Europae - Mensile numero 4 - Luglio 2013

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La Croazia è il 28° Stato dell’Unione Significato e futuro dell’allargamento La speranza ritrovata dei Balcani Il lungo percorso della Croazia, le riforme e il ruolo della Germania

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L’EUROPA DEI 28 LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

N. 4 - LUGLIO 2013 © Europae - Rivista di Affari Europei

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Luglio 2013, Numero 4 © Europae - Rivista di Affari Europei, www.rivistaeuropae.eu “L’Europa dei 28. La Croazia rilancia il sogno europeo dei Balcani” A cura di Luca Barana e Davide D’Urso Copertina di Luigi Porceddu Direttore: Antonio Scarazzini Caporedattore: Davide D’Urso Responsabili di Redazione: Luca Barana, Riccardo Barbotti, Simone Belladonna, Fabio Cassanelli, Valentina Ferrara, Shannon Little, Tullia Penna.

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INDICE

L’Europa dei 28: un conto chiuso con la storia Antonio Scarazzini

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L’Unione Europea, la storia e il futuro dell’allargamento Davide D’Urso

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La Croazia in Europa riporta l’ottimismo nei Balcani Sarah Camilla Rege

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La nota: La “balcanicità” di Slovenia e Croazia Giuseppe Francesco Passanante

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Il percorso della Croazia verso l’Unione: riforme, dispute regionali e frenate europee Mauro Loi

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La riforma economica della “Domovina” croata, tra turismo e bassa pressione fiscale Fabio Cassanelli

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Berlino lo vuole? Il peso delle relazioni tra Germania e Croazia Luca Barana

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Editoriale

L’EUROPA DEI 28: UN CONTO CHIUSO CON LA STORIA di Antonio Scarazzini

1 LUGLIO 2013: LA BANDIERA DELLA CROAZIA ISSATA DI FRONTE ALLA SEDE DI STRASBURGO DEL PARLAMENTO EUROPEO. (© EUROPEAN PARLIAMENT )

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l 1 luglio, l'Unione Europea (UE) ha accolto ufficialmente il suo ventottesimo Stato membro, la Croazia. L'entusiasmo è stato contenuto, sia tra la popolazione croata che nelle cancellerie di molti Paesi europei, ancora intenti a leccarsi le ferite e a cercare una via d’uscita dalla crisi economica. Più che sulle opportunità, gli indici sono rimasti puntati sui rischi derivanti dal nuovo allargamento. I più scettici temono infatti che l'ingresso croato ripeta il non certo entusiasmante percorso di Romania e Bulgaria, che nel 2007 approdarono nell’Unione senza aver prima consolidato le proprie economie e garantito adeguata stabilità al processo politico e democratico. Altri, complice il pesante clima di recessione, guardano con sospetto a nuovi potenziali flussi di lavoratori. La crisi dell'economia sembra aver annebbiato le capacità d'analisi di molti Paesi che - come Francia e Italia - profetizzano integrazioni a doppia velocità, quasi a discriminare l'Europa fuori dall'euro, indebolendo di riflesso il processo di costruzione dell'UE che, con l'allargamento, materializza la sua capacità di attrazione oltre

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confine. Eppure, l'approdo di Zagabria nell'Unione, proprio nel momento storicamente più difficile per l’integrazione europea, avrebbe dovuto iniettare fiducia in un sistema europeo quasi incapace di riconoscere il suo potenziale di sviluppo. Per almeno tre ragioni. Una prima, banale, considerazione: l'Unione Europea, al netto delle lacune istituzionali rese evidenti dalla crisi economica, rappresenta ancora un modello di sviluppo e di progresso politico e democratico. Nel gennaio 2012, in piena turbolenza finanziaria, il 70% dei croati rispose affermativamente al referendum che avrebbe dovuto confermare l'ingresso del loro Paese nell'UE. Malgrado le lentezze e le ipocrisie dell'Europa intergovernativa, il complesso istituzionale europeo rappresentava quindi un punto di riferimento per un Paese che, con l'ingresso in Europa, avrebbe chiuso i conti con la sua storia, in particolare con il passato tetro e sanguinoso seguito alla dissoluzione della Jugoslavia. La certezza di un quadro giuridico solido, la progressiva implementazione dello Stato di diritto e delle best practices democratiche non sono se-

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LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

N. 4 - Luglio 2013 condarie al rispetto dei criteri di bilancio previsti dal Trattato di Maastricht: l'Europa cui ha guardato Zagabria non è necessariamente quella dell'eurozona, pur avendo espresso la volontà di farne parte, ma piuttosto quella che ha saputo allargare i propri confini, in particolare a Oriente, richiedendo il rispetto di standard minimi di democraticità. Certo, la Croazia ha patito per prima il giro di vite sul rispetto dei parametri di Maastricht, voluto in primis dalla Germania, ma ciò sottolinea e carica di significato gli sforzi compiuti da un'economia che pure dal 2009 non vede crescere la propria ricchezza. Storicamente, si chiude inoltre un capitolo nero della storia europea: la Croazia è il primo dei Paesi pienamente coinvolti nelle guerre balcaniche degli anni Novanta a fare il suo ingresso nell’UE. Proprio nella terra che riportò uno scontro bellico sul continente europeo, ora l’Europa trova opzioni credibili per il suo allargamento. La Croazia funziona come esempio per un nugolo di Stati, Serbia in testa, più che mai decisi ad avviare negoziati ufficiali con Bruxelles per iniziare il percorso di adattamento all'acquis communautaire. Una terra devastata da guerre e massacri guarda così all'Europa, anche a quella attuale così appiattita sulle dinamiche finanziarie, per uscire definitivamente dal nodo dell'instabilità politica, delle divisioni etniche e religiose. Un successo che la stessa Unione dovrebbe portare sugli scudi con ben altra risonanza, insieme all'altra - straordinaria - conquista diplomatica che è l'accordo tra Serbia e Kosovo per il reciproco riconoscimento.

mistiche. Fondamentale in questo gioco delle parti il ruolo di Paesi che, come la Germania, spingono per l'ingresso di nuovi Paesi nell'ottica dell'estensione del mercato unico, salvo poi mostrarsi prudenti sul fatto che i nuovi entrati sappiano reggersi da soli sulle proprie gambe. L'adesione della Croazia all'Unione Europea costituisce dunque il miglior banco di prova per lo stato di salute dell'integrazione europea: dal punto di vista croato, dovrà essere confermata la dedizione alle riforme, con la consapevolezza di aver raggiunto un quadro di finanza pubblica assolutamente invidiabile per gran parte dei membri di lunga data dell’Unione. Dalla prospettiva europea, è necessario consolidare il suo potenziale attrattivo ben oltre il 1 luglio, portando l'esempio dell'adesione croata come modello per Macedonia, Montenegro, Serbia, Albania, Kosovo e Bosnia-Erzegovina, che ad oggi costituiscono il nucleo fondamentale dei candidati o potenziali candidati alla membership dell’UE. Nei confronti della Croazia, infine, l'Europa deve dimostrare di saper arginare l'influsso dei fenomeni più negativi che caratterizzano la storia più recente dell'UE: un primo campanello d'allarme è suonato in aprile, quando solo poco più del 20% degli elettori croati si è recato alle urne per eleggere i propri rappresentanti al Parlamento Europeo, risultato dell'ormai caratteristico vuoto informativo a livello nazionale e della difficoltà delle istituzioni europee. I festeggiamenti in tono minore tenutisi a Zagabria lasciano poi trasparire, ancor prima che sia iniziato il percorso di membership, un serpeggiante scetticismo nei confronti di quell'Europa che traballa di fronte alla confusionaria gestione dei casi di Grecia e Cipro, incerta nel tutelare i propri cittadini dall'aggressione della crisi economica. A Bruxelles e ai governi europei spetta l'onere pesantissimo di ricordare che l'Unione dei Ventotto, pur con le sue debolezze, non è poi così dissimile dall'Europa cui Zagabria guardava nel 2003, al principio del suo tortuoso cammino di adesione. ∎

Come si vedrà in questo numero, la stabilizzazione dei Balcani occidentali attraverso la prospettiva di adesione ha comunque fornito all'UE un'eccezionale arma politica nella regione, circoscrivendo nell'area balcanica l'ultimo grande obiettivo dell'azione esterna comunitaria. Certo, la sostenibilità di ulteriori allargamenti dell'Unione è tutta da verificare: per molti, l'Europa a Ventotto è un'unione di Stati affaticata, una famiglia eccessivamente estesa che non può aprirsi a nuovi membri. Soprattutto se questi, come accaduto alla Croazia, sono oggetto di una sorta di elastico tra diffidenze e spinte otti-

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L’UNIONE EUROPEA, LA STORIA E IL FUTURO DELL’ALLARGAMENTO L’allargamento ha rappresentato uno dei fattori di successo più importanti per il processo di integrazione europea. La “stanchezza da allargamento” seguita al Grande Allargamento a Est del 2004-2007, non deve mettere in discussione la capacità dell’UE di dar seguito alle proprie promesse, portando all’interno delle sue frontiere istituzionali quei Paesi che rispondano ai suoi requisiti liberaldemocratici. L’adesione della Croazia rilancia la politica di allargamento e, con essa, l’UE.

di Davide D’Urso

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’allargamento rappresenta una delle politiche di maggior successo nella storia dell’Unione Europea. Ben più di una semplice policy, esso ha costituito il modo attraverso il quale l’UE si è costruita, anno dopo anno, adesione dopo adesione, allargando i suoi confini e ripensando la propria identità. Ogni nuovo Stato membro ha portato all’UE il proprio contributo demografico, economico, storico e culturale, modificando inevitabilmente la natura dell’Unione. L’allargamento ha anche offerto alla governance globale un enorme contributo in termini di stabilizzazione e promozione della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti umani. Non da ultimo, esso ha permesso all’Unione di entrare nel XXI secolo forte di una dimensione geopolitica che l’ha resa, di diritto, un attore di primo piano della politica internazionale. L’UE di oggi, pur nel periodo travagliato che sta vivendo, è un polo in grado, almeno teoricamente, di relazionarsi alla pari con potenze mondiali come Stati Uniti, Russia, Cina e India. Dalla piccola Comunità dei Sei, nata nella metà degli anni Cinquanta sotto l’ombrello di sicurezza dell’Alleanza Atlantica, il processo di integrazione europea si è esteso arrivando a includere gran parte del Vecchio Continente e sanando le divisioni della Guerra fredda. Storicamente, inoltre, il crescere della sua estensione geografica è andato di pari passo con l’approfondirsi del processo di integrazione. I primi allargamenti della Comunità, negli anni Settanta e Ottanta, hanno realizzato l’integrazione sovranazionale dell’Europa occidentale. Dopo l’adesione tormentata del Regno Unito nel 1973, insieme a quelle di Danimarca e Irlanda, la Comunità mise alla prova la propria capacità di promozione delle riforme politiche e di stabilizzazione allargandosi alla nuove democrazie del© Europae - Rivista di Affari Europei

l’Europa meridionale, ovvero alla Grecia (1981) e, in seguito, a Spagna e Portogallo (1986). Le successive adesioni di Austria, Finlandia e Svezia nel 1995, Paesi con un alto livello di benessere e una tradizione democratica consolidata, non hanno rappresentato uno sforzo particolare per l’UE.

Negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, l’allargamento ha completato l’integrazione sovranazionale dell’Europa occidentale. Il vero capolavoro dell’Unione era però alle porte. La caduta del Muro di Berlino e il progressivo sgretolamento del blocco comunista aprirono la strada al Grande Allargamento orientale. Dopo un decennio di negoziati, un processo di radicale riforma economica e politica dei Paesi candidati e importanti modifiche istituzionali della stessa UE, nel 2004 e nel 2007 aderirono all’Unione dieci Paesi orientali ed ex-comunisti, oltre a Cipro e Malta. L’allargamento a Est ha rappresentato la più grande politica strutturale messa in campo da un attore internazionale dai tempi del secondo dopoguerra, quando gli Stati Uniti dispiegarono in Europa il Piano Marshall. L’enorme forza attrattiva dell’UE ha infatti agito come una calamita e un formidabile strumento di promozione delle riforme. L’Unione offriva ai Paesi che avessero completato il processo di trasformazione in liberaldemocrazie la piena integrazione nel proprio mercato e la possibilità di accedere a ingenti fondi strutturali e finanziamenti ad hoc come quelli realizzati del programma PHARE, ma anche la piena adesione politica all’Occidente e la definitiva uscita dalla sfera di influenza di Mosca. Il successo dell’allargamento a Est deriva quindi dall’incontro tra le volontà di

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1 LUGLIO 2013: IL COMMISSARIO ALL’ALLARGAMENTO STEFAN FÜLE ISSA A ZAGABRIA LA BANDIERA DELL’UNIONE EUROPEA (FOTO: EUROPEAN COMMISSION)

riforma dei Paesi dell’Europa centro-orientale e i requisiti richiesti dall’UE. La politica dell’allargamento si fonda infatti sulla rigida applicazione del principio di condizionalità. L’UE approva l’adesione dei Paesi candidati qualora questi rispettino i c.d. “criteri di Copenhagen”, ovvero una lista di requisiti che le istituzioni europee e gli Stati membri ritengono necessari per aderire all’Unione.

aderente. Infine, il Paese candidato deve aver accolto senza riserve l’acquis comunitario, ovvero l’insieme dei diritti e degli obblighi giuridici, nonché degli obiettivi politici, derivanti per tutti gli Stati membri dai Trattati, dalla legislazione applicativa (regolamenti e direttive), dalla giurisdizione della Corte di Giustizia, ma anche dagli accordi internazionali sottoscritti dall’Unione con Paesi e attori terzi. 7

L’allargamento si fonda sull’applicazione del Il passaggio da un’Unione di 15 Stati membri a principio di condizionalità: i Paesi candidati quella dei “Ventotto”, inaugurata questo mese devono soddisfare i “criteri di Copenhagen”. dall’adesione della Croazia, ha pressoché annul-

lato, secondo molti, la capacità dell’UE di sostenere ulteriori allargamenti. Per la maggioranza dei politici, dei funzionari e degli osservatori, la politica di allargamento è oggi uno strumento non più utilizzabile per la stabilizzazione e la promozione delle riforme nei Paesi vicini. La “stanchezza da allargamento” (enlargement fatigue) seguita al 2004-2007 ha reso ogni ulteriore adesione sempre più sofferta. Il varo, nei

Definiti dal Consiglio Europeo di Copenaghen del 1993, consistono in primo luogo nella presenza di istituzioni stabili e capaci di garantire democrazia, stato di diritto, diritti umani e tutela delle minoranze. In secondo luogo, l’UE richiede un’economia di mercato, tale da permettere la piena integrazione nel mercato unico e nel quadro normativo comunitario del Paese © Europae - Rivista di Affari Europei

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L’UNIONE EUROPEA, LA STORIA E IL FUTURO DELL’ALLARGAMENTO Davide D’Urso

LA MAPPA UFFICIALE DELL’UE DOPO L’ADESIONE DELLA CROAZIA. IN GRIGIO GLI STATI CANDIDATI O POTENZIALI CANDIDATI (© EUROPEAN COMMISSION).

primi anni Duemila, della Politica Europea di Vicinato (PEV) mirava infatti a definire i confini definitivi dell’UE: i Paesi dell’Europa orientale compresi nella cornice della PEV (Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina) erano formalmente esclusi dalla possibi-

dati potenziali” a Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Kosovo e Albania ha dato alla penisola balcanica una stabilità insperata. L’adesione della Slovenia nel 2004 e soprattutto quella della Croazia il 1 luglio 2013 hanno aperto la strada verso Bruxelles a Paesi che, in poco più di un decennio, stanno compiendo passi significativi sulla strada della convivenza pacifica, della tutela delle minoranze e della democrazia. I Paesi candidati all’adesione sono oggi Islanda, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia (FYROM), Serbia, Montenegro e Turchia. Soprattutto il caso di quest’ultima riveste un’importanza particolare. Benché sia difficile, almeno nei prossimi anni, che la Turchia entri a far parte dell’UE, è vero che lo sforzo per attuare le riforme propedeutiche all’adesione ha dato impres-

La “stanchezza da allargamento”, seguita all’allargamento a Est, ha ridotto la propensione dell’UE a realizzare nuove adesioni. lità di entrare nell’Unione. L’ultimo utilizzo dell’arma politica dell’allargamento ha così riguardato la regione dei Balcani occidentali, inserita, dopo le tragiche guerre degli anni Novanta, nel processo di stabilizzazione e di associazione. La concessione dello status di “candi© Europae - Rivista di Affari Europei

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LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

N. 4 - Luglio 2013 sionanti benefici per l’economia turca e il suo sistema istituzionale. Per quanto il governo turco abbia recentemente assunto un profilo internazionale più autonomo rispetto all’Europa e alla stessa NATO, la Turchia resta un ponte fondamentale tra Occidente e Oriente e un’ulteriore dimostrazione della capacità dell’UE di influenzare Paesi terzi mediante la prospettiva dell’adesione. Il dibattito sull’opportunità o meno di proseguire i negoziati di adesione dura da anni e riguarda non solo le particolarità culturali, storiche e demografiche della Turchia - che entrando nell’UE ne diventerebbe il primo Stato membro per popolazione - ma anche l’effettiva capacità delle istituzioni dell’Unione di funzionare con l’aumento del numero di Paesi partecipanti.

anche quaranta Stati membri, un’UE ancora legata ai vertici intergovernativi nei quali i governi nazionali decidono in base a un interesse nazionale di breve periodo avrebbe gli stessi problemi di quella attuale. Data la rilevanza del suo processo di allargamento, la capacità senza pari dimostrata nel plasmare visioni e istituzioni dei Paesi confinanti e l’indubbia capacità di influenza che la prospettiva di adesione comporta per l’Unione, mettere da parte uno dei suoi strumenti più potenti sarebbe per l’UE un grave errore politico. Per quanto i Paesi dei Balcani occidentali abbiano ancora molta strada davanti a sé per poter dire di aver finalmente superato i drammi degli anni Novanta, un eccessivo rallentamento dei negoziati di adesione per ragioni interne all’Unione rischierebbe di vanificare quanto di buono è stato fatto finora. Basti pensare, per esempio, alla pacificazione in corso tra Serbia e Kosovo sotto l’egida europea. Al tempo stesso, l’estenuante allungamento dei tempi per i negoziati di adesione della Turchia hanno dapprima causato e infine esponenzialmente aumentato l’insofferenza dei turchi per quella che sembra un’infinita anticamera. Se alcuni Stati membri ritengono che la Turchia, per storia, cultura e peso demografico, non possa accedere all’UE, sarebbe opportuno che lo dicessero chiaramente, mettendo fine a un equivoco infinito che ha già lesionato le relazioni tra Ankara e Bruxelles.

Secondo molti, ulteriori allargamenti potrebbero minare la capacità dell’UE di funzionare. Ma i problemi dell’Europa sono strutturali. Le considerazioni in merito alla possibilità che ulteriori allargamenti possano effettivamente limitare la capacità dell’UE di funzionare e di agire come attore politico unitario meritano, in conclusione, di essere brevemente confutate. È senz’altro opportuno premettere che, per ragioni di realismo politico, sarebbe bene che l’Unione decidesse quali debbano essere le sue frontiere istituzionali. La scusa della difficoltà di far funzionare un’organizzazione di 35 Stati membri, rispetto ad una di 15 o 28, lascia però poco spazio per una condivisione. Le attuali difficoltà dell’UE di produrre decisioni sui grandi temi economici e di politica internazionale non sembrano dipendere infatti dal numero dei Paesi partecipanti al processo decisionale, quanto dalla natura intergovernativa di quest’ultimo. L’aver mantenuto le leve della politica estera saldamente nelle mani del Consiglio dell’UE e la centralità senza precedenti guadagnata dal Consiglio Europeo nelle decisioni di politica economica avrebbero reso difficile il funzionamento anche di un’UE a 3 Stati. Le grandi divisioni tra Germania, Francia e Italia degli ultimi anni, a ben vedere, non sono certo dovute al consesso a 27 nel quale le decisioni avrebbero dovuto essere assunte. Composta da sei, nove, ventotto o

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Rallentare i negoziati di adesione degli altri Paesi dei Balcani sarebbe lesivo della credibilità dell’Unione e della pacificazione in corso. Nell’uno e nell’altro caso, nascondersi dietro la presunta incapacità istituzionale dell’UE di accogliere nuovi Stati membri, o, ancor peggio, rimandare all’infinito la conclusione dei negoziati, sarebbe la scelta peggiore. Essa non solo ridurrebbe la politica di allargamento a una mera politica “speciale” di vicinato, ma comporterebbe per l’UE un’ulteriore perdita di credibilità. L’adesione della Croazia rappresenta invece un segnale di forza: l’UE si è dimostrata pronta ad accogliere ogni Paese europeo che voglia aderire e dimostri di rispettare i principi liberaldemocratici su cui si fonda l’Unione. ∎

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LA CROAZIA IN EUROPA RIPORTA L’OTTIMISMO NEI BALCANI L’adesione della Croazia all’Unione Europea avrà effetti significativi nell’area balcanica. Il coronamento del percorso di Zagabria verso l’Europa può ridare fiducia a una regione tormentata, nel quale il ruolo dell’UE è stato fondamentale per la riappacificazione tra gli ex nemici e la stabilizzazione dei Paesi dell’Ex Jugoslavia. Se le istituzioni europee sapranno cavalcare l’ottimismo e tener fede ai propri impegni, potranno realizzare la loro missione: garantire pace e stabilità in Europa.

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di Sarah Camilla Rege

l 1 luglio è stata per Zagabria una giornata d’importanza storica: la Croazia è entrata a far parte dell’Unione Europea (UE). Molto si è detto, scritto e pensato su quali cambiamenti si verificheranno nella vecchia Europa. Si è discusso di crisi economica, di cultura, di immigrazione, se fosse opportuno allargare ulteriormente i confini europei o più saggio attendere ancora. Dubbi legittimi e certamente importanti. Ciononostante, pochi si sono chiesti quali risvolti avrà l’adesione della Croazia al di fuori dell’UE, in particolar modo nell’area balcanica.

L’adesione della Croazia avrà risvolti importanti nell’area balcanica. Il fascino dell’UE dipende ancora dalla sua missione di pace. Per comprendere quali saranno le conseguenze fuori dai confini dell’Unione, è necessario ricordarne brevemente gli albori. L’UE è nata dalle ceneri di un’Europa colpita duramente da due guerre mondiali, un’Europa che temeva nuove violenze sul proprio territorio, ma anche e soprattutto un’Europa che era decisa a cambiare la storia. Quando negli anni ’50 andava definendosi la Comunità Europea, ciò che attirava l’attenzione degli Stati lontani dal Vecchio Continente era proprio la forza del progetto, la determinazione nel costruire una nuova strada dando forma ad un’organizzazione mai vista prima. Molti osservatori si dicevano scettici su come avrebbero potuto Francia e Germania, da secoli rivali, collaborare ad un progetto comune. E ancora, fiorivano i dubbi a proposito di tutti gli altri Paesi europei che pochi anni prima si scontravano in uno dei conflitti più violenti della storia. Il nazionalismo, nato in Europa e qui portato alle sue estreme declinazioni, non avrebbe mai permesso la nascita di un’Unione degli Stati © Europae - Rivista di Affari Europei

Le guerre jugoslave degli anni ‘90 hanno lasciato aperte ferite che l’UE può aiutare a sanare. La Croazia ne è un esempio importante.

ZAGABRIA, 1 LUGLIO 2013: PARTECIPANTI ALLE CELEBRAZIONI PER L’ADESIONE DELLA CROAZIA ALL’UNIONE EUROPEA (© WWWVLADAHR)

Europei. Quando ci si domanda perché l’Unione eserciti sugli Stati confinanti un fascino particolare, bisogna appunto pensare a quanto raggiunto in questi decenni di integrazione. La Croazia ha impiegato dieci anni per completare l’iter di adesione e adeguarsi agli standard richiesti . Dieci lunghi anni di cambiamenti radicali: oggi la Croazia è una democrazia stabile,

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UN’IMMAGINE DELLE CELEBRAZIONI PER L’ADESIONE DELLA CROAZIA PRESSO LA SEDE DEL PARLAMENTO EUROPEO A STRASBURGO (© PARLAMENTO EUROPEO)

con un’economia che, seppure sofferente per la crisi economica, è cresciuta negli anni aprendosi ai mercati internazionali. È un Paese che ha riscoperto e ha saputo valorizzare le proprie bellezze paesaggistiche e la propria cultura a tal punto da divenire una meta turistica. La crescita di Zagabria, riconosciuta e quindi giustamente coronata con il riconoscimento dello status di Stato membro, ha già avuto ripercussioni sui territori circostanti. La guerra che sconvolse l’ex Federazione Jugoslava negli anni ’90 ha lasciato numerose questioni aperte e dissapori fra gli Stati nati alla fine delle violenze. L’UE ha guidato la Croazia nel difficile percorso di riappacificazione con i vicini, spronandola a risolvere controversie spinose e questioni rimaste in sospeso da anni. Zagabria e Lubiana sono finalmente riuscite ad accordarsi sui confini marittimi contesi e su una grave disputa finanziaria. Si sono lentamente normalizzati anche i rapporti con la BosniaErzegovina, con le scuse per il massacro di Ahmići compiuto dai croati ai danni dei musulmani bosniaci durante i terribili anni della dissoluzione jugoslava. Questi sono stati grandi passi, © Europae - Rivista di Affari Europei

che hanno contribuito e contribuiscono anche oggi al mantenimento della pace nei Balcani. Una Croazia Stato membro dell’UE è un nuovo tassello per cancellare la dicitura “polveriera” accanto alla parola Balcani. Il giardino d’Europa è sempre stato una regione politicamente instabile, caratterizzata da secolari incomprensioni, che hanno spesso coinvolto i Paesi europei in conflitti e crisi diplomatiche. La vecchia Europa e quella balcanica sono quindi strettamente connesse: analizzando freddamente la questione con occhi lungimiranti, l’entrata della Croazia non può che portare pace e stabilità ad entrambe le regioni. Inoltre, Zagabria, in passato per lungo tempo sottomessa a Budapest, potrà ora guardare l’Ungheria come pari e riallacciare gli storici legami con Vienna. Gli altri Paesi balcanici che stanno intraprendendo la strada verso l’Europa potranno rivolgersi alla Croazia per consigli e con speranza: anche se il percorso è irto di ostacoli, è possibile portarlo a termine. Zagabria ha avuto successo e sarà da esempio. Il Presidente croato Ivo Josipović ha chiaramente espresso l’impegno croato nel sostenere i propri vicini, affermando che solo attraverso

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LA CROAZIA IN EUROPA RIPORTA L’OTTIMISMO NEI BALCANI Sarah Camilla Rege la collaborazione si può instaurare un vero rapporto di fiducia. L’UE è anche questo: fiducia. Stimola i propri membri e i Paesi candidati a fidarsi l’uno dell’altro, lavorando fianco a fianco in un progetto comune.

La credibilità dell’UE nei Balcani è alla prova soprattutto sui percorsi di adesione di nuovi Paesi. Troppi ritardi possono essere negativi.

membri, l’area balcanica potrebbe cadere sotto l’influenza di un’altra potenza. Per esempio sono noti gli stretti legami della Serbia con la Russia, o quelli del Montenegro con la Turchia. Se ciò dovesse verificarsi nella realtà, non sarebbe solo una grave perdita dal punto di vista culturale europeo, ma anche una vera e propria sconfitta per la politica estera dell’Unione. Fin dalla dissoluzione della Federazione Jugoslava, l’UE ha investito tempo e denaro per stabilizzare l’area e aiutare le popolazioni a costruire delle istituzioni democratiche. I Balcani sono un primo banco di prova: se l’Unione fallisse, non solo crescerebbero le possibilità di future violenze, ma la credibilità europea sarebbe minata a livello internazionale. Non sarebbe più possibile pensare ad una politica estera comune in Medio Oriente o in Africa. Si perderebbero opportunità importanti per il nostro futuro, come importanti vie di approvvigionamento energetico dal Caucaso e dall’Oriente, e andrebbero persi gli investimenti compiuti negli ultimi dieci anni. L’ingresso della Croazia ha portato, dal punto di vista degli equilibri di potere a Bruxelles, cambiamenti microscopici. Sono solo 12 i nuovi europarlamentari, su un totale di 754: pochi per apportare modifiche agli equilibri politici. Quello che sicuramente cambierà sono i confini: per la prima volta l’UE avrà una piccola porzione di territorio circondata da un’area non-UE. Il

Il ventottesimo membro dell’Unione porta in dote un sentimento quanto mai essenziale: l’ottimismo. Nonostante le capitali del vecchio continente abbiano vissuto gli ultimi negoziati per l’adesione di Zagabria con preoccupazione, rallentandone il corso, questo atteggiamento non ha scalfito l’ottimismo e la fiducia che i nuovi cittadini europei ripongono nell’UE. La crisi economica ha portato i Paesi europei a diffidare sempre più delle novità, spesso considerandola come causa di futuri problemi. Molti ricordano l’adesione di Romania e Bulgaria, le quali ancora oggi non sono entrate nell’area Schengen: i due Paesi non erano abbastanza solidi, perciò le istituzioni democratiche hanno continuato l’adeguamento agli standard europei anche una volta diventati membri. Dal 2007, l’Europa ha imparato a essere più chiara e pretenziosa nei confronti dei candidati. Per questa ragione la Croazia ha affrontato un percorso di dieci anni. Il rischio, però, è di cadere nell’estremo opposto, cioè di allungare troppo il processo di adesio- Dubrovnik, enclave croata tra il mare Adriatine. È necessario calibrare alla perfezione inco- co e la Bosnia-Erzegovina, rischia di creare raggiamenti, chiarezza e critiche. Se la strada problemi nella gestione dei confini dell’UE. europea iniziasse ad essere considerata impraticabile e percepita come osteggiata dagli stessi suolo croato è infatti diviso per una ventina di chilometri dall’unico sbocco sul mare bosniaco, quello della città di Neum. In questo modo Dubrovnik, conosciuta anche come Ragusa, è isolata in territorio bosniaco. Si crea così “un’isola” europea. È una particolarità che risale al 1699, quando Dubrovnik si separò dalla Bosnia, all’epoca sotto il controllo ottomano, per meglio difendersi dagli attacchi veneziani. I confini fra le due repubbliche sono rimasti invariati anche durante l’epoca jugoslava, fino ad oggi. Questa curiosa situazione creerà non poche complicazioni, le cui soluzioni non sono ancora state individuate. A pochi chilometri di distanza ci saranno due frontiere europee, che ostacoleranno i trasporti e i commerci, aggravando la situazione IL MINISTRO DEGLI ESTERI CROATO PUSIĆ FIRMA L’ACCORDO CON LA BOSNIA delle piccole e medie imprese del posto, già in SULLA GESTIONE DELLE FRONTIERE (© EUROPEAN COMMISSION)

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LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

N. 4 - Luglio 2013 difficoltà per la crisi. Infatti per passare dalla Ottimismo, è la parola che risuona ora più che costa nord-ovest a quella sud-ovest bisogna af- mai nei Balcani. È un ottimismo cosciente delle frontare due posti di blocco, allungando i tempi difficoltà del periodo e di quelle che verranno, del viaggio e quindi i costi. I confini croati ora eppure si riesce a guardare al domani con trancoincideranno con quelli europei, per questo quillità. negli ultimi anni Zagabria si è allineata agli standard europei e, in previsione di procedure più L’adesione della Croazia ha ridato fiducia e rigide e accurate, ha predisposto diverse nuove fornito un esempio di successo ai suoi vicini. corsie alle dogane. Nonostante ciò, i cittadini La Serbia guarda con ora con speranza all’UE. bosniaci sono preoccupati: coloro che abitano a Neum, o vi si recano per le vacanze estive, so- La Croazia sprizza ottimismo, riuscendo a contano soliti a usare un collegamento stradale che giare anche i vicini: la Serbia sta vivendo una passa dal territorio croato. In verità esiste una vera e propria esplosione di fiducia verso l’Uniostrada che da Sarajevo si ricongiunge a Neum ne. Dopo gli accordi con il Kosovo, ha finalmente senza uscire dal territorio bosniaco, ma è secon- avuto dal Consiglio una data precisa per l’inizio daria e non può quindi sopportare un grande dei negoziati di adesione: gennaio 2014. È un flusso di viaggiatori. Da anni Bosnia e Croazia, passo importante: per la prima volta Belgrado con la supervisione del Commissario europeo sente di essere riconosciuta come affidabile Stefan Füle, cercano una soluzione al problema. dall’Unione. Il fatto che la Croazia oggi sia uno Due sono le proposte presentate: la prima ri- Stato membro, non è altro che un motivo in più guarda la costruzione di una superstrada chiusa che sprona la Serbia a progredire nel cammino e sorvegliata che attraversi il suolo bosniaco per europeo, così da poter rapportarsi con Zagabria ricongiungersi a quello croato. Il progetto, però, alla pari. Il successo croato e la fiducia ricevunon ha convinto completamente i cittadini croa- ta dall’Europa sono fondamentali per far sì che ti, i quali lamentano il fatto che l’autostrada non gli accordi stipulati con Pristina siano rispettati risolverebbe il problema principale, cioè l’attra- non solo formalmente, ma anche nella pratica. versamento di un altro Stato. La seconda opzio- Con un po’ di sano ottimismo, è possibile vedere ne è quella della costruzione di un ponte sulla la fine di un conflitto regionale senza il ricorso a penisola di Pelješac, la cui altezza minima do- nuove violenze. vrà essere di 60 metri, così da permettere il pas- La domanda che rimane aperta è: l’Unione Eurosaggio di battelli. Le argomentazioni contro il pea sarà in grado di sfruttare a proprio vantagponte riguardano i tempi di costruzione, sicura- gio questo ottimismo? Sarà capace di guardare mente più lunghi confronto a quelli di lontano, come i cittadini balcanici si aspettano? un’autostrada, e i fondi necessari. Bisogna però L’augurio è che l’Unione non deluda le aspetconsiderare che ora la Croazia è un membro tative e, con un po’ di orgoglio, ricordi le proprie dell’UE e potrà redigere domande per ricevere origini e continui a percorrere una strada che da aiuti finanziari per le proprie infrastrutture ed sempre alcuni hanno definito “utopica”. ∎ essere così in grado di coprire la spesa della costruzione.

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LA NOTA LA “BALCANICITÀ” DI SLOVENIA E CROAZIA di Giuseppe Francesco Passanante La Slovenia e la Croazia sono due Stati balcanici? Per poter rispondere a questa domanda è necessario chiarire cosa si intenda per Balcani. I Balcani sono infatti una catena montuosa che nasce nel sud-est della Serbia e percorre tutta la Bulgaria fino al Mar Nero. Quindi solo questi due Paesi sarebbero balcanici, in senso stretto. Questa prima idea è forse errata, perché il geografo prussiano Zeune pensava che la catena montuosa si estendesse dal Mar Nero all'Adriatico. Ma così la Macedonia (intendendo tutta la regione storica, non solo l’attuale FYROM) non sarebbe balcanica. Trattandosi di una penisola, per descrivere la regione forse bisognerebbe tracciare una linea retta da Trieste a Odessa. Tuttavia, nel caso della penisola italiana non viene usato questo criterio, altrimenti Piemonte e Lombardia non ne farebbero parte. Il confine naturale dell'Italia sono le Alpi: utilizzando questo metodo, il confine naturale della penisola balcanica potrebbe essere il Danubio, che fu confine dell'Impero Romano. Ma così la Romania risulterebbe non balcanica, mentre sarebbero da considerarsi balcaniche l'Austria e l'Ungheria. I Balcani dunque non sono solo un concetto geografico, ma storico e culturale. Forse il concetto di “balcanicità” è legato al potere ottomano, mentre il dominio asburgico sarebbe legato a una cultura alpina o mitteleuropea. La Slovenia fece infatti parte delle Herblande, il nucleo dello Stato asburgico, mentre la Croazia è stata anche inglobata dall'Impero Ottomano, pur trovandosi nella zona periferica dell’Impero, quella governata indirettamente secondo il sistema di governo dei tre cerchi concentrici. Da questo punto di vista, il “tasso di balcanicità” sarebbe inversamente proporzionale alla distanza da Istanbul. Così la Grecia sarebbe più balcanica della Bosnia, anche se saremmo propensi a pensare l'opposto (in foto: i Balcani intorno nell’anno 1815, Wikipedia Commons). Un’altra ipotesi richiede di analizzare la storia recente. Si potrebbero considerare balcanici i Paesi comunisti non allineati all'URSS, cioè Albania e Jugoslavia, ma in questo modo la Bulgaria sarebbe non balcanica. Si potrebbe invece osservare la storia recentissima, che ha visto la Slovenia coinvolta in una guerra regionale, seppur brevissima, per poi iniziare un periodo di forte sviluppo economico che l’ha portata ad aderire all'UE nel 2004 e all'euro nel 2007, mentre la Croazia è stata coinvolta in un conflitto molto più complesso ed è entrata nell'UE solo poche settimane fa. Su tali basi, la Slovenia sarebbe ancor più mitteleuropea della Repubblica Ceca, mentre la Bulgaria non sarebbe balcanica. Tenendo quindi in considerazione diversi fattori storici, geografici, linguistici e culturali è possibile affermare con una certa approssimazione che alcuni Paesi sono quasi certamente balcanici, che la Croazia è abbastanza balcanica, ma anche un po' mitteleuropea, e che la Slovenia è leggermente balcanica e parecchio mitteleuropea. Evidentemente, tutto è relativo, la domanda è un interessante spunto di riflessione, ma non ha una risposta certa.

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IL PERCORSO DELLA CROAZIA VERSO L’UNIONE: RIFORME, DISPUTE REGIONALI E FRENATE EUROPEE Dalla presentazione della domanda di adesione della Croazia nel 2003 al suo effettivo ingresso nell’Unione sono trascorsi dieci anni. In questo lungo percorso, Zagabria ha dovuto fare i conti con il suo passato, collaborando attivamente con il Tribunale Penale Internazionale per l’Ex-Jugoslavia, riformare il proprio sistema economico, risolvere le difficili dispute con i vicini, ma anche affrontare resistenze più o meno esplicite da parte di alcuni Paesi dell’UE, specie la Slovenia.

di Mauro Loi

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rentacinque capitoli, 142 pagine di analisi cendo gli aiuti e avviando una serie di privatize grafici e un parere tutto sommato favo- zazioni. Queste ultime dovevano riguardare sorevole. Così la Commissione Europea, il prattutto il settore della cantieristica navale, 20 aprile 2004, si esprimeva sulle possibilità cruciale per l’economia croata, attestandosi della Croazia – che aveva presentato domanda al’1% della produzione mondiale. Importanti di adesione il 21 febbraio 2003 – di rispondere, apparivano anche le riforme per garantire la entro 5 anni, ai requisiti necessari per entrare a commerciabilità dei prodotti ortofrutticoli e in far parte dell’Unione Europea (UE). Il quadro generale misure legate all’agricoltura, tutte adella Commissione descriveva la Croazia come dottate o in fase di adozione. un Paese di piccole dimensioni (1,2% della popolazione dell’UE, 0,26% del PIL), ma in cresci- La Commissione trovò criticità nel sistema ta economica stabile (3,7% di crescita media fiscale, nel ruolo economico dello Stato, nella del PIL nei 5 anni precedenti, unica eccezione il corruzione e nella tutela delle minoranze. 1999, -0,9%), caratterizzata da un basso tasso di inflazione e da una manodopera qualificata, gra- Per rispettare i criteri politici di Copenaghen e zie a un sistema scolastico ben strutturato. Dal quindi per raggiungere “una stabilità istituziopunto di vista politico, la Croazia era descritta nale che garantisca la democrazia, il principio di come una democrazia ormai solida, soprattutto legalità, i diritti umani ed il rispetto e la protedopo la vittoria elettorale di Stjepan Mesić zione delle minoranze”, la Commissione riteneva (HNS, liberali) alle elezioni presidenziali del necessaria, tra le altre cose, una maggiore atten2000, che dopo 11 anni sostituiva il deceduto zione verso i diritti delle minoranze e in partiFranjo Tudjman (HDZ, centrodestra), l’uomo colare verso il rientro dei profughi di nazionalità che aveva tenuto in mano le redini del Paese fin serba in Krajina e Slavonia (nel 2004 ne era ridal 1989. entrato solo il 30%), da facilitare mediante restituzione delle proprietà o assegnazione di alloggi, La Croazia presentò domanda di adesione nel se distrutti, e mediante il riconoscimento, a livel2003, forte di un’economia in crescita e di isti- lo pensionistico, degli anni di lavoro prestati nel “periodo serbo”. Altre criticità sottolineate eratuzioni ormai pienamente democratiche. no relative all’elevata corruzione (nel nuovo Certo, la Commissione non mancava di sottoline- codice penale, in vigore dallo scorso 1 gennaio, are alcune criticità. Per rispettare uno dei princi- sono state incrementate le pene), all’inefficienza pali “criteri di Copenaghen”, stabiliti durante il della pubblica amministrazione e al non pieno Consiglio Europeo del 1993, ovvero per “avere rispetto del diritto di proprietà, che non era riun’economia di mercato funzionante” e “far conosciuto agli stranieri, tra cui gli italiani (si fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze sarebbe trovata soluzione nel 2006). L’apparato di mercato all’interno dell’Unione”, alla Croazia giudiziario era inoltre ritenuto troppo lento e veniva chiesto di adeguare la propria norma- non dotato di idonee risorse finanziarie e umativa sull’IVA eliminando le “no tax zone” e di ne. limitare gli interventi statali nell’economia, ridu- In aggiunta ai criteri di Copenaghen, venivano © Europae - Rivista di Affari Europei

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IL PERCORSO DELLA CROAZIA VERSO L’UNIONE: RIFORME, DISPUTE REGIONALI E FRENATE EUROPEE Mauro Loi

IL PRESIDENTE DELLA CROAZIA IVO JOSIPOVIC E IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO IN CONFERENZA STAMPA (© COUNCIL OF THE EUROPEAN UNION)

poste alla Croazia altre due condizioni, derivanti dal processo di stabilizzazione e associazione varato dal Consiglio Europeo del 1999e dall’Agenda di Salonicco per i Balcani Occidentali (2003): la cooperazione con il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (TPIJ) e la risoluzione delle dispute regionali con Serbia, Slovenia e Bosnia-Erzegovina.

Collaborazione con il TPIJ e risoluzione delle dispute regionali oltre ai criteri di Copenhagen. In generale, però, prevaleva l’ottimismo. Nel complesso, comunque, l’analisi della Commissione lasciava trasparire un velato ottimismo e la Croazia sembrava in grado di bruciare le tappe, riuscendo ad aderire all’UE già nel 2009. Una previsione che, col senno di poi, si sarebbe rivelata errata. Il primo ritardo si sarebbe verificato, infatti, già sulla data di apertura dei negoziati, inizialmente prevista per il 17 marzo 2005. L’evento fu annullato in seguito ad una relazione del procuratore capo del TPIJ, Carla Del Ponte, che accusava il Paese – e il Vaticano, ritenendo che il ricercato potesse essere nascosto dai francescani in Croazia e Bosnia - di non

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collaborare alla cattura di Ante Gotovina, excomandante delle forze croate accusato di aver compiuto crimini di guerra e di comando durante l’operazione “Tempesta” (1995), con cui le forze croate avevano ripreso il controllo di Tenin e della Krajina, fino ad allora in mano ai serbo-bosniaci. I negoziati sarebbero stati aperti solo con vari mesi di ritardo, il 3 ottobre 2005, e solo in seguito alle pressioni dell’Austria, che minacciava di opporsi all’inizio dei negoziati con la Turchia, e in seguito, pare, ma per molti fu solo un diversivo, all’inizio dell’operazione “cash” mirata alla cattura di Gotovina (che in serbo-croato significa, appunto, “contante”) condotta dai servizi segreti croati in collaborazione con quelli britannici. L’ex-generale sarebbe stato in realtà catturato a Tenerife pochi mesi dopo l’apertura dei negoziati (dicembre 2005) e condannato in primo grado a 24 anni. La sua vicenda – che per la popolarità del personaggio, ritenuto un eroe nazionale, avrebbe condizionato non poco le dinamiche politiche del Paese in termini di consensi verso i singoli partiti e di sostegno dei cittadini all’adesione all’UE – ha rischiato di compromettere nuovamente il percorso croato. Nel 2009, il nuovo procuratore

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N. 4 - Luglio 2013 capo del TPIJ, Serge Brammertz, lamentò la mancata consegna, da parte croata, dei piani militari relativi all’operazione “Tempesta”, necessari per capire se il tiro d’artiglieria sui civili serbi fosse stato preventivato o accidentale. La questione non ha causato ulteriori ritardi, ma non ha mancato di generare polemiche quando, nel 2012, l’ex generale è stato assolto in appello, proprio per assenza di prove.

Problemi nella cooperazione con il TPIJ in merito alle indagini sui crimini di guerra e con la Slovenia hanno rallentato l’adesione. Il secondo pesante rallentamento al percorso croato si è presentato nel 2008, a causa del veto sloveno alla prosecuzione dei negoziati se prima non si fosse raggiunto un accordo sui confini marittimi della baia di Pirano (contesi da anni). Nelle idee croate le acque territoriali di Zagabria dovevano confinare direttamente con quelle italiane e con le acque internazionali, precludendo quindi l’accesso a queste ultime ai pescherecci sloveni. Lubiana, invece, non concordava sulla divisione e riteneva di aver diritto ad un corridoio di accesso. Le basi per la soluzione della questione – e per la riapertura dei negoziati – sono state poste nel 2009, con la decisione di affidare la questione a un arbitrato internazionale. Il metodo sloveno, osteggiato dalla Commissione, di boicottare l’adesione croata per giungere alla soluzione di questioni bilaterali ha rischiato di causare ritardi anche ad inizio 2013, in segui-

to alla minaccia di Lubiana di non ratificare il Trattato di adesione fino alla soluzione del problema della Ljubljanska Bank. La banca slovena, operante in Croazia nella fase preindipendenza, era fallita senza rimborsare i risparmiatori croati (130.000 persone, per un totale di 172 milioni di euro di capitali), che ovviamente avevano avviato una causa, sostenuti dalle istituzioni croate. Anche in questo caso la questione è stata affidata (accordo dell’11 marzo 2013) a un arbitro internazionale, la Banca dei Regolamenti Internazionali di Ginevra. A questa serie di rallentamenti si è inoltre sommato l’atteggiamento di alcuni Stati membri (tra cui la Germania) diverso da quello adottato in occasione del Grande Allargamento del 2004 e del 2007. Scottati probabilmente dall’adesione, per soddisfare esigenze politiche, di membri non del tutto pronti e per i quali si è dovuto procedere a forme di monitoraggio post-adesione, molti Paesi europei hanno preteso una particolare attenzione nei confronti della Croazia, chiedendo (come per altri eventuali candidati in futuro) che si procedesse non solo al completo recepimento dell’acquis, bensì anche alla dimostrazione della piena capacità di mettere in atto i dettami in esso contenuti. Il decennale percorso a ostacoli che ha portato la Croazia nell’UE ha restituito oggi ai cittadini croati, ma anche a quelli europei, un Paese diverso. Gli euroscettici sosterranno che il cambiamento, dal punto di vista economico, è avvenuto in peggio: disoccupazione record e recessione dal

Molti dossier restano aperti, ma l’iter di adesione ha cambiato la Croazia: il Paese ha superato gli estremismi e le ferite degli anni ‘90.

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IL PERCORSO DELLA CROAZIA VERSO L’UNIONE: RIFORME, DISPUTE REGIONALI E FRENATE EUROPEE Mauro Loi 2009, a causa della crisi dei suoi maggiori partner commerciali, tra cui l’Italia. In realtà molto è stato fatto. Per le minoranze, che ormai possono smettere di sentirsi “croati di serie B” (usano e insegnano nella loro lingua, eleggono rappresentanti e hanno posti riservati nella pubblica amministrazione), o nella lotta alla corruzione, di cui ha fatto le spese addirittura un ex-premier, Ivo Sanader, accusato di aver intascato tangenti per la privatizzazione di aziende statali e costretto a fuggire in Austria mentre era ancora in carica e poi estradato e arrestato. Altre sono le questioni a cui si deve ancora lavorare, ad esempio per la privatizzazione dei cantieri navali di Spalato, avviata ma non completata, oppure per la soluzione delle dispute di confine con Serbia e Bosnia, riguardo ad esempio il corridoio di Neum. Eppure esiste qualcosa che sicuramente la Croazia si è regalata portando avanti con costanza il suo percorso europeo: la marginalizzazione degli estremismi, particolarmente forti durante l’era Tudjman. Un percorso reso possibile dall’UE, che ha fornito gli incentivi, e dalle due principali forze politiche del Paese (l’SDP e HDZ, entrambe europeiste) che, pur fronteggiandosi

sui singoli temi e rischiando di compromettere il loro consenso, hanno reso marginali le loro componenti estremiste, perseguendo con coraggio la via europea. Grazie a questi sforzi oggi la Croazia non è più un Paese che ritiene, per sopravvivere, di dover accentuare le differenze tra la “nazionalità croata” e gli altri slavi o le minoranze. Al contrario, oggi la Croazia è uno Stato che ha rivisto in toto il suo ruolo verso i Balcani, mirando ad essere un modello e un appoggio per le altre nazioni slave (Bosnia e Serbia su tutte) che aspirano alla via europea. Un Paese che ha abbandonato l’inseguimento di valori esclusivi e nazionalisti per abbracciare e promuovere quelli inclusivi tipici dell’UE (uguaglianza e diritti). Lo dimostra la presenza del Presidente serbo Tomislav Nikolić alla festa per l’adesione del 1 luglio 2013 e lo dimostra il fatto che, da Presidente di un Paese UE, la prima tappa del Capo di Stato croato Ivo Jopisovic sia stata proprio Sarajevo. Se si pensa che fino a pochi anni fa, per i tre Paesi, gli unici scambi consistevano in colpi d’artiglieria, il risultato è tutt’altro che trascurabile. ∎ La Croazia è una Repubblica semipresidenziale.

HDZ: partito di destra nazionalista fondato da Tudjman, l'"uomo forte" che conduce la Croazia all'indipendenza e alla guerra. Non mancano nella sua retorica riferimenti al regime fascista degli ustaša (1941-43). Dopo la sua morte inizia in Croazia la vera alternanza democratica e l'HDZ si trasforma in partito moderato ed europeista. I partiti HNS: partito liberale. Creato tra gli altri dallo stesso Mesić, ex-HDZ, critico verso l'operato di Tudjman. Ultimamente alleato del SDP SDP: partito di centro-sinistra. Moderato ed europeista. Aumenta esponenzialmente i consensi dopo lo "scadalo Sanader". © Europae - Rivista di Affari Europei

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LA RIFORMA ECONOMICA DELLA “DOMOVINA” CROATA, TRA TURISMO E BASSA PRESSIONE FISCALE Lasciata alle spalle la chiusura ai mercati e agli investimenti esteri della presidenza di Fanjo Tudman negli anni Novanta, la Croazia si è aperta ai mercati internazionali e al turismo. Quest’ultimo, che oggi rappresenta il 20% del PIL nazionale, rappresenta un asset fondamentale per l’economia croata. La bassa pressione fiscale rappresenta un fattore di alta competitività: la ridotta tassazione sul lavoro potrebbe attrarre imprese, ma anche lavoratori dagli altri Paesi dell’Unione.

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croati chiamano il loro Paese “Domovina”, ossia piccola patria, e la descrivono nel loro inno nazionale come la terra «delle grandi montagne, dei grandi uomini, delle facce rosse, del vino rosso». Dal 1 luglio l’amata piccola patria dei croati è diventata parte della "Super Domovina", l’Unione Europea (UE), e del suo enorme mercato unico. Un sogno, una speranza e una scommessa di contribuire a qualcosa di speciale e nello stesso tempo migliorare le proprie condizioni, prima fra tutte quella economica. Non sono passati infatti neanche vent’anni da quel fatidico 1996, una data che segna l'inizio dell'avventura moderna della Croazia, un Paese che, lasciatosi alle spalle gli orrori della guerra e le ombre di un passato oscuro, iniziava a muoversi verso le profonde riforme economiche e sociali che l’avrebbero cambiata per sempre. Il processo di transizione verso l'economia di mercato è però cominciato malissimo, come spesso è accaduto nei Paesi fuoriusciti dalle economie

Dal 1996 in avanti, la Croazia ha sperimentato incisive riforme economiche e sociali che l’hanno cambiata profondamente. pianificate. Il Presidente croato Franjo Tuđman, rimasto al governo fino al 1999, aveva avviato fin dal 1991 processi di privatizzazione dei colossi di Stato in modo alquanto discutibile. Le aziende pubbliche vennero infatti spartite tre le duecento famiglie più influenti sotto il regime comunista, che le acquisirono a prezzi irrisori. Considerato il peso occupazionale di questi giganti e la gestione aziendale spregiudicata dei nuovi padroni, nel biennio 1998-99 la Croazia ha sperimentato fallimenti e bancarotte a catena e il tasso di disoccupazione ha raggiunto livelli record, toccando il 16% nel 2000. L'epoca Tuđman è ricordata anche per l'isolazionismo © Europae - Rivista di Affari Europei

internazionale della Croazia e la parziale chiusura del mercato agli investitori stranieri. La morte di Tuđman (1999) e la vittoria dei socialdemocratici di Ivan Račan nel 2000 hanno

La presidenza di Franjo Tudman (1991-99) ha applicato una politica di chiusura rispetto ai mercati e agli investitori stranieri. portato la Croazia sulla strada delle riforme che, per quanto graduali, hanno portato ad una maggiore apertura permettendo al Paese di entrare a far parte, quello stesso anno, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. L'apertura verso l'estero, inoltre, ha favorito maggiori investimenti e inaugurato l’epoca turistica del Paese. Molti ex-dipendenti delle aziende statali hanno così iniziano ad avviare proprie attività in questo settore nascente e ricco di potenzialità. Nella fase del governo socialdemocratico (20002003) la disoccupazione è scesa dal 16% al 14% e il PIL è cresciuto a tassi superiori al 3% annuo, toccando una crescita record del 5,4% nel 2003. Durante l'ultimo anno di governo avvenne la svolta decisiva, lo spartiacque che segnerà il futuro della Croazia: la decisione di avviare i primi contatti per l'adesione del Paese all’UE. Le elezioni del 2003 videro nuovamente la vittoria dell'HDZ, il partito cristiano democratico che era stato di Tuđman. Ivo Sanader, in carica come Presidente fino al 2009, decise di proseguire la strada dell'apertura economica e politica del Paese. L'era Tuđman era ormai messa nel cassetto da parte dei notabili del suo stesso partito. Le politiche economiche di Sanader sono state profondamente influenzate dai 35 requisiti di adesione che l’UE sottopose al Paese. C’era, in effetti, assai poco spazio per l'improvvisazione e il governo cercò di avviare nel minor tempo possibile tutte le riforme necessarie. Gli anni del

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LA RIFORMA ECONOMICA DELLA “DOMOVINA” CROATA, TRA TURISMO E BASSA PRESSIONE FISCALE Fabio Cassanelli Governo Sanader sono stati i più prosperi che l'economia croata ricordi. Sotto l'occhio vigile della Commissione Europea, la Croazia non ha fatto passi falsi. In questi anni il PIL è esploso, passando dai 30 miliardi di euro del 2003 ai 47 miliardi del 2008, e la disoccupazione è scesa al minimo storico dell'8% nell'estate dello stesso anno. Il PIL pro capite è inoltre cresciuto più rapidamente del PIL (che pure è aumentato con tassi superiori al 7% l'anno), a fronte di una popolazione ormai in costante riduzione dal 1990. Proprio quello demografico è oggi uno dei maggiori problemi a medio-lungo termine che il Paese dovrà affrontare, ma negli anni del boom non ci si preoccupava molto di questo aspetto. Il successo del turismo ha innescato processi virtuosi nel settore immobiliare, finanziario e dei servizi. Il peso dell'agricoltura sul PIL è sceso fino al 5%, circa un quarto del contributo del turismo, che rappresenta oggi il 20% del PIL croato.

Con il governo di Sanader, l’economia croata ha conosciuto il più grande boom della sua storia, trainata soprattutto dal turismo. Il fallimento di Lehman Brothers e l'inizio della grande crisi globale hanno però investito brutalmente la Domovina, facendola precipitare indietro di qualche anno. Nel 2009 il PIL è crollato del 6,9%, seguito da un calo del 2,3% nel 2010, una stagnazione nel 2011 e un nuovo calo del 2% nel 2012. Le difficoltà economiche degli Stati vicini hanno innescato inoltre un circolo vizioso che si traduce in un calo degli investimenti esteri e in una diminuzione dell'export. La disoccupazione di conseguenza è balzata in poco tempo fino al 19,6% del maggio 2013. La Croazia si dimostra tuttavia enormemente resiliente e pronta a reagire. Dopo l'uscita di scena di Sanader, l'esecutivo di transizione di centrodestra mantiene dritta la barra del timone e il rapporto deficit/PIL appena sopra il 4%. Nel 2011 l’affermazione elettorale della coalizione di centrosinistra “Kukuriku”, composta da socialdemocratici e liberali, ha portato Zoran Milanovic nel ruolo di Primo Ministro. Anche quest'ultimo ha continuato a gestire oculatamente il bilancio dello Stato, stabilizzando nel 2012 il deficit al 3,8% del PIL e il rapporto debito/PIL a un agevole 53,7%. Anche la Banca Centrale Croata ha operato abilmente negli anni della crisi, mantenendo ancorata all'euro la va© Europae - Rivista di Affari Europei

luta locale e garantendo un tasso di inflazione che farebbe invidia alla BCE (1,8%). Alla luce di questi dati macroeconomici, diviene cruciale comprendere quali siano le prospettive future della Croazia al 1 luglio 2013, data dell'ingresso nell’Unione. Nel breve termine si prevede un nuovo calo del PIL per il 2013, un deficit stabile intorno al 3-4% e un rapporto debito/PIL che dovrebbe superare il 60% entro la fine dell'anno. Il calo della popolazione continua a essere uno dei principali problemi, in particolare per la sostenibilità del sistema pensionistico, poiché nella maggior parte dei casi sono i giovani a lasciare il Paese. Negli ultimi vent'anni, gli abitanti della Croazia sono diminuiti di mezzo milione circa e la popolazione residente è scesa per più del 10%. L'ingresso nell’UE e la caduta delle barriere nel mercato del lavoro potrebbe addirittura esacerbare questa tendenza nei prossimi anni. Presto cominceranno però ad affluire i fondi strutturali europei che, se ben impiegati, potranno creare nuove opportunità di crescita e lavoro. Il sistema fiscale è molto semplice ed efficiente. Per quanto riguarda l’imposta sul reddito, esistono solamente 3 aliquote (12%-25%-40%) rispetto alle 5 aliquote italiane che vanno dal 23% al 43%. La fascia di popolazione a basso

IL PRIMO MINISTRO CROATO ZORAN MILANOVIC (© COUNCIL OF THE E.U.).

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VISTA DI DUBROVNIK, UNA DELLE METE TURISTICHE PIÙ AMBITE DELLA CROAZIA, DOVE IL TURISMO VALE

reddito paga dunque la metà delle tasse sul proprio reddito rispetto all'Italia. Con l'ingresso nell’UE, molte imprese europee potrebbero essere attirate da un costo del lavoro così significativamente basso e l'afflusso verso le 13 zone franche operative potrebbe aumentare considerevolmente. In queste zone, è infatti garantita l’esenzione dal pagamento dell'IVA e dei dazi doganali. Di conseguenza, queste zone della Croazia potrebbero diventare un’autentica "Mecca" anche per i lavoratori, che si troverebbero una busta paga alleggerita al minimo da tasse sul lavoro e contributi e non pagherebbero la tassa sul valore aggiunto sui consumi. Il settore bancario è solido, ma enormemente dipendente dai capitali esteri. Il 90% delle azioni delle banche croate sono detenute da investitori esteri, principalmente con sede nell’UE. In caso di aumenti di capitale, il piccolo Paese è conseguentemente molto esposto verso le decisioni che avvengono fuori dai propri confini. Anche la presenza di un mercato finanziario poco sviluppato rispetto al resto dell'Unione, in un periodo di gravi turbolenze, può far tirare un respiro di sollievo. La capitalizzazione della Borsa croata arrivava infatti, a fine 2012, ad appena il 38,7% del PIL, rispetto a una media europea del 60,5%. Anche il debito del settore privato non spaventa e si attestava alla fine dell'anno scorso intorno all'80% del reddito nazionale, a confron© Europae - Rivista di Affari Europei

IL 20% DEL PIL NAZIONALE (FOTO: WIKICOMMONS)

to del 140% medio nell’UE. La Croazia si trova dunque ad affrontare un futuro caratterizzato da problemi simili rispetto a quelli del resto degli Stati membri dell’UE, ma con la tranquillità di un bilancio pubblico che non preoccupa. La crescita deve ripartire, vanno attirati investimenti e capitale umano dal resto dell'Unione e soprattutto turisti per salvaguardare l'importantissimo 20% del PIL garantito da questo settore. Forse per questo motivo, quando si visita il sito web dell'istituto nazionale di statistica, si nota un indicatore che non si è abituati a scorgere negli istituti omologhi nel resto della UE: "Notti trascorse dai turisti in Croazia". Tra giugno e settembre 2011 i turisti stranieri si sono fermati 49.520 notti, mentre nel 2012 le notti sono state 50.757. Il principale asset da valorizzare è dunque il turismo e, poiché dal lato dei prezzi le strutture sono molto concorrenziali (il peso di una bassa imposta sui redditi si fa sentire anche qui), occorre continuare a puntare, con l'aiuto dell'UE, sullo sviluppo infrastrutturale, nonché su marketing e promozione. La Croazia inizia la sua avventura europea poggiata su ottime fondamenta e piena di speranza, tocca ora all’UE trasformarla in un "success case", per dimostrare ai Paesi limitrofi che l'adesione all'Unione può ancora fare la differenza per migliorare le sorti di una nazione. ∎

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BERLINO LO VUOLE? IL PESO DELLE RELAZIONI TRA GERMANIA E CROAZIA Molti osservatori hanno individuato nella Germania il principale sponsor dell’adesione della Croazia all’UE. Le relazioni economiche tra i due Paesi non lasciano dubbi sull’interesse tedesco a vedere l’economia croata integrata nel mercato unico. Berlino e Zagabria sono però protagoniste di una relazione bilaterale articolata, che va al di là della vicinanza storica e culturale. Fattori come le riforme ancora da realizzare e casi come quelli di Josip Perkovic possono indebolirla.

di Luca Barana

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uando la Croazia ha fatto il suo ingresso a lungo, insieme a un altro membro dell’UE conell’Unione Europea, il 1 luglio 2013, a me l’Austria, dalla lunga tradizione imperiale del Zagabria si festeggiava un evento che evi- dominio asburgico e dalla comunanza religiosa. denziava come la spinta propulsiva dell’allargamento europeo non si fosse esaurita anche in Al di là della vicinanza storica e culturale, la un momento di grave crisi. Al tempo stesso, pe- relazione bilaterale tra Germania e Croazia è rò, alcuni vi hanno letto l’ennesimo sintomo del- più articolata e stretta di quanto non sembri. la nuova conformazione dell’UE, fortemente germanocentrica. La Germania è infatti consi- Le relazioni politiche fra i due Paesi sono derata, magari non sempre in modo esplicito, il «eccellenti», secondo il Ministero degli Esteri principale sponsor di Zagabria: il fatto che tedesco. La vicinanza politica fra Croazia e Gerl’adesione sia avvenuta nel pieno della faticosa mania discende, oltre che dai rapporti storici transizione dell’Unione verso nuove forme di consolidati, da almeno altri due fattori: la pregovernance economica e politica, in cui Berlino senza di circa 223.000 immigrati croati in gioca un ruolo cruciale, ha sollevato più di una Germania e il flusso costante di turisti tedeconsiderazione sul peso che la Repubblica Fede- schi nello Stato adriatico, circa 1,85 milioni solo rale esercita ormai in Europa. Quasi conferman- nel 2012. Il rapporto bilaterale è basato su condo questo dato, il Bundestag, la camera bassa tatti a più livelli: sono frequenti infatti le visite di del Parlamento tedesco, è stato l’ultimo a ratifi- alto livello, che vedono la partecipazione diretta care il Trattato di Adesione, come a voler rimar- delle principali personalità politiche dei due Pacare quanto l’ultima parola in merito all’ingresso esi, ma sono anche sviluppati rapporti a livello della Croazia nell’Unione spettasse proprio alla di Länder (regioni) e società civile. In particolaGermania. re, spicca il ruolo della Commissione Mista Croazia - Baviera e di quella Croazia - BadenIl Bundestag è stato l’ultimo parlamento a Württemberg, mentre numerosi attori della ratificare il Trattato di Adesione della Croa- società civile tedesca sono attivi in Croazia, dove hanno operato nei due decenni passati per favozia. È Berlino il primo sponsor di Zagabria? rirne il percorso di democratizzazione e stabilizEppure, il rapporto bilaterale fra Croazia e zazione dopo le guerre jugoslave. Associazioni Berlino, ora inquadrato nel più ampio quadro come la Konrad Adenauer Foundation e la Rosa delle relazioni intra-europee, è più complesso di Luxemburg Foundation sono attive a Zagabria, quanto non possa apparire. Difficile descrivere ha per esempio sottolineato il Ministero degli un Paese come la Croazia, profondamente inse- Esteri tedesco. rito nelle dinamiche storiche dell’area balcanica, come un semplice “vassallo” della Germania nel- Al di là dei rapporti politici, sono anche i legami la regione. Pensare allo Stato croato come a una economici a rafforzare la relazione bilaterale: la sorta di testa di ponte tedesca nei Balcani po- Germania è infatti il secondo partner commertrebbe essere fuorviante. Sussistono tuttavia ciale della Croazia, dietro solamente all’Italia, i legami storici approfonditi fra i due Paesi, legati cui scambi commerciali con Zagabria sono evi© Europae - Rivista di Affari Europei

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L’EUROPA DEI 28

LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

N. 4 - Luglio 2013

UNA SEDUTA PLENARIA DEL BUNDESTAG, CAMERA BASSA DEL PARLAMENTO TEDESCO,

dentemente favoriti dalla contiguità geografica. Berlino contribuisce all’economia croata sostenendone l’industria turistica e risultando il terzo attore per investimenti diretti esteri dopo Austria e Paesi Bassi. Aspetto forse ancora più importante, numerose aziende tedesche, anche quelle di piccole-medie dimensioni che compongono il competitivo universo economico del Mittelstand, hanno instaurato profondi rapporti di collaborazione con il sistema economico croato, trovandovi fornitori e imprese sussidiarie. L’integrazione economica fra i due Paesi, quindi, precede l’adesione della Croazia all’UE, come attestano la nascita di una Camera dell’Industria e del Commercio congiunta già nel 2003 o un accordo bilaterale sulla tassazione doppia risalente al 2006. Difficile dunque negare l’interesse tedesco per l’integrazione dell’economia croata nel mercato unico europeo.

Turismo, investimenti diretti esteri e scambi commerciali: difficile negare l’interesse tedesco per l’integrazione della Croazia nell’UE. La prospettiva tedesca sull’adesione della Croazia all’UE è stata comunque controversa. Certa© Europae - Rivista di Affari Europei

A BERLINO. (© DEUTSCHER BUNDESTAG/MARC-STEFFEN UNGER)

mente, di fondo è rimasto un sostegno forte all’ingresso del Paese nell’Unione, ma allo stesso tempo Berlino non ha certo nascosto le proprie perplessità su molti aspetti legati alla situazione croata. A scatenare nelle ultime settimane l’attenzione per la cautela tedesca è stato un fatto di cronaca, che ha reso più intricate le relazioni bilaterali, spingendo il Cancelliere federale Angela Merkel a non partecipare alla celebrazioni per l’ingresso di Zagabria nell’UE. Sebbene la motivazione ufficiale sia stata la “mancanza di tempo” del Cancelliere, buona parte della stampa internazionale ha attribuito la decisione di Merkel alle resistenze croate per l’estradizione in Germania di un ex ufficiale dei servizi segreti jugoslavi, Josip Perkovic, coinvolto, secondo i giudici tedeschi, nell’eliminazione di un emigrato politico croato a Monaco di Baviera nel 1983. Questa vicenda trentennale ha riflessi importanti sull’integrazione della Croazia nell’UE, dato che Zagabria ha richiesto che il mandato d’arresto europeo e l’estradizione di cittadini croati si applichino solamente per crimini commessi in altri Paesi dopo l’agosto del 2002. La vicenda Perkovic ha così permesso al gover-

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BERLINO LO VUOLE? IL PESO DELLE RELAZIONI TRA GERMANIA E CROAZIA Luca Barana no tedesco di smarcarsi dalle insinuazioni di essere stato uno sponsor troppo entusiasta della Croazia. Allo stesso tempo, evidenzia anche le principali perplessità di Berlino circa i problemi di corruzione, mancanza di trasparenza e, in generale, di scarsa applicazione dello stato di diritto nel Paese. Merkel stessa ha così sottolineato come la lotta alla corruzione debba costituire la priorità nell’agenda politica croata. Emerge così una certa diffidenza in Germania circa il nuovo allargamento dell’UE, che non riguarda solamente la Croazia, ma più in generale il ruolo di Berlino in Europa e le prospettive future dell’Unione. Molti, infatti, di fronte a questa nuova adesione, hanno agitato lo spettro dell’allargamento a Bulgaria e Romania nel 2007, quando, è opinione di molti osservatori, i due Paesi non erano ancora pronti a questo importante passo, ma vennero accolti per ragioni politiche. Così come questo genere di riflessioni è sorto anche a riguardo di Cipro, la cui crisi bancaria ha posto in seria difficoltà l’UE in primavera, ma anche a proposito di un membro di più lunga data come la Grecia, entrata nell’eurozona pur a fronte di fondamentali macroeconomici rivelatesi poi assai meno sicuri di quanto ci si attendeva. Questi esempi di ingressi anticipati di Stati membri dimostrati poi problematici per l’UE spiegano dunque la cautela di Berlino. Il fatto che, comunque, la Croazia sia riuscita ad ottenere il via libera all’adesione dimostra comunque come nell’UE le preoccupazioni su Zagabria siano state superate. In passato è stato lo stesso Primo Ministro croato Zoran Milanovic a denunciare in un’intervista a Der Spiegel del settembre 2012 una certa insofferenza del suo Paese verso queste cautele, ritenute eccessive. Milanovic esprimeva infatti la convinzione che il percorso di adesione particolarmente duro per la Croazia discendesse dal fatto di essere «gli ultimi arrivati», soprattutto dopo le difficili esperienze dell’allargamento del 2007, anche se poi si affrettava a sottolineare come i croati non si sentissero penalizzati a causa dell’ingresso complesso di Bulgaria e Romania. Nella stessa intervista, il premier croato definiva la Germania un modello, rimarcando dunque la vicinanza a Berlino, e appoggiava senza riserve la linea politica tedesca degli ultimi anni, facendo proprio il mantra secondo il quale l’austerità e il rigore non mettono in dubbio la crescita economica. Nel frattempo il clima politi© Europae - Rivista di Affari Europei

co in Europa è cambiato e il rigore tedesco sembra aver lasciato spazio a una maggiore attenzione ai temi dell’occupazione e della ripresa, ma la posizione croata a pochi mesi dalla sua adesione all’UE non poteva essere più chiara. Non casualmente, in Germania coloro che hanno sostenuto con più forza l’ingresso della Croazia hanno tentato di attenuare le preoccupazioni dell’elettorato, affermando che il Paese adriatico non rischia di divenire una nuova Romania, né tantomeno una nuova Grecia. I contribuenti tedeschi sarebbero dunque al sicuro, anzi, la Croazia pare poter seguire l’esempio di una storia di successo come quella della Lituania. Entrato nell’UE nel 2004 aggravato da difficoltà economiche significative, il piccolo Stato baltico ha saputo riformarsi, anche grazie al sostegno dei fondi strutturali europei investiti in infrastrutture e per lo sviluppo di nuove tecnologie. L’auspicio di molti è che la Croazia segua questa strada di sviluppo, come pare augurarsi anche il premier Milanovic, quando sottolinea che, per almeno dieci anni, il suo Paese riceverà più risorse di quelle che dovrà mettere a disposizione dell’UE.

Oggetto di un percorso di adesione molto duro, la Croazia desta timori e speranze. Una nuova Romania oppure una nuova Lituania? In ogni caso, pare che la strada delle riforme per la Croazia non si sia affatto conclusa, soprattutto da una prospettiva tedesca. Fra gli altri, il Ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle ha voluto ricordare che l’adesione non costituisce un punto d’arrivo, ma «più che altro un incentivo per ulteriori passi verso le riforme». Queste dichiarazioni, così come quelle di Merkel, sembrano dunque indirizzate a rassicurare un elettorato che teme di aver accolto nell’UE un nuovo partner problematico, che in futuro potrebbe richiedere nuovi interventi finanziari europei e quindi, in larga misura, tedeschi. Non è comunque casuale che la Germania si sia spesa con forza per l’ingresso della Croazia, soprattutto per l’integrazione che caratterizza le due economie e i motivi politici di un’ulteriore penetrazione dell’Unione nella regione balcanica. Che si tratti di un nuovo passaggio verso una qualche forma di “Europa tedesca” lo si vedrà invece dalle scelte che i governi croati attueranno nei prossimi anni. ∎

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GLI AUTORI Antonio Scarazzini È Direttore di Europae e membro del comitato direttivo dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi di ricerca sul programma Joint Strike Fighter. Ha partecipato al corso di formazione per analisti di Equilibri.net. Specializzato in difesa e in politiche monetarie e fiscali.

Davide D’Urso È Caporedattore e Presidente del Consiglio di Redazione di Europae. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il diploma di alta qualificazione presso la Scuola di Studi Superiori di Torino. È stato tirocinante all’Ufficio Stampa della Rappresentanza d’Italia presso l’Unione Europea. Specializzato in politica, istituzioni e relazioni esterne dell’UE.

Sarah Camilla Rege È redattrice di Europae. Laureata in Relazioni Internazionali presso l’Alma Master Studiorum di Bologna con una tesi riguardante le ONG e la società civile in Serbia, dove ha svolto un tirocinio con AIESEC. Nel 2012 ha frequentato la Summer School “Integrating Europe through Human Rights” presso la Higher School of Economics di Mosca. Specializzata in relazioni esterne dell’UE, specie nell’area balcanica.

Giuseppe Francesco Passanante È redattore di Europae. Laureato triennale in lingue presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, è laureando magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi sul sull’adesione della Bulgaria all’Unione Europea. Specializzato in politica, storia e cultura dell’Europa orientale, dei Balcani e dell’area post-sovietica.

Mauro Loi È redattore di Europae e membro del comitato direttivo dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureato magistrale in Scienze Strategiche con una tesi sul processo di ricostruzione dell'Afghanistan, ha avuto esperienze in missioni internazionali delle Nazioni Unite nel 2008-09 (Libano) e della NATO nel 2012 (Afghanistan). Specializzato in politica e azione esterna dell’UE.

Fabio Cassanelli È redattore, membro del Consiglio di Redazione di Europae e membro del comitato direttivo dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureando in Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Torino, è autore di temi economici su quattrogatti.info e cura un blog sull’Huffington Post italiano. Specializzato in economia, finanza e politica monetaria.

Luca Barana È Vice-Direttore e Vice-Presidente del Consiglio di Redazione di Europae. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi sulla politica di cooperazione allo sviluppo e le relazioni interregionali dell’Unione Europea in Africa. Specializzato in politica, azione esterna e cooperazione allo sviluppo dell’UE. © Europae - Rivista di Affari Europei

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www.rivistaeuropae.eu I numeri precedenti di Europae - Rivista di Affari Europei

Numero 1, Aprile 2013 “L’Unione Europea e la nuova corsa all’Africa” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui

Numero 2, Maggio 2013 “Ulisse e Zheng He. Unione Europea e Cina sulla rotta del mondo nuovo” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui

Numero 3, Giugno 2013 “La camera bassa. Il Parlamento Europeo tra Lisbona e il 2014” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui

Contatti Redazione: redazione@rivistaeuropae.eu Direttore: direttore@rivistaeuropae.eu Associazione culturale

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