Europae - Mensile numero 2 - Maggio 2013

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Una relazione strategica al bivio L’UE tra commercio e diritti umani La Cina in soccorso dell’Eurozona? Le nuove responsabilità di Pechino www.rivistaeuropae.eu

N. 2 - MAGGIO 2013

ULISSE E ZHENG HE UNIONE EUROPEA E CINA SULLA ROTTA DEL MONDO NUOVO

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Maggio 2013, Numero 2 © Europae - Rivista di Affari Europei, www.rivistaeuropae.eu “Ulisse e Zheng He. Unione Europea e Cina sulla rotta del mondo nuovo” A cura di Davide D’Urso e Luca Barana Copertina di Luigi Porceddu Direttore: Antonio Scarazzini Caporedattore: Davide D’Urso Responsabili di Redazione: Luca Barana, Riccardo Barbotti, Simone Belladonna, Fabio Cassanelli, Valentina Ferrara, Shannon Little, Tullia Penna. Contributi di: Luigi Bonanate, Enrico Iacovizzi, Marco Marazzi. © Europae - Rivista di Affari Europei

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INDICE Ulisse e Zheng He Davide D’Urso

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L’Europa, la Cina e il declino dell’ordine internazionale Intervista a Luigi Bonanate

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L’Unione Europea, la Cina e il terzo incomodo: l’Europa al bivio Luca Barana

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La storia inquieta di due giganti Giorgio Cammareri

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Cina: sfide e opportunità per la politica commerciale europea Shannon Little

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La Cina e l’euro, dalla crisi finanziaria a oggi. Zheng He salverà Ulisse? Antonio Scarazzini

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Banche, investimenti diretti e agenzie di rating: la Cina sbarca in Europa Fabio Cassanelli

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I costi della non-Europa nelle relazioni economiche e politiche con la Cina Intervista a Marco Marazzi

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Il tema dei diritti umani nelle relazioni tra Cina e Unione Europea Simone Belladonna

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La Cina come “potenza responsabile” e l’investimento nel peacekeeping Enrico Iacovizzi

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Il pivot europeo verso l’Asia: la cooperazione ambientale UE-Cina Tullia Penna

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ULISSE E ZHENG HE

Editoriale

Davide D’Urso

L’EX PREMIER CINESE WEN JIABAO, IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO VAN ROMPUY E QUELLO DELLA COMMISSIONE BARROSO. (FOTO: EU COUNCIL)

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el 1403 l’Imperatore cinese Yongle, terzo della dinastia Ming, diede ordine di costruire una flotta con la quale il Celeste Impero avrebbe cercato al di là del mare nuovi alleati, mercati e risorse. Il comando della gigantesca forza navale venne affidato all’ammiraglio Zheng He, un eunuco di religione musulmana amico d’infanzia dell’Imperatore e suo alleato nella guerra di usurpazione che aveva portato Yongle sul trono del padre. Dal 1405 al 1433, Zheng He effettuò sette spedizioni al comando di 317 enormi navi, lunghe 130 metri, equipaggiate con 12 vele, grandi dieci volte le caravelle e capaci complessivamente di trasportare 28.000 uomini tra soldati, mercanti, funzionari dello Stato e diplomatici. Con l’obiettivo di estendere l’influenza del Celeste Impero, il suo sistema tributario e il controllo imperiale sul commercio navale, Zheng He guidò la flotta cinese attraverso l’Oceano Indiano, arrivando in Africa Orientale, nella Penisola Arabica, in India, in Indonesia e nel Golfo Persico e tessendo relazioni che avrebbero mantenuto la Cina al centro del mondo ancora per tre secoli. Ulisse è, evidentemente, un personaggio molto © Europae - Rivista di Affari Europei

diverso. Non si tratta anzitutto di una figura realmente esistita, ma di un personaggio letterario talmente noto da essere finito in una sorta di terra di nessuno tra storia, leggenda e mitologia. Protagonista del più celebre poema della mitologia greca, l’Odissea di Omero, Ulisse è stato sovente utilizzato come un personaggio allegorico. Personificazione dell’astuzia, del coraggio e della curiosità, l’eroe acheo ideatore del Cavallo di Troia è stato condannato da Poseidone, dio dei mari, a navigare nel Mediterraneo senza riuscire a ritrovare la via di casa. Nel pellegrinare senza sosta del Re di Itaca, l’Europa sembra trovare una metafora di se stessa: tormentata e divisa com’è in più anime, sempre sospesa tra il mito e la realtà, ovvero tra l’idea di unità e la sua realizzazione, spinta da una curiosità inspiegabile a navigare su rotte inesplorate ma ancora senza una meta, incapace di scegliere tra il desiderio di tornare a casa e la curiosità per un mondo nuovo che vive al di là delle Colonne d’Ercole. L’Unione Europea e la Cina sono, l’una di fronte all’altra, come Ulisse e Zheng He. La prima, un po’ arrogante e un po’ sognatrice, ancora incapace di definire se stessa e di tracciare la rotta ver-

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ULISSE E ZHENG HE

UNIONE EUROPEA E CINA SULLA ROTTA DEL MONDO NUOVO

N. 2 - Maggio 2013 so il mondo nuovo, naviga a vista in balia di una tempesta che sembra infinita. La seconda, dotata di una flotta enorme, ha iniziato a solcare con la potenza dei numeri e la strategia di una guida apparentemente indiscussa, gli oceani affollati del XXI secolo. La suggestione di queste metafore non può però riassumere la grande complessità di un confronto e di una relazione multidimensionale tra quelli che sono oggi due dei principali attori politici ed economici internazionali. L’UE e la Repubblica Popolare Cinese (RPC) si trovano oggi in condizioni economiche e politiche opposte: mentre l’Europa, uscita a pezzi dalla crisi finanziaria, cerca faticosamente di rimettersi sulla strada della crescita economica e della credibilità globale, la Cina agisce nel mondo forte di un ruolo internazionale ritrovato, che fattori demografici, storici, economici e politici le assegnano di diritto. Lasciatasi alle spalle il “Secolo dell’Umiliazione” (1839-1949) e il trentennio di dominio maoista, la RPC è oggi un gigante pienamente integrato nel sistema politico ed economico internazionale, capace di parlare alla pari con gli Stati Uniti d’America. L’Europa, una volta ancora, sembra invece aver mancato l’appuntamento con la storia. Il processo di integrazione europea è in crisi come non mai e l’UE si trova di fronte ad un bivio storico: realizzare un’autentica unità federale europea, per quanto sui generis, oppure iniziare un processo di disgregazione probabilmente lento e graduale, ma comunque letale per il suo ruolo internazionale e il benessere economico dei suoi cittadini. Il complesso delle relazioni tra UE e Cina richiede per essere esplorato di uno sguardo d’insieme che non ignori le dinamiche interne ai due attori e tenga in considerazione il più vasto contesto di crisi dell’ordine internazionale, che, secondo il Professor Luigi Bonanate, intervistato su queste pagine, ha iniziato un percorso di declino apparentemente inesorabile e dalle conseguenze fosche per il futuro di tutti. Come il lettore avrà modo di vedere negli articoli di questo numero, anche la RPC si trova oggi di fronte a difficoltà inattese, quali una crescita economica che comincia a rallentare e una situazione politica, sociale e ambientale interna particolarmente esplosiva. Pechino si trova in condizioni decisamente migliori rispetto a Bruxelles per rispondere alla crisi economica e politica globale. La partnership strategica, politica ed economica © Europae - Rivista di Affari Europei

tra Cina e UE può però rappresentare, per entrambe, un modo per aumentare la capacità della comunità internazionale di rispondere a sfide e problemi comuni che, nel mondo crescentemente interdipendente e multipolare di oggi, non possono prescindere da una cooperazione più intensa tra i principali attori globali. La collaborazione di Pechino e UE nel mantenimento della pace e della stabilità internazionale, per esempio attraverso le missioni di peacekeeping internazionale, così come nei settori dell’ambiente e dell’energia, sono un valore aggiunto fondamentale per il funzionamento della governance globale. Il cuore della relazione tra UE e RPC resta però la questione economica e commerciale. L’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel dicembre 2001 ha cambiato il mondo almeno quanto l’11 settembre. Da allora, la concorrenza della Cina ha mutato la geografia economica internazionale e il sistema economico cinese, ancora in transizione e sempre più competitivo anche nei settori ad alto valore aggiunto, è oggi al centro delle interrelazioni commerciali e finanziarie internazionali. Il ruolo della Cina nel salvataggio dell’euro nell’autunno del 2011 è indicativo dell’interdipendenza sinoeuropea, ma anche dell’interesse di Pechino per un sistema monetario, economico e politico internazionale che garantisca un ambiente globale stabile per la sua ascesa. Restano le divergenze, dure e reali, su temi fondamentali come quelli commerciali, con le controversie in sede di OMC per esempio sulle procedure anti-dumping intraprese dalla Commissione Europea, ma anche su questioni politiche come la tutela dei diritti umani in Cina e l’embargo sulle armi che l’Europa continua a mantenere nei confronti di Pechino. L’Africa può rappresentare, infine, un’area ad alta rivalità strategica che può mettere in crisi un rapporto finora estraneo alle questioni di sicurezza che invece minano, almeno potenzialmente, le relazioni della Cina con gli Stati Uniti. Queste dimensioni si legano a un’incertezza mondiale che, per entrambi, rappresenta la vera sfida da vincere nella costruzione di una nuova governance mondiale. Ulisse e Zheng He, così diversi e sotto molti aspetti impegnati in una competizione serrata, navigano negli stessi mari e cercano la stessa cosa: una rotta sicura verso il mondo nuovo. ∎

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L’EUROPA, LA CINA E IL DECLINO DELL’ORDINE INTERNAZIONALE Intervista a Luigi Bonanate * Professor Bonanate, che ruolo giocano secondo lei Unione Europea e Cina nell’attuale contesto di cambiamento dell’ordine internazionale? Non posso non partire dalla premessa per cui, a mio avviso, l’ordine internazionale è oggi totalmente in crisi, in una condizione di continuo declino e deterioramento. Questo processo è iniziato paradossalmente nel 1989, quando tutti credevamo che saremmo entrati nell’era della democratizzazione planetaria e della pace perpetua. A partire dalla guerra del Kosovo nel 1999, però, l’ordine è progressivamente declinato, attraverso vicende come l’11 settembre e le guerre in Afghanistan e Iraq. Questo ci dà l’idea di come i leader del mondo occidentale non avessero capito come stavano le cose, credendo che con la fine della Guerra fredda tutto fosse diventato semplice e che l’Occidente avrebbe potuto plasmare a piacimento il nuovo assetto mondiale. In questa prima fase la Cina è rimasta in silenzio, ma non stava certo dormendo. Essa non solo stava diventando una grande potenza economica, ma attuava una politica estera lucida, ragionata e lungimirante, mentre noi in Europa abbiamo continuato a pensare che i frutti potessero cadere dall’albero spontaneamente, che la semplice routine fosse una garanzia. I cinquant’anni seguiti alla seconda guerra mondiale avevano abituato i governi e le opinioni pubbliche a disinteressarsi alle grandi questioni di politica estera. Da noi non c’è dibattito, si è perso anche il senso dell’analisi e della riflessione sulla politica internazionale. Nell’interdipendenza attuale che vincola gli Stati non è possibile pensare di lasciare ad altri le riflessioni sull’ordine internaziona-

le. Gli europei hanno però dimostrato una totale ignavia, credendo “kantianamente” che il mondo non avrebbe potuto fare altro che migliorare. I cinesi nel frattempo si sono rimboccati le maniche e hanno sviluppato una politica estera nuova e sempre più assertiva. È bene tenere presente che i leader dei BRICS, i Paesi emergenti, hanno un’immagine del mondo completamente diversa da quella dell’UE o dei suoi Stati membri. Quali prospettive vede per il futuro dell’ordine internazionale? Io non sono molto ottimista, temo che stiamo costruendo un futuro molto brutto. Se guardiamo la storia e davvero questa può insegnarci qualcosa, possiamo notare come le grandi svolte storiche siano state determinate tutte da una

* Luigi Bonanate è professore emerito dell’Università degli Studi di Torino, dove ha insegnato per 40 anni Relazioni internazionali. Dal 2001 insegna Pace e ordine internazionale nella Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Dal 2010 inoltre è titolare del corso in Ordine politico europeo presso la Scuola di Studi Superiori dell'Università di Torino. È socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Suoi scritti sono stati tradotti in inglese, francese, spagnolo, portoghese e russo. Tra le pubblicazioni più recenti ricordiamo “La crisi. A vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino” (Bruno Mondadori, 2009), “Storia internazionale. Le relazioni tra gli Stati dal 1521 al 2009” (Bruno Mondadori, 2010) e “Undicisettembre. Dieci anni dopo” (Bruno Mondadori, 2011). © Europae - Rivista di Affari Europei

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N. 2 - Maggio 2013 grande guerra. Questa evenienza potrebbe anche non realizzarsi, dato che il mondo interdipendente di oggi è diverso da quello del 1600, com’è ovvio. Potremmo quindi trovarci di fronte alla fine della dominazione occidentale prodotta non da una guerra, bensì da un graduale spostamento dell’asse al punto da vivere, tra non molto, non più in un mondo dominato dall’Occidente, dall’Europa e dagli Stati Uniti, ma con il baricentro spostato in Asia. Il declino dell’Occidente potrebbe quindi dare vita all’ascesa dell’Oriente. Il nostro mondo occidentale ha sfruttato il mondo per cinque secoli. Adesso forse è finita.

ni: il giorno in cui questi cinesi chiedessero alla minoranza privilegiata l’eguaglianza all’interno della Cina, cosa succederebbe? Se ci fosse un sommovimento in Cina sarebbe una catastrofe. Io ho scritto per tutta la vita contro la teoria dell’anarchia internazionale, affermando che la realtà internazionale va analizzata a partire dal concetto di ordine, cercando di misurare di volta in volta quanto ordine sia presente nel sistema internazionale. Ho quindi sempre combattuto le teorie dell’anarchia, ma negli ultimi scritti ho sostenuto esattamente il contrario, perché si è entrati in anarchia provenendo da una condizione di ordine, seppure relativo. È successa quindi una cosa anomala: l'ordine ha prodotto disordine. E così adesso abbiamo anarchia crescente in tempo di pace: un vero paradosso!

L’Occidente e l’Europa possono fare qualcosa per invertire questa tendenza? Non saprei dire se è una cosa che si deve fare. Io non so se l’Occidente debba essere la parte dominante del mondo... Certamente dal punto di vista di dove siamo nati ci conviene sperare che le cose in Europa e in Occidente continuino ad andare bene, ma questo non è scontato. Non abbiamo un diritto di buona vita superiore a quello degli altri. L’ideale sarebbe che tutto il mondo fosse democratico ed equo, che è anche il sogno delle grandi teorie democratiche. Se ci fosse qui Kant direbbe, come ha scritto, che la storia dell’umanità è caratterizzata da un progresso continuo. Fino ad ora è stato così, ma siamo sicuri che questa sia una legge oggettiva e immodificabile? Non vedo nessuna ragione perché lo sia, tutt’al più posso sperarlo.

In questo contesto quale può essere il ruolo dell’UE, che allegoricamente abbiamo identificato con Ulisse, in un mondo che sembra più adatto alla gigantesca flotta di Zheng He? Se stiamo agli eroi greci della Guerra di Troia, l’Europa potrebbe anche essere Agamennone, forse un po’ sciocco, ma forte. Il problema di che cosa possa fare l’Europa riguarda la questione di cosa dovrebbe essere la soggettività dell’UE, che a mio parere dovrebbe essere quella del grande mediatore mondiale. Per le caratteristiche storiche e nobili dell’Unione, che sono tra l’altro quelle alla base del riconoscimento del Premio Nobel per la Pace e che ne fanno un gioiellino della storia internazionale, l’Europa poteva porsi come vera grande potenza pacifica del mondo, disarmata e senza ambizioni di potere, perché non ne ha bisogno: l’Europa resta il luogo dove si vive meglio al mondo. La civiltà della società europea può essere espressa anche nella natura civile, ovvero non militare, dell’UE, che avrebbe potuto porsi come grande propositore di soluzioni pacifiche. Finora, però, non l’ha fatto. Dopo i padri fondatori è sempre mancato un disegno universalistico. L’UE si è trasformata in un colosso economico, ma senza una vera capacità politica; è diventata una elefantiaca struttura burocratica con migliaia di persone che lavorano per l’Unione, ma che di fatto fanno pochissimo. Sul piano delle relazioni internazionali si fa poco o nulla. Pensate alla Siria: siamo a 70.000 morti e non stiamo facendo nulla.

Come si inserisce la Cina all’interno di questo quadro di debolezza dell’ordine internazionale? Negli ultimi vent’anni abbiamo visto che sono nate realtà che non consideravamo. Sapevamo che c’era la Cina, per esempio, ma abbiamo capito la portata della sua ascesa solo quando la sua forza economica e politica è esplosa. Oggi non è più un Paese comunista e non è un Paese totalmente capitalista, è una novità assoluta. Non ripete la storia dell’Occidente, né è l’Unione Sovietica rinata. Ha delle capacità straordinarie, ma un errore della Cina sarebbe un dramma per tutto il mondo. In Cina esiste una ricchezza sfrenata nelle grandi città, ma rimane quasi un miliardo di persone che ancora fanno i contadi© Europae - Rivista di Affari Europei

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L’EUROPA, LA CINA E IL DECLINO DELL’ORDINE INTERNAZIONALE Intervista a Luigi Bonanate L’Europa è ancora un gigante economico e un nano politico. Dal punto di vista della cultura politica l’UE ha enormi mancanze.

che la questione della posizione del baricentro del potere non è importante. Il problema non è se l’asse rimane centrato sull’Occidente, il problema è che tutto ciò possa fare vivere meglio. Oggi che siamo così interdipendenti se si fa vivere meglio un cinese e un uruguayano piuttosto che un italiano non fa differenza. L’importante è che si viva tutti meglio. ∎

Lo sviluppo di una cultura politica di attore della mediazione è possibile? Una simile eventualità può aiutare a tenere il baricentro del sistema internazionale più vicino all’Occidente? Se i giovani saranno più bravi di noi, sicuramente sarà possibile. Per quanto riguarda la seconda domanda, in spirito universalistico posso dire

Intervista a cura di Tullia Penna e Davide D’Urso

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L’UNIONE EUROPEA, LA CINA E IL TERZO INCOMODO: L’EUROPA AL BIVIO Unione Europea e Cina costituiscono due poli imprescindibili per la stabilità dell’ordine internazionale. Le relazione fra Pechino e Bruxelles si è approfondita nell’ultimo decennio, ma deve essere integrata con le scelte strategiche degli Stati Uniti nel Pacifico. A fronte del pivot to Asia dell’amministrazione Obama, l’Europa è chiamata a una scelta difficile: sviluppare una propria linea strategica nella regione o assecondare l’alleato americano anche a costo di indispettire Pechino.

Luca Barana

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l netto della crisi conosciuta negli ulti- nearne la rilevanza a livello internazionale, indimi anni, l’Unione Europea (UE) conti- candoli come interlocutori significativi e meritenua a rappresentare uno dei principali voli di un’attenzione particolare. La partnership poli economici e politici del sistema strategica costituisce però anche un mezzo atinternazionale. Pochi interlocutori, facilmente traverso il quale l’UE segnala la propria presenindividuabili, possono godere dello stesso peso za internazionale come un attore unitario, supegeopolitico, tra loro Stati Uniti e Cina. Se le rela- rando almeno formalmente le divisioni fra gli zioni transatlantiche affondano le proprie radici Stati membri. La partnership strategica con Pein decenni di alleanza politica e militare, il rap- chino dunque è mirata a ricercarne l’appoggio porto fra UE e Cina è andato approfondendo- nei fora multilaterali, ma costituisce anche un si solo negli ultimi anni. Nel frattempo, tale antidoto alla sindrome che attanaglia le relazioni relazione continua a mutare, assecondando la esterne dell’UE: quella di presentarsi come un crescente presenza di Pechino sullo scacchiere nano politico, a fronte di un peso economico e mondiale e riflettendo le croniche difficoltà commerciale di primaria importanza. dell’UE a presentarsi come attore univoco e coe- La partnership strategica ha dunque arricchito rente. un rapporto che già dal 1998 si fregiava di inBruxelles e Pechino sono chiamate a svolgere un contri annuali a livello di Capi di Stato e di ruolo cruciale negli equilibri dei prossimi decen- governo, che si tengono ancora oggi alla presenni, che non possono più, ammesso che mai lo za, per l’UE, del Presidente del Consiglio Europesiano stati, essere plasmati unilateralmente da o e di quello della Commissione Europea, appogWashington. Oggi, Cina e Stati Uniti sono di giati dall’Alto Rappresentante per gli Affari Estefatto costretti a collaborare, o comunque a ri e la Politica di Sicurezza. Recentemente, l’Alto confrontarsi costantemente. Riconosciuta dagli Rappresentante Catherine Ashton si è recata in stessi leader cinesi come la relazione bilaterale visita a Pechino per incontrare la nuova leaderpiù importante del XXI secolo, quella sinoamericana difficilmente potrà reggere da sola le La partnership strategica UE-Cina lanciata nel sorti dell’ordine internazionale. Ecco dunque 2003 è costituita da una complessa struttura che l’UE, ancora prima che potenze emergenti istituzionale con oltre 50 dialoghi settoriali. come Brasile e India, può ancora fornire un contributo prezioso per la stabilità e il benessere ship guidata dal Presidente Xi Jinping e gettare economico a livello internazionale. le basi per la sedicesima edizione del summit Le basi affinché l’UE possa rispondere a questa che si svolgerà nel 2013. Ricoprono una signifiambizione con successo sono state poste am- cativa importanza anche l’High Level Economic pliando e rafforzando i legami con Pechino. Si and Trade Dialogue, inaugurato nel 2008, e spiega così il lancio nel 2003 di una partnership l’High Level Strategic Dialogue, che, lanciato nel strategica che unisce UE e Regno di Mezzo. Lo 2010, ha contribuito ad «aumentare la comprenstrumento prescelto ha un significato politico sione, la fiducia e la cooperazione fra Europa e ben preciso: l’UE offre infatti questo riconosci- Cina». A latere degli incontri di alto livello, indimento ai propri partner privilegiati per sottoli- spensabili per garantire l’indirizzo politico della © Europae - Rivista di Affari Europei

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L’UNIONE EUROPEA, LA CINA E IL TERZO INCOMODO: L’EUROPA AL BIVIO Luca Barana

I LAVORI NEL CORSO DEL VERTICE UNIONE EUROPEA - CINA. PECHINO, FEBBRAIO 2012. (FOTO: EU COUNCIL)

partnership nei tre pilastri che la contraddistinguono (dialogo politico, dialogo economico e settoriale e vertici personali), si è ritenuto necessario costruire una significativa struttura istituzionale, fondata su incontri più frequenti. Così, dal 2003 a oggi, sono stati sviluppati più di cinquanta dialoghi settoriali, in materia, fra le altre, di commercio e finanza, questioni ambientali e di tutela di lavoratori e consumatori. Come dimostra la proliferazione dei vertici settoriali, la relazione fra Cina e UE si fonda certamente su interessi condivisi, soprattutto in ambito economico, dove i due attori condividono l’obiettivo di garantire la stabilità del sistema finanziario globale e la ripresa della crescita economica. Non è casuale che più volte negli ultimi anni la leadership della Repubblica Popolare abbia espresso preoccupazione per la crisi dell’eurozona, auspicando la ripresa di un mercato fondamentale per le esportazioni cinesi. Per questo motivo, come vedremo diffusamente nei prossimi articoli, Pechino ha fornito il proprio appoggio politico alla creazione dei fondi di salvataggio europei, a partire dallo European Financial Stability Facility, ed è intervenuta investendo con profitto in alcuni Paesi in crisi, come la Grecia. L’UE preme però per una maggiore responsabilizzazione della Cina nella gestione della governance globale. Da questo punto di vista, la posi-

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zione europea, almeno retoricamente, coincide con quella americana. Più in generale, il rapporto sino-europeo non può essere interpretato nella sua pienezza senza tenere in considerazione un terzo attore influente come gli Stati Uniti. All’inizio dello scorso decennio, la Cina supportava con forza il processo di integrazione europea, individuandovi le premesse per lo sviluppo di un nuovo attore sulla scena internazionale: un’UE davvero attiva e coerente in politica internazionale avrebbe potuto bilanciare il momento unipolare americano sorto a seguito della fine della Guerra fredda. Le difficoltà che il pro-

Per la Cina, un’UE attiva e coerente sulla scena internazionale avrebbe potuto bilanciare il momento unipolare americano. getto europeo ha incontrato nell’ultima fase storica hanno però offuscato tali prospettive. La Cina si esprime ancora a sostegno dell’integrazione del Vecchio Continente, ma è ormai pronta a dialogare alla pari con l’interlocutore americano. A questo proposito, risulta complesso interpretare il ruolo dell’UE alla luce della relazione bilaterale sempre più significativa fra Pechino e Washington. Guardando ad esempio alla svolta che il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha inferto ai rapporti con Pechino, la posizione

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N. 2 - Maggio 2013 europea appare particolarmente defilata. Dopo la parentesi dell’amministrazione Bush infatti, gli Stati Uniti sono tornati a considerare il Pacifico come il fulcro dei futuri equilibri globali. Così

Il pivot to Asia degli Stati Uniti sposta l’attenzione strategica di Washington lontano dall’Europa e preoccupa Pechino. si spiega il pivot to Asia, la scelta strategica più significativa compiuta dell’amministrazione democratica. L’analisi della revisione delle priorità strategiche americane necessiterebbe di un approfondimento ulteriore: in questa sede è sufficiente sottolineare come il pivot, fondato su misure quali il rilancio della base militare di Darwin in Australia o i crescenti legami con uno storico alleato della Cina come il Myanmar, abbia spostato ulteriormente l’attenzione strategica americana dall’Europa, teatro privilegiato della Guerra fredda, all’Asia. Inoltre, esso è stato accompagnato dal progressivo disimpegno statunitense dai teatri di Iraq e Afghanistan, dove Washington aveva goduto dell’appoggio di alcuni importanti partner europei, oggi in secondo piano rispetto al contesto del Pacifico. Pechino ha accolto con diffidenza i recenti sviluppi delle scelte strategiche di Obama, esprimendo un certo timore per una supposta manovra di contenimento da parte americana ai danni della Repubblica Popolare, un timore oggi rinfocolato dal crescente nazionalismo che la leadership sta cercando di utilizzare come nuova fonte di legittimità per il proprio potere. La Cina si esprime invece a favore della democratizzazione delle relazioni internazionali, in modo apparentemente paradossale per un Paese autoritario. In realtà, democratizzazione è sinonimo di inclusività: l’obiettivo cinese è quello di superare un ordine internazionale gestito da Stati Uniti e dai Paesi europei, a favore del riconoscimento del proprio rinnovato ruolo di grande potenza. L’UE rischia dunque di trovarsi in una condizione alquanto complessa. Pur non volendo apparire troppo schiacciata sulle posizioni americane, su alcuni dossier l’Europa è percepita a Pechino come un utile sostegno alle richieste di Washington. Un esempio è costituito dal mantenimento in vigore dell’embargo sulle armi, introdotto a seguito della repressione di Piazza Tienanmen nel 1989. Tale misura è stata spesso oggetto di dibattito. © Europae - Rivista di Affari Europei

La Commissione Prodi (1999-2004) ne aveva sostenuto l’abolizione, ma le pressioni americane hanno spinto l’UE a desistere. Pechino ha più volte sottolineato come l’embargo contraddica fortemente lo spirito della partnership strategica. Alcuni osservatori hanno poi notato come, a fronte del fallimento dei round negoziali multilaterali, nei prossimi anni saranno negoziati grandi accordi commerciali, che escluderanno la Cina. Ci si riferisce al Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) attualmente in fase di negoziazione tra Stati Uniti e UE, e al Trans-Pacific Partnership (TPP), che dovrebbe presto coinvolgere il Giappone ma non la Repubblica Popolare Cinese. Nel caso venissero completati, TTIP e TPP genererebbero un’area di libero scambio dal potenziale immenso, a cui la Cina non avrebbe accesso diretto, trasformandosi così in una leva negoziale non indifferente per Stati Uniti e UE.

Embargo sulle armi e area di libero scambio transatlantica: l’UE davanti al bivio strategico. L’UE fatica quindi a inserirsi nelle dinamiche internazionali che sempre più hanno il proprio centro nella regione dell’Asia-Pacifico. Questo accade in primo luogo perché, oggettivamente, l’UE non ha gli stessi interessi strategici di Washington in quel particolare contesto geografico. Tuttavia, se davvero l’Europa vuole rimanere un attore significativo a livello internazionale non potrà certo ignorare i rinnovati equilibri che spesso si misurano lontano dalle sue coste. L’approfondimento della relazione con la Cina risponde a questa necessità. Sono però i limiti dell’UE in quanto tale a pregiudicare queste ambizioni: le divisioni interne, la mancanza di una coerente visione strategica e, non ultime, le perduranti difficoltà economiche, rischiano di limitare le potenzialità dell’Europa. Tutto questo spiega anche la disillusione della Cina. Come in molti altri ambiti, l’Unione è chiamata a un salto di qualità in tempi brevi. Il mondo non aspetta.∎

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LA STORIA INQUIETA DI DUE GIGANTI La storia delle relazioni sino-europee non è mai stata semplice. Dall’epoca maoista e delle aperture di De Gaulle, però, molto è cambiato: la RPC è diventata una potenza economica e commerciale e l’Europa, arrivata al momento decisivo del suo processo di integrazione, è un partner commerciale decisivo. Ci sono tuttavia ancora molti elementi che potrebbero minare il rapporto fra Bruxelles e Pechino, dalla natura autoritaria della RPC alla mancanza di visione strategica dell’UE.

Giorgio Cammareri

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’Unione Europea e la Repubblica Popolare Cinese rappresentano due dei maggiori attori dell’ordine internazionale. Da un’analisi anche superficiale dei dati macroeconomici sono evidenti le proporzioni in cui va inquadrata la questione: essi rappresentano la terza e la prima economia al mondo e sono l’uno per l’altro rispettivamente il secondo e il primo partner commerciale, per un volume di interscambio che nel 2012 ha superato i 550 miliardi di dollari annui. Se la rilevanza europea può considerarsi un dato assodato, la crescita cinese (che per il popolo del Celeste Impero non rappresenta un’ascesa, ma un ritorno al posto di legittima spettanza) ha origini sensibilmente più recenti. Del resto, un Paese che ha tagliato il traguardo del miliardo di abitanti nei primi anni Ottanta e che è riuscito a mantenere una crescita CATHERINE ASHTON E IL MIN. DEGLI ESTERI CINESE WANG YI (EUCOUNCIL) del proprio PIL vicina al 10% per il trentennio in quello che, nella retorica nazionalista cinese, successivo può legittimamente aspirare ad un viene definito il “Secolo dell’Umiliazione”. Tale ruolo da protagonista sulla scena internazionale. periodo, che parte dalla firma dei “trattati ineIn quest’ottica, lo scorso aprile l’Alto Rappresen- guali” seguiti alla prima Guerra dell’Oppio tante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurez- (1839-42), combattuta tra Cina e Impero britanza dell’UE Catherine Ashton si è recato in Cina nico, segnò l’inizio di un’epoca di dominazione per una serie di incontri bilaterali con i vertici di imperialista da parte delle grandi potenze occiPechino: la Ashton ha intrattenuto colloqui con dentali e dell’odiato vicino giapponese, culminaYu Zhengsheng, quarto in grado nel Comitato ta nella Guerra sino-giapponese contemporaPermanente del Politburo (l’organo direttivo del nea al secondo conflitto mondiale. Secondo quePaese) e Wang Yi, Ministro degli Esteri. Nono- sta prospettiva, i soprusi e le umiliazioni inflitte stante non siano state prese decisioni sostanziali, si è comunque trattato di un’occasione impor- Le radici storiche dei problemi di relazione tra tante in quanto costituiva il primo vertice di alto Europa e Cina risalgono alla prima Guerra livello seguito al cambio di leadership nel Parti- dell’Oppio, inizio del “Secolo dell’Umiliazione”. to Comunista Cinese (PCC), avvenuto il novembre scorso. Instaurare un primo positivo punto al popolo cinese terminarono solamente nel di contatto rappresentava dunque una priorità 1949 con la fondazione della RPC di Mao Tseper entrambi, a causa della forte interdipenden- tung. Nonostante questa retorica continui a esza che lega le parti che, storicamente, spesso si è sere portata avanti dalla macchina di consenso accompagnata a relazioni poco amichevoli. del PCC, essa non costituisce un principio teso a Per individuare le radici di un rapporto così con- individuare un intrinseco “imperialismo malvatroverso si deve risalire alla tarda età moderna, gio” del mondo democratico liberale, ma una © Europae - Rivista di Affari Europei

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N. 2 - Maggio 2013 base di legittimazione per preservare il più possibile i tratti fondamentali dell’esperienza cinese, intesa come modello politico-economico. Il secondo dopoguerra non vide un’immediata riapertura delle relazioni tra gli Stati europei e Pechino, sia per ragioni interne, come i primi

troduzione graduale di elementi di economia di mercato all’interno di un sistema che manteneva un grado altissimo di statalizzazione, insieme all’istituzione di “zone economiche speciali” che garantivano vantaggi e condizioni favorevoli all’afflusso di beni e capitali esteri. Questa apertura pose le basi per il raggiungimento di un acPioniera nel riconoscere la RPC come la “vera cordo tra RPC e Comunità Economica Europea, Cina” fu la Francia gaullista nel 1964. Gli altri sancito nel gennaio 1985 con il Trattato di CooPaesi europei aspettarono l’apertura di Nixon. perazione Economica e Commerciale. Con il passare del tempo esso fu ampliato e affiancato passi del processo di integrazione europea o le da gruppi di dialogo politico riguardanti materie campagne maoiste di consolidamento del pote- come la governance economica, la sicurezza e la re, sia per dinamiche connesse alla Guerra fred- lotta ai cambiamenti climatici, oggi alla base da, prima fra tutte la questione di Taiwan, sco- dell’accordo di partnership strategica. I rapglio insormontabile ed emblematico della con- porti economico-commerciali tra i due attori trapposizione delle ideologie comunista e libera- hanno beneficiato dell’ingresso di Pechino le. Pioniera nel riconoscere la RPC come “vera nell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, Cina” fu la Francia gaullista, desiderosa di svin- avvenuto nel dicembre 2001, e paiono intravecolarsi dall’influenza statunitense e mantenere dersi margini per una collaborazione anche più lo status di preminenza regionale di cui storica- approfondita, laddove la Cina sembrerebbe intemente godeva. La normalizzazione dei rapporti ressata a un ruolo europeo più proattivo sulla bilaterali avvenne nel gennaio 1964. Il resto dei scena internazionale, capace di bilanciare le Paesi europei, più allineati alle direttrici di poli- proiezioni egemoniche statunitensi. tica estera statunitensi, dovette attendere la fase di apertura inaugurata da Nixon negli anni ’70 e Su molti temi, la Cina è interessata a un ruolo la definitiva presa di coscienza che un attore del- europeo più attivo sulla scena internazionale. le dimensioni economiche, politiche e demografiche della Cina non poteva essere escluso dalla Questioni di natura politica, economica e sociale comunità internazionale. L’Italia agì da battistra- rimangono però sul tavolo, ostacolando il proda (novembre 1970), seguita da Regno Unito gresso della cooperazione tra i due giganti. Pro(marzo 1972), Repubblica Federale Tedesca blematiche come la natura autoritaria di un regi(ottobre 1972) e dagli altri Paesi europei. me si riflettono nel controverso embargo occiL’atteggiamento maoista di apertura all’Occiden- dentale della vendita di armi a Pechino, seguite era ispirato dalla fase di rottura e contrap- to al massacro di Piazza Tienanmen, ma anche la posizione nei confronti del “revisionismo so- mancanza di una politica estera europea veracial-imperialista” sovietico, considerato l’anta- mente comune continua a limitare la capacità gonista primario al “proseguimento e al succes- d’azione internazionale dell’UE, così come il duaso della rivoluzione in Cina”. Secondo la teoria lismo tra intervento in difesa dei diritti umani e dei tre mondi, enunciata da Deng Xiaoping in principio di non ingerenza negli affari interni. Le un discorso alle Nazioni Unite del 1976, l’Europa accuse di dumping lanciate alle imprese cinesi del Patto Atlantico versava in una condizione di sono, come vedremo, motivo di scontro in ambisudditanza all’egemonia statunitense, che la to commerciale. Molti di questi temi sono di priesercitava in quanto superpotenza in condomi- maria importanza e attualità, e la maniera in cui nio con l’URSS. Quindi, in quanto “oppressa”, essi verranno affrontati avrà conseguenze pepoteva essere ritenuta un interlocutore adatto santissime sull’evoluzione e la stabilità dell’ordine internazionale. Entrambe le parti si trovano ad accogliere le istanze cinesi. davanti ad un set di opportunità e doveri e, in un Un vero processo di riforma e apertura della Ci- mondo sempre più teso ad un assetto multipolana fu intrapreso solamente da Deng, salito al po- re e caratterizzato da sfide incerte, hanno necestere nel 1978, due anni dopo la morte di Mao. Il sità di saperli interpretare al meglio delle loro programma di riforma denghista prevedeva l’in- possibilità. ∎ © Europae - Rivista di Affari Europei

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CINA: SFIDE E OPPORTUNITÀ PER LA POLITICA COMMERCIALE EUROPEA L’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001 ha cambiato il mondo. L’Unione Europea è oggi alle prese con una potenza commerciale estremamente competitiva che ha riplasmato la natura delle relazioni economiche internazionali. Con oltre 1 miliardo di euro di interscambio commerciale giornaliero, la relazione commerciale con Pechino è per l’Europa una dimensione fondamentale per il suo futuro. Sfide e opportunità sembrano ad oggi equivalersi.

Shannon Little

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all’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) nel 2001, la Cina è cresciuta enormemente sia in termini di prodotto interno lordo, sia soprattutto per quanto concerne la sua penetrazione nei mercati del mondo intero. La vasta manodopera a basso costo e l’efficienza di un apparato statale elefantiaco, ma dotato di un’ineguagliata capacità di mobilitazione delle risorse (forza lavoro, terra e capitale) ha permesso al Paese più popoloso del pianeta di conquistare vasti segmenti di mercato, inizialmente concentrandosi sui prodotti a bassa lavorazione tecnologica, spesso copiando semplicemente procedure già in uso nei Paesi sviluppati, poi diversificando le proprie esportazioni verso merci a più alto contenuto tecnologico, fino a produrre elettronica di consumo e attrezzi di alto livello, anche attraverso marchi domestici. La forza dirompente di questa espansione commerciale ha fatto della Repubblica Popolare Cinese la “fabbrica del pianeta”, generando un enorme surplus commerciale e gonfiando la sua banca centrale di valuta estera. Tutto questo ha ovviamente un impatto di grandissima rilevanza sulle relazioni politiche ed economiche tra Cina e Unione Europea (UE). In numerosi Stati membri, Italia inclusa, la concorrenza cinese ha finito per essere epitome dell’intero fenomeno della globalizzazione, spaz-

Il ruolo di grande potenza commerciale assunto della Cina ha cambiato profondamente le sue relazioni politiche con l’Europa. zando via numerose produzioni a basso contenuto tecnologico e mettendo alla luce tutte le fragilità di sistemi industriali tarati su un mondo diverso. Nel tratteggiare lo stato dell’arte, le © Europae - Rivista di Affari Europei

principali problematiche e i possibili sviluppi futuri delle relazioni economiche tra i due blocchi, non si può quindi che partire dal riconoscimento dell’importanza dei loro scambi commerciali: la Cina rappresenta oggi il secondo partner commerciale dell’UE dopo gli Stati Uniti, mentre l’Unione è il primo partner della Cina. Secondo la DG Commercio della Commissione Europea, i due partner scambiano oltre un miliardo di euro di beni e servizi al giorno, ed entrambi rappresentano la prima fonte

L’interscambio tra Europa e Cina è enorme: l’UE è il primo partner commerciale della Cina, che per l’Unione è seconda solo agli USA. d’importazione reciproca. Un dato per certi versi scontato per quanto riguarda l’UE, ma che indica una strada di possibile sviluppo economico mutualmente benefico se si considera come gli stessi cinesi stiano diventando clienti importanti, e spesso imprescindibili, per le imprese del Vecchio Continente. Le importazioni dell’UE dalla Cina sono soprattutto di prodotti industriali e di consumo quali beni strumentali, scarpe e abbigliamento, mobili, lampade e giocattoli; la Cina acquista dall’Unione veicoli a motore, aeroplani, prodotti chimici e beni strumentali. Gli scambi di servizi equivalgono ad appena il 10% dei volumi di scambio delle merci. Anche i flussi di investimenti mostrano che vi è un forte potenziale inespresso, in particolare considerando le dimensioni delle rispettive economie: la Cina rappresenta la meta di solo il 2-3% degli investimenti europei all’estero, e anche se gli investimenti cinesi in Europa stanno crescendo (si vedano i casi Volvo-Geely o dei Ferretti, storici produttori di yacht in Romagna), essi partono da una base ancora più bassa. La caratteristica più

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DELEGAZIONE CINESE ALLA RIUNIONE MINISTERIALE DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO. GINEVRA, DICEMBRE 2011. (FOTO: WTO)

evidente della relazione bilaterale è sicuramente il forte deficit commerciale dell’UE, dovuto sia alla struttura delle value chain a livello globale e in Asia, sia alla permanenza di forti restrizioni per quanto riguarda l’accesso al mercato del “Celeste Impero” nei più svariati settori. Nonostante la vasta portata degli scambi permangono diverse questioni spinose nelle relazioni commerciali tra i due attori. In particolare, per quanto riguarda l’UE, l’Ambasciatore in Cina Angelos Pangratis ha espresso nel giugno 2012 preoccupazione riguardo le politiche industriali e le misure non tariffarie discriminatorie attuate nei confronti delle imprese straniere. Il forte livello di intervento pubblico nell’economia, che porta ad una posizione dominante delle imprese statali e a un accesso diseguale a sussidi e credito e una protezione ed applicazione inadeguata dei diritti di proprietà intellettuale rappresentano altri elementi di preoccupazione per l’Europa. La Repubblica Popolare ritiene invece che l’Unione faccia un uso capzioso e protezionistico dei suoi strumenti di difesa commerciale (TDI), così come delle barriere non tariffarie, soprattutto quelle formalmente finalizzate alla protezione della salute dei consumatori. Nonostante © Europae - Rivista di Affari Europei

le critiche cinesi, il livello di apertura dei due mercati è però difficilmente paragonabile, così come la scrupolosità del sistema di difesa commerciale impiegato dall’UE (e attualmente in corso di revisione) non lascia dubbi circa le finalità dello stesso, ossia la protezione dalla concorrenza sleale da parte di un sistema economico come quello cinese, nel quale lo stato di diritto e la demarcazione tra pubblico e privato sono quantomeno incompleti.

Riguardo agli strumenti antidumping e antisovvenzione è opportuno segnalare un proliferare notevole di casi di alto profilo, primo fra tutti quello sui pannelli solari avviato nel settembre 2012, nei confronti della Cina, il Paese di gran lunga più coinvolto nelle indagini della DG Commercio. Quest’uso massiccio del sistema di difesa commerciale sembra riflettere una consapevolezza accresciuta da parte della Commissione del livello di interferenza dello Stato nell’economia cinese, che falsa la concorrenza al fine di ottenere all’estero una parziale riduzione delle perdite dovute alla sovrapproduzione che caratterizza diversi settori, a sua volta derivante dal sovrainvestimento degli ultimi dieci anni. Le

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CINA: SFIDE E OPPORTUNITÀ PER LA POLITICA COMMERCIALE EUROPEA Shannon Little sanzioni daziarie vanno poi ad incidere sui margini di profitto delle aziende statali o para-statali in Cina, strettamente legate al Partito Comunista tuttora saldamente al potere. Questo porta ad una recrudescenza di casi antidumping avviati con finalità a volte ritorsive nei confronti dell’industria europea. Per completare il quadro delle problematiche, l’intenso uso dello strumento di risoluzione delle controversie in sede OMC (soprattutto da parte dell’UE) è indice di una relazione difficile proprio su un terreno importante nel commercio come il rispetto delle norme multilaterali, che garantisce la fiducia dei governi circa la serietà degli impegni della controparte e la certezza del diritto per gli operatori. Questo panorama deve essere considerato alla luce del fatto che per l’UE le relazioni commerciali con la Cina si inseriscono nel contesto più generale di quelle politiche ed economiche tra le due aree, e lo stesso vale per la controparte. Considerazioni politiche, dimostrazioni di forza e calcoli strategici sul comportamento degli altri attori rilevanti a livello globale (su questa scala solo gli Stati Uniti e il Giappone) influenzano e indirizzano continuamente le azioni e le decisioni dei funzionari di politica commerciale, delle imprese e delle autorità pubbliche. Dal punto di vista dell’Unione, essa si impegna a mantenere l’apertura dei propri mercati verso la Cina, richiedendo in cambio commercio leale, rispetto degli obblighi OMC e dei diritti di proprietà intellettuale. A tali obiettivi si va aggiungendo quello di un vero accesso al mercato cinese, già vastissimo e con un forte potenziale di crescita per il benessere sempre più diffuso

Le relazioni UE-Cina sono messe alla prova dalle controversie in sede di OMC e dai dissidi sul tema dello status di economia di mercato. dei consumatori e per la semplice potenza demografica. Le difficoltà in tal senso sono notevoli: le regole OMC sono più efficaci nell’impedire discriminazioni tra partner commerciali piuttosto che nell’ottenere l’apertura di settori di mercato chiusi o, ancor meno, nell’adeguare le normative interne ed impedire il protezionismo non tariffario. Eppure è su questo terreno che si gioca il successo dell’industria europea nel conquistare mercati in crescita, soprattutto in una fase di recessione e di stagnazione della domanda sul mercato interno del Vecchio Continente. © Europae - Rivista di Affari Europei

Alcuni dati

Nel 2012 le importazioni di beni cinesi da parte degli Stati membri dell’UE hanno raggiunto un valore di 289,7 miliardi di euro. Lo stesso anno, le esportazioni europee di beni in Cina sono state pari a 143,8 miliardi. Il deficit commerciale dell’UE nei confronti della RPC è stato pertanto di 145,8 miliardi di euro.

Per quanto riguarda i servizi la situazione è ribaltata, ma i volumi sono molto più bassi. Nel 2011 l’UE ha esportato complessivamente in Cina 26,2 miliardi di euro in servizi importandone per 18,3 miliardi, realizzando così un surplus di 7,9 miliardi. (Fonte: European Commission, DG Trade)

Sullo sfondo, ma in rapido avvicinamento, vi è infine la questione del riconoscimento dello status di “economia di mercato” della Cina, che le regole OMC stabiliscono essere normalmente applicabile 15 anni dopo l’ingresso di un Paese nell’organizzazione (nel caso cinese, questo avverrà nel 2016). Sebbene diversi pareri giuridici sottolineino come questo riconoscimento non sia automatico, esso avrebbe ripercussioni importanti per quanto riguarda l’uso degli strumenti di difesa commerciale, e soprattutto per l’alto valore simbolico e politico di un simile riconoscimento, che in ogni caso l’UE assegnerà solo mediante le proprie leggi, molto rigorose a riguardo. I lobbysti cinesi a Bruxelles affileranno le armi per convincere Parlamento e Consiglio dell’avvenuta transizione ad un’economia di mercato, ma se l’Europa non si sarà ripresa da questa crisi (con il contributo decisivo della Repubblica Popolare) sarà per loro difficile anche solo farsi ascoltare dai rappresentanti delle istituzioni europee.∎

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LA CINA E L’EURO, DALLA CRISI FINANZIARIA A OGGI. ZHENG HE SALVERÀ ULISSE? La speranza che la Cina potesse intervenire finanziariamente in sostegno delle economie in crisi dell’eurozona è stata ventilata a lungo in Europa, specialmente da Madrid e Parigi. Pechino agisce però secondo calcoli politici ed economici ben precisi che mirano alla massimizzazione dei profitti e alla riduzione del rischio. La necessità di diversificare le riserve per limitare la dipendenza dal dollaro ha spinto la RPC a investire in Europa, con i rischi e i benefici che questo comporta.

Antonio Scarazzini

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ell’autunno 2011 l’Europa viveva tempi di referendum pro o contro euro, di governi in caduta e di spread in folle ascesa. Il Consiglio Europeo del 23 ottobre 2011 risultò essere dirimente nel caos della crisi dilagatasi dai cosiddetti “PIGS”, acronimo oggi caduto in disuso, ma in quei mesi largamente diffuso per descrivere Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna come epicentri di un terremoto finanziario deleterio per il resto dell'Europa. Nella governance economica europea facevano capolino nuovi potenti strumenti regolatori, quali il Semestre Europeo, il patto Euro Plus e il Six Pack, poi in realtà dimostratisi rimedi solo parzialmente efficaci. Era già all'opera, inoltre, lo European Financial Stability Facility (EFSF), il veicolo finanziario di emergenza intervenuto con diverse erogazioni a favore dei Paesi trovatisi nel pantano a causa di eccessivi deficit di bilancio o debiti pubblici incontrollati. Quattro giorni più tardi fu l'allora presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy a tirare in ballo un attore esterno: la Cina di Hu Jintao. Bastò una telefonata tra i due Capi di Stato per accendere il bailamme mediatico attorno alla partecipazione di capitali cinesi all'acquisto

Nell’autunno 2011, nel pieno della crisi finanziaria dell’eurozona, Nicolas Sarkozy chiese apertamente l’aiuto della Cina di Hu Jintao. dei titoli dei Paesi penalizzati da rendimenti in continuo aumento. Tali illazioni furono rese credibili dal comportamento più che accondiscendente mostrato nei mesi precedenti dai vertici cinesi verso le finanze pubbliche di Grecia, Portogallo e, su tutti, Spagna. Già a gennaio, l'ex vice -premier Li Keqiang aveva infatti annunciato l'investimento di 6 miliardi di euro in titoli del © Europae - Rivista di Affari Europei

tesoro spagnoli, una cifra pari a quella detenuta in titoli greci e portoghesi. Ma quella tra Madrid e Pechino è una “storia d'amore” tutta particolare, sui generis rispetto alle altre relazioni bilaterali intrattenute dalla Cina con i partner europei: nel mese di aprile, José Luis Zapatero tornò dalla visita ufficiale a Pechino con un consolida-

«La Spagna è il miglior amico della Cina in Europa». Pechino a sua volta detiene il 12% del debito pubblico spagnolo. to bagaglio di lusinghe - «la Spagna è il miglior amico della Cina in Europa» -, certezze (i 25 miliardi di titoli detenuti della Banca Centrale cinese, pari al 12% del debito spagnolo) e qualche promessa non mantenuta, come gli investimenti da 9 miliardi di euro annunciati e poi prontamente ritrattati dalla China Investment Corporation, uno dei fondi sovrani che articolano la longa manu del Dragone nel mondo. La telefonata tra Sarkozy e Hu seguiva, inoltre, dichiarazioni dell'ex primo ministro Wen Jiabao apertamente a favore dell'acquisto – con il senno di poi, è forse più corretto parlare di “non dismissione” – di titoli di debito pubblico dei Paesi europei e, dunque, del sostegno alla moneta unica nel primo momento di crisi della sua storia. Sarkozy fece così da apripista per Klaus Regling, il direttore dell'EFSF, quale ambasciatore della solidità e della appropriatezza dello Special Purpose Vehicle creato per convogliare nel fondo di emergenza i capitali di investitori esteri e fondi sovrani. Con una velata elemosina rivolta alle tasche del maggior creditore mondiale, l'Europa – si badi, quella degli Stati nazionali – chiamava così in causa il gigante emergente, dopo aver incassato la disponibilità del Fondo Monetario Internazionale alla ricapitalizzazione

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LA CINA E L’EURO, DALLA CRISI FINANZIARIA A OGGI. ZHENG HE SALVERÀ ULISSE? Antonio Scarazzini

La crisi finanziaria ha trasformato vecchie diffidenze e ostilità in palesi richieste di soccorso. Paradigmatico il caso della Grecia.

CANNES, NOVEMBRE 2011: IL PRESIDENTE FRANCESE NICOLAS SARKOZY ACCOGLIE IL VICE-PREMIER CINESE WEN JIABAO AL G20 (FOTO: FRANCEDIPLOMATIE)

dell'EFSF. Anche la Germania, che della Cina è il principale partner commerciale europeo – un'equivalente del migliore amico, con buona pace della Spagna – si spese nel difendere la solidità delle finanze europee. Eppure anche Angela Merkel tornò dalla visita a Pechino, nel febbraio 2012, senza garanzia alcuna, se non alcune generiche affermazioni di interesse per la salute della moneta unica. Qual è stata allora la ratio del ruolo assunto dalla Cina nella crisi dell'eurozona? La risposta sta tutta nelle dichiarazioni che, sempre in quel mese di febbraio, il vice ministro delle finanze di

del perfetto investitore, attento a massimizzare il proprio ritorno senza rischi eccessivi. Le ragioni economiche di tale comportamento sono presto evidenti: come noto, la Cina dispone delle più grandi riserve di valuta estera, arrivate nel 2012 a toccare 3,2 trilioni di dollari di cui 1,7 detenuti in titoli del Tesoro degli Stati Uniti. Un ammontare che ha contribuito a mantenere al minimo i tassi a lungo termine sul debito americano ma, al tempo stesso, sufficiente a portare la Cina nella cosiddetta “trappola del dollaro”. Detenere oltre il 23% del debito statunitense non è infatti bastato a Pechino per evitare che la Federal Reserve si lanciasse in una poliAl di là di complesse dietrologie geopolitiche, tica monetaria sfacciatamente espansiva, che Pechino ha vestito i panni del perfetto investi- ovviamente ha finito per rafforzare il cambio tore: massimizzare i ritorni senza troppi rischi. dello yuan sul dollaro, stimolando dinamiche inflazionistiche nell'economia cinese e riducenPechino rese ad alcune agenzie di stampa: «Gli do il valore delle riserve in valuta americana. investimenti commerciali cinesi in Europa sono continuati, secondo i criteri di sicurezza, solvibi- La diversificazione delle riserve si è concretizlità e adeguato ritorno degli stessi; la Cina ha zata come un'esigenza primaria dei vertici del supportato e supporta tuttora i Paesi europei Partito Comunista Cinese, esternata in più occanella crisi dei debiti sovrani, ma qualsiasi inter- sioni dall’ex premier Wen: l'euro è divenuto vento maggiore sarà veicolato esclusivamente quindi il primo target di acquisto e, non a caattraverso il Fondo Monetario Internazionale e il so, la quota di riserve detenuta in dollari è scesa fondo EFSF». Inutile articolare complesse die- nel 2012 al 54% dal 65% del 2010. La segreteztrologie geopolitiche, nella partita per il sal- za che ammanta i dati sulla composizione delle vataggio dell'euro Pechino ha vestito i panni riserve di Pechino impedisce di valutare l'entità © Europae - Rivista di Affari Europei

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N. 2 - Maggio 2013 degli acquisti, ma è certo il coinvolgimento della Cina nell'EFSF, che nella prima metà del 2011 aveva collocato in Asia (escluso il Giappone) tra il 14% ed il 24% dei 13 miliardi di euro complessivamente emessi. Ad oggi, circa un terzo delle riserve cinesi è detenuto in euro, una quota che permette alla Cina di evitare eccessive

Un terzo delle riserve cinesi è in euro, mentre l’EFSF ha collocato in Asia, Giappone escluso, tra il 14% e il 24% dei 13 miliardi emessi.

mentre Huawei più del 50% dell'italiana Fastweb) o dell'industria (acquisizioni di quote nei gruppi tedeschi Kion e Linde Hydraulics). D'altra parte, ignorare i risvolti politici dell'approccio cinese alla crisi europea sarebbe ingenuo: più volte, Pechino ha tentato di subordinare l'acquisto di debito all'ottenimento di alcune concessioni da parte del partner europeo, in primis il riconoscimento dello status di economia di mercato, l'allentamento di alcune tensioni commerciali (quali l'applicazione di misure antidumping sull'esportazione di pannelli fotovoltaici) o l'eliminazione dell'embargo sulla vendita di armi alla Cina – a proposito, quale leader europeo si era espresso favorevolmente già nel 2005? Proprio lui, lo spagnolo Zapatero – che vige dal 1989. Il sostegno all'euro, inoltre, è funzionale alla creazione di quell'equilibrio multipolare che, oltre a ridurre il peso relativo degli Stati Uniti, potrebbe porre le basi per una futura egemonia cinese. Facendo leva sull'Europa, la Cina ha più volte perorato la causa di una riforma del sistema monetario internazionale e, in particolare, del FMI che dell'egemonia del dollaro è l'esemplificazione. Sono obiettivi non troppo velati la revisione della ponderazione dei voti in seno al FMI o, addirittura, l'inserimento dello yuan nel paniere di valute che contribuisce a determinare il valore dei Diritti Speciali di Prelievo, l'unità di conto del Fondo che nel 2009 fu proposta come valuta internazionale di riserva proprio dal governatore della Popular Bank of China.

svalutazioni della moneta unica, giocando a difesa dei propri interessi commerciali. Una valuta europea sufficientemente forte rispetto allo yuan è la prima garanzia a difesa dell'export cinese, che nell'UE trova il suo primo mercato: ai Ventisette è stato infatti destinato nel 2011 il 9,5% delle esportazioni cinesi, pari a circa 256 miliardi di euro. La Cina tiene dunque all'Europa, ed alla sua moneta unica, nella misura in cui il Vecchio Continente continuerà ad essere il suo primo referente commerciale. Questo tuttavia non dovrebbe far dimenticare che la Cina in quanto investitore agisce con un preciso metro di giudizio: l'avversione al rischio. Così come l'incertezza mostrata dagli Stati Uniti nella gestione del proprio debito ha convinto a spostare le attenzioni dal dollaro all'euro, il periodico riacutizzarsi della crisi europea (ora in Grecia, ora in Spagna, ora in Italia) ha contribuito a raffreddare gli entusiasmi dei fondi sovrani e costretto il Dragone a richiamare all'ordine e alla stabilità nella gestione dell'eurozona. Ciò nondimeno, l'interesse dei Pechino ha tentato di subordinare l’acquisto capitali cinesi per l'Europa non ha cessato di in- di debito europeo a concessioni commerciali tensificarsi e, anziché dedicarsi al volatile mer- e politiche. Il pragmatismo regna sovrano. cato dei debiti sovrani, ha preferito concentrarsi sull'eccellenza del mondo corporate. Con una Una volta di più, è il pragmatismo a regnare sostrategia che ha molte assonanze con la graduale vrano nel metodo, tutto cinese, di costruzione apertura al capitale estero avviata negli anni '80 delle relazioni internazionali: l'Europa in balia da Jiang Zemin, volta all'accumulazione dell'ex- delle onde di piena della crisi ha cercato tra le pertise e del know-how necessario allo sviluppo braccia del Dragone un porto sicuro, un Ulisse cinese, le grandi imprese di Stato (State Owned stremato ha pensato di trovare in Zheng He un Enterprises – SOE) sono state protagoniste nel valido supporto. La flotta cinese è abbastanza 2012 di investimenti per 12,6 miliardi di dolla- vasta per issare a bordo qualche momentaneo ri, tramite partecipazioni in particolare nel set- passeggero e condividere con lui parte della rottore dei servizi (il fondo CIC ha acquisito il 7% ta. Fino al momento in cui questo non diventi di nel gruppo francese Eutelsat e 10% nella peso per una marcia più veloce. ∎ holding dell'aeroporto londinese Heathrow,

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BANCHE, INVESTIMENTI DIRETTI E AGENZIE DI RATING: LA CINA SBARCA IN EUROPA Il sistema bancario cinese ha conosciuto una profonda trasformazione dai tempi di Mao. Oggi, le banche cinesi svolgono un ruolo cruciale di sostegno allo sviluppo delle imprese, in patria e all’estero, spesso guidate dalle indicazioni dello Stato. La crisi finanziaria ha poi fornito alle istituzioni finanziarie della Repubblica Popolare un’occasione senza precedenti per penetrare nei mercati occidentali, trasformandosi agli occhi di un’Europa in crisi da una minaccia a un’opportunità.

Fabio Cassanelli

L

a Repubblica Popolare Cinese, nata il 1 ottobre 1949, ha compiuto una delle sue prime incisive riforme nazionalizzando l'intero sistema bancario e accentrandolo nella Banca Popolare Cinese (BPC), l'istituto centrale della Cina fondato già nel 1948. Per trent'anni, la BPC è stata l'unica banca operante all'interno del territorio cinese e ha svolto sia le funzioni della banca centrale, ovvero di controllo della politica monetaria, sia il ruolo di banca commerciale, erogando prestiti a cittadini e imprese. Con la morte di Mao Tse-tung e l'inizio delle riforme economiche di Deng Xiaoping, i vertici cinesi intuirono che per alimentare una crescita economica sostenibile la Cina avrebbe dovuto dotarsi di un sistema bancario più snello e meno accentrato. Per questo motivo nel 1980 la Banca Centrale Cinese venne privata delle funzioni commerciali e furono separate dall'istituto centrale le cosiddette Big Four: la Bank of China, la China Construction Bank, la Industrial and Commercial Bank of China e la Agricultural Bank of China. Uno degli obiettivi di questa decisione era

Nel 1980 Pechino ha scorporato le funzioni commerciali dalla Banca Popolare Cinese e le ha affidate a quattro istituti, le “Big Four”. innanzitutto quello di frenare la spirale inflazionistica causata da un settore bancario che immetteva moneta in ogni settore dell'economia senza alcuna intermediazione. Nonostante la riforma, a causa dell'alta crescita e dell'enorme dinamicità economica, alla fine degli anni ‘80 e alla metà degli anni ‘90 il tasso di inflazione si avvicinava pericolosamente al 30% annuo. Lungi dall’occu-parsi solamente del controllo dell’inflazione, il sistema bancario ha svolto un © Europae - Rivista di Affari Europei

importante ruolo di sostegno agli attori economici cinesi. Alle Big Four è stato infatti assegnato il compito di sviluppare le imprese cinesi, aiutarle ad internazionalizzarsi e di investire sui mercati internazionali. La strategia cinese è ben chiara: gli investimenti devono rispondere a precisi indici di profittabilità e contemporaneamente devono essere strategici, in settori dell'economia come infrastrutture, telecomunicazioni, energia ed industria. In Africa e in Sud America le campagne di Merger and Acquisition sono già a livelli molto avanzati e le banche cinesi sono già ad un buon livello di innesto nei gangli chiave dell'economia. Nel Vecchio Continente, invece, la strategia cinese degli investimenti è appena all'inizio. Fino al biennio 2005-2006 in Europa l'elevato prezzo delle quote azionarie e le politiche pubbliche fortemente basate sulla golden share (partecipazioni statali in settori strategici) hanno permesso una certa immunità dalla penetrazione cinese nei settori vitali. Il punto di svolta si è verificato nel 2006 con la quotazione nella borsa di Hong Kong della Bank of China, che ha raccolto complessivamente 11,2 miliardi di dollari. Il 75% è rimasto sotto il controllo del governo cinese, mentre un 10% è stato acquistato dalla Royal Bank of Scotland e dalla svizzera Ubs. L'anno successivo, nel 2007, la banca ha acquisito un pacchetto azionario pari al 20% della francese "Compagnie Financière Edmond de Rothschild Banque”, una società che ha consentito all’istituto finanziario cinese di accedere ai mercati mobiliari ed immobiliari francesi ed europei. La crisi finanziaria globale (2008-2009) e la successiva crisi dei debiti sovrani (dal 2010 ad oggi) hanno aperto la porta ad investimenti ben più massicci da parte del sistema finanziario cinese. L'endemica carenza di capitali da parte

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N. 2 - Maggio 2013 un’estrema sete di informazioni affidabili ed approfondite. Questo compito verrà indirettamente affidato ad una società relativamente giovane. “Non vale altro che la verità, il credito e l’imparzialità” recita la mission della Dagong Global Credit Rating, agenzia di rating cinese nata nel 1994 che mira ad insidiare il dominio delle classiche Standard and Poor’s, Moody’s e Fitch. La Dagong, oltre ad effettuare una valutazione dello stato di solvibilità degli Stati assegnando un giudizio che va dal massimo di A-1 al minimo di D (default), compie approfondite valutazioni di aziende e società quotate cinesi. Lo sbarco in Europa è avvenuto l’anno scorso,

LA SEDE DELLA BANCA POPOLARE CINESE A PECHINO (FOTO: PBOC)

dei governi dell’Europa meridionale ha talvolta trasformato le vecchie diffidenze, miste a velate ostilità, in richieste palesi di soccorso. Celebre il vertice sino-greco del giugno

Il ruolo della Dagong Global Credit, l’agenzia di rating cinese che è sbarcata in Europa.

quando la Dagong ha aperto la prima sede europea a Milano. La prima valutazione di rating di un’azienda europea è avvenuto invece alla fine del 2011, quando la Banca portoghese BES ha richiesto alla Dagong di formulare una valutazioCompany (compagnia mercantile e finanziaria ne ufficiale sul proprio stato di solvibilità. Il tutpartecipata dal governo cinese) che assegna a to va a sommarsi con l’apertura dei primi sporquest'ultima il controllo per 35 anni del Porto telli a Milano della Industrial and Commercial del Pireo per la cifra di 3,3 miliardi di euro. Un Bank of China, una della già citate Big Four. Sompiatto ricco per la Grecia, che ha ottenuto anche mando tutti gli elementi in possesso, probabilun programma di rilancio da mezzo miliardo di mente la Dagong costituirà un enorme supporeuro che ne triplica il volume di carico e scarico. to per la banche cinesi, anche al fine di valutaLa crisi finanziaria ha trasformato vecchie re al meglio i prezzi di acquisizione di partecipadiffidenze e ostilità in palesi richieste di soc- zioni in aziende europee. A onor del vero va detto che la società è stata enormemente lodata ancorso. Paradigmatico il caso della Grecia. che dalla stampa internazionale (soprattutto britannica e francese) per l’ottimo lavoro di apLa classica strategia cinese applicata fino ad alloprofondimento ed imparzialità finora svolto. Il ra nei soli mercati emergenti ha raggiunto così suo sbarco in Europa quindi deve essere visto anche i lidi europei. Il quotidiano britannico con enorme positività e non solo con timore, Daily Telegraph ha individuato in questa mossa poiché aumenterà in modo determinante la conil riflesso di una strategia cinese che mira a ricocorrenza nel settore delle valutazioni del credistituire la leggendaria via della seta, in modo da to. creare un enorme scalo diretto per le sue merci Le banche europee si muovono invece in terridirette in Europa. È facilmente ipotizzabile che torio cinese in quasi totale autonomia dalle stranei prossimi anni l’Europa continui ad essere tegie dei governi europei, che esercitano su di assetata di capitali ed investimenti: se il sistema esse un controllo assai più indiretto. Le quote finanziario e commerciale cinese continuerà ad pubbliche talvolta veicolate attraverso le fondaaumentare esponenzialmente i fondi destinati zioni sono molto spesso di proprietà di enti locaalle acquisizioni strategiche, questo tipo di opeli (ad esempio i Lander tedeschi o le province razioni diverranno presto molto comuni e diffuitaliane) che non mirano ad acquisire partecipase. Per realizzare tali obiettivi, la Cina non neceszioni chiave in settori strategici. sita di liquidità o capitali, di cui è già ricca, ma ha

2010, durante il quale sono stati firmati innumerevoli accordi commerciali. Uno dei più emblematici è stato il contratto tra il governo di Atene e la China Ocean Shipping

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BANCHE, INVESTIMENTI DIRETTI E AGENZIE DI RATING: LA CINA SBARCA IN EUROPA Fabio Cassanelli

LA BANK OF CHINA TOWER A HONK KONG (FOTO: WING, CREATIVE COMMOS)

Al contrario, la strategia fino ad ora perseguita dal sistema finanziario europeo è stata principalmente indirizzata verso il supporto alle imprese nello sbarco e nella conquista dell’immenso, ed enormemente in crescita, mercato cinese. Gli investimenti in partecipazioni di compagnie cinesi si sono sempre limitati all’acquisizione di piccole quote non determinanti per il controllo e, di conseguenza, sono sta-

Le banche dell’UE non rispondono a strategie governative, ma danno supporto alle imprese europee per l’ingresso nel mercato cinese. ti quasi esclusivamente la ricerca di un dividendo della crescita delle aziende. I principali sviluppi all’orizzonte dei sistemi bancari cinesi ed europei nei reciproci mercati appaiono dunque ben tracciati e possono essere riassunti in un’unica emblematica formula: crescita esponenziale. L’Europa necessita di capitali ed investimenti diretti, mentre la Cina mira a liberalizzare in breve tempo il mercato dei capitali in entrata, al fine di alimentare gli investi© Europae - Rivista di Affari Europei

menti internazionali denominati in yuan ed elevare la propria valuta allo status di moneta di riserva internazionale, in modo da aumentare il proprio prestigio nel mondo, limitare l’oligopolio del dollaro-euro e diventare ancor più determinante nei commerci internazionali. L’offerta di strumenti finanziari denominati in yuan è oggi fortemente limitata per gli investitori esteri al fine di mantenere sottovalutata la moneta ed incentivare le importazioni. L’unico problema è che tale condotta è concausa delle spirali inflazionistiche che da decenni sferzano il Paese. La Cina ha dichiarato che in futuro lascerà progressivamente fluttuare e quindi apprezzare lo yuan, così da dare slancio al mercato interno e frenare l’inflazione. Uno yuan forte permetterebbe inoltre alla Cina di avere un maggiore “potere d’acquisto” sui mercati internazionali nelle acquisizioni di partecipazioni denominate in euro e dollari. La globalizzazione è un processo inarrestabile e non deve essere visto con terrore, ma come una sfida da affrontare con slancio. La Cina sa cosa vuole e come ottenerlo. Tocca all’Europa sfruttare al meglio le opportunità che si presenteranno con l’apertura sempre maggiore del mercato cinese e una maggiore disponibilità di capitali in entrata. Questi ultimi se ben indirizzati potranno senz’altro rappresentare carburante per l’anemica crescita europea. ∎

LE (VERY) BIG FOUR Le “Big Four”, pilastri del sistema finanziario cinese, sono tra le banche più capitalizzate al mondo. Nella classifica rientrano tutte nella “Top 10”. La Industrial & Commercial bank of China è al primo posto con 233,6 miliardi di dollari di capitalizzazione. Al secondo posto troviamo la China Costruction Bank (207,6 miliardi). L’Agricolture Bank of China si trova in sesta posizione (142,9 miliardi di dollari), mentre la Bank of China, con 130 miliardi, si classifica nona. L’unico istituto finanziario dell’UE a figurare in tra le prime 10 è la britannica HSBC, che con 202,4 miliardi di dollari si classifica al terzo posto. Santander (17^) si ferma a 75 miliardi di dollari. Unicredit, la prima italiana, è in 51^ posizione con 30 miliardi di capitalizzazione. Il totale di capitalizzazione delle Big Four cinesi supera i 714 miliardi di dollari. Per fare un paragone, il totale della capitalizzazione delle prime 4 banche dell’UE non arriva a 400 miliardi.

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I COSTI DELLA NON EUROPA NELLE RELAZIONI ECONOMICHE E POLITICHE CON LA CINA Intervista a Marco Marazzi * Dottor Marazzi, quali sono secondo lei i costi politici ed economici delle divisioni interne all’UE nelle relazioni con la Cina e più in generale con le potenze emergenti? Quanto potrebbe valere, dal punto una maggiore unità dell’UE nella gestione delle sue relazioni esterne? Faccio solo alcuni esempi: quando il Commissario europeo per il commercio, Karel De Gucht, minaccia di imporre dazi anti-dumping sui pannelli solari cinesi sulla base di segnalazioni (peraltro abbastanza fondate) di aziende tedesche e un minuto dopo il cancelliere tedesco a Pechino dice che non c'è nessuna intenzione di imporre tali dazi, si danneggia l'immagine dell'Unione Europea (UE) e indirettamente quella della stessa Germania. Questo ha ricadute sulla percezione da parte del resto del mondo della reale forza politica della UE e quindi ha conseguenze anche economiche: la nostra controparte ha percepito che esistono divisioni all'interno della UE sul tema e si è messa in azione per indebolire o neutralizzare la proposta fatta da De Gucht. Ovviamente, può farlo perché ha accesso diretto alle cancellerie di tutti i Paesi dell’UE, ciascuno dei quali ha ancora un proprio servizio diplomatico. Vi immaginate il governo cinese che cerca di persuadere, che so, l'Alabama a bloccare un'iniziativa che si decide a Washington? Impossibile, ma in Europa succede. Faccio un altro esempio: quando, nell'ambito dell'obiettivo che si e' data di ridurre le emissioni di gas serra (una cosa di cui non beneficia solo l'Europa, anzi...), l’UE ha proposto di imporre una tassa sulle emissioni di CO2 degli aeromobili che servono città europee, le proteste sono state generalizzate, ma le più dure sono venute proprio dalla Cina, che ha quasi minacciato di boicottare l'acquisto di Airbus. La Francia corre subito a Bruxelles e la proposta cade quasi nel dimenticatoio. Ovvio, l'UE deve

tenere conto anche dei potenziali danni per un'azienda importante come l'Airbus, ma molti incluso il sottoscritto - pensano che se l'UE avesse deciso di andare avanti comunque o avesse risposto con forza ad ogni minaccia di boicottaggio, è molto improbabile che le linee aeree cinesi avrebbero smesso di comprare Airbus. L'alternativa è comprare aerei Boeing e le relazioni con gli Stati Uniti non sono affatto migliori. Con la decisione di cedere su questo punto abbiamo magari salvaguardato qualche ordine per l'Airbus (ovviamente, solo fino al prossimo "incidente diplomatico"...), ma abbiamo dimostrato che l’UE risponde alle pressioni di uno Stato membro e non è in grado di portare avanti fino in fondo le sue proposte. Se questo non ci danneggia politicamente, ditemi voi. Spostandosi alla Russia, negli ultimi anni - grazie anche alla posizione più dura assunta dalla Germania - c'è stata una dimostrazione di maggiore unità a livello politico, soprattutto quando vengono affrontati temi energetici. Il caso della Russia dimostra quali possono essere i frutti di una maggiore unità d'intenti nei rapporti esterni

* L’Avvocato Marco Marazzi è Secretary General dello European Federalist Party e Vice-Presidente del Partito Federalista Europeo in Italia. Ha vissuto in Asia per molti anni ed è stato vice-presidente della Camera di Commercio dell’Unione Europea a Shanghai dal 2009 al 2012.

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I COSTI DELLA NON-EUROPA NELLE RELAZIONI ECONOMICHE E POLITICHE CON LA CINA Intervista a Marco Marazzi dell’UE: quando la Commissione, con molto coraggio, ha aperto un'investigazione anti-trust contro il colosso Gazprom per abuso di posizione dominante in alcuni Stati membri, i tentativi di Mosca di aggirare l'ostacolo attraverso la negoziazione di un compromesso "a latere" con l'Italia, la Francia e la Germania non hanno dato risultati e la procedura - pur con tutti gli ostacoli frapposti da Mosca - va avanti. In considerazione di quanto detto finora e anche secondo quella che è la sua esperienza diretta, come viene percepita l’UE da parte cinese ? Quali aspettative si hanno in merito agli sviluppi dell’integrazione europea? Dal punto di vista ufficiale, almeno, i rapporti tra UE e Cina sono generalmente cordiali, ma questo è anche dovuto al fatto che la Cina non percepisce l'UE come un antagonista a livello geopolitico. I summit annuali finiscono spesso con dichiarazioni d'intenti e mutua amicizia che non convincono molto. Credo di sapere perché: negli anni passati in Asia mi sono reso conto che uno degli errori commessi dagli europei in genere, senza nessuna distinzione, è pensare che, siccome gran parte della storia recente dell'Estremo Oriente è stata influenzata da quella dell'Europa, il nostro continente sia sempre al centro delle considerazioni di questi Paesi. Ci sbagliamo di grosso. La percezione cinese dell'Europa è legata all'andamento della sua economia; se continua ad essere un mercato importante, se riesce a offrire ai propri cittadini quello che la Cina non riesce ad offrire, allora la percezione resta forte. Se invece perde colpi, se precipita nel caos (come la televisione cinese non manca di ricordare affastellando immagini di "indignados" in Spagna, Grecia e Italia) la percezione è che noi europei abbiamo sbagliato tutto e non abbiamo quindi nulla da insegnare agli altri. Dal punto di vista militare e geopolitico, poi, l'UE e anche Stati membri come la Francia e il Regno Unito contano molto meno dell'America. Uno degli episodi post-crisi che a mio avviso ci ha danneggiato maggiormente sono state le delegazioni dei vari Paesi UE che fioccavano a Pechino supplicando il governo cinese di comprare titoli dei Paesi europei in difficoltà. La stampa meno controllata dal governo ha reagito in maniera sintomatica e vicina ai pensieri della © Europae - Rivista di Affari Europei

gente comune: ma chi sono questi excolonialisti, che pretendono di darci lezioni in tutti i campi, dai diritti umani all'economia, che hanno 30 giorni di ferie l'anno (contro i 10 massimo in Cina), la settimana lavorativa corta, un sistema sanitario in gran parte gratuito (in Cina non lo è affatto) e poi vengono a chiederci i nostri soldi? È difficile non dargli ragione, visto che l'Europa avrebbe tutte le risorse per far fronte ai propri problemi se solo ci fosse volontà politica e ai cittadini venissero spiegate le alternative con molta chiarezza. Si sente spesso in Germania il discorso secondo cui una maggiore integrazione dell’UE non è strettamente necessaria neppure nelle relazioni con potenze come la Cina. Secondo lei queste ipotesi hanno fondamento? Questo è il discorso che fa Alternative Fur Deutschland (AfD), il piccolo partito che vuole spezzare l'Eurozona e che noi dello European Federalist Party contrasteremo con tutti i mezzi a nostra disposizione. Secondo AfD, alla rottura dell'Euro non seguirebbe quella della UE. Non penso però che a livello di forze politiche di governo in Germania ci sia questa percezione; penso invece che tutte si rendano conto che alla distruzione dell'unione monetaria seguirebbe anche quella della UE stessa. A quel punto, sarà impossibile coordinare le politiche commerciali dei vari Stati membri, per non parlare della politica estera. Sarà una corsa al ribasso, a chi accetta condizioni peggiori, non migliori. Questo sarebbe un disastro anche per la Germania e i cittadini tedeschi lo sanno bene: è vero che la Germania è il primo partner commerciale cinese tra i Paesi UE, ma è anche vero che non si può pensare che la Cina continui ad importare macchinari avanzati e automobili per sempre. La Cina ha tutta l'intenzione di specializzarsi in beni e prodotti ad alta tecnologia e ci sta riuscendo, anche imponendo alle aziende straniere, incluse quelle tedesche, di trasferire le tecnologie più avanzate come condizione d'accesso al mercato. La Cina considera tuttora la Germania un partner fondamentale solo perché ne ha bisogno per completare quel salto tecnologico. Quando l'avrà fatto, la Germania diventerà un partner molto meno rilevante.

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ULISSE E ZHENG HE

UNIONE EUROPEA E CINA SULLA ROTTA DEL MONDO NUOVO

N. 2 - Maggio 2013 Qual è stato e quale può essere il ruolo di un Paese come l'Italia nella promozione del proprio sistema economico? L'industria italiana è in un certo senso complementare a quella tedesca. Nel Nord Italia abbiamo realtà che dal punto di vista tecnologico non sono seconde a nessuno. L'Italia però soffre anche più della Germania della mancanza di una politica coordinata a livello europeo per esempio per quanto riguarda l'accesso al mercato in vari Paesi emergenti o già "emersi". L'Italia ha tutto l'interesse a promuovere una politica più coesa all'interno dell'Europa, quello “speak with one voice” che le migliaia di società europee che operano in Cina per esempio chiedono da anni. Sono anni che si parla di un accordo bilaterale sugli investimenti con la Cina e di mettere pressione sul dragone per l'apertura del mercato delle commesse pubbliche (che vale quasi un trilione di euro). Questi sono risultati che possono essere raggiunti solo se si dà un mandato univoco e preciso all'UE; nessun membro UE è in grado di esercitare da solo tale pressione. Dal punto di vista degli operatori economici, cosa potrebbe fare l’UE per aiutare la propria economia nella competizione globale, in particolare con la Cina? La strada del ricorso a strumenti di natura “protezionistica” o della svalutazione valutaria sarebbe utile secondo lei quantomeno nel breve periodo? Proprio qualche giorno fa il presidente della ArcelorMittal (il primo produttore d'acciaio nel mondo con moltissimi impianti in Europa) ha proposto di imporre dazi sull'acciaio cinese al fine di salvaguardare un'industria che nel nostro continente impiega ancora qualche centinaia di migliaia di addetti. In generale, non sono convinto che il protezionismo possa funzionare, perché innesca meccanismi simili nell'altro Paese e finisce per danneggiare tutti. Non si può decidere di

bloccare solo alcune merci e non altre, esistono delle regole precise nell’OMC (regole scritte in gran parte proprio da noi europei!) e che chiediamo agli altri di rispettare. Sono però convinto che le regole vanno utilizzate non solo per avere accesso ai mercati altrui ma anche per ostacolare quei Paesi che non le rispettano. E qui bisogna agire con fermezza e senza ritardi. Esistono casi di Paesi che interpretano le regole dell’OMC in maniera molto dubbia in alcuni settori o di fatto non le applicano. Nel caso della Cina tutti sanno che esistono settori in cui le industrie locali beneficiano di forti sussidi statali, incentivi e prestiti a tasso zero, proprio al fine di creare “national champions” che possano dominare i mercati internazionali. Si sa anche che il prezzo basso di alcuni prodotti come l'acciaio cinese è legato a sistemi di produzione molto più inquinanti. L’OMC ha delle regole che consentono di intervenire in questi casi. Vanno applicate,e su questo la Commissione non dovrebbe essere soggetta a pressioni degli Stati membri in un senso o nell'altro, ma fare solo l'interesse generale dell'Europa. Purtroppo, mi rendo conto che è difficile visto come viene gestita dagli Stati membri la nomina dei commissari europei. Per quanto riguarda la svalutazione, vorrei far notare che l'Europa esporta molto, ma importa anche molte delle risorse e materiali che servono alle nostre industrie, che diventerebbero più costose a fronte di una svalutazione: quindi va fatta un'analisi approfondita dei costi e benefici, che io non ho a disposizione. Di fatto, tuttavia, la recente progressiva rivalutazione della valuta cinese nei confronti del dollaro e l'aumento progressivo dei salari nelle zone industriali costiere della Cina ha già spinto alcuni gruppi industriali a spostare alcune produzioni destinate al mercato americano dalla Cina di nuovo in America. È possibile che lo stesso avvenga anche con Paesi come l'Italia o la Spagna, per esempio, se l'euro dovesse svalutarsi di più e i salari dovessero restare a questi livelli? ∎

Intervista a cura di Davide D’Urso

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IL TEMA DEI DIRITTI UMANI NELLE RELAZIONI TRA CINA E UNIONE EUROPEA Nonostante l’immagine di stabilità che la leadership intende trasmettere, la Cina è sempre più attraversata da disordini sociali. La repressione messa in atto dal Partito Comunista e lo stretto controllo sul web preoccupano l’Europa e la comunità internazionale. La politica di tutela dei diritti umani promossa dall’UE è indebolita dall’interdipendenza economica e commerciale la Cina, ma l’Europa deve ribadirne il valore, per riconquistare credibilità interna e internazionale.

Simone Belladonna

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on è certo un mistero che la Cina sia uno dei Paesi trainanti dell’economia mondiale. Lo è forse di più il fatto che a crescere non è solo il prodotto interno lordo (PIL) della Repubblica Popolare, ma anche i disordini sociali interni. Da circa due decenni a questa parte il malcontento si è diffuso nel Paese e il coperchio della pentola a pressione cinese sembra sempre più sul punto di saltare. I dati a sostegno di tale interpretazione sono piuttosto esplicativi: se negli anni Ottanta le manifestazioni pubbliche erano numericamente modeste, gli eventi di Piazza Tienanmen del 1989 hanno rappresentato una vera svolta. Nel solo 1993 si sono registrati 8.700 incidenti rilevanti, che sono decuplicati nel volgere di una dozzina d’anni, giungendo a 87.000 casi. Nel 2010 i dati – non ufficiali – resi noti dal professor Sun Liping della Tsinghua University, parlano di 180.000 episodi di protesta, con una media di 500 al giorno. L’Unione Europea (UE), dal canto suo, non può non seguire con attenzione queste dinamiche allarmanti. Innanzitutto perché il maggiore fermento sociale ha implicazioni sulla stabilità interna del Paese e porta a reazioni violente da parte delle autorità cinesi. Ciò ha riflessi non trascurabili sulla questione dei diritti umani, da anni ormai spina dei rapporti sino-europei. Da una parte l’Europa ha la necessità di rafforzare

Il governo cinese è alla prese con crescenti disordini sociali. Nel 2010 si sono verificati 180.000 episodi di protesta, 500 al giorno. le relazioni commerciali con il gigante asiatico. Dall’altra non può trascurare le pesanti violazioni dei diritti umani, che sono una delle pietre angolari dell’identità europea, oltre che il sotto© Europae - Rivista di Affari Europei

stante delle clausole di condizionalità che l’Unione fissa con i Paesi terzi (specialmente in Africa) e che, evidentemente, in Cina sono visti come una palla al piede sempre più pesante. Inoltre, l’UE, come ogni altro attore globale, deve tenere in considerazione la possibilità che la minore legittimità interna potrebbe orientare Pechino verso una politica estera più aggressiva, sia a livello regionale che globale, una dinamica ricorrente nella storia delle relazioni internazionali e che, per certi versi, sta già avvenendo in Cina.

L’UE non può ignorare l’instabilità cinese: una minore legittimità interna può orientare Pechino su una politica estera più aggressiva. I dati sulla drammatica esplosione del dissenso in Cina riportano subito alla mente gli eventi della cosiddetta “Primavera Araba”. Tuttavia le differenze tra quanto accaduto nei Paesi arabi e in Cina sono maggiori delle analogie. Le proteste nel Regno di Mezzo si presentano su scala spesso più ridotta. Inoltre si tratta di fenomeni perlopiù locali e decentrati rispetto ai maggiori centri del potere e che vedono protagonisti gruppi relativamente omogenei che vanno dai contadini, ai lavoratori migranti ai tassisti. Si tratta di differenze significative, ma la vera peculiarità dell’irrequietezza sociale cinese risiede nel fatto che le manifestazioni di piazza non nascono con lo scopo di rovesciare il regime: sebbene spesso la popolazione si scagli contro la diffusa corruzione dei gangli locali del Partito Comunista Cinese (PCC), sono in pochi quelli che lo fanno con l’intenzione di lavorare per un radicale sovvertimento dello status suo. Il vero obiettivo – per ora – rimane quello di avere maggiore partecipazione dal basso, nella speranza

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UNIONE EUROPEA E CINA SULLA ROTTA DEL MONDO NUOVO

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FEBBRAIO 2011: FOLLA DI MANIFESTANTI, GIORNALISTI E POLIZIA DI FRONTE AD UN MC DONALD’S DI WANGFUJING, A PECHINO. (FOTO: C.C./JERRYOFWONG)

che dall’alto arrivino risposte alle istanze sollevate. Uno dei casi più emblematici da questo punto di vista è quello delle proteste di fine dicembre 2011 a Wukan, un villaggio di pescatori di circa 13.000 abitanti nel sud-est della Cina. A Wukan i manifestanti hanno cacciato i rappresentanti del PCC e bloccato ogni via d’accesso al paese, dopo che l’11 dicembre uno dei loro rappresentanti era morto mentre si trovava sotto custodia della

azioni di protesta: conflitti sulla proprietà della terra e rapporto con i quadri del PCC. Le dispute sulla terra sono la principale causa di proteste con il 65% dei casi. Ciò è dovuto essenzialmente alle espropriazioni da parte dello Stato in nome di una crescita economica di una società che di “armonioso” ha solo l’aggettivo. Quanto ai rapporti fra i rappresentanti dello Stato e il cittadino, le dispute emergono dal sistema tributario del tutto squilibrato: la scelta di tornare al sistema centralizzato di riscossione nel Il caso emblematico della rivolta di Wukan: 1994 non è coincisa con una più equa ridistribuprotesta contro la corruzione, rivendicazioni zione delle risorse. I governi locali s’industriano infatti per trovare ogni sorta di balzello utile a terriere, ma fedeltà al PCC. rimpinguare le proprie casse, elemento che, polizia. Il dato più interessante di questo episo- combinato con l’alto tasso di corruzione dei fundio risiede nel fatto che la popolazione, nono- zionari locali del PCC e il sistema di valutazione stante l’aspra reazione, continuava a proclamare dei quadri del partito basato sulla crescita del la sua fedeltà al PCC tanto che a Wukan si pote- PIL, certo non favorisce la coesione sociale. Oltre vano leggere striscioni d’appoggio al partito an- a questi due fattori, va ricordata la sempre magche in inglese. Le richieste rimanevano dunque giore conflittualità sul posto di lavoro, con confinate a specifiche issues: punizione di fun- scioperi frequenti che coinvolgono soprattutto zionari colpevoli, devianti rispetto al PCC, e la l’esercito dei lavoratori migranti. Tra i casi più restituzione delle terre da questi espropriate. In eclatanti troviamo quelli negli stabilimenti della tale situazione le proteste appaiono configurarsi taiwanese Foxconn e della nipponica Honda. come parte del sistema piuttosto che una minac- All’aumento rapido delle mobilitazioni di piazza, cia, tant’è vero che gli episodi di più cruenta re- soprattutto nell’ultimo decennio, ha contribuito pressione si rintracciano in Tibet o nello Xin- poi la diffusione di internet nel Celeste Impero. jiang, ovvero laddove prevalgono moventi auto- I social networks hanno giocato un ruolo decisinomisti. vo in questo processo. creando quello spazio Il caso di Wukan è molto interessante anche per- virtuale per l’esternazione di specifiche espresché chiama in causa i principali moventi delle sioni di dissenso che le forme di partecipazione © Europae - Rivista di Affari Europei

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IL TEMA DEI DIRITTI UMANI NELLE RELAZIONI TRA CINA E UNIONE EUROPEA Simone Belladonna politica bottom-up a disposizione non sono in grado di per sé di indirizzare. I dati sulla diffusione del web sono strabilianti: se nel 2002 meno del 5% della popolazione cinese era online, nel giugno 2011 vi erano già 500 milioni di utenti, posizionando la Cina al primo posto nel mondo. Nel più grande mercato mondiale per telefoni cellulari, piattaforme di microblogging

Il governo cinese ha risposto alla diffusione di internet varando un grande sistema di controllo del web , il “Great Firewall”.

Comune, nella quale non si riscontra una chiara ed efficace strategia nei confronti di un Paese che, per molti degli Stati membri, rappresenta il primo partner commerciale. Questa lacuna deriva in una certa misura dalla scarsa conoscenza delle determinati della stabilità in Asia. La rapida crescita del settore militare e della sicurezza pubblica nel gigante asiatico è una delle variabili da studiare con più profondità, anche perché l’asimmetria informativa tra UE e Cina può portare quest’ultima a preferire la strategia del divide et impera nell’approcciarsi l’Europa. L’Unione non brilla certo per compattezza in quanto a politica estera ed è quindi auspicabile che acquisisca maggiori informazioni sulle possibili relazioni tra disordini interni e atteggiamento cinese verso l’esterno. La seconda ragione risiede nell’annosa questione dei diritti umani fondamentali violati in Cina. Spesso – vedi i casi del Tibet, delle Olimpiadi di Pechino 2008 e del premio Nobel a Liu Xiaobo nel 2011 – i cittadini europei hanno fatto sentire la propria voce in merito all’obbligo morale dei gli Stati europei e dell’Unione a non voltarsi

come Sina Weibo e QQ Weibo contano centinaia di milioni di utenti. Ad un aumento così clamoroso è corrisposto però un altrettanto mastodontico sistema di controllo del web, ribattezzato “Great Firewall” o “grande gabbia”. Non sono certo esagerazioni: si tratta di un progetto partito nel 1999 sotto l’egida di quello che oggi è il Ministero dell’Industria e dell’IT, capace di filtrare i siti esteri sgraditi e che, progressivamente, è arrivato a poter controllare e bloccare singoli contenuti personali pubblicati su pagine web e sui social networks. Il sistema può infatti intercettare messaggi che contengono parole L’UE deve sciogliere il nodo gordiano tra la “bannate”, rallentare o oscurare siti e anche promozione e la tutela dei diritti umani e il motori di ricerca del calibro di Google, come principio di non ingerenza negli affari interni. accaduto nel settembre 2002. Twitter, Facebook e Youtube non sono chiaramente ammessi e so- dall’altra parte. In poche parole va sciolto no sostituiti da compagnie di fiducia come Baidu l’intricato nodo gordiano a favore di una delle (motore di ricerca), Tencent (portale per servizi due opzioni: promozione dei diritti umani o internet) e Renren (il più popolare clone di Face- principio di non interferenza? Ovviamente la book). Al sistema lavorano migliaia di persone prima richiede la formulazione di una posizione che contribuiscono a determinare una vera e credibile, non percepita dal governo cinese come propria rete internet nazionale, smentendo la dogmatica o frutto di una carente informazione famosa affermazione di Bill Clinton secondo cui in merito. tentare di controllare il web in Cina sarebbe sta- Infine, rimane l’imbarazzante problema delle to come “inchiodare una gelatina Jell-O al muro”. tecnologie esportate dall’Europa in Cina e Per ora la gelatina sembra reggere benissimo utilizzate per reprimere il dissenso. Ciò fa alla forza di gravità. Il caso del premio Nobel Liu percepire l’UE come complice della violazione Xiaobo è emblematico: la sua dichiarazione con- dei diritti umani, minando le fondamenta della tro l’autoritarismo è tanto conosciuta fuori dalla sua legittimazione internazionale. L’opinione sua patria quanto sconosciuta all’interno. pubblica è ancora relativamente silente in meriCome si è brevemente cercato di dimostrare, to, ma non sarà sempre così, soprattutto se il quella che si appresta a diventare la prima eco- trend delle proteste continuerà a salire. Urge nomia globale soffre di ragguardevoli brecce quindi l’apertura di un dialogo sulla restrizione interne che l’UE – in quanto attore internaziona- all’importazione cinese di certe tecnologie e sole di primo piano – non può permettersi di igno- prattutto per stabilire un discrimine tra il legittirare per almeno tre motivi. Il primo richiama la mo mantenimento dell’ordine pubblico e formulazione della Politica Estera e di Sicurezza l’illegittima violazione dei diritti umani. ∎

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LA CINA COME “POTENZA RESPONSABILE” E L’INVESTIMENTO NEL PEACEKEEPING La Cina è uscita dall’isolazionismo dell’epoca maoista e oggi ambisce a divenire un attore globale. Per questo motivo, la Repubblica Popolare si assume crescenti responsabilità di peacekeeping. Le missioni cinesi rispondono comunque a calcoli politici precisi e difficilmente si pongono in contraddizione rispetto al principio di non interferenza. L’Europa può mitigare questo approccio tramite una cooperazione diplomatica e politica che riduca l’incertezza circa le scelte di Pechino.

Enrico Iacovizzi

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a grandi poteri derivano grandi responsabilità. La celebre frase nasce dalla mente del fumettista Stan Lee, ma probabilmente nemmeno il genio dell'artista statunitense immaginava che tale massima sarebbe diventata un leitmotiv niente meno che del Comitato Centrale del Partito Popolare Cinese (PCC). In prospettiva storica, la Cina è oggi l’attore più dinamico della scena internazionale. Se negli anni ’60 la giovane Repubblica Popolare Cinese (RPC) di Mao Tse-tung era chiusa in se stessa, ossessionata da una incombente quanto immaginaria guerra totale contro il capitalismo, dopo le prime aperture di Nixon e Kissinger e l’arrivo di Deng Xiaoping ai vertici del partito, Pechino decise di mettere da parte questa cultura assolutista, inaugurando un’era di apertura e riforme economiche che hanno recentemente permesso alla Cina di sostenere tassi di crescita a due cifre per diversi anni. Tale dinamica fu rafforzata col finire della Guerra fredda, quando il pensiero strategico cinese cominciò a spostarsi sempre più verso l’idea che gli interessi della Cina non potessero essere salvaguardati tramite l’isolamento, ma attraverso una maggiore presenza nella comunità internazionale volta non più a preparare una guerra totale, ma a promuovere un sistema internazionale stabile e pacifico.

Dalla preparazione della guerra totale contro il capitalismo, all’apertura e all’attivismo per la stabilità e la pace internazionale. Certo questo mutamento non è facile: la RPC, in tre decenni di isolamento, ha alimentato la diffidenza di numerosi attori, autorappresentandosi come un competitore ignoto ed imprevedibile, fonte di continua incertezza. © Europae - Rivista di Affari Europei

Nel duplice tentativo di abbattere questo muro di diffidenza e di occupare una posizione di rilievo nella comunità internazionale, la partecipazione cinese alle operazioni di peacekeeping gioca un ruolo essenziale, tramite cui la RPC cerca di mostrarsi come una “potenza responsabile”, che contribuisce attivamente alla stabilità del sistema internazionale. In questo modo la

La partecipazione della RPC alle operazioni di peacekeeping serve a Pechino per mostrarsi come una “potenza responsabile”. Cina può mostrare la propria forza attraverso un’angolatura positiva e chiarire al mondo che questa “rising power” non ha alcun interesse a generare caos nella comunità internazionale. Una strategia, questa, riassumibile nei cinque punti che Hu Jintao (ex-segretario generale del PCC) enunciò nel 2009: trasformazione profonda, mondo armonioso, sviluppo comune, responsabilità condivisa ed ingaggio attivo. In quest'ottica di responsabilizzazione, già nei primi anni ’90 la Cina avviò un dialogo costante con alcuni partner regionali quali Giappone, Vietnam, Russia, le due Coree, l’ASEAN, un dialogo esteso ulteriormente tramite la Shangai Cooperation Organisation (SCO). L'engagement della RPC assunse anche una dimensione globale e multilaterale nel campo della sicurezza, come confermato nel 2009 dal Tenente Generale Zhang Qinsheng, che definì quello di “espandere gradualmente gli scambi e la cooperazione con il mondo” e “rafforzare vigorosamente la creazione di contingenti di peacekeeping”, come un obiettivo fondamentale delle forze armate cinesi. Ad oggi, l’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) è il principale contributore alle operazioni di peacekeeping tra i membri del Consiglio di

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LA CINA COME “POTENZA RESPONSABILE” E L’INVESTIMENTO NEL PEACEKEEPING Enrico Iacovizzi

INGEGNERI E PEACEKEEPERS CINESI IMPEGNATI NELLA UNITED NATIONS-AFRICAN UNION MISSION IN DARFUR, UNAMID (FOTO: UNITED NATIONS)

Sicurezza ONU, con all'attivo uno storico di circa diritti umani. L’approccio della Cina si discosta 22.000 unità impiegate in 23 missioni. Nel marcatamente da questa concezione, basandosi dicembre 2012, 1.842 unità erano attive in 9 essenzialmente sulla difesa degli interessi nadiverse aree regionali. Di queste, 78 erano osser- zionali cinesi e sui vantaggi che il governo di vatori militari, mentre i restanti 1.764 erano in- Pechino può trarre da tali interventi. gegneri, personale medico e di trasporto. In base ai dati forniti dal Peacekeeping Affairs Office L’approccio cinese al peacekeeping si basa del Ministero della Difesa Nazionale Cinese, i sulla difesa dell’interesse nazionale e sui vancontingenti della RPC hanno riparato oltre 200 taggi che la RPC può trarre dagli interventi. ponti e 7.500 chilometri di autostrade, ricostruito numerose infrastrutture e curato oltre 50.000 Tra questi emerge innanzitutto il fatto che la pazienti. Sul mare, la Marina Cinese è impegnata partecipazione ad operazioni multilaterali offre regolarmente nel Golfo di Aden nelle operazio- alle forze armate cinesi un plusvalore tattico e ni anti-pirateria: al 2012 i vascelli cinesi hanno strategico significativo: gran parte delle forze scortato 4 navi del WFP e 2455 navi straniere, dell’ELP oggi attive hanno scarsa o nulla espetramite operazioni congiunte con le diverse for- rienza diretta sul campo e la partecipazione ad ze presenti nell’Oceano Indiano, tra cui la Fede- azioni internazionali è utile a colmare questo razione Russa, il Pakistan, gli Stati Uniti, la NA- gap, soprattutto se la Cina si impegnerà in manTO, la Corea del Sud, il Giappone, le Forze Navali dati più robusti. Tramite l'addestramento conCombinate e l’UE. giunto e le operazioni di peacekeeping, l’ELP ha Questo major engagement nelle operazioni di la possibilità di riportare in patria un valore agpeacekeeping, concentrato esclusivamente su giunto, soprattutto nel campo delle MOOTW, le operazioni non prettamente legate al warfa- operazioni militari diverse dalla guerra. re, potrebbe a prima vista essere paragonato Per meglio comprendere la Realpolitik cinese agli schemi strategici europei, ma in realtà non nel settore basta inoltre osservare il comportapuò assolutamente essere assimilato a questi mento della Cina di fronte a quei casi internazioultimi: le missioni PSDC dell'UE sono inquadra- nali che hanno coinvolto le relazioni con Taite in precisi quadri giuridici che impongono vin- wan. Nel 1997 la RPC non rimosse il proprio coli inamovibili (missioni di Petersberg, compiti veto alla missione di peacekeeping MINUGUA di Santa Maria de Feira) ed i loro obiettivi sono fino a che il governo guatemalteco non rinunciò sempre strettamente legati alla protezione dei a supportare il reintegro di Taiwan nell'ONU. © Europae - Rivista di Affari Europei

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N. 2 - Maggio 2013 Successivamente, nel 1999, oppose un veto alla missione UNPREDEP in Macedonia, che aveva da poco riconosciuto formalmente l’indipendenza dell’isola asiatica. Tale atteggiamento deriva dalle due tendenze, talvolta contrapposte, del rispetto del principio della sovranità nazionale contro quello della responsible power. A causa di numerose questioni territoriali, tra cui il Tibet, Taiwan e lo Xinjiang, la Cina è costretta a valutare la propria partecipazione agli interventi internazionali in maniera selettiva, dal momento che ogni missione potrebbe rappresenta-

rante nella sua volontà di applicare il proprio modello normativo e valoriale all’intero sistema internazionale (Zhang Haiyang, generale e commissario politico del II Corpo di Artiglieria dell’EPL). Tali differenze non implicano tuttavia che la cooperazione UE-Cina sia impossibile. L’attuale situazione geopolitica è anzi favorevole ad un avvicinamento tra UE e Regno di Mezzo. Già da alcuni anni, sia l’UE che i singoli Stati membri hanno rafforzato la cooperazione bilaterale nell’am-bito della soft-security, spaziando dal dialogo politico e strategico (Dialogo StrategiLa Cina valuta la partecipazione alle missioni co UE-Cina) alla diplomazia militare, alle eserciin maniera selettiva per non violare il princi- tazioni ed agli addestramenti congiunti. In generale questo tipo di cooperazione potrebbe propio di non-intervento e quello di sovranità. seguire attraverso forum formali inerenti situare una violazione dei principi di non-intervento zioni di comune interesse (Corno d’Africa, Afe integrità territoriale. Per queste ragioni la RPC ghanistan) e tramite il rafforzamento della cooritiene il consenso del Paese ospite un prere- perazione militare nelle MOOTW e del dialogo quisito indispensabile a qualsiasi tipo di inter- con altri attori internazionali, Unione Africana in vento. Al principio di non-intervento si ricollega primis. Queste attività apporterebbero un valoanche il fatto che la Cina abbia fino ad oggi per lo re aggiunto ad entrambe le parti e al sistema più utilizzato il proprio personale militare per internazionale nel suo complesso: la Cina poazioni che non implicano l’uso della forza: in trebbe approfittare dell’expertise militare euroquesto modo è stata in grado di preservare pres- pea ed occidentale ed arricchirebbe la propria so i Paesi ospiti delle operazioni l’immagine di presenza internazionale, rafforzando al contemun Paese amico, responsabile, un partner nella po la propria immagine di potenza responsabile. ricostruzione che non mira a interferire con gli La cooperazione UE-Cina sarebbe benefica affari politici interni. Questo approccio peace-oriented non è dunque per entrambe le parti e per il sistema internaestraneo a calcoli opportunistici da parte di zionale e le Nazioni Unite nel loro complesso. Pechino, che anzi sta riuscendo a sfruttare in maniera eccellente lo strumento del peacekee- Dal canto suo, l’UE farebbe ampi passi avanti ping per preservare i propri interessi aggirando verso il rafforzamento delle Nazioni Unite una delle critiche principali che viene invece (uno degli obiettivi principali della European mossa contro l’UE, quella di paternalismo. Security Strategy), potrebbe ottenere un magCome già evidenziato nell’articolo “L’Unione Eu- giore grado di trasparenza da parte della Cina ed ropea negli occhi dell’Africa” (A. Condello, in particolar modo da parte dell'ELP, e ridurrebL’Unione Europea e la nuova corsa all’Africa, Eu- be il grado di incertezza che continua comunque ropae - Rivista di Affari Europei, n. 1, Aprile a caratterizzare i rapporti tra Pechino e le prin2013), l’UE fatica a cancellare quest’impronta cipali potenze occidentali. In ultimo, questa coodalla propria azione esterna e questo aspetto è perazione potrebbe avere interessanti risvolti ben noto al gigante asiatico: parte dello stesso nel continente africano: interventi concertati establishment accademico cinese ritiene che i- con l'ONU e la Cina in Africa (dove Pechino ha dentificare i valori europei con i valori univer- numerosi legami con diversi governi) permettesali sia “illogico” (Hong Yousheng, professore di rebbero all'UE di ridurre il carattere culturalstoria presso l’Università di Nanchino), visione mente relativista e neo-imperialista che numeulteriormente inasprita da coloro che sottolinea- rosi partner "deboli" dell'UE lamentano in un'ano come l’immagine normativa dell’UE si tramu- rea che è invece considerata dall'UE come la reti spesso negli occhi dei terzi come una forza gione strategicamente più significativa a livello imposta, addirittura neo-imperialista ed intolle- globale. ∎ © Europae - Rivista di Affari Europei

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IL PIVOT EUROPEO VERSO L’ASIA: LA COOPERAZIONE AMBIENTALE UE-CINA Il pivot europeo verso l’Asia si fonda anche sull’approfondimento della cooperazione ambientale. Cina e UE hanno sviluppato una partnership credibile in questo settore, promuovendo l’assistenza tecnica e il finanziamento di progetti concreti. Rimangono però degli ostacoli: i contrapposti interessi commerciali rischiano infatti di minare la tutela dell’ambiente. La speranza è che la techno-diplomacy europea trovi un riscontro positivo nella nuova sensibilità della leadership cinese.

Tullia Penna

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l 15° vertice UE-Cina, tenutosi a Bruxelles nel settembre 2012, costituisce uno dei più recenti sviluppi di quello che molti analisti hanno definito il pivot europeo verso l’Asia. Iniziato nello scorso decennio, il pivot europeo si distingue da quello statunitense perché incentrato su aspetti di soft power, economici e ambientali più che strettamente militari. Proprio per questo aspetto Bruxelles ha conqui-

Il pivot europeo verso l’Asia si distingue da quello americano perché incentrato su aspetti di soft power economici e ambientali. stato più interlocutori di Washington tra Pechino e il Segretariato dell’ASEAN, riuscendo a instaurare un dialogo in settori strategicamente non secondari rispetto a quello delle alleanze militari. Nel settore ambientale l’UE e la Cina hanno stabilito una collaborazione sulla lotta al cambiamento climatico sin dal summit del 2005, focalizzando la loro attenzione sullo sviluppo di tecnologie a carbone a “emissioni zero”. Le tecniche utilizzate sono le CO2 Capture and Storage (CCS), basate cioè sulla cattura di CO2 dai gas prodotti dai combustibili, la successiva compressione e lo stoccaggio permanente in formazioni geologiche profonde. La discussione scientifica e politica in materia è tuttora accesa, ma resta il fatto che simili tecniche sono tra le più avanzate a livello globale nella transizione verso una lowcarbon economy (LCE). Nel febbraio 2012 un altro vertice ha costituito l’occasione per la costituzione di una nuova partnership UE-Cina in tema di sviluppo urbano sostenibile; in quest’ottica nel settembre scorso è stato convocato il primo Forum dei sindaci per la ricerca di soluzioni comuni ai proble© Europae - Rivista di Affari Europei

mi della fornitura e della gestione dell’energia, della gestione dei rifiuti, della mobilità e della qualità della vita nelle metropoli. In questi settori, sin dal 2010, due sono i centri di ricerca che garantiscono la cooperazione fattuale: l’Europe-China Clean Energy Centre a Pechino e il China-EU Institute for Clean and Renewable Energy a Wuhan. I risultati prodotti da questi poli sono stati posti a fondamento del più recente summit che ha rilevato quanto continui a essere vitale l’esigenza di una stretta cooperazione, stanti anche i dati diffusi dall’International Energy Agency (IEA) secondo i quali sia l’UE che la Cina entro il 2030 dovranno importare la maggior parte del loro fabbisogno di petrolio. Le parti in causa (che insieme costituiscono circa il 32% del consumo di energia e il 35% di emissioni di CO2 a livello globale) hanno dunque un’ambizione comune: sviluppare politiche energetiche basate su fonti rinnovabili e contrastare gli effetti del cambiamento climatico in un breve lasso di tempo.

UE e Cina hanno ambizioni comuni in ambito energetico e ambientale: sviluppo di fonti rinnovabili e lotta al cambiamento climatico. La partnership UE-Cina nel settore energetico e ambientale non si concretizza solo in attività di tipo tecnico, ma anche in un cospicuo finanziamento da parte delle istituzioni europee, che ha contribuito a evitare che Pechino non distogliesse negli anni l’attenzione dagli obiettivi comuni. A tal proposito Chatham House ha analizzato i dati della Commissione Europea stimando che gli investimenti europei nel periodo 20052008 ammontassero a circa 292 milioni di euro, tuttavia sottostimati se si considera che molti progetti non sono ufficialmente registrati come

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PECHINO, FEBBRAIO 2012: IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO HERMAN VAN ROMPUY E L’EX PREMIER CINESE WEN JIABAO (FOTO: EU COUNCIL)

“cooperazione” e perciò non sono presi in considerazione. A fronte di un simile impegno, occorre rilevare come la Cina abbia dato prova di un’incredibile capacità di emulazione delle politiche ambientali europee, accorciando sempre più negli anni il tempo necessario per l’adeguamento agli standard stabiliti. Inoltre, la coopera-

Ciononostante la partnership nel settore rischia di subire una grave battuta d’arresto, stante la rivalità in ambito commerciale che caratterizza le relazioni tra l’UE e la Cina. Basti considerare la denuncia sporta dalla Cina all’OMC il 5 novembre scorso contro l’UE, contestando le sovvenzioni concesse a Grecia e Italia per l’industria del pannello solare. Tali sovvenzioni violerebLa Cina ha dato prova di incredibile capacità bero secondo Pechino la clausola di trattamento nazionale dell’OMC, secondo cui un Paese non di emulazione delle politiche ambientali UE. può discriminare tra prodotti e servizi nazionali zione UE-Cina nel settore ha richiamato l’atten- ed esteri, danneggiando perciò illegittimamente zione dei grandi imprenditori cinesi, soprattut- le esportazioni cinesi nel settore. to nel contesto del Clean Development Mecha- Costituisce opinione diffusa l’ipotesi che la denism (CDM) previsto dal Protocollo di Kyoto. Il nuncia sia stata una reazione all’inchiesta meccanismo si fonda sull’equipollenza tra la ri- antidumping che la Commissione Europea ha duzione di emissione di gas serra in un Paese in avviato nel settembre scorso per accertare via di sviluppo e i crediti di emissione (CER) ri- l’esistenza di dumping cinese nel settore della conosciuti all’autore del progetto (un ente pub- produzione dei pannelli solari. Dal 2011, infatti, blico o un privato) che ha consentito la riduzione. I benefici derivanti da questo circolo virtuo- Lo scontro commerciale sulla questione dei so sono stati catalizzati dagli accordi conclusi tra pannelli solari rischia seriamente di minare la Bruxelles e Pechino, con la conseguente creazio- partnership nel settore ambientale. ne di uno stabile mercato dei CER. Inoltre, l’Europa a Quindici del Protocollo di Kyoto è sta- il 40% delle inchieste antidumping della Comta favorita nel raggiungimento degli obiettivi missione ha riguardato compagnie cinesi che dello EU Emissions Trading System (EU ETS), hanno esportato in UE, solo in quell’anno, panil primo e, ancora attualmente, più grande mer- nelli solari e loro componenti per un totale di cato di scambio di permessi per l’emissione di circa 21 miliardi di euro. Gli esiti di queste ingas serra. dagini saranno disponibili solo l’anno prossimo, ma nel mentre gli Stati Uniti sono corsi ai ripari © Europae - Rivista di Affari Europei

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IL PIVOT EUROPEO VERSO L’ASIA: LA COOPERAZIONE AMBIENTALE UE-CINA Tullia Penna imponendo dazi doganali (che variano dal 31% sizione verso una LCE a livello internazionale al 249%) sui pannelli cinesi. Inoltre i Paesi non tollerano di buon grado il fatto che le istitumembri dell’UE faticano sempre più a legittima- zioni europee tentino di dissimulare il proprio re di fronte all’opinione pubblica le politiche di pivot squisitamente politico in Asia, ammantancooperazione con il Paese della seta sia per il dolo di intenzioni prettamente ambientaliste. Le timore di favorirne ulteriormente la crescita e- critiche sono evidentemente fondate, ma nessuconomica, sia per l’assenza di tutela dei diritti L’UE è accusata di dissimulare il proprio pivot umani. Secondo alcuni, già la Conferenza ONU sui squisitamente politico ammantandolo con Cambiamenti Climatici svoltasi nel 2009 a Co- intenzioni prettamente ambientaliste. penaghen avrebbe messo in luce quanto i rapporti tra Cina e UE in tema ambientale siano na transizione potrà avvenire senza finanziacompromessi da ragioni squisitamente economi- menti congiunti a obiettivi condivisi e, conseche e come la cooperazione in materia non possa guentemente, la demonizzazione del profitto garantire all’UE quel ruolo politico nell’area economico o politico nel settore ambientale asiatica al quale ambirebbe indirettamente. non può portare ad alcuna soluzione concreta. Nell’anno passato le tensioni sono andate au- Un aspetto positivo è però riscontrabile già atmentando, così Stati Uniti e UE hanno accusato tualmente: la Cina già da diversi anni ha reala Cina di imporre misure restrittive illegitti- lizzato l’incompatibilità del proprio modello me all’accesso di compagnie private ad alcune di sviluppo con un’economia vincente. Ogni materie prime assai rilevanti. Si tratta, a livello anno infatti il PIL è danneggiato dai danni amglobale, del 97% di c.d. rare earth e del 79% di bientali (in termini di sanzioni) e dal consumo c.d. rare magnets: due categorie di elementi chi- intensivo di materie prime. Inoltre la classe memici indispensabili per la realizzazione di super- dia ha ormai sviluppato una coscienza forte in conduttori, fibre ottiche e altri dispositivi tecno- materia ambientale e di qualità della vita, costilogici. tuendo un’opinione pubblica solida, per quanto mediata dal sistema. Infine, il governo cinese La Conferenza di Copenaghen ha messo in lu- non è del tutto cieco di fronte alle proprie rece come i rapporti UE-Cina sui temi ambienta- sponsabilità globali e ha anche individuato li siano compromessi da ragioni economiche. quali e quante opportunità commerciali vi siano nel settore dello sviluppo sostenibile. Non tutte le speranze devono però ritenersi per- Stante l’opinione più condivisa in merito alla dute. La nuova strategia dell’UE è infatti quella natura essenziale dei prossimi 5 anni per la credi garantire agli Stati membri profitti diretti da- azione di una LCE, risulta quindi indispensabile gli investimenti rivolti al settore ambientale nel- auspicare che la partnership UE-Cina subisca la cooperazione con la Cina. La partnership fon- una metamorfosi strutturale attraverso l’approdata nel 2012 per uno sviluppo urbano sosteni- fondimento della c.d. techno-diplomacy. bile ne è la dimostrazione: l’UE ha imposto alla Quest’ultimo aspetto si è rivelato in tutta la sua Cina gli stessi standard che i Paesi membri do- importanza al summit del settembre scorso, vranno rispettare nel settore edile, cioè il settore quando il Ministro per le Politiche Ambientali con più emissioni di CO2. L’approccio europeo cinesi Zhou ha definito l’UE il partner più imporè dunque più spregiudicato rispetto al passa- tante nel settore. I traguardi raggiungibili dalla to e mira al conseguimento di obiettivi con- techno-diplomacy dovrebbero essere la valutacreti nei soli settori nevralgici per il proprio zione economica delle esternalità ambientali, sistema economico. La politica di cooperazione l’investimento in infrastrutture di nuova geambientale è stata quindi aspramente criticata nerazione e nell’adeguamento delle industrie da più parti, perché non diretta inequivocabil- esistenti nel quadro di uno sviluppo sostenibimente al sostegno di uno sviluppo sostenibile a le. L’UE avrebbe potenzialmente moltissimo da livello globale. Se così fosse, l’UE ricercherebbe insegnare in materia, ma l’attuazione di simili con lo stesso impegno partnership strategiche progetti dipende precipuamente dalle variabili con altri Paesi in via di sviluppo in competizione economiche e finanziarie del mercato globale, con la Cina, come la Corea del Sud, l’Indonesia o difficilmente prevedibili allo stato dei fatti. ∎ l’India. In altre parole, i sostenitori della tran© Europae - Rivista di Affari Europei

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Numero 1, Aprile 2013 “L’Unione Europea e la nuova corsa all’Africa” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui

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