LA TROIKA FINISCE SOTTO ESAME —PAG. 4 www.rivistaeuropae.eu
OGGI LA
GRECIA
DOMANI L’ITALIA AL VIA LA PRESIDENZA ELLENICA DELL’UE, TRA SCETTICISMO, DISILLUSIONE E AUSTERITÀ. E TRA SEI MESI TOCCHERÀ ALL’ITALIA —PAG. 8-13 LA SERBIA VERSO L’ADESIONE
NEGAZIONISMO: L’EUROPA TRA LIBERTA’ E REATO
—PAG. 20
—PAG. 22
E ADESSO IL PORTOGALLO SI RIALZA
CAMERON CONTRO L’UE
—PAG. 16
—PAG. 6
INDICE
OGGI LA GRECIA DOMANI L’ITALIA — PAGINE 8-13 La Presidenza ellenica del Consiglio dell’UE si concluderà a luglio, passando il testimone all’Italia. Nel frattempo, l’Unione passerà attraverso le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. Atene e Roma a fare del 2014 un anno “mediterraneo”, guidando l’agenda dell’UE su occupazione, crescita e politiche migratorie.
Europae - Rivista di Affari Europei www.rivistaeuropae.eu DIRETTORE
Antonio Scarazzini CAPOREDATTORE
Davide D’Urso
Tutta colpa della Troika? — PAG. 4 A mesi di distanza dalla crisi finanziaria che ha quasi travolto l’eurozona, la Troika è stata ascoltata dai membri del Parlamento Europeo.
VICE-DIRETTORI
Luca Barana Valentina Ferrara CONSIGLIO DI REDAZIONE
Cameron e l’immigrazione: contro il mercato unico — PAG. 6 Da gennaio anche bulgari e rumeni hanno diritto alla libera circolazione per motivi di lavoro in tutta l’UE. Il governo di David Cameron cerca soluzioni per limitare i rischi del benefit tourism.
Riccardo Barbotti Simone Belladonna Stefania Bonacini Fabio Cassanelli Shannon C. Little Mauro Loi Tullia Penna CONTATTI
L’antisemitisimo ai tempi dei reati d’opinione — PAG. 22
redazione@rivistaeuropae.eu direttore@rivistaeuropae.eu
Lo scandalo Dieudonné divide la Francia sui temi dell’antisemitismo, del negazionismo e dei reati d’opinione, che spesso entrano in contrasto con i diritti legati alla libertà di espressione.
Via Morghen 35, 10143 - Torino (TO) Per associarsi o sostenerci scrivi a: presidente.osare@gmail.com
L’Europa della stabilità. ........... 3
La Bosnia e l’Erasmus+ ........ 18
Elezioni europee, sistemi elettorali nazionali. ................ 14
Serbia: alle porte dell’UE ...... 20
ASS. CULTURALE OSARE EUROPA
MVP Barbara Matera ............ 24 Febbraio in Agenda...............15 Editoriale a matita ................ 25 Il Portogallo si rialza............ 16 OSARE Europa ..................... 26 Buon compleanno NAFTA. ....17 Pubblicazione distribuita gratuitamente ai soci e ai sostenitori dell’Associazione Culturale OSARE Europa.
RIVISTA MENSILE (N. 1)
Febbraio 2014 “Oggi la Grecia, domani l’Italia”
2 | FEBBRAIO 2014 |
Dedicato a Ferdinando Rossi, Perché i progetti nati dalla passione che ci ha trasmesso non restino incompiuti e il suo entusiasmo viva sempre in essi.
EDITORIALE
L’Europa della stabilità Antonio Scarazzini Direttore
È L’EUROPA DELLA STABILITÀ FINANZIARIA, POLITICA E AL DI FUORI DEI CONFINI. MA L’UE DOVRÀ TORNARE A GIOCARE ALL’ATTACCO.
E
ra da almeno un paio di anni che a Davos non si parlava di Europa senza scommettere sulla brutalità della sua dissoluzione. Un sorriso da una parte, una battuta dall’altra, l’ottimismo dato per disperso è tornato a far capolino nei corridoi del World Economic Forum. Prendete Manuel Barroso: solo un anno fa abbarbicato nell’eterno dilemma austerità sì / austerità no, oggi nei salotti elvetici il presidente uscente della Commissione parla con fare rilassato, racconta di un Vecchio Continente che torna alle coste più quiete, scampato ai marosi finanziari. Poi si ricorda del vecchio adagio e cita addirittura Helmut Kohl: “nessun Paese può vivere a lungo al di sopra dei propri mezzi”. E’ l’elogio della stabilità. Quella finanziaria, cui fa il suo doveroso ossequio il Ministro tedesco delle Finanze Schauble, che tanto sembra calma piatta, come la curva del PIL... Quella politica, che a Davos sembra aver preso la via del Nord con i Cameron, i Kenny e i Reinfeldt di turno a mostra-
Davos come ogni anno in Svizzera si è riunito il World Economic Forum: l’UE non è più l’osservata speciale.
re al resto d’Europa come si fa a piacere ai mercati e - a volte non guasta - pure ai propri cittadini. L’Europa è tornata, l’Europa è stabile. Ci prova l’Italia a dare qualche sussulto, tra ghigliottine e leggi elettorali, ma non c’è più gusto: le fibrillazioni da ribaltone sono lontane e un premier italiano può addirittura permettersi di vendere stabilità in cambio di quote di compagnie aeree. Anche l’euro è stabile. Dosi da cavallo di aggiustamento fiscale sembrano aver dato forti anticorpi alla moneta unica, la febbre per il dollaro non preoccupa più del dovuto e dalla crisi dei Paesi emergenti, forse, per una volta, ci sarà pure da guadagnare. L’Europa non cade più. Ma neanche si muove. Tanto concentrata nel fermare la caduta, si è fatta trovare impreparata al restart e, anzi, a Bruxelles si è pure fermata, o quasi. Sonno elettorale, in vista di quel che sarà, sperando che le urne non trasformino le vie di Bruxelles in avamposti carbonari pronti a smantellare l’Unione Europea. L’Europa sonnecchia, sopravvive nella sua quieta disperazione, per dirla con i Pink Floyd. Disperazione che deflagra ai suoi confini: a Kiev non si combatte (ancora) per l’Europa, ma è vero
che si lotta per ciò che l’Europa rappresenta: libertà, giustizia, democrazia. Strano ma vero, non c’è bandiera che sventoli per la stabilità. Per definizione, non c’è stabilità nel mutamento: non c’è stata nel Nord-Africa, dove più volte l’Europa ha spostato un po’ più in là il paletto della tolleranza, barattando la sicurezza dei propri confini con la sopravvivenza di regimi indifendibili. Non vi sarà in Ucraina, che ha bisogno di un’altra rivoluzione arancione per vincere una volta per tutte il male dell’autoritarismo. L’Europa della stabilità in sé e per sé non funziona: la storia ha insegnato che l’integrazione europea funziona come processo evolutivo. Calcisticamente parlando, quando il Vecchio Continente arretra in difesa dello status quo, il catenaccio traballa e, nel turbinio della crisi finanziaria, i leader europei hanno badato più a salvare la panchina che a un posto per le coppe. Con le elezioni di maggio, il turnover ai posti di comando dell’UE è ormai alle porte: per l’Europa è arrivato il momento di ricordarsi come si gioca d’attacco. «
| FEBBRAIO 2014 | 3
L’ESAME DEL PARLAMENTO EUROPEO
Tutta colpa della Troika? Antonio Scarazzini Direttore
PLACATA LA TEMPESTA FINANZIARIA CHE HA QUASI TRAVOLTO L’EUROZONA, LA TROIKA SI È PRESENTATA DI FRONTE AL PE. IL DIBATTITO È STATO FRANCO E APERTO.
A
l tavolo della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento Europeo, riunito a Strasburgo per la prima sessione plenaria del 2014, è seduto Olli Rehn, ma Werner Langen, dai banchi del PPE, brucia tutti sul tempo: “C’è qualche giustificazione per tanta urgenza?”. Il ciclo di audizioni previsto nell’ambito dell’inchiesta parlamentare sulla Troika inizia con il botto. Al deputato eletto in quota CDU non è andata giù l’eccessiva solerzia con cui i coordinatori della commissione hanno forzato l’inquisizione sull’operato nel corso della crisi dell’eurozona di Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale e Commissione Europea. Non si può, in fondo, dargli torto: per quanto nobile, l’intento di sottoporre a più democratico scrutinio l’azione della triade giunge quando i buoi sono ormai parecchio lontani dalla stalla. In Grecia le politiche di bilancio altamente restrittive hanno ulte-
4 | FEBBRAIO 2014 |
Rehn Finlandia - ALDE è Commissario agli affari economici e monetari
Trichet Francese, ex Presidente della BCE nei momenti più duri della crisi
Regling Tedesco, Direttore dello European Stability Mechanism (ESM)
riormente represso un sistema di per sé privo di forza propulsiva e competitiva e già compromesso dall’intervento tardivo degli altri Paesi europei. Il treno dell’aggiustamento strutturale viaggia ormai da tempo senza essere affiancato - e non sostituito - da cuscinetti per le ricadute sociali ed occupazionali. D’altro canto, Atene ritornerà dopo anni a far segnare un surplus primario, Irlanda e Portogallo hanno ritrovato l’accesso ai mercati finanziari e pure la Spagna pare aver intrapreso un percorso di ripresa che, per quanto timida e pericolante, incorpora i primi effetti delle riforme strutturali concordate con UE e FMI. La ridotta capacità di influenzare l’entità dei piani di condizionalità non nasconde, tuttavia, la valenza in prospettiva dell’azione parlamentare: più delle politiche economiche, sul banco degli imputati sale l’accountability, la legittimità della Troika e la sua presunta immunità da qualsivoglia controllo democratico. È qui che insiste la relazione promossa dal popolare austriaco Otmar Karas e dal socialista francese Liem Hoang Ngoc, che segue una lista di 29 domande presentate a Commissione, BCE ed Eurogruppo, riassumibili nella più classica “quis custodia custodiet?” , chi controlla i controllori?
Da un lato Olli Rehn, l’ex numero uno dell’Eurotower Jean Claude Trichet ed infine Klaus Regling, direttore dell’ESM, dall’altro il Parlamento Europeo: l’ennesima tappa del confronto tra le istituzioni a dodici stelle, tra legittimazione elettorale e immunità tecnocratica. La strategia delle due fazioni in gioco è chiara: a suon di domande taglienti, gli europarlamentari hanno pressato i loro interlocutori nel tentativo di far emergere le falle di un organo super partes, di cui è difficile rintracciare legittimità democratica e nel quale la compresenza di personale dal differente expertise ha contribuito a non poche frizioni nel processo di gestione delle crisi. L’accusa, in sintesi, è di aver sottoposto i Paesi a rischio (Irlanda, Portogallo, Grecia e Cipro) a misure di austerità catastrofiche per i cittadini, senza lasciare a questi, o ai propri rappresentanti parlamentari, l’opportunità di influenzare le condizioni dei piani della Troika. L’arringa difensiva rispedisce al mittente le critiche, puntando il dito contro i governi, seduti allo stesso tavolo della Troika nel nome della legittimazione elettorale, ma poi abili a scaricare le defaillance dei programmi di risanamento su sconosciuti emissari senza bandiera. Le isti-
© Fotomovimento/Flickr
tuzioni interpellate prendono netta posizione contro gli esecutivi, partecipi della negoziazione e responsabili dell’applicazione dei programmi di assistenza, così come della ben più complessa necessità di comunicarne dettagli e conseguenze al proprio elettorato. Non una questione di economia o econometria, dice bene Rehn, ma di volontà politica: non c’è moltiplicatore che tenga di fronte a classi politiche recalcitranti nell’attuare le necessarie riforme alla struttura economica dei rispettivi Paesi. Ai banchi del Parlamento, il Commissario agli affari economici e monetari, ancora in veste di potenziale candidato ALDE prima del passo indietro a favore di Guy Verhofstadt, ha mostrato vena critica nei confronti del metodo intergovernativo che ha dominato i primi mesi della crisi del 2010, reo di aver trasformato piccoli focolai periferici in incendi devastanti. Il paradosso dell’eurocrisi si rivela tutto nella lettera che Jeroen Dsjsselbloem, a nome dell’Euro-
Nel pieno della crisi, la Troika ha colmato il vuoto di governance lasciato dall’impasse degli Stati membri, impegnati in un continuo rimbalzo di veti nell’Europa guidata dall’intergovernativismo La Troika In gergo europeo, fino al 2010, la “Troika” era il gruppo composto dal Presidente di turno del Consiglio dell’UE, dal precedente e da quello successivo. Dopo la crisi dell’eurozona e il suo intervento in Grecia, con “Troika”si fa oggi riferimento al gruppo di emissari di Banca Centrale Europea, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale.
gruppo, indirizza al Parlamento: “in alternativa ai programmi di aggiustamento strutturale, solo il default disordinato”. Alla prova dei fatti, la Troika non è che la soluzione di compromesso, al ribasso, tra l’opzione governativa e quella comunitaria: il principio di solidarietà che il Ministro delle Finanze olandese cita nella sua missiva non ha prodotto meccanismi sovranazionali di controllo e fondi comuni dotati di adeguata liquidità, ma programmi di stretta proprietà degli Stati nazionali, tanto di quelli riceventi assistenza, quanto e soprattutto
dei donatori. Una solidarietà ad orologeria, spesso resa vittima dei venti elettorali che spiravano a Berlino. All’apice dello shock finanziario, con gli spread ai massimi livelli e l’UE ripiegata nella discrasia tra fannulloni mediterranei e virtuosi del Nord, la Troika ha colmato il vuoto di governance lasciato dall’impasse dei Paesi europei. L’unica soluzione possibile, concordano Trichet e Regling, data la forte preferenza per la via intergovernativa. Di certo, se la Commissione Europea fosse stata investita di più ampio mandato, il liberale svedese Olle Schmidt non avrebbe potuto oggi laconicamente constatare che “nessuno è in grado di recitare i mea culpa”. Eppure la riforma della governance economica fornisce speranze inattese: Meccanismo di Stabilità, Two Pack, Six Pack e Fiscal Compact costituiscono oggi strumenti, per quanto imperfetti, di intervento e di controllo di bilancio solo lontanamente immaginabili agli albori della crisi. Su queste basi, sostituire alla Troika un sistema pienamente europeo, come auspicato dal relatore Karas, non è utopia. A patto, però, di frenare il vizietto di rimpallare le responsabilità da un governo all’altro, per poi accordarsi su soluzioni minimal, come quella che ha affidato il meccanismo di risoluzione dell’unione bancaria ad un nuovo soggetto intergovernativo. Se il sonno della ragione genera mostri, istituzioni rette di solo tecnicismo e senza potere portano dritti all’azzeramento della credibilità dell’Unione Europea.«
| FEBBRAIO 2014 | 5
LIBERA CIRCOLAZIONE
Cameron e l’immmigrazione: Londra contro il mercato unico Luca Barana Vice-Direttore
DAL 1 GENNAIO 2014 ANCHE BULGARI E RUMENI POSSONO CERCARE LAVORO IN REGNO UNITO. CAMERON PERÒ VUOLE LIMITARE LE MIGRAZIONI ALL’INTERNO DELL’UE.
P
rima dell’Unione Europea, venne il mercato unico. Per decenni l’Europa ha seguito la via dell’integrazione commerciale, più che quella politica, promuovendo quattro libertà fondamentali: la libera circolazione di merci, lavoratori, servizi e capitali. Si è trattato di un percorso incrementale, in cui pezzo per pezzo è stato costruito un mercato sempre più integrato, anche se la strada non è stata ancora completata in molti ambiti, ad esempio in riferimento ai servizi. E poi c’è chi tenta di tornare indietro. La questione politicamente sensibile della libera circolazione dei lavoratori, e quindi dell’immigrazione interna all’UE, ha sollevato un dibattito polemico sulla natura del mercato interno come non se ne vedevano da tempo. Al centro del ciclone l’opposizione della Gran Bretagna, il grande scettico d’Europa, alla definitiva apertura delle frontiere ai lavoratori di Romania e Bulgaria a partire dal gennaio 2014.
6 | FEBBRAIO 2014 |
4
le libertà di circolazione: merci, lavoratori, capitali e servizi
Art. 45 del T.F.U.E. sancisce la libera circolazione dei lavoratori
2007
Bulgaria e Romania entrano nell’Unione
La libera circolazione dei lavoratori è sancita dall’articolo 45 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e garantisce ai cittadini degli Stati membri di cercare un lavoro in un altro Paese dell’UE, lavorare senza necessità di un permesso di soggiorno e di risiedere liberamente nel nuovo Paese. Consente anche di rimanere oltre la conclusione dell’esperienza lavorativa e di ottenere un trattamento equivalente ai lavoratori nazionali in materia di accesso all’occupazione, condizioni lavorative e incentivi fiscali. I cittadini dei Paesi entrati a far parte dell’UE dal 2004 hanno sperimentato un periodo di transizione, in cui alcune di queste libertà sono state limitate. Questo periodo si è concluso per Romania e Bulgaria all’inizio dell’anno. Questa scadenza ha sollevato pensanti polemiche in Gran Bretagna, dove il periodo transitorio, a differenza che in altri Stati come l’Italia, è stato prolungato fino alla sua massima estensione possibile, ossia sette anni. La questione del libero ingresso di lavoratori romeni e bulgari si lega a Londra alla crescente diffidenza nei confronti dell’UE, che si esplicita nella previsione, da parte del governo conservatore, di un referendum sulla permanenza nel blocco continentale, da
svolgersi dopo le prossime elezioni politiche del 2015 Il Primo Ministro David Cameron si trova in una posizione complessa. Consapevole dell’importanza per l’economia britannica della permanenza nel mercato unico europeo, sta combattendo la battaglia per riportare a casa alcune competenze in materia finanziaria, ora appannaggio dell’UE. Per fronteggiare anche il crescente successo dello United Kingdom Independece Party, il partito euroscettico di Nigel Farage, Cameron ha quindi fatto della lotta alla liberalizzazione dei flussi di lavoratori la propria bandiera. Il rischio percepito da molti britannici è quello del benefit tourism: i cittadini dei Paesi più poveri dell’UE non si muoverebbero per lavorare, ma per sfruttare il generoso welfare state britannico. Su questo punto Cameron ha insistito molto al Consiglio Europeo di dicembre, rimanendo, per la verità, inascoltato dagli altri leader. Secondo il Primo Ministro è necessaria una riforma della libera circolazione dei lavoratori, in modo da evitare “movimenti di massa”, che distorcerebbero il mercato del lavoro dei Paesi più avanzati tramite l’immigrazione massiccia di lavoratori a bassa qualificazione. Cameron ha insistito sulla necessità di combattere gli abusi
© Number10/Crown Copyright
delle libertà concesse dall’UE e tornare nel campo della “ragionevolezza”. Secondo fonti di Bruxelles, il premier britannico si sarebbe addirittura spinto a minacciare il veto su futuri nuovi ingressi nell’UE se non verranno accolte le istanze britanniche: un passaggio che ha innervosito non pochi interlocutori, dato che proviene da un Paese che potrebbe presto uscire dall’Unione. L’obiettivo di Cameron sarebbe quello di introdurre nuovi criteri per giudicare se i cittadini di un determinato Paese possano godere della libera circolazione: fra questi, figurerebbero il livello dei salari e il PIL. La ricchezza del Paese di partenza, insomma. Ma l’azione del governo britannico non si è limitata all’arena europea. In casa propria, l’esecutivo Cameron ha agito con decisione, introducendo una serie di misure che dovrebbero limitare l’afflusso di cittadini stranieri e che per questo hanno suscitato più di una perplessità a Bruxelles. Innanzitutto, il Segretario del Lavoro e delle Pensioni, Iain Duncan Smith, ha annunciato che solo i migranti che svolgono una regolare attività lavorativa potranno richiedere dei benefit sulle abitazioni. Inoltre, da aprile, gli stranieri che hanno perso il lavoro e ne stanno cercando un altro, non potranno richiedere per tre mesi il sussidio ricono-
Contrastando la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, il governo britannico di David Cameron minaccia il funzionamento stesso del mercato interno
Benefit tourism Termine politico coniato negli anni Novanta. Utilizzato nel dibattito pubblico per indicare il timore che i cittadini dei nuovi Stati membri dell’UE possano approfittare del principio della libera circolazione per spostarsi nei Paesi più ricchi, non per lavorare, ma per usufruire dei generosi sistemi di welfare in vigore.
sciuto ai cittadini britannici in analoga posizione, che si attesta a 56.8 sterline a settimana nella sua forma minima. E una volta che l’abbiano ottenuto, questo verrà corrisposto per un massimo di sei mesi. Si tratta di misure che limitano l’accesso allo Stato sociale e che, nelle intenzioni di Cameron, dovrebbero disincentivare quei cittadini europei che intendono spostarsi in Gran Bretagna solo per “rivendicare” e non per contribuire attivamente all’economia. Il Primo Ministro però ha aperto la strada a una tendenza pericolosa: volendo venir incontro ai timori dei parlamentari più conservatori del proprio partito, insidiati dalla pressione locale
dell’UKIP, Cameron ha di fatto sdoganato il tema della limitazione dei flussi migratori interni. Deve così affrontare la rivolta di quegli stessi parlamentari,che vorrebbero misure più incisive e dirette: propongono infatti di ignorare completamente le normative europee in vigore e rinnovare forme dirette di controllo sugli ingressi da Romania e Bulgaria, tramite un emendamento all’Immigration Bill discusso in queste settimane alla Camera dei Comuni. Guidati dal conservatore Nigel Mills, i dissidenti propongono di reintrodurre le misure transitorie scadute il 1 gennaio e di prolungarle fino al 2018, affermando che Romania e Bulgaria in realtà non hanno rispettato tutti gli impegni assunti alla firma del loro Trattato di Adesione all’UE. Da Downing Street fanno notare che una simile previsione sarebbe in contraddizione con i Trattati europei: Cameron propone invece di fissare per legge un tetto massimo di ingressi dai futuri nuovi membri dell’UE, come Serbia ed Albania, per evitare di ripetere gli errori del passato. Un tentativo gradito ai parlamentari ribelli, che però non intendono fermarsi. La rincorsa a chi è più conservatore continua. A subirne le conseguenze è il mercato interno. E l’attitudine commerciale britannica grida vendetta. «
| FEBBRAIO 2014 | 7
50
milioni a disposizione della presidenza greca per il suo semestre di turno
Oggi la Grecia, domani l’Italia Davide D’Urso Caporedattore
D Samaras il Primo Ministro greco in occasione della presentazione della presidenza ellenica di fronte alla Plenaria del Parlamento Europeo (European Union)
isillusione e scetticismo non sono gli ingredienti migliori per iniziare un semestre di presidenza. Da anni, però, in Grecia si lavora con quel che si ha e, quanto a disillusione interna e scetticismo internazionale, Atene ne ha da vendere. Le evidenti difficoltà politiche ed economiche in cui ha preso avvio la presidenza ellenica sono però il presupposto di quello speciale punto di forza che promette di rendere il semestre particolarmente interessante. Si tratta della grande motivazione del governo greco in carica, dei partiti europeisti che lo sostengono e del personale coinvolto a fare di questo appuntamento istituzionale un successo imprevisto. La Grecia ha infatti l’occasione di dimostrare all’Europa e al mondo di essere un partner affidabile, un Paese dal passato e dal presente europeo e una nazione centrale per la storia, la cultura e soprattutto per il futuro dell’Europa. Non a caso il motto scelto dalla Grecia per la propria presidenza è “Europa: la nostra ricerca comune”. Il Paese intende prendere parte a questa ricerca a pieno titolo, assumendosi le proprie responsabilità politiche e istituzionali, non da ultime quelle connesse alla presidenza di turno. Sperando che la ricerca comune non si riveli un’odissea, la presidenza ellenica ha scelto una simbologia incentrata sui temi del mare e del viaggio, entrambi rappresentati nel logo, geometrico, “austero e conciso” (come recita il portale della presidenza) e in cui domina il colore blu. Il mare è da sempre un elemento caratteristico dell’identità geografica e culturale della Grecia. Al di là del valore simbolico ed evocativo, il governo ellenico ha fatto dal mare anche una tematica prioritaria trasversale e particolarmente originale della sua presidenza. Il tema del mare, interpretato come fattore di crescita economica e di creazione di posti di lavoro, si concretizza soprattutto con il varo di una nuova politica marittima europea, che leghi i temi ambientali e della pesca a quelli energetici e del trasporto. Il tema del viaggio si collega a quello della “ricerca comune” in cui è collettivamente impegnata l’Europa. Democrazia e partecipazione da un lato, ricerca della prosperità attraverso crescita e occupazione dall’altro, sono gli ideali di riferimento. Il tutto a un costo contenuto: appena 50 milioni di euro. È il tetto massimo di spesa previsto da Atene per il semestre di presidenza. Si tratta della presidenza più eco-
| FEBBRAIO 2014 | 9
OGGI LA GRECIA, DOMANI L’ITALIA
nomica degli ultimi anni e difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti, visto il rigore fiscale imposto al Paese, la riduzione degli organici dei dipendenti pubblici e gli ingenti tagli allo Stato sociale. La presidenza austera della Grecia si svolgerà il meno possibile in territorio ellenico, per limitare i costi organizzativi e di spostamento legati alle riunioni informali che normalmente si svolgono nel Paese che detiene la presidenza di turno. Nei sei mesi di presidenza si svolgeranno in Grecia 14 riunioni informali del Consiglio, 35 incontri di alto livello, 57 gruppi di lavoro e 33 tra conferenze e seminari. Per ridurre i costi organizzativi, quasi tutti questi eventi si svolgeranno nel complesso Zappeion, un edificio pubblico adibito a conferenze ed esibizioni. La sola eccezione riguarderà le riunioni informali del Consiglio Affari Esteri (il Gymnich), che per tradizione si svolgono lontano dalla sede degli incontri delle altre formazioni del Consiglio. Il luogo scelto per i vertici informali presieduti da Catherine Ashton è Lagonissi, una splendida località sul mare poco a Sud di Atene. Per quanto riguarda l’agenda, il governo guidato da Antonis Samaras ha individuato quattro priorità in funzione delle quali cercherà di coordinare al meglio i lavori del Consiglio e le sue relazioni inter-istituzionali con Parlamento e Commissione. La prima e più importante priorità riguarda i temi della crescita, dell’occupazione e della coesione sociale. La presidenza ellenica intende favorire l’implementazione del Compact for Growth and Jobs, aumentare gli interventi della Banca Europea degli Investimenti e attuare misure funzionali agli obiettivi della
10 | FEBBRAIO 2014 |
La fragilità del governo Samaras è una delle maggiori insidie sulla strada della presidenza ellenica. Tsipras e gli euroscettici aprono la sfida per la Grecia e l’UE
50
milioni di euro il tetto massimo di spesa previsto per la presidenza
14
riunioni informali del Consiglio si svolgeranno ad Atene
22,2%
la percentuale di Syriza secondo i sondaggi, +0,6% su Nea Dimokratia
strategia Europa 2020. La seconda priorità riguarda il completamento dell’Unione Economica e Monetaria, in particolare per quanto riguarda il perfezionamento dell’unione bancaria, con un’attenzione particolare alla dimensione “sociale” della governance economica dell’eurozona. Terza priorità riguarda la politica migratoria e il controllo coordinato delle frontiere comuni: su questi aspetti la Grecia intende indirizzare le discussioni verso una maggiore assunzione di responsabilità europea. È interesse nazionale greco, oltre che italiano, maltese, cipriota e spagnolo, che il tema della gestione dei flussi migratori in entrata venga europeizzato. Si tratta però anche di un interesse specifico del governo Samaras, impegnato a respingere l’opposizione di estrema destra dei neo-nazisti di Alba Dorata, portando ai greci risultati importanti su un tema di forte impatto come quello dell’immigrazione. La quarta priorità, già anticipata, riguarda la politica marittima, che la Grecia intende rilanciare e portare in discussione al Consiglio Europeo di giugno. Ce ne sarebbe abbastanza per
fare della presidenza di turno della Grecia una di quelle politicamente più significative degli ultimi anni. E invece, come non bastassero i travagli di Atene e le difficoltà dell’economia europea, il semestre greco s’inserisce in un contesto istituzionale molto particolare per l’Unione. Sarà infatti la presidenza ellenica a condurre l’UE alle elezioni del prossimo maggio. Il rinnovo del Parlamento Europeo, alla luce del nuovo quadro politico continentale e delle preoccupazioni legate all’emergere di un diffuso sentimento anti-europeo, saranno con ogni probabilità le più combattute e sentite di sempre. L’avvicinarsi della scadenza del mandato dei membri del PE dimezzerà inoltre il tempo del semestre in cui sarà possibile portare ad approvazione gli atti legislativi. Con la chiusura del Parlamento, il processo legislativo europeo sarà interrotto, rendendo la presidenza assai più politica che legislativa. Gli effetti della campagna elettorale europea si faranno sentire anche in Grecia. Mai come in questo caso, infatti, il dibattito politico nazionale di un Paese si legherà a doppio filo a quello europeo. Se in Europa sembra profilarsi una battaglia tra la grande coalizione di fatto - composta da Popolari, Socialisti e Liberali - e il variegato fronte euro-scettico, in Grecia la partita è tutta tra Samaras e Alexis Tsipras, stella nascente della politica greca, leader del partito di estrema sinistra Syriza e candidato della Sinistra Europea alla presidenza della Commissione Europea. Il governo di coalizione guidato da Samaras è infatti sostenuto da un’esigua maggioranza parlamentare, sottoposto al severo controllo europeo e oggetto di attacchi convergenti dell’estre-
mismo anti-europeista interno e, dall’esterno, dell’intransigenza degli euro-falchi. La maggioranza parlamentare, composta da Nea Dimokratia – il partito di centrodestra del premier– e dal PASOK – il partito socialista che esprime il vice-premier e Ministro degli Esteri Venizelos – è molto risicata, dopo l’uscita dalla coalizione del partito di Sinistra Democratica, avvenuta lo scorso giugno. Tutt’altra situazione è quella del grande oppositore Tsipras. Il quarantenne ingegnere di Atene guida Syriza dal 2009 e nel giugno 2012 è arrivato secondo con il 26,89% dei voti alle elezioni politiche nazionali. Il 15 dicembre 2013 il Congresso di Madrid della Sinistra Europea lo ha indicato come proprio candidato alla presidenza della Commissione Europea con oltre l’84% dei voti congressuali. Vincendo in Grecia le elezioni europee, Tsipras otterrebbe un doppio clamoroso risultato. Da un lato dare la spallata a un governo già politicamente in difficoltà, sbalzando Samaras dalla premiership e riportando il Paese alle elezioni politiche con concrete possibilità di arrivare a governarlo. Dall’altro, otterrebbe
Figure chiave Antonis Samaras Primo Ministro, 62 anni, leader di Nea Dimokratia. Guida il governo greco dal giugno 2012. Nei primi anni ‘90 è stato più volte Ministro degli Esteri. Membro del PE dal 2004 al 2007 ha interrotto la legislatura per ritornare a svolgere ruoli di governo in Grecia. Dal 2009 guida Nea Dimokratia. Evangelos Venizelos Vice-Primo Ministro e Ministro degli Esteri, 57 anni, leader del PASOK. Tra il giugno 2011 e il marzo 2012 è stato Ministro delle Finanze. Yannis Stournaras Ministro delle Finanze, 57 anni, economista, ha partecipati ai negoziati per l’adesione della Grecia nell’UEM. Theodoros Sotiropoulos
64 anni, Rappresentante Permanente della Grecia presso l’UE dal 2009 a oggi. Noto per le dure posizioni espresse rispetto alla futura adesione della Macedonia. Alexis Tsipras 40 anni, leader di Syriza e candidato della Sinistra Europea alla presidenza della Commissione Europea.
un successo molto importante in chiave europea, dando crescente visibilità alla Sinistra Europea, portando a Strasburgo un contingente più forte di deputati della sinistra radicale e – soprattutto – minando uno dei pilastri della governance economica: la collaborazione della Grecia nell’applicazione dei dettami della Troika. Gli ultimi sondaggi dell’agenzia Alaco, pubblicati sul quotidiano Proto Thema, danno Syriza (22,2%) in leggero vantaggio su Nea Dimokratia (21,6%). Il partito di estrema destra Alba Dorata sarebbe al terzo posto (7,7%) Clamoroso è il crollo del PASOK, che nel 2009 aveva il 44% dei consensi ed è oggi accreditato al 4,7%. Si presenterà alle europee in una nuova lista di democratici e progressisti con un programma di centrosinistra. Da settimane si rincorrono le voci di elezioni anticipate. Tsipras spinge perché possano tenersi in contemporanea alle elezioni europee di maggio. Il premier Samaras ha più volte smentito l’ipotesi, dichiarando che il governo porterà a termine il proprio mandato, arrivando al 2016. La situazione è però molto precaria e un rimpasto di governo, oltre che un rinnovato accordo
di coalizione, potrebbe arrivare nei prossimi mesi, nel pieno del semestre di presidenza. La presidenza ellenica, austera e mediterranea, non sarà una passeggiata di piacere per il governo greco. Una delle sfide sarà mantenere l’equilibrio tra il ruolo istituzionale e super partes del presidente di turno e l’esigenza di portare ai propri cittadini risultati tangibili in materia economica. Sbilanciarsi troppo su una dimensione significherebbe prestare il fianco agli attacchi casalinghi dei partiti di opposizione, di estrema destra o di estrema sinistra, rischiando di perdere malamente le elezioni europee di maggio. Gestire in modo partigiano la presidenza sarebbe invece estremamente dannoso per l’immagine della Grecia in Europa, oltre che per il corretto funzionamentodelleistituzionidell’Unione, in un momento politicamente così delicato. Il premier Samaras, il governo e i funzionari impegnati nella presidenza di turno hanno davanti a sé mesi complicati. Contare sul supporto franco, leale e cooperativo delle altre istituzioni e dei partner europei sarà un presupposto ineludibile per il successo della presidenza. La “ricerca comune” in cui è impegnata l’Europa richiede di riconoscere la verità: viaggiare per mare significa accettare di essere tutti sulla stessa barca. Buon lavoro a tutti. «
| FEBBRAIO 2014 | 11
OGGI LA GRECIA, DOMANI L’ITALIA
2014: un anno “mediterraneo” Stefania Bonacini Responsabile Estero Corrispondente da Bruxelles
IL 1 LUGLIO L’ITALIA SUBENTRERÀ ALLA GRECIA COME PRESIDENTE DI TURNO DELL’UNIONE. PER L’EUROPA SARÀ UN 2014 TUTTO A GUIDA MEDITERRANEA.
I
l 1° gennaio 2014 ha segnato non soltanto l’inizio del semestre di presidenza greco del Consiglio dell’Unione Europea ma soprattutto l’incipit di un anno molto particolare per l’Europa, un anno che sarà accompagnato dalle tinte e dai sapori mediterranei per tutta la sua durata. Il 1° luglio 2014 la Grecia passerà infatti il testimone della presidenza all’Italia. Sta ad Atene e a Roma rendere questa fortuita coincidenza un’opportunità di rilancio per l’immagine dell’Europa meridionale e dell’Unione Europea nel suo complesso. La posta in gioco è alta e la risposta dei due Paesi è stata, per ora, la messa a punto di due agende speculari, sobrie e ambiziose al tempo stesso. Il fil rouge che lega la presidenza greca a quella italiana si sviluppa attorno a tre temi in particolare: il rilancio della crescita e la lotta alla disoccupazione, la coesione sociale e le politiche migratorie. Il documento program-
12 | FEBBRAIO 2014 |
matico messo a punto da Atene sottolinea infatti, senza mezzi termini, come le politiche di austerità abbiano messo gravemente a rischio la coesione sociale dei Paesi maggiormente toccati dalla crisi, come appunto la Grecia. Il rilancio della crescita e la lotta alla disoccupazione rappresentano una priorità imprescindibile per un Paese dove il tasso di disoccupazione supera il 27% (la media dell’eurozona si attesta 12,1%) e oltre un giovane su due è senza lavoro. L’agenda della presidenza greca non include però molti dettagli sul tema, a parte la volontà espressa di garantire l’attuazione del Compact for Growth and Jobs (il pacchetto di misure per rilanciare crescita, occupazione e competitività approvato dai leader europei nel giugno 2012) e di assicurare che le PMI possano disporre di adeguate opportunità di finanziamento. Questi temi si ritrovano anche nella relazione programmatica redatta dal governo italiano, che si sofferma sull’importanza di dare immediata attuazione alla Youth Guarantee, iniziativa che invita gli Stati membri a garantire ai giovani di età inferiore ai 25 anni una valida offerta di lavoro, studio, tirocinio o apprendistato entro quattro mesi dalla fine degli studi o dall’inizio della condizione di disoccupazi-
Grecia e Italia hanno un’agenda simile su molti temi, specie quelli riguardanti il rilancio dell’occupazione, la coesione sociale e il varo di politiche migratorie europee
27%
il tasso di disoccupazione in Grecia
01/07
il passaggio di consegne tra la presidenza ellenica e quella italiana
2005
l’anno del varo dell’approccio globale sui temi dell’immigrazione
one. Anche quello delle PMI è un tema caro all’Italia, che intende far sì che il Consiglio Europeo di febbraio 2014 incentrato sui temi della competitività e della crescita possa costituire il punto focale di tutte le istanze rinnovamento del settore industriale da sviluppare nel corso del 2014. In questo contesto, la ricerca di un equilibrio stabile tra solidità finanziaria e stimoli per la crescita (in consonanza con la strategia Europa 2020) rappresenta per Atene (e per Roma) il catalizzatore di quella coesione tra politiche economiche nazionali che rappresenta la chiave di volta del processo di integrazione europea. Sia la presidenza greca sia quella italiana si prefiggono dunque come obiettivo quello
© Nea Dimokratia / Flickr
di portare avanti il completamento dell’unione bancaria e il processo di riforma dell’Unione Economica e Monetaria (UEM), con un occhio di riguardo per la sua dimensione sociale. Infine, la questione migratoria: a causa del loro collocamento geografico ai confini dell’Europa, Grecia e Italia si trovano entrambe in prima linea nelle attività di assistenza e soccorso ai migranti, oltre che di prevenzione e contrasto dell’immigrazione illegale. Per entrambi i Paesi, la possibilità di approfondire la discussione sul tema migratorio a livello europeo in questo anno “mediterraneo” rappresenta una necessità, oltre che un’occasione irripetibile. In questo senso, la presidenza ellenica intende mettere in evidenza gli aspetti positivi, anche in termini di crescita economica, di una gestione integrata e globale dei flussi migratori. Varato nel 2005, “L’approccio globale in materia di migrazione” risponde all’esigenza di istituire un quadro intersettoriale per gestire i flussi migratori in maniera coerente, tramite il dialogo politico e una stretta cooperazione pratica tra UE e Paesi terzi e rappresenta, per il governo greco, uno strumento essenziale per promuovere una migliore gestione a livello europeo della mobilità, dell’immigrazione legale, della lotta all’immigrazione
clandestina e dell’eliminazione della tratta di esseri umani. Ancora fortemente scossa dal tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, l’Italia insisterà invece sull’importanza di Frontex e sulla necessità di una gestione integrata delle frontiere. Obiettivo prioritario di Roma resterà, dunque, quello di mantenere alta l’attenzione dell’UE sulla necessità di prevenire la perdita di vite umane in mare e di rendere più incisive le azioni coordinate degli Stati membri in materia. È ancora troppo presto per sapere se gli ambiziosi obiettivi contenuti nei documenti programmatici presentati da Roma e Atene si tradurranno in misure concrete o se invece andranno ad ingrossare le fila delle nobili dichiarazioni di principio mai messe in pratica. Molto dipenderà dalla capacità – ellenica prima e italiana poi – di traghettare l’Unione Europea in un anno così cruciale per il futuro del processo di integrazione europea. Le elezioni del Parlamento Europeo che si terranno il prossimo maggio rappresenteranno infatti lo spartiacque fondamentale tra il semestre di presidenza italiano e quello greco. In Grecia, i risultati delle elezioni determineranno non solo il destino del fragile governo Samaras ma
anche il successo del semestre di presidenza greco nel suo complesso. La presidenza di turno rappresenta per la Grecia non solo un’imperdibile occasione per ripristinare la propria credibilità internazionale e colmare la voragine che ormai separa i disillusi cittadini greci da Bruxelles, ma anche una grande responsabilità. In un Paese dove la coalizione di governo vede il proprio consenso popolare assottigliarsi ogni giorno e dove il 55% dei cittadini dichiara di non sentirsi rappresentato da nessun partito esistente, la gestione del semestre di Presidenza da parte dello screditato governo Samaras rischia però di avere un effetto boomerang e di allontanare ancor più l’opinione pubblica ellenica dalle istituzioni europee. Riuscirà la Grecia a fare della propria presidenza di turno un’occasione per rilanciare l’immagine dell’Unione Europea a sud delle Alpi e non solo? Qualunque sia l’esito delle elezioni di maggio, toccherà all’Italia tirare le somme e portare l’Unione Europea al di là del guado. «
Paesi di frontiera Roma e Atene condividono un’attenzione particolare ai temi dei flussi migratori diretti verso l’Europa. Paesi mediterranei e di confine, Italia e Grecia affrontano in prima persona gli effetti di flussi migratori crescenti, difficili da gestire per i singoli Stati membri. Le presidenze mediterranee del 2014 dovranno essere l’occasione per imporre all’Unione una discussione di ampio respiro per il varo di una politica migratoria comune. Sul tema, a metà tra la politica estera e quella interna, l’Europa si gioca molta della sua residua credibilità nel Mediterraneo. L’UE non può ignorare la rilevanza europea delle migrazioni verso le coste mediterranee. Italia e Grecia, però, non potranno più lamentarsi dell’immobilismo europeo. Nel 2014, l’agenda è (anche) nelle loro mani.
| FEBBRAIO 2014 | 13
SPECIALE EUROPEE 2014
Le elezioni sono europee, le leggi elettorali nazionali Sergio Pargoletti Redattore
È INIZIATO IL PERCORSO DI AVVICINAMENTO ALLE ELEZIONI EUROPEE DI MAGGIO. IN OGNI STATO MEMBRO VIGE UN SISTEMA ELETTORALE DIVERSO...
A
Nella prefazione al libro Democrazia, (Marsilio,1993) Vittorio Emanuele Parsi riporta una frase attribuita al giudice americano Learned Hand: “Naturalmente io so quanto sarebbe illusorio credere che il mio voto determini qualcosa; ma ciò nondimeno quando mi reco alle urne provo la soddisfazione di sentire che tutti noi siamo impegnati in un’impresa comune”. Di un’impresa comune ha certamente bisogno l’Europa per riguadagnare consenso e prestigio al cospetto dell’opinione pubblica. La crisi economica sembra aver dato il colpo di grazia a istituzioni percepite troppo distanti e gestite da una classe dirigente elitaria. Secondo una ricerca condotta da Demos, la fiducia degli italiani verso l’UE è passata dal 42,5% del 2012 al 32,3% del 2013. Né va meglio nel resto del Vecchio Continente dove le formazioni politiche euroscettiche si preparano a dare battaglia con l’obiettivo di far crollare l’edificio comunitario. L’euro è simbolo e
14 | FEBBRAIO 2014 |
32,3%
la fiducia degli italiani nell’UE nel 2013 (Demos)
504
milioni di elettori chiamati alle urne alle elezioni europee di maggio
751
i seggi complessivi del Parlamento Europeo
bersaglio principale di questa lotta; si passa così dal Front National di Marine Le Pen allo United Kingdom Indipendence Party e ad Alternative für Deutschland che alle ultime elezioni ha sfiorato l’ingresso nel Bundestag. Eppure, quelle in programma a maggio saranno le elezioni europee più importanti della storia. Per la prima volta, gli Stati membri dovranno tenere conto del voto dei quasi 504 milioni di elettori europei prima di indicare il Presidente designato della Commissione; il candidato prescelto dovrà infatti incassare l’approvazione della maggioranza assoluta dell’Europarlamento, quindi di almeno 376 deputati su 751. Si può quindi dire che il Parlamento “eleggerà” il Presidente della Commissione Europea. Risulta perciò utile dare un rapido sguardo ai sistemi elettorali dei Paesi di maggior peso politico per capire in base a quali meccanismi vengono scelti gli eurodeputati. Preliminarmente, occorre ricordare che i 751 seggi sono ripartiti tra i vari Stati secondo il principio di “proporzionalità decrescente”: i Paesi più popolosi dispongono di più scranni rispetto a quelli demograficamente più piccoli, ma questi ultimi hanno comunque più seggi di quanti ne otterrebbero se si applicasse alla lettera il principio di proporzionalità. E
così Malta, Cipro, Lussemburgo ed Estonia possono contare su 6 membri a testa, mentre i più grandi come Italia e Regno Unito eleggono 73 europarlamentari, la Francia 74 e la Germania 96. In Francia le elezioni europee si svolgono per circoscrizione con scrutinio di lista di tipo proporzionale. Il territorio è suddiviso in 8 circoscrizioni, ognuna delle quali dispone di un numero di seggi prestabilito per legge, tenuto conto della popolazione. Alla circoscrizione dei territori d’Oltremare sono assegnati 3 seggi, uno ciascuno per le sezioni Atlantico, Oceano Indiano e Pacifico. I seggi vengono attribuiti alle liste che hanno ottenuto almeno il 5% dei voti. Non essendoci voto di preferenza, i seggi sono appannaggio dei candidati secondo l’ordine determinato dalle liste, le quali devono essere composte alternativamente da un uomo e una donna. In Gran Bretagna vige un sistema proporzionale di liste bloccate con una ripartizione dei seggi effettuata con il metodo d’Hondt. Non esiste soglia di sbarramento. Il territorio è suddiviso in 12 circoscrizioni: la Scozia, il Galles e l’Irlanda del Nord costituiscono ciascuno un’unica circoscrizione alle quali spettano, rispettivamente, 6, 4 e 3 seggi. L’Inghilterra è suddivisa in 9 articolazioni. In Irlan-
L’AGENDA DI EUROPAE
Febbraio in agenda Valentina Ferrara Vice-Direttrice
Aggiornamenti quotidiani sull’attualità politica europea. Articoli di approfondimento sui singoli Stati membri, sui principali partiti europei e sui candidati dei partiti alla presidenza della Commissione Europea. 7 giorni su 7, da oggi alle elezioni europee di maggio. In esclusiva su www.rivistaeuropae.eu da del Nord vale il principio del cosiddetto “voto trasferibile”, nel senso che il voto deve indicare l’ordine di preferenza espresso dall’elettore con riguardo a ciascun candidato; il voto può essere “trasferito” al candidato successivo nell’ordine di preferenza se quello inizialmente prescelto non ha bisogno di ulteriori voti per raggiungere il quoziente prestabilito. In Germania non è contemplato il voto di preferenza e il sistema elettorale è di tipo proporzionale. Il conteggio dei voti viene effettuato a livello federale poiché il territorio nazionale viene considerato come un’unica articolazione elettorale ai fini dell’assegnazione dei seggi. Alle elezioni si applica la Sperrklausel, la clausola di sbarramento fissata al 3%. Solo le liste che raggiungono la soglia partecipano alla ripartizione dei seggi che avviene secondo l’ordine dei candidati in lista. Infine, una battuta sull’Italia: territorio suddiviso in 5 circoscrizioni, attribuzione dei seggi su base proporzionale, possibilità per l’elettore di esprimere preferenze e soglia di sbarramento al 4%. L’europorcellum – la definizione è di Barbara Spinelli - è stato impugnato davanti ai tribunali di Milano, Napoli e Cagliari. «
Sistemi elettorali Anche al di là delle tradizioni storiche, le leggi elettorali vigenti nei grandi Paesi per le elezioni europee sono tutte di tipo proporzionale.
Dopo un gennaio dove ancora l’Unione Europea soffriva dai postumi delle vacanze natalizie, febbraio rivedrà le istituzioni funzionare a pieno regime. Ad aprire e chiudere le danze nel mese di febbraio sarà il Parlamento Europeo che tanto la prima settimana (03-06/02) quanto l’ultima del mese (24-27/02) si riunirà in plenaria a Strasburgo. Dal punto di vista italiano, l’appuntamento sarà ancora più interessante, specie dopo l’intervento, avvenuto martedì 4 febbraio, del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il consesso degli europarlamentari, inoltre e come sempre, sarà l’occasione per dibattere delle più svariate tematiche, dalla tassa sulle transazioni finanziarie alla situazione nella Repubblica Centro Africana.
Germania (96 seggi) Proporzionale su base nazionale, con clausola di sbarramento al 3%. Le liste sono bloccate, non ci sono voti di preferenza.
Dalla seconda settimana, Bruxelles e il Justus Lipsius ritorneranno protagonisti con una serie di riunioni del Consiglio dell’Unione Europea sotto presidenza greca nelle formazioni del Consiglio Affari Esteri (10/02), Consiglio Affari Generali (11/02), Consiglio Agricoltura e Pesca (17-18/02), Consiglio Economia e Finanza (18/02), Consiglio Competitività (21-22/02), Consiglio Istruzione, Gioventù, Cultura e Sport (24/02). Per questo mese, invece, niente riunione di Capi di Stato e di Governo in Consiglio Europeo, che si terrà invece a marzo.
Francia (74) Proporzionale su base territoriale (8 circoscrizioni elettorali). Soglia di sbarramento al 5%. Liste bloccate e alternanza tra uomo e donna.
Tra gli altri eventi degni di nota, segnaliamo lo European Competition Forum 2014 (11/02) e una serie di appuntamenti dedicati alle città, ovvero la Conferenza dei Sindaci sulla mobilità locale nell’Unione Europea (11/02) e la conferenza “Cities of Tomorrow: Investing in Europe” (17-18/02) due occasioni di riflessione su come migliorare la vita dei cittadini europei, con uno sguardo anche all’utilizzo dei fondi che l’UE mette a disposizione.
Regno Unito (73) Proporzionale (!), territorio diviso in 12 circoscrizioni. Voto trasferibile per lista.
E poi ovviamente tutto l’imprevedibile. Sicuramente continueranno i preparativi per le elezioni europee di maggio e altrettanto sicuramente vi sarà un occhio di riguardo verso la situazione in Ucraina. Prevedibile ed imprevedibile, insomma, tutto comunque sulle pagine di Europae. «
Italia (73) Proporzionale, territorio diviso in 5 circoscrizioni elettorali. Voto di preferenza e soglia di sbarramento al 4%.
| FEBBRAIO 2014 | 15
OLTRE LA CRISI
Il Portogallo si rialza Fabio Cassanelli Responsabile sviluppo Economia e finanza
NELLA PRIMAVERA 2014 TERMINERANNO GLI AIUTI AL PORTOGALLO. L’ECONOMIA È IN RIPRESA E IL PAESE SEMBRA PRONTO A CAMMINARE DA SOLO.
Economia in crescita, spread dimezzato e la fiducia dei mercati: adesso il Portogallo è pronto a ripartire
S
e la Grecia è diventata l’emblema del fallimento delle politiche di austerità della Troika (Commissione Europea, BCE e FMI) e simbolo di una classe politica incapace di introdurre delle riforme strutturali, si può dire che il Portogallo rappresenti un caso di successo. Le profonde ferite lasciate della crisi economica iniziata nel 2008 e da quella finanziaria del 2010 fanno ancora male, ma la voglia di riscatto e di voltare pagina è fortissima. In uno degli ultimi incontri dell’Eurogruppo del 2013, i Ministri dell’Economia e delle Finanze dell’eurozona hanno fissato tra febbraio e aprile 2014 la fine della procedura di aiuti finanziari al Paese. Molto presto il Portogallo potrà tornare a camminare sulle proprie gambe. I rendimenti dei bond lusitani d’altronde sono sempre più domabili. Dopo due anni e mezzo di travaglio, il decennale portoghese ora rende di nuovo meno del 5%. Anche lo spread, che a settembre superò il muro dei 650 punti base, si è quasi dimezzato. Ma ce la farà il Portogallo ad attraversare indenne le sfide che lo
16 | FEBBRAIO 2014 |
15,6%
disoccupazione al 3° trimestre 2013 (nel 1° era al 17,7%)
128% il rapporto tra debito e PIL
5,5% il rapporto tra deficit e PIL
attendono all’infuori del quadro di aiuti finanziari? Il primo elemento che occorre considerare riguarda le politiche monetarie della Federal Reserve e quelle della BCE. L’avvio del tapering da parte della banca centrale americana fa presagire un rafforzamento del dollaro. Questo porterà ad un indebolimento dell’euro, vittima della deflazione dell’eurozona e di una BCE che, secondo il suo mandato, presto dovrà riportare l’inflazione verso il target del 2%. Un euro con tendenza al ribasso potrebbe far risalire i tassi sui titoli portoghesi, ma nello stesso tempo migliorare il saldo di una bilancia commerciale che ha segnato il suo ultimo valore positivo mensile nel marzo del 1985. Per quanto riguarda il mercato del lavoro bisogna considerare
gli importanti passi in avanti fatti nel 2013, con il calo del tasso di disoccupazione dal 17,7% del primo trimestre, al 16,4% nel secondo fino al 15,6% nel terzo. Un trend positivo che innescherà nel 2014 un circolo virtuoso nei consumi e nell’aumento delle entrate tributarie, contribuendo a risanare il bilancio pubblico. Questo dividendo occupazionale potrà compensare l’aumento dei tassi di interesse. A pesare sul Paese è il macigno del debito pubblico, che dovrebbe chiudere a fine 2013 intorno al 128% del PIL, con un rapporto deficit/PIL del 5,5%. L’obiettivo per il 2014 è chiudere con un deficit almeno del 4% e tornare a centrare il parametro di Maastricht del 3% nel 2015. Il governo lusitano sa di avere addosso gli occhi degli investitori internazionali e dovrà essere molto ligio a rispettare gli impegni sul deficit. Mostrando al mondo che, oltre al mercato del lavoro, milgiorerà anche il bilancio pubblico, i tassi di interesse potranno scendere nel 2014 anche sotto il 4,5%. La sfida è ardua, ma la recessione si allontana sempre più, considerando che il PIL del Paese ha registrato il segno positivo negli ultimi due trimestri. La leggendaria saudade del Paese nei prossimi anni potrà essere affiancata anche da ritrovato brio ed entusiasmo. «
LA VIA DELLA SETA
Buon compleanno NAFTA Shannon C. Little Responsabile editoriale Politica commerciale
I negoziati USA-UE potrebbero ridimensionare i privilegi di Messico e Canada
IL NAFTA COMPIE 20 ANNI. DOPO L’ENTUSIASMO DEGLI ANNI ‘90, L’INTEGRAZIONE DEL NORD AMERICA PROCEDE PERÒ A RILENTO.
T
ra squilli di trombe e rulli di tamburi, il 1 gennaio 1994 nasceva il North American Free Tra-de Agreement (NAFTA) tra Stati Uniti, Canada e Messico. Il Vicepresidente Al Gore lo aveva paragonato alla creazione della NATO e al Louisiana Purchase, mentre i suoi critici lo ritenevano una minaccia mortale per i lavoratori americani, che avrebbero visto le fabbriche spostarsi oltre il Rio Grande. Dopo 20 anni di integrazione economica, il bilancio è sicuramente in attivo, anche se inferiore alle aspettative: in seguito ad un inizio scoppiettante nel quale gli investimenti oltre frontiera crebbero enormemente e la crescita economica portò i 3 a costituire il 36% della produzione mondiale, arrivò il 2001 con il suo 11 settembre e l’ingresso della Cina nel WTO. I numeri parlano comunque di un importante successo. Le economie statunitensi e canadesi erano già fortemente integrate all’epoca dell’accordo, ma il commercio tra Stati Uniti e Messico è aumentato del 506% tra il 1993 e il 2012. Le industrie più avanzate
1994
il 1 gennaio nasce formalmente il NAFTA
+506%
il commercio tra USA e Messico tra il 1993 e il 2012
North American Free Trade Agreement (NAFTA) Accordo di libero scambio entrato in vigore nel gennaio1994 tra Stati Uniti, Canada e Messico, con l’obiettivo di eliminare le barriere al commercio e agli investimenti in Nord America.
hanno intrecciato le proprie supply chain: il 40% del contenuto delle importazioni messicane e il 25% delle importazioni canadesi hanno origine negli stessi Stati Uniti. La temuta delocalizzazione delle manifatture verso il Messico è stata limitata. Forte di una demografia favorevole e della rivoluzione energetica dello shale gas, i più ottimisti ritengono stia nascendo una “Fabbrica America del Nord” in grado di rivaleggiare nei prossimi decenni con la temuta “Fabbrica Asia”. Al tempo stesso, la maggior parte degli effetti benefici si sono concentrati nei primi 7 anni di vita del NAFTA. Dopo il 2001 l’imperativo della sicurezza ha indebolito l’appetito americano per una maggiore integrazione, soprattutto nei confronti del vicino meridionale, dilaniato dalla guerra ai narcotrafficanti. Queste preoccupazioni, unite all’immigrazione clandestina e al com-
mercio di stupefacenti, causano forti rallentamenti nei controlli alla dogana con il Messico, con danni stimati dal Colegio de la Frontera Norte di Tijuana in oltre 300 milioni di dollari l’anno. Sul fronte settentrionale la riluttanza di Obama ad autorizzare l’oleodotto Keystone XL, che dovrebbe portare il petrolio dall’Alberta al Nebraska, indebolisce la fiducia del premier canadese Harper e lo spinge a cercare nuovi mercati oltreoceano. Un’altra spina nel fianco dei leader, che si incontreranno a Città del Messico in febbraio, è il negoziato in corso tra Stati Uniti e Unione Europea, che rischia di svalorizzare i privilegi commerciali concessi agli altri due Paesi del continente. Non sarebbe difficile includere Canada e Messico nelle discussioni, anche alla luce dell’auspicata maggiore armonizzazione delle normative, ma finora la Casa Bianca si è rifiutata. Il Messico aveva le aspettative più elevate per l’accordo e sconta tuttora un notevole ritardo di sviluppo rispetto ai vicini settentrionali. Il suo Presidente, Peña Nieto, ha mostrato con riforme ambiziose di voler essere protagonista del rilancio dell’accordo. Sarà in grado di spronare il giovane NAFTA, ormai giunto alla maturità, ad applicarsi a fondo e a sfruttare il suo enorme potenziale? Milioni di messicani tuttora in povertà attendono con ansia la risposta. «
| FEBBRAIO 2014 | 17
LA NUOVA EUROPA
Bosnia: dalla mancata riforma alla questione Erasmus+ Sarah Camilla Rege Redattrice Allargamento
LA MANCATA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE MINA LE RELAZIONI BOSNIA-UE. DOPO ERASMUS+, LA BOSNIA RISCHIA ANCHE HORIZON 2020.
L
a Bosnia Erzegovina (BiH) sembra attraversare uno dei momenti peggiori dalla fine della guerra. Dopo quasi vent’anni, la situazione interna del Paese non è migliorata molto: si respira sempre tensione, anche se oggi non ci sono più gruppi armati a presidiare le città. Lo scontro si svolge sul terreno politico. La Bosnia Erzegovina è uno Stato diviso in due “entità” (Federazione di Bosnia ed Erzegovina e Repubblica Srpska) unite da un legame confederale, a cui si aggiunge un distretto a statuto autonomo, Brcko, la cui esistenza è garantita dall’articolo 1 della Costituzione. La Costituzione è proprio uno dei motivi di scontro politico all’interno del Paese. Questa non è nata in modo democratico: non fu mai sottoposta a referendum o ad altro sistema di approvazione popolare, ma è il risultato di un compromesso fra parti opposte. È parte integrante degli Accordi di Dayton che nel 1995 misero fine agli scontri nel Paese ed è stata in gran parte re-
18 | FEBBRAIO 2014 |
1995
gli Accordi di Dayton pongono fine alla guerra civile jugoslava
2009
La CEDU dà ragione a FinciSejdic e impone riforma della carta
47
milioni di euro dirottati dall’UE dalla Bosnia al Kosovo
datta dalla comunità internazionale. La Carta è dunque anomala e poco lungimirante: la Costituzione bosniaca non si propone di costruire uno Stato repubblicano democratico, ma ha, o aveva, il “semplice” compito di pacificare, scongiurando nuove violenze. La Carta è formata da un preambolo e da 12 articoli. È quindi relativamente breve, anche perché lascia alle Entità numerose materie da regolare. Dal preambolo si notano immediatamente le condizioni in cui è stata scritta: “Dedicated to peace, justice, tolerance, and reconciliation, convinced that democratic governmental institutions and fair procedures best produce peaceful relations within a pluralist society”. Riconciliare la popolazione e istituire il governo democratico sembrano una cura imposta, non un requisito fondamentale. Sempre nel preambolo si parla di “constituent peoples” indicando i bošnjaci, i croati e i serbi, i maggiori gruppi nazionali. Elemento singolare: nelle carte europee si parla solitamente di cittadini, senza evidenziare le differenze etniche e di nazionalità. Questa divisione porta, in politica, al “power sharing”, ovvero a una limitazione del principio democratico puro: le decisioni sono prese dai gruppi in maggioranza, mentre i gruppi minoritari sono svantaggiati, se non strut-
turalmente impossibilitati ad influenzare le decisioni. Non c’è quindi semplicemente la differenza fra coloro che detengono la cittadinanza e coloro che non la detengono. C’è una divisione in chiave nazionale della Carta, che dovrebbe essere “l’anima” dello Stato, elemento che pregiudica l’integrazione fra i gruppi e l’individuazione di tratti comuni che portino a sentirsi parte dello stesso Paese. Questo limite ha scatenato polemiche anche a livello europeo. Nel 2009 infatti, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo l’ha dichiarata razzista, dopo la denuncia di due cittadini: uno di origine ebrea, Jakob Finci, e l’altro rom, Dervo Sejdic, che non hanno il diritto di candidarsi alla presidenza ed alla Camera dei Popoli, non appartenendo ai “tre popoli costituenti”. I cittadini che non rientrano in uno di questi tre gruppi o scelgono di dichiararsi semplicemente “bosniaci”, o perdono alcuni dei loro diritti. Una discriminazione in contrasto con i fondamentali diritti dell’uomo, ai quali la Costituzione invece si rifà. Per questo, la Corte ha imposto alla Bosnia di riformare la Carta. Riforma che implica naturalmente la revisione della divisione attuale e l’adozione di una formula che tuteli tutte le minoranze. In quattro anni di trattative,
© European Commission
però, le forze politiche non hanno trovato un accordo, nonostante i continui solleciti da parte dell’Unione Europea. Così, alla fine del 2013, l’UE ha avviato la procedura per il taglio di circa 47 milioni di euro (il 54% del totale) di fondi destinati alla Bosnia, “dirottati” in gran parte verso il Kosovo. E c’è il rischio, in futuro, di perdere altri finanziamenti. La Bosnia è infatti priva del coordinamento necessario a rapportarsi efficacemente con l’UE. Un problema che rischia di aggravare la situazione economica del Paese, soprattutto se dovesse perdere le occasioni offerte dalla nuova programmazione europea 2014-2020, in particolare ad Horizon 2020. La Bosnia potrebbe accedere ai fondi del programma, aperto non solo ai Paesi membri, ma a Paesi candidati e associati, Paesi terzi con accordi con l’UE ed altri Paesi terzi. Rispetto al programma precedente, the Seventh Framework Programme (FP7), Horizon 2020 promette nuove possibilità e ha un budget più ampio. Studi e ricerche hanno ormai ampiamente dimostrato che il PIL di uno Stato aumenta con gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione, cui attualmente la Bosnia destina meno dello 0,17% del suo PIL. I fondi di Horizon 2020 sarebbero quindi un’occasione da non perdere per stimolare ricerca e capacità industriale, e di conseguenza
Secondo la CEDU, la Costituzione bosniaca del 1995 è discriminatoria verso i cittadini non appartenenti ai “tre popoli costituenti”. Da tempo l’UE insiste con forza per una riforma
Bosnia-UE Dal 2003, la Bosnia Erzegovina è un Paese potenzialmente candidato all’adesione. Nel 2008 sono entrati in vigore accordi bilaterali sui temi della mobilità, dei visti e del commercio. Dal 2010 i cittadini bosniaci con passaporto biometrico possono accedere senza visto all’area di Schengen. Sebbene l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione non sia stato ancora ratificato, la Bosnia partecipa come Paese associato a vari programmi europei, tra cui Horizon 2020.
la crescita. La Bosnia però, dal 2007 al 2009, ha formulato solo 18 richieste per il finanziamento di altrettanti progetti. Pochi in confronto ai Paesi membri, ma anche rispetto agli altri Paesi dell’area: la Croazia ne aveva presentate 141, la Serbia 116, la Macedonia 46. Difficoltà, per la Bosnia, dovuta al sistema burocratico e politico che tende ad appesantire ogni processo. Pesanti accuse sono state mosse poi dagli universitari, che si sono organizzati in un movimento di protesta detto “(r)evolution +”. Evento scatenante è stata la notizia, risalente agli ultimi mesi del 2013, della non partecipazione bosniaca al progetto Erasmus + per gli anni 2014-2020. Preclusa quindi, per gli studenti
bosniaci, la possibilità di studiare nelle migliori università europee. Possibilità importante per arricchire il proprio curriculum e tornare in patria con un bagaglio di esperienze tale da poter aiutare il proprio Paese. Ancora una volta la mancata partecipazione è dovuta ad un problema politico, una sorta di “ripicca” fra le due entità. Per gestire Erasmus+, infatti, sarebbe servita una commissione statale, comune cioè ad entrambe le entità. I leader della Repubblica Srpska si sono fermamente opposti ad un organismo del genere, primo passo, per loro, verso uno Stato più centralizzato. Manifestazioni si sono tenute in tutte le maggiori città, compresa Banja Luka, capoluogo della Repubblica Srpska, dove una delle manifestanti ha affermato: “non abbiamo alcuna intenzione di subire passivamente la decisione di questa classe politica”. Alcuni esponenti dell’entità serba hanno annunciato di voler in parte rivedere la propria posizione, ma per ora sono solo dichiarazioni ufficiose. Dopo il caso del mancato accordo sulla Costituzione e della chiusura dei principali musei, sono ora i giovani e il mondo universitario a subire un grave colpo. «
| FEBBRAIO 2014 | 19
LA NUOVA EUROPA
La Serbia alle porte dell’UE Mauro Loi Responsabile pubblicazioni Balcani e Caucaso
21 GENNAIO 2014: UE E SERBIA DANNO IL VIA UFFICIALE AI NEGOZIATI DI ADESIONE. PER BELGRADO È UN RISULTATO SOFFERTO, PER CUI L’EUROPA HA CHIESTO GRANDI SACRIFICI. UE-Serbia Un lungo percorso 01/102005 Iniziano i negoziati per l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione (AAS) 29/04/2008 Firmato a Lussemburgo l’AAS tra UE e Serbia 22/12/2009 La Serbia presenta domanda di adesione 01/03/2012 Il Consiglio Europeo attribuisce alla Serbia lo status di Paese candidato all’adesione 01/09/2013 Entra in vigore l’AAS 17/12/2013 Il Consiglio dell’UE adotta il quadro negoziale per i negoziati di adesione 21/01/2014 1a conferenza intergovernativa UE-Serbia, via ai negoziati di adesione
T
he bad guy knocking on the EU’s door. Così Dragoslav Dedović, serbo-bosniaco trapiantato in Germania, ha commentato la conferenza dello scorso 21 gennaio, che ha sancito il via ufficiale ai negoziati per l’adesione della Serbia all’UE. Un evento simbolico a cui hanno partecipato le più alte cariche dell’Unione, il premier Ivica Dačić e i Ministri degli Esteri di gran parte degli Stati membri. Le parole di Dedović sintetizzano bene l’aura di diffidenza che per anni si è respirata nei confronti della Serbia e del suo possibile ingresso nell’UE. Diffidenza che ha portato più volte a ritardare l’inizio dei negoziati, in attesa di segni tangibili da Belgrado, soprattutto sottoforma di progressi nel negoziato con il Kosovo. Una diffidenza politica soprattutto made in Deutschland. È stata infatti la Germania a spingere affinché, prima di dar inizio ufficialmente ai negoziati, venissero fatti passi concreti nell’attuazione
20 | FEBBRAIO 2014 |
dell’accordo fra Belgrado e Pristina. Ed è stata sempre Berlino ad insistere perché le trattative per l’adesione di nuovi Paesi all’UE cambiassero volto, dando priorità ai capitoli 23 e 24 e prevedendo che giungessero a compimento solo allorquando il Paese candidato avesse rispettato appieno tutte le condizioni. Stop agli “allargamenti politici” quindi, sperimentati in passato con altri Paesi dell’Est: il candidato entrerà nell’UE solo quando si sarà certi che la sua economia non subisca turbative dall’integrazione con quelle degli altri Paesi e, soprattutto, che non crei distorsioni alle altre. Ma l’appellativo di “cattivo ragazzo” non rende giustizia a Belgrado. È vero, la Serbia non naviga nell’oro: qualora entrasse nell’UE oggi, diverrebbe automaticamente il Paese più povero dell’Unione, con un PIL pro capite pari al 50% di quello bulgaro e conti pubblici non ancora al riparo dal rischio bancarotta. È vero anche che Belgrado ha un passato scomodo. Un forte legame con la propria storia e la propria terra, che in passato hanno portato il popolo serbo a seguire la via del nazionalismo, guidato da figure che per sete di potere l’hanno spinta ad immani catastrofi. È il caso di “Apis” e della Mano Nera un secolo fa, o di Milošević negli anni ‘90. Il “cattivo ragazzo”, però, il suo
conto con la storia l’ha anche pagato. In termini di morti, durante la Prima guerra mondiale, o di ferite aperte dalle bombe della NATO, ancora visibili sui muri di Belgrado. Ha soprattutto dimostrato di voler espiare i propri errori: la consegna dei criminali di guerra al Tribunale Penale Internazionale per l’Ex-Jugoslavia, le imponenti riforme istituzionali e il sacrificio del Kosovo sono prove schiaccianti. Solo chi non conosce la storia serba può sottovalutare il peso del sacrificio compiuto con lo storico accordo con il Kosovo, abitato in maggioranza da albanesi, ma terra dove la nazione serba è nata e fiorita. Un sacrificio che ha bisogno di un appiglio, soprattutto ora che in Serbia si parla di crisi di governo ed elezioni. La coalizione che ha portato agli straordinari risultati in ottica europea rischia di pagare in termini di consenso i sacrifici compiuti per raggiungerli. Potrà però almeno ribattere di aver portato il Paese alle porte dell’Europa. In attesa che la porta si apra. Non importa se tra quattro (come sostiene l’ottimista Dačić) o dieci anni, ma “apri le porte, Europa”. Il cattivo ragazzo è ormai maturo. E merita di entrare.«
© Demokratska Stranka / Flickr
Il Colonnello Apis e la Mano Nera Sarajevo, 28 giugno 1914. È il Vidovdan, il giorno di San Vito, festa in cui i serbi ricordano la battaglia di Kosovo Polje e la resistenza contro gli ottomani. Il giovane Gavrilo Princip, 19 anni, uccide in un agguato l’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria e Ungheria. Molte sono le teorie in merito alle mani che “armarono” l’attentatore, che faceva parte del movimento irredentista chiamato Giovane Bosnia. Si parla di legami con gruppi croati e macedoni (o bulgari), ma fondamentale fu, nella pianificazione e condotta dell‘attentato, il ruolo della Crna Ruka, la Mano Nera, organizzazione segreta serba guidata dal Colonnello “Apis”, Dragutin Dimitrijević, soprannominato anche “Linea diretta”, che già nel 1903 aveva guidato l’efferato regicidio di Alessandro I Obrenović, colpevole, dopo il
matrimonio con una donna più vecchia di lui di 15 anni, di non poter garantire un erede al trono e di “ridicolizzare“ il nome della Serbia. La famiglia reale venne mutilata e fatta a pezzi e i resti furono gettati dalle finestre del palazzo reale. Al trono tornò la dinastia dei Karađorđević. Controverse sono le notizie su Francesco Ferdinando, nipote del reazionario Imperatore Francesco Giuseppe ed erede al trono degli Asburgo. Illuminato o reazionario, anch’egli a seconda delle fonti, per alcuni talmente impulsivo da sembrare squilibrato. A condannarlo, agli occhi della Crna Ruka, rendendolo un obiettivo da eliminare, fu paradossalmente proprio la sua apertura nei confronti degli slavi. A differenza dello zio – profondo sostenitore della necessità di mantenere invariato l’Ausgleich del 1867 – l’Arciduca riteneva
invece importante trasformare la monarchia in “tricipite”, elevando anche la nazione slava al livello di quella austriaca e ungherese. Idea gradita ad alcuni panslavisti, ma non ai vertici della Crna Ruka, la cui visione, più che panslavista, si può definire panserba. Il timore era infatti che la sua ascesa al trono e la svolta verso una monarchia “tricipite” potessero porre fine alle rivendicazioni irredentiste degli slavi d’Asburgo, che nelle idee della Mano Nera dovevano avere un’unica guida: la Serbia. Una decisione che, unita ad altre concause, porterà ad una delle più grandi tragedie della storia: la Prima Guerra Mondiale. Il “Colonnello Apis” invece, accusato di cospirare contro il regno, nel 1917 fu arrestato per tradimento e fucilato.
1914
28 giugno, Sarajevo: il 19enne Gavrilo Princip uccide l’erede al trono asburgico Francesco Ferdinado. Inizia una catena di eventi che porterà in pochi mesi allo scoppio della Grande Guerra, la 1^Guerra mondiale.
Mauro Loi
| FEBBRAIO 2014 | 21
EUROPA E DIRITTO
L’Europa e l’antisemitismo ai tempi dei reati d’opinione Tullia Penna Responsabile legale
IN FRANCIA IL CASO DIEUDONNÉ RIAPRE IL DIBATTITO SUL TEMA DEL REATO DI NEGAZIONISMO. COME BILANCIARE LA LOTTA ALL’ANTISEMITISMO CON LA TUTELA DELLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE?
A
distanza di poco più di un anno dal famigerato Affair Twitter, in Francia il sentimento antisemita è tornato prepotentemente alla ribalta. Nel gennaio 2013 il tribunale di Parigi condannò la società titolare del social network a rivelare le identità degli autori di tweet antisemiti che avevano spopolato in rete. La sentenza, definita storica dal New York Times, scatenò reazioni intense e tra loro opposte da parte dell’opinione pubblica e degli esperti di diritto. I sostenitori, da un lato, approvarono l’aderenza dell’ordinamento francese alle previsioni internazionali e comunitarie. Una decisione quadro dell’UE del 2008 impone infatti agli Stati membri l’introduzione di fattispecie di reato nazionali che puniscano “l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei cri-
22 | FEBBRAIO 2014 |
2008
decisione quadro dell’UE sui reati di negazionismo
Quenelle gesto lanciato da Dieudonné, un saluto nazi-fascita rovesciato
27/01
la Giornata della Memoria, in Italia istituita da una Legge del 2000
mini di guerra”. I detrattori della sentenza, dall’altro lato, si scagliarono invece a difesa dell’integrità della libertà di espressione, quale diritto fondamentale e in nessun modo sacrificabile. Proprio quando la diatriba pareva sopita, il comico francese Dieudonné M’Bala M’Bala ha messo in scena il suo “Le mur”, spettacolo di satira arricchito di luoghi comuni antisemiti. In un primo momento le autorità francesi hanno inteso ripetere la scelta già attuata per l’Affair Twitter. La reazione di parte dell’opinione pubblica è stata fulminea: la libertà di espressione è la pietra angolare della democrazia e la censura, anche per “incitamento all’odio razziale”, non è nemmeno ipotizzabile. Il Ministro degli Interni Manuel Valls però non si è arreso ed è riuscito a ottenere la sospensione dello spettacolo “per questioni di ordine pubblico”. I sindaci di Parigi, Orleans, Tours, Nantes e Bordeaux hanno prontamente applicato le ordinanze dei prefetti e, l’11 gennaio, il comico Dieudonné ha dichiarato alla stampa la cancellazione dello spettacolo. Nel mentre però un elemento importante del suo repertorio umorista è stato preso in prestito da Nicolas Anelka (calciatore francese del West Bromwich
Albion). Si tratta del gesto della “quenelle” (“polpetta” in francese), inventato da Dieudonné (in occasione della presentazione della “lista antisionista” per le elezioni europee del 2009) e che costituisce un saluto nazi-fascista invertito. Il copione dovrebbe suonare familiare ai più: in un periodo di crisi, che ingessa la mobilità sociale, si ricerca un capro espiatorio (la comunità ebraica) adatto a sfogare le frustrazioni sempre più radicate nei meandri dello spirito umano. Qual è quindi il bilanciamento accettabile tra la possibilità di esprimere a pieno (e in piena libertà) il proprio pensiero e le conseguenze che esso provoca sulla sensibilità, sul comune sentire, dei suoi consociati? La Francia ha preso a riguardo una posizione netta, introducendo, come già ricordato, il reato d’opinione negazionista. Sulla stessa linea si sono schierate anche Germania e Spagna, sebbene con due prospettive diverse. La Corte Costituzionale tedesca distingue infatti tra l’affermazione di un fatto (tutelata come libertà di espressione) e la difesa di una posizione discriminatoria (punibile come reato). La Corte Costituzionale spagnola, invece, ha affermato il principio per cui la sola giustificazione di genocidi
© Wikimedia Commons
In Francia, in Spagna e in Germania esiste, pur con sfumature diverse, il reato di opinione negazionista. In Italia, invece, lo scontro tra fazioni ha portato al solito compromesso al ribasso. e crimini di guerra sia perseguibile, mentre non lo sia la negazione, intesa come differente ricostruzione storica. Proprio il concetto di ricostruzione storica è stato utilizzato dalla Società italiana per lo studio della storia contemporanea (SISSCO) per contrapporsi al progetto di legge per l’introduzione del reato d’opinione negazionista nel nostro Paese. L’idea di fondo è che la ricerca e il dibattito storiografico si atrofizzerebbero. Le barricate sono state innalzate in Parlamento soprattutto da Miguel Gotor (PD) e Andrea Romano (Scelta Civica), sostenuti al di fuori dell’aula dal presidente della SISSCO, Agostino Giovagnoli. Nonostante l’iter di approvazio-
Dieudonné Dieudonné M’bala M’bala è un attore, un comico e un politico francese. Classe 1966, si è impegnato in politica dalla fine degli anni ‘90. In principio etichettato come estremista di sinistra, negli ani 2000 si è spostato sempre più a destra, avvicinandosi politicamente al Fronte National. Si autodefinisce antisistema, antisionista e repubblicano. Ha subito numerosi processi e condanne per diffamazione e incitamento all’odio razziale.
ne del disegno di legge sembrasse essere stato accelerato dalle vicende successive alla morte del capitano delle SS in Italia, Erich Priebke, il Senato ha definitivamente fatto cadere la proposta. Il negazionismo diverrà dunque una sottospecie della comune istigazione a delinquere, nonché un aggravante per chi compia istigazione o apologia dei crimini di genocidio o contro l’umanità. La scelta italiana è, come spesso a accade, un infelice compromesso nato dall’incapacità di prendere posizioni nette in merito a fenomeni complessi. Il direttore di Libération, Nicolas Demorand, in merito al caso Dieudounné ha messo perfettamente a fuoco questo problema: il censurare lo spettacolo del comico costituisce una compressione notevole della libertà di espressione, ma il non farlo avrebbe fatto apparire il governo francese connivente al sentimento antisemita. In Francia tuttavia si tratta di un caso concreto e la normativa a riguardo è chiara. In Italia, invece, la normativa stessa si collocherà in un peculiare limbo. Al negazionismo sarà infatti sì collegato un disvalore sociale (particolare istigazione a delinquere nonché aggravante con un aumento della metà della pena), ma non in maniera autonoma.
Gli storici italiani rimangono comunque inamovibili, difesi anche dall’autorevole opinione di Stefano Rodotà, detrattore dell’introduzione del reato già nel 2007 (ai tempi della prima proposta, da parte dell’allora Ministro della Giustizia Clemente Mastella). Secondo Rodotà, simili misure sono inadeguate a sconfiggere il fenomeno dell’antisemitismo e, anzi, tendono esclusivamente a produrne l’aumento. Ipotesi confermata a livello empirico dalla nascita massiva di forze xenofobe in tutti i Paesi che hanno introdotto il reato stesso, tra i quali Francia, Germania, Austria, Lituania e Slovacchia. La speranza è che almeno la Giornata della Memoria delle vittime del nazismo e dell’olocausto (definita da una Legge italiana del 2000 anche come momento comune di riflessione) possa essere occasione per un confronto superbamente libero e squisitamente privo del retrogusto satirico d’oltralpe. «
| FEBBRAIO 2014 | 23
IL PERSONAGGIO
MVP: Barbara Matera Simone Belladonna Responsabile relazioni esterne
I
l 14 gennaio scorso il parlamentare belga Marc Tabarella prende la parola e si scaglia contro il collega Matteo Salvini, il quale si vede recapitare una plateale accusa di esser un vero e proprio “fannullone”. Queste scene non sorprendono più di tanto nell’aula di Montecitorio, ma a Bruxelles e Strasburgo sono piuttosto rare. L’atmosfera ingessata del Parlamento Europeo viene infatti spezzata da parole tutt’altro che sibilline: “Collega Salvini, è una vergogna sentirti in aula, perché […] sei l’unico che non abbiamo mai visto in riunione. […] È solo in TV e mai in aula, mai in riunione per lavorare. È una vergogna! Sei un fannullone in questo Parlamento, lo dico io!” Questa stilettata fa affiorare nuovamente la questione del grado d’impegno degli europarlamentari. Matteo Salvini, con una produttività del 91% (al di sotto della media dei suoi 753 colleghi che è del 100%), poteva ben essere bacchettato dal solerte collega per non aver collaborato alla stesura dell’importante proposta di direttiva sugli appalti pubblici. Sorge spontaneo chiedersi allora: chi è l’eurodeputato più virtuoso? I dati di votewatch.eu e mepranking.eu forniscono una risposta tanto chiara, quanto a sorpresa: in quanto a relazioni redatte (54), l’esponente del Partuti Popolare Europeo Barbara Matera si classifica prima, stac-
24 | FEBBRAIO 2014 |
cando di ben 10 lunghezze i colleghi socialisti Inès Ayala Sender e Vital Moreira. Classe 1981, è Vice-presidente della commissione FEMM, oltre che membro della commissione BUDG e di quella mista D-TR. La sua elezione nelle fila del Popolo della Libertà è avvenuta sfruttando la possibilità delle preferenze che la legge elettorale italiana concede per le europee (ne ha ottenute più di 130 mila, seconda solo al leader del suo partito). Nella biografia della deputata si rinviene un passato nel mondo del cinema e della televisione. Si ricorderà, infatti, che nell’aprile 2009 la sua candidatura suscitò non poche polemiche. Alla prova dei fatti, però, i dati sulla sua attività in sede comunitaria le danno ragione. Non solo, appunto, è prima in quanto a relazioni redatte, ma è anche quinta nel computo dei pareri presentati e con il 142% di produttività è al di sopra della media degli eurodeputati. Inoltre è stata presente per il 94% delle sessioni plenarie del PE, votando 5125 volte su 5466. Nel corso della legislatura, l’onorevole Matera si è poi occupata, tra le varie attività, della relazione per la risoluzione sulle madri single del settembre 2011. Ha espresso vari pareri, tra cui quello dello scorso novembre sull’Arabia Saudita e quello del maggio 2013 sulla situazione dei
© Demokratska Stranka / Flickr
© European Parliament
minori non accompagnati nel territorio UE. Si è fatta autrice di cinque dichiarazioni scritte, tra cui quella del novembre 2012 sulla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica e quella dell’aprile 2010 sull’istituzione dell’Anno Europeo contro la violenza sulle donne. Sono numeri certo meritori, soprattutto se confrontati con quelli dei “peggiori”. In vetta la lituana Justina Vitkauskaite Bernard (ALDE), che si è presentata solo 530 volte su 2116 per un totale di sole 25% di presenze. Tra gli italiani invece Gino Trematerra (PPE) e Francesca Barracciu (S&D) sono rispettivamente al quarto e quinto posto di questa biasimevole classifica con il 37,89% e 40,80% delle apparizioni. «
Barbara Matera Eurodeputata del Partito Popolare Europeo, eletta nella circoscrizione Sud tra le fila del Popolo della Libertà con oltre 130.000 preferenze. Classe 1981, si è laureata in Scienze della Formazione e dell’Educazione. Ha avuto una carriera televisiva come valletta e annunciatrice e ha interpretato ruoli di attrice in serie TV e produzioni minori. Militante di Forza Italia dal 2001, ha dichiarato di aver rifiutato la candidatura per la Camera dei Deputati nel 2008. L’entrata in lista per il Parlamento Europeo nel 2009 suscitò forti polemiche.
EDITORIALE A MATITA
Luigi Porceddu
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. L’UE, lo stesso. «
Vignettista
| FEBBRAIO 2014 | 25
OSARE EUROPA L’Associazione Culturale OSARE Europa nasce a Torino nel marzo del 2013 da un gruppo di studenti e neo-laureati provenienti da diversi atenei italiani. OSARE opera al fine di promuovere la conoscenza dell’Unione Europea, delle sue attività e delle sue dinamiche economiche, politiche, giuridiche, sociali, storiche e culturali. Stimola e partecipa al dibattito pubblico, offrendo informazioni, approfondimenti e analisi caratterizzate da approccio analitico, critico e divulgativo. L’Associazione è infatti editrice di “Europae – Rivista di Affari Europei”. OSARE è inoltre attiva nell’organizzazione di eventi, conferenze e attività didattiche e formative aperte a tutti nell’ambito dell’approfondimento e della diffusione presso l’opinione pubblica di una conoscenza obiettiva e consapevole del funzionamento delle istituzioni dell’Unione Europea e delle loro attività.
Unisciti a noi: è aperto il tesseramento 2014!
Tessera simpatizzanti: 10,00 € Tessera ordinari (premium): 20,00 €
Dà diritto a ricevere 12 numeri della rivista mensile di Europae, distribuita gratuitamente e in esclusiva ai soci e ai sostenitori della nostra Associazione!
Per unirti a OSARE Europa, scrivi all’indirizzo e-mail presidente.osare@gmail.com Per conoscere le nostre attività per il prossimo anno: Mercoledì 26 febbraio 2014 Campus Luigi Einaudi, Lungo Dora Siena 100 10124 Torino
“Elezioni europee: la democrazia dopo la troika?” intervengono
Flavio Brugnoli, direttore Centro Studi sul Federalismo Antonio Scarazzini, direttore Europae - Rivista di Affari Europei Franco Debenedetti, presidente Fondazione Istituto Bruno Leoni modera Giampiero Gramaglia, direttore Euractiv.it