Musei

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Colori compositi

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Itinerari d’arte, storia e cultura

Š DiskArt™ 1988

Musei nella provincia di Rimini

I - 47900 Rimini, piazza Malatesta 28 tel. 0541 716371 - fax 0541 783808

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Provincia di Rimini Assessorato alla Cultura Assessorato al Turismo

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edizione italiana

Riviera di Rimini Travel Notes


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Cattolica Museo della Regina Gemmano Museo Naturalistico della Riserva Naturale Orientata di Onferno Mondaino Musei di Mondaino Montegridolfo Museo della Linea dei Goti Montescudo Museo Etnografico di Valliano Riccione Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Villa Franceschi Museo del Territorio

Colori compositi

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Rimini Museo della CittĂ Museo Fellini Museo degli Sguardi, raccolte etnografiche Museo della Piccola Pesca e delle Conchiglie Saludecio Museo di Saludecio e del Beato Amato Santarcangelo di Romagna Museo Storico Archeologico Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna Verucchio Museo Civico Archeologico

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Provincia di Rimini Assessorato alla Cultura Assessorato al Turismo Agenzia marketing turistico Riviera di Rimini

Pier Giorgio Pasini Musei nella provincia di Rimini Itinerari d’arte, storia e cultura


Coordinamento: Valerio Lessi, Sonia Vico, Marino Campana Progetto grafico: Relè - Tassinari/Vetta Fotografie: archivio fotografico Assessorato al Turismo Provincia di Rimini L. Bottaro, S. Di Bartolo, T. Mosconi; archivi fotografici dei Musei presenti nella guida Impaginazione ed impianti: Litoincisa87, Rimini Licia Romani Prima edizione 2007 Ristampa 2008


Indice

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Musei in provincia

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1. Il mondo della natura - Mondaino, Musei di Mondaino, sezione paleontologica - Gemmano, Museo Naturalistico della Riserva Naturale Orientata di Onferno

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2. Il mondo dell’archeologia - Riccione, Museo del Territorio - Verucchio, Museo Civico Archeologico - Rimini, Museo della Città, sezione archeologica - Cattolica, Museo della Regina, sezione archeologica - Santarcangelo, Museo Storico Archeologico, sezione archeologica

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3. L’arte e la storia - Rimini, Museo della Città, sezione storico artistica - Saludecio, Museo di Saludecio e del Beato Amato - Santarcangelo, Museo Storico Archeologico, sezione storico artistica - Mondaino, Musei di Mondaino, sezione delle maioliche

> 45

4. Vivere nel territorio - Santarcangelo, Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna - Montescudo, Museo Etnografico di Valliano - Cattolica, Museo della Regina, sezione della marineria - Viserbella di Rimini, Museo della Piccola Pesca e delle Conchiglie

> 55

5. Mondo moderno - Montegridolfo, Museo della Linea dei Goti - Riccione, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Villa Franceschi - Rimini, Museo Fellini - Rimini, Museo degli Sguardi, raccolte etnografiche

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Per saperne di più. Bibliografia minima

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Musei in provincia

Rimini, Museo della Città, stufa in maiolica con la raffigurazione della dexterarum iunctio, inizio del XIX secolo. 5

La storia ha lasciato molti segni, molte tracce sul territorio riminese: tanto negli edifici, nei tratti viari, nell’urbanistica, nell’arte, quanto nel costume, nel linguaggio, nella cultura letteraria, nelle colture agricole. Le testimonianze sparse e ormai prive di contesto di tale storia sono state raccolte con paziente amore in numerosi musei, grandi e piccoli, di antica e recente istituzione, che non sono e non vogliono essere considerati semplici antologie di cose “belle” o curiose, ma raccolte di testimonianze della cultura, della vita, delle vicende umane di questo lembo estremo della Romagna e dei vari ruoli che si è trovato a sostenere nel tempo; e ne dimostrano l’alto grado di civilizzazione, ne giustificano la relativa originalità, ne spiegano il carattere aperto e ospitale. Il territorio riminese deve alla sua posizione geografica una storia densa e complessa. Come è ben noto, e come è facile verificare, è posto quasi a cerniera fra l’Italia settentrionale, caratterizzata dalla grande pianura del Po, e quella centrale, caratterizzata dai rilievi dell’Appennino. Nello stesso tempo costituisce una sorta di “terminale” dei collegamenti tra il nord e il centro della penisola italiana e un luogo di transito dei traffici marittimi con i paesi dell’Adriatico e dell’Oriente mediterraneo. Infatti da Rimini, il centro abitato che ne è la capitale, partono le strade per la Lombardia e per il Veneto, per la Puglia e per la Toscana, per l’Umbria e per Roma; e dal suo porto, costituito dalla foce del fiume Marecchia, partivano le rotte per la Dalmazia e per la Grecia. I percorsi marittimi erano frequentati da mercanti e da pirati; quelli terrestri hanno visto il passaggio dei mercanti che discendevano dal baltico seguendo la via dell’ambra e degli etruschi che ambivano a nuovi contatti; delle legioni romane che invadevano la pianura padana per ampliare il dominio di Roma e delle schiere dei barbari lanciati alla conquista dell’Italia, in lotta con i “romani” di Bisanzio; e poi dei Longobardi avidi di nuove terre e degli imperatori tedeschi che intendevano riaffermare i loro diritti in contrasto con quelli del papato e, ancora, delle compagnie di ventura in cerca di una sistemazione stabile e via dicendo; fino agli eserciti in lotta durante l’ultima terribile guerra mondiale che, proprio in questi luoghi compresi nella parte estrema della linea gotica, combatterono una delle ultime grandi battaglie della “campagna d’Italia”.


Il territorio riminese è aperto verso la pianura padana e per il resto è delimitato dal mare e dai primi rilievi appenninici con il Monte Titano, che non costituiscono certo dei confini-barriere impenetrabili; tuttavia costringono ad una sosta e poi ad un mutamento di passo, e dunque costituiscono pur sempre un limite e un filtro, per cui oltre che luogo di passaggio questa è terra di attese e di contese, ma capace di trattenere frammenti di culture e di civiltà che con il tempo si sono sedimentati e amalgamati. Nel riminese le testimonianze materiali e artistiche divenute erratiche sono molte e vengono in gran parte custodite nei 15 musei locali, collegati in rete da un “sistema” provinciale che li sostiene e li promuove e soprattutto permette loro di integrarsi a vicenda nell’offrire occasioni e stimoli per la scoperta e la conoscenza del territorio e della sua cultura. In questa breve guida sono stati raggruppati per tipologia: prima i musei che illustrano la formazione geologica, la conformazione e la natura del territorio; poi quelli riguardanti il suo primo popolamento e le sue antiche civiltà, soprattutto quella villanoviana e quella romana; poi quelli che racchiudono testimonianze e opere d’arte prodotte fra Medio Evo ed Età Moderna. Seguono i musei che illustrano la vita popolare nella campagna e sul mare, e quelli che riguardano l’ultimo secolo e la seconda guerra mondiale, che in questa zona ha provocato molte vittime e danni notevolissimi, segnando fortemente la sua storia e il suo aspetto. Questi raggruppamenti suggeriscono degli itinerari attraverso il “tempo lungo” della storia, più che attraverso lo spazio; ma lo spazio del territorio riminese è breve, ed è facile e piacevole da percorrere, soprattutto nell’entroterra, che offre una grande varietà di paesaggi e una fitta rete di strade. Un semplice avvertimento, forse inutile, è il caso dare: proprio perché tutti i musei del Riminese sono legati al territorio, alla sua storia, alla sua gente, vanno letti, compresi e goduti in rapporto con i luoghi di cui conservano le espressioni; e questo fatto ne accresce il valore, li rende unici, originali, concreti. Rimini, Museo della Città, scorcio della sala degli arazzi del Seicento. 6




1. Il mondo della natura

Nell’area provinciale non esistono musei di Storia Naturale; esistono però una riserva naturale e una rete di centri naturalistici che offrono occasioni di osservazione e di studio della natura marina e della zona collinare, svolgendo un’intensa attività di educazione ambientale. I centri naturalistici sono in parte di fondazione pubblica e in parte di fondazione privata, hanno in genere gestioni miste e sono promossi da comuni, da associazioni di volontariato, da organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS). Per quanto riguarda la media valle del Marecchia si possono ricordare l’Osservatorio Naturalistico Valmarecchia, posto in prossimità dell’Oasi di protezione della fauna di Torriana Montebello, e la sede distaccata del Centro di educazione ambientale del WWF di Rimini, cioè l’oasi di Ca’ Brigida a Verucchio; per quanto riguarda la valle del Conca la Riserva Naturale Orientata di Onferno nel comune di Gemmano. Sul mare va sottolineata la presenza della Fondazione Cetacea di Riccione, dell’Osservatorio ambientale comunale di Cattolica e del Parco Le Navi sempre di Cattolica. Alla formazione e alla conformazione del territorio sono dedicati i musei di Mondaino e di Gemmano (Onferno), ma accenni a questi temi si potranno trovare anche nei musei che hanno come tema principale l’archeologia. Per uno sguardo generale si veda in particolare il museo di Riccione, qui considerato nel capitolo riguardante l’archeologia. Materiale paleontologico (con una bella raccolta di fossili del Marecchia) in attesa di essere ordinato in una apposita sezione, possiede anche il Museo della Città a Rimini. Altro materiale è conservato ed esposto nella Rocca di Montefiore, ma in condizioni di scarsa fruibilità e in attesa di essere riordinato. Inoltre una importante raccolta di conchiglie del Mediterraneo è nel Museo di Viserbella (vedi), ed un’altra nella Torre di Bellaria.

Gemmano, giovani in visita alla Riserva Naturale Orientata di Onferno. 9



Mondaino: Musei di Mondaino, sezione paleontologica

Mondaino Musei di Mondaino piazza Maggiore, 1 tel. 0541 981674 fax 0541 982060 cedmondaino@mondaino.com • apertura estate (dal 1° giugno al 15 settembre): dal lunedì al sabato 9:00-12:00; domenica 17:00-21:00; martedì chiuso • apertura inverno (dal 16 settembre al 31 maggio): dal lunedì al sabato 9:00-12:00; domenica 10:00-13:00/15:0018:00; martedì chiuso • ingresso gratuito

Resti fossili di un pesce e di foglie nel tripoli di Mondaino. 11

Riguarda nello specifico i fossili, e particolarmente gli ittioliti rinvenuti nell’ambito del Comune di Mondaino; ma ha premesse di carattere didattico che ci introducono alla storia più antica della terra, ad una lunga epoca che gli studiosi collocano fra il miocene e il pleistocene, cioè nell’età messiniana, circa sei milioni di anni fa. L’area di Mondaino (come quelle prossime di Montefiore e di Saludecio) era allora occupata da una sorta di grande lago d’acqua salata, profondo almeno dai cento ai duecento metri, che l’evaporazione ha lentamente prosciugato. Per questo ora è particolarmente ricca di fossili, segnalati già nell’Ottocento, ma studiati soprattutto dal 1983, quando una frana ha indotto a compiere una regolare campagna di scavo. Il museo espone, scientificamente classificati, una grande quantità di reperti di quello scavo con altri, frutto di ritrovamenti effettuati in varie occasioni in altre parti del territorio: si tratta soprattutto di molte specie di pesci fossili, alcune anche molto rare, oltre che di molluschi, di echinodermi e di elementi vegetali terrestri. Una specie fossile trovata qui e che non sembra avere confronti in altre zone, è quella di un pesce lanterna denominato Ceratoscopoles miocenicus. Naturalmente è stata la particolare caratteristica dei sedimenti che hanno colmato il grande lago, e che si sono formati per evaporazione marina, a permettere la fossilizzazione dei resti degli organismi che vi vivevano. Accanto a pesci di modesta e piccola dimensione nel bacino messianico c’erano anche pesci grandi, come il Procacharodon megalodo, uno squalo gigantesco che poteva essere lungo fino a trenta metri, assai diffuso in epoca miocenica: infatti ne sono stati trovati alcuni denti. Nel museo la sua presenza viene evocata nel diorama ricostruttivo dell’ambiente marino dell’epoca messiniana. Il museo è ubicato al piano terra del trecentesco castello malatestiano che ospita anche il Municipio, cui è addossata una piccola, splendida piazza rotonda porticata, costruita nell’Ottocento. Da questa piazza parte la strada principale del paese, rettilinea, sulla quale si affacciano la settecentesca chiesa parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo e il seicentesco ex convento di Santa Chiara.



Gemmano: Museo Naturalistico della Riserva naturale di Onferno

Gemmano Museo Naturalistico della Riserva Naturale Orientata di Onferno via Prov.le Onferno tel. 0541 854060 tel/fax 0541 984694 www.regione.emiliaromagna/parchi/onferno museorno@tin.it • apertura estate (dal 15 giugno al 15 settembre): 9:3012:30/15:00-18:00 • apertura inverno (dal 16 settembre al 14 giugno): domenica 14:30-16:30 • per gruppi e scolaresche apertura su prenotazione • ingresso a pagamento

In alto: a sinistra, pannello illustrante l’ambiente messiniano; a destra, pipistrello (Vespertilio di Blyth, Myotis blythii). In basso, la grotta di Onferno. 13

Alla storia della terra è dedicato in parte anche questo museo, istituito recentemente (1995) dal comune di Gemmano nella Riserva Naturale Orientata di Onferno (di 274 ettari) accanto ad una celebre grotta naturale che si estende per più di 700 metri e sprofonda nel terreno per oltre 70. È situato in un ambiente di grande bellezza paesaggistica, nell’edificio ricostruito e appositamente ristrutturato della vecchia pieve dedicata a Santa Colomba (documentata dal 1136), gravemente danneggiata durante l’ultima guerra. In apertura il museo propone una serie di campioni rocciosi, con particolare attenzione a varie tipologie di gesso che frequentemente affiora nella zona a strati o a banchi. Insieme a grafici assai eloquenti, troviamo il grande modello plastico di una molecola di gesso ingrandita di circa 3500 volte. Tanta attenzione a questo minerale e a questa roccia è dovuta al fatto che il castello di Onferno, cioè il piccolo nucleo abitato di origine medievale in cui ha sede il museo, sorge proprio su un grande banco di gesso, e che in esso le acque di un torrente sotterraneo, con un lavorio di miliardi di anni, hanno scavato una grotta, esplorata e rilevata scientificamente solo nel 1916. Di essa, situata sotto al castello e sotto al museo, viene presentato un grande modello, ricavato dalle indagini e dalle esplorazioni compiute negli anni sessanta del Novecento. Nel Museo, collegate idealmente alla grotta, si sviluppano due sezioni: una dedicata alla speleologia e un’altra ai chirotteri, ovvero i pipistrelli. Infatti questi, in sette specie diverse e in circa 6.000 esemplari, colonizzano la grotta: si tratta di una delle più numerose e varie colonie di pipistrelli esistenti in Italia. Anche l’illustrazione della flora e della fauna peculiari dell’area trovano posto nel museo, con vetrine, pannelli didattici e postazioni multimediali, con un diorama che pone in evidenza le specie di anfibi, rettili e mammiferi maggiori che tuttora popolano la zona, e con una sezione dedicata agli uccelli che vi nidificano (passeriformi e rapaci diurni in particolare). La visita del Museo vuol essere il preludio alla visita della riserva naturale, del giardino della flora collinare e della grotta, da compiere con il personale addetto, particolarmente competente ed esperto per una didattica di tipo scolastico e molto attento ai problemi dell’educazione ambientale.



2. Il mondo dell’archeologia

Riccione, Museo del Territorio, statuetta fittile, I secolo a.C. 15

È dall’età paleolitica, e dunque da più di duecentomila anni, che l’uomo frequenta il territorio riminese. Ovunque si trovano le sue tracce, deboli per i periodi più antichi, frequenti e anche “monumentali” dall’epoca romana. Non meravigli dunque la quantità dei musei archeologici, o di consistenti sezione archeologiche in musei onnicomprensivi, del Riminese. Comunque è a Rimini che è sorto il più antico museo archeologico della zona, grazie alla passione e alla competenza di uno studioso locale che è stato uno storico di grande valore: Luigi Tonini. A lui, appunto, si deve nel 1871 la formazione della “Galleria Archeologica” di Rimini, che è il primo vero museo di tutto il territorio perché da tutto il territorio, fra l’Uso e il Conca, vi sono stati convogliati reperti e manufatti riguardanti la preistoria e la storia antica e perché per più di un secolo è stato un vero centro propulsore di ricerche e di studi archeologici. L’ultima guerra l’ha distrutto, ed ora va faticosamente ricostruendo le strutture che permetteranno un’ottimale esposizione e valorizzazione dei molti reperti che custodisce, e di cui specialmente negli ultimi decenni è stato approfondito lo studio e ricuperato il corretto significato. Solo dopo più di un secolo sono sorti gli altri musei del Riminese, ciascuno con una sezione archeologica che conserva manufatti legati a circoscrizioni geografiche limitate e che sviluppa e approfondisce temi particolari e peculiari: le presenze umane più antiche, la civiltà villanoviana (Verucchio), la produzione figulinaria (Santarcangelo), il rapporto con le grandi strade consolari (Cattolica). Le brevi schede che seguono possono dare appena un’idea della ricchezza di questi musei: ricchezza di manufatti, ma anche di informazioni e di suggestioni, dovuta a buoni allestimenti e ad una cura assidua per l’educazione permanente e per la didattica. Piccole raccolte di reperti archeologici sono custodite anche al di fuori dei musei della rete provinciale: per esempio presso le biblioteche civiche di San Giovanni in Marignano e di Morciano. Inoltre a Rimini resti di domus con pavimenti in mosaico sono stati musealizzati in loco, in via Sigismondo, presso la Camera di Commercio, e in via Tempio Malatestiano, presso la Prefettura.



Riccione: Museo del Territorio

Riccione Museo del Territorio Centro Culturale della Pesa viale Lazio, 10 tel. 0541 600113 museo@comune.riccione.rn.it • apertura estate (dal 21 giugno al 31 agosto): dal martedì al sabato 9:00-12:00; apertura serale martedì, mercoledì e venerdì 21:0023:00; ogni mercoledi ore 21:00 laboratori per ragazzi e visita guidata gratuita (in lingua straniera su prenotazione minimo 10 persone); domenica e lunedì chiuso • apertura inverno: martedì, mercoledì e venerdì 9:0012:00/15:00-18:00; giovedì e sabato 9:00-12:00; chiuso lunedì e domenica • ingresso gratuito

In alto, ricostruzione di scheletro di bisonte del Pleistocene (Bison priscus) rinvenuto nel torrente Conca. In basso: a sinistra, tomba a pozzetto dall’area sepolcrale della via Flaminia (I secolo d.C.); a destra, frammento di anfora, vasetti, lacrimatoi, lucerne dalla stessa necropoli. 17

Conviene consigliare questo museo come prima tappa di un eventuale itinerario attraverso i musei archeologici provinciali perché per il momento è l’unico a fornire gli elementi essenziali per la conoscenza dell’evoluzione di tutto il territorio riminese, e in particolare della Valle del Conca, al cui margine settentrionale si trova Riccione. Si è formato presso la Biblioteca Civica negli anni sessanta del Novecento grazie all’attività di ricerca e di studio di un gruppo di appassionati, e ha trovato la sua sistemazione definitiva nel 1990 all’interno della struttura polivalente del “Centro della Pesa”. Dal 1998 è intitolato all’archeologo Luigi Ghirotti, ispettore onorario alle Antichità, che ne è stato uno dei principali artefici. Si giova di un allestimento moderno ed è strutturato con esemplare chiarezza didattica in sei settori che contengono interessanti reperti paletnologici ed archeologici. Ad una premessa generale sull’origine e sull’evoluzione della terra segue una sezione che illustra la situazione geologica locale per mezzo di grafici e di un plastico della Valle del Conca e delle aree limitrofe. La complicata storia geologica spiega l’attuale conformazione del territorio, modellato decine di milioni di anni fa dalle sovrapposizioni di rocce emerse dal fondale marino e dal loro scorrimento sulle argille, dalle loro fratture e dal mobile percorso dei fiumi che hanno eroso e modellato l’ineguale superficie delle terre emerse. Campioni di rocce, di minerali e di fossili animali e vegetali documentano migliaia di anni di evoluzione, fino alla comparsa dei grandi mammiferi come l’elefante (o il mammuth), di cui sono stati rinvenuti alcuni grossi molari e il frammento di una zanna, il bisonte preistorico, di cui sono stati trovati una porzione di cranio, una mandibola e diverse ossa che hanno permesso la ricostruzione di un emischeletro, il cervo gigante e altri animali minori (orso, rinoceronte, castoro, topo ecc.). Un diorama ricostruisce l’ambiente del bacino del Conca come doveva essere in un periodo che va da 200.000 a 100.000 anni fa, caratterizzato da un grande lago e da una serie di paludi, ma già da molto tempo frequentato dall’uomo. Ricerche archeologiche soprattutto di superficie e rinvenimenti casuali hanno permesso di documentare le prime tracce dell’uomo nel territorio fin dal “paleolitico inferiore”: ciottoli dapprima sbozzati in maniera molto rudimentale, poi


scheggiati con una certa abilità, testimoniano la presenza umana in un ambiente che doveva essere diversissimo da quello odierno, con specchi di acqua, paludi e una folta vegetazione selvaggia. Il museo espone una buona serie di reperti litici del paleolitico e del neolitico provenienti da molti luoghi della valle (comuni di Riccione, Misano, Morciano e Montefiore). Al neolitico, all’eneolitico, all’età del rame, alle età del bronzo e del ferro è dedicata la quinta sezione del museo, con reperti litici, metallici e ceramici (asce, pugnali, zappe, punte di frecce, spilloni, vari tipi di vasellame) provenienti da insediamenti posti a Riccione e nei dintorni. Nella zona sono scarse le testimonianze della civiltà villanoviana, abbondanti invece nella vicina valle del Marecchia (e custodite nel Museo archeologico di Verucchio: vedi). Fra i reperti del periodo successivo risaltano per la loro rarità alcuni frammenti di ceramica greca del V secolo provenienti da Morciano e da Misano, che attestano contatti e forse commerci con la Grecia, e i reperti provenienti da una tomba gallica del III secolo a.C. rinvenuta a Misano, che “si possono collegare a una sopravvivenza culturale celtica in un periodo in cui si era ormai affermata la romanizzazione del territorio” (R. Bambini). L’ultima sezione del Museo è dedicata appunto alla conquista e alla colonizzazione romana del territorio, e nelle sue vetrine conserva testimonianze che coprono i secoli dal III a.C. al III d.C. Va precisato peraltro che il materiale archeologico rinvenuto nella zona nell’Ottocento (e in parte qui documentato da fotografie) è confluito nella sezione archeologica del Museo della Città di Rimini. I Romani si affacciarono a questo territorio dopo la battaglia del Sentino (295 a.C.), ma solo dopo la fondazione della colonia latina di Ariminum (268 a.C.) e la conseguente assegnazione del territorio ai coloni furono in grado di tenere testa definitivamente ai Galli. Si trattava di una zona di frontiera, ben presto servita dalla via Flaminia (220 a.C.) che congiungeva Rimini a Roma. Nel territorio sicuramente sorgevano case coloniche sparse, fattorie e ville rustiche di cui sono state individuate tracce in una cinquantina di siti, e da cui provengono i materiali qui esposti: frammenti di vasellame, parti di pavimentazioni in cotto e in mosaico, brandelli di intonaco dipinto, elementi di suspensurae (che testimoniano 18


l’esistenza di terme domestiche), tegole bollate. A sostegno dell’edilizia e della produzione agricola locali erano state create numerose piccole e medie fornaci - che producevano mattoni, tegole, vasellame, anfore vinarie, lucerne - di cui sono state trovate molte tracce. Sembra che l’unico nucleo abitativo di una certa consistenza della zona sorgesse sulla via Flaminia in località San Lorenzo in strada. Scavi recenti (1995-2001) vi hanno individuato tracce di abitazioni e di attività produttive (i cui resti sono conservati in situ), di una necropoli, di una fornace e forse di un edificio sacro. Da San Lorenzo in strada provengono lastre decorative fittili di grande bellezza (del II - I secolo a.C.), in parte conservate nel Museo di Rimini, e dalla sua necropoli alcune tombe con i loro corredi, comprendenti anche oggetti in vetro e in osso, monete, ceramiche. Nei pressi dell’insediamento romano, e al suo servizio, sorse in epoca molto antica la pieve di San Lorenzo in strada (ricostruita nel dopoguerra), tuttavia documentata solo dal 997. In uscita vengono presentate alcune mappe che illustrano lo sviluppo urbano di Riccione dal XVIII secolo ad oggi.

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Verucchio, Museo Civico Archeologico

Verucchio Museo Civico Archeologico via Sant’Agostino tel. 0541 670222 fax 0541 673266 www.comunediverucchio.it/m useo/menu.htm iat.verucchio@iper.net • apertura aprile/settembre: tutti i giorni 9:30-12:30/ 14:30-19:30 • apertura ottobre/marzo: sabato 14:30-18:30; domenica 10:00-13:00/14:30-18:00 • apertura su prenotazione fuori orario per gruppi e scolaresche • ingresso a pagamento

In alto: a sinistra, visitatori nella sala degli Antenati; a destra, elmo fittile crestato. Al centro: a sinistra, “Trono” ligneo intagliato, dalla tomba Lippi 89; a destra, fibule in oro e ornamenti in oro e ambra. In basso: a sinistra, manico di ventaglio in legno intagliato; a destra, ossuario biconico con ansa traforata. 21

Mentre il Museo di Riccione permette di gettare uno sguardo sulla valle del Conca e su una gran parte del territorio riminese dalle origini all’età romana, e quindi riguarda un settore geografico e temporale molto ampio, quello di Verucchio comprende reperti di una sola cultura, fiorita nella valle del Marecchia e soprattutto nell’area di Verucchio durante l’età del ferro, in un arco di tempo compreso fra il IX e il VII secolo avanti Cristo. Si tratta di una cultura misteriosa e affascinante, detta “Villanoviana” dalla fine dell’Ottocento, quando i reperti che la riguardano furono messi in rapporto con quelli trovati nel 1858 a Villanova di Bologna. Una certa curiosità per i reperti “antichissimi” che affioravano nei dintorni dell’abitato di Verucchio viene segnalata fin dal XVII secolo. Nel Settecento e nell’Ottocento già si erano formate alcune raccolte, o “collezioni”, di tali materiali, ma solo alla fine dell’Ottocento (1893) si ebbero i primi scavi regolari che portarono alla scoperta di numerose tombe ricche di corredi (acquisiti dal Museo di Rimini). L’indagine sul territorio, ripresa all’inizio degli anni sessanta del secolo scorso, non è ancora finita; fino ad ora sono state individuate quattro distinte zone sepolcrali sulle pendici e ai piedi del colle su cui sorge l’abitato di Verucchio, e sono state scavate più di cinquecento tombe che hanno fornito ricchissimi corredi funerari, con pezzi di una rarità assoluta. Una selezione di questi è conservata ed esposta nel presente museo, inaugurato nel 1985 e riallestito nel 1995 grazie all’impegno comune della Soprintendenza Archeologica dell’Emilia e dell’Amministrazione civica di Verucchio, regolato nel 1993 da una convenzione fra Ministero e Comune. La cultura villanoviana è l’espressione di una popolazione, probabilmente di origine etrusca o fortemente influenzata dagli Etruschi, che nel IX secolo si è stabilita sulla collina (m. 296) della valle del Marecchia, la più vicina al mare: un luogo facilmente difendibile, sulla pista che conduceva in Toscana attraverso il passo di Viamaggio, sul percorso dei mercanti dell’ambra che scendevano dal Baltico e in vista del mare, e che permetteva contatti commerciali con i centri costieri dell’Adriatico e dell’Egeo. Il sito preciso dell’insediamento ci è ancora sconosciuto: forse coincide con lo sperone roccioso occupato dall’attuale paese, che domina il corso inferiore del Marecchia e tutta la pianura fino al mare Adriatico. Invece ci


sono parzialmente noti i sepolcreti; e grazie ai corredi funebri possiamo avere un’idea della vita di questa antica popolazione, la cui economia si reggeva sull’agricoltura, sull’artigianato e sul commercio, e che dominava il territorio compreso tra i fiumi Conca e Uso, fino al mare. Il rito funerario caratteristico del villanoviano è ad incinerazione. Le tombe sono in genere costituite da pozzetti che contengono un ossuario di terracotta di forma biconica (spesso riccamente ornato) chiuso da una ciotola rovesciata, o da pozzetti in cui all’ossuario si accompagna un grosso dolio con il corredo funebre, o infine da fosse rettangolari contenenti in una grande cassa il cinerario avvolto in un manto, vasellame, mobilio, oggetti d’uso, armi, tessuti. Il museo, che occupa tre piani di un ex convento agostiniano seicentesco, si apre con una sala detta “degli antenati” contenente nelle sue otto vetrine una serie di corredi tombali del IX-VIII secolo a.C. provenienti in buona parte dal “Campo del Tesoro”, la più antica delle necropoli verucchiesi, con tombe maschili e femminili assai ricche: vi spiccano fibule in bronzo e ambra, monili (anche d’oro), fusaiole e rocchetti, vasellame ceramico. Successivamente, nel piano seminterrato, si incontrano le sale “degli armati” con vetrine contenenti prevalentemente tombe di guerrieri nel cui corredo appaiono morsi di cavallo, spade, punte di lance, asce, coltelli, oltre a oggetti d’ornamento e vasellame ceramico e bronzeo. La successiva sala “del mantello” è caratterizzata da una vetrina in cui sono contenuti alcuni preziosi reperti di tessuto provenienti da sepolture diverse, tra cui un grande mantello semicircolare in filato di lana. “Quello di Verucchio è l’unico caso per l’Italia protostorica di abiti conservati pressoché integralmente e di cui sia possibile conoscere la forma, la materia prima utilizzata per il filato e per le tinture, le tecniche di tessitura” (P. von Eles). Nelle altre vetrine sono disposti strumenti per la filatura e la tessitura, tombe femminili con ossuari interamente rivestiti di tessuto, monili, vasellame da banchetto, contenitori in fibre vegetali ecc. Al primo piano spicca la sala “del trono”, dominata da una grande vetrina che contiene la tomba 89 della necropoli Lippi (posta sotto la rocca) scavata nel 1972. È costituita da un grande cassone ligneo contente un corredo ricchissimo, con stoffe, armi (si notino i due elmi, uno con alta cresta 22


bronzea e l’altro con cresta in setole), spille in bronzo, argento e oro, oggetti in legno. Sul coperchio della cassa era posto un trono in legno, con borchie in bronzo e soprattutto con intagli raffiguranti scene di vita, straordinariamente ben conservato. La tomba doveva appartenere a “uno dei più importanti membri dell’aristocrazia verucchiese, un uomo che ricopriva nella sua comunità ruoli complessi, un guerriero investito di responsabilità che andavano oltre la sfera militare, estendendosi all’ambito sociale e religioso” (P. von Eles), vissuto alla fine dell’VIII secolo a.C. Allo stesso periodo risale una tomba femminile scavata nei pressi sempre nel 1972 (tomba 47), appartenente a una donna di rango elevato, come dimostrano la quantità e la qualità di fibule in ambra e la bellezza dei tessuti. La ricchezza del corredo e il fatto che l’urna cineraria è bronzea e non, come comunemente, in terracotta, confermano l’ipotesi. Una sala infine è dedicata all’area sacra individuata sul pianoro detto Pian del Monte, parzialmente scavata nel 1963 e nel 1971, in cui esiste un pozzo da cui provengono materiali ceramici e bronzei databili fra il XIII e il V secolo a.C., fra i quali risaltano frammenti di bronzetti di alta qualità e di fattura etrusca. Da una zona prossima a questo pozzo proviene poi un gruppo di scudi bronzei, di cui tre ricostruiti, che erano deposti uno sopra l’altro. Gli scavi regolari alle pendici del colle di Verucchio continuano (nel sepolcreto sotto la rocca, dal 2005) e continuano i lavori di classificazione e di studio dell’abbondante materiale venuto in luce: il museo è perciò in continua evoluzione per accoglierli e valorizzarli con giornate di studio, conferenze e mostre tematiche di grandissimo interesse (si ricordano “Il dono delle Eliadi. Ambre, e oreficerie dei principi etruschi di Verucchio” nel 1994 e nel 2006 “Il potere e la morte”).

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Rimini, Museo della Città, sezione archeologica

Rimini Museo della Città via Luigi Tonini, 1 tel. 0541 21482 fax 0541 704410 per attività didattica tel. 0541 704421/26 www.comune.rimini.it/servizi /comune/cultura/museodella citta/ musei@comune.rimini.it • apertura estate (dal 16 giugno al 15 settembre): dal martedì al sabato 10:3012:30/16:30-19:30; apertura serale (luglio-agosto) martedì 21:00-23:00; domenica e festivi 16:30-19:30; lunedì (non festivo) chiuso • apertura inverno (dal 16 settembre al 15 giugno): da martedì a sabato 8:3012:30/17:00-19:00; domenica e festivi 16:00-19:00 • ingresso a pagamento; domenica ingresso gratuito

In alto: a sinistra, veduta del lapidario romano; a destra, la sezione dei culti imperiali. In basso, particolare del “mosaico delle navi”. 25

Per uno sguardo generale sulla storia antica e sull’archeologia di tutto il territorio della Provincia di Rimini sarà fondamentale la sezione archeologica del Museo della Città di Rimini, non appena verrà completamente allestita (si prevede entro il 2008). È infatti costituita da migliaia di reperti che vanno dalla preistoria al tardo impero romano e che documentano e illustrano, rendendole “concrete”, le vicende del popolamento e della civilizzazione del territorio dal Paleolitico al Medioevo. Naturalmente tutto o quasi tutto del patrimonio del Museo è di provenienza locale; il suo interesse tuttavia non è solo locale, come potrà verificare il visitatore della parte fin qui allestita, ricca di sculture, mosaici e ceramiche capaci di illustrare la vita cittadina nel II - III secolo dopo Cristo e di ricostruire molti tratti della civiltà che si è sviluppata nel mondo romano in tale periodo. Quello di Rimini è un museo molto antico e molto ricco di opere, fondato proprio come “Galleria Archeologica” dallo storico e archeologo Luigi Tonini nel 1871-72 raccogliendo reperti da tutto il territorio compreso fra il Rubicone e il Conca. Era stato allestito nella loggia sinistra del cortile della Biblioteca Gambalunghiana, quasi come appendice della Biblioteca civica; fu riallestito nel 1931 con particolare attenzione ai reperti della romanità al piano terra dell’ex convento francescano (accanto al Tempio malatestiano), completamente distrutto dalle bombe nel 1943-44. Fortunatamente quasi tutto il materiale era stato sfollato e si è salvato: ora ne è in corso l’ordinamento nei locali dell’ex collegio dei Gesuiti, dove ha sede il Museo della Città, che raccoglie tutto il patrimonio storico-artistico cittadino di proprietà comunale e statale. La sua parte archeologica è più che raddoppiata nell’ultimo mezzo secolo grazie a ricerche regolari e ancor più a causa dei ritrovamenti dovuti al rinnovamento edilizio subìto dalla città, che è stata quasi completamente distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Dal dopoguerra e specialmente dagli anni ottanta, oltre ad organizzare qualche sistemazione provvisoria e mostre temporanee, il museo ha svolto una apprezzata attività di formazione per i docenti, di didattica per le scolaresche, di divulgazione per il pubblico, di partecipazione a manifestazioni espositive nazionali, che è servita a tenere desta l’attenzione sul patrimonio archeologico riminese.


Dal 1981 nel cortile interno del museo è aperto al pubblico il lapidario romano, ricco di una settantina di iscrizioni databili fra il I secolo a.C. e il V secolo d.C. che documenta le forme della comunicazione epigrafica della Rimini romana e informa su molti aspetti della vita pubblica e privata dal I secolo a.C. al IV secolo d.C. Fin dall’epoca repubblicana di Roma la città, fondata nel 268 a.C. come colonia di diritto latino e promossa a municipio verso il 90 a.C., svolse un ruolo veramente importante tanto dal punto di vista commerciale che militare e politico, pienamente riconosciutole ai tempi di Augusto, come documentano chiaramente, del resto, due monumenti famosi e ben noti, di grande mole e bellezza, l’arco d’Augusto (27 a.C.) e il ponte detto di Tiberio (14 - 21 d.C.), che i riminesi hanno sempre considerato emblematici, tanto da volerli rappresentati fin dal Medio Evo nello stemma della città. In quanto agli edifici civili cittadini la loro ricchezza è ben testimoniata soprattutto dai molti e straordinari pavimenti musivi, in maggioranza d’epoca imperiale, raccolti nel Museo ma in gran parte ancora in attesa di essere esposti. Attualmente è visibile, oltre al lapidario, il solo settore riguardante il II e il III secolo dopo Cristo, cioè la piena età imperiale, inaugurato nel 2003. I reperti (vasellame in ceramica e in bronzo, monete, intonaci dipinti e mosaici, statue in marmo e statuette in bronzo, frammenti architettonici e scultorei) forniscono interessanti testimonianze sulla vita della città e sulle sue attività commerciali. Riguardano l’anfiteatro, costruito sulla spiaggia, accanto al porto, nel II secolo d.C., i culti di età imperiale, il rapporto della città con il mare. E soprattutto alcune splendide domus: come quella di Palazzo Diotallevi, caratterizzata da un grande mosaico pavimentale che reca al centro la figura di Ercole e su un lato una originale scena con tre barche che stanno per giungere in porto (metà del II secolo d.C.); e come quella detta “del chirurgo” (II-III secolo d.C.), il cui scavo recente ha restituito, tra l’altro, un eccezionale corredo chirurgico-farmaceutico di più di 150 pezzi, “il più ricco e completo corredo medico conservatosi dall’età romana” (J. Ortalli), interamente restaurato ed esposto. Nel Museo sono stati ricostruiti a scopo didattico l’ambulatorio e il cubicolo del medico che esercitava ed abitava in questa casa, probabilmente distrutta da un incendio 26


durante una delle prime scorrerie di barbari (intorno alla metà del III secolo d.C.). I resti della domus del chirurgo, compresi i suoi pavimenti musivi, si trovano in piazza Ferrari, quindi in vicinanza del Museo; adeguatamente protetti da una apposita struttura, saranno presto visibili in loco. Sulla vita che si svolgeva nelle case romane offrono ampi indizi i materiali minuti che vi sono stati trovati, dalle appliques per mobili agli amuleti, dalle lucerne al vasellame in terracotta e in bronzo, da mensa e da cucina, dalle anfore e dai vetri agli oggetti per l’ornamento della persona e alle immagini degli dei tutelari. Per quanto riguarda la religiosità, soprattutto “privata”, sembra che a Rimini abbiano avuto una certa fortuna i culti dionisiaci, con Dioniso, Eros, Priapo e Sileno, di cui sono state rinvenute alcune immagini. Nei piani primo e secondo dello stesso edificio sono ospitate le sezioni medievale e moderna del Museo della Città (vedi).

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Cattolica, Museo della Regina, sezione archeologica

Cattolica Museo della Regina via Pascoli, 23 tel. 0541 966577 fax 0541 967803 www.cattolica.net/retecivica/ italiano/cultura museo@cattolica.net • apertura estate: martedì 9:30-12:30; da mercoledì a domenica 16:30-19:00/20:3023:00; lunedì chiuso • apertura inverno: da martedì a giovedì 9:30-12:30; da venerdì a sabato 9:3012:30/15:30-19:00; domenica 15:30-19:00; lunedì chiuso • ingresso gratuito

In alto, la vetrina con i materiali rinvenuti nel pozzo dell’ex piazza del mercato. In basso: a sinistra, lucerne fittili; a destra, frammenti di anfore e anfore rinvenute in mare, al largo e verso il promontorio di Focara. 29

A Cattolica in epoca romana sorgeva un insediamento di cui solo da poco tempo (1966) si sono cominciate ad individuare le tracce. Trovandosi sulla Flaminia, ed esattamente a metà strada fra Rimini e Pesaro, si è pensato trattarsi di un piccolo agglomerato abitativo sorto attorno ad un luogo di sosta, una mansio, una specie di “stazione di posta” attrezzata per l’ospitalità dei viaggiatori e per il cambio e il ricovero dei cavalli. L’ipotesi è molto suggestiva, anche pensando alla storia recente di Cattolica, definita fin dal XVI secolo “contrada di taverne per li viandanti”(Leandro Alberti). I materiali rinvenuti negli scavi del 1966 e in quelli successivi del 1969, 1975, 1997-98 sono riuniti in un museo di nuova costituzione (2000), molto ben attrezzato e reso eloquente da un buon apparato didascalico e didattico. Si apre con le necessarie considerazioni sulla Flaminia romana e sull’organizzazione e sulla tipologia della mansio, e illustra gli scavi di Cattolica e i materiali ivi rinvenuti, identificati per cronologia e tipologia. Di grande interesse risulta l’esposizione, rispettosa degli strati archeologici, del materiale proveniente da un pozzo romano esplorato nel 1997-98 nell’area della piazza del mercato, che offre un ricco campionario di ceramiche d’uso databili dal I secolo a.C. al IX d.C. e qualche moneta. Una sala è dedicata alla domus, e riguarda oltre alla sua distribuzione planimetrica i sistemi e i materiali costruttivi, la decorazione, l’arredamento; un’altra alla vita quotidiana e alla cura della persona, e un’altra ancora agli scambi commerciali. Fra le altre sono da notare la raccolta di lucerne e quella di anfore, alcune trovate in mare. In mare è stato trovato nel 1967 anche un gruppo omogeneo di boccali in maiolica databili fra XVI e XVII secolo, parte del carico di una nave naufragata tra Gabicce e Cattolica. L’ultima sala è dedicata a collezioni di recente acquisizione. Nella parte didascalica vengono offerte notizie anche sulla storia più recente di Cattolica, dalla leggenda della “città profondata” alla fondazione del borgo moderno (1271), dall’origine del nome attuale del paese alle gallerie sotterranee esistenti sotto l’abitato. Il piano superiore dell’edificio, già Ospedale dei pellegrini fondato nel 1584 e ricostruito negli anni trenta del Novecento come caserma dei Carabinieri, è dedicato alla marineria adriatica (vedi).



Santarcangelo: Museo Storico Archeologico (MUSAS), sezione archeologica

Santarcangelo di Romagna MUSAS - Museo Storico Archeologico via della Costa, 26 tel/fax 0541 625212 www.metweb.org met@metweb.org • apertura estate (giugnoagosto): dal martedì alla domenica 10:30-12:30/16:3019:00; lunedì chiuso • apertura inverno: da martedì a sabato 10:30-12:30; martedì, giovedì, sabato e domenica 15:30-17:30 • ingresso a pagamento

In alto, la sala delle ville rustiche. In basso: a sinistra, lucerne fittili; a destra, bronzetto di Arpocrate, II secolo d.C. 31

Dedicato all’archeologia e all’arte del territorio di Santarcangelo, è stato inaugurato nel 2005, e dunque è uno dei musei più giovani della Provincia di Rimini. Si sviluppa sui cinque livelli di un antico stabile (palazzo Cenci) appositamente restaurato nell’ultimo ventennio del secolo scorso, situato nella parte alta e più caratteristica e pittoresca del bellissimo centro storico. La sezione archeologica del Museo è in gran parte dedicata ad una attività che, favorita dall’abbondanza di argilla e di legname, ha senza dubbio avuto una grande importanza in questa zona: l’attività delle fornaci, non solo e non tanto di laterizi, quanto di contenitori per uso domestico e soprattutto al servizio della produzione agricola. Fornaci romane con vasche di decantazione e camere di cottura sono state trovate (e vengono continuamente segnalate e scoperte) nella parte meridionale del territorio santarcangiolese, e suggeriscono un’organizzazione artigianale e lavorativa piuttosto evoluta, quasi un “polo industriale” o un “centro artigianale” specializzato. Per questo il museo già in apertura offre un grande modello di fornace che esemplifica una tipologia costruttiva ripetuta nei secoli praticamente inalterata, ed espone nelle vetrine gli oggetti-campione più significativi della produzione locale, comprensiva di doli, anfore, vasi e lucerne; a queste ultime, “che in V-VI secolo d.C. assunsero forme del tutto originali nella decorazione superiore” (M.L. Stoppioni) è dedicato un apposito spazio. L’industria figulinaria santarcangiolese sembra essere stata particolarmente ben organizzata in collegamento con la produzione locale di cereali e soprattutto di vino, senza dubbio abbondante nella parte pianeggiante e collinare della bassa valle del Marecchia, intensamente coltivata e presidiata da sparse ville rustiche. Da queste ultime provengono vari reperti esposti nelle vetrine del II piano, riguardanti la vita quotidiana, la casa, la religiosità, il culto dei morti. Senza dubbio il territorio era abitato e coltivato anche assai prima della colonizzazione romana: e di una ben più antica frequentazione umana ci parlano infatti i numerosi reperti, riuniti secondo la provenienza e la cronologia, esposti in una saletta dedicata alla Preistoria e alla Protostoria. La visita del museo prosegue al piano soprastante con la sezione dedicata al Medioevo e alla storia dell’Età Moderna (vedi).



3. L’arte e la storia

Rimini, Museo della Città, pala malatestiana di San Vincenzo Ferreri, di Domenico Ghirlandaio e aiuti (1493-96). 33

Come è ben noto il Medioevo locale ha avuto il suo momento eccellente con l’avvento al potere della famiglia Malatesta e, dal punto di vista artistico, con l’attività della “scuola riminese” del Trecento. L’Umanesimo ha lasciato nel Tempio malatestiano uno dei suoi prodotti più precoci, complessi e splendidi, dovuto appunto ai Malatesti, che durante i due secoli (XIV e XV) del loro dominio hanno costruito o ricostruito quasi tutte le rocche che ancora dominano le colline riminesi e, in parte, quelle marchigiane, e costituito una corte letteraria capace di gareggiare con quelle dell’Italia settentrionale e della Toscana. Rimini era la capitale dello stato malatestiano e il museo di Rimini possiede rare e varie testimonianze di questo periodo, unite a capolavori di grandi artisti dell’epoca successiva, di artisti locali come il Cagnacci e il Centino, di artisti bolognesi come il Guercino e il Cantarini. Nella zona la cultura bolognese è stata la protagonista dell’arte dal XVII al XIX secolo; ma la vitalità del territorio in questi secoli è dimostrata soprattutto dalle nuove sistemazioni urbanistiche e dalla costruzione di molti edifici, e soprattutto di chiese e di teatri, di cui il territorio è ricco. Specialmente il Medioevo e il Seicento hanno fornito ai nostri musei molto materiale artistico, attraverso il quale è possibile ricuperare la temperie culturale e ripercorrere la storia del territorio fino ai nostri tempi. Il Museo più ricco e completo è naturalmente quello di Rimini, con capolavori appartenenti a tutti i secoli. Anche il museo di Santarcangelo custodisce capolavori medievali e rinascimentali, mentre quello di Saludecio offre importanti opere pittoriche seicentesche e preziose suppellettili ecclesiastiche del secolo successivo. La visita dei tre musei qui indicati non deluderà né per la qualità delle opere né per l’aggiornato allestimento né per l’affidabile gestione, e fornirà più di un suggerimento per vivere pienamente il territorio. Va inoltre segnalata per il suo interesse l’esposizione permanente delle Maioliche di Mondaino (XIV-XVII secolo), costituita nel 2004 grazie al ritrovamento a Mondaino di frammenti di ceramica e di ceramiche di scarto di produzione locale. E anche la raccolta di reperti in ceramica medievali e rinascimentali esistente presso la sede della Provincia di Rimini, che sorge nell’area dell’antico ospedale della Misericordia, provenienti da un “butto” dell’ospedale stesso.



Rimini, Museo della Città, sezione storico artistica

Rimini Museo della Città via Luigi Tonini, 1 tel. 0541 21482 fax 0541 704410 www.comune.rimini.it/servizi /comune/cultura/museodella citta/ musei@comune.rimini.it • apertura estate (dal 16 giugno al 15 settembre): dal martedì al sabato 10:3012:30/16:30-19:30; apertura serale martedì 21:00-23:00; domenica e festivi 16:3019:30; lunedì (non festivo) chiuso • apertura inverno: da martedì a sabato 8:3012:30/17:00-19:00; domenica e festivi 16:00-19:00 • ingresso a pagamento

Sopra, Giuliano da Rimini, polittico dell’Incoronazione della Vergine, circa 1315. Sotto, Giovanni Bellini, Pietà, circa 1470. 35

Con le sue trentasei sale distribuite su due piani nel palazzo settecentesco che fu il Collegio riminese dei Gesuiti (e poi l’Ospedale Civile della città), la sezione “post classica” del Museo di Rimini costituisce la raccolta di opere d’arte e di storia più grande e importante della Provincia e una delle più importanti della Regione. Vi sono riuniti dipinti e sculture, ceramiche e medaglie, iscrizioni e frammenti architettonici provenienti dalla città e dal suo territorio. Già all’inizio dell’Ottocento il Palazzo Comunale vantava alcune sale di rappresentanza ornate da dipinti e arazzi; ma il primo vero allestimento museale si ebbe solo nel 1924 nel primo piano dell’ex convento di San Francesco. Distrutto questo edificio dai bombardamenti del 1943-44, dopo varie sistemazioni provvisorie e sempre parziali il materiale è stato collocato nell’attuale sede, appositamente acquisita e restaurata, a cominciare dal 1990. Ora si sta lavorando al completamento della sezione archeologica (vedi) e a quella dell’alto Medio Evo, e si sta approntando il restauro di un edificio attiguo che sarà dedicato all’arte contemporanea, mentre si attende l’arredo definitivo delle sezioni medievale e rinascimentale. Ma intanto una gran parte delle opere è visibile secondo una distribuzione razionale che cerca di contemperare le esigenze della cronologia con quelle della tipologia. Il percorso si apre con una serie di frammenti architettonici medievali (fra cui quelli di un grande portale romanico), ceramiche e monete di età comunale, e con un grande affresco trecentesco raffigurante il Giudizio Universale. Quest’ultimo, collocato in un’ampia sala attrezzata per conferenze (e detta “sala del Giudizio”), proviene dalla chiesa agostiniana di San Giovanni Evangelista, dove occupava la parte frontale della navata. È una delle opere più antiche (c. 1310) e importanti della “scuola riminese del Trecento”, attiva nella prima metà di quel secolo in tutta l’Emilia Romagna, nelle Marche e nel Veneto. Influenzata e in un certo senso formata dall’esempio di Giotto, che alla fine del Duecento aveva lavorato a Rimini per i Francescani (nel “Tempio malatestiano” esiste ancora un suo superbo Crocifisso), produsse opere eccellenti ora sparse nei maggiori musei del mondo. Il Museo riminese possiede opere di Giovanni, di Giuliano e di Pietro da Rimini, i tre maggiori pittori della “scuola” Lo sviluppo della “scuola riminese” coincise con l’ascesa


al potere dei Malatesti, una famiglia che dall’inizio del Trecento alla fine del Quattrocento ha signoreggiato sulla città ed esteso i suoi domini sulle Marche e su gran parte della Romagna. Stemmi e iscrizioni in pietra riguardano questa famiglia e specialmente Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468), cui si debbono il castello (“Castel Sismondo”) e il celebre “Tempio malatestiano”. Nel Museo è conservata quasi l’intera serie di medaglie malatestiane fuse per lui dal Pisanello e da Matteo de’ Pasti, tra i massimi capolavori di quest’arte che va considerata una vera invenzione rinascimentale, e un Giovane portastemma di Agostino di Duccio proveniente dal “Tempio malatestiano”, come la tavola con la Pietà dipinta da Giovanni Bellini verso il 1470, che è da considerare il vero gioiello del Museo. Alla famiglia di un nipote di Sigismondo, Pandolfo IV Malatesta, ultimo dei signori di Rimini, si deve invece la commissione a Domenico Ghirlandaio della grande pala raffigurante i santi Vincenzo, Rocco e Sebastiano venerati dai personaggi della famiglia Malatesta (1493-96). Si trattò dell’ultimo importante arrivo di opere d’arte nella città malatestiana; dei pochi artisti riminesi attivi altrove in questo secolo, come Giovan Francesco e Lattanzio da Rimini, il Museo espone poche opere, insieme a tavole di altri pittori romagnoli. Nel Cinquecento Rimini perse gran parte del suo prestigio e appartenne al Valentino e ai Veneziani prima di rientrare sotto il diretto dominio dello Stato della Chiesa (1509). Tuttavia anche il Cinquecento vide la realizzazione di alcune importanti opere architettoniche ed urbanistiche e l’arrivo di capolavori: dovuti a Giorgio Vasari (nell’abbazia di Scolca e in San Francesco, 1547 e 1548) e a Paolo Veronese (nella chiesa di San Giuliano, 1587-88), oltre che a buoni artisti minori come Marco Marchetti e Nicolò Frangipane (di cui il Museo espone alcune opere). Più interessante dal punto di vista artistico ci appare il Seicento, non solo per la notevole importazione di opere d’arte dal Veneto (come due stupendi quadretti di Francesco Maffei) e da Bologna (come alcuni capolavori di Simone Cantarini e del Guercino) ora conservati nel Museo, ma per l’attività di due grandi pittori locali: Guido Cagnacci (16011663) e Giovan Francesco Nagli, detto il Centino (c. 16051675). Del primo il Museo possiede opere giovanili di grande 36


suggestione (come il Sant’Antonio Abate e La vocazione di san Matteo) e alcune opere della maturità (come una Cleopatra e un bellissimo Ritratto di monaco medico, entrambi di recente acquisizione); del secondo alcune tele di media dimensione e alcune pale che ne rappresentano bene lo stile asciutto e devoto. Al Seicento appartiene una eccezionale serie di arazzi proveniente dal Palazzo Comunale che ha per soggetto le Storie di Semiramide, tessuta nell’atelier di Michiel Wouters ad Anversa intorno alla metà del secolo. Nelle sale degli arazzi è esposta una collezione di cinquantaquattro ceramiche depositata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, con pezzi in gran parte di fabbriche locali databili fra il XIV e il XIX secolo. Una intera sala è dedicata alle nature morte, con dipinti del Sei e Settecento fra cui spiccano quelli del frate-pittore riminese Nicola Levoli (1729-1801) e del faentino Giovanni Rivalta (1756-1832). Il Settecento ci ha lasciato molte opere di artisti bolognesi e riminesi: fra tutte meritano di essere particolarmente notati quattro affreschi con Angeli musicanti di Vittorio M. Bigari (1722), staccati nel 1917 dalla volta del presbiterio della chiesa di San Giovanni Evangelista, detta di Sant’Agostino. Dell’Ottocento il Museo conserva opere del pittore Guglielmo Bilancioni, dello scultore Romeo Pazzini e di qualche altro artista locale; e del Novecento espone provvisoriamente un’ampia serie di autoritratti dei modesti pittori locali. Infine una saletta con stampe riguardanti vedute della città nel XVII-XIX secolo e due ampie gallerie, una detta “dei Ritratti”, l’altra “degli Stemmi”, completano il Museo, che al piano terra possiede una sezione adibita ad esposizioni temporanee e sale per la didattica, e inoltre due sale con opere di grafica e affiches del celebre René Gruau, nome d’arte del riminese Renato Zavagli Ricciardelli (1909-2004).

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Saludecio: Museo di Saludecio e del Beato Amato

Si tratta di un museo piccolo, ma di grande interesse per la qualità e la tipologia delle opere che custodisce, tutte provenienti dal territorio saludecese e quasi tutte di proprietà dell’attigua chiesa parrocchiale, dedicata a San Biagio. Da un vestibolo che offre alcuni reperti archeologici si accede ad una sala in cui sono esposti dipinti, statue, reliquiari, suppellettili liturgiche, lampioni e mazze processionali provenienti dalla chiesa parrocchiale e dalle antiche confraternite laicali, che esprimono bene la religiosità della zona e nello stesso tempo fanno comprendere la grande importanza del paese nell’ambito della valle del Conca nei secoli XVII e XVIII. Di grande pregio sono i molti calici d’argento e soprattutto i dipinti, fra cui sono da notare alcuni capolavori: il San Sisto papa e La processione del Santissimo Sacramento di Guido Cagnacci (1628), i Santi Antonio abate e Antonio da Padova di Giovan Francesco Nagli detto il Centino (c. 1650), La decollazione di S. Giovanni Battista di Claudio Ridolfi (c. 1630). La seconda sala è tutta dedicata al culto del protettore del paese, il Beato Amato (XIII secolo), il cui corpo è venerato nel cappellone di destra della chiesa parrocchiale. Argenterie seicentesche e settecentesche, quasi tutte di fabbricazione romana, caratterizzano la principale vetrina di questa sala, che contiene una grande quantità di ex voto “storici”. La terza sala è costituita dalla cripta della chiesa parrocchiale, un bell’ambiente semi-interrato in cui sono esposti antichi parati liturgici, statue devozionali di fabbricazione faentina e alcuni dipinti. Il “pannarone” sorretto da angeli esistente sull’altare maggiore della cripta si deve allo scultoIn alto: a sinistra, sala del re riminese Antonio Trentanove, che fra il 1798 e il 1800 ha Beato Amato; a destra, Guido modellato tutti gli stucchi della chiesa. Quest’ultima è opera Cagnacci, La processione del dell’architetto cesenate Giuseppe Achilli, e fu costruita fra il Santissimo Sacramento 1794 e il 1803. (1628). In basso: a sinistra, Anche nella chiesa ci sono opere d’arte importanti: dal stemma di Saludecio ricamato Martirio di San Biagio sull’altar maggiore, opera documentain un paramento liturgico del ta del frate minore Atanasio da Coriano (1800), alla Madonna XVIII secolo; a destra, Antonio della Misericordia di Claudio Ridolfi (c. 1620) nel cappellone Trentanove, Pannarone con di sinistra, inserita in una grandiosa ancona barocca in legno angioletti, stucco nella cripta dorato proveniente dal soppresso Oratorio del Rosario.

Saludecio Museo di Saludecio e del Beato Amato piazza Beato Amato tel. 0541 982100 • apertura annuale: domenica 15:00-19:00 • ingresso gratuito

(1798-1800). 39



Santarcangelo: Museo Storico Archeologico (MUSAS), sezione storico artistica

Santarcangelo di Romagna MUSAS - Museo Storico Archeologico via della Costa, 26 tel. 0541 625212 www.metweb.org met@metweb.org • apertura estate (giugnoagosto): dal martedì alla domenica 10:30-12:30/16:3019:00; lunedì chiuso • apertura inverno: da martedì a sabato 10:3012:30/15:30-17:30; domenica 15:30-17:30 • ingresso a pagamento

In alto, Jacobello di Bonomo, Polittico (1385). In basso: a sinistra, scorcio della sala di Clemente XIV; a destra, elementi architettonici trecenteschi. 41

Mentre la sezione archeologica del Museo (vedi) documenta la vita della Santarcangelo romana, questa si occupa soprattutto della Santarcangelo medievale e moderna, sorta sul colle, accanto ad una fortificazione documentata dal XII secolo e potenziata dai Malatesti, che a lungo signoreggiarono il paese in qualità di vicari del papa. All’ingresso un plastico della città ci presenta la Santarcangelo attuale, mentre alcuni pannelli illustrano il suo sviluppo e il suo territorio, e altri presentano brevemente i suoi monumenti importanti, dalla Pieve del VI secolo ancora esistente nella zona pianeggiante verso il fiume, alla rocca malatestiana, alle misteriose e pittoresche grotte tufacee che traforano tutto il colle. Nelle cinque sale successive sono disposte molte opere d’arte e suppellettili di provenienza locale, alcune di grande pregio, come quelle superstiti della distrutta chiesa di San Francesco, un grande edificio gotico che sorgeva subito fuori dall’abitato, da cui provengono i due capolavori pittorici del Museo: il polittico firmato dal veneziano Jacobello di Bonomo e datato al 1385, perfettamente conservato anche nella sua bellissima carpenteria, e la tavola con la Madonna con il Bambino fra San Francesco e San Giorgio dipinta dal pittore ravennate Luca Longhi nel 1531 su commissione di Antonello Zampeschi (che per alcuni anni fu feudatario di Santarcangelo), raffigurato in atteggiamento devoto ai piedi della Vergine. La sala del Seicento ci presenta dipinti provenienti da luoghi diversi e un dipinto giovanile di Guido Cagnacci (n. a Santarcangelo nel 1601 e m. a Vienna nel 1663) raffigurante la Madonna con il Bambino, recente deposito di un collezionista privato (L. Koelliker, 2006). Segue la sala dedicata al papa Clemente XIV, nato a Santarcangelo nel 1705: vi figurano, con tre ritratti, alcuni dei doni da lui fatti ai Conventuali di Santarcangelo, tra i quali un bel calice in argento dorato. Accanto ad essi figurano il plastico originale (in deposito dal Museo di Imola) dell’arco eretto a Santarcangelo in suo onore e il plastico moderno della piazza - non realizzata - che doveva accoglierlo, progettata come l’arco dall’architetto camerale Cosimo Morelli nel 1777. L’ultima sala, che conserva le originarie decorazioni murali ottocentesche, contiene manufatti e ritratti ottocenteschi di personaggi di Santarcangelo e di artisti santarcangiolesi.



Mondaino: Musei di Mondaino, sezione delle maioliche

Mondaino Musei di Mondaino piazza Maggiore, 1 tel. 0541 981674 fax 0541 982060 cedmondaino@mondaino.com • apertura estate (dal 1° giugno al 15 settembre): dal lunedì al sabato 9:00-12:00; domenica 17:00-21:00; martedì chiuso • apertura inverno (dal 16 settembre al 31 maggio): dal lunedì al sabato 9:00-12:00; domenica 10:00-13:00/15:0018:00; martedì chiuso • ingresso gratuito

In alto, ricostruzione della bottega di un maiolicaro del Cinquecento. In basso: a sinistra, maioliche e vetro del Cinquecento; a destra, maioliche seicentesche di Mondaino. 43

In seguito al rinvenimento dei resti murari di un torrione medievale, nel 1995 furono condotti scavi stratigrafici che portarono alla scoperta di molti frammenti ceramici; questi si rivelarono, in gran parte, “scarti di lavorazione e di cottura di maioliche, che documentarono l’esistenza in posto di una produzione fino ad allora solo ipotizzata” (M.G. Maioli). Le ricerche vennero approfondite ed estese, grazie alla partecipazione di un gruppo di volontari sotto la direzione scientifica della Soprintendenza, e portarono alla scoperta di altro materiale analogo, tutto di buona qualità, una campionatura del quale è presentata in questo nuovo, piccolo Museo (2004). Vi sono esposte dunque molte preziose maioliche, sia intere che frammentarie, tutte rinvenute a Mondaino e di produzione locale, databili fra il XIV e il XVII secolo. Inoltre, mediante l’accostamento di scarti di lavorazione di prima e seconda cottura a pezzi “finiti” e mediante appositi pannelli figurati, vi sono illustrate le fasi principali della fabbricazione delle maioliche. L’esposizione di accessori per l’impilamento dei manufatti nel forno (distanziatori) e degli strumenti dei ceramisti si accompagna infine alla suggestiva e minuziosa ricostruzione dell’ambiente di lavoro di un ceramista cinquecentesco. La produzione della ceramica a Mondaino fiorì nel corso del XV secolo ed ebbe il suo apice nel corso del secolo successivo. Dal punto di vista della tipologia e dello stile sembra tributaria della ceramica marchigiana e in minor misura di quella romagnola; le ciotole, le scodelle e i piatti di Mondaino sono decorati con colori caldi e forti. “I ritrovamenti testimoniano una fabbricazione di maioliche abbondante fino alla metà circa del Seicento e consentono anche di rivendicare a Mondaino diversi esemplari in collezioni pubbliche e private già attribuiti a Pesaro, a Casteldurante e persino a Venezia” (S. Nepoti).



4. Vivere nel territorio

Alla cultura popolare e alla vita quotidiana nel territorio riminese sono dedicati ben quattro musei, due al mondo agricolo e due al mondo marinaro: quasi un simbolico invito ad un confronto a distanza fra la vita e il lavoro dei contadini e la vita e il lavoro dei pescatori, e i loro costumi e le loro tradizioni. Questi musei ci permettono di aprire qualche spiraglio su un mondo in grandissima parte già scomparso, e ricuperare almeno in parte il senso di gesti e di fatiche, di credenze e di usanze che fino a ieri erano nostre, ma che ormai sono completamente estranee al mondo moderno. Un mondo che nella nostra zona è stato profondamente e rapidamente modificato non solo dalle innovazioni tecnologiche, ma anche dagli sconvolgimenti apportati nell’economia, nel costume e nella mentalità dal rapido sviluppo dell’industria balneare, che ha coinvolto anche il territorio agricolo, quasi spopolato nel dopoguerra a causa dell’emigrazione interna verso il litorale. Il maggiore di questi musei e il più antico e completo è quello di Santarcangelo, che riguarda tutto il territorio agricolo del riminese e di buona parte della Romagna. Ma di grande interesse sono anche gli altri musei qui segnalati, diversamente caratterizzati e in parte ancora in via di assestamento. Di un museo etnologico come questi, ma che riguarda mondi lontani e diversi dal nostro (l’Africa, l’Oceania, l’Oriente e le Americhe), cioè il “Museo degli Sguardi” di Rimini, raccolte etnografiche, si dà conto nel capitolo riservato al mondo moderno.

Santarcangelo, Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna, Sant’Antonio abate, particolare di una coperta per buoi. 45



Santarcangelo: Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna (MET)

Santarcangelo di Romagna MET - Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna via Montevecchi, 41 tel. 0541 326206/624703 fax 0541 622074 www.metweb.org met@metweb.org • apertura estate (giugnoagosto): dal martedì alla domenica 10:30-12:30/16:3019:00; lunedì chiuso • apertura inverno: dal martedì al sabato 10:3012:30; martedì, giovedì, sabato e domenica 15:3017:30 • ingresso a pagamento

In alto, sezione FilaturaTessitura: il telaio. In basso: a sinistra, vecchi aratri; a destra, la parete delle “caveje”. 47

Si tratta di un museo etnografico che raccoglie e conserva le testimonianze della gente di Romagna, e particolarmente della Romagna riminese-cesenate. È stato inaugurato nel 1981, dopo un lavoro quasi decennale di ricerca e di preparazione, in un edificio costruito nel 1924 come macello comunale; il suo allestimento ha subito un aggiornamento nel 2005, arricchendosi di nuovo materiale e di nuove suggestioni. Espone oggetti e strumenti legati alla vita popolare e al mondo del lavoro, particolarmente all’agricoltura e all’artigianato, ordinati e collegati in modo da permettere il recupero di una memoria e di una storia di attività e di gesti (materiali e simbolici) e di saperi tradizionali che corrono il rischio di essere dimenticati per sempre. È diviso in dieci sezioni, riguardanti il lavoro della terra, il ciclo del grano, l’attività molitoria, la tessitura e la decorazione delle tele, la vinificazione, la casa rurale e alcuni mestieri artigianali, come la fabbricazione delle teglie per la piada, il lavoro del ciabattino, del fabbro, del maniscalco. Particolarmente suggestiva la raccolta di un centinaio di caveje di varie epoche (dal XVI al XX secolo): la caveja è un cavicchio in ferro battuto che aveva il compito di bloccare il giogo dei buoi al timone del carro; in Romagna ha uno o due anelli tintinnanti ad ogni movimento, infilati nella sua parte superiore, detta pagella, ornata con trafori spesso di elegante fattura. Oltre a oggetti e strumenti di piccola o modesta dimensione, dalla vanga all’aratro, dal telaio ai burattini, il museo possiede grandi carri di varia tipologia e grandi macchine agricole. Didascalie e fotografie, plastici e schemi grafici accompagnano il visitatore e l’aiutano a recuperare la funzione e il significato degli oggetti esposti. Una buona biblioteca specializzata e un ricco archivio con importanti fondi fotografici completano il Museo, che possiede ampi spazi aperti per attività di spettacolo e laboratori di coltivazione dedicati principalmente alla didattica, che viene curata in maniera particolare e che è ricca di iniziative originali.



Montescudo: Museo Etnografico di Valliano

Montescudo Museo Etnografico di Valliano via Valliano, 23 tel. 0541 864010 fax 0541 984455 info@comune.montescudo.rn.it • apertura annuale: mercoledì e venerdì 9:00-12:00; domenica e festivi 15:00-19:00 • ingresso gratuito

In alto: a sinistra, scorcio del museo con la madia; a destra, i giuochi dei bambini. In basso: a sinistra, ex voto alla Vergine del Rosario, nella chiesa attigua al museo; a destra, affreschi del XV secolo nel presbiterio della chiesa. 49

Questo piccolo museo, di recente formazione (2003), è dedicato alla vita dei contadini e al lavoro dei campi. È ubicato nella ex canonica che sorge accanto all’antica chiesa, già parrocchiale, dedicata a Santa Maria del Soccorso. Deve la sua origine alle esperienze didattiche di un gruppo di insegnanti della scuola media di Montescudo, coordinate dal prof. Gino Valeriani, iniziate negli anni settanta del Novecento, e alla collaborazione degli abitanti sollecitata da tali esperienze. Il materiale raccolto proviene nella sua totalità dal territorio di Montescudo e Montecolombo, ed è stato disposto con una particolare attenzione al tema della centralità della casa nel mondo contadino ed alle varie attività che in essa avevano il loro punto di riferimento. Il museo, suddiviso per sezioni tematiche, è corredato da pannelli esplicativi didascalici. Dei volontari gestiscono il museo, e illustrano la grande varietà di oggetti e di fotografie. I temi principali ruotano appunto sulla vita nella casa rurale: riguardano la famiglia, l’alimentazione, la filatura e la tessitura, la macellazione del maiale, la cantina, i giocattoli, e inoltre lavori artigianali come quelli del vasaio e del falegname. È stato inoltre costruito un ricovero per le grandi macchine agricole, parzialmente interrato per non deturpare lo splendido ambiente agreste che caratterizza il luogo. Una forte apertura sulla religiosità contadina e popolare e particolarmente sulla devozione mariana è costituita dalla chiesa cui è annesso il Museo, che conserva buoni affreschi quattrocenteschi, in parte votivi, un venerato simulacro della Vergine del Rosario, tele del Cinque e Seicento, ex voto.



Cattolica: Museo della Regina, sezione della marineria

Cattolica Museo della Regina via Pascoli, 23 tel. 0541 966577 fax 0541 967803 www.cattolica.net/retecivica/ italiano/cultura museo@cattolica.net • apertura estate: martedì 9:30-12:30; da mercoledì a domenica 16:30-19:00/20:3023:00; lunedì chiuso • apertura inverno: martedì e giovedì 9:30-12:30; da venerdì a sabato 9:3012:30/15:30-19:00; domenica 15:30-19:00 • ingresso gratuito

Sopra, modelli di barche dell’Adriatico. Sotto, l’ingresso alla sezione marineria. 51

Mentre i musei di Santarcangelo e di Valliano raccolgono testimonianze della vita nelle campagne, questo si occupa della vita sul mare e nel mare, con particolare riferimento al paese di Cattolica. La sua origine risale al 1985, cioè ad una mostra (Barche e gente dell’Adriatico: 1400-1900) organizzata dal Centro Culturale Polivalente di Cattolica e dall’IBC. Al primo nucleo allestito presso il centro Culturale Polivalente si sono aggiunti negli anni molti nuovi reperti e documenti iconografici e materiali: fotografie e schemi grafici, modelli grandi e piccoli, strumenti, parti di imbarcazioni e attrezzature, che hanno trovato nel 2000 una loro ottimale sistemazione al secondo piano del Museo della Regina, dunque in contiguità con la sezione dedicata alla Cattolica romana (allestita nel piano sottostante: vedi). Delle cinque sale che compongono questa sezione la prima è dedicata ad illustrare il problema del porto di Cattolica, che nonostante le antiche tradizioni pescherecce locali fu realizzato solo nel 1853 perché la sua costruzione fu a lungo osteggiata da Rimini (nel cui distretto si trovava Cattolica), che temeva la concorrenza di un porto vicino. Le altre sono dedicate alle barche adriatiche e alla loro progettazione e costruzione, all’attrezzatura dei cantieri navali e delle barche stesse, ai vari metodi di pesca con gli strumenti in uso fino all’epoca della motorizzazione; e naturalmente anche ai problemi legati alla pesca e al commercio, alla vita dei marinai e delle loro donne, alla loro religiosità e socialità, sempre con particolare riferimento alla storia e alla realtà locali.



Viserbella di Rimini: Museo della Piccola Pesca e delle Conchiglie

Viserbella di Rimini Museo della Piccola Pesca e delle Conchiglie via Minguzzi, 7 tel/fax 0541 721060 www.escaion.it • apertura estate: martedì, venerdì e sabato 21:00-23:00 • apertura inverno: su appuntamento; dal 26 dicembre al 6 gennaio 15:0018:00 • ingresso gratuito

In alto, attrezzi per la piccola pesca rivierasca. In basso: a sinistra, scorcio della sala con la collezione malacologica; a destra, reti da pesca e cordami. 53

Alla passione e all’impegno dei componenti di una associazione culturale locale denominata E scaion (termine dialettale che identifica un ferro per la pesca delle vongole), nata nel 1995, si deve questo museo che raccoglie barche e parti di esse, attrezzi da pesca e attrezzi della cantieristica navale, elementi per l’armo delle barche, oggetti di uso quotidiano, modellini, fotografie e filmati: insomma tutto ciò che può aiutare a mantenere viva la memoria della vecchia comunità locale, la cui sussistenza, fin quasi all’ultima guerra e all’avvento del turismo, era in gran parte affidata alla piccola pesca rivierasca. Gli spazi dell’ex edificio scolastico che ospita il moltissimo e vario materiale raccolto non permettono una esposizione organica, distesa e differenziata per settori. L’illustrazione dei reperti è affidata soprattutto alla viva voce dei volontari che curano e implementano il museo, e che prodigiosamente riescono a far rivivere gli oggetti con racconti appassionati e affascinanti, spesso con ricordi personali di vita vissuta, e che vogliono ricordare specialmente ai giovani che “il mare non è solo spiaggia e divertimento”, o almeno non lo è stato fino alla scorsa generazione. L’attuale museo, istituito nel 1999, è, come suol dirsi, “in divenire”; ma ha già una sua fisionomia definita e originale, e continua ad arricchirsi di reperti e testimonianze, e cerca di mettere ordine nel ricco materiale che ha in dotazione. Una sezione importante del museo è costituita da una grande collezione di conchiglie (del sig. Andrea Capici di Ancona): si tratta di una raccolta che conta più di ottomila esemplari, alcuni assai rari, e comprende molte specie di conchiglie di tutto il bacino del Mediterraneo. La classificazione delle conchiglie è dovuta all’Istituto di Zoologia dell’Università di Bologna; grazie alla sua affidabilità, la collezione è divenuta un importante punto di riferimento per appassionati e studiosi. All’esterno del Museo si trovano alcune imbarcazioni tipiche della zona: una “battana”, un “battanino”, un “beccaccino” e un paio di mosconi.



5. Mondo moderno

Riccione, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Villa Franceschi, particolare di un bozzetto per arazzo di Alberto Burri (1986). 55

Si è pensato di aprire questo capitolo con il Museo della Linea dei Goti di Montegridolfo perché la seconda guerra mondiale ha segnato fortemente il territorio riminese e ha praticamente distrutto la città di Rimini, colpita da 396 bombardamenti aerei e navali che hanno demolito l’82% dei suoi fabbricati. La ricostruzione è stata comprensibilmente affrettata e tumultuosa, perché dopo il passaggio del fronte di guerra la gente aveva un bisogno urgente di riparo e di lavoro. E così le rovine sono state cancellate in fretta: a Rimini ne rimane ancora un segno vistoso nell’ottocentesco Teatro comunale, che sarebbe bene non ricostruire “com’era e dov’era” per lasciare almeno una testimonianza eloquente di quel tragico periodo. Per quanto riguarda l’arte moderna molte manifestazioni e mostre temporanee le sono state dedicate dal dopoguerra, anche di interesse nazionale, ma al momento il solo museo esistente con opere d’arte contemporanea è quello recentissimo (2005) di Villa Franceschi a Riccione. A Rimini il Museo della Città possiede molte opere d’arte contemporanea, ma la sezione che le riguarda non è in allestimento e dovrà attendere ancora qualche anno; né possono supplire a questa mancanza le due salette interamente dedicate a René Gruau (il riminese Renato Zavagli Ricciardelli, 1909-2004), con opere di grafica e affiches; né la sala di esposizione del Museo Fellini, presso l’omonima Fondazione, dedicata al grande regista riminese e, naturalmente, al cinema. Nuclei di opere d’arte contemporanea di un qualche interesse esistono presso vari Comuni del territorio (come per esempio a Verucchio, particolarmente consistente) privi di contenitori adeguati, sparsi negli uffici o raccolti in magazzini e depositi. In questo capitolo, e non in quello riguardante l’etnografia, abbiamo incluso un museo etnografico particolare, l’unico fra tutti a non avere relazione con il territorio: il Museo degli Sguardi di Rimini, di recentissima istituzione (2005), perché oltre e più che delle civiltà extraeuropee di cui espone i materiali si occupa di come tali civiltà sono state guardate e viste dal mondo occidentale. Rincresce rilevare che fra i tanti musei della provincia nessuno, nemmeno quelli che si occupano del mare (Cattolica e Viserbella) prenda in considerazione il fenomeno che negli ultimi due secoli ha maggiormente segnato la storia, il costume e l’economia di tutto il territorio (non solo quello costiero): il turismo balneare.



Montegridolfo: Museo della Linea dei Goti

Montegridolfo Museo della Linea dei Goti via Roma, 2 tel. 0541 855054/855320 fax 0541 855042 montegridolfo@provincia.rimi ni.it • apertura estate: dal lunedì al sabato aperto su prenotazione 9:00-12:00; domenica 16:00-19:00 • apertura inverno: su prenotazione; domenica 10:00-12:00/15:00-18:00 • ingresso a pagamento; gratuito per le scolaresche • su prenotazione e nella mattinata è possibile la visita guidata ai rifugi

In alto, pezzo d’artiglieria tedesca; sullo sfondo la valle del Foglia. In basso: a sinistra, armi tedesche, inglesi e italiane in dotazione durante la seconda guerra mondiale; a destra, scatole metalliche e barattoli per sigarette e per latte condensato. 57

Ideato dal Comune di Montegridolfo nel 1985, ha potuto essere realizzato solo quasi vent’anni dopo (2002). È situato in un locale in cemento armato, in gran parte interrato, appositamente costruito nel 1990 fuori dalle mura del castello ad imitazione di un fortino di guerra (un “bunker”). Dal sentiero che conduce al museo è visibile gran parte della vallata del Foglia, nel 1944 teatro di furiosi combattimenti, da cui giunsero le truppe inglesi che conquistarono Montegridolfo (31 agosto 1944) dopo aver incontrato una forte resistenza da parte delle truppe tedesche sulla fortificatissima “Linea dei Goti”. Il museo ha una sezione riservata ai cimeli di guerra e alle armi usate nel conflitto, ed un’altra, ricchissima, riservata alla propaganda di guerra e alla stampa del periodo 19431945. Possiede una buona raccolta di fotografie riguardanti fatti di guerra avvenuti nel territorio di Montegridolfo, e inoltre filmati e video. Alla raccolta dei cimeli ha collaborato tutta la popolazione della zona, mentre dalla collezione Malizia vengono i modellini di armi e dalla collezione di Terzo Maffei il materiale a stampa. Il museo si propone di mantenere viva la memoria delle vicende della seconda guerra mondiale e del passaggio del fronte nel territorio di Montegridolfo, che insieme alla vicina Gemmano è stato uno degli ultimi capisaldi orientali della Linea dei Goti, e di ricostruire le terribili condizioni di vita di militari e civili nel periodo bellico. Offre, tramite lezioni, laboratori e visite guidate, un buon servizio didattico. Nella zona (ma nel Comune di Montescudo), esiste un’altra testimonianza di notevole interesse e di grande suggestione sul passaggio del fronte nel 1944: l’antica chiesa parrocchiale di Trarivi, distrutta dalle granate, di cui sono state consolidate e restaurate le rovine; dove vi sono annessi alcuni ambienti contenenti per lo più documenti fotografici e qualche cimelio. È stata denominata “la chiesa della Pace”.



Riccione: Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Villa Franceschi

Riccione Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Villa Franceschi via Gorizia, 2 tel. 0541 693534 www.villafranceschi.it museo@comune.riccione.rn.it • apertura estate (dal 21 giugno al 31 agosto): dal lunedì alla domenica 20:0023:00; martedì e giovedì 9:00-12:00 • apertura inverno: martedì e giovedì 9:00-12:00/16:0019:00; mercoledì e venerdì 9:00-12:00; sabato e domenica 16:00-19:00; chiuso il lunedì • ingresso a pagamento

In alto, una sala della Galleria. In basso: a sinistra, Enrico Baj, Senza titolo; a destra, particolare di Villa Franceschi (1910-1920). 59

Inaugurata negli ultimi giorni del 2005, questa Galleria ospita due distinti nuclei di opere d’arte contemporanea; il primo è di proprietà del Comune di Riccione ed è composto da dipinti raccolti soprattutto grazie a premi di pittura patrocinati dall’Azienda di Soggiorno (fra il 1947 e il 1955) e ad una donazione del pittore forlivese Maceo Casadei (1975); il secondo è di proprietà della Regione Emilia Romagna, in deposito presso il comune di Riccione fin dal 1998, ed è composto da cinquantanove opere acquisite nel 1973 (in seguito all’esposizione tenutasi a Bologna due anni prima a sostegno della fondazione intitolata allo scrittore Gaetano Arcangeli). Vi figurano pitture, sculture, disegni di notevole interesse di artisti in gran parte emiliano-romagnoli, come Carlo Corsi (1948), Andrea Raccagni (1950), Ennio Morlotti (1962), Bruno Saetti (1970), Virgilio Guidi (1970), Mattia Moreni (1970), Enrico Baj (c. 1995), Alberto Burri (c. 1986), Alberto Sughi (1969-1985), Maceo Casadei (1965-1968), Osvaldo Piraccini (c. 2000), Renato Birolli (1947), Vittorio Tavernari (1970). Le opere sono collocate in una villa del primo Novecento già di proprietà della famiglia Franceschi, bolognese, entrata a far parte dei beni del comune di Riccione nel 1953 per volontà testamentaria della signora Clementina Zugno vedova Franceschi. La villa fra il 1997 e il 2005 è stata accuratamente restaurata in funzione di Galleria d’arte, ma rispettandone l’assetto e la decorazione originaria; costituisce un buon esempio del tipo di edifici per villeggiatura che nella prima metà del Novecento hanno caratterizzato Riccione, di uno “stile deco” molto borghese e accademicamente corretto, con le consuete, eclettiche decorazioni in cemento. Dell’arredo originale la villa conserva alcuni dipinti e stampe e qualche mobile.



Rimini, Museo Fellini

Rimini Museo Fellini via Oberdan, 1 tel. 0541 50085 fax 0541 57378 www.federicofellini.it fondazione@federicofellini.it • apertura annuale: dal martedì al venerdì 16:3019:30; sabato e domenica 10:00-12:00/16:30-19:30; lunedì chiuso • ingresso gratuito

Particolari di allestimenti espositivi nel Museo Fellini. 61

Il museo Fellini espone temporaneamente e ciclicamente parte del patrimonio documentario dell’annessa Fondazione Fellini e/o di altri: scritti e disegni del regista, fotografie di scena, documenti fotografici e grafici, bozzetti di scenografie, costumi ecc. Negli ultimi anni vi sono state allestite mostre assai suggestive ed apprezzate, tra le quali occorre ricordare almeno le seguenti: “Otto e mezzo, il viaggio di Fellini” (2003), con fotografie di Gideon Bachmann, “Giulietta, ritratto di un’attrice” (2004), “Il cinema di carta. L’eredità di Fellini in mostra” (2004), “Fellini e i suoi film nei disegni della collezione Renzi” (2004), “Amarcord. Fantastica Rimini” (2005), “L’arte di Fellini nella collezione Gèleng e nei costumi di D. Donati” (2005), “Tazio Secchiaroli. G. Mastorna, opera incompiuta” (2006). L’archivio della Fondazione si va continuamente arricchendo di documenti grafici e fotografici, di pellicole e di libri, di cimeli. Recentemente (2006) ha acquisito un celebre autografo felliniano, il “Libro dei sogni”, che contiene la ventennale documentazione della produzione onirica del regista, da lui stesso illustrata con testi e disegni. Materiale della Fondazione è stato esposto in diverse mostre allestite in Italia e all’estero (Seattle, New York, Stoccolma, Oslo, Barcellona, Copenaghen, Varsavia ecc.). Il Museo Fellini è ubicato al piano terra della casa Fellini.



Rimini, Museo degli Sguardi, raccolte etnografiche

Rimini Museo degli Sguardi Raccolte Etnografiche Covignano di Rimini - Villa Alvarado, via delle Grazie, 12 tel. 0541 751224 fax 0541 704410 per attività didattiche tel. 0541 704421-26 www.comune.rimini.it/servizi /comune/cultura/museo_deg li_sguardi/ musei@comune.rimini.it • apertura annuale: da martedì a venerdì 9:00-12:00; sabato, domenica e festivi 10:00-13:00/16:00-19:00; lunedì (non festivo) chiuso • ingresso a pagamento; domenica ingresso gratuito

In alto, scorcio di una delle due sale dedicate all’Africa. In basso: a sinistra, reperti dalla Nuova Guinea; a destra, lo scalone di Villa Alvarado, sede del Museo. 63

Ha ereditato il materiale etnografico del Museo delle culture extraeuropee “Dinz Rialto”, fondato dal viaggiatoreesploratore padovano Delfino Dinz Rialto nel 1972. Tale museo, acquistato dal Comune di Rimini fra il 1975 e il 1979, ha avuto diverse sedi e si è arricchito di diverse altre collezioni (di Ugo Canepa di Biella, di Bruno Fusconi di Cesena, dei Minori Conventuali di Rimini), ed è stato ultimamente riallestito (dicembre 2005) con un taglio nuovo, che tiene conto delle inevitabili lacune nella pur ricca documentazione disponibile (formata da più di 3.000 pezzi). Il suo tema non è più costituito dalle culture extraeuropee, ma da come l’uomo occidentale ha guardato alle culture extraeuropee con sguardi di volta in volta scandalizzati e sconvolti, sorpresi e curiosi, affascinati ed estetizzanti. Costituisce dunque un invito ad una riflessione “storica” di taglio moderno, che può essere di aiuto ad una comprensione leale del mondo degli “altri”, delle “civiltà diverse”, un tempo lontane, oggi ben presenti nella nostra stessa realtà. Per questo ci è sembrato utile inserire questo museo nel capitolo che riguarda il mondo moderno, più che nel capitolo dell’etnografia. Nelle dieci sale del museo - che ha sede in una palazzina settecentesca appositamente restaurata, che ospitava il “Museo Missionario delle Grazie”, davanti al santuario della Madonna delle Grazie, sulla collina di Covignano, - sono presenti reperti provenienti dalla Cina, dall’Oceania, dall’Africa e dall’America. Spiccano tra gli altri un raffinatissimo dipinto cinese (XVII secolo), feticci e maschere africane, sculture Maya, tessuti delle Americhe precolombiane. Al piano terra è attrezzata un’area per esposizioni temporanee.


Per saperne di più: bibliografia minima

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