Liam O’Connor doveva morire in mare nel 1912.
Maddy Carter doveva morire su un aereo nel 2010.
Sal Vikram doveva morire in un incendio nel 2026. Eppure, pochi istanti prima di morire, è apparso un uomo misterioso che ha detto: “Prendi la mia mano...” Ma Liam, Maddy e Sal non sono stati salvati. Sono stati reclutati da un’agenzia di cui tutti ignorano l’esistenza, e che ha un solo obiettivo: riparare i guasti della Storia. Perché viaggiare nel tempo è possibile e ci sono persone che vogliono tornare nel passato per modificare gli eventi. Ecco perché esistono i
TimeRiders.
renoircomics.it ISBN 978-88-6567-026-2
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788865 670262
Cover design di James Fraser Fotografia di Neil Spence
Per evitare che i viaggi nel tempo distruggano il mondo. . .
Il primo di una
straordinaria serie
€ 11,90
ReNoir
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Capitolo 1 1912, Oceano Atlantico
«C’è ancora qualcuno qui sul ponte E?» gridò Liam O’ Connor. La sua voce echeggiò nell’angusto corridoio, rimbalzando sulle pareti di metallo. «C’è qualcuno quaggiù?» Regnava il silenzio eccetto per le grida soffocate e il rumore di passi frettolosi proveniente dal ponte superiore e il cupo, lugubre cigolio dello scafo della nave sottoposto a pressione che si allungava mentre la prua sprofondava pian piano sotto la superficie dell’oceano. Liam puntava i piedi nell’angolo tra la parete e il pavimento, sempre più ripido, tenendosi stretto al telaio della porta della cabina accanto a lui. Le istruzioni del capo commissario erano state chiare: doveva assicurarsi che tutte le cabine situate in quell’estremità del ponte fossero vuote prima di salire e raggiungerlo. Non era sicuro di volerlo fare; gli strilli e i gemiti di donne e bambini che poteva sentire dall’alto scendendo verso la tromba delle scale erano acuti e terrificanti. Almeno lì sul ponte E, tra le cabine di seconda classe, c’era uno strano senso di pace. Non abbastanza silenzioso, tuttavia. Udì un boato profondo in lontananza e capì che si trattava del suono dell’oceano gelido che si riversava a cascata nella nave fuori uso, scrosciando attraverso le paratie aperte, abbattendola lentamente. «Ultima chiamata!» gridò di nuovo. Pochi minuti prima aveva soccorso una giovane madre e la figlioletta rannicchiate in una delle cabine con addosso i giubbotti di salvataggio. La donna era paralizzata dalla paura e tremava, 7
con la bambina stretta tra le braccia. Liam le aveva fatte uscire e le aveva condotte alle scale che portavano al ponte D. Mentre si separavano all’altezza della tromba delle scale, la bimba gli aveva dato un rapido bacio sulla guancia e gli aveva augurato buona fortuna, come se, a differenza della madre in preda alla più totale confusione, capisse perfettamente che erano tutti condannati. Sotto i piedi malfermi Liam sentiva aumentare l’inclinazione del pavimento. Dalla cima del corridoio udì il fracasso delle stoviglie che cadevano dagli scaffali della cambusa. Affonderà presto. Liam sussurrò velocemente una preghiera e allungò il collo nell’ultima cabina. Vuota. Un fragoroso gorgoglio attraversò il pavimento; vibrava come il canto di una gigantesca balena: più che sentirlo, lo percepì. I suoi occhi furono attratti da qualcosa che era sfrecciato davanti al piccolo oblò della cabina. Non vide altro che l’oscurità, poi lo scorrere rapido e tremolante di bolle argentee. Il ponte E è sotto il livello dell’acqua. «Maledizione» mormorò. «Sono spacciato.» Uscì dalla cabina e vide dal fondo del corridoio due dita d’acqua sciabordare dolcemente verso di lui lungo la moquette. «Oh, no.» L’estremità inferiore del corridoio era la sua unica via d’uscita. Sei rimasto troppo a lungo, Liam, razza di stupido. Sei rimasto troppo a lungo. Allora si rese conto che la bambina e la madre erano state un segno del fato, l’avvertimento a uscire. Sarebbe dovuto andare con loro. L’acqua ghiacciata gli lambì i piedi, gli s’infiltrò nelle scarpe e continuò a scorrere oltre senza alcuno sforzo. Fece qualche passo, avanzando a fatica nell’acqua sempre più alta, sentendo il suo gelido abbraccio intorno alle caviglie, agli stinchi, alle ginocchia. 8
Più avanti, svoltando alla fine del corridoio, c’era la tromba delle scale che avrebbe dovuto salire cinque minuti prima. Affrettò il passo gemendo con angoscia, mentre l’acqua ghiacciata gli saliva tutt’intorno alla vita e gli inzuppava la casacca bianca da assistente di bordo. Mentre procedeva a fatica, attraverso i denti che battevano, il suo respiro si trasformava in nuvole di vapore. «Ah, Signore... N-non voglio annegare!» sibilò con una voce che non aveva più il timbro appena arrochito di un sedicenne, ma il gemito strozzato di un bambino impaurito. L’acqua stava diventando troppo alta per poter avanzare. Davanti a lui, nel punto in cui il corridoio girava a destra verso la tromba delle scale, l’acqua aveva raggiunto le lampade sulla parete facendole sfarfallare ed emettere scintille. La tromba delle scale sarà già inondata. Si rese conto che era probabile che, svoltato l’angolo, l’acqua sfiorasse il soffitto e almeno una rampa di scale doveva già essere completamente sommersa. L’unica via d’uscita era trattenere il fiato e sperare di resistere abbastanza a lungo da raggiungere a tentoni il pianerottolo oltre la prima rampa. «Oddio!» Le labbra blu gli tremarono al pensiero di dimenarsi nell’oscurità, sotto la superficie, perdendosi e avvertendo una crescente disperazione per poi, alla fine, risucchiare turbini d’acqua marina nei polmoni. Fu allora che lo sentì: il rumore di un movimento alle sue spalle.
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Capitolo 2 1912, Oceano Atlantico Si voltò a guardare il corridoio, in alto dietro di sé, e vide un uomo con le caviglie nell’acqua aggrappato al corrimano per non scivolare giù verso di lui. «Liam O’ Connor!» «Siamo i-incastrati!» rispose Liam. «Non c’è... non c’è nessuna via di fuga!» strillò. «Liam O’ Connor» ripeté l’uomo con voce calma. «Cosa?» «So chi sei, ragazzo.» «Eh?... Dobbiamo...» L’uomo sorrise. «Ascoltami, Liam.» Guardò l’orologio. «Ti restano da vivere meno di due minuti.» L’uomo guardò le paratie di metallo color vaniglia del ponte E. «La chiglia di questa nave si spezzerà tra novanta secondi. Si spaccherà a due terzi della sua lunghezza. La prua, il troncone più ampio, il pezzo su cui siamo tu e io, affonderà per primo, come un sasso. La poppa resterà a galla per un altro minuto, poi ci seguirà inabissandosi, a oltre 3.000 metri sul fondo dell’oceano.» «Ah, no, p-per favore. No, no, no» gemette Liam, realizzando che stava piangendo. «Nell’affondare, la pressione dell’acqua aumenterà rapidamente e deformerà lo scafo. Ti farà scoppiare i timpani. I rivetti su queste pareti,» continuò facendo scorrere la mano su una fila di chiodi, «verranno sparati fuori dalle paratie come proiettili. 10
Questo corridoio si riempirà immediatamente d’acqua e tu sarai travolto prima ancora di annegare. Questa almeno è una piccola fortuna.» «Oh, Dio, no... Aiutaci.» «Tu morirai, Liam.» L’uomo sorrise di nuovo. «E questo ti rende perfetto.» «P-perfetto?» L’uomo fece qualche passo avanti, procedendo a stento verso Liam con l’acqua alla vita. «Dimmi, vuoi vivere?» «Cosa?... C’è u-un’altra via d-d’uscita?» Le luci nel corridoio sfarfallarono e si spensero all’unisono. Un attimo dopo si riaccesero. «Solo sessanta secondi e la nave si piegherà in due, Liam. Ormai ci siamo.» «C’è u-un’altra via d-d’uscita per...?» «Se vieni con me, Liam,» disse allungandogli la mano, «c’è un’altra via di scampo. Vivrai una vita invisibile. Esisterai come un fantasma, non del tutto in questo mondo. Non sarai più in grado di farti nuovi amici, né di trovare l’amore.» L’uomo addolcì le sue parole con un sorriso compassionevole. «Verrai a conoscenza di cose che... Be’... che possono far perdere la ragione se ti lasci confondere. Ci sono persone che preferiscono la morte.» «Io v-voglio vivere!» «Devo avvisarti... Io non ti sto offrendo la tua vita, Liam. Ti sto offrendo una via di scampo, tutto qua.» Liam afferrò il candelabro di una delle lampade a parete sfarfallanti e si tirò indietro sul corridoio inclinato, riuscendo a toccare di nuovo il pavimento con i piedi. Un mugolio assordante fece vibrare tutto e li scosse con violenza. «È la fine, Liam. La parte posteriore del Titanic si romperà tra 11
pochi secondi. Se credi in Dio, puoi augurarti di raggiungerlo ora. Se resti qui, ti assicuro che la tua fine arriverà molto in fretta.» Annegamento. L’incubo peggiore di Liam, da quanto potesse ricordarsi. Non aveva mai imparato a nuotare per via della sua tremenda paura dell’acqua. Liam alzò gli occhi sull’uomo, guardandolo in volto per la prima volta: occhi tristi e profondi circondati dalle rughe dell’età. E poi gli balenò un pensiero. «Voi siete... V-voi siete un a-angelo?» L’uomo sorrise. «No. Sono solo un vecchio.» La sua mano era sempre ferma, tesa verso Liam. «Ti capirei, se scegliessi di restare qui e morire. Non tutti decidono di venire con me.» Liam rabbrividì. Il pavimento sotto i suoi piedi oscillò violentemente e l’aria attorno a loro si riempì dello stridore assordante delle lamiere che si laceravano, dello scoppiettio di giunti saltati, mentre sopra di loro i ponti della nave cominciavano a cedere uno dopo l’altro. «Eccoci, Liam. È il momento di decidere.» Liam si tirò avanti, fuori dall’acqua, cercando disperatamente di afferrare la mano tesa del vecchio. Se ne avesse avuto il tempo, se la sua mente non fosse stata in piena caduta libera verso il panico, si sarebbe potuto chiedere chi fosse quell’uomo e come intendesse esattamente salvarli. Invece, in quell’istante, non riusciva a pensare che a una sola cosa. Non voglio morire. Non voglio morire. Tutt’a un tratto le luci si spensero, lasciandoli nella più completa oscurità. Liam agitò il braccio alla cieca, convulsamente. «Dov’è la vostra mano? Vi prego! Non voglio annegare!» Le sue dita sfiorarono quelle del vecchio. Il vecchio le afferrò e le tenne strette. 12
«Dì addio alla tua vita, Liam» urlò sopra il fragore della nave che si spezzava in due. L’ultima sensazione che Liam avvertì con piena consapevolezza fu il crollo del pavimento metallico del corridoio che vibrava sotto i suoi piedi e l’impressione di cadere... cadere verso l’oscurità.
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Capitolo 3 2001, New York
Cadere, cadere... cadere. Liam si svegliò di soprassalto, scalciando. Con gli occhi ancora ben chiusi, sentì qualcosa con le mani, un tessuto asciutto e caldo che lo copriva. Tutto era tranquillo, quasi silenzioso, a eccezione del delicato fruscio di un respiro lì accanto e di un rimbombo attutito e distante da qualche parte sopra di lui. Sapeva di trovarsi misteriosamente da un’altra parte. Quello era ovvio. Era su un letto o una brandina. Aprì gli occhi e vide sopra di sé un soffitto ad arco di mattoni sgretolati, imbiancati molto tempo prima con una vernice che ora si sfaldava come forfora. Dal punto più alto del soffitto, appesa a un filo polveroso, penzolava una singola lampadina sfarfallante. Si sollevò appoggiandosi sui gomiti. Era in una nicchia di mattoni, da qualche parte sottoterra, forse. Oltre il cono di luce proveniente dalla lampadina, un pavimento in calcestruzzo bagnato si estendeva dall’alcova nell’oscurità. Dove sono? Si mise a sedere sentendosi stordito e malfermo e si ritrovò a guardare un letto a castello dall’altro lato di un buco di circa un metro. Nel letto di sotto vide una ragazza poco più grande di lui in preda a un sonno agitato. A occhio e croce poteva avere diciott’anni, forse diciannove. Più una giovane donna che una ragazza. Gli occhi le roteavano sotto le palpebre; gemeva con voce 14
commovente. Le sue gambe si contorcevano e scalciavano facendo cigolare e tintinnare il letto a castello a ogni improvviso movimento. Dove diavolo sono? tornò a domandarsi mentalmente.
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Capitolo 4 2010, da qualche parte sopra l’America Maddy Carter raggiunse goffamente il tasto dello sciacquone e lo schiacciò. Il water sibilò con una suzione violenta e per un istante la ragazza si chiese se una persona abbastanza sfortunata da urtare per sbaglio il tasto ancora seduta sul gabinetto potesse essere risucchiata nel tubo a U, per poi essere sparata fuori a dodicimila metri in caduta libera in mezzo a una pioggia di merda. Bel pensiero. Maddy si sistemò meglio che poteva entro i confini ristretti del bagno. Osservò gli ultimi resti di vomito scendere vorticosamente nel lavandino e poi finire giù per il buco, sentendosi meglio ora che il pasto dell’aereo era fuori invece che dentro, a ribollirle ancora nello stomaco. Si asciugò la bocca con il dorso della mano e controllò nello specchio eventuali chiazze di vomito impigliate nei capelli. Una ragazza alta, pallida, sgraziata ricambiò lo sguardo; le lentiggini da sfigata che tanto odiava le punteggiavano tutte le guance sotto la montatura degli occhiali. I capelli biondo rame le cadevano senza vita sulle spalle magre, cui era aggrappata una maglietta grigiastra con il logo Microsoft cucito davanti. Già, una maniaca dell’informatica. Ecco cosa sei, Maddy. Un’info-maniaca... una creatura davvero bizzarra; una femmina con la fissa di armeggiare con i circuiti stampati, di manomettere il suo PC, di accedere illegalmente al suo iPhone per collegarsi a Internet gratis... Una ragazza info-maniaca. Un’infomaniaca che andava in panico totale ogni volta che saliva a bordo 16
di un aeroplano. Girò la chiave, aprì la porta e uscì. Lanciò un’occhiata verso il corridoio centrale del velivolo a una distesa di poggiatesta e alla sagoma mozzata di centinaia di teste. Sentì una mano sulla spalla e, girandosi, vide un vecchio in piedi accanto alla fila di bagni. «Eh? Sì?» disse togliendosi dalle orecchie un paio di cuffiette sibilanti. «Tu sei Madelaine Carter di Boston. Sei al posto 29D.» Lo fissò confusa. «Cosa? Vuole vedere il mio biglietto o...?» «Temo che ti restino da vivere solo pochi minuti.» Maddy sentì lo stomaco gorgogliare, sul punto di espellere un altro flusso di cibo semidigerito. Una frase come “vivere solo pochi minuti” era l’ultima cosa che una passeggera nervosa come lei avesse bisogno di sentire in quel momento. Era pari a termini come “terrorista” e “bomba” nella classifica delle parole che non si dovrebbero mai pronunciare durante un volo su un aereo pieno zeppo di passeggeri. Il vecchio aveva lo sguardo inquieto di chi deve prendere il treno ed è in ritardo. «Tra pochi minuti tutti quelli che si trovano su quest’aeroplano saranno morti.» Immaginò che ci fossero solo due tipi di persone capaci di dire una cosa del genere: un pazzoide bisognoso di cure o... «Oh, mio Dio,» sussurrò, «tu... tu non sei un t-terrorista, vero?» «No. Sono qui per salvarti, Madelaine,» rispose calmo, poi gettò uno sguardo alla distesa di teste ai due lati del corridoio, «per salvare solo te, purtroppo.» Maddy scosse la testa. «Cosa?... Chi? Io... Oh...» La sua bocca si muoveva inutilmente. «Non c’è più molto tempo.» Guardò l’orologio da polso. «Tra circa novanta secondi una piccola carica di esplosivo scoppierà 17
Liam O’Connor doveva morire in mare nel 1912.
Maddy Carter doveva morire su un aereo nel 2010.
Sal Vikram doveva morire in un incendio nel 2026. Eppure, pochi istanti prima di morire, è apparso un uomo misterioso che ha detto: “Prendi la mia mano...” Ma Liam, Maddy e Sal non sono stati salvati. Sono stati reclutati da un’agenzia di cui tutti ignorano l’esistenza, e che ha un solo obiettivo: riparare i guasti della Storia. Perché viaggiare nel tempo è possibile e ci sono persone che vogliono tornare nel passato per modificare gli eventi. Ecco perché esistono i
TimeRiders.
renoircomics.it ISBN 978-88-6567-026-2
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788865 670262
Cover design di James Fraser Fotografia di Neil Spence
Per evitare che i viaggi nel tempo distruggano il mondo. . .
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