3 ottobre: la strage di Lampedusa Relazioni euro-mediterranee e migranti Immigrazione: i benefici economici Il reato di clandestinità in Europa Frontex e la difesa della frontiera Sud Un’operazione UE nel Mediterraneo? www.rivistaeuropae.eu
N. 6 - OTTOBRE 2013
ALLE PORTE DELL’UE L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE © Europae - Rivista di Affari Europei Associazione Culturale OSARE Europa
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Ottobre 2013, Numero 6 © Europae - Rivista di Affari Europei, www.rivistaeuropae.eu “Alle porte dell’UE. L’immigrazione e la frontiera meridionale” A cura di Davide D’Urso e Luca Barana Copertina di Luigi Porceddu Grafica ed editing di Davide D’Urso Direttore: Antonio Scarazzini Caporedattore: Davide D’Urso Responsabili di Redazione: Luca Barana, Riccardo Barbotti, Simone Belladonna, Stefania Bonacini, Fabio Cassanelli, Valentina Ferrara, Shannon Little, Mauro Loi, Tullia Penna.
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INDICE
Immigrazione: le paure e gli errori della Fortezza Europa Davide D’Urso
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I flussi migratori e le relazioni euro-mediterranee Stefania Bonacini
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I benefici economici dell’immigrazione Fabio Cassanelli
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Le politiche migratorie nazionali e il caso Italia-Libia Sara Bottin
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Il reato di immigrazione clandestina in Europa Simone Belladonna
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Frontex e il confine tra sicurezza e diritti umani Enrico Iacovizzi
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Dal Golfo di Aden al Mediterraneo: l’UE e la lunga strada per Itaca Gianluca Farsetti e Giuseppe Lettieri
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Gli autori
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I numeri precedenti di Europae
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IMMIGRAZIONE: LE PAURE E GLI ERRORI DELLA FORTEZZA EUROPA Editoriale
IL COMMISSARIO MALMSTROM,
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di Davide D’Urso
IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE BARROSO E IL PREMIER LETTA DI FRONTE ALLE BARE DI LAMPEDUSA (© EUROPEAN COMMISSION)
lle porte dell’Unione Europea, lo scorso 3 ottobre, centinaia di persone sono morte cercando la salvezza sull’isola di Lampedusa. Bambini, donne e uomini, provenienti soprattutto dal Corno d’Africa, la cui odissea attraverso l’Africa e il Mediterraneo è finita nell’ennesima strage di migranti. Una tragedia di proporzioni enormi che ha scosso la coscienza dell’opinione pubblica europea, riportando il tema della gestione dei flussi migratori sulle prime pagine dei giornali e in vetta alle preoccupazioni dei politici. Gli appelli del governo italiano a una maggiore cooperazione europea nella gestione dei flussi migratori hanno spinto l’UE a riaprire un capitolo tormentato, che la chiama in causa come soggetto di diritto interno e attore politico internazionale. Le vittime di Lampedusa cercavano l’Europa. L’Italia, per molti di loro, era l’ultima tappa di un viaggio verso il cuore di un continente che, ad altre latitudini, viene ancora percepito come una terra di speranza. La percezione che l’Europa ha di queste persone è di tutt’altro tenore. L’UE ha mostrato © Europae - Rivista di Affari Europei
commozione e la solita solidarietà a parole: discorsi, fiori, una visita ufficiale sull’isola, tra le bare, a fianco delle autorità italiane e molte promesse. Impegni categorici a “fare il possibile” perché una tragedia simile non si ripeta, ma anche frasi fatte sulla necessità di dare “risposte concrete” per la sicurezza dei migranti e - soprattutto - dei Paesi di destinazione. “Sicurezza”, una parola che, insieme a “stabilità”, costituisce il binomio fondamentale delle relazioni euro-mediterranee. La stabilità dei regimi autoritari nordafricani, alleati dell’Europa nel frenare con ogni mezzo i migranti diretti verso il Vecchio Continente, è stato per un ventennio il vero obiettivo della politica mediterranea dei Paesi europei. Le rivolte nordafricane hanno rimescolato le carte, cancellando regimi che erano diventati, nel corso degli anni, veri alleati dei governi europei. Poco importava che i metodi di dittatori come Gheddafi e Ben Ali violassero sistematicamente i diritti umani. Il caso dell’alleanza “scomoda” tra Italia e Libia, descritto in questa edizione da Sara Bottin, non era affatto un’eccezione nel panorama europeo. Dopo il 2011
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ALLE PORTE DELL’UE
L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE
N. 6 - Ottobre 2013
dalle ceneri dei regimi è emerso un caos diffuso, che pure non ha portato a una particolare impennata dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo. Perso l’argine nordafricano, gli europei sono tornati a cercare interlocutori e mezzi per frenare quella che da molti viene dipinta come un’invasione armata. Come mette in luce Stefania Bonacini nel primo articolo di questa edizione, i tentativi di arginare i flussi migratori, tra paure e rappresentazioni stereotipate, continuano infatti a rappresentare un elemento fondamentale delle relazioni tra l’UE e la sponda meridionale del Mediterraneo. L’interpretazione prevalente dell’immigrazione diretta verso l’UE è infatti quella di un problema, se non di una minaccia, che andrebbe contrastata con ogni mezzo, tenendo i migranti lontani dalle nostre coste. Peccato che, per un continente a crescita economica e demografica nulla, l’arrivo di migliaia di giovani disposti a vivere, lavorare e consumare in Europa costituisca a tutti gli effetti una risorsa. Come messo in luce nelle pagine interne da Fabio Cassanelli, i benefici economici dell’immigrazione sono decisivi per i Paesi europei. Basti pensare alla difficile sostenibilità del welfare europeo, una chimera senza il contributo della forza lavoro immigrata in particolare in settori come l’edilizia, l’agricoltura e i servizi alla persona, troppo spesso in difficoltà nel trovare personale. Nel frattempo, l’Europa discute. Il Consiglio Europeo del 24 e 25 ottobre ha ribadito che l’immigrazione non è una questione nazionale, ma un tema europeo. Dal punto di vista delle azioni concrete, il Vertice intergovernativo non ha dato però i risultati auspicati. Al di là di un generico invito a Frontex ad aumentare la propria attività nel Mediterraneo e alle autorità europee e nazionali a sfruttare i nuovi strumenti di EUROSUR, i Ventotto si sono limitati a rimandare a dicembre e al prossimo giugno, quando inizierà il semestre di presidenza dell’Italia, l’adozione di una strategia e di una vera programmazione legislativa. Ancora una volta, dunque, l’UE muove i suoi piccoli passi sull’immigrazione unicamente in ottica securitaria e tramite gli strumenti di gestione delle frontiere comuni. Il “Mare Nostrum” rappresenta infatti la frontiera meridionale dell’Europa ed è quasi inevitabile che l’intera Unione sia chiamata a partecipare ai programmi per il suo monitoraggio. Per realizzare questo obiettivo, però, la Frontex di oggi non basta. L’Agenzia, il suo ruolo nel Mediterraneo, gli obiettivi e i pochi strumenti di cui realmente è © Europae - Rivista di Affari Europei
dotata, costituiscono l’oggetto dell’articolo di Enrico Iacovizzi, utile per comprendere quali siano veramente le (scarse) competenze che gli Stati membri hanno effettivamente deciso di trasferire a Frontex. Non mancherebbero all’Europa esempi virtuosi nel campo delle missioni navali. La messa in campo di operazioni di monitoraggio delle coste, come quelle attuate nel Golfo di Aden possono infatti essere replicate, pur con le dovute differenze, anche nel Mediterraneo. È quanto spiegano Gianluca Farsetti e Giuseppe Lettieri, disegnando i punti principali di un approccio di cooperazione transnazionale per operazioni civili e militari che renderebbe il Mediterraneo un mare più sicuro. Anche dal punto di vista interno, l’Europa non riesce ad uscire da un’interpretazione del fenomeno migratorio solo in chiave di sicurezza. Il reato di immigrazione clandestina, molto discusso in Italia, non rappresenta un’eccezione in Europa. Negli altri Paesi europei è però applicato in forme diverse e più razionali. Come testimonia l’articolo di Simone Belladonna, il combinato disposto di quel reato con l’obbligatorietà dell’azione penale e misure che prevedono l’incriminazione dei soccorritori, ha creato in Italia un sistema controproducente. Anche in questo campo, dunque, una politica che parta dalla previsione di procedure armonizzate per la gestione interna dell’immigrazione costituirebbe un tassello fondamentale per una nuova strategia europea. L’interpretazione in senso quasi unicamente securitario dell’immigrazione è alla base dell’incapacità dell’UE di gestirla a dovere. Senza una lettura sociologica, economica e anche umanitaria dei fenomeni migratori è impossibile impostare politiche globali adeguate, in grado cioè di offrire risposte reali ai problemi di tutte le persone coinvolte. Non riconoscere il valore economico e strategico dell’immigrazione, specie per un continente in recessione economica e demografica, è un atteggiamento di dubbia intelligenza, dettato dalle emozioni e dalla paura piuttosto che dalla razionalità. La diffidenza per l’altro-da-noi non è certo una novità, ma in questa fase storica ci si dimentica spesso che la vera minaccia al benessere europeo non arriva da coloro che si trasferiscono in Europa, ma dalla concorrenza delle altre potenze economiche, che rischiano di relegare l’UE in una preoccupante posizione di marginalità. La vecchia “Europa Fortezza” non è adatta per rispondere con successo alle sfide del mondo nuovo. ∎
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I FLUSSI MIGRATORI E LE RELAZIONI EURO-MEDITERRANEE La tragedia di Lampedusa ha riportato l’attenzione sul tema della gestione dei fenomeni migratori diretti in Unione Europea. I flussi migratori attraverso il Mediterraneo sono un fenomeno di lunga data che ancora influenza fortemente le relazioni tra l’Europa e i Paesi del Nord Africa. La Primavera Araba e la crisi economica hanno solo in parte modificato le dimensioni del fenomeno, mentre un approccio europeo più aperto e globale tarda ancora a prendere forma a Bruxelles e nelle capitali nazionali.
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di Stefania Bonacini
a morte al largo della costa di Lampedusa di più di 300 migranti, provenienti soprattutto dall’Eritrea, ha portato bruscamente in primo piano la delicata questione delle migrazioni da una sponda all’altra del Mediterraneo. Non si tratta certo di un fenomeno nuovo: il flusso migratorio su larga scala dal Nord Africa è iniziato circa 40-50 anni fa, al punto che alla fine del 2010 – ovvero quando il vento della Primavera Araba ha iniziato a scuotere l’intera regione – i Paesi arabi rappresentavano da soli la terra d’origine di 8 milioni di immigrati di prima generazione, il 62% dei quali si era trasferito in uno degli Stati dell’Unione Europea. Tra il 2000 e il 2010, il numero dei migranti provenienti dal Nord Africa e diretti verso i Paesi OCSE è cresciuto del 42%, arrivando a toccare i 5 milioni di persone, che nella stragrande maggioranza dei casi hanno scelto come destinazione finale l’Europa. In particolare, Italia, Spagna e Francia – ovvero i Paesi dell’UE che si affacciano sul Mediterraneo – hanno accolto il numero più elevato di migranti.
I lavoratori stranieri provenienti da Paesi extraeuropei sono stati infatti fortemente colpiti dal peggioramento della situazione occupazionale, vista la loro altra concentrazione in settori a domanda ciclica come l’edilizia, la ristorazione, il settore alberghiero e la distribuzione. Ad esempio, in un Pae-
Le difficoltà economiche di molti Paesi europei hanno rallentato i flussi migratori provenienti dal Nord Africa e ridotto l’occupazione immigrata. se come la Spagna – la cui economia è fortemente basata sui settori turistico ed edile – la situazione occupazionale degli immigrati ha registrato un brusco deterioramento a seguito della crisi economica. In base ai dati OCSE, il tasso di disoccupazione degli stranieri in Spagna è passato dal 34,8% al 36,5% tra la fine del 2011 e la fine del 2012. In generale, l’aumento cumulato del tasso di disoccupazione degli immigrati in Spagna è stato di ben 24 punti a partire dall’inizio della crisi (contro i 17 punti di aumento del tasso di disoccupazione dei nativi). Di conseguenza, un numero consistente di stranieri – e di spagnoli - ha lasciato la Spagna a partire dall’inizio della crisi, al punto che il saldo migratorio netto della Spagna è tornato per la prima volta ad essere negativo dopo molti anni. Nonostante ciò, il saldo migratorio complessivo dei Paesi UE è rimasto positivo anche nel periodo 2009-2011, pur subendo una leggera flessione. Il dato complessivo (relativo ai cittadini di Paesi extra -europei) è passato infatti da 759.222 a 611.711 unità tra il 2009 e il 2011 (dati Eurostat). Se è vero infatti che il flusso di emigrazione dei cittadini extra -europei è aumentato in diversi Paesi UE, allo stesso tempo non è facile stabilire con esattezza quanti di questi migranti siano tornati nei loro Paesi di provenienza e quanti invece si siano semplicemente trasferiti in un altro Stato europeo. Tra il 2010 e il
Le migrazioni attraverso il Mediterraneo sono un fenomeno di lunga data. La Primavera Araba e la crisi economica ne hanno cambiato lo scenario. Quanto appena detto rimane valido anche se si prende in considerazione il potenziale effetto depressivo che la crisi economica può avere avuto sui flussi migratori in entrata. La crisi ha causato un rallentamento del flusso di migranti verso l’Europa e un parallelo aumento del flusso migratorio in uscita, soprattutto nei Paesi la cui economia è basata sull’immigrazione di manodopera. Spagna, Irlanda e Regno Unito, ad esempio, hanno visto una sensibile diminuzione del proprio saldo migratorio durante la crisi. Anche il Belgio e la Lettonia hanno registrato livelli di immigrazione più bassi nel 2009. © Europae - Rivista di Affari Europei
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ALLE PORTE DELL’UE
L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE
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UN VASCELLO DELLA GUARDIA DI FINANZA ITALIANA SBARCA UN GRUPPO DI IMMIGRATI AFRICANI A LAMPEDUSA (© FRONTEX)
2011, il livello di immigrazione permanente è tato con il trend degli ultimi cinque anni. In più, il aumentato complessivamente nei Paesi OCSE del grosso dell’aumento del flusso in entrata nel 2011 è 2%. In particolare, Austria e Germania sono tra i da attribuirsi esclusivamente all’immigrazione proPaesi che hanno registrato i flussi in entrata più si- veniente dal Marocco, Paese che è stato toccato sognificativi. A tutto il 2012, la Germania risulta ospi- lo di riflesso dal vento rivoluzionario della Primavetare da sola il 22,54% di tutti i residenti extra- ra Araba. Non solo: nel periodo 2009-2010, il Macomunitari presenti in Europa, seguita da Italia rocco è l’unico Paese mediterraneo a comparire nel(16,31%) e Spagna (15,50%). A partire dai primi mesi del 2011, gli sconvolgimen- Nonostante le preoccupazioni, la Primavera Arati causati dalla Primavera Araba si sono combinati ba non ha provocato alcun aumento anomalo dei con le conseguenze della crisi economica europea, flussi migratori diretti verso l’Europa. dando vita ad un quadro generale complesso e di non facile lettura per quanto riguarda l’impatto sui la classifica dei primi 16 Paesi per numero di nuovi flussi migratori euro-mediterranei. Tutto som- migranti entrati nell’UE. Nel 2009 il Marocco occumato, la Primavera Araba non si è tradotta automa- pava addirittura il primo posto, con 97.122 cittadini ticamente in un aumento del numero di migranti marocchini che hanno varcato il confine europeo regolari provenienti dal Nord Africa e diretti in Eu- solo in quell’anno. Nel 2010 e nel 2011, il Marocco è ropa, se si eccettua un aumento – tanto episodico passato invece rispettivamente in seconda e in terza quanto limitato nel tempo – del flusso migratorio posizione, superato da India e Cina. originario della Tunisia. Certo, Gran Bretagna, Ger- Se da un lato la Primavera Araba non ha provocamania, Italia e Spagna hanno registrato un aumento to nessun aumento anomalo nel trend del flusso in valore assoluto del numero di migranti prove- migratorio euro-mediterraneo, dall’altro sono gli nienti dal vicinato mediterraneo nel 2011. Tuttavia, stessi Paesi del Mediterraneo meridionale ad aver tale dato appare tutt’altro che anomalo se confron- subito – e a subire – gli effetti più macroscopici © Europae - Rivista di Affari Europei
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I BENEFICI ECONOMICI DELL’IMMIGRAZIONE Fabio Cassanelli dell’aumento del numero di migranti e rifugiati provenienti dalla Libia e soprattutto dalla Siria. Le guerre civili prima in Libia e poi in Siria hanno infatti causato una vera e propria crisi dei rifugiati, il cui peso ancora oggi grava per lo più sui Paesi limitrofi e interessa solo in misura relativamente marginale l’Europa. Secondo gli ultimi dati per il 2013 resi noti dall’UNHCR, più di 2,1 milioni di rifugiati siriani si sono riversati nei Paesi confinanti, nei quali la tenuta del tessuto socioeconomico diventa ogni giorno più precaria. Più nello specifico, quasi 790.000 siriani hanno varcato il confine libanese, più di 540.000 hanno trovato rifugio in Giordania, circa 504.000 in Turchia, quasi 200.000 in Iraq e poco meno di 126.000 in Egitto. Non potrebbe essere più marcato il contrasto con la stima relativa al numero dei rifugiati che avrebbero varcato i confini europei: 20.000 siriani (e 30.000 libici) in tutto.
Regno Unito) hanno infatti firmato ufficialmente l’accordo. I negoziati sono stati aperti anche con la Tunisia e la Giordania, ma sono ancora ad uno sta-
Le “Partnership di mobilità” con i Paesi del Mediterraneo meridionale sono ancora alla fase iniziale. È attiva solamente quella tra UE e Marocco. dio poco avanzato. Già in una nota emessa nel maggio 2011, la Commissione Europea aveva tuttavia espresso alcune perplessità a proposito della capacità dell’Unione di gestire i flussi migratori in maniera ottimale, essenzialmente per due ordini di ragioni: primo, l’inadeguatezza delle risorse finanziarie in dotazione al programma-quadro “Solidarietà e Gestione dei Flussi Migratori” per il periodo 2007-2013; secondo, l’assenza di un approccio olistico al problema e la correlata necessità di una maggiore solidarietà (e di una migliore ripartizione delle responsabilità) all’interno dell’Unione. Il naufragio avvenuto lo scorso 3 ottobre a Lampedusa, che ha portato alla morte di centinaia di migranti provenienti dalla costa africana del Mediterraneo, rappresenta l’esempio – doloroso e lampante – che gli aspetti critici dell’approccio europeo alla questione migratoria sono molteplici e macroscopici. L’avvio di un processo concreto di ripensamento della politica migratoria europea nel suo complesso non è più rinviabile. Per ora, l’unico effetto concreto del dramma di Lampedusa è stato quello di accendere il dibattito – in seno al Consiglio Europeo - sull’opportunità o meno di attribuire nuove competenze e risorse all’Agenzia Europea di Controllo delle Frontiere (Frontex). E se fosse invece l’approccio securitario dell’UE e dei suoi Stati membri a dover essere messo in discussione, come denunciano diverse ONG? ∎
Il dramma dei rifugiati siriani riguarda soprattutto i Paesi limitrofi (Libano, Giordania, Turchia e Iraq) e interessa solo marginalmente l’Europa. Colti di sorpresa dall’ampiezza e dalla profondità dell’ondata rivoluzionaria che ha scosso il Nord Africa a partire dalla fine del 2010, l’UE e i suoi Stati membri si sono ben presto resi conto della necessità di affrontare la crisi migratoria, avanzando una serie di misure concrete volte a far fronte al problema nel medio e lungo periodo, come uno strumento per incentivare la creazione di partenariati di mobilità: i “Dialoghi con i Paesi del Sud del Mediterraneo per la migrazione, la mobilità e la sicurezza”, confezionati su misura per rispondere alle differenti esigenze di ciascuno dei partner (in collaborazione con gli Stati membri dell’UE). Quattro sono i principi ispiratori dei “Dialoghi”: differenziazione, bilateralismo, condizionalità e monitoraggio. L’obiettivo di fondo è l’attuazione di partenariati di mobilità che garantiscano che il movimento di persone tra lo Stato partner e l’UE avvenga in maniera strutturata e sicura. L’attuazione di un partenariato include, ad esempio, l’avvio di negoziati per facilitare l’emissione dei visti Schengen per categorie specifiche di cittadini (studenti, ricercatori e uomini d’affari). Il Marocco è stato il primo Paese dell’area mediterranea a entrare in un partenariato di mobilità con l’UE. Il 7 giugno 2013 Cecilia Malmström, Commissario europeo per gli affari interni, e i Ministri competenti di 9 Stati membri (Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia e © Europae - Rivista di Affari Europei
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I BENEFICI ECONOMICI DELL’IMMIGRAZIONE Il dibattito sul tema dell’immigrazione ignora spesso la realtà dei numeri e le logiche dell’economia. I dati dimostrano infatti che l’immigrazione rappresenta un fenomeno molto positivo per l’Unione Europea. Le caratteristiche demografiche degli immigrati e la loro partecipazione alla vita economica sono alla base della sostenibilità dei sistemi di welfare dei Paesi europei. Questa analisi cerca infatti di dimostrare, numeri alla mano, che i vantaggi economici dell’immigrazione superano ancora i suoi svantaggi.
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di Fabio Cassanelli
i fronte ai temi dell’immigrazione, in Europa si assiste a un dibattito pubblico abbastanza assurdo e irrazionale. Invece di parlare di benefici e svantaggi e analizzare seriamente il fenomeno, troppo spesso si affronta la questione attraverso vecchi schemi ideologici buoni per la prima metà del Novecento. La messa a punto di una politica migratoria da parte di uno Stato, invece, dovrebbe essere la risoluzione di un semplice problema di ottimizzazione economica. Se con l’afflusso di immigrati si riesce nello stesso tempo ad aumentare il loro benessere, nonché la crescita e la sostenibilità del sistema economico di cui entrano a far parte, ci si ritrova davanti a una politica migratoria estremamente efficace. Il problema sorge se si considera l’Unione Europea un unico sistema economico (i flussi interni di persone, beni e capitali sono quasi completamente liberi) che non è in grado di gestire a livello centrale le politiche migratorie e i flussi provenienti dall’esterno del continente. L’enorme frammentazione provoca confusione, incertezza e inefficienza, anche perché vi è un enorme gamma di modalità in cui è possibile acquisire la cittadinanza europea. A Cipro, per esempio, è relativamente facile ottenerla se si è facoltosi e disposti ad investire nell’economia del Paese, mentre in Italia il discorso si fa enormemente più complesso. Questo provoca storture e asimmetrie che non fanno altro che complicare la già difficile gestione dell’integrazione. Quindi, oltre che auspicare una futura e migliore gestione centralizzata dei flussi migratori e una più efficace programmazione dei processi di integrazione sociale ed economica, occorre analizzare perché, al di là di tutte le polemiche, l’immigrazione è, numeri alla mano, un fenomeno molto positivo per l’Europa.
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Partendo dal mero computo demografico, l’immigrazione provoca un’espansione della popolazione residente in Europa. Dal momento che la maggior
Numeri alla mano, l’immigrazione rappresenta un fenomeno molto positivo per l’economia, la situazione demografica e il welfare dell’Europa. parte degli immigrati ha un’età molto inferiore rispetto alla media dei cittadini europei, questo non fa altro che migliorare l’armonia della curva demografica europea. Come si nota nel seguente grafico di Eurostat, tra la popolazione immigrata è massima la frequenza di persone tra i 20 ed i 45 anni, mentre gli europei vincono nella fascia di popolazione molto giovane ed anziana.
Le conseguenze economiche sono estremamente chiare. Dal momento che gli immigrati sono, nella maggior parte dei casi, adulti in età lavorativa, si ritrovano ad essere contribuenti netti del sistema fiscale e soprattutto del sistema pensionistico del Paese in cui risiedono. La forza lavoro che paga tasse e contributi si allarga e questo rende più sostenibile per bambini (scuola) e anziani (pensioni) beneficiare di un adeguato sistema di welfare.
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I BENEFICI ECONOMICI DELL’IMMIGRAZIONE Fabio Cassanelli
16 OTTOBRE 2010, CASTELVOLTURNO (NA): MANIFESTAZIONE DI LAVORATORI IMMIGRATI ORGANIZZATA DALLA FIOM - CGIL (© FLICKR/EUGENIO)
In Italia, ad esempio, i benefici netti portati dagli immigrati allo Stato ammontano nel 2012 a 1,7 miliardi di euro. Nonostante rappresentino solamente il 7,4% della popolazione, rappresentano ben il 10% della forza lavoro nazionale. Anche a parità di fascia demografica il semplice aumento della popolazione di uno Stato rende inevitabile l’aumento del PIL. Più popolazione significa più lavoratori, consumatori e imprenditori e questo non fa altro che ampliare la dimensione del mercato interno.
Nel 2012, gli immigrati hanno portano allo Stato italiano benefici netti pari a 1,7 miliardi di euro e costituiscono il 10% della forza lavoro nazionale. Un tasto che a prima vista potrebbe sembrare dolente riguarda le rimesse degli immigrati all’estero. In sostanza queste rappresentano l’insieme del denaro che gli immigrati mandano ai famigliari che ancora risiedono nel proprio Paese di origine. Gli ultimi dati riferiti all’Europa risalgono a uno studio di Eurostat del 2010, che registrò un flusso totale di © Europae - Rivista di Affari Europei
22 miliardi e 338 milioni di euro diretti al di fuori dell’Unione. Questo flusso verso l’esterno produce un peggioramento della bilancia dei pagamenti europea, ma allo stesso tempo ha un enorme valore per le prospettive economiche di medio-lungo periodo. Le rimesse svolgono infatti un ruolo fondamentale nello sviluppo economico dei Paesi in via di sviluppo e contribuiscono all’ampliamento della ricchezza del mercato estero, tramite un arricchimento di parte dei suoi consumatori. Lo stesso mercato che in futuro potrebbe accogliere prodotti e servizi prodotti da imprese europee. Inoltre, secondo la Banca Mondiale, il sistema delle rimesse prevede, nella maggior parte dei casi, obblighi di trasparenza quali l’apertura di conti in banca sia da parte di chi invia denaro, sia da parte di chi lo riceve. Questo migliora l’integrazione e lo sviluppo dei servizi finanziari in entrambi i Paesi. Un altro capitolo controverso riguarda la tendenza, nel sistema economico di destinazione, alla contrazione del costo del lavoro a seguito di intense ondate migratorie. In particolare, gli immigrati con
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ALLE PORTE DELL’UE
L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE
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scarse qualifiche professionali tendenzialmente sono disposti a lavorare ricevendo un salario più basso rispetto ai cittadini già residenti nel Paese di arrivo. Da una parte si crea un enorme vantaggio per le imprese (principalmente nel settore manifatturiero e del settore edile), che vedono scendere progressivamente il capitolo di spesa “costo del personale”. In una condizione di concorrenza, il circolo virtuoso permetterebbe di spingere al ribasso il tasso di inflazione e creare vantaggi per la collettività dei consumatori. D’altra parte però, il fenomeno erode reddito e occupazione dei cittadini nazionali con scarsa qualifica professionale.
Le rimesse in patria sono un problema di breve periodo, mentre il lavoro immigrato erode reddito e occupazione dei cittadini poco qualificati. Per limitare gli effetti deleteri dovrebbe quindi intervenire il legislatore con diverse misure. Fra queste, la più efficace consiste nello spostare il carico fiscale dal lavoro ai consumi e di conseguenza tagliare le tasse sui bassi redditi e inasprire quelle sul valore aggiunto. Grazie alle tendenze deflazionistiche in atto, una maggiore IVA non danneggerebbe enormemente la propensione all’acquisto dei consumatori, mentre una minore tassazione sui redditi bassi permetterebbe un aumento dell’occupazione, dei consumi da parte delle persone a basso reddito e sosterrebbe ancora più il circolo virtuoso del calo dei costi del lavoro per le imprese. Infine, l’ultimo effetto sistemico dell’immigrazione sull’economia di uno Stato riguarda l’afflusso di lavoratori specializzati, con alta qualifica professionale o con la volontà di investire nel Paese in cui intendono stabilirsi. Per queste categorie di persone è sempre stata lasciata aperta una corsia preferenziale da parte degli Stati europei, il che è comprensibile. Le prime due figure in particolare sono in grado di elevare il potenziale innovativo del sistema economico ed agevolare la transizione verso attività ad alto valore aggiunto.
stire nell’economia reale, agevola l’aumento dell’occupazione. Insomma, dopo aver elencato tutte le conseguenze positive dell’immigrazione per l’economia dell’Europa, occorre cercare di capire a livello quantitativo a quanto ammontano questi benefici. Purtroppo la maggior parte degli studi sono stati portati avanti a livello di singolo Stato membro. Pur mancando un dato aggregato e uniforme, i dati sono comunque sufficienti per avere un’idea ben precisa del loro effetto cumulato, se trasposti a livello europeo. Per esempio, secondo uno studio dell’ILC (International Longevity Centre), l’Europa avrebbe bisogno, rispetto ai flussi attuali, di ulteriori 11 milioni di immigrati entro il 2020 per assicurare la sostenibilità dei sistemi pensionistici dei suoi vari Paesi. Secondo una ricerca di Harvey Nash e del CEBR (Centre for Economics and Business Research), invece, se il Regno Unito mettesse un freno ai flussi migratori, il suo PIL calerebbe dal 2% al 6,7% in base
L’Europa avrà bisogno di altri 11 milioni di immigrati entro il 2020 per garantire la sostenibilità dei suoi sistemi pensionistici. all’asprezza delle politiche attuate. Lo stesso studio ha calcolato che se il Regno Unito uscisse dall’UE, diventerebbe una meta meno ambita per gli immigrati europei e il suo PIL calerebbe del 2%, mentre la sua popolazione in età lavorativa dell’1,9%. L’immigrazione è dunque per l’Europa un’autentica miniera d’oro che purtroppo non è visibile da tutti i cittadini europei. I fenomeni migratori sono fondamentali, ma spesso spaventano quella parte di popolazione che si sente vulnerabile ai suoi effetti collaterali. Questo non è altro che un richiamo alla politica nazionale ed europea a mettere velocemente in campo i correttivi adeguati, in modo da accentuare il godimento dei benefici derivanti dall’immigrazione e ridurne gli effetti avversi. ∎
Lavoratori specializzati e investitori hanno sempre avuto una via di accesso privilegiata nell’immigrazione verso il Vecchio Continente. La figura dell’investitore, invece, porta vantaggi immediati per l’intera economia. Aumenta infatti la liquidità del sistema finanziario e, se deciso ad inve© Europae - Rivista di Affari Europei
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LE POLITICHE MIGRATORIE NAZIONALI E IL CASO ITALIA-LIBIA Definita dal Consiglio d’Europa una “calamita per l’immigrazione”, l’Italia paga il prezzo di una politica migratoria fallimentare. Fino al 2011 le relazioni con i Paesi nordafricani erano basate su accordi bilaterali per il contrasto all’immigrazione clandestina. Nel caso delle relazioni con la Libia, l’accordo bilaterale con l’Italia (Trattato di Bengasi) ha costituito l’apripista per i negoziati di un Accordo Quadro con l’UE. Il disordine seguito alla caduta di Gheddafi ha cambiato radicalmente lo scenario.
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di Sara Bottin
na calamita per l’immigrazione. Così viene definita l’Italia in un rapporto della commissione migrazioni dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, approvato all’unanimità lo scorso 2 ottobre. Non è però necessario leggere il dettagliato rapporto per comprendere la portata del fallimento della politica migratoria italiana. Per capire la difficile situazione attuale, è necessario comprendere la posizione dell’Italia nel più ampio scenario mediterraneo ed europeo. Il contrasto all’immigrazione irregolare nel Mar Mediterraneo rappresenta da tempo una spina nel fianco non solo per l’Italia, ma anche per gli altri Stati membri mediterranei, come Spagna, Cipro e Malta. Per quanto riguarda la Grecia, invece, il problema dell’immigrazione irregolare riguarda per lo più la frontiera terrestre con la Turchia. A partire dagli eventi rivoluzionari del 2011, che hanno portato enormi sconvolgimenti nei principali Paesi di partenza degli immigrati, la pressione migratoria sulle frontiere meridionali dell’Unione Europea è andata crescendo vertiginosamente, seppur con andamenti altalenanti. Alla notevole diminuzione del fenomeno nel 2012, ha infatti corrisposto un picco record nel 2013, con le tragiche conseguenze a tutti noi note.
La politica migratoria italiana è stata fino ad oggi fallimentare. Il contrasto all’immigrazione clandestina nel Mediterraneo è un problema europeo. Negli anni scorsi le politiche migratorie esterne degli Stati membri maggiormente interessati al fenomeno si sono concentrate soprattutto verso la Libia e la Tunisia, dalle cui coste salpano la quasi totalità degli immigrati clandestini, e verso il Marocco. A questi strumenti di cooperazione bilaterale si sono necessariamente affiancate iniziative a livello euro© Europae - Rivista di Affari Europei
peo e strumenti di cooperazione tra l’UE e i Paesi terzi.
Fino al 2011 la politica migratoria europea si è costruita su accordi bilaterali con i Paesi di partenza, specie Libia, Tunisia e Marocco. Nel caso specifico dell’Italia, nel corso dell’ultimo decennio sono stati conclusi una serie di accordi bilaterali con i Paesi di partenza, in particolare con la Libia, accanto ad iniziative di pressione verso Bruxelles per arrivare alla realizzazione di una politica migratoria europea più efficace e concreta. Nel dicembre 2000, ad esempio, veniva siglato tra i due Paesi un primo Accordo per introdurre una forma di cooperazione nel contrasto dell’immigrazione via mare. Entrato in vigore nel 2002, l’accordo non produsse gli effetti sperati a causa delle inadempienze libiche e della scarsa collaborazione delle autorità del Paese. Oltre alla cooperazione bilaterale, l’accordo impegnava l’Italia a promuovere nei fora europei la necessità di fornire alla Libia i finanziamenti necessari alla sua attuazione. Questi finanziamenti, in particolare, avrebbero dovuto rendere possibile la fornitura alla Libia di sei unità marittime, di cui tre in via definitiva, con equipaggi misti italo-libici. Il loro obiettivo era di effettuare operazioni di controllo, ricerca e salvataggio in acque libiche e internazionali, nel rispetto degli standard internazionali. Inoltre, Roma prometteva di promuovere a Bruxelles la conclusione di un Accordo quadro con la “Grande Giamahiria” e la messa a punto di progetti di sviluppo in Libia e nei Paesi di origine degli immigrati. Anche queste promesse rimasero prive di conseguenze. I primi risultati reali della cooperazione si registrarono solo a partire dal 2008. Fu nell’agosto di quell’anno che l’allora Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, concluse il cosiddetto Trat-
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ALLE PORTE DELL’UE
L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE
N. 6 - Ottobre 2013
ESERCITAZIONI NAVALI DELLA GUARDIA DI FINANZA ITALIANA IN COLLABORAZIONE CON L’AGENZIA FRONTEX NEL MEDITERRANEO MERIDIONALE (© FRONTEX)
tato di Bengasi con il leader libico Muammar Gheddafi. Il Trattato affidava a società italiane l’obiettivo di realizzare un sistema di controllo delle frontiere libiche per prevenire i flussi di migranti provenienti dai Paesi vicini ed impegnava Roma e Tripoli in una campagna a livello regionale per prevenire le cause prime di questi flussi. L’immediato risultato, a livello europeo, fu la definizione di un fronte comu-
Il Trattato di Bengasi tra Italia e Libia del 2008 aprì la strada alla cooperazione nei respingimenti e al percorso per un Accordo Quadro UE-Tripoli. ne a Bruxelles, anche noto come “Gruppo dei Quattro”, composto da Italia, Malta, Cipro e Grecia. Come sappiamo, sono questi Stati membri, assieme alla Spagna, a vivere più direttamente le conseguenze dell’arrivo degli immigrati irregolari: operazioni di salvataggio in mare, accoglienza, esame delle domande di asilo, eventuale rimpatrio. Lo scopo dei Quattro consisteva nella promozione di azioni con© Europae - Rivista di Affari Europei
crete e più incisive, ma soprattutto con maggiore dotazione finanziaria, nella lotta all’immigrazione clandestina nel Mediterraneo. L’Italia, con le parole dell’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni, si proponeva come guida del Gruppo. Tuttavia l’unica conseguenza concreta del Trattato di Bengasi in Europa fu una storica sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani che, nel 2012, condannò Roma per violazione della Convenzione Europea dei Diritti Umani. L’oggetto della contesa erano le note pratiche di respingimento degli immigrati clandestini intercettati in mare e basatesi proprio sulle previsioni del Trattato. Nel 2012, però, il Trattato di Bengasi era ormai superato dai fatti. L’ondata di ribellioni nei Paesi arabi aveva dapprima tolto dalla scena gli usuali interlocutori di Roma e, in secondo luogo, prodotto un notevole incremento dei flussi migratori via mare. La decisione italiana fu di sospendere il Trattato, in ragione dello stato di guerriglia interna in cui versava la Libia dopo la caduta di Gheddafi. Il 2011 aveva
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LE POLITICHE MIGRATORIE NAZIONALI E IL CASO ITALIA-LIBIA Sara Bottin già registrato l’apice nel numero dei morti durante la traversata del Mediterraneo, complice anche l’incapacità delle autorità libiche di mantenere il controllo sul proprio territorio e sulle proprie frontiere, difficoltà che avevano reso il Paese una facile preda per organizzazioni terroristiche e narcotrafficanti.
torizzando le autorità italiane a intercettare i richiedenti asilo e riconsegnarli ai soldati libici e impegnando l’Italia a fornire attrezzature e addestramento alle forze libiche. I risultati di questo accordo restano di difficile interpretazione. Come ricordato precedentemente, il 2012 ha visto un incredibile rallentamento dei flussi di migranti via mare portando in molti a credere che si trattasse di una La scomoda relazione tra l’Europa e Gheddafi si diretta conseguenza dell’accordo. Il 2013 ha invece basava sulla cooperazione in materia di prevenzio- bruscamente spento questi ottimismi, con un nuone e repressione delle tratte clandestine. vo record di oltre 30.000 immigrati giunti in Italia, per lo più a Lampedusa e in Calabria, attraverso Nel frattempo, alcuni mesi prima della caduta del le acque del Mediterraneo. Perché i flussi rallentino colonnello, il Parlamento Europeo rivolgeva al sembrano quindi necessarie nuove iniziative. Consiglio una raccomandazione sui negoziati del- Dall’altra sponda del Mare Nostrum, Ali Zeidan, l’Accordo quadro UE-Libia, volto ad aumentare la Primo Ministro libico, chiede all’UE di poter accedecooperazione anche in settori quali la sicurezza e la re al sistema satellitare europeo, che permettemigrazione. In più, Parlamento e Consiglio adottava- rebbe di intercettare le barche dei trafficanti e conno una direttiva sulla prevenzione e la repressio- trollare le coste libiche. Chiede inoltre aiuto nell’adne della tratta di esseri umani e la protezione del- destramento ed equipaggiamento della polizia di le sue vittime. La raccomandazione richiamava, tra frontiera. Pur dimostrando pubblicamente l’impel’altro, il Trattato di Bengasi e ricordava a Consiglio e Commissione il loro obbligo di garantire che la Il caos in Libia complica la cooperazione con l’UE politica esterna dell’UE garantisse il rispetto della nel controllo delle migrazioni, ma nel 2012 l’Italia Carta dei diritti fondamentali. Nello specifico, si fa- ha siglato con Tripoli un nuovo accordo segreto. ceva riferimento al divieto di espulsioni collettive e al principio di non respingimento. Gli sconvolgi- gno a collaborare con l’Italia e l’UE per porre termimenti dei mesi a venire avrebbero allontanato la ne al dramma dell’immigrazione clandestina, Zeidan prospettiva di una reale conclusione dell’accordo rimane però decisamente più concentrato sulle proche, di fatto, è rimasto bloccato alla fase negoziale. blematiche interne al Paese, a maggior ragione La direttiva, invece, introduceva per la prima volta dopo il suo breve rapimento da parte di milizie ridisposizioni comuni per rafforzare la prevenzione belli nel corso delle scorse settimane. Sembrano della tratta di esseri umani, reato direttamente col- quindi ancora lontani i giorni in cui si potrà attuare legato con l’immigrazione clandestina nel Mediter- una vera e propria collaborazione in materia, tanto raneo, segnando quindi un passo positivo verso con l’Italia quanto con l’intera UE. l’armonizzazione delle norme sulla materia. Quest’ultima, in particolare, è chiamata a svolgere La situazione odierna del contrasto all’immigra- un ruolo decisivo per le strutture e meccanismi di zione irregolare rimane però caratterizzata da un cui dispone potenzialmente, ma che ancora non vuoto, non solo normativo ma anche di autorità. An- hanno trovato un’attuazione efficace. Importante che da questo deriva, senza dubbio, quel fallimento sarà sicuramente il lancio dei progetti Copernico e della politica migratoria italiana nel Mediterraneo Galileo, che forniranno i loro primi servizi nel 2014. sottolineato dal rapporto del Consiglio d’Europa. Il vice-presidente della Commissione Europea, AnCome attuare una forma di collaborazione con una tonio Tajani, ha recentemente ricordato che questi Libia incapace di esercitare controllo sul proprio progetti, assieme a Perseus e Egnos, operativi dal territorio, frontiere e coste comprese? Nel tentativo 2011, renderanno la sorveglianza marittima più efdi dare una rapida risposta a questo dilemma, ficace e forniranno un grande sostegno a Frontex nell’aprile 2012, l’allora Ministro dell’Interno Anna ed Eurosur accrescendone il ruolo operativo. Ma Maria Cancellieri ha concluso un Accordo segreto l’UE è soprattutto chiamata ad assicurare il proprio sull’immigrazione clandestina con il Ministro del- supporto politico ed una maggiore solidarietà, tropl’Interno libico, Fawzi Altaher Abdulati. Il testo po spesso mancate verso i Paesi che, come l’Italia, dell’accordo, segretato, sembrerebbe ripercorrere la occupano da tempo il piano terra dell’UE, in senso strada delle vecchie intese tra Roma e Gheddafi, au- geografico e non solo. ∎ © Europae - Rivista di Affari Europei
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IL REATO DI IMMIGRAZIONE CLANDESTINA IN EUROPA La legge n. 94 del 2009 che ha introdotto in Italia il reato di immigrazione clandestina è stata molto dibattuta negli ultimi mesi, ma non costituisce affatto un caso unico nel panorama europeo. In Francia, Germania e Regno Unito esistono reati di immigrazione illegale simili a quello italiano. La norma costituzionale che impone l’obbligatorietà dell’azione penale agli inquirenti è invece una peculiarità italiana che rende il reato particolarmente problematico per il funzionamento della giustizia.
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di Simone Belladonna
ella notte tra il 2 e il 3 ottobre le acque del Mediterraneo sono state teatro di uno dei più drammatici episodi che la storia delle migrazioni verso l’Europa ricordi. Il Mare Nostrum ha infatti inghiottito più di 360 persone tra uomini, donne e bambini desiderosi di fuggire da un presente insostenibile. A tale tragedia sono seguite commoventi azioni di solidarietà soprattutto da parte degli abitanti di Lampedusa, l’isola a largo della quale è avvenuto il naufragio. A fronte di tutto questo, però, i 155 sopravvissuti alla catastrofe sono stati immediatamente iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Agrigento a causa della legge n. 94 del 15 luglio 2009. La notizia ha destato sdegno e incredulità, ma le autorità giudiziarie non hanno potuto comportarsi diversamente, a causa del reato di immigrazione clandestina. Un reato previsto dalla sopracitata legge dello Stato, approvata nell’ambito del primo “pacchetto sicurezza” dell’allora Ministro degli Interni Roberto Maroni. Provvidenzialmente questo episodio increscioso ha portato alla luce le criticità di tale previsione normativa e il 9 ottobre scorso la Commissione Giustizia del Senato vi ha apportato sostanziali modifiche.
Le autorità italiane hanno iscritto nel registro degli indagati per immigrazione clandestina i 155 sopravvissuti del naufragio del 3 ottobre. Il dibattito pubblico che ha accompagnato quest’ultimo emendamento è stato piuttosto acceso e ha visto diversi esponenti politici dichiarare che il reato di immigrazione clandestina non è un unicum italiano, ma è presente negli altri Stati europei. Detto così, nulla da obiettare, ma scavando in profondità i distinguo non sono di poco conto e comunque le differenze nella localizzazione geografica di Paesi come Italia, Germania o Regno Unito dovrebbero © Europae - Rivista di Affari Europei
invitare a riflessioni più articolate. Tuttavia, prima è bene chiarire cosa s’intenda per “immigrazione illegale”. Si tratta dell’ingresso o il soggiorno di cittadini stranieri in violazione delle leggi sull’immigrazione del Paese di destinazione. Di norma, lo status dell’immigrato irregolare è temporaneo, poiché può accadere che persone entrate clandestinamente sanino la loro posizione per mezzo di regolarizzazioni o sanatorie. Di contro, può succedere che persone entrate regolarmente in un Paese divengano “irregolari” per il semplice fatto di avervi soggiornato più del consentito (overstaying).
La Corte Costituzionale e il Parlamento Europeo hanno criticato diversi aspetti del reato di clandestinità come enunciato dalla legge 94 del 2009. La norma introdotta nel 2009 punisce a titolo di reato entrambe le fattispecie, criminalizzando mere condizioni personali. È proprio questa la critica più aspra, ossia il fatto di punire non una condotta, ma uno status (condizione individuale di migrante), quindi esser sanzionati per chi si è e non per quello che si è fatto. Non a caso, la Corte Costituzionale con la sentenza 249 del 5 luglio 2010 dichiarò illegittimo uno degli elementi più controversi del testo in oggetto, ossia l’aggravante di clandestinità che aumentava fino a un terzo le pene per qualsiasi reato fosse stato commesso da un clandestino. L’incompatibilità con il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione era peraltro evidente. Con ulteriore sentenza, la 250/2010, la Corte stessa ritenne invece il cosiddetto “reato di clandestinità” una scelta rientrante nella sfera discrezionale del legislatore. Da ultimo, sono piovute critiche severe anche dal Parlamento Europeo, che il 23 ottobre scorso con una risoluzione bipartisan riferita implicitamente alla legge Bossi-Fini chiedeva di «modificare o rivedere eventuali nor-
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IL REATO DI IMMIGRAZIONE CLANDESTINA IN EUROPA Simone Belladonna
UN GRUPPO DI SOCCORRITORI DELLA GUARDIA COSTIERA E DELLA CROCE ROSSA ACCOLGONO UN GRUPPO DI IMMIGRATI IN ARRIVO A LAMPEDUSA (© FRONTEX)
mative che infliggono sanzioni a chi presta assistenza in mare». Qualora tutto questo non bastasse per criticare severamente il reato ascritto ai 155 sopravvissuti di Lampedusa, va segnalata anche la mole abnorme di processi che gravano su un sistema giudiziario non certo esemplare per efficacia ed efficienza. Queste erano appunto alcune delle più macroscopiche criticità del reato introdotto nel 2009. Cosa accade negli altri Paesi? Come già accennato, anche altri Stati europei hanno adottato soluzioni simili, specialmente Regno Unito, Germania e Francia.
In Francia il reato di immigrazione illegale si lega alla discrezionalità dell’azione penale a disposizione degli inquirenti. In Francia la disciplina dell’immigrazione è da ricercarsi nel Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile. Esistono appunto due tipologie di permesso di soggiorno nel Paese transalpino: uno temporaneo della durata massima di un anno (carte de séjour temporaire) e uno a lungo termine (carte de résident) con scadenza decennale rinnovabile. Si segnala che in tale ordinamento l’immigrazione clandestina è sanzionata penalmente. Perciò, ai sensi degli articoli L. 621-1 del detto testo di riferimento, lo straniero che entri in modo irregolare o si trattenga più del consentito sul suolo france© Europae - Rivista di Affari Europei
se è punito con la reclusione di un anno ed un’ammenda di 3.750 euro. Medesimo trattamento è riservato a coloro i quali abbiano violato le disposizioni di Schengen in quanto al possesso dei documenti di viaggio. Inoltre il giudice può interdire l’ingresso o il soggiorno di chi è stato condannato per immigrazione clandestina per un periodo non eccedente i 36 mesi. Quando ciò accade, scontata la pena, il soggetto in questione viene accompagnato alla frontiera. Sono tutti temi di estrema attualità in Francia, anche e soprattutto dopo il caso di Leonarda Dibrani, la ragazzina kosovara di etnia rom espulsa dal Paese il 9 ottobre scorso dopo esser stata prelevata durante una gita scolastica. Infine, nel caso in cui lo straniero si sottragga o tenti di sottrarsi al provvedimento di accompagnamento alla frontiera, ovvero varchi nuovamente i confini transalpini dopo esserne stato allontanato, sarà punito con tre anni di reclusione. Dunque la normativa francese sembra non discostarsi sostanzialmente da quella italiana. Vi è però un punto imprescindibile di differenziazione: oltralpe non esiste l’obbligatorietà dell’azione penale. Non avendo un articolo analogo al 112 della Costituzione italiana, in Francia i procuratori seguono indirizzi provenienti dal Ministro della Giustizia nel dare priorità al perseguimento di taluni tipi di reati e ciò vale anche per il reato d’ingresso o soggiorno illegale nel Paese. Indi per cui la scelta di perseguire
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N. 6 - Ottobre 2013 tale reato ricorrendo a pene detentive è legata alla valutazione di quale sia il modo migliore di garantire l’effettività delle misure di allontanamento. Perciò ben difficilmente nel caos dei superstiti di Lampedusa si sarebbe assistito alla loro iscrizione nel registro degli indagati.
In Germania una legge del 2004 disciplina il reato di immigrazione illegale. La pena può essere commutata dal giudice in sanzione pecuniaria. Per quanto riguarda la Germania, l’ingresso dei cittadini extra-comunitari è disciplinato dalla Aufenthaltsgesetz del 30 luglio 2004, la quale, come nel caso francese, contempla permessi di soggiorno temporanei (Aufenthaltserlaubnis) e permanenti (Niederlassungserlaubnis). Anche sul suolo tedesco l’immigrazione illegale configura un reato, punito dall’articolo 95 con una pena detentiva da uno a tre anni e una sanzione pecuniaria. La detenzione fino ad un anno è prevista per diverse fattispecie di reato tra cui la residenza in territorio tedesco senza passaporto o altro documento di identità valido, il rilascio di dichiarazioni false o incomplete relativamente ai propri dati personali ai sensi dell'articolo 49.2, la violazione ripetuta del limite di validità territoriale del permesso di soggiorno e l’appartenenza a una associazione o gruppo la cui esistenza, obiettivi o attività siano tenute volutamente segrete alle autorità. La reclusione fino a tre anni è prevista invece per lo straniero che, già espulso o ricondotto alla frontiera, entri o soggiorni nuovamente nel territorio federale, utilizzi o fornisca false informazioni al fine di procurare per sé o per altri un permesso di soggiorno o una sospensione temporanea di un provvedimento di espulsione e utilizzi tali documenti per fine di frode. In ogni caso, il giudice può comminare una pena pecuniaria alternativa alla reclusione. Nel Regno Unito pure è presente il reato d’immigrazione clandestina e ha origini anche piuttosto datate, dacché risale all’Immigration Act del 1971, il quale è stato poi integrato nel 2004 dall’Asylum and Immigration Act. In Gran Bretagna per prassi i controlli interni sui cittadini non esistono, quindi vengono effettuati alle frontiere da funzionari dell’immigrazione o dell’Home Office. Inoltre, non si ha reato nel caso in cui il soggetto esibisca entro tre giorni un documento valido. A questo proposito sono definite tutta una serie di giustificazioni (defences) per provare di avere un © Europae - Rivista di Affari Europei
giustificato motivo per non aver avuto con sé il documento. Anche nel regno di Sua Maestà non c’è un equivalente del già citato articolo 112 Cost., per cui interviene nuovamente la discrezionalità dell’autorità giudiziaria sull’opportunità di procedere. In linea generale l’espulsione può esser disposta per via amministrativa dal Ministro degli Affari Interni o seguire una condanna penale. La discrezionalità del Ministero è piuttosto ampia, tanto da poter tenere in considerazione la specifica situazione dello straniero, oltre alle ragioni umanitarie. Anche nel Regno Unito, quindi, non avremo mai assistito al trattamento riservato ai sopravvissuti di Lampedusa.
L’Asylum and Immigration Act britannico del 2004 prevede controlli alle frontiere da parte del Ministero degli Interni e forme di giustificazione. Quest’ultimo punto ci porta a considerare come le leggi di uno Stato, soprattutto in materie delicate come quella del controllo dei flussi migratori, debbano tenere in considerazione le specificità del Paese stesso. Innanzitutto pare alquanto improbabile che tragedie come quella di Lampedusa possano avvenire in Gran Bretagna o sulle coste tedesche. E poi, come si è cercato di dimostrare, il particolare assetto costituzionale italiano non si s’addice alla previsione di un reato di clandestinità. Chi ha concepito (e chi ancora oggi difende) la legge 94/2009 doveva pensare alle conseguenze su un Paese che per la sua geografia è uno delle mete più ambite per gli sbarchi e non trincerarsi dietro l’affermazione auto-assolutoria che il reato di clandestinità esiste anche in altri grandi Paesi europei. È invece più che sensata l’esortazione a fare di più a livello europeo per risolvere un problema che non può evidentemente essere solo italiano. È pur vero che solo il 15% degli immigrati irregolari in Italia arrivano attraverso il Mediterraneo, ma lo è ancor di più che il Mare Nostrum si sta tingendo sempre più di rosso. È una situazione inaccettabile per un continente che si ritiene – ed è – faro nel campo dei diritti umani nel mondo. La visita del Presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso a Lampedusa è stato un primo segnale. Restiamo però in attesa dell’ormai irrimandabile cambio di rotta. ∎
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FRONTEX E IL CONFINE TRA SICUREZZA E DIRITTI UMANI L’allargamento e le sfide del contesto internazionale hanno spinto l’UE a dotarsi di uno strumento di gestione delle frontiere esterne comuni. Varata nel 2004, Frontex non è un corpo di polizia di frontiera europeo, ma un’agenzia che coordina e supporta le autorità nazionali nella sorveglianza dei confini. L’Agenzia è diventata oggetto di pesanti accuse, in particolare per le violazioni dei diritti umani, sebbene siano ancora gli Stati membri a gestire le operazioni di sicurezza alle frontiere dell’UE.
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di Enrico Iacovizzi
amminando lungo le strade del quartiere europeo di Bruxelles è possibile notare, disegnate sui marciapiedi, tante piccole corone a 12 stelle. Al centro di queste, qualcuno ha aggiunto una scritta: “FRONTEX KILLS”. Apparvero nel dicembre 2011, quando i tumulti in Nord Africa avevano accentuato i flussi migratori attraverso il Mediterraneo e Human Rights Watch aveva da poco pubblicato il documento “EU's Dirty Hands”, in cui collegava l’agenzia europea di monitoraggio delle frontiere esterne, Frontex, a ripetute violazioni di diritti umani di richiedenti asilo e rifugiati in Grecia. Tornando indietro di circa vent'anni, è possibile rintracciare tre esigenze che hanno spinto gli Stati europei a dotarsi di una strumento di gestione delle frontiere esterne comuni. In primo luogo la preoccupazioni di alcuni governi europei in merito all'aumento dei flussi migratori negli anni Novanta. Inoltre, con l’allargamento dell’Unione, il timore era che i Paesi dell'Est Europa non fossero in grado, da soli, di fornire un'adeguata gestione delle frontiere. Infine, la generalizzata tendenza a rafforzare i controlli di frontiera in seguito all'escalation terroristica di quegli anni.
Diversi fattori spinsero gli Stati membri dell’UE a dotarsi, nei primi anni Duemila, di uno strumento di gestione delle frontiere esterne comuni. L'idea di un sistema uniforme di sorveglianza e controllo delle frontiere esterne dell'UE aleggiava già da tempo in Europa, ma si dovette attendere il 2001 perché fosse lanciata un'iniziativa concreta: Italia e Germania presentarono al Consiglio una proposta per la creazione di una Polizia di Frontiera Europea, prontamente appoggiati da Francia e Spagna ed altrettanto prontamente osteggiati da Londra, che temeva un'eccessiva centralizzazione di poteri. © Europae - Rivista di Affari Europei
Un compromesso fu raggiunto dopo pochi mesi, quando il Consiglio Europeo identificò quattro obiettivi su cui si sarebbe dovuta incardinare qualsiasi azione adottata in tale direzione: standardizzare i controlli alle frontiere europee, fornire assistenza ai Paesi in procinto di adesione nel rafforzare le proprie capacità frontaliere, facilitare la gestione di crisi legate alle frontiere europee e prevenire l'immigrazione illegale e altri crimini transfrontalieri. Nessun riferimento fu inserito in merito a eventuali corpi di polizia frontaliera.
Frontex nacque nel 2004 dopo la bocciatura della proposta di una Polizia di Frontiera Europea e il fallimento dell’Unità di Esperti. In mancanza di una reale comunità d'intenti, la Commissione Europea propose la costruzione di un'Unità Comune di Esperti per le Frontiere Esterne (External Borders Practitioners Common Unit), il cui compito sarebbe stato quello di gestire e pianificare la convergenza di personale ed equipaggiamenti degli Stati membri in materia. L’Unità mancava però del tutto di capacità di coordinamento concreto delle operazioni di pattugliamento, tanto da spingere la stessa Commissione a proporne l'affiancamento (e poi la sostituzione) con un'agenzia operativa: nasceva così, il 26 ottobre 2004, Frontex, l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa delle frontiere esterne degli Stati membri dell'UE. I compiti principali dell'Agenzia riguardano il coordinamento della cooperazione operativa tra Stati membri nella gestione delle frontiere esterne, l'assistenza agli Stati membri in materia di formazione del corpo nazionale delle guardie di confine e l'analisi dei rischi e degli sviluppi della ricerca pertinenti al controllo e alla sorveglianza. È inoltre previsto
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PERSONALE DI FRONTEX SOCCORRE UN BARCONE DI MIGRANTI A LARGO DI LAMPEDUSA NELLA MISSIONE SEARCH AND RESCUE “JO HERMES” (© FRONTEX 2013).
l'ausilio agli Stati membri in circostanze che richiedono una maggiore assistenza tecnica e operativa, nonché il supporto necessario agli Stati membri per l'organizzazione di operazioni di rimpatrio congiunte. Al fine di svolgere questi compiti, Frontex è dotata una divisione dedita allo sviluppo del capacity building - tramite addestramento e ricerca e sviluppo - e una divisione operativa per l'analisi dei rischi e lo svolgimento delle operazioni congiunte, entrambe composte in parte da esperti nazionali, in parte da personale appositamente assunto dall'Agenzia. L'Agenzia dispone infine di un braccio operativo, gli European Border Guard Teams, unità composte da personale delle polizie di frontiera dei diversi Stati membri, e incaricate di svolgere operazioni di intervento rapido.
parte delle autorità costiere europee, che mettono a rischio la vita dei migranti e agiscono sul filo della legalità rispetto al diritto d'asilo e il divieto di refoulement. Sono i casi di Grecia e Spagna, che hanno spesso respinto imbarcazioni provenienti da Turchia e nord Africa. È anche il caso dell'Italia, che, in seguito al respingimento di 24 immigrati libici nel 2009, è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani per violazione dell'articolo 3 sul divieto di tortura della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo e per violazione del divieto di espulsione collettiva.
L'operato di Frontex, in special modo nel Mediterraneo, ha attirato l'attenzione di diversi osservatori, siano essi ONG o organizzazioni intergovernative, Stati membri o Paesi a forte flusso emigratorio, nonché sollevato numerose critiche dal punto di vista sia operativo che organizzativo. Riguardo al primo aspetto, Frontex è stata accusata a gran voce per le ripetute violazioni dei diritti umani, a partire dalle pratiche di respingimento da
Un'altra accusa piuttosto recente è stata quella relativa al caso greco. Dopo che il Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ha dichiarato crisi umanitaria la situazione dei centri d'accoglienza per rifugiati nel Paese ellenico e in particolare nella regione di Evros. Frontex ha avviato un'operazione di Intervento Rapido al Confine, lo European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT). L’accusa
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L’Agenzia è diventata oggetto di accuse di ripetute violazioni dei diritti umani. I casi di Italia, Spagna e Grecia, in particolare, sono emblematici.
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FRONTEX E IL CONFINE TRA SICUREZZA E DIRITTI UMANI Enrico Iacovizzi del Commissariato al governo greco era di aver nascosto la precarietà delle condizioni di vita di numerosi profughi provenienti dal confine turco, e che l'intervento di Frontex non aveva apportato sostanziali miglioramenti. Un'accusa analoga è giunta anche dall'Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali, che lamentò come l'operato di Frontex avesse avuto impatto solo nelle fasi di consegna alle autorità greche, mentre non aveva avuto alcun effetto sul miglioramento delle condizioni di detenzione, un argomento per altro al di fuori degli obiettivi della missione. In seguito a tali accuse, l'Agenzia ha adottato una Strategia per i Diritti Fondamentali al fine di integrare questi ultimi nella gestione dei confini, sottolineando però che il mandato dell'Agenzia la rende responsabile solo per il coordinamento degli Stati membri e non per la loro condotta. Alla luce di tali critiche occorre evidenziare due elementi chiave: in primo luogo Frontex non è una polizia europea di frontiera, ma uno strumento per il coordinamento delle autorità di controllo nazionali. In secondo luogo, come ha sottolineato lo studioso e docente di diritto europeo alla Leiden Law School Jorrit Rijpma, l'approccio che gli Stati membri hanno adottato attraverso Frontex ha una natura di carattere securitario piuttosto che di gestione dei flussi migratori e protezione dei diritti umani.
Nonostante le critiche, Frontex non è una polizia europea di frontiera, ma coordina le autorità nazionali nel controllo delle frontiere esterne. Non si deve a tal proposito dimenticare che il mandato dell'Agenzia resta ad oggi piuttosto limitato e che le violazioni dei diritti umani avvengono per lo più per mano dei governi nazionali e non di Frontex. Basta infatti guardare alla travagliata nascita dell'Agenzia per capire quanti siano i suoi freni politici e i suoi limiti strutturali. Lo stesso Direttore di Frontex, il finlandese Ikka Laitinen, ha definito l'Agenzia «una struttura di coordinamento con pochi poteri esecutivi», sottendendo la forte dipendenza dai governi europei che ancora oggi la caratterizza. Da questo presupposto sono scaturite ulteriori critiche, additando Frontex come un modo dei governi, incapaci di reagire adeguatamente ai flussi migratori, per scaricare colpe di cattiva gestione che altrimenti sarebbero ricadute sulle rispettive capitali. In realtà, la limitatezza del mandato di Frontex si lega al fatto che l'Agenzia non vuole sostituirsi alle autorità nazionali di controllo delle frontiere. Gli © Europae - Rivista di Affari Europei
Stati membri hanno invece un ruolo di rilievo nella pianificazione delle operazioni congiunte, spesso travalicando la consulenza di Frontex in numerosi aspetti, che vanno dalle tempistiche agli strumenti tecnici, alle risorse umane e finanziarie. Durante lo svolgimento delle operazioni, poi, sono gli Stati membri a essere investiti delle capacità di comando e controllo. I governi hanno infine un ruolo decisivo anche nell'analisi del rischio, compito che dovrebbe invece risiedere solo nelle mani dell'Agenzia, anteponendo le proprie considerazioni politiche alle necessità strategiche comuni. Tutto questo senza dimenticare che le autorità nazionali possono comunque disporre operazioni parallele a quelle di Frontex in maniera del tutto autonoma, proprio come ha dimostrato il varo da parte dell’Italia dell’operazione marittima e umanitaria “Mare Nostrum. La recente tragedia umanitaria di Lampedusa ha forse dato il via a un cambiamento di prospettiva maggiormente focalizzato sul rispetto dei diritti umani dei disperati che affollano le carrette del mare che attraversano il Mediterraneo. Il Commissario europeo per gli Affari Interni, Cecilia Malström, ha parlato di una nuova grande operazione Frontex di salvataggio sicuro «da Cipro alla Spagna», anche se resta da vedere fino a dove riuscirà a spingersi il compromesso tra i diversi Stati membri, sia dal punto di vista finanziario che da quello politico. Nel frattempo, il Parlamento Europeo ha approvato lo scorso 10 ottobre il sistema di coordinamento europeo di sorveglianza della frontiera esterna nel Mediterraneo, EUROSUR, che, a partire dal 2 dicembre, coordinerà diversi sistemi di localizzazione, tra cui satelliti e radar permettendo una migliore e più rapida gestione delle crisi. Una maggiore consapevolezza della dimensione umanitaria dell'immigrazione e la sua integrazione negli addestramenti di search and rescue dovrebbero essere al centro degli sforzi futuri di Frontex. Una più concreta cultura dei diritti umani accrescerebbe l'accountability dell'Agenzia e potrebbe diffondere tale cultura nei corpi nazionali coinvolti. Dal canto loro, gli Stati membri dovrebbero smettere di criticare Frontexper la sua limitatezza operativa, dal momento che il mandato dell'Agenzia dipende essenzialmente dal fatto che siano gli Stati stessi ed assumersi, tutti, le proprie responsabilità, decidendo cosa vogliono che Frontex sia. Una struttura su cui scaricare le colpe non serve a nessuno.∎
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DAL GOLFO DI ADEN AL MEDITERRANEO: L’UE E LA LUNGA STRADA PER ITACA L’immigrazione non è affatto un’emergenza, ma un fenomeno consolidato che percorre rotte conosciute. L’azione sui Paesi d’origine, assieme a un sistema di missioni civili e militari volte a dare solidità agli Stati di transito e a monitorare i mari, può offrire una soluzione alle ragioni di sicurezza dell’Europa e dei migranti. EUCAP Nestor e l’Operazione Atalanta nel Golfo di Aden offrono spunti utili per disegnare un’azione concertata di UE, Stati membri e Paesi terzi per fare del Mediterraneo un mare sicuro.
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di Gianluca Farsetti e Giuseppe Lettieri
opo tragici eventi come quello di Lampedusa, in Italia si riaccendono i riflettori dei media su una questione sistematicamente ignorata da ormai un ventennio: l’immigrazione. È dalle prime immagini degli sbarchi di cittadini albanesi sulle coste pugliesi nel lontano 1997, durante la cosiddetta “anarchia albanese”, che i governi susseguitisi alla guida del Paese hanno cercato sempre molto timidamente di risolvere quella che viene percepita da ampia parte dell’opinione pubblica come un’emergenza. Il risultato è un nulla di fatto. In parte per mancanza di visione di lungo termine, in parte per la distorta percezione che l’opinione pubblica ha del problema e anche per una scarsissima coordinazione a livello europeo, il bandolo della matassa deve ancora essere trovato. In questa analisi si cercherà di fare chiarezza su questo delicato tema, tracciandone i caratteri salienti e avanzando alcune proposte su come potrebbe essere affrontata la questioOPERAZIONI DI MONITORAGGIO NELL’AMBITO DELLA MISSIONE ATALANTA (© EUNAVFOR SOMALIA) ne. Innanzitutto, dati alla mano, l’immigrazione non è affatto un’emergenza, non bassa, ma nella media rispetto agli altri Paesi di quantomeno per l’Italia e in termini numerici. Se- simili dimensioni (in Germania è l’8,8%, in Spagna il condo i dati OCSE, i flussi verso l’Italia hanno regi- 12% e in Francia il 5,9%). Detto questo, esistono strato una diminuzione già nel 2012. Inoltre, con strumenti utilizzabili per poter razionalizzare il questo tasso di natalità (9 per mille secondo i dati flusso d’immigrati. Sì perché, come già il Ministro Istat del 2012, cioè tra i più bassi al mondo) senza degli Esteri italiano Emma Bonino ha cercato di l’apporto demografico garantito dagli immigrati, la spiegare, «una soluzione miracolosa al problema popolazione italiana diminuirebbe a un tasso espo- non c’è». Sempre ammesso che di problema si tratti. nenziale. Ancora, la popolazione straniera è il 7,4% Innanzitutto, per cominciare ad affrontare la quesu quella totale (dati Istat 2013), una percentuale stione, è necessario agire sui Paesi di origine, per © Europae - Rivista di Affari Europei
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DAL GOLFO DI ADEN AL MEDITARRANEO: L’UE E LA LUNGA STRADA PER ITACA Giuseppe Lettieri e Gianluca Farsetti
La crisi finanziaria ha reso la Germania l’unica economia forte dell’eurozona e dato a Merkel il timone per far uscire l’Europa dalla tempesta.
L’ISOLA DI LAMPEDUSA SUI MONITOR DEGLI OPERATORI DI FRONTEX, NEL CORSO DELL’OPERAZIONE HERMES MESSA IN CAMPO DALL’AGENZIA (© FRONTEX ).
almeno due ragioni. La prima riguarda il fatto che la sfruttati strumenti già presenti, ma nati per altri maggior parte degli immigrati che si trovano in Eu- scopi. Per esempio, nel luglio 2012 è stata lanciata la ropa è arrivata in modo assolutamente legale, cioè missione EUCAP-Nestor, missione di “assistenza con regolare visto d’ingresso. In secondo luogo tecnica” realizzata dall’UE in favore di otto Paesi del perché le possibili rotte utilizzabili dai migranti che Corno d’Africa e dell’Africa Orientale, tra i quali Sodecidono di intraprendere il durissimo viaggio che li malia, Djibuti, Seychelles, Kenya e Tanzania. Tratporterà in Europa sono ben note ormai da anni. Infatti, le principali direttrici che riguardano l’Italia e Le rotte dei migranti sono note da anni: una l’Unione Europea sono tre: la prima è quella dall’Europa orientale, l’altra dal Corno d’Africa dell’Europa orientale, soprattutto attraverso l’Ucrai- attraverso il Nord Africa e il Mediterraneo. na. La seconda, invece, parte dai Paesi centrafricani e del Corno d’Africa e si articola attraverso il Su- tandosi di una missione civile, EUCAP ha il compito dan, Nord e Sud, l’Eritrea, la Libia o l’Egitto. In que- di rendere efficienti le Guardie Costiere dei Paesi sto caso, ha giocato un ruolo importante la forte in- terzi, coordinando la propria azione anche con la stabilità del Nord Africa che ha reso i confini dei missione Atalanta, che si occupa di reprimere gli Paesi del Mediterraneo meridionale porosi e difficil- atti di pirateria utilizzando navi militari europee. mente controllabili. Infine ne esiste una terza, che EUCAP, con un focus particolare sull’addestramenraccoglie molti migranti provenienti dall’Africa Sub to, potrebbe svolgere un ruolo molto importante nel -Sahariana e si articola lungo i Paesi dell’Africa oc- dotare i Paesi del Corno d’Africa, una delle direttrici cidentale, soprattutto Marocco, Senegal, Mauritania, dei flussi migratori, di strumenti utili al contrasto Sierra Leone e Ghana. A favore di quest’ultima diret- dell’immigrazione illegale. Per fare questo, il mantrice gioca soprattutto la relativa vicinanza alle Ca- dato dovrebbe essere esteso anche alla preparazionarie e alle coste spagnole. ne di guardie di frontiera, dotandole delle dovute Agire quindi sui Paesi di origine e riuscire a tecnologie atte al controllo e al monitoraggio del “controllare” questi canali d’immigrazione è dunque territorio. Un primo punto di criticità concerne profondamentale. A tale riguardo, potrebbero essere prio l’acquisizione di assetti e vettori idonei a © Europae - Rivista di Affari Europei
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ALLE PORTE DELL’UE
L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE
N. 6 - Ottobre 2013
quest’ultimo tipo di missioni, marittime o terrestri che siano. Un embargo su armamenti e alcuni apparati tecnologici è ancora in vigore, non considerando le indisponibilità finanziarie dei tre “Stati de facto” in cui è stato suddiviso il territorio somalo post -1992 (Somalia, Somaliland e Puntland). Numerosi sono stati i tentativi, sia internazionali sia locali, di assoldare compagnie di sicurezza privata che stabilizzassero i confini, soprattutto le zone portuali e di frontiera. Nonostante alcuni progetti siano andati a buon fine, primo fra tutti il caso della norvegese Nordic Crisis Management in Somaliland o, a seguire, quello della sud-africana Saracen International in Puntland, la maggior parte di essi ha incontrato immense difficoltà operative e numerose costrizioni legali. Molte compagnie hanno subito accuse in merito all’introduzione illegale di armamenti o hanno visto rescissi i loro contratti in corso d’opera, a causa del susseguirsi di amministrazioni locali espressione di fazioni politiche opposte alle precedenti.
nell’impossibilità di essere rintracciati, riapparendo, per chi ha questa fortuna, sulle coste meridionali del Mediterraneo. La situazione quindi, dal punto di vista dell’UE, rimane approcciabile o dal luogo di partenza delle migrazioni, un’omerica città di Troia, o dalla penultima e ultima tappa del loro cammino, la tanto amata Itaca. Proprio su quest’ultima tratta del viaggio, le continue morti durante le traversate illegali del Mediterraneo obbligano a un forte e deciso intervento che coinvolga tutte e due le sponde del Mare Nostrum. Proprio EUCAP-Nestor potrebbe realmente costituire un modello replicabile su più ampia scala, a patto di riadattarne il framework alle caratteristiche dei Paesi coinvolti: Tunisia, Libia, Algeria e Marocco in primis. Il Maghreb non è il Corno d’Africa, anche se le rivolte arabe del 2011 hanno evidenziato ben radicate fonti di instabilità politica difficilmente eliminabili. L’obiettivo della missione, a cui l’UE dovrebbe dedicare risorse, know-how e in un secondo momento anche apparecchiature specifiche, non sarebbe di costituire ex-novo una forza di capitaneGli esempi offerti dalle missioni europee nel Golfo ria efficiente ed efficace, ma ergersi a network di di Aden, impegnate nella lotta alla pirateria, offro- dialogo fra le singole capitanerie maghrebine e i Paesi europei della sponda mediterranea settenno spunti per missioni dell’UE nel Mediterraneo. trionale. L’idea di fondo sarebbe quella di coordinaInoltre, molti programmi di addestramento, alcuni re maggiormente gli sforzi, in modo da riuscire, con dei quali tuttora funzionanti, risultano essere in- gli esigui mezzi a disposizione, a coprire il più amcompatibili fra loro o ridondanti, accentuando le pio specchio di mare possibile. Le singole acque terdifficoltà di un serio controllo delle aree in questio- ritoriali non verrebbero compromesse, il principio ne. EUCAP, con il suo framework omnicomprensivo, di sovranità verrebbe garantito e le unità disponibili potrebbe costituire il reale ombrello sotto cui rac- sarebbero distribuite con maggiore uniformità. Nulchiudere e organizzare la gestione delle coste di la vieterebbe, dopo una fase di rodaggio, di pensare tutto il Corno d’Africa, come afferma il suo manda- alla fornitura di alcuni vascelli, apparecchiature di to. Data la situazione disastrosa della Somalia e i sorveglianza o a un più complesso processo di pooconfini estremamente porosi dell’area, ci si riferisce ling and sharing in materia di intelligence, pattua un progetto concreto che potrebbe avere ripercus- gliamenti e missioni SAR (Search and Rescue). sioni positive nel lungo termine, rimanendo in ogni Rimane di gran lunga più problematico generare la caso una delle poche soluzioni praticabili per co- fiducia necessaria affinché tale framework venga minciare a razionalizzare i flussi sin dall’origine e implementato. Viene dunque da chiedersi se questa garantire la sopravvivenza di coloro che scappano iniezione di fiducia possa nascere in un contesto dalla povertà di questi Paesi. come quello egiziano o libico, dove il controllo delle Ancora più difficile si presenta la situazione per co- coste e delle migrazioni non rappresenta di sicuro, loro che, per arrivare alla penultima tappa della loro in questo momento, uno dei punti all’ordine del Odissea, attraversano i confini di diversi Paesi e per- giorno. La volontà politica rimane la base di ogni corrono a piedi o a bordo di veicoli di fortuna diste- accordo e la soluzione dei problemi di stabilità in se immense di deserti e di aree inabitate. Rimane cui incorre tutta l’area resta l’assoluta priorità. Nella quasi impossibile per le autorità tracciare queste contingenza del momento, tuttavia, il soccorso conrotte, controllarne i flussi e garantire la sicurezza tinuo e costante rimane l’unica risposta reale e ratfisica degli individui. Persi fra mille rotte, in balia toppare le vele delle navi per Itaca l’unica vera saldei loro “negrieri”, scompaiono per giorni, vezza per le vite di questi migranti. ∎ © Europae - Rivista di Affari Europei
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GLI AUTORI Davide D’Urso Caporedattore e Presidente del Consiglio di Redazione di Europae. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il certificato di alta qualificazione presso la Scuola di Studi Superiori di Torino. È stato tirocinante all’Ufficio Stampa della Rappresentanza d’Italia presso l’UE. Lavora come export manager. Specializzato in politica, istituzioni e relazioni esterne dell’UE. In questo numero: “Immigrazione: le paure e gli errori della Fortezza Europa”.
Stefania Bonacini Redattrice corrispondente da Bruxelles, Responsabile estero e membro del Consiglio di Direzione di Europae. Laureata magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna, sede di Forlì, con una tesi sul ruolo dell’Unione Europea nelle dinamiche di transizione in corso in Egitto. Vive e lavora a Bruxelles. Specializzata in relazioni euro-mediterranee, politiche regionali e relazioni tra UE e Turchia. In questo numero: “I flussi migratori e le relazioni euro-mediterranee”.
Fabio Cassanelli Redattore, membro del Consiglio di Redazione di Europae, membro del comitato direttivo e Tesoriere dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureato in Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Torino, è autore di temi economici su quattrogatti.info e cura un blog sull’Huffington Post. Studia Economia, Cultura, Ambiente e Territorio presso il Dipartimento di Statistica di Torino. Specializzato in economia, finanza e politica monetaria. In questo numero: “I benefici economici dell’immigrazione”.
Sara Bottin Redattrice di Europae. Laureata magistrale in Politica Internazionale e Diplomazia presso l’Università degli Studi di Padova con una tesi sulle relazioni euro-mediterranee. Dal settembre al dicembre 2012 è stata tirocinante all’Ufficio Mediterraneo e Medio Oriente della Rappresentanza d’Italia presso l’Unione Europea. Specializzata nelle relazioni tra UE e Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente. In questo numero: “Le politiche migratorie nazionali e il caso Italia-Libia”.
Simone Belladonna Redattore, Responsabile relazioni esterne, membro del Consiglio di Redazione di Europae e VicePresidente dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il certificato di alta qualificazione presso la Scuola di Studi Superiori di Torino. Specializzato in politica, diritto e mercato unico. In questo numero: “Il reato di immigrazione clandestina in Europa”.
Enrico Iacovizzi Redattore corrispondente da Bruxelles. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso la Facoltà Roberto Ruffilli di Forlì con una tesi sull’evoluzione delle relazioni esterne dell’UE e sul suo ruolo di potenza civile globale. Vive e lavora a Bruxelles. Specializzato in relazioni esterne e nella dimensione politica e istituzionale della difesa comune europea. In questo numero: “Frontex e il confine tra sicurezza e diritti umani”.
Gianluca Farsetti Redattore di Europae. Studente presso di Relazioni Internazionali presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma. Appassionato di politica estera e diplomazia. Specializzato nella dimensione di sicurezza e difesa della politica estera europea. In questo numero: “Dal Golfo di Aden al Mediterraneo: l’UE e la lunga strada per Itaca”.
Giuseppe Lettieri Redattore di Europae. Laureando in Scienze Internazionali e Global Studies presso l'Università degli Studi di Torino. Durante l’Erasmus in Norvegia ha svolto ricerche sull’evoluzione della dottrina Petraeus inerente la couterinsurgency in Iraq e Afghanistan. Specializzato nella politica europea di sicurezza e difesa . In questo numero: “Dal Golfo di Aden al Mediterraneo: l’UE e la lunga strada per Itaca”.
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® Europae - Rivista di Affari europei I numeri precedenti
Numero 1, Aprile 2013 “L’Unione Europea e la nuova corsa all’Africa” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui
Numero 2, Maggio 2013 “Ulisse e Zheng He. Unione Europea e Cina sulla rotta del mondo nuovo” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui
Numero 3, Giugno 2013 “La camera bassa. Il Parlamento Europeo tra Lisbona e il 2014” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui
Numero 4, Luglio 2013 “L’Europa dei 28. La Croazia rilancia il sogno europeo dei Balcani” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui
Numero 5, Settembre 2013 “Kaiserin Angela? Merkel verso la riconferma, l’Europa aspetta”
Consultabile e scaricabile gratuitamente qui
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