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di Stefano Pisu, “
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Per una storia totale del cinema di guerra
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le cinéma, c’est pas sérieux!1
Nel febbraio 2014 il presidente degli Stati Uniti Obama ha annunciato in tono scherzoso “We’re building iron Man”2, riferendosi alla sinergia fra il Pentagono e Hollywood finalizzata alla creazione di armature all’avanguardia per le Special Forces sul modello del celebre supereroe del grande schermo interpretato da Robert Downey Jr. Del resto in inglese il nesso fra guerra e cinema è perfino lessicale, visto che to shoot significa sia “sparare” che “filmare”.
In lebanon (2009), di Samuel Maoz, l’occhio della cinepresa è il visore di un carro armato. Ma già settant’anni prima esisteva il “cine-mitra”, ossia una cinepresa accoppiata a un’arma automatica, o montata sul calcio come il fotokinopulemet inventato dal regista sovietico Aleksandr Medvedkin3 per le riprese al fronte durante la seconda guerra mondiale, alla ricerca di una focalizzazione la più possibile interna4. Del resto l’idea del cinema come arma ricorre ampiamente nella teoria e nella stessa tecnica della propaganda: basti pensare, per restare in Unione Sovietica, alla doppia qualificazione assonante del cinema come strumento (orudie) e arma (oružie)5, oppure al celebre slogan fascista “la cinematografia è l’arma più
1 Affermazione del presidente della commissione di storia contemporanea del CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique) con cui motivò il non rinnovo di un progetto di ricerca diretto da Marc Ferro fondato sull’uso delle immagini filmiche come fonte storica.
Cfr. « Entretien avec François Garçon e Jacques Montaville », Éducation 2000, 18 marzo 1981, p. 11, cit. in Christian Delage, Vincent Guigueno, L’historien et le film, Paris, Gallimard, 2004, p. 9. 2 https://www.youtube.com/watch?v=77pnVFLkUjM V. Alberto Flores D’Arcais, “Armature in stile Iron Man per i soldati americani”, repubblica, 8.7.2014, p. 17. 3 Cfr. Emma Widdis, alexander Medvedkin, London-New York, I.B. Tauris, 2005. 4 Sul concetto narratologico di focalizzazione v. Gérard Genette, Figures iii, Paris, Éditions du Seuil, 1972, pp. 206-224. 5 Cfr. Kristian Feigelson, l’U.r.S.S. et sa télévision, Paris, INA, 1990, p. 18.
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forte”, che campeggiava alla cerimonia di fondazione della nuova sede del Luce nel novembre 19376 .
Cinepresa su mitragliatrice USA Lewis [A. F. Borovikov e G. I. Sedlenek (sost.), Sbornik materialov po vooruženiju inostrannych samoletov (raccolta di materiale sugli armamenti aerei stranieri), Mosca, 1941, p. 67, fig. 247.]
Anche l’industria hollywoodiana durante la seconda guerra mondiale riconobbe il proprio valore strategico: “Total war is fought with cameras as well as cannons. Planes drop propaganda as well as bombs”7. Il gioco delle analogie linguistiche potrebbe poi continuare, passando dai campi visivi ai campi di battaglia, dai piani strategici ai piani di ripresa, dagli obiettivi militari a quelli cinematografici.
L’obiettivo che questo quaderno intende mettere a fuoco è, invece, lo studio del binomio guerra-cinema con gli strumenti della ricerca scientifica, secondo una prospettiva fortemente multidisciplinare, vista la pluralità di approcci che tale accostamento consente. Già di per sé, infatti, il cinema e la guerra costituiscono fenomeni trasversali alle scienze umane e sociali. Indagarle insieme apre ulteriori piste e interpretazioni, che riteniamo irriducibili a un esclusivo campo del sapere, almeno che non si voglia correre il rischio di semplificare la complessità dei termini in questione.
6 Cfr. Mussolini posa per la prima pietra della nuova sede dell’istituto Nazionale luce al
Quadraro. 10.11.1937, archivioluce, codice foto A00077506. 7 War Activities Committee of the Motion Picture Industry, Movies at War, 1942, in National Archives and Records Administration, Records of the Historian Relating to the Domestic Branch 1942-45, Motion Picture Industry Information, Rg 208.
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Tuttavia, bisogna constatare che in Italia – rispetto ad altri paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna8 – gli studi scientifici sui complessi rapporti fra guerre e rappresentazione audiovisiva (cinematografica in primis, ma non solo) sono emersi più tardi, restando quantitativamente limitati. Preceduti nel 1984 da un semplice repertorio9 e nel 1985 dal volume sul cinema della grande guerra a cura di Gian Piero Brunetta10, i contributi italiani allo studio del cinema di guerra si sono sviluppati solo dagli anni Novanta, dando al tema dignità accademica11. Peraltro gli studiosi coinvolti in questi pochi lavori, anche quando collettanei, appartenevano spesso allo stesso macrosettore disciplinare12 – solitamente la storia del cinema – con
8 V. l’ampia rassegna bibliografica presente nel saggio di V. Ilari qui pubblicato. 9 Claudio Bertieri, Umberto Rossi, Ansano Giannarelli (cur.), l’ultimo schermo: cinema di guerra, cinema di pace, presentazione di Cesare Zavattini, Archivio audiovisivo del Movimento Operaio, Bari, Dedalo, 1984. Una ricerca sulla letteratura precedente condotta presso la Biblioteca Luigi Chiarini ha riscontrato solo brevi note e un unico articolo (Jacob
Lewis, “Ambiguità di Hollywood nella seconda guerra mondiale”, in Cinema nuovo, XVI,
N. 190, nov.-dic. 1967, pp. 428-441). 10 Gian Piero Brunetta (cur.), la guerra lontana. la prima guerra mondiale e il cinema tra i tabù del presente e la creazione del passato, Rovereto, Bruno Zaffoni Editore, 1985. 11 V. Mino Argentieri (cur.), Schermi di guerra. Cinema italiano 1939-1945, Bulzoni 1995;
Id., il cinema in guerra: arte, comunicazione e propaganda in italia, 1940-1944, Roma,
Editori Riuniti, 1998. Ernesto G. Laura. Fotogrammi di guerra, frammenti di cinema: l’immagine della guerra in cento anno di cinema italiano, Roma, Eserciti e popoli, 1995. 12 Fra le poche eccezioni si vedano Peppino Ortoleva, Chiara Ottaviano (cur.), Guerra e mass media. Strumenti e modi della comunicazione in contesto bellico, Napoli, Liguori, 1994.
I lavori di Ortoleva sono stati fondamentali per il generale studio della storia attraverso i
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la conseguenza di circoscrivere l’analisi nei confini del proprio terreno privilegiato di studio13 .
I grandi assenti da questo filone di studi sono stati invece gli storici contemporaneisti e gli storici militari. Ciò è ascrivibile a due fondamentali ragioni. Da un lato la tradizionale diffidenza della storia contemporanea in Italia, attenuatasi ma talvolta percepibile, per l’uso della cinematografia e degli audiovisivi quale fonte per l’indagine storica al pari delle altre14 .
media, fra cui il classico Cinema e storia. Scene dal passato. Torino, Loescher, 1991. Sul ruolo della televisione in ambito bellico si veda Luisa Cigognetti, Lorenza Servetti, Pierre Sorlin (cur.), La guerra in televisione. I conflitti moderni fra storia e cronaca, Venezia,
Istituto storico Parri Emilia Romagna – Marsilio, 2003. 13 Cfr. Roy Menarini, Massimo Moretti, Andrea Giaime Alonge, il cinema di guerra americano, 1968-1999, Recco, Le Mani, 1999. Dello stesso Alonge si vedano il disegno armato.
Cinema di animazione e propaganda bellica in Nord america e Gran Bretagna, Bologna,
CLUEB, 2000, Tra Saigon e Bayreuth: Apocalypse now di Francis Ford Coppola, Torino,
Tirrenia Stampatori, 2001 e il fondamentale Cinema e guerra. Il film, la Grande Guerra e l’immaginario bellico del Novecento, Torino, Utet, 2001. La prima guerra mondiale è stata l’oggetto di altre monografie scientifiche – soprattutto nell’ultimo decennio – ma sempre realizzate da studiosi italiani di cinema come Pier Marco De Santi, 1914-1918: una guerra sullo schermo, Roma, Rivista militare, 1988; Id., la grande guerra nel cinema italiano,
Firenze, Pagliai polistampa, 2005; Sarah Pesenti Campagnoni, WWi la guerra sepolta. i film girati al fronte tra documentazione, attualità e spettacolo, Torino, Facoltà di Lettere e
Filosofia, Università degli Studi di Torino, 2013; Giuseppe Ghigi, le ceneri del passato. il cinema racconta la grande guerra, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014; Alessandro Faccioli, Alberto Scandola (cur.), A fuoco l’obiettivo! Il cinema e la fotografia raccontano la
Grande Guerra, Bologna, Persiani, 2014. 14 Non a caso i primi esempi italiani di uso storico delle fonti cinematografiche si debbono a due studiosi stranieri, Pierre Sorlin e David Ellwood, e ad uno storico del cinema,
Gian Piero Brunetta, prefatore (pp. 7-10) di Sorlin, Gli italiani al cinema. immaginario e identità sociale di una nazione, Mantova, Tre Lune Edizioni, 2009 e curatore insieme ad
Ellwood del pioneristico Hollywood in Europa. Industria, politica e pubblico del cinema 1945-1960, Firenze, La casa Usher, 1991. V. Giovanni De Luna, la passione e la ragione. il mestiere dello storico contemporaneo, Milano, Mondadori, 2004. Altri lavori che usano il cinema come fonte storica sono quelli di Pietro Cavallo [Viva l’italia. Storia, cinema e identità nazionale (1932-1962), Napoli, Liguori, 2009 e insieme a Luigi Goglia e Pasquale
Iaccio (cur.), Cinema a passo romano. trent’anni di fascismo sullo schermo (1934-1963),
Napoli, Liguori, 2012] e di Ermanno Taviani [tra cui con Antonio Medici e Mauro Morbidelli (cur.), il Pci e il cinema tra cultura e propaganda. 1959-1979, Roma, Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, 2001]. V. pure Francesca Anania e Piero
Melograni (cur.), L’Istituto Luce nel regime fascista: un confronto tra le cinematografie europee, Roma, Istituto Luce, 2006; Maurizio Zinni, Fascisti di celluloide. la memoria del ventennio nel cinema italiano (1945-2000), Venezia, Marsilio, 2010; Id., Schermi ra-
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Una diffidenza che cela(va) piuttosto una difficoltà a confrontarsi con materiali eterogenei, visto il necessario approccio inclusivo che uno studio storico rigoroso dei documenti iconografici comporta e il confronto continuo che richiede con le più consuete fonti scritte. D’altro canto va rilevata una forte sottovalutazione degli aspetti e delle fonti militari da parte della storiografia nazionale, del tutto anomala rispetto agli altri paesi. Ciò dipende dal mancato confronto fra chi rifiuta aprioristicamente dignità scientifica alla storia militare e al pensiero strategico; e chi presume di potersi esimere dal rigore scientifico appagandosi di un autodidattismo incolto e autoreferenziale avulso dalla comunità scientifica e dal circuito internazionale. Il modo più proficuo, quindi, per avvicinare comunità che condividono la stessa passione di fondo per la ricerca ci è parso quello di mettere insieme studiosi provenienti da diverse discipline – dalla storia militare alla storia contemporanea, dalla storia del cinema alla storia delle relazioni internazionali, dai media studies agli studi strategici – al fine di esplorare la complessità delle relazioni fra guerre e audiovisivi, nel tentativo di mostrare il carattere innovativo delle piste di ricerca e degli spunti interpretativi possibili.
Il quaderno si caratterizza per ospitare contributi di studiosi di diverse generazioni. Sono presenti lavori di autorità riconosciute che nella loro carriera hanno aperto nuovi orizzonti di indagine, diventando dei punti di riferimento per chiunque si voglia cimentare in quegli ambiti. Vanno ringraziati specialmente perché la loro partecipazione legittima ulteriormente e aumenta il prestigio del presente progetto. Altrettanto rilevante è inoltre l’intervento di studiosi che hanno già consolidato il proprio percorso di ricerca poiché ciò dimostra l’interesse e il sostegno
dioattivi. L’America, Hollywood e l’incubo nucleare da Hiroshima alla crisi di Cuba, Venezia, Marsilio, 2013; Vanessa Roghi e Luca Peretti (cur.), immagini di piombo. Cinema, storia e terrorismi in europa, Milano, Postmedia books, 2014; Elio Frescani, il cane a sei zampe sullo schermo. La produzione cinematografica dell’Eni di Enrico Matttei, Napoli, Liguori, 2014. Nell’ambito della storia delle relazioni culturali internazionali v. S. Pisu, Stalin a Venezia. l’Urss alla Mostra del cinema fra diplomazia culturale e scontro ideologico (1932-1953), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013 e Stefano Cambi, Diplomazia di celluloide? Hollywood dalla Seconda guerra mondiale alla Guerra fredda, Milano, Franco Angeli, 2014. Dal 2012 Rubbettino pubblica Cinema e Storia. rivista di studi interdisciplinari, diretta da Paolo Mattera e Christian Uva.
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dalla comunità scientifica attiva per le tematiche qui proposte. Non meno importante è infine la presenza di chi più recentemente ha iniziato o sta intraprendendo ora la strada della ricerca: l’originalità dei temi e degli approcci da loro presentati, unite all’entusiasmo nell’accettare la proposta, costituiscono a nostro avviso dei fattori di ricchezza e vitalità per il volume.
La scelta iniziale dell’apertura disciplinare – oltre che generazionale – ha reso non semplice individuare alcuni assi tematici all’interno di un laboratorio storiografico vastissimo e dalle diramazioni potenzialmente inesauribili.
La sezione Studiare i war films include contributi che si propongono di fissare coordinate fondamentali per un approccio scientifico al cinema di guerra. Queste basi rimandano in particolare a molteplici esigenze epistemologiche. Innanzitutto la classificazione di un genere molto ampio e dai confini porosi, per cui diventa imprescindibile l’uso critico dei repertori internazionali presenti in rete, al quale deve seguire la considerazione attenta della vasta letteratura multidisciplinare. Inoltre la definizione degli ambiti in cui l’analisi del film bellico è realmente utile e proficua per lo studio delle scienze storiche e sociali. Emerge la rilevanza primariamente sociale e politica – nonché economica – del documento audiovisivo di carattere bellico, che diventa fonte importante anche per una moderna storia militare.
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La sezione tempi di guerra affronta il ruolo del cinema quale strumento per la mobilitazione sia nei regimi totalitari, sia nelle democrazie del Novecento. I contributi rimarcano come la produzione filmica costituisca un fattore decisivo non solo per sostenere un paese dal punto di vista morale e orientarne l’informazione durante le operazioni belliche, ma ugualmente per preparare e militarizzare le società in tempo di pace, quando si presentano possibili conflitti, sia di natura offensiva che difensiva, e occorre individuare chiaramente il ‘nemico’. I diversi soggetti dell’industria cinematografica – produttori, registi, operatori – interagiscono con gli interlocutori politici e militari in una negoziazione dagli esiti non sempre scontati, nonostante i comuni obiettivi, per via dell’influenza della situazione interna, oltre che del quadro internazionale.
La sezione l’arma più forte partendo dal noto slogan mussoliniano, si focalizza sul caso italiano e in particolare sul periodo fascista. Essa conferma l’importanza accordata dal regime alla produzione filmica circa le tre principali guerre in cui fu coinvolto, dal punto di vista ideologico, quando non strettamente militare. A parte, infatti, la guerra imperialista in Abissinia e il secondo conflitto mondiale, la sezione evidenzia come i documentari Luce tentarono di contribuire con le immagini in movimento al rafforzamento nella società italiana del culto della grande guerra, che era uno dei capisaldi del discorso ideologico e mitopoietico del regime. I contributi mostrano poi gli interessi – talvolta divergenti – fra le istanze
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politiche, militari e cinematografiche quando si trattò di elaborare un’immagine socialmente accettabile, sia documentaria che di finzione, dell’Italia e degli italiani in guerra.
La sezione autori e sottogeneri riunisce delle categorie tradizionalmente antagoniste nella teoria del cinema, ma qui accomunabili dal medesimo oggetto di indagine. Il film di guerra offre una grande varietà di sottogeneri fra i quali se ne evidenziano due apparentemente agli antipodi – guerre in epoche lontane o contro alieni – che tuttavia seguono il comune filo rosso di trasfigurare nel passato remoto e nel futuro immaginario interpretazioni, attese e inquietudini del tempo presente. Si considerano poi le produzioni di due grandissimi registi come Coppola e Tarkovskij che, pur nella loro diversità culturale e stilistica, cimentandosi spesso con l’argomento bellico hanno fatto emergere entrambi la figura allegorica dell’Apocalisse come categoria interpretativa della guerra in una chiave più profondamente umana, psicologica e spirituale.
La sezione Cinema impero mostra come il cinema sia una fonte privilegiata per una storia culturale del colonialismo su scala globale e dei processi di elaborazione memoriale del passato imperiale nelle ex potenze coloniali europee. I diversi contributi coprono nel complesso una produzione filmica ultracentennale, che va dagli inizi del XX secolo – e dalle origini dello stesso cinema – fino agli anni più recenti. Una tale prospettiva aiuta a comprendere quali immagini e discorsi iconografici di quell’esperienza furono prodotti nei paesi coinvolti come (ex) colonizzatori e il loro evolversi. La testimonianza postuma di Marcello Gatti (19242013), direttore della fotografia de la Battaglia di algeri, arricchisce la sezione svelando la genesi di uno dei più importanti film non solo del filone post coloniale, ma dello stesso cinema di guerra.
La sezione Comparazioni e coproduzioni rappresenta una prospettiva originale per un approccio alla storia culturale internazionale capace di allargare la tradizionale chiave politico-diplomatica: si indaga così la circolazione transnazionale di scritture filmiche delle guerre in grado di sedimentarsi nell’immaginario collettivo con una capacità di presa sul pubblico molto maggiore rispetto agli studi storici-militari specialistici. La decodificazione della struttura dei documentari della grande guerra è poi rilevante giacché essi costituiscono una tappa fondamentale
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nell’evoluzione globale delle tecniche di ripresa e montaggio dei conflitti successivi. Emergono come interessanti casi di studio anche la dialettica fra persistenza e mutamento del mito – anche cinematografico – di Napoleone e delle “sue” guerre, le joint venture internazionali che produssero narrazioni nuove dell’Italia nella seconda guerra mondiale, nonché la sovraesposizione in quest’ultima dell’esercito americano, capace di oscurare cinematograficamente qualsiasi altra forza armata alleata realmente attiva all’epoca. La sezione altri schermi potrebbe essere un’anticipazione su come proseguire una ricerca ad ampio spettro sul ruolo dei media audiovisivi nel (ri)costruire le guerre. Un interessante campo d’indagine riguarda la ri-mediazione del materiale cinematografico preesistente operata dalla televisione e il suo contributo alla definizione di un nuovo immaginario bellico. Il contributo di Philip Taylor (1954-2010) è importante sia perché scritto da uno dei principali studiosi mondiali dell’argomento, sia perché è esso stesso una testimonianza di come la novità rappresentata dalla copertura live della prima guerra del Golfo avesse stimolato anche una instant research a livello internazionale15. Sono studiate poi altre forme in cui la televisione ha espresso prodotti a tema bellico: dagli anime giapponesi
15 Si vedano fra gli altri Marc Ferro, l’information en uniforme. Propagande, désinformation, censure et manipulation, Paris, Ramsay, 1991 e Béatrice Fleury-Villate (cur.), les
Médias et la guerre du Golfe, Nancy, Presses universitaires de Nancy, 1992.
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– le cui radici affondano nel trauma atomico e che hanno modellato l’immaginario guerresco di intere generazioni di giovani, anche italiani, nei decenni precedenti – alle serie televisive attuali, che sono fra i prodotti di maggior successo dell’industria dell’entertainment televisivo e che nel caso di the americans reinterpretano la ‘seconda guerra fredda’ sulla scia dei casi reali di spie illegals e delle rinnovate tensioni russo-americane degli ultimi anni. Gli ultimi interventi riguardano il modo in cui i video prodotti dal fondamentalismo qaedista possano essere interpretati non solo come rappresentazioni del terrorismo jihadista ma come autentiche forme di rappresentanza di quello nell’arena mediatica, mentre la riflessione sulla piattaforma di YouTube mostra il suo ruolo al contempo di archivio ricchissimo delle guerre del XX secolo e di “teatro di guerra” multipolare dei conflitti più recenti.
L’auspicio è che questo lavoro sia un trampolino per un definitivo salto di qualità verso la comprensione di come lo studio stratificato del cinema e delle moderne fonti audiovisive siano non solo utili, ma essenziali per interpretare la complessità dei fenomeni bellici e delle società coinvoltevi, e come, viceversa, la storia militare costituisca una preziosa fonte per evitare di avere uno sguardo miope quando si osservano le guerre da un’ottica unidirezionale. Se il concetto di guerra moderna si caratterizza per essere una guerra totale, allora anche il suo studio deve poggiarsi sulla consapevolezza della necessità di un approccio integrato e inclusivo, che incoraggi le contaminazioni fra le discipline, pur nel rispetto degli obiettivi principali di ciascuna di esse. Una visione più ampia che contribuisca a una riflessione critica in un anno in cui alle diverse ricorrenze sulle guerre del XX secolo si sovrappone la dimensione compiutamente “mediatica” dei conflitti del nuovo millennio, nei quali le immagini e la loro circolazione virale non sono più soltanto un mezzo per raccontare la guerra, ma diventano un’autentica arma strategica.
Stefano Pisu
Cagliari, 1 aprile 2015