storica e critica del moderno ci potrà aiutare a capire quali opere del periodo valgano veramente la pena di essere tutelate. • Ampliamento dell’Università Bocconi 11 maggio 2004 sono intervenuti: Shelley Mc Namara, Yvonne Farrel, Emilio Pereira moderatore: Antonio Borghi. Tema inconsueto per una delle serate all’Ordine, dove, invece dei dibattiti e spunti di riflessione, è stato proposto il progetto di ampliamento dell’Università Bocconi. Si tratta del progetto dello studio Grafton Architects di Dublino che ha vinto il concorso ad inviti bandito verso la fine del 2001 dall’Università Bocconi per la progettazione di una sua importante estensione, scegliendo di consolidare la sua presenza milanese e anzi, di spostarne il baricentro in posizione ancora più centrale. La giuria, composta in larga parte da architetti provenienti da scuole e contesti diversi, tra i quali Kenneth Frampton, Angelo Mangiarotti, Guido Nardi, Henry Ciriani, ha premiato lo studio Grafton Architects di Dublino rappresentato da Shelley Mc Namara e Yvonne Farrel. Il concorso della Bocconi, di cui si parla pochissimo, si inserisce in una serie di grandi concorsi che si sono svolti tra il 2000 e il 2002 a Milano: area Ansaldo, parco Forlanini, Biblioteca Europea sull’area di Porta Vittoria, Arengario, ma, a differenza di questi rimasti ancora sulla carta, l’intervento della Bocconi è un cantiere già ben avviato. I due architetti irlandesi hanno esposto il percorso progettuale che le ha viste affrontare temi e materiali nuovi in una città a loro sconosciuta: “ abbiamo visto Milano avvolta nella nebbia, senza luci né ombre, dove sembra che la città si sia fermata e abbiamo cercato di coglierne gli elementi importanti e i materiali più tipici” . Tema chiave


del progetto è stata la voglia di creare un paesaggio intrappolato in una struttura; ne è nata un’ambiziosa struttura in c.a. costituita da travi-pareti che hanno un interasse tra loro di 24 m. Un veloce intervento dell’ing. Pereira, progettista della strutture in c.a., ha evidenziato le difficoltà della progettazione e quelle, ancora tutte da affrontare, della realizzazione e dell’organizzazione del cantiere. Infine un intervento dell’arch. Battisti, presente tra il pubblico in sala, ha evidenziato due temi fondamentali: la qualità dell’architettura e l’importanza della struttura per stabilire soluzioni nel rapporto architettura-città; struttura troppo spesso pensata invece come elemento accessorio per l’architettura. • Milano com’è e come sarà 3: dal Sempione alla Fiera 13 maggio 2004 sono intervenuti: Ermanno Ranzani, Paola Pessina, Augustangela Fioroni, Claudio Artusi, Federico Acuto moderatore: Giulio Barazzetta. Il ciclo di conferenze sui futuri assetti urbanistici della metropoli lombarda è proseguito con una serata dedicata a uno dei progetti più imponenti messi in opera, quello riguardante l’area Sempione-Fiera. Coordinati dal moderatore Giulio Barazzetta, i relatori hanno messo in luce la portata dell’intervento, le sue implicazioni tecniche e le enormi implicazioni sociali. L’ing. Claudio Artusi, amministratore delegato dell’ente Sviluppo Sistema Fiera, ha esordito con alcuni dati tecnici: oggi la Fiera si estende su un’area di 348.000 mq, accoglie 4,5 milioni di visitatori e sviluppa un volume di affari di 2 miliardi di euro all’anno; dopo l’intervento programmato si estenderà per 530.000 mq e potrà accogliere 6 milioni di visitatori, per un volume di affari di 4 miliardi di euro all’anno. L’area di intervento è la raffineria ex Agip. Ultimata la bonifica nel giugno scorso, sono stati costruiti i primi capannoni. A lavori conclusi (inaugurazione prevista il 2 aprile 2005), la superfi-

cie espositiva lorda coperta ammonterà a 345.000 mq, quella scoperta a 60.000 mq. Ottimi i collegamenti già esistenti (ferrovia, 3 autostrade, MM1 Fermata Molino Dorino), a cui andranno ad aggiungersi raccordi autostradali, una nuova fermata MM Rho-Fiera, una nuova fermata ferroviaria sia del treno ad alta velocità per la Francia, sia del passante. Funzionalità, efficienza ma anche attenzione ai valori estetici saranno garantiti. Dopo la presentazione del progetto sono intervenuti i due sindaci dei comuni coinvolti, Augustangela Fioroni e Paola Pessina, che hanno combattuto al tavolo del potere politico affinché la Fiera venisse realizzata sul loro territorio per evitare il punto di non rit orno del degrado ambient ale verso cui era diretto soprattutto il comune di Pero. La prima, sindaco di Pero, ha indicato quali aspettative l’insediamento della Fiera ha sollecitato (bonifica dell’area, risistemazione della rete ferroviaria e autostradale, blocco del processo di degrado e riqualificazione del territorio, incentivazione della qualità architettonica, attivazione di ricerche sul territorio e di positive relazioni culturali con l’esterno). La seconda non ha nascosto le diffidenze dei suoi cittadini di fronte all’intervento e ha auspicato che esso possa diventare catalizzatore positivo di altri progetti ed eventi che aiutino la comunità ad appropriarsi del territorio, valorizzando l’esistente e inserendolo nel nuovo contesto infrastrutturato. L’arch. Ermanno Ranzani ha sottolineato l’importanza della pianificazione nell’attuazione dei progetti. Superati gli strumenti della pianificazione tradizionale, pianificare a piccola e media scala, concentrando energie e risorse in un punto del territorio per riqualificarlo, è un metodo che, a suo parere, funziona quando l’architettura è di eccellenza e la scelta del territorio adeguata. Per la pianificazione a grande scala le cose si complicano, è in dubbio che si possa ancora ragionare per infrastrutture dei grandi assi di comunicazione, è meglio agire per convenzioni e per attività concrete. In conclusione l’arch. Federico Acuto

• Il ciclo delle Serate di Architettura, promosse dalla Fondazione dell’Ordine, è proseguito con: – 20 maggio: Volo a Vista I, una ricognizione sullo stato della cultura architettonica italiana. Sono intervenuti Franco Purini e Fulvio Irace; moderatore Adalberto Del Bo. – 27 maggio: Un progetto per discutere: il teatro di Brescia. Sono intervenuti Renato Borsoni, Amedeo Bellini, Giorgio Grassi e Giovanni Spalla; moderatore Ugo Rivolta. – 3 giugno: Scrittura e progetto, un libro raccoglie tutti gli scritti di Ettore Sottsass e racconta uno sguardo eccentrico e attento su mezzo secolo di architettura e de-

sign. Sono intervenuti Francesca Alfano Miglietti, Franco Raggi, Ettore Sottsass e Lea Vergine. – 15 giugno: Cina-città: una nuova città per 80.000 abitanti. Sono intervenuti Augusto Cagnardi e Marco Engel. – 16 giugno: I beni culturali e ambientali dopo il Codice Urbani, serata organizzata con INU Lombardia. Sono intervenuti Fortunato Pagano, Carla Di Francesco, Umberto Vascelli Vallara, Carlo Bertelli, Andrea Filpa, Marco Parini, Andrea Poggio, Aldo Castellano; moderatore Marco Engel. – 24 giugno: Volo a Vista II, una ricognizione sullo stato della cultura architettonica italiana. Sono intervenuti Luciano Semerani e Antonio Monestiroli; moderatore Adalberto Dal Bo. – 1 luglio: “Architettura senza fissa dimora” , proiezione del video Panorama 2004 - Maison Cinema: un montaggio di scene cinematografiche sul tema dell’architettura. Sono intervenuti Antonio Borghi e Claudio Scotto.

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Informazione

si è domandato se non valga la pena di ragionare su un piano regionale, come è successo, per esempio, a Bilbao, dove dietro alle grandi realizzazioni di Gehry ci sono stati dieci anni di pianificazione. A suo modo di vedere non è stato ben gestito il tema del rapporto tra poteri. Un intervento conclusivo del pubblico presente in sala ha chiamato in causa le amministrazioni locali, considerate troppo arrendevoli nel lasciare gestire interamente all’ente Fiera l’aspetto della qualità architettonica, ma pronte nel respingere l’accusa e giustamente fiere per un progetto che potrà rivitalizzare il loro territorio.


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Rassegna a cura di Manuela Oglialoro

Informazione

Grattacieli Pirellone bis, ecco il progetto. Un grattacielo alto 160 metri (dal “ Corriere della Sera” dell’1.5.04) È stato presentato il progetto del nuovo grattacielo della Regione Lombardia che si affiancherà al Pirellone. Il grattacielo è stato ideato dagli architetti Pei-Cobb-Freed & Partners di New York, con Caputo di Milano. Si tratta di un complesso architettonico in ferro e vetro di andamento sinusoidale, al centro del quale si innalzano due torri intersecate di 32 piani, alte 160,2 metri, 33 metri in più del Pirellone. Sarà realizzato in un’area che è compresa tra via Pola e via Melchiorre Gioia tra il 2005 e il 2008. M ilano Cantieri fermi per scuole, metrò e case popolari. Allarme del Comune. Manca l’approvazione del bilancio, slittano le grandi opere (dal “ Corriere della Sera” del 28.1.04) Il bilancio preventivo 2004 è ancora da approvare e l’ amministrazione non può procedere con le spese in contro capitale. Slittano la sistemazione di scuole, edifici pubblici, case comunali, parcheggi e grandi progetti da realizzare entro metà anno (apertura della linea 4 metropolitana, prolungamento della linea 2 e del Passante). “Centrale, i restauri non possono attendere”. Comune e Regione: basta con il degrado, subito un appalto con procedura speciale per M ilano (dal “ Corriere della Sera” del 6.5.04) “ Il restauro anti-degrado in Stazione Centrale è da realizzare con urgenza” . Dopo l’ennesimo stop ai cantieri, Comune e Regione lanciano un appello a Grandi Stazioni per far decollare al più presto i lavori di rinnovo. Per il vice Sindaco e assessore ai Lavori pubblici, Riccardo De Corato, sono indispensabili per riqualificare tutta l’area circostante. Per il direttore gene-

rale dell’assessorato regionale dei Trasporti, Angelo Lassini, sono fondamentali per proiettare nel futuro il sistema ferroviario milanese. “Pulizia e graffiti, più decoro a M ilano”. Albertini: parte la campagna a prezzi calmierati per cancellare le scritte dai palazzi (dal “ Corriere della Sera” del 10.5.04) L’Amsa ha cominciato l’operazione di pulizia degli edifici pubblici: l’amministrazione ha firmato un contratto quinquennale da 755 mila euro. Verrà annunciata la campagna per gli stabili privati: le famiglie e gli amministratori riceveranno una lettera con prezzi e offerte. Albertini è scettico invece sulla possibilità di istituire un assessorato al “ Decoro e alla Bellezza” . Nell’ex chiesa di Santa Teresa l’happy hour della cultura. Assalto alla M ediateca tra internet, libri e piatti freddi (dal “ Corriere della Sera” del 23.5.04) A quasi un anno dall’ apertura, la Mediateca di Santa Teresa è sicuramente un successo. Merito soprattutto della dottoressa Armida Batori, che nel 1995 era direttrice della Biblioteca Braidense e che mise appunto gli occhi su quella chiesa diroccata in via della Moscova. Oggi l’ex chiesa è diventata l’unica biblioteca virtuale pubblica di un certo spessore in Italia, con più di quattromila iscritti e qualche centinaio di frequentatori giornalieri. Periferie “Stop all’abbandono delle periferie”. I comitati: più servizi per i 900 mila abitanti e più poteri ai consigli di zona (dal “ Corriere della Sera” del 23.5.04) Un appello per il riscatto delle periferie firmato da comitati di quartiere, commercianti di via e centri culturali: “ Per riqualificare numerose aree industriali dismesse, recuperare luoghi storici, piazze e monumenti, studiare i collegamenti con i comuni di cintura” . Il coordinamento dei comitati milanesi, l’associazione dei commercianti di via e la “ Voce all’Ovest di Milano” si sono incontrati per firmare un documento in nome dei 900 mila milanesi che vivono lontano dal centro città.

Provincia

Regione

“Troppi uffici e poche case. Così Sesto non può crescere. I costruttori contestano il piano regolatore (dal “ Corriere della Sera” del 5.5.04) Dopo un’attesa durata quattro anni, Sesto ha avuto il nuovo piano regolatore generale. Ma è già in atto una disputa tra i due maggiori costruttori della città, Giuseppe Pasini e Edoardo Caltagirone, e l’amministrazione comunale. In gioco c’è il futuro delle aree dismesse, due milioni e mezzo di metri quadrati nel cuore del territ orio. La giunt a vuole sf rut tare l’occasione per accelerare il processo di trasformazione dell’intera città e non solo per costruire case. I costruttori premono per realizzare anche edifici per abitazioni.

M onza rit rova i suoi colori: rosso, giallo e grigio. Il comune invita i proprietari a rispettare la “tavolozza” storica: così le case varranno di più (dal “ Corriere della Sera” del 6.5.04) Il piano del colore, elaborato nel 1989 da un gruppo formato da due architetti, Beniamino Rocca e Francesco De Giacomi, un ingegnere, Vittorio Bellini, e uno storico, Augusto Merati, torna in auge. “ Vogliamo rendere Monza più elegante, aiutare i privati a valorizzare le loro proprietà e riscoprire le antiche tradizioni cromatiche che contraddistinguevano la città di Teodolinda” , spiega l’assessore Vincenzo Ascrizzi. La città era di colore rosso, giallo e grigia con venature di bianco e di azzurro. Il piano non avrà nessun valore vincolante: offrirà solo uno strumento che aiuti a scegliere i colori e dia indicazioni sui materiali da utilizzare per gli interventi di riqualificazione.

Università all’ex M arelli. Sesto dà il via ai lavori. La Statale trasferirà Scienze della comunicazione (dal “ Corriere della Sera” del 22.5.04) Il futuro dell’ex Marelli, area dismessa tra le più grandi della città, è stato definito con la firma del piano integrato di intervento tra il Comune e il costruttore Giuseppe Pasini, proprietario di 400 mila metri quadrati tra terreni ed ex stabilimenti. L’accordo permetterà di muovere investimenti pari quasi a un miliardo di euro, con la costruzione della nuova sede della facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università Statale di Milano, negozi, un albergo, case, un parco e – almeno sulla carta – 100 mila metri quadrati di uffici. Parchi Alberi con lo sponsor. E nasce la prima marcia per il verde. L’idea è del comitato Ambiente M ilano, a cui aderiscono numerosi imprenditori (dal “ Corriere della Sera” del 6.5.04) Venti nuovi viali alberati entro un anno. A spese di un comitato di privati, in cambio di pubblicità. Forse non c’ è solo la lot t a ai parcheggi per tutelare il verde di M ilano. Quest a è la proposta che il comitato “ Ambiente Milano” ha deciso di lanciare al Comune.

Viabilità Milano-Mare, nasce l’autostrada telematica. Sensori e telecamere informeranno in tempo reale gli automobilisti sui problemi di viabilità (dal “ Corriere della Sera” del 22.5.04) L’Anas ha approvato il progetto definitivo per potenziare sicurezza e comunicazione su A7 e t angenziali. Sedici milioni di euro e diciotto mesi di lavoro per dotare tutta la rete stradale (gallerie comprese) di telecamere, pannelli informativi e un software programmato per dialogare con internet, telefonini e centrale operativa.


a cura di Antonio Borghi Architettura e bellezza Il 14 maggio un box in prima pagina della cronaca milanese del “ Corriere della Sera” annunciava: In Triennale il nuovo grattacielo della Regione. Con l’esposizione del progetto che ha vinto il concorso per la nuova sede della Regione, firmato dagli architetti Henry Cobb e Paolo Caputo, insieme ad altri nove finalisti, si è aperta in Triennale la mostra Architettura e bellezza. L’esposizione, voluta per stimolare un dibattito con i cittadini, sarà aperta fino al 25 luglio. Raccogliamo e diffondiamo volentieri l’invito della Regione Lombardia con alcune riflessioni intorno al concorso e alla sua risonanza sui maggiori quotidiani nazionali. Alla conferenza stampa indetta l’indomani della proclamazione dei vincitori Pierluigi Panza aveva raccolto per il “ Corriere della Sera” del 1° maggio alcune dichiarazioni: La nuova sede sarà un edificio all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, molto funzionale per le persone che ci lavorano; simbolico e bello insieme - ha dichiarato il Presidente della Regione Roberto Formigoni - che permetterà di rispettare i vincoli di bilancio. Una sintesi, insomma, tra le esigenze dell’estetica che, secondo il presidente della giuria, Stefano Zecchi, erano meglio rappresentate dal progetto secondo classificato firmato da Frank Gehry e quelle della funzionalità ed economicità di gestione, che secondo il giurato e Rettore del Politecnico Giulio Ballio sono meglio rappresentate dal progetto vincitore. Il resto dell’articolo, intitolato Più in alto della Madonnina e guardando a Dubai cerca di fotografare l’esito del concorso senza molto aggiungere alle poche dichiarazioni riportate. Tra queste una affermazione dell’architetto Paolo Caputo, per l’occasione associato allo studio Pei Cobb Fried & Partners: Le questioni di gusto sono soggettive. Per quanto ci riguarda volevamo progettare qualcosa di scevro dalle mode dell’ultima ora. Alla ricerca di qualche argomentazione supplementare leggo l’intervista di Massimo Pisa a Henry Cobb su “ la Repubblica” del 14 maggio.

Peccato che il plastico sia bianco. Così non si notano i tetti verdi – esordisce il neo-incaricato architetto – Il nuovo palazzo della Regione Lombardia è l’ultima medaglia che si aggiunge allo sterminato palmaresdella Pei Cobb Fried & Partners, – prosegue l’intervistatore – i creatori della piramide del Louvre e della Rock and Roll Hall of Fame di Cleveland, tanto per intendersi. Tutte opere legate alla matita di LIeoh Ming Pei. Mister Cobb, quanto del suo partner c’è in questo progetto? Pei è in pensione dal 1990, anche se è ancora attivo. Gira ancora per lo studio, partecipa, dà il suo contributo di idee ed è rimasto elettrizzato dalla vittoria di questo concorso. La nostra è una delle più lunghe partnership della storia dell’architettura e anche una solida amicizia. Come definirebbe il nuovo complesso? Accessibile e memorabile. È un complesso caratterizzato da curve e intersezioni. Abbiamo seguito due idee guida. La prima era quella di avere un edificio flessibile ed efficiente, dove i vari dipartimenti possano interagire tra di loro, adatto a una città del lavoro come Milano. La seconda è stata di andare oltre lo spazio cittadino, con una forma fluida che riprenda quella dei paesaggi lombardi. Un posto trasparente e attivo, che non dovrà dare impressione di potenza chiusa al pubblico. Ma sarà anche un complesso memorabile, attrazione per i turisti. E di seguito l’architetto Cobb afferma con chiarezza le ragioni del suo progetto, naturalmente senza voler entrare nel merito delle motivazioni, dei criteri di scelta che hanno fatto prevalere questo progetto agli altri, un aspetto che invece interessa noi architetti più di ogni altro. Di questo non si è parlato nemmeno alla conferenza stampa di inaugurazione della mostra in Triennale venerdì 14 maggio dove il Presidente Formigoni accompagnato dall’arch. Cobb e dall’arch. Caputo, ha confermato la sua preferenza per il progetto premiato, senza alcun riferimento né ad altri progetti né ai lavori della giuria. Comunque la bella mostra al Palazzo della Triennale offre fino a luglio l’opportunità a tutti gli interessati di farsi una propria opinione, come testimoniano gli articoli usciti nei giorni seguenti. Il 23 maggio Giacomo Borella – in uno dei suoi preziosi Sopralluoghi metropolitani sulle pagine del “ Cor-

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Nella foto – pubblicata dal sito della Regione Lombardia – Roberto Formigoni, Stefano Zecchi e Giulio Ballio davanti al plastico del progetto vincitore. riere” – esprime un breve, ma articolato giudizio sugli esiti del concorso. Tra i dieci progetti presentati al concorso per il Secondo Palazzo della Regione Lombardia (terza definizione di questo concorso, dopo la Nuova Sede del bando e L’altra Sede di Formigoni in conferenza stampa, ndr) i più interessanti sono forse quelli di Norman Foster e di Steven Holl. Sono entrambe proposte di anti-grattacieli: sarà per questa ragione che non sono neppure arrivate sul podio dei primi tre? La localizzazione, l’area disponibile e i volumi richiesti dal bando di concorso sembravano calcolati su misura per non lasciare altra possibilità se non quella di un oggetto massiccio, isolato, torreggiante, implicitamente celebrativo e monumentale per mole e postura. I progetti di Foster e Holl, in modi opposti, si smarcano da questa “prova di forza” architettonica mettendo al centro delle proprie proposte non l’imponente “ pieno” di un oggetto, ma il vuoto, lo spazio esterno, l’aria stessa, attorno ai cui i corpi degli edifici vengono plasmati. Nel progetto di Foster – sorprendentemente anti-monumentale – ciò avviene mediante la diluizione della massiccia volumetria nel zigzagante dipanarsi di un edifico-rampa, la cui copertura d’erba è la continuazione ascendente del futuro parco di GaribaldiRepubblica. La disposizione a serpentina dei volumi è scavata in modo da raccogliere e convogliare al suo interno l’aria dei venti dominanti. Il progetto di Holl è un grande, asimmetrico edificio-cornice disposto attorno a un fluido e ombroso vuoto.

In esso l’area per il pubblico, rovesciando lo schema usuale del grattacielo, viene sollevata in alto e diventa osservatorio sulla città e tetto del grande spazio aperto sottostante. Entrambi i progetti descrivono l’immagine di un’istituzione aperta, ariosa e fluidamente compenetrata alla città e al territorio. Il progetto vincitore è invece un grattacielo-isola la cui trama si interrompe di netto, come tranciata, laddove inizia la città. Molto severo anche il giudizio di altri professionisti milanesi riportati da “ la Repubblica” il 27 maggio in un articolo di Paolo Berizzi intitolato, un po’ sbrigativamente, La torre del Pirellone bis non piace ai milanesi. Secondo Vittorio Gregotti, che di Pei è amico da tanti anni, (questo progetto è talmente brutto che non può essere suo, d’altronde lui, come anche Cobb ormai è in pensione, di loro restano i nomi, ma non il gusto e la classe) è proprio dalla giuria che bisogna partire per una considerazione sull’esito del concorso. È una giuria politicamente piazzata, ma particolarmente incompetente. Non poteva che venirne fuori un’idea triste e scadente. Il classico grattacielo da uffici americano costruito con la macchinetta. Dello stesso avviso Giancarlo De Carlo: non impazzisco per il progetto di Pei Cobb. È banale, scontato, di quelli che si vedono ogni settimana sulle riviste. Si poteva fare molto di più. La giuria ha espresso un giudizio un po’ affrettato. Ma un concorso è un concorso. Va rispettato perché è un istituto democratico. La pensa così un altro architetto, Italo Rota, al quale era molto piaciuto il progetto di Foster, quarto classificato.

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Riletture


Libri, riviste e media a cura della Redazione

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Rassegna di Valentina Cristini e Giulia Miele Claudio Stroppa La cultura urbana tra passato e futuro, la ricerca sociologica a Milano Budapest e Praga Franco Angeli, Milano, 2004 pp. 310, € 18,00 Giovanni Leoni (a cura di) Greppi & Bianchetti, discorsi dai luoghi (progetti 1993-2003) Idea Architecture Books, Schio, 2004 pp. 64, € 16,00 Arnelia Rizzo Abitare nella città moderna, la casa temporanea per studenti, ideologie, tipologie, aggregazioni Graffil, Palermo, 2004 pp. 144, € 15,00 Giandomenico Amendola Il governo della città sicura Liguori, Napoli, 2004 pp. 304, € 19,00 Patrizia Ingallina Il progetto urbano dall’esperienza francese alla realtà italiana Franco Angeli, Milano, 2004 pp. 158, € 15,00 Cesare Macchia Cassia, Martina Orsini, Niccolò Privileggio, Maria Alessandra Secchi Per Milano Hoepli, Milano, 2004 pp. 176, € 24,00 Margherita Guccione, Valerio Palmieri (a cura di) Alessandro Anselmi. Piano, superficie, progetto, disegni 1964-2003 Federico Motta, Milano, 2004 pp. 352, € 39,00 AA.VV. Kothon Libreria Clup, Milano, 2004 pp. 138, € 12,00 Massimo Pica Ciamarra Etimo, costruire secondo i princìpi. Architettura e trasformazione dello spazio abitato Liguori, Napoli, 2004 pp. 146, € 12,50 Frank Lloyd Wright Architettura e democrazia Mancosu, Roma, 2004 pp. 224, € 6,00

Una strada di 2000 anni

Identità e alterità

Qualcosa di nuovo in Portogallo

In questi ultimi anni si è assistito a una prolificazione di pubblicazioni riguardanti la descrizione di un territorio o una città: le “ guide turistiche” , agili libri il cui obiettivo è orientare la visita del viaggiatore. In questo panorama Via Emilia, si distingue per un duplice motivo: il tema, la Via Emilia, da un lato e, dall’altro, la scelta degli autori che, con competenze differenti con il tema si confrontano. Il libro descrive un luogo, ampio e con caratteri diversi, a partire dal sistema infrastrutturale che lo attraversa. Lungo la Via Emilia, “ colonna vertebrale” , sistema portante, di un territorio esteso dal mare alla Pianura Padana, si susseguono, alternandosi con un ritmo costante, centri abitati di diversa dimensione e natura. Ognuno di questi condivide con la Via Emilia le ragioni di nascita e sviluppo, tanto da sembrare riduttivo lo studio della singolarità in rapporto al disegno complessivo di strutturazione dell’intero territorio. È in questo senso che va letto il contributo dei tre diversi autori: un giornalista interessato in particolare alla “ storia agraria” del nostro paese; una paesaggista e una “ guida professionale” esperta di storia e arte. A ognuno il compito di trattare luoghi e città diverse a partire dai propri interessi più specifici: le grandi città e il loro rapporto con la costruzione del territorio agrario; i cosidetti “ centri minori” in cui appare con più chiarezza il tema della costruzione del “ paesaggio” e infine, il territorio compreso fra Rimini e Forlimpopoli, ricco di storia, di artisti e di monumenti. L’interesse di quest’iniziativa editoriale sta, credo nella presentazione di diverse chiavi di lettura che condividono però un unico punto di vista; quello che vede nella Via Emilia un “ monumento” che, sopravvivvendo per più di 2000 anni ha condizionato la costruzione del suo territorio.

Il libro di Settis inizia e si conclude precisando i concetti di identità e alterità tra la nostra epoca e ciò che definisce “ classico” , invitandoci a studiarlo “ sia perché lo sentiamo nostro, sia perché lo riconosciamo diverso da noi” . Identità e alterità, se presi singolarmente, possono delineare due diversi e diametralmente opposti atteggiamenti della cultura. Da una parte, identificare il classico con un sistema di valori perpetuo e inalterabile porta ad una perdita di significato della teoria che non trova riscontro nel reale. Dall’altra, considerare il classico come esperienza diversa, superata e quindi non necessaria alla conoscenza del reale fa si che, ogni volta di nuovo, si debba affrontare una qualsiasi conoscenza ripartendo da zero. Queste due posizioni estreme tra loro, da concetti contrari entro i quali trovare i limiti della ricerca tra il generale e particolare, tra teoria e pratica, divengono contraddittori, cercando di escludersi a vicenda. Nell’analisi degli esempi trattati è messo in evidenza come il ritorno al classico, in un determinato atteggiamento di pensiero, coincida ogni volta con la rifondazione teorica dei princìpi in funzione del presente. Nelle varie epoche i modi di questo rapporto cambiano al mutare dei fini contingenti alla ricerca. Rimane inalterata la volontà di stabilire tale confronto, necessario o almeno utile alla conoscenza non di ciò che è stato ma di ciò che può essere; restituito in forma trasmissibile. Solo così identità e alterità divengono due contrari, i valori estremi di una scala entro cui poter misurare la distanza relativa tra il nostro punto di vista e quello che ci circonda. Distanza che esisterà sempre ma per il fatto stesso che possa essere misurabile potrà essere riconoscibile rispetto ai due valori dati. Così che il classico come sistema di rapporti diviene il punto di simmetria tra due estremi e non sarà mai uguale a se stesso.

João Álvaro Rocha, nato nel 1959, è considerato uno degli esponenti più rappresentativi dell’ultima generazione (la quarta, dopo Tavora, Álvaro Siza e Souto de Moura) dei maestri dell’architettura moderna portoghese. Il presente volume, in lingua inglese, illustra tredici anni della sua opera suddividendo le numerose realizzazioni ed alcuni progetti in quattro categorie tipologiche: Houses, Housing, Public and Service Buildings e Urban Projects (le abitazioni unifamiliari, le residenze collettive, gli edifici pubblici e i servizi, i progetti urbani). Analizzando con attenzione i ventiquattro progetti pubblicati – fotografati con particolare maestria da Luis Ferreira Alves e corredati da un apparato iconografico ricco di disegni – quello che sorprende maggiormente è la grande maturità progettuale presente nelle opere del giovane architetto portoghese. Ma qui non si tratta più di esaminare dei lavori del “ solito progettista alla moda” che presenta alcune sue realizzazioni eseguite secondo i canoni “ siziani” o “ soutodemouriani” , ma di opere “ moderne” che, se proprio devono essere classificate, si muovono liberamente tra il minimalismo (di chiara matrice “ miesiana” ) e le architetture di “ scuola italiana” di Grassi e Monestiroli. Probabilmente una delimitazione del genere sta, a questo punto della sua carriera, ancora troppo stretta a Rocha che, quasi a voler riaffermare una totale autonomia dalla “ scuola portoghese” corrente, si fa promotore di un linguaggio architettonico sobrio – ma, nello stesso tempo, elegante – conforme a soluzioni tipologiche relativamente elementari e rigorose. Tutto ciò lo porta, a volte, a un’eccessiva cura del dettaglio architettonico (attraverso un sapiente accostamento di diversi materiali costruttivi) come se dovesse dimostrare tuttora la sua bravura e la professionalità raggiunta, in realtà già evidente nelle opere qui pubblicate.

Martina Landsberger

A. Saltini, M. T. Salomoni, S. Rossi Cescati Via Emilia. Percorsi inconsueti fra i comuni dell’antica strada consolare Il Sole 24 Ore Edagricole, Bologna, 2003 pp. 224, € 42,50

Igor Maglica

Ilario Boniello

Salvatore Settis Futuro del “classico” Einaudi, Torino, 2004 pp. 128, € 7,00

Francesco Craca João Álvaro Rocha. Architectures 1988-2001 Skira, Milano, 2003 pp. 240, € 30,00 edizione inglese


Legno in architettura

L’architettura e i suoi simboli

Identità collettive

Trenta saggi di trenta autori diversi, per descrivere i trenta luoghi più significativi nella storia della letteratura italiana dal tardo Medioevo alla metà del Novecento. Destinatario del volume è un pubblico di non specialisti, “ lettori di romanzi e poesie” ; pluritematica la selezione proposta: descrizione paesaggistica di ambienti naturali – fiume, isola –, esame di spazi artificiali – corte, piazza, chiesa –, senza trascurare riferimenti ai nonluoghi letterari per eccellenza, Paradiso e Inferno, o strada e autostrada, particolarmente legate all’esperienza della modernità. Evidenti sono i riferimenti agli studi sociologici e antropologici di Christian Norberg-Schulz e Marc Augé; ma è soprattutto nell’intreccio tra testi poetici e spazio architettonico che i curatori dell’opera sembrano attingere alle più recenti analisi interpretative della critica letteraria; forse, più che agli studi sulla città – per l’esperienza milanese, si pensi ai volumi di Giovanna Rosa o al recente convegno Milano da leggere all’Università Statale –, alle conclusioni della “ ricerca percettiva” , nella sua predilezione dichiarata per l’analisi sintetica del rapporto tra individuo e luoghi. Ne scaturisce così una raccolta composita, certamente condivisibile nell’ambizione di privilegiare un atteggiamento descrittivo che dei luoghi ricrei l’atmosfera, consentendo il riconoscimento in ciascuno di essi della dimensione culturale e spirituale, da rileggere in termini di permanenza o variazione. Elemento di fragilità dell’impianto è piuttosto l’ambizione a pervenire a una trattazione esaustiva, con la difficoltà di omologare sistemi e contesti troppo difformi tra loro. Il repertorio dei riferimenti letterari attinge alla tradizione dei maestri indiscussi della letteratura italiana, senza scavare tra le maglie delle più giovani generazioni.

Si tratta dell’ulteriore ristampa di un volume pubblicato in Germania, per la prima volta vent’anni fa frutto della ricerca svolta presso l’Istituto per le costruzioni in legno del Politecnico di Darmstadt. Dopo i saggi introduttivi di Karl Mohler e Josef Wiedemann, Thomas Herzog vi commenta una nutrita serie di immagini, che esemplificano gli usi del legno nel tempo, per realizzazioni puramente figurative, opere d’arte, oggetti, strutture architettoniche antiche e recenti, fra cui ponti, torri, involucri edilizi, membrature. La seconda parte del volume descrive la qualità dei tipi di legno e ne elenca i metodi di utilizzo più caratteristici per l’edilizia, con differenti particolari costruttivi. La terza si occupa delle strutture lignee portanti e indica le fasi e i criteri per la progettazione; le varianti di materiali e forme degli elementi; le tecniche di connessione; gli elementi di stabilizzazione e irrigidimento. La quarta presenta ben 133 recenti costruzioni e strutture portanti. La sequenza è ordinata in base al tipo di sistema, ai montanti, alle travi, ai sistemi di aste, ai telai, archi, graticci, e strutture corrugate; termina con le strutture nel piano e nello spazio. La quinta parte invece offre esempi di facciate, selezionate in base alle loro crescenti complessità tecnologiche e alla trasparenza e leggerezza delle costruzioni. Una tavola sinottica degli esempi ne riassume le caratteristiche principali. La parte sesta è stata aggiunta all’edizione del manuale del 1991 e riporta esempi più recenti, ritenuti di particolare interesse. In fondo, ampio spazio è dedicato alle norme tecniche di riferimento, alla bibliografia, alle fonti e agli indici.

Il volume raccoglie trentaquattro editoriali scritti da Furio Colombo per il mensile “ L’architettura-cronache e storia” , di cui è direttore dallla scomparsa di Bruno Zevi. L’insieme di questi articoli – che prendono spunto da episodi paradigmatici ed esempi di scelte edilizie tratti dalla recente storia d’Italia e degli Stati Uniti – disegna uno spazio di riflessione sulla città contemporanea nel tentativo di descrivere, comprendere e ripensare luoghi e forme dell’abitare. L’esame critico-semiotico della realtà urbana delineato da Colombo si apre a paradossi e contraddizioni resi espliciti da un’intelligenza sensibile, aperta ad associazioni tra elementi solo in apparenza eterogenei. La città altrove è un’entità in cerca di se stessa, onirica e reale, che si sfalda e si moltiplica oscillando tra segni di alienazione ed intuizioni utopiche; essa diviene lo spazio simbolico attraverso cui penetrare mutazioni culturali, politiche e sociali della civiltà occidentale, avviata a determinare coi suoi “ progetti” e le proprie soluzioni operative le sorti del pianeta. L’autore scopre simboli e metafore vive generate da alcuni fenomeni, scelti come emblemi del tempo presente o presagi di scenari futuri che, lungi dall’essere semplici eventi contingenti, esprimono precise visioni del mondo. I singoli frammenti di cui è costituito il libro acquisiscono un disegno e un significato organico, invitando a riflettere sul valore, la responsabilità politica e civile del fare architettura: un’arte che, forse più d’ogni altra, lascia il segno, incide sulla realtà. L’architettura è colta come rappresentazione del luogo in cui avvengono trasformazioni, si avverano disillusioni e dove, nel contempo, si custodiscono utopie ed attese; essa diventa metafora, figura della “ vita fisica e morale di una comunità” , in cui il progetto è “ sinonimo di speranza” e dove, a volte, la necessità di distruggere diviene necessaria per ricostruire, reinventare e reinterpretare il mondo.

Storia e memoria, 1953/1960; Ideologia e linguaggio, 1961/1969; Geograf ia e modif icazione crit ica, 1970/1979; Piano e proget t o, 1980/1987; Costruzione e codificazione, 1988/1999; Riallineamenti, 2000/2003. Sono i periodi che Guido Morpurgo fissa per ripercorrere la vicenda della Gregotti Associati, fra i pochi studi italiani paragonabili, per notorietà, dimensioni e mole di lavoro, ai grandi studi internazionali di architettura. Ne risulta una storia particolare che, da un lato, si riferisce alla indiscussa centralità della figura di Vittorio Gregotti, al suo articolato ruolo di teorico, di critico, di docente, di uomo di cultura e di progettista e, dall’altro, guarda alle persone che, con ruoli diversi, hanno fatto parte nel corso del tempo del gruppo. Il libro sottolinea infatti i differenti apporti, considerandoli elementi caratterizzanti dei vari periodi in cui è stata suddivisa l’attività cinquantennale. Ne risulta un libro con un raro equilibrio fra parole e immagini: descrizioni, disegni, schizzi e fotografie sono sempre scelti al solo fine di rappresentare al meglio i progetti. Ogni sezione è introdotta da un saggio dell’autore che, in relazione al dibattito architettonico internazionale, inquadra tematicamente i progetti, successivamente presentati da analitiche e chiare descrizioni. Il grado di interesse del lavoro è quindi, oltre quello di costruire un repertorio di progetti molto completo, anche quello di offrire – dall’interno dello studio, essendo Morpurgo da qualche anno uno degli associati – una chiave di lettura complessa dell’attività del gruppo. Evidenziare l’“ identità collettiva tra le persone che collaborano in via Bandello” corrisponde infatti anche ad affrontare un nodo centrale del progetto contemporaneo, sempre più articolato e determinato da procedimenti collettivi e metodi condivisi, vera continuità con quella modernità a cui Gregotti fa sempre riferimento.

Roberto Gamba Alberta Bergomi

Irina Casali Maurizio Carones

AA.VV. Luoghi della letteratura italiana Bruno Mondadori, Milano, 2003 pp. 416, € 24,00

Julius Natterer, Thomas Herzog, Michael Volz Atlante del legno Utet, Torino, 2003 pp. 360, € 103,20

Furio Colombo La città è altrove. Riflessioni sull’architettura Mancosu, Roma, 2003 pp. 214, € 6,00

Guido Morpurgo Gregotti Associati 1953-2003 Rizzoli-Skira, Mlano, 2004 pp. 356, € 39,00

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Informazione

30 saggi sui luoghi letterari


Mostre e seminari a cura della Redazione

Informazione

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Rassegna mostre

Rassegna seminari

Passaggio al moderno Architetture di fondazione dall’Italia all’Oltremare a cavallo degli anni ‘30 Milano, Triennale viale Alemagna 6 8 giugno - 25 agosto 2004

L.I.P.A.U. - Laboratorio internazionale di progettazione architettonica e urbana, 18ª Edizione Organizzazione: Politecnico di Milano - Dipartimento di Architettura e Pianificazione Bergamo, Porta di Sant’Agostino 1 - 31 luglio 2004 http://formperm.polimi.it

André Derain. La forma classica Milano, Museo della Permanente via Filippo Turati 34 25 giugno - 15 luglio 2004 Milano e l’eccellenza delle scuole d’applicazione d’arte Monza, Arengario 29 maggio - 11 luglio 2004 Andrea Palladio e Carlo Scarpa I modelli esposti al Parlamento Europeo di Bruxelles Vicenza, Palazzo Barbaran da Porto 29 maggio - 29 agosto 2004 Renzo Piano & Building Workshop Progetti in mostra Genova, Porto Antico Porta Siberia 16 maggio - 30 ottobre 2004 Eurogeneration. Viaggio nella giovane Europa del futuro Milano, Palazzo Reale piazza Duomo 12 18 giugno - 5 settembre 2004 X-Boys Architectures Confronto internazionale di metodologie progettuali Castelgrande Bellinzona (CH) 30 aprile - 28 novembre 2004 Il giardino dei passi perduti Installazione e allestimento di Peter D. Eisenman Verona, Museo di Castelvecchio 26 giugno - 3 ottobre 2004 Doppie visioni. Dialoghi sull’Italia Roma, Scuderie Papali al Quirinale 2 giugno - 29 agosto 2004 Luigi Ghirri Torino, Francosoffiantino Artecontemporanea via Rossini 23 27 maggio - 24 luglio 2004

XX° Convegno Internazionale - Architettura e Materiali del Novecento Bressanone, Casa della Gioventù - sede estiva dell’Università di Padova via Rio Bianco, 6 13 - 16 luglio 2004 http://www.arcadiaricerche.it XIV Seminario e Premio internazionale di architettura e cultura urbana Interni urbani - Luoghi e spazi collettivi Camerino, c/o Unicittà via Lili 59 1 - 5 agosto 2004 http://web.unicam.it SAMSA - Summer Academy for Mediterranean Solar Architecture Organizzazione: ISES ITALIA, Università degli Studi Roma Tre Roma, Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre 26 luglio - 6 agosto 2004 www.ises.org/samsa2004 Rassegna di convegni “ Material & Design 2004“ Organizzazione: Demetra in collaborazione con la rivista “ Ottagono” e il Matech di Padova (Primo centro europeo sui Materiali Innovativi) Designer ospite: Marc Sadler Ancona, (sede da definire) 23 settembre 2004 tel 0341 271900 www.demetraweb.it

Novegro: oggetti da collezionare

Origami trasparenti

Novegro’900: 3ª Edizione delle Arti Decorative del XX° secolo e Novegroavantgardesign Parco Esposizioni di Novegro 16-18 aprile 2004

Scala 1/1 - Mario Cucinella works at mca Cremona, Santa Maria della Pietà 7-30 maggio 2004

Dopo il 2000 siamo tutti invecchiati di cent’anni, precocemente storicizzati insieme ai nostri oggetti che conservatori, galleristi e collezionisti si contendono per ricomporre i frammenti di una storia non ancora conclusa. Il valore degli anni che passano ce lo ricordano i 70 galleristi di Arti Decorative del XX° secolo, invitati ad aprire le loro riserve a Novegro’900, per esporre pezzi Liberty, Decò e di Modernariato. La Fiera è nata con l’intelligente proposito di dotare la capitale del design di un evento espositivo dedicato alle arti decorative del XX° secolo, tema finora assente dalle manifestazioni che Milano dedica al design. Consacrata alla delicata relazione tra oggetto e collezionista, Novegro’900 non nasconde una vocazione commerciale complementare a quella del Salone del Mobile: la facoltà originale di valorizzare il tempo trascorso sulle cose. Chi ama gli oggetti poteva ritrovare tra gli stand vecchie conoscenze incontrate sulle pagine dei manuali di storia del design finalmente visibili nelle loro tridimensionalità; affaticati dal ménage della vita quotidiana e dai segni del tempo quegli oggetti ci riconciliano con l’idea d’invecchiamento, ogni traccia d’uso li ricolloca nel quadro della vita domestica e gli conferisce l’autenticità che li rende unici agli occhi del collezionista. L’inaugurazione di Novegroavantgardesign, prima fiera dedicata al collezionismo del design contemporaneo, così come la mostra Trasparenze vetri d’autore, d’arte e di design, curata da David Palterer, rappresentano un’interessante direzione di ricerca, promossa da Paola Colombari, per far convergere sul progetto contemporaneo e sulla produzione in serie limitata l’interesse della collezione. Alessandro Vicari

La locandina di Scala 1/1 mostra le mani dell’architetto che “ piegano” al Kunstwollen della sensibilità contemporanea una lamina di materiale trasparente seguendo il rigore geometrico che regola l’origami, l’arte di dare forma alla carta di matrice giapponese. È lo schema dell’incredibile copertura frangisole che collega le torri vetrate della nuova sede dei servizi comunali di Bologna, il terzo dei cinque progetti dello studio “ Mario Cucinella Architects” presentati dall’esposizione. Terzo soltanto per collocazione fisica, poiché la successione è determinata dal luogo dell’allestimento: un’unica grande navata nella ex chiesa di Santa Maria della Pietà, dove i progetti di Bergognone 53 a Milano, della nuova sede unica del Comune di Piacenza, di quella di Bologna, dell’e-bo ancora a Bologna e della exCasa di Bianco a Cremona, seguono l’uno all’altro separati da alti tendaggi in materiale plastico. Ogni intervento è illustrato da un modello in scala 1:1 e dai disegni dei dettagli costruttivi efficacemente riportati in bianco su fondo nero ed è affiancato dai plastici di concorso. Di forte impatto visivo sono soprattutto i modelli di una porzione della copertura vetrata della corte interna e della “ doppia pelle” della facciata sud-ovest del complesso di via Bergognone a Milano, che utilizza particolari vetri filtranti per il miglioramento del microclima interno dell’edificio, così come la grande finestra con anta/persiana in legno di cedro della ex-Casa di Bianco di Cremona. Gli stessi tendaggi separatori di ogni spazio-progetto completano l’allestimento proponendo il rendering degli spazi interni o di particolari degli esterni degli edifici. Al termine della navata, all’intersezione con il transetto, è collocato un videoproiettore che presenta i lavori di Milano e Bologna e con essi il pensiero di Mario Cucinella: “ plasmare il vetro è tecnologia del contemporaneo” , fatto che accomuna le cinque opere esposte. Maria Teresa Feraboli


Arte contemporanea della Farnesina

I CM8 e il piano per Como

Tagliabue, 5+1 e Podrecca a Varese

Chagall. Un maestro del ‘900 Torino, GAM 24 marzo - 4 luglio 2004

Da Balla alla Transavanguardia. Cento anni di arte italiana alla Farnesina Triennale di Milano v.le Alemagna 6 11-30 maggio 2004

Il concorso per il piano regolatore della città di Como: 1933-34 Cernobbio, Archivio Cattaneo 15-25 maggio 2004

Conferenze di Architettura. Benedetta Tagliabue Miralles; 5+1, Alfonso Femia e Gianluca Peluffo; Boris Podrecca Varese, Centro Congressi Ville Ponti - Villa Andrea p.zza Litta 2 22 e 29 aprile; 6 maggio 2004

A cinquant’anni dalla celebre retrospettiva di Palazzo Madama, la GAM di Torino presenta un’imponente mostra antologica dedicata a Marc Chagall (1887-1985): una rilettura critica dell’opera del maestro russo in oltre centoquaranta opere. La mostra – curata da illustri critici e studiosi: Jean Michel Foray, Alan Crump, e Meret Meyer, nipote del pittore – illustra il rapporto che l’artista inataura tra la vita e l’evolversi della propria arte attraverso la storia del ‘900, testimoniandone speranze tragedie e rivoluzioni. Un’arte in bilico tra sogno e realtà, fragranza e ricordo, in grado di reinterpretare motivi, forme e suggestioni percepite dall’esterno con un linguaggio personale, testimonianza di una costante dialettica tra l’identità, le radici culturali e religiose del pittore e le molteplici contaminazioni geografiche, storiche ed artistiche. La mostra si snoda in un percorso sinestetico, fatto d’immagini, suoni e parole: tra il commento sonoro delle autoguide, che accompagna la vista delle opere – tra cui sculture, ceramiche e collages – favorendone un’intima comprensione, e i passi tratti dall’autobiografia Ma vie che, come scolpiti sui muri, condensano in forma poetica l’arte pittorica dell’autore, suggerendo simboli e metafore impressi sulla tela. Il nutrito gruppo di opere esposte affianca quadri celeberrimi – come i dipinti “ surrealisti” Sogno di una notte d’estate o L’occhio verde, o quelli influenzati dal Cubismo come l’Apparizione o le straordinarie immagini poetiche dei due amanti raffigurati nei capolavori Al di sopra della città e La passeggiata – ad opere quasi sconosciute come Il nudo sopra Vitebsk o La sposa dalla doppia faccia. Emozionante il film di LévyKuentz che ritrae all’opera l’artista maturo nel dare forma a mosaici, quadri, vetrate o, sospeso a testa in giù sulla scala, a tracciare il cielo dell’Opera di Parigi, nel fiore dei suoi 65 anni, con quella forza leggera e gioiosa che è la stessa dei suoi dipinti immortali. Irina Casali

Nelle sale del Palazzo della Triennale di Milano sono state esposte opere provenienti dalla Collezione di arte contemporanea del Palazzo della Farnesina. Si tratta di una importante raccolta, nata quattro anni fa per iniziativa del Segretario generale Umberto Vattani e curata da Maurizio Calvesi, con la finalità di promuovere l’arte italiana nel mondo. Questa preziosa selezione di opere, in mostra per la prima volta al grande pubblico, comprende alcuni degli artisti nati nella prima metà del ‘900 e offre la possibilità di osservare produzioni appartenenti ad espressioni artistiche molto diverse tra di loro, come quelle che si riferiscono ai maestri del figurativo, Giorgio Morandi, Virgilio Guidi, Mario Sironi, Filippo de Pisis, o agli esponenti dell’astrattismo, Emilio Vedova, Gastone Novelli, Carla Accardi, Pietro Dorazio, Enrico Castellani. Le opere presentate alla Triennale descrivono infatti un percorso che documenta le diverse tendenze che hanno animato la ricerca artistica italiana, dal primo al secondo dopoguerra, dal Futurismo alla Transavanguardia, tra dipinti, sculture, realizzazioni polimateriche e video installazioni, quasi tutte caratterizzate dall’imponenza monumentale. Le prime creazioni artistiche, collocabili tra gli anni Venti e Quaranta, documentano la fase del “ Ritorno all’ordine” della pittura italiana, dopo il radicale rinnovamento del linguaggio operato dalle avanguardie storiche; tra queste si possono ammirare opere di Ardengo Soffici, Virgilio Guidi, Massimo Campigli. Seguono i maestri delle Seconde Avanguardie degli anni Cinquanta e Sessanta, tra astrattismo e informale, con i lavori di Giuseppe Capogrossi, Afro Basaldella, Alberto Burri, Lucio Fontana, Arnaldo Pomodoro. Tanti gli altri itinerari di ricerca, tra cui il nucleo dell’” Arte povera “ con Jannis Kounellis, Giulio Paolini e Michelangelo Pistoletto. Manuela Oglialoro

Si è inaugurata il 15 maggio la mostra dedicata al concorso per il nuovo Piano Regolatore della città di Como del 1933-34 nella sede dell’Archivio Cattaneo a Cernobbio. Quest’ultimo ente, insieme al Comune e all’Ordine degli architetti di Como, è stato l’organizzatore principale della piccola e preziosa esposizione che rimette in luce le tavole originali consegnate dal gruppo denominato CM8 (Bottoni, Cattaneo, Lingeri, Giussani, Pucci, Dodi, Uslenghi, Terragni) per il piano della nuova città razionalista. Oggetto degli studi di Piano, come previsto dal Bando di concorso, risulta essere la definizione delle direttive generali della futura sistemazione urbana per quanto riguarda i problemi fondamentali della viabilità e dello sviluppo edilizio. Le grandi tavole sono testimoni di un progetto che lavorava con un duplice intento: il primo affrontava il problema dei centri storici e la loro modernizzazione, mentre il secondo si poneva il problema dello sviluppo delle aree di espansione fuori dalla cosiddetta “ convalle” . Lavorando sul duplice fronte della città vecchia e nuova il razionalismo (citando le parole di Alberto Sartoris pronunciate nel 1998 riguardo alla stagione architettonica di quell’epoca) “ si è appassionato di questa formulazione della città integrata” . Il razionalismo è un modo generoso di pensare, di comporre e di vedere l’architettura. È forse questo il merito e l’esempio maggiore che questi architetti ci hanno lasciato; aver fornito un piano pieno di risposte architettoniche a questioni urbane e sociali. La mostra poi si è conclusa il 25 maggio con l’intervento di Giancarlo Consonni del Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura Civile. Francesco Fallavollita

A Varese, per decenni, è mancato un dibattito sull’architettura che non fosse episodico o casuale. L’Associazione AV Architetti Varese, con il patrocinio dell’Ordine e con il contributo dell’azienda Norlight, ha deciso di colmare questo vuoto organizzando, tre conferenze cui hanno partecipato tre studi di progettazione attivi a livello internazionale. Nel primo incontro, svoltosi il 22 aprile, Benedetta Tagliabue Miralles ha illustrato importanti progetti elaborati dal suo studio italo-spagnolo: il Parlamento di Scozia ad Edimburgo, il restauro del mercato di Santa Caterina e il parco di Diagonal Mar a Barcellona. È emersa la particolare metodologia progettuale dello studio catalano, un atelier artigiano dove il fare manuale ricopre il ruolo d’attore principale: plastici, fotomontaggi, materiali, schizzi, disegni, libri, prendono il sopravvento sulla moderna tecnologia, sempre presente ma subordinata alla manualità artigianale. Il 29 aprile è stata la volta di Alfonso Femia e Gianluca Peluffo, partner dello studio 5+1. Un fare, quello del giovane studio genovese, disinvolto, senza preconcetti, convinto che i progetti odierni debbano essere figli del loro tempo, attento al paesaggio, alla luce ed ai materiali. Infine, il 6 maggio, il maestro viennese Boris Podrecca ha incantato la platea con un racconto poetico supportato dalle immagini delle sue architetture. Vienna, Stoccarda, Milano, Venezia, Linz fungono da humus all’architettura di Podrecca; un fare progettuale di cui paesaggio e cit t à rappresent ano i princìpi ispiratori e in cui, gli elementi naturali talvolta dividono, talaltra uniscono, comunque dialogano magnificamente con il nuovo costruito. Il successo della manifestazione ha convinto l’Associazione AV Architetti Varese a dare cadenza annuale a questi incontri. Andrea Ciotti

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Informazione

Chagall, poeta del colore


A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l'adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice - novembre 1969:100 Anno 2001 2002 2003 2004

Gennaio 1430 1430,28 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00

Febbraio 1435,31 1467,96 1504,37 1537,02

Marzo

Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre 1440 1436,56 1441,59 1445,35 1446,61 1447,86 1447,86 1449,12 1470 1480 1471,72 1475,49 1478 1480,51 1481,77 1484,28 1486,79 1510 1520 1509,4 1511,91 1513,16 1514,42 1518,19 1520,7 1524,46 1540 1538,28 1542,04

2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978) Anno 2001

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2002 2003

Indici e tassi

2004

Gennaio Febbraio

Marzo

novembre 1978: base 100

Ottobre Novembre Dicembre 1450 1452,89 1455,4 1456,65 1490 1490,56 1494,33 1495,58 1525,72 1529,49 1529,48

dicembre 1978:100,72

Aprile

Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre 500 495,00 496,74 497,18 498,91 500,22 500,65 501,09 501,09 501,52 502,83 510 506,30 508,04 509,35 510,65 511,52 512,39 512,82 513,69 514,56 515,86 520 519,78 520,64 522,38 523,25 523,69 524,12 525,43 526,29 527,6 528,03 530 530,21 531,94 532,38 533,68

Novembre Dicembre 503,70 504,13 517,17 517,6 529,34 529,34

3.1) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Milano)

anno 1995: base 100

Anno

Gennaio Febbraio

Giugno

2002 2003 2004

111,80 112,18 112,47 112,76 112,95 113,14 113,24 113,43 113,62 113,91 114,2 114,29 114,77 114,97 115,35 115,54 115,64 115,73 116,02 116,21 116,50 116,60 116,89 116,89 117,08 117,46 117,56 117,85

Marzo

Aprile

Maggio

Luglio

giugno 1996: 104,2

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

3.2) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) anno 2000: base 100 Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno 2002 2003 2004

Gennaio Febbraio

Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

dicembre 2000: 113,4

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

102,73 103,08 103,35 103,61 103,79 103,96 104,05 104,23 104,4 104,67 104,93 105,02 105,46 105,64 105,99 106,17 106,26 106,34 106,61 106,79 107,05 107,14 107,40 107,40 107,58 107,93 108,02 108,28

4) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

gennaio 1999: 108,2

Anno

Gennaio Febbraio

2002 2003 2004

107,67 108,04 108,31 108,59 108,78 108,96 109,05 109,24 109,42 109,7 109,98 110,07 110,53 110,72 111,09 111,27 111,36 111,46 111,73 111,92 112,19 112,29 112,56 112,56 112,75 113,12 113,21 113,49

5) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

anno 2001: base 100

gennaio 2001: 110,5

2001 2002 2003 2004 103,07 105,42 108,23 110,40

6) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

Luglio

anno 1999: base 100

anno 1995: base 100

1996 1997 1998 105,55 108,33 110,08

7) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno

1998 1999 2000 101,81 103,04 105,51

novembre 1995: 110,6

1999 2000 2001 2002 2003 2004 111,52 113,89 117,39 120,07 123,27 125,74 anno 1997: base 100

febbraio 1997: 105,2

2001 2002 2003 2004 108,65 111,12 113,87 116,34

Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all'art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l'elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d'Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.

Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv.

della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U.

3,25% 3,75% 4,25% 4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%

8.2.2000 n° 31) dal 9.2.2000 3.5.2000 n° 101) dal 4.5.2000 14.6.2000 n° 137) dal 15.6.2000 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003

Con riferimento all'art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “ Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.

Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003

3,35% +7 2,85% +7

Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) 10,35% 9,85%

dal 1.7.2003 al 31.12.2003

2,10% +7

9,10%

Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)

dal 1.1.2004 al 30.6.2004 Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.

2,02% +7

9,02%

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10% . Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato) G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, re-lativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione per-centuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove).

Applicazione Legge 415/ 98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


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