DICEMBRE 2012
DELL’USO INUMANO DEI DIRITTI UMANI
IL VENEZUELA SI POTRÀ PERCORRERE SUI BINARI IL CAOS CLIMATICO, ARMA DI DISTRUZIONE DI MASSA
IL RUOLO POLITICO DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE LA SCHIAVITÙ: IL COLORE MERCANTILISTA
N. 3 Dicembre 2012 Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela presso la Santa Sede Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Milano Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli
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editoriale
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venezuela soberana • Il Venezuela si potrà percorrere sui binari • Yanomama, Arawako, Pemón
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• Mst in Brasile, laddove esiste ancora la rivoluzione come dovrebbe essere
Comitato editoriale: Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario Julián Isaías Rodríguez Díaz Incaricato d’affari a.i. Héctor José Pérez Romero Console Generale Giancarlo Di Martino Console Generale Aggiunto Bernardo Borges Arnese Coordinazione generale: Bernardo Borges Arnese Coordinatore di redazione: Maylyn López Pérez Hanno collaborato a questo numero: Geraldina Colotti, Marinella Correggia, Marnoglia Hernández Groeneveledt, Maria Elena Riccio, Elio Goka, Martina Tabacchino, Shaindel Novoa, Maria Vittoria Tafuro, Ciro Brescia, Edith Alfonzo, Carlos Abreu, Dario Buonanno, Roberto Roiz. Fonti: Correo del Orinoco, Diario Ciudad Caracas, Ministerio del Poder Popular para la Comunicación e Información, Aporrea, TELAM, AVN, ANDES, ABI, Agencia Brasil. Foto di copertina: Correo del Orinoco Contatti: Via Depretis, 102 - 80128 Napoli tel. +39 081 551.81.59 e-mail: consulvenapoles@hotmail.it www.consulvenenap.com Elaborazione Grafica: Dario Buonanno Pino Buonanno Roberto Roiz Agenzia di Pubblicità: Adek - gruppo creativo -
latinoamérica desde adentro • Il Venezuela raggiunge volumi internazionali nella produzione del girasole • Banca Mondiale: La classe media è aumentata dell’America del Sud • L’Onu condanna di nuovo l’embargo contro Cuba
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Dell’uso Inumano dei Diritti Umani
16/19 dossier del mundo • Il caos climatico, Arma di distruzione di massa • Una prospettiva europea
20/21 observatorio mediático • Il ruolo politico dei mezzi di comunicazione sociale
22/26 venezuela desde italia • Il Venezuela diffonde politiche sociali sulla parità di genere • Inaugurata associazione Filippo Gagliardi di Maratea • Inaugurato busto di Bolívar a Manfredonia • Venezuela presente nel libro italiano: “Suggestioni di viaggio” • Il Sud Italia solidarizza con il Venezuela • Giovani italiani: Presidente Chávez abbiamo bisogno della sua forza e senso di giustizia sociale
27/31 identidad, mito y leyendas • La schiavitù: Il colore mercantilista • Approccio di genere • È inutile spiegarlo con parole • Así somos
editoriale
UN POPOLO TRABOCCANTE D’AMORE La conquista di venti delle ventitré regioni venezuelane da parte dei candidati bolivariani nelle elezioni regionali del 16 dicembre 2012 è uno stimolo ai processi di cambiamento in corso in America Latina, come nel caso dell’Ecuador o, tra gli altri, della Bolivia, dell’Uruguay, dell’Argentina o del Nicaragua. Riconosciamo questa nuova sfida di vitale importanza per il consolidamento dell’unità dell’America latina con i diversi strumenti creati negli ultimi anni in funzione dell’integrazione: l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), la Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), il Mercato Comune del Sud (MERCOSUR) e l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America -Trattato per il Commercio dei Popoli (ALBA-TCP). A Caracas si è tenuto di recente l’ottavo anniversario dell’ALBA, alleanza caratterizzata dallo scambio solidale, valore molto superiore all’aspetto meramente economico. È previsto per il 2013 un maggiore consolidamento degli investimenti industriali e della Banca dell’ALBA. Quest’ultima nasce nel 2008 in occasione del quarto vertice di tale organismo, con un capitale sociale di 2 miliardi di euro e un miliardo di capitale sottoscritto per finanziare progetti di rilevanza sociale, che, avendo un ritorno economico solo a lungo termine, di solito non invoglia le banche commerciali. Tre paesi, Venezuela, Bolivia e Nicaragua, sono stati dichiarati dall’UNESCO liberi dall’analfabetismo con l’aiuto del programma cubano “Yo Si Puedo”, mentre si stimola la massiccia partecipazione popolare all’istruzione di livello primario,
secondario e universitario. L’ALBA, fondata otto anni fa, è diventata il secondo blocco d’importanza geo-strategica che guida l’eliminazione delle ingiustizie, delle disuguaglianze e della povertà che si era imposta nella regione da decenni. Come ha avuto modo di dire una volta il presidente Chávez, “L’ALBA è l’unione per essere liberi”. Oggi il popolo venezuelano apprezza le dimostrazioni di affetto realizzate attraverso la preghiera, lo scritto, le veglie e i canti al Presidente venezuelano - architetto del processo di Integrazione latinoamericana- sostenendone il rapido e solido recupero fisico. Chávez è una nazione. Chávez è un popolo. Chávez è un progetto politico che oggi, partendo dal Venezuela, percorre tutta l’America latina. Come è stato recentemente affermato dal professore della Universidad Complutense de Madrid Juan Carlos Monedero: “Nella lotta contro il neoliberismo, Chávez non ha scelto le armi come ieri, ma l’amore, la determinazione, il coraggio, la persuasione, valorizzando l’apparato giuridico e politico sostenuto dalle stesse democrazie liberali (Costituzione, i partiti, le leggi, i tribunali, la partecipazione, la sovranità). Le armi essenziali per affrontare le carenze di questo modello. Mentre l’Europa annulla le sue costituzioni per imporre il neoliberismo, il Venezuela utilizza i loro stessi strumenti emancipatori per porre le basi di un nuovo modello”. “Manca un’arma segreta per superare le disuguaglianze del capitalismo in crisi. Quella che può trasformare l’odio in una passione costruttiva. Quella che invita
ad abbassare la propria bandiera e a impugnare la bandiera collettiva. L’arma di Chávez che Machiavelli non conosceva: l’amore di un popolo. Un amore capace di affrontare l’impero più potente della storia, di opporre resistenza alle oligarchie, di sconfiggere i militari ancorati nella torturatrice Scuola delle Americhe, un amore che lotta contro la riduzione della vita a mera merce di scambio, un amore che combatte tutti i potenti del mondo”. Inauguriamo questa nuova tappa con un processo inedito: la consulta popolare e sovrana per il Piano di Governo 2013-2019 con il contributo di tutti i settori della vita nazionale – riconoscendo ed stimolando il ruolo reale ed effettivo al protagonismo di tutti i venezuelani e venezuelane-. Il Venezuela è stato recentemente eletto membro del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite per il periodo 20122015. “Noi crediamo nella necessità di costruire organismi internazionali che promuovano e garantiscano seriamente i diritti dell’essere umano e che non utilizzino strumentalmente i diritti umani per attaccare politicamente e giustificare attacchi politici e, a volte, persino aggressioni militari contro interi popoli, ha rilevato il Vice Presidente venezuelano Nicolás Maduro “. Siamo un popolo felice. Siamo compiaciuti per il riconoscimento dei “Diavoli Danzanti del Corpus Christi” dichiarato Patrimonio Immateriale dell’Umanità dall’UNESCO, evidenziando una tradizione che si tramanda di generazione in generazione da 400 anni in Venezuela, che si svolge in varie parti del paese e riunisce le nostre eredità di africani, indios ed europei. Affermiamo la necessità di continuare a costruire questa strada verso l’uguaglianza delle condizioni fondate sulla solidarietà e sul rispetto. L’amore si paga con l’amore.
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venezuela soberana pronto tra due anni e la popolazione che ne trarrà beneficio supera i tre milioni di abitanti.
Sistema centrale occidentale Il progetto include anche il recupero del Sistema Ferroviario Centro Occidentale, che comprende il tratto Puerto Cabello, Morón, Urama, San Felipe, Chivacoa, Yaritagua, Barquisimeto, Acarigua.
Tinaco-anaco
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IL VENEZUELA SI POTRÁ PERCORRERE SUI BINARI Il Piano Nazionale di Sviluppo Ferroviario 2006-2030, portato avanti dal governo venezuelano, prevede il recupero e la costruzione di 13.665 chilometri di percorso ferroviario, consentendo a breve di disporre di un innovativo sistema multimodale di merci e passeggeri lungo tutto il paese. Questo progetto ferroviario prevede il trasporto di circa 240 milioni di persone. Nessuno immagina che in pochi anni i venezuelani parteciperanno a questo processo d’innovazione ferroviaria che consentirà il trasporto di milioni di persone e tonnellate di alimenti attraverso questo mezzo, ma tutto ciò sarà possibile grazie alle linee strategiche promosse dal presidente della Repubblica, Hugo Chávez Frías, da tredici anni a questa parte.
Il presidente dell’Instituto de Ferrocarriles del Estado (IFE), Franklin Pérez Colina, ha rilasciato delle dichiarazioni sull’evoluzione di questi progetti. Il primo tratto dell’asse centrale è quello di Puerto Cabello – La Encrucijada. Questa diramazione di 128,8 chilometri è realizzata per il 67,23% e avrà otto fermate: Puerto Cabello, Naguanagua, San Diego, Guacara, San Joaquín, Maracay e Cagua. “Attualmente stiamo costruendo la linea ferroviaria, abbiamo già montato i binari, la ghiaia, le traversine e i sistemi di fissaggio. I treni sono pronti, dobbiamo semplicemente finire la linea e saldarla” ha riferito il presidente dell’IFE, il quale ha anche annunciato che il tratto Puerto Cabello – La Encrucijada sarà
Il tratto Tinaco-Anaco, uno dei più lunghi in sviluppo con 468 chilometri, attraverserà le stazioni di Tinaco, El Pao, Dos Caminos, El Sombrero, Chaguaramas, Valle de la Pascua, Tucupido, Zaraza, Aragua de Barcelona e Anaco. La realizzazione dell’opera, affidata alla China Railway Engineering Corporation (CREC), è ad oggi al 20% di avanzamento. Questa è una della 500 aziende più importanti del mondo e compare tra le tre prime imprese di costruzione. “Il Fondo Cinese ha approvato dei finanziamenti per questo tratto proseguendo lo svolgimento dei lavori”. Il Presidente di IFE ha commentato che i progetti ferroviari richiedono grandi investimenti sociali. Il tratto Tinaco-Anaco ha un costo di circa dieci miliardi di dollari.
Manutenzione dell’asse centro sud Il Consorcio Grupo de Empresas Italinas (GEI) è l’incaricato di sviluppare il Sistema Ferroviario Centro Oriental Eje Centro Sur che comprende il tratto Chaguaramas-Las Mercedes-Cabruta e la diramazione San Juan de los Morros-San Fernando de Apure.
L’asse Chaguaramas-Las Mercedes-Cabruta attraverserà lo stato Guárico per 202 chilometri. Il progetto oggi ha uno stato di avanzamento globale pari al 20,83% e prevede sei stazioni: Chaguaramas, Las Mercedes, El Mejo, Santa Rita, Arrecife e Cabruta. Trarranno benefici 600 mila abitanti. D’altro lato, la tratta San Juan de Los Morros-San Fernando de Apure prevede 252 chilomentri di via ferroviaria. La diramazione che collegherà Guárico e Apure attraverso sette stazioni: San Juan de los Morros, Ortiz, El Rastro, Calabozo, Corozopando, Camaguán e San Fernando de Apure, è ad uno stato di avanzamento del 17,20%.
ristrettezze economiche del Venezuela impedirono di portare a termine tale progetto. I lavori sono rimasti fermi per diversi anni, ma quando il presidente Chávez giunse al potere ci fu un’accelerazione dei lavori. Questa diramazione di 41,4 chilometri ha quattro stazioni: Caracas, Charallave Norte, Charallave Sur e Cúa. Il tempo di percorrenza va da 17 a 31 minuti, a seconda delle stazioni. Attualmente questo sistema ha 10 treni, nonostante ciò il presidente Chávez ha annunciato l’approvazione di 300 milioni di dollari destinati all’acquisto di nuove locomotive fabbricate in Giappone che inizieranno ad arrivare nel 2013.
Il sogno del presidente Chávez consiste nel creare il grande asse di sviluppo ferroviario che va da Barquisimeto passando attraverso la zona dello stato Carabobo, Aragua, Valles del Tuy e che finisca nella stazione della Rinconada. Per fare ciò occorrono circa trecento miliardi di dollari in modo da collegare questa grande rete di integrazione.
A Santa Teresa del Tuy c’è evidenza della presenza della ferrovia, come dimostra la stazione Principal, sita nel settore La Estación, appartenente al comune di Independencia che nel mese di dicembre del 1993 fu dichiarata Monumento Storico.
La ferrovia Ezequiel Zamora compierà sei anni
Il Piano Nazionale di Sviluppo Ferroviario 2006-2030 consentirà di trasportare 1,68 milioni di tonnellate di alimenti e altri prodotti all’anno, ha comunicato il presidente dell’Instituto de Ferrocarriles del Estado (IFE), Franklin Pérez Colina.
Il 15 ottobre il Sistema Ferroviario Ezequiel Zamora I che comprende il tratto Caracas-Tuy Medio, è giunto ai suoi sei anni di attività. Questo progetto che si è consolidato durante il Governo Rivoluzionario nel 2006 trasporta 120 mila utenti al giorno. Il presidente dell’Instituto de Ferrocarriles del Estado (IFE), Franklin Pérez Colina, ha comunicato che questo tratto porta la data del 1988, ma all’epoca le
Abbassare i costi dei prodotti
Questo mezzo di comunicazione offrirà un enorme potenziale d’interscambio commerciale, industriale e agricolo, abbassando, a sua volta, i costi di trasporto delle merci, materie prime e prodotti di vario genere.
Con l’ingresso del Venezuela nel Mercado Común del Sur (Mercosur), lo scambio tecnologico in ambito ferroviario sarà significativo. “Quest’impresa portata avanti dal Governo Nazionale vuole unire attraverso le vie ferroviarie il territorio venezuelano da nord a sud e da est ad ovest, portando progresso e sviluppo lungo tutto il suo percorso. Anche il settore privato può utilizzare il sistema”
Storia della ferrovia Il progetto più antico risale al 1834 e fu presentato dal signor Stevenson ai signori Herrings Graham e Powels della Borsa di Londra. Il Venezuela è uno dei pochi paesi latinoamericani che fino a poco tempo fa non aveva una rete ferroviaria che unisse le sue principali zone demografiche, economiche e strategiche. “Nel paese non si è sviluppato un sistema ferroviario perchè per gli interessi esteri era più importante il commercio di autocarri, il trasporto di merci, che un sistema di massa a beneficio del popolo”, ha dichiarato Colina. Joselin Arteaga /Ciudad Ccs traduzione: Maria Elena Riccio
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Yanomama, Arawako, Pémon… Il 12 ottobre, a Caracas, una folla festante e colorata ha declinato in molte lingue la propria presenza alla Giornata di resistenza dei popoli indigeni. Una data istituita nel 2002 per testimoniare la riscossa dei nativi dopo 500 anni di una colonizzazione iniziata con l’arrivo di Cristoforo Colombo, il 12 ottobre 1492. La Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela (una delle più avanzate al mondo) riconosce “l’eroismo e il sacrificio degli antenati aborigeni” fin dal suo preambolo, e stabilisce – all’articolo 9 – che, a fianco della lingua ufficiale, il castigliano, “anche le lingue indigene sono di uso comune per i popoli indigeni e devono essere rispettate in tutto il territorio della Repubblica, poiché costituiscono patri-
monio culturale della nazione e dell’umanità”. Le lingue conosciute sono 25, i popoli originari esistenti sul territorio venezuelano, 42. Ai loro diritti è dedicato il capitolo VIII della Magna Carta e, dal 2005, una specifica Ley organica, la Locpi. Frutto del lavoro delle comunità native, la legge determina il quadro giuridico dei loro diritti, continuamente arricchito da nuove acquisizioni. L’apporto di indigeni e afrodiscendenti (da cui ha origine circa un terzo della popolazione) alla rivoluzione bolivariana è stato determinante fin dai prodromi del “proceso”: fin dai tempi, cioè, in cui l’allora tenente colonnello Hugo Chavéz Frías., a capo del suo movimento rinnovatore, percorreva il paese per costruire il
cambiamento. Allora, promise alle comunità indigene in resistenza il saldo di un lungo debito, in termini di diritti politici e condizioni di vita. E mantenne la parola. Oggi, nel panteon dei grandi ideali che hanno costruito il Venezuela e a cui fa riferimento nei suoi discorsi il presidente Chavéz, gli indigeni occupano un posto centrale: per parlare del coraggio e della forza, Chavéz si richiama a Guaicaipuro, uno dei capi della resistenza indigena. Per spiegare cosa intende per socialismo, cita come antesignane le comunità native. Per mostrare le tappe della liberazione latinoamericana, è ancora una volta a loro che fa riferimento. Un riferimento non solo verbale, come dimostra la forte presenza indigena a tutti i livelli delle isti-
tuzioni bolivariane. Quando il movimento bolivariano ha vinto le elezioni, le organizzazioni indigene disponevano già di un quadro politico sperimentato nelle lotte di resistenza alle politiche neoliberiste degli anni ’80-90, e avevano elaborato proprie bozze di programma. E’ così che una donna di valore come Noelí Pocaterra, una wayu, è arrivata a essere vicepresidente del Consiglio mondiale dei popoli indigeni all’Onu, e che José Luis González è diventato presidente dell’Alleanca per il clima, una organizzazione che comprende oltre 300 sindaci europei che portano il loro sostegno alle lotte dei popoli indigeni. Inoltre, già prima del proceso bolivariano, le organizzazioni indigene avevano una struttura nazionale rappresentativa, il Consiglio nazionale indigeno del Venezuela (Conive). Quel che mancava loro, però, era il riconoscimento fattuale, la traduzione politica effettiva del loro ruolo e del loro
lavoro. La politica delle nazionalizzazioni e contro il latifondo portata avanti dal governo Chavéz alla questione, ha riconsegnato terreni e dignità, combattendo nel concreto razzismi, pregiudizi e prevaricazioni. Irene Le Maistre ha partecipato alla costruzione di questo cambiamento, vivendo per anni nelle comunità indigene e decidendo con loro i passaggi di un nuovo protagonismo: nella Misiòn Guaicaipuro; come prima segretaria esecutiva dell’ex ministra dell’ambiente Ana Lisa Osorio; nella Commisssione per restituire agli indigeni i loro diritti. Oggi, Irene lavora nello staff di Jorge Giordani, Ministro della Pianificazione e Finanze. “Prima del governo bolivariano – racconta Irene – gli indigeni erano considerati cittadini di terza categoria, le loro terre erano preda di rapine da parte di latifondisti e multinazionali, e la loro vita valeva meno di niente. Venivano cacciati o uccisi come bestie. Privati dell’accesso alle risorse naturali, alle fonti d’acqua, le loro comunità deperivano, alla mercé di vecchi e nuovi colonizzatori. Siamo una popolazione mista, ma allora non riconoscevamo le nostre origini”. E oggi? “Oggi le cose sono fondamentalmente cambiate, soprattutto grazie alla campagna di educazione e al processo di
ridistribuzione delle terre”, dice Irene. Un processo non facile quando si tratta di ridefinire un diritto ancestrale senza dare adito a nuove sperequazioni. Tantopiù che, in certi stati dove governa l’opposizione, le leggi sono spesso disattese e gli indigeni subiscono ancora le violenze di latifondisti e paramilitari, specie nei territori confinanti con la Colombia. E i conflitti, come quello che agita la comunità Yupka, non mancano. Gli Yupka vivono nella Sierra de Perijá, una riserva forestale di 300mila ettari nello Stato di Zulia, ricca tra l’altro di coltan e uranio: un boccone al centro di appetiti e ingerenze di varia natura. “Dobbiamo fare i conti con problemi non facili – afferma ancora Irene -, complicati da molti fattori, come le mire del narcotraffico finanziato dall’esterno o l’intervento interessato di alcune Ong, che provocano falsi allarmi fra le comunità e accusano il governo di favorire una parte piuttosto che un’altra”. Difficoltà e problemi su cui s’innerva il grande tema del rapporto tra difesa della natura e sviluppo, emerso, con vari accenti, in tutti gli stati progressisti dell’America latina che hanno scelto di ridare la parola alle popolazioni native. Geraldina Colotti
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8 alcuni rappresentanti politici più vicini alle necessità popolari che a quelle delle multinazionali o dei “paesi padroni”.
MST in Brasile, laddove esiste ancora Movimento di nuova la rivoluzione come generazione dovrebbe essere Riconquista della terra
Non esiste creatura che non sia in diritto del suo spazio. Vale per ogni essere vivente, anche quello in apparenza più inerte. Pure un piantina cresce e stabilisce il confine immaginario per allungare i suoi rami e le sue foglie, per prendere aria e farsi vedere dal sole. Ci sono luoghi in America latina dove questo diritto è stato sottratto pure agli uomini. Avrebbero dovuto immaginarlo, quale storpiatura storica avrebbero iniziato, i conquistadores, inner-
vando il Sudamerica di conquiste che hanno avuto soltanto il sapore amaro della violazione. E giù, fino ai giorni nostri, passando per dittature e colpi di stato, rigidi e sanguinari avvicendamenti politici, protettorati europei e nordamericani. Cosa pensate che abbia determinato tutto questo? Ma, adesso, in America del sud c’è una forte testimonianza che dimostra quanto l’educazione di un continente sia passata, e stia passando, pure per le sue grandi reazioni, attraverso i movimenti di lotta politica, le tensioni rivoluzionarie e
In Brasile, ormai da tanti anni, il Movimento Sem Terra è uno dei modelli che potrebbero essere definiti di “rivoluzione di nuova generazione”. Perché di nuova generazione? Perché si tratta di un’organizzazione, sia pur multilaterale sul piano civile, che anche se ispirata a linee ideologiche ben precise, ha adottato, negli anni, una serie di azioni di cambiamento che tengono conto non soltanto della semplice azione di contestazione, ma soprattutto del valore della formazione, tecnica e umana, tramite l’adozione di progetti di sviluppo legati a molte entità, anche estere, con chiare aperture al mondo politico e religioso.
Processo per la riforma agraria
cia storica che una parte del Brasile ha ormai intrapreso da oltre un ventennio.
Il Movimento Sem Terra, nato dalla necessità delle aree rurali di rivendicare il diritto alla terra, lega la sua origine, la sua storia e la sua “Luta”, alla storia della riforma agraria in Brasile, che non ha mai potuto contare su sterzate significative ad opera delle guide politica. Solo negli ultimi decenni, grazie al Movimento e a una parte dell’attenzione internazionale, è stato possibile sollevare una questione di diritto che condanna la disparità di proprietà privata in un paese dove circa il 2% della popolazione controlla quasi il 45% della proprietà territoriale, generando così, uno squilibrio gravissimo per l’agricoltura, l’allevamento e le attività produttive. In Brasile, se si considerano le aree urbane e quelle rurali, 40 milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà. E questo, nei decenni, ha determinato, nelle città, miseria e manovalanza per la criminalità, e forti stati di indigenza nelle regioni rurali, senza poter garantire maggiore sviluppo agricolo ed economico, privilegiando soltanto le politiche di feroce capitalismo che hanno sfruttato il territorio attraverso monoculture e violazioni all’ecosistema di alcune aree agricole. il Movimento, da anni, anche con l’aiuto di associazioni impegnate sul fronte della tutela ambientale, ha aderito al necessario processo di recupero della terra, concorrendo alla denuncia di abusi edilizi da parte delle grandi multinazionali, opponendosi alla distruzione di foreste e alle deviazioni forzate dei fiumi. Il fiume San Francesco, in Minas Gerais, per esempio, è uno dei luoghi simbolo del sentimento rivoluzionario e della mar-
Una lotta contro le violazioni Nonostante i molti risultati ottenuti nel corso degli anni, il Movimento Sem Terra ha conosciuto e conosce le grandi difficoltà del suo cammino. Sono tanti gli episodi di rappresaglia da parte dei paramilitari della polizia privata dei latifondisti, i proprietari terrieri per nulla disposti a cedere la proprietà, anche quando la costituzione e la legge ne prescriverebbero il contrario. Così come sono frequenti i casi in cui i contadini brasiliani sono rimasti vittima delle azioni di ritorsione, dirette ad autentiche violazioni dei diritti umani. Ricordo quando, dopo una serie di arresti compiuti dalla polizia ai danni di un gruppo di contadini che avevano occupato un’area privata nei pressi di Araguari, nella regione del “Triangulo mineiro”, una donna, che era la moglie di uno degli arrestati, mentre aspettava che gli avvocati appartenenti a un’associazione di supporto al Movimento
cercavano di tirarli fuori dalla galera, nell’insediamento provvisorio dove ci trovavamo mi disse: “Per noi la lotta continua”. Una volta ho letto da qualche parte una specie di motto. Diceva, “La vita mi ha fatto un brutto scherzo, e io ho fatto di quello scherzo la mia vita”. Ecco, per come li ho conosciuti, è quanto hanno fatto e ancora fanno i contadini brasiliani. Elio Goka
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il Venezuela raggiunge volumi internazionali nella produzione di girasoli Il Centro Produttivo Fiorentino, sito nello stato di Barinas, ha prodotto l’anno scorso fino a 2.500 chili di girasole per ettaro, volumi che possono essere paragonati ai raccolti di potenze agricole come l’Argentina “Abbiamo portato semi (di girasole) che ci hanno permesso di raggiungere questi risultati dall’Argentina” ha precisato il fondo, in un messaggio informativo trasmesso da Venezolana de Televisión. “Abbiamo avviato il progetto con 50 ettari seminati con macchinari argentini, grazie agli accordi con questo paese. Il girasole
che si produce nel paese fa parte dell’area degli oleosi, utilizzati fondamentalmente per la produzione dell’olio alimentare.
Banca Mondiale: la classe media è aumentata nell’america del sud Nell’America del Sud la classe media ha raggiunto livelli record tra il 2003 e il 2009, arrivando a costituire per la prima volta il 30% della popolazione, secondo il rapporto della Banca Mondiale (BM). In questo periodo, la classe media è aumentata del 50%, passando da 103 milioni a 152 milioni di persone, il che ha ribaltato la realtà dominante per decenni nei maggiori settori poveri della regione.
Il progresso della classe media è stato incentivato dall’aumento delle entrate (il PIL pro capite della regione è aumentato a un tasso annuale del 2,2% negli anni Duemila, in una fase di crescita economica), anche se ha avuto un ruolo fondamentale una migliore distribuzione di tali entrate.Nel suo rapporto, la Banca Mondiale considera appartenente alla classe media una persona che guadagna tra i 10 e i 50 dollari al giorno, o una famiglia di quattro persone con entrate annuali tra i 14.600 e i 73.000 dollari. Il riscatto economico del Sud America negli ultimi anni ha dato sfogo ad un notevole progresso economico, ha sottolineato il BM. “Almeno il 43% di tutti gli abitanti del
na dell’embargo economico attuata da cinque decenni da parte degli USA, paese che durante le votazioni di quest’anno ha avuto come alleati solo Israele e la piccola isola di Palau. Dopo quasi tre ore di dibattito in piena Assemblea Generale, la condanna dell’embargo verso Cuba è stata approvata per la ventunesima volta, con un pesante risultato di 188 voti a favore, 3 contrari (USA, Israele e Palau), e due astenuti Micronesia e le Isole Marshall. L’anno scorso, durante la votazione di una risoluzione simile, Palau, sito nel Pacifico, si astenne. “è un gesto di aggressione e una minaccia permanente contro la stabilità di un paese. È anche una violenza delle norme di commercio internazionale, di libera navigazione e dei diritti sovrani degli Stati”, ha denunciato durante il dibattito il ministro degli esteri cubano, Bruno Rodríguez.
Sud America ha cambiato classe sociale tra la metà degli anni novanta e la fine degli anni 2000, e (…) la maggior parte di questo movimento è stato verso l’alto”, riporta la relazione. Uno dei fattori principali che può far cambiare ad una persona la classe sociale è il livello educativo. “Il contesto familiare costituisce un fattore determinante più importante dell’educazione degli alunni in Sud America come in altre regioni”, segnala il rapporto.
Il ministro cubano durante il suo intervento ha richiesto al presidente statunitense, Barack Obama, di iniziare “una nuova politica” nei confronti di Cuba nel suo secondo mandato cancellando l’embargo, oltre a denunciare che nei suoi primi quattro anni di governo si è avuto un “irrigidimento” delle stesse misure.
L’ONU condanna di nuovo l’embargo contro cuba
Il capo della diplomazia cubana ha colto la palla al balzo per denunciare i danni economici accumulati da un blocco che, secondo quanto affermato, rimane “ancorato alla Guerra Fredda”, supera il miliardo di dollari da quando è stato imposto per la prima volta nel febbraio del 1962, sotto l’amministrazione del presidente John F. Kennedy.
Cuba ha ottenuto nell’Assemblea Generale dell’ONU, che si è tenuta nel mese di novembre del 2012, una severa condan-
Ronald Godard, rappresentante del governo di Obama, ha assicurato che gli
Stati Uniti sono uno dei principali partner commerciali di Cuba e ha dichiarato che nel 2011 sono state effettuate spedizioni individuali (scatole di alimenti e medicine) pari a 2 miliardi di dollari, e le aziende hanno venduto prodotti per altri 300 milioni di dollari. La solitudine in cui si trovano gli USA rispetto alla loro posizione sull’embargo è rimasta di nuovo impressa nell’Assemblea Generale, dove i paesi dei caraibi e latinoamericani si sono uniti un altro anno per richiedere nuovamente la fine di alcune misure che, hanno detto, generano “ingiustizie enormi sul popolo cubano”. La Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (CELAC), il Mercosur, la Comunidad de Estados del Caribe (Caricom) e alcuni paesi a titolo individuale come Messico e Venezuela hanno insistito su quanto l’embargo sia contrario ai principi della Carta delle Nazioni Unite e le regole del diritto internazionale. I paesi latinoamericani hanno segnalato che il mantenimento dell’embargo comporta “la rinuncia alla negoziazione, alla diplomazia e al dialogo” e hanno sottolineato, con parole del rappresentate venezuelano, che gli USA “non riusciranno” a raggiungere il loro scopo di ottenere cambiamenti nell’isola attraverso misure che, hanno affermato, sono “un residuo della Guerra Fredda in pieno XXI secolo”
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DELL’USO INUMANO DEI DIRITTI UMANI
ze, e applicano leggi secondo le quali le aziende private, che sfruttano i loro lavoratori, che distruggono la natura e che vendono prodotti nocivi o letali, rispondono solo ai loro azionisti, e non alla collettività. Allora, chi può essere giudicato per violazione dei Diritti Umani?Secondo i tribunali dell’Impero, lo Stato, ma non lo Stato Imperialista (che non sottoscrive nessun trattato che lo sottometta ai tribunali esterni) bensì lo Stato del Terzo Mondo. Stati Uniti, Inghilterra, Francia, che non compaiono dinanzi ai tribunali dei Diritti Umani, finanziano infinità di Organizzazioni non Governative (ONG) affinché denuncino gli Stati del Terzo Mondo dinanzi a quei giudici.
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DIRITTI INUMANI Diritti Umani sono quelli che appartengono a tutti i membri dell’umanità in quanto tali, indipendentemente dal loro sesso, età, nazionalità, cultura o condizione socioeconomica. Sono stati raccolti in diversi documenti, dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino della Rivoluzione Francese del 1789, passando per la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dell’ONU sino alla Convenzione Interamericana dei Diritti Umani, dell’Organizzazione di Stati Americani.
Diceva Mark Twain che anche il Diavolo può leggere la Bibbia. Anche l’Imperialismo può leggere i Diritti Umani.
La corte suprema dei trasgressori Stati Uniti, Inghilterra, Francia, i principali trasgressori dei Diritti Umani nel mondo, non si sottomettono a nessun tribunale internazionale competente in materia. In ogni caso, questi tribunali fanno parte di organizzazioni internazionali dominate dalle grandi pote
In questo modo, se un’azienda avvelena migliaia di cittadini questi tribunali esterni dichiarano responsabile lo Stato per non averlo evitato; ma se lo evita, allora i tribunali internazionali lo dichiarano violatore del Diritto Umano che essi considerano Supremo: quello della proprietà. Non c’è modo di vincere in questo gioco.
Dittatura mascherata da Diritti Umani Dubitate che i nobili Diritti Umani possano essere invocati per gli usi più infami? L’11 aprile 2002 un golpe mediatico capeggiato da una combriccola militare e dall’associazione padronale sequestrò il Presidente eletto del Venezuela, abolì la Costituzione approvata con il referendum da parte di tutti i venezuelani, e impose con la forza l’autocrazia.
Con le mani ancora sporche del sangue dei cittadini innocenti, i congiurati approvarono per acclamazione l’insediamento della dittatura, citando: “che Hugo Chavéz Frías e il suo Governo hanno sistematicamente sminuito i diritti umani garantiti dalla Costituzione del 1999 e dai trattati, patti e convenzioni internazionali sui Diritti Umani sottoscritti e sanciti dalla Repubblica, tanto che mai come in questi ultimi tre anni gli organi interamericani di protezione dei Diritti Umani hanno ricevuto così tante denunce fondate sulla violenza degli stessi, in particolar modo quelle sul diritto alla vita, al giusto processo, alla libertà di espressione e informazione e al diritto all’informazione “ (…) “Che Hugo Chavéz Frías e il suo Governo, dall’alto delle loro posizioni, hanno favorito l’istigazione al delinquere, incoraggiato violenze di ogni indole sulla proprietà privata (…) Lo stesso giorno il movimento sociale colombiano MINGA sollecitò allacommissione Interamericana di Diritti Umani affinché prendesse misure cautelative di protezione della vita del Presidente costituzionale sequestrato, Hugo Chavéz Frías. La CIDH (Commissione Interamericana dei Diritti Umani, ndt) rispose con una semplice lettera di richiesta d’informazione diretta alla dittatura in cui riconosceva come guardasigilli il golpista José Rodríguez Iturbe e definiva “Illustre Governo” la dittatura di Pedro Carmona Estanga. Successivamente ho assistito da semplice cittadino ad un’udienza dinanzi alla Commissione Interamericana dei
Diritti Umani a Washington, dove avvocati di una ONG dell’opposizione accusavano il popolo che aveva ripristinato la Costituzione e il governo legittimo per essersi difeso!
Vittima al tribunali di giustizieri Abbiamo detto che gli Stati Uniti, il principale violatore dei Diritti Umani nel mondo, non si sottomette a nessun tribunale internazionale. Nei paese latinoamericani ci sottoponismo come pecore mansuete a giudici influenzati dagli Stati Uniti. Burocrati, giudici e arbitri stranieri, che non conoscono le nostre leggi ed inoltre si sentono competenti nel dichiararle nulle o di scarsa efficacia, giudicano e condannano costantemente il Venezuela e qualsiasi paese progressista. Sordi e muti dinanzi alle colossali ecatombi in Palestina, Irak, Afganistan e Libia, magistrati drastici che non hanno mai speso una parola di condanna davanti al genocidio di migliaia di vittime del Caracazo del 27 febbraio del 1989, nè al golpe dell’11 aprile, nè a quello di Honduras, nè al campo di concentramento di Guantanamo, si concedono il lusso d’incriminarci.
Posizioni congiunturali o strutturali Così, i legulei della Commissione Interamericana di Diritti Umani della OEA
(CIDH) durante i quattro sanguinosi decenni della Quarta Repubblica a stento hanno processato quattro denunce sulla violenza dei Diritti Umani in Venezuela (due presentate dal terrorista Posada Carriles). Ma nel loro rapporto del 2010 addossano al Venezuela “posizioni congiunturali o strutturali, presenti negli Stati che per diversi motivi affrontino situazioni che danneggiano seriamente e in maniera grave il godimento e beneficio dei diritti fondamentali, consacrati nella Convenzione Americana o nella Dichiarazione Americana. E per tale motivo ci collocano nella stessa categoria assegnata alla Colombia, a Honduras e Haiti, tre paesi occupati da basi o milizie statunitensi, dove i giudicati dovrebbero essere gli Satti Uniti e non le loro vittime. Collocare un paese insieme a quelli invasi è preambolo d’invasione.
Accuse fraudolente Con quale criterio giudicano e condannano questi organismi? Nel rapporto per l’Esame Periodico Universale dinanzi all’Organizzazione delle nazioni Unite, la CIDH accusa il Venezuela in 233 paragrafi. In 205 casi tratta casi in cui non sono finiti i ricorsi interni, per cui non possono essere presentati dinnanzi alla giurisdizione esterna. In 225 casi non specifica nomi, date, luoghi nè altri dati indispensabili affinchè un’accusa sia ammessa. In 182 casi, giudica circa supposizioni di fatti fututri ed incerti, che “potrebbero” accadere. Quasi tutti si basano su dicerie o ritagli di giornali che nessun tribunale degno di tale
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nome può accogliere come prove. Si degna perfino di opporsi a progetti di legge la cui sanzione dipende solo ed esclusivamente dalla soverana volontà popolare, e non da un ufficio di Washington. Con tali criteri ci catalogano, insieme a Colombia, Honduras e Haiti, tra i paesi che presenterebbero “situazioni che danneggiano seriamente e in maniera grave il godimento e beneficio dei diritti fondamentali”. Con tali procedimenti si potrebbe condannare Gesù Cristo. È ciò che ha fatto il tribunale dei farisei.
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In tale categoria non collocano il Messico, il Brasile nè gli Stati Uniti. Quest’ultimo, che sa ciò che fa, non ha sottoscritto trattati che lo sottomettono alla giurisdizione della Commissione Interamericana dei Diritti Umani nè a quella della Corte Interamericana dei Diritti Umani. E nonostante ciò, questi due organi si permettono di giudicare Cuba e dirigere verso di lei decisioni e sentenze, malgrado sia stata espulsa dalla OEA da quasi quattro decenni.
Paesi in camera ardente La condanna di questi tribunali di organizzazioni dominate dall’imperialismo è una sentenza di morte che si esegue attraverso l’invasione. Il Nicaragua è stato condannato dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani per essersi difeso da controrivoluzionari che si dicevano miskitos, e ciò ha scatenato durante quasi un decenno l’intervento massivo statunitense attreverso i “contras”. La Libia fu espulsa dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU settimane prima che scoppiasse contro di lei il genici-
dio dell’OTAN, che causò più di 60.000 morti. Sono stati espulsi anche Siria e Iran, paesi contro i quali piovono minacce e forse dopo pioveranno bombe.
Legittima difesa L’Imperialismo usa i Diritti Umani per negare agli uomini i loro diritti. Come strumento di legittima difesa, i nostri paesi devono rinunciare e lasciare senza effetti tutti i trattati o strumenti che li sottomettano a giudizio, valutazione e condanna da parte di tribunali o arbitri internazionali di organi dominati da potenze imperiali. E in effetti, in base alle ragioni espresse in precedenza, il Venezuela ha annunciato la sua denuncia della Convenzione Interamericana dei Diritti Umani e il suo ritiro dalla Commissione e dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani della OEA. Unasur e la Celac devono creare i loro propri organi difensori dei Diritti Umani. Devono, insomma, investigare, smascherare ed esporre i possibili finanziamenti esterni delle potenze imperiali alle ONG. Organi finanziati da potenze imperiali devono solo denunciare le violenze dei Diritti Umani che quelle potenze compiono.
Veri Diritti Umani Ebbene per i paesi egemonici i Diritti Umani sembrano ridursi a due: la proprietà e la libertà d’informazione, che si riduce alla libertà dei proprietari dei media di monopolizzare la comunicazione. Ma gli esseri umani hanno un’infinità di altri diritti, che non vengono mai di-
scussi dinanzi alle Corti Imperiali. Qualche paese egemonico è stato accusato di negare ai suoi cittadini il diritto al lavoro, all’alimentazione, a vivere senza povertà, all’educazione gratuita, all’assistenza medica, alla sicurezza sociale, all’informazione veritiera, alla cultura? Le multinazionali sono state accusate di essere il fattore principale di negazione di questi diritti? Il Venezuela ha compiuto in anticipo quasi tutte le cosidette Mete del Millennio. Qualche organismo riconosce quest’impresa di realizzazione dei veri Diritti Umani? É indispensabile ampliare il repertorio dei Diritti Umani riconosciuti dalle leggi, Costituzioni e Trattai Internazionali e dichiarare come possibili trasgressori le grandi aziende per poter iniziare a parlare di Diritti Umani, e non di Diritti del Grande Capitale e delle Potenze Imperiali. Luis Britto García traduzione: Maria Elena Riccio
dossier del mundo
IL CAOS CLIMATICO, ARMA DI DISTRUZIONE DI MASSA Aprireste una banca del sangue nel castello di Dracula? In un certo senso è stato fatto. L’ultima e diciottesima Cop (conferenza delle parti) dell’Onu sulla crisi climatica - ormai una questione di vita o di morte – si è svolta a Doha, capitale del Qatar, un Creso climalterante. L’Onu avrebbe piuttosto dovuto riunire i governi in una delle tante aree che già subiscono gli effetti della guerra climatica: fra la sabbia del deserto che avanza in Sahel, ai piedi dei ghiacciai che si sciolgono sulle Ande, ai bordi delle pianure inondate in Bangladesh, fra le zolle delle campagne in carestia, arse da ripetute siccità, o sott’acqua nell’oceano dove tante isole-stato si inabisseranno per via dell’innalzamento del livello dei mari. L’emirato qatariota non aveva il physique du role per presiedere la Cop 18. E’ infatti la massima espressione delle minoranze privilegiate mondiali, paesi e ceti sociali del Nord globale, che do-
vremmo chiamare grandi debitori del clima. Così infatti li definiscono i paesi “creditori”: dell’Unione africana, dell’Aosis (le piccole isole-stato del Pacifico), e dell’Alleanza bolivariana Alba, con in testa la Bolivia; i più attivi nella denuncia di un capitalismo che ha sconvolto anche il bene comune più globale di tutti.
Responsabili molto irresponsabili contro vittime non responsabili Belligeranti contro bombardati Il Qatar, emirato islamista, è il primo paese al mondo per emissioni pro capite di gas serra: 54 tonnellate all’anno. Il Niger, all’ultimo posto, è a circa 300 kg annui. Questa è la faccia dell’ingiustizia climatica, parallela al gap sociale ed economico. Il peso piombo dell’emirato dipende sia dai pletorici consumi interni sia dalle enormi esportazioni di gas naturale, la grande pepita dell’emiro al-Thani (“il gas darà al mondo 300 anni di sicurezza energetica”: e di caos climatico?). Il Qatar è anche il più ricco
paese del pianeta: i 250mila sudditi si godono un reddito pro-capite medio di 400mila dollari l’anno (e son serviti da un milione e mezzo di lavoratori stranieri dal Sud globale). E come usa il Qatar i grassi proventi del gas? Non certo a scopi sociali e redistributivi. Ma nel lusso, nella crescita pletorica e in spese militari. Sempre più negli ultimi anni la bomba climatica si affianca a bombe vere. L’emirato e gli altri membri del CcgConsiglio di cooperazione del golfo (petromonarchie) è occupato nel comprare a suon di miliardi di dollari la politica estera di vari paesi della regione, dall’Egitto (Fratelli musulmani) alla Striscia di Gaza (Hamas). E il Ccg con la Nato è ed è stato in prima linea sui fronti di guerra in Libia e Siria, con il sostegno diretto a gruppi armati impegnati in colpi di stato e coinvolti in atti di violenza efferati che hanno portato alla distruzione dei due paesi. Insomma il mondo è aggredito a colpi di gradi (di temperatura nell’atmosfera terrestre) e anche di Grad (missili indi-
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scriminati). Del resto il militarismo bellicoso è uno dei responsabili del cambiamento climatico. Costruire e usare ordigni di morte richiede moltissima energia. Eppure le emissioni climalteranti del settore militari sono escluse dal calcolo: non è loro richiesta alcuna riduzione. Perché stupirsi dunque se, sotto la presidenza del lussuoso emirato, il documento finale della conferenza Cop 18, il Doha Climate Gateway, è una scatola vuota? Là doveva essere disegnata l’architettura della politica climatica per i prossimi anni visto che è in scadenza il Protocollo di Kyoto, unico strumento che obbliga i paesi storicamente responsabili dei cambiamenti climatici a ridurre le emissioni di gas serra, seppure in modo insufficiente. Ma alla seconda fase (Kyoto II) ha accettato di partecipare solo un gruppo di paesi che insieme raggiunge appena il 15% delle emissioni globali. Restano fuori da Kyoto come sempre gli Stati Uniti. Si sono impegnati a ridurre le proprie emissioni entro il 2020 del 17%. Ma è niente: significa un misero 3% in meno rispetto al 1990, anno di riferimento normalmente utilizzato. Di questo passo l’ingiustizia climatica sorella gemella di un capitalismo alienante ci porta verso l’inferno. Lo dice la stessa Banca Mondiale che ha commissionato al Potsdam Institute for Climate Impact Research and Climate Analytics lo studio Turn Down the Heat dal quale emerge che di questo passo il pianeta raggiungerà un aumento medio di temperatura di 4 gradi entro la fine del secolo. Le particelle di anidride carbonica in atmosfera, da contenere entro le 350 parti per milione (ppm), sono già
attualmente oltre le 390. Continuando di questo passo, a fine secolo sarebbero 880 e i gradi in più, appunto, 4. Sempre che non si sciolga il permafrost artico liberando metano. Lo scienziato Kevin Anderson ha avvertito: solo mezzo miliardo di persone potranno sopravvivere con 4 gradi in più… I paesi dell’alleanza delle piccole isole Aosis si sono sgolati invano nel ripetere che le stesse 350 ppm sono per loro una sentenza di morte. Insieme alla Bolivia hanno chiesto un accordo globale per ridurre la presenza di CO2 almeno a 300 ppm così da mantenere l’aumento della temperatura entro 1 grado. Non i 2 che tutti prendono come orizzonte e che per l’Africa si tradurrebbero in 3,5. Le parole d’ordine della ricetta di cui avremmo bisogno sono note: riconversione in chiave ecologica della
produzione e dei consumi (energetici, agroalimentari, industriali, dei servizi) a partire da un processo di partecipazione ampio che smantelli il capitalismo industrialista. I soldi ci sono. Quanto si spende – e si inquina - nelle armi e nel far guerre? (Dedicato a Hugo Chavez, con l’augurio affettuoso che continui a lavorare per un uso sociale dei proventi del petrolio, in Venezuela nell’Alba e nel Sud del mondo, e per rendere i fossili uno strumento solo por ahora, finalizzandoli anzi alla costruzione dell’ecosocialismo post-estrattivista, cioè della pace e della giustizia, anche climatica. Un obiettivo necessario che richiederà anche, riteniamo, una nettissima riduzione del flusso di combustibili verso il Nord globale: per obbligarlo a ridimensionarsi e riconvertirsi. O non lo farà mai) Marinella Correggia
vale a dire, riformare radicalmente leggi del lavoro che sono conquiste della classe operaia dopo la Seconda Guerra Mondiale o dopo le esperienze autoritarie del franchismo in Spagna.
È il peggior colpo allo Stato del benessere europeo? si. E direi che, è il colpo definitivo per tornare in Europa ad una situazione tipo quella degli anni 20 o 30. non dico che ci riusciranno, ma è la loro prospettiva.
UNA PROSPETTIVA EUROPEA Coloro che stanno prendendo provvedimenti in Europa dicono che servono per uscire dalla crisi. Lei dice che non è così? È totalmente chiaro che per uscire dalla crisi è necessaria una domanda che sostenga i consumi, e la domanda può essere pubblica o privata. Se è pubblica è gestita dallo Stato attraverso l’investimento sociale. Se è privata è rappresentata dai consumi del ceto medio che acquista beni e servizi. La soluzione scelta dai governi europei è di comprimere la domanda privata congelando o riducendo i salari e benefici sociali, e ridurre in maniera drastica la spesa pubblica, così che i due fattori possibili di uscita dalla crisi per tornare alla crescita sono eliminati.
Sarebbe la strada peggiore? È la strada peggiore. Ma l’hanno scelta ed è chiaro che produrrà più recessione e più depressione economica nei prossimi anni. Non c’è dubbio.
Perché hanno preso quella decisione allora? L’hanno fatto perché sono disposti ad avere una crescita bassa o negativa per raggiungere il loro scopo fondamentale: completare l’opera iniziata da Margaret Thatcher e Ronald Regan negli anni 80 del XX secolo. Vale a dire, distruggere ciò che resta del Welfare State. Ad esempio, riuscire a privatizzare il sistema pensionistico in gran parte. Negli Stati Uniti la parte della popolazione che riceve la pensione statale è una minoranza; si è già realizzata una massiccia privatizzazione. Questa è la prospettiva per l’Europa. C’è una precarietà radicale del lavoro;
Contro lo Stato sociale. Perchè lo Stato sociale li disturba tanto? Potrebbero realmente mantenere uno Stato sociale e avere un sistema capitalista con qualche stabilità dando delle concessioni ai lavoratori, come funzionò il capitalismo degli anni 40 e 80. Ma quella dominante è una classe sociale vittoriosa che è ubriaca delle sue vittorie. Quando eravamo negli anni di crescita economica, di patto sociale, le persone pensavano che la lotta di classe appartenesse al passato. Ora siamo in una fase di acuta lotta di classe, e la classe sociale dominante vuole realmente portare la lotta fino in fondo.
Cosa comporta portarla fino in fondo? Non credo ci sia un limite, ma se vogliamo fare un paragone, prendiamo Carl Marx. Marx parlava di plusvalore relativo e plusvalore assoluto. Quello relativo significa aumentare la produttività del lavoro, e quando il lavoratore lavora, la sua produttività aumenta, per cui si può aumentare lo stipendio, au-
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dossier del mundo mentare il plusvalore e diminuire le ore di lavoro. Adesso il capitalismo vuole aumentare il plusvalore assoluto.
Qual’è il limite? Non lo sappiamo, ma sono determinati ad attaccare il movimento dei lavoratori. Uno dei leader dei sindacati francesi ha detto che bisogna usare la crisi per smantellare ciò che resta del Consiglio Nazionale della Resistenza.
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Eric Toussaint ricorda che il Consiglio Nazionale della Resistenza era “l’unità che riuscì a sconfiggere l’esercito nazista che occupò la Francia (gli anni 40 del XX secolo). Questo Consiglio era formato dalla sinistra e dai nazionalisti, e proponeva un patto sociale che sosteneva il capitalismo, ma i capitalisti erano costretti a fare delle concessioni ai lavoratori”. In questo momento, osserva Toussaint, la classe dominante “camuffa i suoi veri obiettivi per passare ad un discorso molto chiaro
Come mai non si finge più? sono riusciti a imporre sconfitte parziali alla classe operaia. In Europa abbia una situazione paragonabile agli anni 30, quando un settore importante del popolo pendeva verso la sinistra radicale: parlo di Syriza in Grecia, di jean-Luc Melenchon in Francia.
E il rischio del fascismo? Certo c’è un settore che pende verso la sinistra radicale, e un settore verso altre soluzioni che pure sembrano radicali, perché il discorso nazionalso-
cialista nazista era anche un discorso confuso, dove usavano slogan contro i banchieri, contro il grande capitale.
Cè qualcosa che possa fermare la distruzione di questo Stato sociale?
In altre parole, ci può essere una propensione verso la sinistra o verso il fascismo?
Soltanto la mobilitazione sociale abbinata a battaglie elettorali in cui la sinistra radicale riesca realmente a presentare proposte chiare di rottura. Se Syriza in Grecia è riuscito a conquistare un appoggio di massa, è perché ha fatto delle proposte radicali. È l’esperienza del Venezuela, della Bolivia, dell’ Ecuador, quando i candidati hanno proposto di rompere con il sistema politico e fare un cambio radicale. Hugo Chávez ha parlato di rivoluzione cittadina. Di conseguenza, in Europa “bisogna dire chiaramente alla gente che devono scegliere tra una strada che porta ad alta precarietà, ed un’altra di rottura radicale, di riconquista della sovranità popolare, di insubordinazione dinanzi al Fondo Monetario Internazionale, di provvedimenti contro le banche”.
Si, perciò parlo di di una situazione simile a quella degli anni 30: ci fu un momento in cui in Germania avanzava il partito comunista ed in contemporanea anche il nazismo. Nei prossimi anni, l acapacità della sinistra di fare proposte per costruire un fronte unico sarà vitale.
Le misure attuali sono neoliberali? Lei le descriverebbe diversamente? Sono neoliberali ma con un livello di brutalità enorme. È una nuova fase del neoliberalismo
Cosa intende? Abbiamo già 30 anni di neoliberalismo. Hanno precarizzato il lavoro in Germania, in Spagna. Ma attualmente stiamo in una fase in cui vogliono porre fine al lavoro con diverse leggi. In Spagna vogliono distruggere i contratti collettivi nazionali, e nelle aziende vogliono avere solo contratti individuali quanto più precari possibile; è la frammentazione dei lavoratori. E che i sistemi di sicurezza sociale siano minimi. Questa è la prospettiva. Nonostante ciò, in Europa abbiamo conquiste importanti. Il neoliberalismo deve ancora distruggere alcune conquiste; non starebbe facendo questa brutale offensiva se non avessimo conquiste da difendere
Eric Toussaint traduzione: Maria Elena Riccio
observatorio mediático
IL RUOLO POLITICO DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE
In Venezuela, dal 1998 gli atteggiamenti, i discorsi e le pratiche politiche impiegate dai principali attori della polarizzazione, compresi i mezzi di comunicazione sociale, riflettono una forte tendenza alla conflittualità. Dunque, si è via via sviluppata in Venezuela una cultura sociale e politica che legittima, avvalora e stimola l’intolleranza e, sotto certi aspetti, giustifica ogni strategia di persecuzione, esclusione e perfino eliminazione dell’altro, colpevole della mia situazione. Oggi, dunque, viviamo in un panorama politico di confronto, ciò che io chiamo una falsa morale, che accusa unilateralmente il presidente Chávez, il suo team e le forze politiche che lo sostengono nell’indispensabile compito di riconciliazione. Tutti esigono da Chávez la riconciliazione, nessuno si prende le
proprie colpe in un paese che si confronta in modo intollerante e che desidera la sparizione dell’oppositore. In Venezuela è innegabile il crescente potere dei mezzi di comunicazione sociale, e questo crescente potere ha come contropartita il degrado di altre istituzioni pubbliche. Il ruolo dei media sembra essere cresciuto parallelamente al discredito di queste istituzioni e alla delegittimazione delle istituzioni politiche, ad un clima politico di disapprovazione e di perdita di lealtà. Mi chiedo sempre: è stato un piano machiavellico? Credo di no. Credo sia stata una dinamica sociopolitica propria del Venezuela, dove abbiamo permesso ciò che definisco una sottile complicità. Noi, i cittadini, abbiamo permesso che i media
iniziassero a svolgere il ruolo dei partiti politici e siamo stati complici di ciò che è successo. I mezzi di comunicazione oggi, in Venezuela, sono mediatori, aziende commerciali, strumenti di controllo e di condizionamento sociale e, allo stesso tempo, sono diffusori dell’informazione. Per tano, i media sono molto più di semplici mezzi di comunicazione, sono palcoscenici dove si perde o si guadagna il potereIn questo senso, l’immagine o la rappresentazione della realtà politica, economica, alimentare, educativa, nazionale o internazionale, è quella che possiedono i media, quella che rappresentano e che vogliono comunicarci. Lì dimostriamo il potere d’influenza inestimabile e di penetrazione ideologica dei media sui cittadini. Credo che adesso in Venezuela la situazione sia molto più grave perchè i mezzi di comunicazione sociale informano con chiare intenzioni politiche e in questo modo accettano la gestione e il significato dell’informazione. Alcuni studiosi del fenomeno politico dei media mettono in guardia sulla nascita di partiti mediatici con conseguenze tragiche sia per il cittadino che per l’esercizio democratico; in Venezuela, dunque, i mezzi di comunicazione funzionano come se fossero dei partiti politici. Credo che siamo in guerra, e in guerra tutto è concesso. Ma in Venezuela questo lo intendiamo come una sorta di terreno simbolico, di guerra, dove gli eserciti sono i mezzi di comunicazione sociale. Questi eserciti si scontrano a morte, e utilizzano come arma di distruzione dell’oppositore l’informazione; e chi sono le vittime? Le vittime siamo noi, i destinatari della co-
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observatorio mediático municazione, cittadini di cui viene leso e limitato il diritto all’informazione. Spesso mi chiedono: in Veneuela c’è la libertà di stampa? Assolutamente. Ciò che è limitato è il mio diritto all’informazione poichè i mezzi di comunicazione sociale, tutto lo spettro mediatico, sono coinvolti in una guerra mediatica e nel desiderio di eliminare l’oppositore.
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Come si tutela dunque l’accesso a un’informazione indipendente, imparziale e liberale considerato diritto dei cittafini se i media sono eserciti di battaglia che si stanno scontrando con un nemico, un avversario da distruggere? Credo sia qualcosa da discutere: l’etica giornalistica, la formazione dei nostri comunicatori sociali e il ruolo dei mezzi di comunicazione in Venezuela e nel mondo. Forse è un ruolo politico, e allora bisogna riflettere anche su questo. Pertanto, in un mondo polarizzato, in un paese polarizzato con mezzi di comunicazione ampiamente compromessi nel confronto politico, e dove l’informazione si trova al servizio di una o dell’altra fazione politica, è quasi impossibile conciliare la funzione informativa dei mezzi di comunicazione sociale con il ruolo politico conflittuale. Il clima politico si esprime in due versanti politico comunicazionali: clima negativo, proprio dei mezzi privati dell’opposizione, proprio di un paese che si trova nel caos e nella conflittualità sociale, prodotto del fallimento di un progetto socialista a capo del quale si trova Hugo Chávez. Qui si elaborano percezioni e sentimenti negativi, scontenti, insoddisfazioni, frustazioni, paure.
Il clima positivo lo espone il Sistema Nazionale dei Mezzi Pubblici e questo clima deriva dalla jegittimità e credibilità di un progetto politico in atto, il paese che viene descritto è fatto di risultati, percezioni e sentimenti positivi. Dunque, nel Sistema Nazionale dei Mezzi Pubblici si parla soltanto di mete, di risultati, di conquiste future e di migliorie. Il consenso o la condanna è l’approvazione e valutazione che diversi enti o governi, organismi e organizzazioni nazionali e internazionali danno sul paese nell’ambito economico, politico, di diritti umani. I mezzi privati di opposizione danno risalto a tutti i casi di condanna, la SIP, Human Rights Wacht, il Dipartimento di Stato, tutto ciò è sempre presente nei mezzi privati di opposizione. Al contrario, il Sistema Nazionale dei Mezzi Pubblici espone prevalentemente situazioni di attestazione come quelle realizzate dall’Unesco, in ambito educativo, dal Cepal in ambito di calo della povertà, l’ONU e il coefficiente di Gini; l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, FAO, in ambito alimentare, etc. Quando vengono criticate le argomentazioni del Venezuela, in quanto non c’è alternativa, di solito lo fanno tramite il vociferare di rappresentai del governo, e ciò io lo definisco come una sorta di distanziamento spassionato della posizione venezuelana. Si osserva una gestione informativa spregiudicata delle argomentazioni del Venezuela e compromessi in una denazionalizzazione del conflitto. Si osserva una tendenza a far sentire la voce del paese in quanto giudice e forza esterna coercitiva , sorta di morale o
avallo esterno dinanzi ai problemi che sono prorpio nostri, interni. Credo che la grande sfida per la politica comunicazionale è all’interno di un ambiente di autocritica e allo stesso tempo di dialogo. Fare della comunicazione uno spazio politico in cui ci sia scambino di opinioni contraddittorie di tutti gli attori sociali, compreso quelli delle minoranze. Maryclen Stelling Macareño traduzione: Maria Elena Riccio
venezuela desde italia
IL VENEZUELA DIFFONDE POLITICHE SOCIALI SULLA PARITA’ DI GENERE Il Venezuela ha partecipato il 26 ottobre, presso la sede della “Fondazione Valerio per la Storia delle Donne”, al I Convegno organizzato a Napoli sul ruolo della donna e il suo operato dalla II Guerra Mondiale fino ai nostri giorni. La console Marnoglia Hernández Groeneveledt ha fatto un excursus storico dagli ultimi 200 anni di storia venezuelana fino ad arrivare ai nostri giorni “... Negli ultimi tredici anni la donna è uscita dal suo isolamento per reclamare il suo posto e continuare a mantenere accesa la fiamma di Manuela Sáenz”. In quest’ultimo periodo la donna ha trovato uno spazio in cui lottare per costruire un nuovo ordine sociale basato sul rispetto e la non discriminazione dei sessi. La Rivoluzione Bolivariana lo prevede e lo dimostra la Costituzione del 1999 nella quale si fa uso di un lin-
guaggio non sessista, si parla di uguaglianza e si riconoscono i diritti ignorati dai governi precedenti, come si evince dagli articoli 21, 76, 88 e 103 della Magna Carta venezuelana. “Attualmente ciò che conta di più è il ruolo delle donne nei consigli comunali, nelle misiones (programmi sociali, ndt) (dove la loro partecipazione supera il 60%) e in tutti i programmi che il governo incentiva attraverso strumenti come Misión Madres del Barrio, l’Instituto Nacional de la Mujer, il Banco de Desarrollo de la Mujer e il Ministerio del Poder Popular para la Mujer y la Igualdad de Género”, ha sottolineato la Hernández. La Fondazione Valerio per la Donna e l’associazione Maddalena Cerasuo-
lo – eroina napoletana della II Guerra Mondiale – cercano di rendere giustizia a tante donne che hanno lottato contro il fascismo e dovunque la storia, scritta dagli uomini, non ha dato loro lo spazio per poter testimoniare il coraggio di un ruolo considerato fondamentalmente degli uomini. Questa fondazione, una delle più importanti in materia, attraverso la ricerca si dedica attualmente allo studio dei testi e documenti inediti relativi a tale periodo storico italiano, grazie all’attività di un’equipe composta da esperte, accademiche e ricercatrici che lavoramo non solo alla riscoperta della storia contemporanea ma anche alla creazione di meccanismi che contribuiscano alla formazione delle generazioni future. Maylyn López traduzione: Maria Elena Riccio
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Il 27 ottobre 2012 il Consolato Generale venezuelano di Napoli ha partecipato all’inaugurazione dell’associazione “Filippo Gagliardi” di Maratea, la prima in Basilicata, nel sud d’Italia, da dove un gran numero di italiani emigrarono verso il Venezuela alla ricerca di condizioni di vita migliori dando così un grosso contributo allo sviluppo di diversi comuni italiani grazie al loro lavoro nelle terre creole. Dal canto suo, il sindaco di Maratea Mario Di Trani ha sottolineato il suo pieno appoggio a questa nuova associazione la cui finalità è promuovere il territorio di Maratea e allo stesso tempo di mantenere viva la cultura e l’identità venezuelana ereditata dal processo di emigrazione negli anni cinquanta. “Oggi gioisco insieme a tutta la comunità italo venezuelana che risiede in questo territorio, avete dunque tutto il mio appoggio istituzionale, impe-
gnandovi ogni giorno nell’ampliare e ra forzare i vincoli indissolubili tra i due paesi.
Il console Bernardo Borges ha evidenziato che il Venezuela è grato dello sforzo e del lavoro svolto da tanti italiani che nelle nostre terre hanno costruito un futuro e hanno contribuito allo sviluppo del nostro paese. Combattiamo il flagello dell’insicurezza con politiche sociali che aiutino il reinserimento di migliaia di giovani e attraverso la creazione e l’addestramento di poliziotti al servizio della comunità. Il governo bolivariano mette in rilievo il rispetto dei diritti umani e la proprietà privata. Abbiamo miglioriato la qualità di vita del nostro paese come si evince dall’aumento del 400% del nostro PIL negli ultimi 10 anni. Per noi il carattere umano e sociale delle nostre politiche prevale su quello economico e sul capitale, ha concluso Borges. In tale ambito, la Rappresentanza venezuelana a Napoli ha organizzato una Jornada consegnando documenti ai cittadini venezuelani residenti a Maratea, avvicinandoci alle comunità e semplificando la vita alle famiglie ed anziani che vivono lontano dalla sede consolare.
Filippo Gagliardi è diventato un simbolo per tutti i residenti di Maratea per essere stato un emigrante che arrivò in Venezuela nel 1927 portando con sé soltanto la buona volontà ma riuscendo a fondare diverse aziende. Fu un benefattore e durante tutta la sua vita aiutò i suoi compaesani sostenendo anche lo sviluppo sia del Venezuela che della sua terra d’origine” ha evidenziato Simón Martino, presidente dell’associazione.
L’Associazione “Filippo Gagliardi” nasce con lo scopo di promuovere la cultura e l’identità venezuelana, promuovere il turismo nazionale ed operare come ponte di cooperazione tra Venezuela ed Italia offrendo sostegno e dando informazioni sul nostro paese. Tra le prossime iniziative si prospetta per il prossimo anno la realizzazione di un cineforum in collaborazione con “Maratea Film Festival” Maylyn López traduzione: Maria Elena Riccio
INAUGURATO BUSTO DI BOLIVAR A MANFREDONIA diventato grido di guerra e ci accompagna adesso nella trepidante costruzione della Patria da noi sognata. Successivamente, il consolato ha consegnato i riconoscimenti agli enti e autorità coinvolte nella realizzazione di questo incontro.
Dinanzi all’assemblea plenaria del Consiglio Comunale della città di Manfredonia, nel sud Italia, il 27 novembre il Comune di Manfredonia e il Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli hanno inaugurato sia il busto del Libertador Simón Bolívar che l’Associazione Italo Venezuelana “General de División José Antonio Anzoátegui” in onore del padre della patria nato a Barcellona. Il Vice sindaco Matteo Palumbo ha sottolineato l’appoggio di questa comunità italiana al Venezuela “Molti dei nostri connazionali hanno realizzato i loro sogni nei territori venezuelani. É importante rafforzare l’amicizia in un mondo sempre più egoista. Abbiamo bisogno di un mondo solidale. I venezuelani sono sempre stati persone generose e solidali”. Dal suo canto il console Carlos Abreu ha rimarcato che queste attività del sud d’Italia non sono fatti casuali bensì
sono da inquadrare nella commemorazione del ventesimo anniversario della Ribellione Civico Militare del Giorno dell’aviazione Militare Bolivariana “A nome di tutti i venezuelani e venezuelane, ringrazio il sindaco Angelo Riccardi, il vice sindaco Matteo Palumbo e tutti i membri dell’Associazione Italo Venezuelana G/D José Antonio Anzoátegui per il loro impegno nella realizzazione di questo nuovo luogo d’incontro che sottolinea il nostro essere venezuelani e l’amore del popolo italiano nei confronti di quello venezuelano”. Citando il Presidente Hugo Chávez, Abreu ha sottolineato l’importanza di questo giorno nella storia contemporanea del paese: “il 27 novembre si è svolta un’azione infruttuosa dal punto di vista militare, ma grandiosa nel dimostrare e rinfacciare al mondo intero che il regime puntofijista era stato realmente ferito a morte. È stato quel gran rumore del 27 novembre che per noi è
Manfredonia è una città antica fondata sulle rive del mare Adriatico. La sua ricca storia risale al XIII secolo. È stata protagonista di svariate invasioni. Si trova nella provincia di Foggia, nella Regione Puglia, nel sud d’Italia. Oggi ospita uno dei porti marittimi più importanti e moderni d’Italia Maylyn López traduzione: Maria Elena Riccio
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VENEZUELA PRESENTE NEL LIBRO ITALIANO: “SUGGESTIONI DI VIAGGIO” no, da sempre interessato a conoscere la nostra cultura, le bellezze naturali ed i parchi che si trovano in lungo e in largo sul territorio venezuelano.
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Nella sede dell’Istituto Cervantes di Napoli, il giorno 5 Dicembre 2012, il Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela ha realizzato la presentazione del libro “Suggestioni di viaggio” della scrittrice italiana Yvonne Carbonaro, un compendio che racchiude la visita dell’autrice in alcuni paesi del mondo, tra i quali spicca il nostro paese. Il Console Bernardo Borges, ha fatto riferimento all’importanza che il Governo Bolivariano sta dando al turismo nazionale, pietra miliare di interesse vitale per lo sviluppo del paese e per il quale si stanno realizzando importanti investimenti in materia. “Il nostro impegno è far conoscere il Venezuela come meta turistica unica che offre di più del calore della sua gente e una gastronomia riconosciuta in ambito internazionale”. La console Marnoglia Hernàndez ha apprezzato il capitolo che la Carbonaro ha dedicato al Venezuela “attraverso un racconto dettagliato e meticoloso sulla Tierra de Gracia. Descrizione che evidenzia la ricca biodiversità e ricchezza della nostra terra attraverso un percorso tra i punti cardinali della geografia nazionale. Senza alcun dubbio una porta d’ingresso per il pubblico italia-
La Carbonaro ha risaltato la sua esperienza nel paese affermando che continuerà a percorrerlo e scriverà sulla maestosità dei nostri paesaggi. “Il Venezuela mi ha catturata: la Guayana Venezuelana, nel cuore di una natura primitiva, una terra come sarebbe dovuta essere agli inizi della vita e che oggi resta intatta come uno dei pochi polmoni verdi dell’umanità. Luoghi di una bellezza assoluta avvolti da un incanto unico, quasi da favola. Ho presente le immagini di una natura ancora incontaminata.
Giovani italiani: Presidente Chàvez abbiamo bisogno della Sua forza e senso di giustizia sociale Il 13 Dicembre si è tenuta una lezione magistrale all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” intitolata “Venezuela nell’ambito della globalizzazione: la Costituzione tra economia e politiche sociali” con la partecipazione del Consolato Generale di Napoli. Il professor Alberto Lucarelli, ordinario di Diritto Pubblico dell’università “Federico II” e del dipartimento “Beni comuni” del Comune di Napoli, ha realizzato un percorso sul testo costituzionale
venezuelano segnalando l’importanza degli elementi innovatori del Diritto Pubblico “Come nessun’altra Carta Magna, lo stato venezuelano introduce il concetto di “beni comuni”. L’articolo 12 segnala che i giacimenti minerali e di idrocarburi di qualsiasi natura, esistenti in tutto il territorio nazionale, zone economiche esclusive e coste marine appartengono alla Repubblica e costituiscono beni di dominio pubblico, essendo inalienabili e imprescrittibili”. “Necessariamente bisogna uscire da questo eurocentrismo che ha mantenuto l’Europa in uno stato di mistificazione, fuori dal resto del mondo, ed osservare con molta attenzione quello che sta succedendo in America Latina e particolarmente in Venezuela”. La singolarità della democrazia protagonista e partecipativa plasmata nel testo costituzionale di questo paese e praticata con fervore in questi tredici anni, ha dato dinamicità e maturità alla pratica della politica venezuelana. E’ qualcosa di meraviglioso perchè lì – in Venezuela - si sviluppa la sovranità popolare, come dire, la partecipazione piena dei cittadini e delle cittadine alla vita nazionale”. L’assemblea piena di studenti di diritto, ha espresso i propri auguri di forza e pronta guarigione al presidente Hugo Chávez: “gli studenti dell’università degli Studi di Napoli “L’Orientale” Le augurano lunga vita e un pronto ritorno in buona salute in Venezuela... Vinceremo!”.
Maylyn López traduzione: Martina Tabacchini
IL SUD ITALIA SOLIDARIZZA CON IL VENEZUELA Il 12 Dicembre del 2012 al Maschio Angioino, il Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela di Napoli ha indetto la IX giornata con le comunità e le associazioni italo-venezuelane del Sud Italia, evento al quale hanno partecipato accademici, gruppi di solidarietà, diplomatici, studenti e venezuelani, i quali hanno manifestato il loro appoggio al Venezuela ed al Presidente Hugo Rafael Chávez Frías. Durante quest’iniziativa il Console Bernardo Borges ha manifestato il suo apprezzamento alle associazioni del Sud Italia presenti a quest’evento: Alma Llanera di Marina di Camerota, Marx XXI di Bari, Casa Venezuela di Napoli, Alba di Napoli, Araguaney di Moio della Civitella, Centro Italo Venezuelano di Corato, It Ve di Sassano, Suramericalba di Cava De’ Tirreni, GD Josè Antonio Anzoátegui di Manfredonia, Associazione Filippo Gagliardi di Maratea. Il pubblico ha innalzato una preghiera per la salute e la pronta guarigione del Primo Mandatario Venezuelano. Il professore e costituzionalista italiano Carlo Amirante, ha evidenziato che il presidente Chàvez ha esteso le frontiere ed oggi con la sua voce, che è la voce del popolo, reclama giustizia sociale ed indipendenza che si sente nel mondo intero. Oggi più che mai il Venezuela risalta nel panorama interna-
zionale come un paese solidale e motore dell’integrazione latinoamericana. “Presidente, Lei è una luce di speranza e dall’Europa Le auguriamo un pieno ed assoluto miglioramento”. A seguito il Console Borges ha realizzato un esauriente racconto sull’importanza e l’efficacia del Manifesto di Cartagena, primo documento pubblico scritto dal Libertador in occasione del suo Bicentenario: “ Avendo perso la Prima Repubblica, Bolìvar arriva a Cartagena desideroso di recuperare forze per tornare in Venezuela e stabilire una nuova Repubblica. Oggi i desideri di unione che ha messo in risalto Bolivar in questo documento, ci accompagnano. Il mondo intero deve aver presente che il Presidente è stato e sarà un artefice dell’unione, la rettitudine e la prosecuzione di ogni progetto che si intraprende. Contiamo su di Lei”. Lo staff consolare ha informato inoltre la comunità italo venezuelana che i “Diavoli danzanti di Yare” da questo momento sono un patrimonio non materiale dell’umanità per l’Unesco. “Questa decisione ci riempie di orgoglio e ci invita a diffondere la nostra cultura prodotto di questa mescolanza e fusione che riempie i nostri costumi. Maylyn López traduzione: Martina Tabacchini
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LA SCHIAVITÙ: IL COLORE MERCANTILISTA La schiavitù è stata presente in quasi tutte le società, epoche e continenti del pianeta. In Grecia, nei secoli V e VI a.C., gli schiavi lavoravano nelle officine producendo merci che in seguito venivano barattate nel commercio. Durante l’Impero Romano si costruì un sistema di schiavitù dal quale si presume sia stato ispirato il processo schiavista delle Americhe.
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Già nel Medioevo le tribù germaniche, molti popoli mussulmani, popoli del mediterraneo e alcuni regni africani si dedicarono al commercio degli schiavi come principale mezzo di sostegno economico. Molti storici concordano nel sostenere che la schiavitù moderna ebbe inizio con la scoperta dell’America, un business redditizio e che generava guadagni inestimabili, un meccanismo questo portato avanti soprattutto da inglesi, spagnoli, portoghesi e olandesi. Fino ad oggi non ci sono prove concrete che testimonino con assoluta certezza la quantità di schiavi catturati, trasportati, venduti, condannati a lavori forzati e annientati, coinvolti in questa tratta perversa che paradossalmente permise alle principali colonie europee di aumentare notevolmente lo scambio commerciale e il saccheggio di cui fu vittima il territorio americano. Herbert Klein, nel suo studio sulla tratta degli schiavi calcola tra i 15 e i 20 milioni di schiavi coinvolti in questo commercio
i cui discendenti chiedono giustizia per poter onorare la memoria dei loro antenati portati con la forza nel continente americano. Tra il 1533 e il 1640 sono sbarcati nelle coste americane schiavi provenienti soprattutto dal Senegal, Guinea, Gambia, Capo Verde, Sierra Leon, Congo e Angola. I nostri avi africani apportarono grandi conoscenze nelle tecniche agricole e nel settore minerario e affrontarono l’impero spagnolo in diverse ribellioni. Questo truce commercio di esseri umani sarebbe durato quattro lunghi secoli strappandoli dalle loro terre e togliendo loro la libertà per diventare semplice merce in un sistema economico che si rafforzò a spese della sofferenza di milioni di uomini e donne assorbiti in maniera selvaggia dall’ingranaggio economico delle potenze imperiali che scambiavano gli schiavi con merce superflua o li compravano in base al tipo di lavoro che dovevano svolgere. Nei salotti europei del XVIII secolo era di moda utilizzare lo zucchero di canna per addolcire il caffè, i cioccolatini aromatizzati, il piacere di fumare il tabacco. Dall’altro lato dell’Oceano Atlantico gli schiavi erano semplici macchinari umani al servizio della crescente domanda di prodotti provenienti dalle Americhe.
Gli schiavi venivano trasportati per lunghi viaggi attraverso l’Atlantico incatenati dal collo ad un lungo asse di legno, nudi e sprovvisti dei servizi basici. I loro acquirenti europei eseguivano delle ispezioni che consentivano di scartare le malattie e di fissare il prezzo di ognuno in base ai lavori che potevano svolgere grazie alla loro statura e alla lunghezza dei loro arti. Un’ulcera, un dente in meno o un qualsiasi difetto fisico che svelasse possibilità di rendimento inferiore abbassava il loro prezzo al momento dell’acquisto.
era il carimbeo: segno impresso col ferro rovente sul gluteo sinistro o nella parte alta della vita e nell’avambraccio delle schiave; queste ultime non sono sfuggite al commercio sessuale e all’esposizione pubblica dei loro corpi.
Le imbarcazioni chiamate “boschi d’ebano” salpavano quasi sempre con il doppio della loro capacità. All’arrivo nelle terre americane si procedeva con la quarantena e il “blanqueo” che consisteva nell’alimentare e curare i pezzi di maggior valore in modo da farli sembrare forti e in forma prima di essere esposti al pubblico acquirente. Venivano misurati per palmi – alludendo al palmo della mano-. L’altezza ideale era di 7 palmi. Se l’individuo non era della misura esatta si completava l’acquisto sommando la misura dei “muleuines”, vale a dire bimbi al di sotto dei sette anni, o dei “muluques” dai sette ai dodici anni o dei “mulecone” tra i dodici e diciassette anni. Il più delle volte i bambini e le donne erano destinati ai lavori domestici. Gli schiavi arrivati in Venzuela nel XVI secolo si dedicarono soprattutto all’estrazione mineraria e alla pesca delle perle. Nel secolo XVIII, “secolo del cacao” nel paese ci fu il proliferare delle piantagioni nelle zone costiere grazie alla mano d’opera degli schiavi.
Il fenomeno della schiavitù diede vita alle più singolari forme di compra-vendita: si vendono bambini e donne incinte, si svendono intere famiglie, si fanno trasferimenti e baratti e perfino pagamenti in natura. Nel 1768 un documento reale stabiliva l’obbligo di emettere il certificato di libertà a quegli schiavi che avessero effettuato un pagamento pari al loro valore d’acquisto. In questo modo gli schiavi coltivavano prodotti come il cacao grazie al cui raccolto pagavano la loro libertà.
L’utilitarismo economico si è imposto come unica scusante alla crudeltà di certe pratiche. La più diffusa e inevitabile
Dal 1570 alcune ribellioni dei cimarrones fecero sì che il Re intervenisse mandando alla forca quegli schiavi che superavano i sei mesi di ribellione. Nel 1784 fu proibito il carimbeo più che per umanità, per evitare ulteriori ribellioni.
L’Africa irradiò la sua diversità per l’intero continente americano con la sua vitalità e allegria, contagiando tutti con la sua musica e arte che rievocano ogni giorno la vita. Oggi siamo il prodotto di questa perfetta fusione di usi e costumi che fanno di noi un continente variopinto, dove i bantu, i cimarrones, il malembe, il tamunangue e la nostra pelle denotano l’orgoglio anche della nostra eredità africana. America più che razza, religione o continente, è una fusione multietnica unica al mondo che rende giustizia sociale a tutti i nostri antenati africani, loro sono anche l’America e noi siamo anche l’Africa. Maylyn Lòpez traduzione: Maria Elena Riccio
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28 ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITU’ IN VENEZUELA Bolívar iniziò col liberare i suoi propri schiavi a partire dal 30 giugno 1814 per inserirli nelle forze indipendentiste. Il 6 giugno 1816 afferma: “la natura, la giustizia e la politica chiedono l’emancipazione degli schiavi: d’ora in poi in Venezuela ci sarà una sola classe di uomini, saranno tutti cittadini” (Blanco Fimbona, 20047:199). E in questo modo Bolívar conclude il suo discorso al Congresso di Angostura: “io lascio alla vostra sovrana decisione la riforma o la revoca di tutti i miei statuti o decreti: ma io imploro la conferma della libertà assoluta degli schiavi, come implorerei per la mia vita e per la vita della Repubblica” (Pérez Vila, 1979:124).
APPROCCIO DI GENERE
È indispensabile definire nuovamente, “con un approccio di genere”, le Costituzioni, le leggi e tutte le politiche dello Stato legate a quest’odiosa distinzione basata sul sesso. Diciamo “approccio di genere” poiché vuol dire andare ad intaccare il nervo centrale di una cultura che stabilisce ruoli maschili e femminili e sulla base di essi assegna spazi, stabilisce luoghi, fissa, colloca e determina posizioni assolutamente disuguali. L’approccio di genere oltrepassa l’aspetto fisiologico per approfondire nei rapporti che ci sono tra il biologico e il sociale. Sono proprio quei rapporti a mettere la donna in condizioni politiche, sociali, culturali ed economiche svantaggiose nei confronti dell’uomo, rapporti che la considerano meramente nell’ambito riproduttivo conferitole dalle religioni, i miti e le antiche leggende. svantaggiose nei confronti
dell’uomo, rapporti che la considerano meramente nell’ambito riproduttivo conferitole dalle religioni, i miti e le antiche leggende. Il concetto di genere forse può esserci d’aiuto per capire perché la donna non va soltanto vista dall’ottica della riproduzione, perché “genere” non è lo stesso che “sesso” e vale la pena spiegare le differenze.
Quando è nato il genere umano? Il genere è nato dalle ricerche sui casi di bambini e bambine a cui è stato assegnato un sesso diverso da quello che geneticamente, fisiologica ed anatomicamente era il loro vero sesso. Uno di questi casi è stato seguito dallo psichiatra Robert Stoller, autore di un libro edito a New York nel 1968, il cui titolo è “Sesso e Genere”. Si è trattato di gemelli identici, ad uno dei quali è stato
amputato per sbaglio l’organo sessuale. La famiglia scelse di “socializzarlo” come una bambina anziché mantenerlo come un maschietto senza pene, per cui è cresciuto con l’identità di una bambina, mentre suo fratello gemello, assolutamente identico, si è sviluppato come un bambino. La conclusione dello psichiatra è stata immediata: “l’identità sessuale non sempre è il risultato del sesso al quale si appartiene”, e questa conclusione ha dato origine al “genere”. Da allora, quindi, genere è: “tutte quelle grandi aree della condotta umana, sentimenti, fantasie, pensieri, legati ai sessi ma senza una base biologica”. Stoller concluse, dalle sue ricerche, che queste persone che sono state ritenute femmine hanno preso l’identità sessuale assegnata nonostante l’identità biologica non fosse in corrispondenza con la sua oppure, in certi casi, quando essa fosse o meno in corrispondenza con la sua. Questo fece pensare allo psichiatra che il fattore determinante nell’identità sessuale non è il sesso biologico “ma la sua socializzazione”, dalla nascita oppure da prima della nascita. L’assegnazione del ruolo nel processo di formazione dell’identità sessuale –disse Stoller- è più determinante rispetto al carico genetico, ormonale o biologico. Quest’identità socializzata è stata nominata “genere” dal famoso psichiatra, ed è riuscito a differenziarla dall’altro, dal “sesso anatomico”, che come definito dalla chiesa, “sono soltanto due”; gli unici ed esclusivi sessi da essa riconosciuti e non sappiamo se d’accordo o meno con Dio.
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Le femministe e il termine genere
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Le femministe hanno dato al termine genere un uso che alcuni condividono ed altri non affatto. Per loro, “sesso” è soltanto una voce per denominare ciò che è stato costruito “socialmente” e con il quale le donne vengono oppresse. Per le femministe, “genere” non è un gruppo vulnerabile, “genere” fa soltanto riferimento alla costruzione sociale dicotomica di ciò che è femminile e maschile. Per le femministe, il genere è una categoria sociale come la razza, la classe oppure l’invalidità. Si lamentano –giustamente- per i tanti monumenti in giro per il mondo al milite ignoto senza che ce ne sia uno per la “casalinga ignota”. Si è detto che il discorso femminista si basa sul fatto che l’oppressione sofferta dagli uomini è meno importante di quella sofferta dalle donne stesse.
Ma anche gli uomini sono vittime Alcuni dicono che l’oppressione sociale delle donne è stata più adeguatamente analizzata, più studiata, rispetto a quella sofferta dagli uomini per quanto riguarda il sesso. A questa stessa corrente di pen-
siero sembra “semplicista” denunciare in senso astratto gli uomini come aguzzini sociali e intanto una buona parte di loro –così importante come quella delle donne- per motivi di sesso e società sono vittime simili oppure identiche alle donne. È vero, si chiedono coloro che la pensano diversamente rispetto alle femministe, che tutti gli uomini del mondo opprimono tutte le donne del mondo? Non sarebbe un po’ cadere nel discorso infantile di “Cappuccetto Rosso”, “La Cenerentola” e tante altre fiabe ove “buoni e cattivi” cercano moralmente di spiegarci in modo sbagliato la “realtà esistente”. Una grave conseguenza del discorso “vittimista” –e bisogna lanciare l’allarme con responsabilità- è che ostacola e mette in pericolo le alleanze necessarie tra uomini e donne che oggi lottano per costruire una società rivoluzionaria ove si possa raggiungere una vera trasformazione delle relazioni interpersonali tra gli uni e le altre, ugualitaria, giusta e meno sessista. Sarebbe più preciso, affermano coloro che la pensano contrariamente, che sulla base di una struttura di oppressione si dica che sia uomini che donne sono discriminati in aspetti che non sono gli stessi o che, in ogni caso, “sono diversi
e differenziati”. Infatti, il problema non è unidirezionale e quantitativo, gli svantaggi e i pregiudizi che derivano dal sesso sono assolutamente bidirezionali e qualitativi. Non dobbiamo perderci nell’irrazionalità di chi manipola il concetto di genere per continuare a maltrattare le donne. Infatti, sebbene sia vero che le donne devono ancora rivendicare tanti aspetti legati alla discriminazione per motivi di sesso, gli uomini hanno altrettanto da rivendicare per le stesse ragioni, e quindi la lotta deve essere condivisa. Non è già tanto la divisione di classe, perché ci si voglia dividere in uomini e donne? Conclusione È in questo modo che ho imparato che c’è in ognuno di noi un processo di presa di coscienza per partecipare con equità e giustizia in un cambiamento sociale e che non bisogna differenziare a seconda del genere o della classe. Julián Isaías Rodríguez traduzione: Shaindel Novoa
E’ INUTILE SPIEGARLO CON PAROLE “E’ inutile spiegarlo con parole” Quando ho vissuto in Venezuela nel 2000, il Presidente era ancora agli inizi, non si parlava di Proceso, né di Rivoluzione. Nel paesino di El Callao, dove vivevo, non c’era l’acqua, non c’era la luce elettrica e alle 21 tutti erano chiusi in casa a guardare le novelas. Mi ritrovo dodici anni dopo in un Paese attivo, partecipe e cosciente delle proprie forze. Dove se qualcuno resta in casa è per seguire Canale 8 (l’emittente televisiva dello Stato) o ascoltare qualche radio comunitaria, che trasmette musica creola ed informazione costante. Questo grazie alla presa di coscienza: l’associazione tra le persone, al fine di diffondere le idee per una Patria dove ci siano diritti uguali per tutti, il diritto alla casa (in Venezuela è un diritto inviolabile), allo studio – gratuito – per tutti e tutte, la sanità, diritti UMANI! Arrivo all’UNEFA (Universidad Nacional Esperimental de las Fuerzas Armadas) mi faccio un giro perché ovviamente sbaglio edificio. Perché in tutta l’area dell’Universi-
tà, spazi aperti o chiusi che siano, è proibito fumare ed io bellina bellina ho acceso una sigaretta. “Ok, la spengo! Tranquillo, camarada” gli dico. Mi viene incontro Arnaldo Rojas, mi abbraccia calorosamente e da qui, entro nel sogno di tutti e tutte noi. La Rivoluzione esiste ed è possibile! Conosco finalmente Rider Lenin Molina Castro, che mi ha aiutata mentre ero ancora in Italia, a partecipare all’esperienza con ANROS (Associazione delle Reti ed Organizzazioni Sociali del Venezuela). I corsi sono 4: comunicazione, sociopolitica, potere popolare ed economia sodinamiche di un Paese che sta vivendo una Rivoluzione, come mi piace definirla, UMANA. Ci sarebbero migliaia di cose da dire, ma lo spazio è poco e non tutte le parole riescono a rendere l’idea. Ma non servono le parole. Bisogna mettere in atto, attuare, organizzarsi! Lo diceva Gramsci anni fa, lo ripeto io e migliaia di persone oggi. Tutti e tutte insieme, formandoci sotto lo scopo comune dell’uguaglianza sociale, possiamo
farcela. Ed è per questo ed altri mille motivi, che è nata ANROS Italia, che prende spunto dall’esperienza venezuelana e la riadatta alla nostra realtà, ai nostri bisogni quotidiani, al “sistema” in cui viviamo. L’obiettivo è quello di unire le Reti Sociali e far rinascere in tutti e tutte la voglia di lottare, di volersi bene, reciprocamente, senza pretendere nulla in cambio che l’uguaglianza. La lotta è amore! Una lotta pacifica la cui unica arma e la sovranità popolare manifestata attraverso la partecipazione protagonistica e diretta dei cittadini e cittadine nella vita politica nazionale. Campo di formazione Socialista ANROS e PDVSA, San Tome de Anzoategui. Martina Tabacchino
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Guarapo: succo dolce estratto dalla palma canaria. Miscela dolce dal sapore peculiare, bibita rinfrescante ed energetica. Può anche trattarsi della bibita fermentata fatta con questo succo e conosciuta come ‘guarapita’. Santiguar: fare il segno della croce dalla fronte al petto e dal gomito sinistro al destro. Fare superstiziosamente croci su qualcuno recitando preghiere. Broder: Spanglish. Dall’inglese Brother. Amico. Ñaño: (Bol., Ecu., Per.) modo affettuoso di chiamare a un amico intimo. Cobre: denaro, paga. Macanudo: (Uru., Arg.) buono, eccellente, stupendo, magnifico. La sua origine potrebbe risalire alla metà del secolo XIX nell’estremo sud del continente americano, epoca in cui aumentò l’immigrazione anglosassone e con essa il lavoro nei campi. Nella stessa epoca si utilizzava una marca di fil di ferro dentato per recintare il raccolto, detto Marcar Nudo, che era di ottima qualità, per cui diventò sinonimo di buono accettabile, stupendo. Si dice che la pronuncia di questi immigrati potrebbe aver dato origine a ‘macanudo’. Marnoglia Hernández Groenveledt
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