Città di Pontecorvo
ArtExpò 2012 21 -24 agosto 2012
realizzazione editoriale Edizioni ArtExpò testo critico Giuseppe Varone copertina Maurizio Paolozzi
Il presente catalogo è stato realizzato con il prezioso contributo di:
impaginazione Francesco Di Traglia stampa tip. turchetta - pontecorvo ISBN 978-88-906300-3-3
Le Associazioni Culturali
Lakasatasakapata
Officine Mizar
Animafamily
Work’s in Progress
con la collaborazione del
Comune di Pontecorvo e il patrocinio di
Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio Provincia di Frosinone Conservatorio di Musica Licinio Refice di Frosinone Banca Popolare del Cassinate presentano
ArtExpò 2012 21 - 24 agosto Pontecorvo (Fr)
Il progetto ArtExpò, giunto ormai alla terza edizione, è diventata in pochi anni una manifestazione articolata e densa con un cartellone diffuso di eventi multidisciplinari capace di animare per alcuni giorni la nostra città con spettacoli di teatro, musica, conferenze d’arte e inaugurazioni di mostre collettive. Nata in un’ottica di valorizzazione della produzione artistica del nostro territorio, è riuscita in poco tempo ad allargare i propri orizzonti e a far conoscere il nome di Pontecorvo a numerosi artisti italiani ed internazionali. Sicuramente rilevante è la numerosa partecipazione, visto il gran numero di domande pervenute al concorso di arte contemporanea e al concorso fotografico. Non posso che esprimere soddisfazione per una manifestazione organizzata in collaborazione con il nostro Ente e ringraziare la qualificata giuria che ha permesso ai quattordici validi artisti presenti in questo catalogo di esporre nella nostra città le loro preziose opere.
Nonostante il periodo di difficoltà economica attuale, con grande sforzo questa amministrazione non rinuncia alla promozione di eventi culturali come il progetto ArtExpò che rappresentano per noi e per la nostra città momenti di rinascita intellettuale e partecipazione sociale. Spettacoli, manifestazioni artistiche ed eventi culturali sono la cassa armonica della vitalità e della volontà di esprimere e di esprimersi della comunità che le promuove. Perciò ci siamo impegnati nel trovare strade diverse per offrire a Pontecorvo un’estate ricca di eventi e di cultura. La mostra delle interessanti opere contenute nel presente catalogo sarà una preziosa occasione per i nostri cittadini per poter apprezzare diversi linguaggi e tecniche appartenenti a varie forme artistiche e potrà stimolare i nostri giovani talenti del territorio nella loro produzione artistica. Con l’auspicio che questa ed altre iniziative crescano sempre più nel tempo, ringrazio tutti gli enti e le associazioni coinvolte che hanno sostenuto e realizzato questo evento.
Avv. Michele Sirianni Notaro Sindaco di Pontecorvo
Stefano Longo Ass. alla Cultura, Turismo e Spettacolo
ArtExpò 2012 di Giuseppe Varone Un’intelligenza del reale comporta una politica territoriale, una trasformazione dell’ambiente e una gestione dello spazio come riflesso della componente umana, quindi antropologica e culturale. Se ciò viene meno, in quel riflesso confuso e debole, quando non ostile, occorre recepire gl’input di una società in decadenza, non tanto e non solo nelle sue abitudini e vessazioni, quanto nella sua capacità di risposta e rivalsa. In sostanza il sottosuolo, inconscio o io intellettuale che dir si voglia, irrompe ora indistintamente ora impetuosamente nel reale, nel segno di una scoperta: scoperta dell’esistenza dell’altro, dunque di tutto ciò che quella realtà invero la trascende o più specificatamente la rende maggiormente affascinante e coinvolgente, giacché nella variazione dell’angolo visuale di ciascun individuo essa viene percepita in modi e con strumenti differenti. Ma dai tempi più remoti e così probabil-
mente in futuro, la realtà da paesaggio fisico e tangibile, mosso e retto da leggi meccaniche, diviene moto dell’animo e riflesso dei suoi indefiniti e inafferrabili stati. Ecco, perciò, che la rovinosa immagine di una realtà in decadenza e di una generazione in crisi, si fa storia di una dinamica che facilmente, con moto rapido, si estende a tutte le storie degli uomini che a quella realtà vi partecipano vivendone altre: le storie universali della finzione artistica; l’indagine sempre viva concepita con l’epos non tradotto nelle pieghe del cemento e della stoltezza quotidiana; la tramatura senza tempo e senza limiti di un romanzo esistito e resistente sui molteplici aspetti dell’esistente. Mentre, però, il mondo continua ad essere offeso, anziché assistere a un salvataggio nel senso antico delle nostre fortezze, si diventa sovente testimoni inermi del loro più totale declino. Così, l’arte assume una missione decisiva nell’insieme dei più determinanti, in senso sia positivo sia negativo, mutamenti sociali. L’ArtExpò di Pontecorvo, alla sua terza, maturata edizione grazie alla rara abnegazione, vitale intelligenza, umile intrapren-
denza e amabile sensibilità dei giovani membri delle associazioni organizzatrici, lascia intendere come sia impossibile restare indifferenti a ciò che accade intorno a noi e dentro di noi. In complicità con gli artisti di sempre diversa provenienza geografica e artistica, aiutano a indovinare come tutti siamo avvinti alla fluente, irrefrenabile e per questo fascinosa realtà del nostro tempo; e quanto tutti, alla maniera odisseica, possiamo tramutarci in viaggiatori tra i segni concreti e astratti dell’arte, per scoprire riscoprendoci. Tutto questo, perché si partecipa alle cose che abitano il nostro mondo consapevoli di non essere meri frantumi di una quinta scenica, bensì testimoni e attori di una scenografia caleidoscopica, raggiante e melanconica, chiamata esistenza. Nella spettacolare ed ermetica durata della vita, come presenze attive, attraverso il potenziale proveniente dall’immaginazione creativa e dalla sua fruizione, quindi dal pensiero e dalla poesia, muniamo l’esistente di una extra-ordinarietà, provvisti dei sigilli, delle chiavi di lettura, si potrebbe dire delle password per accedere a ciò che si trova oltre, in quel displuvio tra realtà e finzione, tra
storia e memoria, nel cuore del nostro vissuto. L’ArtExpò di Pontecorvo, nella corrente edizione ospitante opere di pittura, grafica, video-art e performing art, tra altri linguaggi, sollecita alla conoscenza degli artisti e all’ammirazione estatica delle loro creazioni. Le opere d’arte, alla stessa maniera di ogni impegno umano e culturale, vanno osservate e interiorizzate in contemplazione di solitudine e condivisa meditazione, a nutrimento delle speranze del mondo. In virtù di tale esperienza sensoriale e spirituale, mossi dalla passione e dalla ragione, il vento offrirà al veliero del nostro ego individuale e collettivo la rotta di un comune viaggiare. Viaggiare per un suono, uno sguardo, un colore, una parola, poiché l’uomo non tarda a mutar di spirito e d’umore. L’ArtExpò di Pontecorvo, come prezioso souvenir, è un’emozione sempreverde, che arriva da lontano e più oltre si porterà.
SERENA CALCAGNILE In quest’opera, Senza titolo (olio su tela), Serena Calcagnile dimostra di possedere una pronta e sapida capacità di osservazione, in special modo nella resa rarefatta delle sensazioni più sottili e complesse rattenute in quei volti latori di un’infanzia attonita. Nella parte in cui la leccese non descrive si palesa l’autentica ricchezza del dipinto a olio, a mo’ di riappropriazione segnica di una vitalità espressiva, anche quando mossa in direzione di un cosmo di ricolma mestizia. Mai eccedente nel dettaglio, talora avvinta al fascino delle venature erranti per un ripensato e personale codice impressionista-espressionista-informale, alla Calcagnile non manca quel prezioso senso dell’economia comunicativa, scorgendo nella sintesi il dettaglio del suo racconto di terra e sguardi. Ciò che maggiormente appassiona in questo componimento visivo è la profusione di emozioni legate a una visibile, a tratti vivibile oggettività, mai incline a diventar greve, poiché nulla aggiunge allo stato d’animo di quei personaggi che lo spettatore contempla, vivificandoli con quel di più di soggettività. Si avverte, piut-
tosto, un’immane vuotaggine, a creare un tutto fatto di impalpabilità. L’artista di Copertino crea una zona di silenziosa, terrestre opacità, non propriamente calcolata, nella quale si prova interesse a veder vivere delle storie non rivelate. Una genuina resa narrativa, colta in un fermo-immagine non impietrito, la pagina bellissima di un popolo che il tempo non modifica e che se tocca non cancellerà mai del tutto. Un richiamo di miseria e ricchezza, un magico lirismo fatto di luci e ombre, come un’intensa fotografia di occhi che osservano; occhi che, stregati, ci si ritrova ad osservare per osservarsi.
DANILO DI BERARDINO Di fronte a Sorriso (acrilico su cartone) di Danilo Di Berardino, la prima volta è sempre un’esperienza di abbandono e leggerezza. L’essenziale di quest’opera si crede possa risiedere nella riscoperta di qualcosa di molto semplice, come appunto un sorriso, intagliato con la medesima qualità, quasi a chiosare il suo sovrasenso. In tale riscoperta pressoché archetipica, l’artista abruzzese sembra
agire, in modo del tutto singolare, in armonia con lo spirito immemore di un metro lento e puro, in rallegrata e compiaciuta simbiosi con quanto espresso. Sulla superficie il Nostro interviene come un poeta fa con il verso libero, ossia senza alcuna volontà di prosaicizzare significante e significato. Arriva a una liberazione dalle carcasse della figurazione, recuperando su un materiale povero una musicalità tutta diversa e ininterrotta, come un blues o le grandi figurazioni parietali delle gradi metropoli moderne. Un sorriso, insomma, come temporaneo silenzio nelle strade del mondo; come pausa del consorzio umano, per lasciarsi andare al verso libero di un semplice, sensazionale, stato d’animo. MARIA DI PIETRO Nella installazione Involucri vuoti (serigrafia su maglie, struttura in ferro saldato e corda) la Di Pietro lascia intuire un movimento possibile, per un riconciliarsi degli e agli oggetti, delle e alle forme, umane e non, quindi dell’artista con una dimensione che abolisce l’eter-
no e il sensibile, inverando la simultaneità di passato, presente e futuro. Una installazione, quella dell’artista reggina, che genera una disgregazione delle strutture e identità conosciute, svuotate in virtù di una ricerca dell’errore e dell’impressione, quindi della non poesia della verità in quell’enciclopedico frammentismo dell’animato, vissuto e osservato con spirito militante e sottile. Realtà come precipuo orizzonte d’attesa della Di Pietro, giacché mossa, nella sua personale ricerca artistica, da questioni e tematiche sociali, dunque dall’intimità e dalla trasparenza della Storia, come pure dell’uomo che dalle epifanie di questa viene attraversato in connivenza con l’altro da sé. In quest’opera, tessera di una costante, ulteriore ricerca intesa anche come incessante sperimentazione dei più diversi codici linguistici e strumenti espressivi, dall’installazione alla fotografia, si avverte una non arrendevole ansia di assolutezza, come tensione al non-finito, in un melange di scienza poetica e filosofica poesia, con schegge di impurità dal fascino vaporosamente patologico. Una creazione che è dunque riflessione sulla realtà, come pure suo riflesso, da cui il suo essenziale caratte-
re mobile e aperto al di là del suo stesso risultato, poiché tutto torna e funziona nella mutabilità del vivente, ordinato e ricomposto; fino a quando, non sconsacrato e rinnegato, come nell’opera d’arte stessa, ineluttabilmente accade. ALBA KIA L’opera Ora che la miniera siamo noi di Alba Kia (Chiara Ferrara) suggestiona per la natura alquanto abbozzata del movimento di individui e cose, in un tutto durevole e non marmoreo, sigillato in un attimo di evanescenza. Il cammino di tali parvenze umane, in avvicendamento generazionale, si leva come metonimia del cammino degli uomini tra elementi antropici in un deserto da recuperare e nel quale ricostruire. Un cammino che silenziosamente rumoreggia come il volare: si riconosce che nel loro primordiale, stanco e ozioso muoversi, disperato come quello di fiera in gabbia appena liberata, simile a una fiumana di superstiti che lasciano la propria città in rovina, come durante e dopo un conflitto bellico, tuona un andamento fugato: nelle evoluzioni
di queste silhouette dalle forme evanescenti, lente e pesanti nei singoli passi senza impronta, s’appressa una emancipazione, capricciosa e infelice nell’improvviso, possibile mutar di direzione; nello sconvolgimento dei lievi equilibri, tratti dal modo di pendere e muoversi intorno a un asse immaginario, che è come muoversi in nessun dove, quando per l’appunto, ora che la miniera siamo noi, conviene volare dentro sé stessi. L’artista sarda stupisce per il modo velato e onirico con il quale sopprime ogni peso e necessità statica, creando un plot nebuloso, elastico e senza resistenze, al cospetto del quale lo spettatore si trasforma in natante in costante apnea nell’asciutto dell’aria, del mare, della terra e dell’umano, con le sue gioie, dolori e passioni, transitanti in rotte di color purpureo a comunicare ultime, sconfinanti e fuggevoli ebbrezze. GIULIA FIORENZA Nell’opera di Giulia Fiorenza, Senza titolo n. 36, aleggia in profondità un sorvegliato quanto affrancato governo del proprio genio, affabilmente defi-
nito e circonfuso nella fondamentale affermazione di fluttuanti passaggi di colore, realizzati con liquidi chimici su carta fotosensibile. Tentata da una pittura intesa soprattutto come disciplina spirituale e come linguaggio mediato da un rapporto concreto con i materiali che la compongono, l’artista romana si propone di dare forma all’informe, come la propria anima. Il suo lavorio appare a tratti fortemente asperso di un controllato e sciolto impulso orientale, diluito nel precipuo amore per il gesto rapido, istintivo, specifico della pittura sumi, estetica floreale e ad inchiostro, rapida ed essenziale, con il fascino di ciò che è in divenire, proprio delle forme naturali, quindi irregolari e non-finite. La Fiorenza oltrepassa il messaggio della figurazione pittorica per esprimere la sua coscienza spirituale in gesti oramai puri e istintivi. L’opera nasce, anziché da una costruzione preventiva, da un impulso battente nel suo ego, sortendo una moltitudine di gesti liberatori, depurati da qualsiasi forma di oppressione e inibizione mentale. Ne consegue un incessante e imperscrutabile sortilegio estetico, entro profondità di luce, masse e forme erratiche, con tramatu-
re alludenti a un golfo di utopica eppur accessibile grazia. Una ricerca fondata e suggestiva, esortante lo spettatore a perdersi in quegli intrecci, aperti oltre i confini stessi della superficie, dilatati nell’inedito, amortale esistente. IULIA GHITA In Soffio vitale, Ghita Iulia, con prezioso e mitopoietico élan vital, lavora sull’acqua, arginandola con il fine di intendere nel contempo lo stare al mondo dell’uomo e del mondo in tutti gli uomini. Genera un sincronismo formativo della materia liquida in solitarie particelle capaci di conferire incanto al principio dell’evidenza. Trasfigurazione che si palesa in semplici unità costituite di liquido e vivace intimismo della materia. Unità disposte in partiture armoniose di colore su uno strato di lento tramutare delle tonalità e delle rotondità, mutevoli a guisa di ondate vaganti e residenti nelle più inattese direzioni. Equazioni improvvise del concreto tra corpi dal palpito familiare. Un calore colorato e sciolto, muta parola dell’impercettibile fissato in una leggerezza sferica e perla-
ta, sulla quale l’occhio si posa d’incanto in sincronia di eguaglianza e molteplicità, scoprendo il gioco nel ritmo della duplice creazione: una silente e segreta investigazione che conquide lo spirito, una visione estetica e rapita delle rivelabili proprietà comuni agli uomini e alla natura. Il pensiero sensibile che plasma l’incomprensibile nel quieto e maestoso ordito di silenziosi flutti di umana e naturale iridescenza. MARCO MENDENI In Game Over 01 (Trasposizione elaborazione digitale su pannello di cemento), Marco Mendeni manifesta tutto il suo interesse, nell’ambito della sua ricerca artistica, per lo studio della simulazione interattiva, intesa come espressione della condizione dell’uomo del nostro tempo, con una specifica attenzione all’analisi dell’universo dei videogames, media contenente le caratteristiche antropologiche rispondenti al socioletto nella realtà ultimamente presente. Nella convinzione che non sia più possibile, nelle arti visive come nelle altre forme di comunicazione,
eludere i processi di consumo del mercato, e quindi rinunciare a una forma di riflessione partecipata sui temi improrogabili che ne derivano, quali, tra altri, la trasposizione e la migrazione repentina dell’essere nella direzione di territori sempre più sinottici e nuvolari, Mendeni ne fa il cuore e la ragione della sua ricerca artistica. Nella serie Game Over il lavoro consiste nel giocare con un numero cospicuo di videogiochi tra i più celebri degli anni Ottanta, fotografandone la scritta finale per poi rielaborarla su lastre di cemento, intese come moderne incisioni rupestri, come può capitare di vederne nelle grotte del sud della Francia, testimonianza millenaria del passaggio dell’uomo sulla terra. L’uomo contemporaneo ha sferzato un duro colpo nella pietra, interrompendo un processo millenario senza dare ad essa nuova forma. Con i linguaggi del presente Mendeni ipotizza uno slancio duraturo, un sincero e coscienzioso singulto di futuro.
“gruppo Gruppo” (FABIO MONNI/ALESSANDRO PERINI) Fabio Monni e Alessandro Perini – componenti del “gruppo Gruppo”, progetto visivo-musicale italo-svedese fondato su una nuova ricerca volta alla realizzazione di opere d’arte e spettacoli nei settori dell’arte multimediale e della musica contemporanea – presenta Secret Lives, singolare trittico dedicato a tre compositori italiani: Luciano Berio, Bruno Maderna e Franco Donatoni. Un video impostato su tre percorsi correlati ai diversi livelli di manipolazione del dominio del suono e dell’immagine, in virtù dei tre diversi protagonisti ai quali è dedicato. Nella prima sequenza, dedicata a Luciano Berio, il ritratto di quest’ultimo si compone e scompone, rivelato e nascosto a intervalli cadenzati, tra l’emozione di una percezione e il viluppo della sua voce a campioni della sua Sinfonia. Nella seconda parte, dedicata a Bruno Maderna, prevale il senso dell’incontrollato e dell’inesprimibile, per riprodurre di contro il concetto stesso di controllo entro una compagine prettamente mobile e astratta, le cui
sembianze simulano paesaggi diversi ricavati dalla cosciente rielaborazione della mappatura della città natale del compositore, Venezia, su un fondo sonoro tratto dal Venetian Journal, dello stesso Maderna, atto a recuperarne la celata origine. La terza e ultima parte, dedicata a Franco Donatoni, presenta una sembianza essenziale del compositore progressivamente attirato, con sguardo rovente, dagli spettri della sua stessa scrittura musicale, apparenti nei lineamenti di corpuscoli somiglianti alle unità minime del suo processo creativo, in controluce alla sua passione per il jazz, manifesta sia nelle immagini sia nel suono, innesto di lacerti ricavati dal suo Hot. CRI ECO La performance di Cri Eco, Per farla finita col giudizio di Dio, messa in scena il 26 febbraio 2012, presso la Sala Clanque del Teatro della Tosse di Genova, si compone di strati scavati che sgomentano con voce geologica e antica. Nelle obliquità e ubiquità nero-azzurre, voci urlanti si spalmano su piani retrostanti
alla figura immobile e cangiante. Sorprende per la forza dell’asprezza selvaggia, come resurrezione da un nero tempo di azzurra, primordiale rinascita. Incanta nello scovare la bellezza inattesa entro gestualità perdute, come punti cardinali di un arabesco sensibile dell’umanità indivisa. Un murmure maestoso e inquieto, un flusso centrifugo dilatato in dramma plastico e universale, dalla cromia variabile e intrisa di spettacolare rotondità, supportata da un intelligente recupero del passato per mezzo delle più moderne tecnologie. Un atto performativo, quello dell’artista ligure, rammemorante l’infinita vitalità spirituale e materiale delle cose, arroccata su un manto di rumori, grida e suoni, esplorative della polisemia della parola urlata, in contrasto con la fragilità dell’individuo che la pronuncia e la riceve, sgomento e purificato. GIULIA SPERNAZZA L’opera-video di Giulia Spernazza, Fluidoessenza, è per buona parte fondata sul concetto di danza, al di là dell’acme raggiunto nell’assolo, fatta di
sinuosi e musici movimenti di fragorosa leggerezza, rifinita dalla delicata e trascinante melodia di fondo. Nell’intenso e durevole atto performativo vi sono luci e semioscurità, frattanto che nel gusto dell’abbandono alla lentezza tutto accade. La qualità dell’intera percorrenza fisico-visivo-musicale, s’annida dietro movenze consegnate a forme precise, con mutevole noncalenza e l’inconsapevolezza delle nuvole, in preda a fantasie plastificatrici. Con un potere toccante la Spernazza inscena un gioco di distanze melanconiche, penetranti e allungate su un tappeto di riflessi. La figura tende a sciogliersi e svuotandosi comincia gradualmente a sondare nuovi passaggi; moti segnati da transiti impressi nella sabbia, incontenibile e transeunte. Il corpo danzante si spinge nell’assente e ogni elemento naturale è sospeso e ripreso in schemi ulteriori, paradigmi distanti e vicini, come rallentata proiezione dell’Io, sconvolto e travolgente. Una liquida ed essenziale danza in assenza di movimento e materia, come vento che sfoglia pagine di un libro ancora non scritto.
CARMEN TESTA Carmen Testa, con Le metamorfosi, opera facente parte della serie Le pieghe dell’anima, catapulta con grazia l’osservatore in un cosmo aggrovigliato, attraccato agli argini dell’animo, smarrito nel sottosuolo inesplorato e urlante. Dal punto di vista del narratore onnisciente, in prospettiva alta e in diagonale, tesse su una quinta di pieghe echeggianti quelle dell’indifeso inconscio, un racconto intagliato nel confuso displuvio tra sonno e sogno, tra realtà e finzione. Nel contempo si fa testimone e protagonista del dramma esistenziale, di chi posa su tali grovigli tramutato in scarafaggio, simbolo della solitaria diversità rispetto al reale, allegoria della collettiva alienazione rispetto al proprio essere. In questo amalgama di sospensione e silenzio, scomparso l’uomo dall’amena superfluità, indubitabile è la relazione con le pagine di Kafka, cantore dell’alienata condizione dell’uomo moderno, di quando al mattino, svegliandosi da agitati sogni, ci si ritrova trasformati, nel proprio letto, in un immondo insetto. Non esiste risposta alla miriade di domande su come possa essere avvenuto,
nonostante l’aver constatato non si tratti di un sogno, mentre tutto intorno era rimasto com’era. Non tanto in questo il compiersi del dramma del povero Gregorio Samsa, quanto nel suo volgere lo sguardo verso la finestra, scorgendo il cielo fosco, immalinconendolo completamente. Da quel momento, con quello stato d’animo, nulla sarebbe stato più come prima. Kafkianamente nell’opera della Testa domina l’assente, tale da rendere protagonista una luce rivelatrice, illuminante di riflesso ciò che più non si scorge, oltre la sua fisicità, al di là della sua grevità, di là dalla sua natura di uomo. FEDERICA NEOTTI La modernità è un rizoma, un fusto orizzontale, sotterraneo e imprevedibile nel mettere in collegamento realtà sorprendentemente distanti tra loro. Chi si chiama fuori dalla modernità, quindi, rinuncia a un processo dialettico e non alla mera scelta di un linguaggio al posto di un altro. In Dream l’artista, Federica Neotti, si immerge con consapevolezza in questo processo dialettico, del quale
diventano mitologico ritorno e allegorico semenzaio il rapporto uomo-città e la fotografia come filosofia dell’immagine, osservati e ripensati all’insegna di una ricerca pittorica in correità con l’arte della decorazione. In quest’opera l’artista procede alla definizione di una struttura dell’effetto estetico; fornisce, cioè, un insieme di denotazioni e connotazioni significative, fuse con attenzione al valore fisico, con il fine di arrivare a una forma organica della rappresentazione; rappresentazione che la Nostra ricava da una fotografia di donna inserita in un contesto metropolitano, in origine naturalmente e antropicamente colorato, ora foggiato in un sintomatico bianco e nero. Una composizione aperta, destinata a una fruizione nuova e più profonda di una rinnovata e stilizzata umanità urbana, riflesso di una ricerca stilistica e semantica capace di rappresentare in ogni riflesso la propria individualità, nonché il suo stesso operare. Fruizione in limacciosa trasparenza di un messaggio univoco, poiché l’artista aggiunge alla tipicità della ricchezza estetica una forma rinnovata e plurivoca, proposta come valore da raggiungere e da razionalizzare. Non un valore,
tuttavia, come esclusivo fattore estetico, bensì progetto creativo in grado di comunicare con efficacia un messaggio polisemico, raggiungibile solo in virtù di un’apertura precipua di un’opera dalla moderna caratura. Ciò che la Neotti sembra ottenere, dunque, al di là del suo valore espressivo, sembra essere proprio un accrescimento dei significati possibili, dunque una moltiplicazione dei messaggi, offrendo un di più di informazione, di comunicazione, quindi di accrescimento filosofico dell’immagine, sondando i sentieri del bello e del vivente, in figure di donna tra metropoli contemporanee, strizzando l’occhio alla fotografia, e grazie a questa al riflesso di ogni dettaglio e alle molte storie che ognuno di essi, in estatica osservazione, sono in grado di raccontare. SILVIA PAPARATTI L’opera di Silvia Paparatti, Untitled n. 2 (pastello litografico su graphia sicars), tesse un segreto sulle età della vita. Una messe di solitudini che si intrecciano a ogni riga di trasparenza e continuità. Un’ispirazione che nasce in
nebulosa da un’indagine esistenziale e si distende nel presente dell’atto creativo, enigma confinato e insieme dissigillato sul piano dell’opera nel furore dell’interpretazione creativa, tradotto in muliebre segno che permane, perenne e rinvigorente risveglio del corpo e dell’intelletto. Un intermezzo d’infanzia e insieme di adulta maturità, vissuti con estraneità e amorosa crisi, in un’oscura notte del sé in riva a una vastità di mistero. L’artista toscana, come l’Angelica ariostesca, appare e si allontana; ma in ogni modo c’è, poiché permane nel suo gesto. GIANNA RUIU Il discorso del coniglio (olio e nastro di carta su carta) di Gianna Ruiu, amabilmente sorprende per la serena e serotina atmosfera che apre una pagina di fiabesca e placida nostalgia, da ricercare nel territorio franco di una scena tra il fabuloso e l’onirico in occorrenza di realtà. Il soggetto, un tenero coniglio colto nell’atto di tenere un discorso con un microfono dalle sembianze di carota, è una scena di vita d’incredibile realismo,
carica di tensione emotiva e di aspettative per ciò che non potrà accadere se non al di fuori dei confini della tela, ossia nella mente dell’osservatore che in rapito ascolto ode parole non pronunciate, seppur reboanti e trainanti nel proprio fanciullesco intérieur. Quell’intimo e ammarato guardare, precipuo dell’artista sarda, aiuta a ritrovare intere famiglie di conigli, tra altri animali, non molto grandi ma probabilmente numerosi. E così avviene che uno di loro sembra poter tenere un discorso, segnale di grande virtù, coraggio e molta intelligenza. Non si sa perché, ma così è se si crede.
Catalogo
Serena Calcagnile Senza titolo olio su tela, cm. 70 x 150, 2012
Danilo Di Berardino Sorriso acrilico su cartone, cm. 21 x 30, 2012
Maria Di Pietro Involucri vuoti serigrafia su maglie, struttura in ferro saldato e colla, cm. 300 x 100 x 100, 2011
Alba Kia (Chiara Ferrara) Ora che la miniera siamo noi grafica pittorica mista su supporti misti, cm. 35 x 50, 2010
Giulia Fiorenza Senza titolo n. 36 liquidi chimici su carta fotosensibile, cm. 50 x 40, 2011
Iulia Ghita Soffio vitale vetro, acqua, erba, terra e altri materiali, 13 contenitori diam. cm. 50, 2012
Marco Mendeni Game Over/1 trasposizione elaborazione digitale su cemento, cm. 16 x 16, 2009
“gruppo Gruppo� (Fabio Monni, Alessandro Perini) Secret Lives audio-video installation (supporto screen computer), cm. 150 x 200 x 70, 2011
Cri Eco Per farla finita col giudizio di Dio performance, 2012
Giulia Spernazza Installazione Fluidoessenza 2 terracotta, rami e foglie su terracotta, cm. 300 x 160, 2012
Carmen Testa La metamorfosi olio su tela, cm. 100 x 120, 2011
Federica Neotti Dream acrilico su tela, cm. 100 x 70, 2011
Silvia Paparatti Untitled n. 2 pastello litografico su graphia sicars, cm. 50 x 70, 2011
Gianna Ruiu Il discorso del coniglio olio e nastro di carta su carta, cm. 16 x 27, 2012
Euro 5,00 (iva incl.)
ISBN 978-88-906300-3-3