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di Eric Terzuolo, “
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Gli extraterrestri non leggono Clausewitz
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di Eric Robert Terzuolo
Quando pensiamo al cinema di guerra, pensiamo naturalmente a rappresentazioni di guerre già combattute, o al massimo ancora in corso. Ma il cinema ci dà anche la possibilità di immaginare le guerre del futuro, un esercizio tutt’altro che insensato, ma che deve trovare un difficile equilibrio tra inventiva e concretezza.
Basta digitare future of warfare su www.amazon.com per trovare oltre 500 titoli. Nelle prime pagine di questa lunga lista, troviamo opere che trattano dell’impatto della fine della Guerra fredda, del petrolio, degli sviluppi in campi come la robotica, la tecnologia aerospaziale, strumenti informatici, il GPS, o le armi non letali. Insomma, non mancano persone che si sforzano ad immaginare come combatteremo nel futuro.
Chiaramente, in questa letteratura più o meno scientifica si parte dal presupposto che si tratterà in futuro, come si è trattato finora, di guerre tra esseri umani. Una ricerca su Survival, forse la più importante rivista di questioni strategiche in lingua inglese, rivela neanche un articolo che prenda in considerazione l’ipotesi di un’aggressione contro il nostro pianeta da parte di extraterrestri. Non sarà sicuramente il sottoscritto a proporre a Survival un numero speciale su questo tema1, ovviamente ai margini degli studi strategici. Possiamo però ricorrere alla fantascienza per immaginare come sarebbe un’aggressione extraterrestre, tenendo magari presente che già in più casi le previsioni della fantascienza si sono avverate.
1 Esistono opere che pretendono di trattare in maniera seria e documentata il problema di come difendere la Terra nel caso di un’aggressione extraterrestre, con titoli come an introduction to Planetary Defense: A Study of Modern Warfare Applied to Extra-Terrestrial Invasion o alien invasion: the Ultimate Survival Guide for the Ultimate attack. Ma si tratta di una letteratura veramente ai margini, anche se riesce a vendere un certo numero di copie presso un pubblico devoto alle dietrologie, pronto a credere che il governo USA affossi sistematicamente gli indizi d’incursioni aliene sulla Terra.
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alien, di Ridley Scott (1979)
Dagli anni ’50 agli anni ‘90
Negli ultimi vent’anni abbiamo visto una notevole serie di film che trattano di conflitti tra umani ed extraterrestri. Questo arco inizia con Independence Day (1996, regia di Roland Emmerich) e prosegue tuttora. Ma il cinema americano di fantascienza ha avuto un’impennata poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Si stima, infatti, che tra il 1948 e il 1962 siano stati prodotti oltre 500 film (inclusi cortometraggi) di questo genere, e l’invasione o l’infiltrazione della Terra da parte di alieni ha rappresentato una delle principali tematiche del cinema di fantascienza americano degli anni ’50.
Gli studiosi spesso presentano i film dei primi anni della Guerra fredda come espressione delle paure dell’americano medio dell’epoca. Il titolo del relativo capitolo in un’importante storia del cinema americano è piuttosto rappresentativo: “Science Fiction Films and Cold War Anxiety” 2 .
2 Victoria O’Donnell, “Science Fiction Films and Cold War Anxiety”, in Peter Lev, (ed.),
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Gli studiosi complessivamente sembrano convergere nel segnalare le fonti d’ansia: le armi atomiche, viste sempre più come minaccia, e meno come strumento risolutivo nella cruenta guerra con il Giappone3; il comunismo, minaccia esistenziale, spesso percepito come una specie di pestilenza, controllo del pensiero, estirpazione dell’individualità, e come pericolo importato da fuori. Vivian Sobchak, infatti, divide i film sulle invasioni extraterrestri in due categorie, quelli che manifestano una “estetica della distruzione” e i film invece dove le minacce sono quasi invisibili4. C’è anche chi scorge nel cinema fantascientifico degli anni ’50 i riflessi di una crisi più personale e psicologica dell’americano medio, meno legata alle paure della Guerra fredda5, oppure una critica della società americana, in particolare del maschilismo tipico dell’epoca6 .
Tra i numerosi film che trattano di invasioni (o almeno incursioni) aliene, tre in particolare sono rimasti influenti nei decenni successivi: la cosa da un altro mondo (1951, regia di Christian Nyby con l’ausilio del produttore Howard Hawks, egli stesso un importante regista), Ultimatum alla terra (1951, regia di Robert Wise) e l’invasione degli ultracorpi (1956, regia di Don Siegel).
Nei film di Nyby e Siegel, va detto, abbiamo un certa difficoltà a capire le motivazioni degli extraterrestri. L’unico tentativo di comunicare con la “Cosa” non finisce molto bene per l’interlocutore umano, e l’extraterrestre
Transforming the Screen, 1950-1959 (History of the American Cinema, Vol. 7), New York,
Charles Scribner’s Sons, 2003, pp. 169-170. Cindy Hendershot, Paranoia, the Bomb, and 1950s Science Fiction Films, Popular Press, 1999. 3 Maurizio Zinni, Schermi radioattivi. L’America, Hollywood e l’incubo nucleare da Hiroshima alla crisi di Cuba, Marsilio, Venezia 2013. 4 “American Science Fiction Film: An Overview,” in David Seed (ed.), a Companion to
Science Fiction, Malden (MA), Blackwell Publishing, 2005, pp. 264-265. Roy Menarini e
Andrea Meneghelli ci ricordano anche l’ansia di Hollywood a trovare nuovi generi di film in grado di fornire “emozioni forti e paure ancestrali” alla giovane generazione del dopoguerra, poco interessata ai tradizionali prodotti cinematografici. Vedi Fantascienza in cento film, Recco (GE), Le Mani, 2000, p. 15. La “List of films featuring extraterrestrials” di en.wikipedia include nel gennaio 2015 oltre 450 titoli. 5 Michael Bliss, invasions USa: the essential Science Fiction Films of the 1950s, Lanham (MD), Rowman & Littlefield, 2014, pp. x-xi. 6 Susan A. George, Gendering Science Fiction Films: invaders from the Suburbs, New
York, Palgrave Macmillan, 2013, pp. 2-4.
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l’invasione degli ultracorpi
sembra principalmente interessato a trovare sangue animale e umano per nutrirsi. Ne l’invasione degli ultracorpi, gli alieni, che agiscono come collettività, si sostituiscono agli esseri umani, prendendo le sembianze di specifici individui, e sembrano intenzionati a proseguire con la vita di piccoli borghesi della profonda provincia americana. Non si capisce a quale scopo, e Siegel infatti non ci fa capire se la trasformazione in ultracorpi e la conseguente perdita dell’individualità sia una metafora per il pericolo comunista o per il conformismo dell’America degli anni ’507 . In Ultimatum alla terra, invece, abbiamo a che fare con alieni molto più razionali e trasparenti, tecnologicamente e forse moralmente superiori a noi. Il film ha una trama insolitamente complessa. Non tratta, in senso stretto, di un’invasione extraterrestre. Ci propone, invece, una sorta di Nazioni Unite in versione interplanetaria, però assai incisiva, che si assume veramente la responsabilità di mantenere l’ordine. Gli extraterrestri minacciano
7 O’Donnell, op. cit., p. 184. È d’accordo sulla sostanziale ambiguità del messaggio del film
Roy Menarini, il cinema degli alieni, Alessandria (IT), Edizioni Falsopiano, 1999, p. 184.
Propende invece per la seconda interpretazione W. Scott Poole nel recente Monsters in
America: Our Historical Obsession with the Hideous and the Haunting, Waco (TX), Baylor University Press, 2011, pp. 111-123.
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la distruzione della Terra nel caso che gli umani non raddrizzino i loro comportamenti pericolosi e potenzialmente destabilizzanti. C’è chi potrebbe scorgere negli alieni un sano realismo politico, ma anche forse uno sgradevole paternalismo di stampo quasi colonialista.
I tre film verranno poi riproposti in versioni modernizzate, con effetti speciali molto più tecnologici e spettacolari, ma con scarsa originalità. L’Ultimatum alla terra del 2008 (regia di Scott Derrickson), per esempio, ha come protagonista Keanu Reeves, in forma più zombie che elegante emissario extraterrestre alla Michael Rennie. Questi remake non sembrano destinati a rimanere particolarmente influenti.
Il sub-genere del cinema delle invasioni extraterrestri non sparisce con la fine dell’Amministrazione Eisenhower, ma guardando agli anni ’60, ’70, e ’80, i film più influenti ci propongono una più variegata serie di “incontri” tra umani e extraterrestri. C’è il misterioso ed imperscrutabile monolito nero alieno che figura nel filone iniziato con 2001: odissea nello spazio (1968, regia di Stanley Kubrick), che segna una svolta. Nella prima metà degli anni ’70, si può scorgere “una rinascita della fantascienza sociale, politica, metaforica, utopica”8 .
I film di George Lucas e Steven Spielberg, che riportano il cinema di fantascienza alla ribalta negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ‘70, accantonano il tema delle invasioni extraterrestri. In Guerre stellari (1977) Lucas ci propone un grande melodramma, con umani e alieni in abbondanza, ma che si svolge dichiaratamente in luoghi e tempi molto distanti da nostri. Nello stesso anno, in incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg, “l’arrivo degli alieni ha i caratteri dell’avvento di una divinità, l’eccesso di luce che contraddistingue i visitatori suggerisce caratteri angelici e salvifici”9. Non dimentichiamoci poi che seguì l’adorabile pro-
8 Menarini, Cinema degli alieni, p. 27. 9 ibidem, p. 41
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incontri ravvicinati del terzo tipo
tagonista di e.t. l’extraterrestre (1982). Vero che nel 1979 era anche tornato l’alieno ultra cattivo, se un essere privo di razionalità come il protagonista di alien si può descrivere come buono o cattivo. Ma fino allo sciagurato aVP: alien vs. Predator del 2004 questi esseri rimangono in luoghi chiusi e molto distanti dalla Terra e non sembrano in grado di montare un’invasione nel normale senso della parola.
È soltanto nel cinema americano degli anni ’90 che ritroviamo extraterrestri invasori paragonabili a quelli degli anni ’50. Spesso, infatti, viene sottolineata la somiglianza tra i film di fantascienza di questi due decenni10 . Fondamentale è appunto il summenzionato Independence Day del 1996, un B-movie molto dispendioso, che si ispira fortemente ai film degli anni ’50, in particolare la terra contro i dischi volanti (1956, regia di Fred Sears)11. Prevale nettamente la summenzionata “estetica della distruzione”.
Ma perché invadere la terra?
L’opacità delle motivazioni degli invasori extraterrestri, già problematica in film come la cosa da un altro mondo e l’invasione degli ultracorpi, non viene certamente meno nei film degli ultimi vent’anni. Non si scorge una chiara strategia che colleghi l’impiego di enormi risorse aliene al raggiungimento di precisi scopi che si possano definire “politici”. Dopotutto,
10 ibidem, p. 104; Menarini, Meneghelli, op. cit., p. 16. 11 ibidem, p. 122.
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attraversare una o più galassie en masse per prendere controllo di un intero pianeta non è cosa da tutti. Presumibilmente i capi alieni dovrebbero essere in grado di spiegare perché lo stanno facendo.
Tra gli invasori extraterrestri più assurdi ci sono sicuramente i cattivi di the avengers (2012, regia di Joss Whedon) film di grande successo commerciale, basato sui fumetti della Marvel Comics. Indubbiamente più ‘”fanta-“ che “scientifico”, the avengers ci propone una squadra di supereroi (tra i quali anche Thor, dio del tuono nella mitologia nordica) che salvano New York dai Chitauri, razza aliena evidentemente crudelissima, che attraversando un portale spaziale ha la possibilità di terrorizzare signore della terza età e i rispettivi barboncini negli appartamenti dei quartieri alti di New York. I Chitauri dispongono anche di quella che il compianto critico cinematografico di Chicago, Roger Ebert ha descritto come “una stra-enorme macchina serpente-lucertola-drago, strisciante e ondulante, che sembra fare di testa propria, con il sussidio d’innumerevoli serpentelli”12 . In effetti, tali macchine infernali sembrano ormai d’obbligo. In transformers: Dark Side of the Moon (2011, regia di Michael Bay) avevamo già incontrato the Driller (Il Perforatore) un essere meccanico che sembra un enorme serpente dotato di lame e denti, in grado di ridurre in macerie interi grattacieli, non si capisce per quali motivi.
Circa lo stesso senso estetico, una sorta di tecno-barocco, si riscontra nei vettori degli extraterrestri in Battleship (2012, regia di Peter Berg). Questo film, che s’ispira al vecchio gioco di società “Battaglia navale”, è stato fortemente criticato per l’assenza di una trama comprensibile. Allo spettatore non è dato sapere assolutamente niente delle motivazioni degli
12 Nell’inglese originale: “ginormous slithering, undulating snake-lizard-dragon machine, which seems almost to have a mind of its own and is backed up by countless snakelings”.
Vedi http://www.rogerebert.com/reviews/the-avengers-2012
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invasori extraterrestri, che in sostanza si dimostrano in grado di affondare alcune navi da guerra americane e giapponesi, ma per il resto sembrano piuttosto imbranati.
Va riconosciuto che azioni estremamente distruttive e micidiali hanno un posto nella guerra. Basti pensare all’impiego delle bombe atomiche nel 1945 per piegare definitivamente la resistenza del Giappone ed evitare un’invasione che avrebbe avuto costi umani enormi per ambedue gli avversari. Come hanno ben capito anche gli ideatori degli attentati dell’11 settembre 2001, la distruzione di grandi oggetti può avere un enorme impatto psicologico e politico. Un’ipotizzabile potenza extraterrestre potrebbe decidere di distruggere un obiettivo molto importante e visibile per mostrare la propria forza irresistibile. Potrebbe ottenere un buon risultato politico con un impiego sostanzialmente modesto delle proprie risorse. Ma non si scorge una visione così strategica dell’impiego della forza presso gli extraterrestri cinematografici di oggi. In Independence Day, almeno, gli alieni danno qualche spiegazione per la loro elevatissima distruttività. I leader statunitensi sopravvissuti al primo attacco hanno modo di comunicare in maniera relativamente approfondita con l’unico alieno catturato. Questo si dimostra un efficace portavoce della propria specie, non limitandosi a rivelare soltanto nome, grado, e numero di matricola. Entra in comunicazione telepatica con il presidente americano, mostrandogli in sintesi la storia della proprie specie, che ha eliminato le intere popolazioni di molteplici pianeti, uno dopo l’altro. Il presidente poi li descrive in questo modo:
Sono come locuste. Viaggiano da un pianeta all’altro, la loro intera civiltà. Dopo aver consumato tutte le risorse naturali, proseguono. E siamo noi i prossimi.
Quando il presidente gli domanda se c’è qualche possibilità di compromesso, di pacifica convivenza, l’alieno risponde chiaramente:
Alieno Pace? Niente pace. Il Presidente Cosa volete che facciamo?
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Alieno Morire. Vi uccidiamo . . . tutti13 .
Chiaramente, la cultura strategica aliena non prevede la possibilità di vittoria definita in termini politici, ma soltanto l’annientamento dell’avversario.
Dal 1996 in poi vediamo spesso brutte copie degli alieni già decisamente efferati di Independence Day. Va detto che Hollywood ci offre effetti speciali grandiosi, attori spesso bravi e importanti, e sceneggiature non sempre prive di spunti interessanti, sfoderando talvolta pure il senso dell’umorismo. Due recenti film con l’onnipresente Tom Cruise rappresentano indubbiamente un cinema di qualità. In Senza domani (Edge of Tomorrow) del 2014 (regia di Doug Liman), la distruzione della razza umana viene sventata grazie alla scoperta di un modo per risettare il tempo, provando in questo modo una quasi infinita serie di mosse tattiche per sconfiggere l’invasore extraterrestre, una sorta di organismo collettaneo altamente efficiente. La trama è piuttosto ingegnosa, ma non ci viene dato di capire cosa gli alieni vogliano farsi della Terra, a parte seminare morte e distruzione. In oblivion (2013, regia di Joseph Kosinski) gli obiettivi degli aggressori risultano quantomeno più chiari. Sono a caccia di risorse naturali. Dopo aver letteralmente consumato le risorse presenti sulla Luna, utilizzano l’acqua dei mari terrestri per generare energia.
La sete degli alieni, a dire la verità, è un tema diffuso. Jonathan Liebesman, regista di World invasion: Battle los angeles (2011) pensò bene di chiarire prima dell’uscita del film che l’aggressione extraterrestre al centro della trama era motivata dalla caccia alle risorse naturali, in particolare l’acqua14. Probabilmente si era reso conto che il film stesso non spiegava proprio niente delle motivazioni degli alieni. A scapito del successo commerciale non indifferente, World invasion: Battle los angeles attirò i fischi dei critici. I comportamenti degli extraterrestri sembrano, infatti, assurdi. Attraversare il cosmo, grazie alle proprie tecnologie ultra avanzate, per poi occupare Los Angeles (e tutte le altre grandi città) combattendo strada per strada, distruggendo immobili e ammazzando persone
13 Testo integrale della sceneggiatura a http://www.imsdb.com/scripts/Independence-Day. html 14 Vedi http://screenrant.com/battle-los-angeles-comiccon-2010-robf-69613/
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con armi leggere, non ha senso. Il film si ispira a un episodio nei primi mesi dopo Pearl Harbor (verosimilmente un falso allarme relativo a un’incursione giapponese nei pressi di Los Angeles) e riprende molti elementi classici dei film sulla Seconda guerra mondiale, in particolare quelli incentrati sulle peripezie di piccole unità militari, ma utilizza tali elementi ben collaudati in un contesto privo di senso.
Gli strani alieni camuffati da fulmini globulari in l’ora nera (the Darkest Hour), co-produzione russo-americana del 2011 (regia di Chris Gorak) hanno obiettivi più chiari. Sostanzialmente si vogliono accaparrare il rame e altri metalli presenti sulla Terra. Forse non c’è da sorprendersi che un film ambientato a Mosca ci presenti extraterrestri a caccia di risorse materiali a basso contenuto tecnologico, presenti in abbondanza in Russia. Sembra quasi un’espressione del pensiero geopolitico russo, che presta particolare attenzione al controllo delle risorse. Strano però che gli alieni non si dimostrano interessati a gas naturale e petrolio.
In alcuni film, sono proprio gli esseri umani stessi a rappresentare la preziosa risorsa naturale che gli extraterrestri vanno cercando. Nel romanzo del 1898 di H. G. Wells, the War of the Worlds (la guerra dei mondi), gli invasori marziani, in fuga da un pianeta morente, si cibano di sangue umano. Nella versione cinematografica del 1953 (regia di Byron Haskin), d’altro canto, gli alieni sembrano più interessati a vaporizzare gli umani che a cucinarli al vapore. (Si scopre che i marziani soffrono di una sorta di anemia, ma la cosa finisce lì.) La versione cinematografica più recente, quella del 2005 con protagonista Tom Cruise (regia di Steven Spielberg, ormai pronto a farci conoscere anche gli alieni cattivi) è per certi aspetti più fedele alle idee originali di Wells sulle motivazioni degli invasori extraterrestri. Il sangue umano cola abbondante, e grazie agli effetti speciali vediamo propagarsi sulla Terra anche l’erbaccia rossa tipicamente marziana che secondo Wells gli invasori avrebbero portato con sé. Oltre che pensare a cibo, gli invasori sembrano abbastanza focalizzati sull’obiettivo di eliminare la resistenza organizzata, tagliando per esempio le principali vie di comunicazione. Insomma, sembrano aver pianificato le operazioni con qualche criterio strategico e tattico.
Anche gli alieni nel criticatissimo Skyline (2010, regia di Colin e Greg Strause) considerano gli umani un’importante materia prima. Catturano
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gli umani per inserire i rispettivi cervelli in nuovi esseri che gli invasori stanno creando, per scopi che non sono mai spiegati. Signs (2002, regia e sceneggiatura di M. Night Shyamalan) è un altro film dove i motivi degli alieni sono poco chiari, ma non si esclude che possano ritenere gli umani una forma di fast food. Per fortuna, mancano di determinazione, e la gran massa degli extraterrestri fugge sotto il primo impatto di una resistenza organizzata.
alieni cattivi, e pure brutti
Non solo le motivazioni degli alieni cinematografici sono sempre più o meno le stesse – morte e distruzione materiale per ottenere risorse naturali – ma colpisce anche la mancanza d’inventiva rispetto alle caratteristiche fisiche degli invasori alieni stessi. Ci troviamo quasi sempre con un misto ripugnante tra rettile e seppia gigante, con tentacoli quasi d’obbligo. La concezione estetica exo-biologica di alien sembra assai influente. Un’eccezione interessante si trova, per fortuna, in oblivion, dove alla fine incontriamo il vero cattivo, una macchina di origini aliene. Non è una
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Skyline soluzione originalissima, ma dopo tanti alieni quasi identici, l’assenza di tentacoli è sicuramente di grande sollievo.
Un’altra eccezione interessante alla regola degli alieni tipo “spaghetti allo scoglio” si trova in Prometheus (2012, regia di Ridley Scott) una sorta di prologo ad alien. Qui il tentativo di annientare la razza umana con un’arma biologica viene eroicamente sventato prima che gli aggressori possano raggiungere la Terra. Gli alieni cattivi sembrano degli esseri umani ultra palestrati, con carnagione azzurrina. Sappiamo anche, dalle scene iniziali del film, che è stata proprio questa razza a seminare la vita sulla Terra. Si presume che Prometheus 2, previsto per il marzo 2016, ci spiegherà i motivi di tale drammatico ripensamento. L’idea di aggredire la Terra per cancellare un errore fatto, piuttosto che per ottenere risorse, non è proprio originalissimo. Ricorda in parte, forse volutamente, il diluvio universale raccontato nel Vecchio Testamento. Ma si tratta quantomeno di fonte più nobile rispetto a Independence Day.
Ma dov’è la logica?
Forse il brutto aspetto generalmente dato agli alieni invasori serve in parte per distrarci dai lapsus logici che abbondano in questi film. Chiaramente, la fantascienza è per antonomasia ancora più romanzata di quasi tutti gli altri generi letterari o cinematografici. Ma forse proprio il fatto di avere a disposizione uno spazio estremamente ampio per l’invenzione dovrebbe imporre agli autori un’attenzione particolare alla logica e alla verosimi-
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glianza delle trame e dei personaggi.
Invece il cinema di fantascienza ci propone esseri in grado di creare tecnologie per attraversare la galassia (o galassie), spesso con le loro intere civiltà, ma che non hanno risolto sfide tecnologicamente più modeste, per esempio produrre cibo e acqua, ripulire ambienti inquinati, o sostituire risorse naturali esaurite. Sono spesso cose per le quali noi poveri umani già possediamo tecnologie adatte. È generalmente la volontà politica che ci manca, ma chi sposta intere civiltà nello spazio intergalattico presumibilmente possiede volontà politica e capacità decisionale in abbondanza. Sembra inoltre assurdo pensare che alieni con tecnologie avanzatissime non si proteggerebbero dai microbi terrestri, che invece li fanno fuori in la guerra dei mondi. Gli assurdi alieni di Signs, vulnerabili all’acqua, si dimenticano pure gli impermeabili e gli ombrelli. E se fossero arrivati sotto la pioggia? Andrebbe inoltre valutata molto attentamente la diffusa convinzione che gli esseri umani rappresentino dei manicaretti particolarmente graditi ad esseri formatisi in luoghi ed ecosistemi presumibilmente molto diversi da quelli della Terra. Già in tempi preistorici, il sapore sgradevole della carne umana ha contribuito a salvare la nostra specie dai predatori. Perché un extraterrestre automaticamente farebbe della controparte umana un gradito spuntino?
Colpisce anche che agli extraterrestri tecnologicamente molto avanzati venga spesso attribuita una mentalità di fatto molto primitiva, con un’evidente mancanza di cultura strategica, a scapito del fatto che le loro vengono descritte quasi sempre come civiltà guerriere. Presumibilmente anche gli alieni avranno i loro Clausewitz, i loro Giap. O magari, nel preparare la loro aggressione, potrebbero voler conoscere i nostri pensatori strategici. Von Kriege, per esempio, si può scaricare gratis da Amazon, e si presume
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che gli alieni abbiano accesso all’Internet. Perché gli alieni sono pessimi strateghi?
Lo scarso spessore intellettuale di molto cinema di fantascienza spesso viene descritto come frutto dell’innamoramento dei registi e scenografi con gli effetti speciali, generati da strumenti tecnologici sempre più complessi. “La tecnologia degli effetti speciali non è più collegato al razionalismo o alla scienza, e tale dissociazione spiega in gran parte lo slittamento della fantascienza . . . verso il fumetto . . . o la letteratura di pura fantasia”15 .
Forse questa tecno-dipendenza trae forza dalla ricerca di immagini sempre più drammatiche dopo l’attentato alle Torri Gemelle16, anche se c’è chi riscontra una sorta di autocensura delle immagini fanta-belliche nei primi anni dopo l’11 settembre17. Anche uno spettatore di spirito analitico può godersi l’hardware che viene messo in mostra nei film di fantascienza, senza preoccuparsi dell’assenza di software mentale. È l’equivalente morale di gustare al bar la patatina fritta, che invece chi si preoccupa di mantenere la linea non terrebbe mai a casa. Si tratta di un piacere assolutamente momentaneo.
Registi e scenografi evidentemente non hanno pensato di attingere al pensiero strategico terrestre nel tentativo d’immaginare come le civiltà extraterrestri potrebbero fare la guerra. Il primato che Clausewitz assegna alla politica, quando definisce la guerra come “la continuazione della politica con altri mezzi”, non sembra far parte della cultura aliena. La guerra, la più possibile distruttiva e cruenta, sembra ormai per gli extraterrestri il punto di partenza, non d’arrivo. Mentre gli alieni di Ultimatum alla terra o di incontri ravvicinati del terzo tipo erano pronti a utilizzare strumenti che potremmo dire “diplomatici”, e non sembravano propensi ad invadere la Terra, gli extraterrestri adesso arrivano e incominciano a far fuoco, senza porsi troppi quesiti.
Nella sua analisi “trinitaria” della guerra, Clausewitz sottolinea inoltre
15 Sobchak, op. cit., p. 273. 16 Lincoln Geraghty, american Science Fiction Film and television, Oxford, Berg, 2009, p. 104. 17 Roy Menarini, Cinema e fantascienza, Bologna, Archetipolibri, 2012, p. 24.
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l’aspetto psicologico e la capacità e l’ingegno dei comandanti militari. Anche questi elementi, purtroppo, sembrano mancare dalle rappresentazioni degli invasori alieni che ci offre ormai il grande schermo. Che si tratti di esseri biologici o meccanici (come i transformer cattivi) vediamo la Terra minacciata da nemici programmati per la distruzione del pianeta. Non hanno bisogno, evidentemente, di venire motivati e stimolati. Soltanto agli umani è concesso d’avere un “io”, una qualsiasi autonomia mentale e psicologica. Gli invasori generalmente hanno sistemi militari che sembrano privare di significato il ruolo di eventuali comandanti e strateghi. Senza elementi psicologici o di leadership in gioco, gli alieni possono farci paura, ma sono sostanzialmente terribilmente noiosi.
Possiamo inoltre immaginare che, mentre Clausewitz venne duramente criticato dopo la Prima guerra mondiale come ideatore della “guerra totale”, troverebbe insensata e controproducente la sfrenata, cieca distruzione umana e materiale operata dagli extraterrestri cinematografici. È evidente in Von Kriege la critica di Clausewitz all’obiettivo della distruzione totale nelle guerre tra umani. Clausewitz ha dedicato, infatti, ampia attenzione al difficile problema di come limitare e moderare la guerra e i propri effetti. L’attenzione al giusto rapporto tra mezzi impiegati e risultati sperati permea l’opera clausewitziana, e fa parte della sua visione dell’etica che un leader deve dimostrare quando si trova costretto a impiegare la guerra come strumento della politica18 .
A dire il vero, non c’è da sorprendersi che le descrizioni cinematografiche d’ipotizzabili invasori extraterrestri non siano intrise dal pensiero di Clausewitz. Ormai anche per fare cinema, come per quasi tutto, ci sono scuole o facoltà apposite, molto tecniche, che sicuramente non richiedono ai loro studenti la lettura dei classici del pensiero. Dovremmo invece riflettere su un’altra questione: perché nell’attuale momento storico il cinema insiste a immaginare quasi esclusivamente civiltà extraterrestri in preda ad una cieca distruttività? Clausewitz ci insegna che la guerra cambia da un’epoca all’altra, ed è frutto del proprio contesto storico. Questo dovreb-
18 Sulla moralità nell’impiego della forza secondo Clausewitz, v. Suzanne C. Nielsen, “The
Tragedy of War: Clausewitz on Morality and the Use of Force,” Defence Studies, Vol. VII, n. 2 (2007), pp. 208-238.
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Clausewitz è vivo e lotta insieme a noi! (Starship troopers)
be valere anche per come ci immaginiamo la guerra. Presumibilmente ci sono dei motivi per i quali oggigiorno ci immaginiamo un faccia a faccia, o forse un “faccia a tentacoli” con alieni ultra distruttivi e sostanzialmente depersonalizzati (se così possiamo dire).
Non era sempre così. Nel primo Ultimatum alla terra, la minaccia delle altre civiltà della galassia di distruggere la Terra prima che gli umani possano incominciare a creare disastri a livello interplanetario rispecchia una logica, e anche un’attenta analisi del comportamento umana. Non sembra proprio del tutto opinabile. Va anche apprezzato lo sforzo da parte dell’emissario alieno di conoscere in maniera più diretta e approfondita gli esseri umani medi.
Un cinema di crisi?
Presumibilmente gli invasori extraterrestri che incontriamo nel cinema degli ultimi vent’anni rispondono a qualche esigenza psichica che produttori, registi, e sceneggiatori hanno riscontrato, o almeno credono d’aver riscontrato, presso il pubblico. Abbiamo visto come i film degli anni ’50 sembravano affondare le loro radici nella diffusa paura di uno scontro esistenziale tra Est e Ovest con le armi nucleari o nella paura dell’avvento di
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una società di massa troppo omogeneizzata. Gli alieni odierni, invece, non hanno più l’aspetto distinto, se forse un po’ austero, di Michael Rennie nel primo Ultimatum alla terra, o l’aspetto forse ancora più rassicurante del cittadino medio americano, come ne l’invasione degli ultracorpi. Oggi, invece, sembriamo voler immaginare alieni talmente diversi da noi da rendere impossibile qualsiasi sorta di riconoscimento reciproco. Cosa ci ha portato verso una condizione mentale di questo tipo?
Una risposta un po’ semplicistica è che “la narrativa fantascientifica dell’invasione [extraterrestre] emerge in tempi di crisi” e che “il riemergere delle narrative d’invasioni negli anni ’90 risponde alla paura del terrorismo”19. Ma questo, non ci spiega l’uscita di Independence Day nel 1996. L’undici settembre era ancora lontano, bisognava aspettare ancora due anni per gli attentati sanguinari alle ambasciate statunitensi in Kenya e in Tanzania, il deficit del bilancio dello Stato americano era molto modesto, l’economia USA complessivamente andava a gonfie vele, e i paesi dell’Unione Europea stavano portando avanti la creazione dell’Euro e altri progetti miranti a una maggior integrazione. Non proprio un momento di crisi, si direbbe, almeno per i paesi occidentali a livello interno, che non avevano ragione di sentirsi fortemente minacciati dall’esterno. Menarini infatti spiega Independence Day come ricerca di nemici per un’America che a quel punto non aveva più rivali20 .
Ma forse proprio la fine della Guerra fredda aveva aperto la strada a una nuova visione sociale della conflittualità, più complessa, incerta, irrazionale. Prima che arrivassero gli alieni sterminatori di Independence Day, avevamo visto i genocidi in Ruanda e nell’ex Jugoslavia, e l’estrema difficoltà che le strutture politiche, militari, e pure mentali ereditate dalla Guerra fredda incontravano per far fronte a tali nuove e spaventose sfide. Se già gli umani sembravano aver perso le staffe, perché aspettarsi un maggior ritegno da parte di eventuali invasori extraterrestri? Sparirono gli alieni ultra razionali, paladini del diritto interplanetario e della stabilità, incontrati in Ultimatum alla terra. Largo, invece, ai biechi distruttori tentacolati.
19 Sean Redmond, “Film since 1980,” in Mark Bould, Andrew Butler, e Sherryl Vint (eds.), routledge Companion to Science Fiction, Florence (KY), Routledge, 2009, p. 134. 20 Menarini, Cinema degli alieni, p. 179.
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A scapito del divertente teatro dell’assurdo di il dottor Stranamore o del paradossale concetto della mutual assured destruction (distruzione reciproca assicurata) con sigla MAD (che indica follia), la Guerra fredda si può ricordare come una sorta di esasperazione della razionalità, un continuo creare e applicare schemi razionali per spiegare la guerra che, ce lo ricordava proprio Clausewitz, alla fine si svolge sempre in una fitta nebbia, cioè in una condizione d’incertezza per antonomasia. Se nella politica e nella politica militare della Guerra fredda abbiamo spesso errato, è stato non per una mancanza di razionalità, ma per un’eccessiva razionalità, l’imposizione di schemi razionali e manageriali che non sempre riuscivano a comprendere tutte le motivazioni e gli impulsi degli esseri umani. Basti pensare alla quasi totale incomprensione del nazionalismo, per esempio, che ha contribuito in maniera fondamentale al fallimento americano nel Vietnam.
Certamente è anche l’11 settembre ad influenzare fortemente il nostro modo di immaginare potenziali avversari. Una visione sicuramente e volutamente estrema ci viene dall’intellettuale francese Jean Baudrillard, in un articolo scritto poco dopo l’11 settembre 2001, dove descrive gli attentati come momento di rottura dopo i noiosi anni ’90, per descrivere i quali riprende le parole dello scrittore argentino Macedonio Fernandez, che aveva parlato di uno “sciopero degli eventi” negli anni ’9021. (Si desume che Fernandez e Baudrillard abbiano letto poco i giornali durante quel decennio, ma forse i massacri in Ruanda e nell’ex Jugoslavia mancavano di spettacolarità.) Sulle pagine di le Monde, Baudrillard celebra, in un certo senso, l’11 settembre 2001 come realizzazione di un sogno radicato nelle menti di tutti gli occidentali, un suicidio da parte di un Occidente onnipotente, e perciò odiato, in fin dei conti, anche da chi in fondo beneficia dallo strapotere occidentale. Tali scene di suicidio, secondo Baudrillard, erano già diffuse nei film di disastri, ai quali si possono, volendo, associare quelli sulle invasioni extraterrestri22. A prescindere dalle molteplici affermazioni assurde (tra quelle già poche che risultano chiaramente decifrabili) nello scritto di Baudrillard, l’intellettuale d’Oltralpe sembra aver colto l’emer-
21 Jean Baudrillard, “The Spirit of Terrorism,” apparso in le Monde, 2 novembre 2001, traduzione di Rachel Bloul, http://www.egs.edu/faculty/jean-baudrillard/articles/the-spiritof-terrorism/ 22 Redmond, op. cit., pp. 137-38.
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gere di una nuova fase, difficile da comprendere, della conflittualità a livello mondiale.
Indubbiamente, il modo in cui i governi occidentali spesso hanno analizzato e descritto il terrorismo nel periodo post-11 settembre ha favorito una visione scarsamente strategica del comportamento degli avversari, noti o immaginabili. Il concetto della Global War on terror, poi formalmente abbandonato dall’Amministrazione Obama nel 200923 poneva non pochi problemi di logica strategica. Che senso ha combattere i sentimenti provocati dalle azioni dei propri avversari? Si combatte un avversario, non una condizione psichica. Accentuare l’effetto piuttosto che la causa può anche farci dimenticare che l’avversario mira a provocare terrore non in quanto tale, ma con una serie di obiettivi strategici e tattici, definiti in maniera sicuramente razionale. Sono questi che dovrebbero invece essere al centro della nostra attenzione. Il concetto della Global War on terror ha rischiato una pericolosa “de-razionalizzazione” dell’avversario. Se riflettiamo poi sul periodo in cui veniva preparata l’azione militare contro l’Iraq nel 2003, sembra di cogliere un mescolarsi indistinto delle diverse logiche strategiche di due avversari – Al Qaeda e Saddam Hussein – ambedue importanti ma molto diversi nei loro obiettivi e nelle loro maniere d’agire.
Se gli avversari e rivali umani di oggi vengono, in un certo senso, privati della loro razionalità, perché allora dovremmo imputare un’elevata razionalità agli avversari che ci divertiamo ad immaginare? Basta sostanzialmente che gli extraterrestri siano cattivissimi. Può essere che nel nostro immaginario collettivo gli alieni vengano utilizzati per spiegare cose che non riusciamo a spiegarci24 ma ciò non implica automaticamente che i comportamenti degli alieni abbiano una chiara logica interna. L’alieno immaginario serve principalmente le nostre necessità psichiche. E nell’attuale contesto storico, sembrano servirci extraterrestri privi di senso politico o strategico, produttori di macerie e di disgustose bave. Insomma, più un riflesso di una situazione dove continuiamo ad avere difficoltà a capire i ri-
23 Scott Wilson, Al Kamen, “’Global War on Terror is Given New Name”, Washington Post, 25 marzo 2009, http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2009/03/24/
AR2009032402818.html 24 Jodi Dean, Aliens in America: Conspiracy Cultures from Outerspace to Cyberspace (Ithaca, NY: Cornell University Press, 1998), 8.
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schi e le minacce con le quali ci dobbiamo confrontare che un vero stimolo a riflettere e a comprendere meglio la nostra attuale condizione.
Forse s’incomincia a uscire da questa fase. Recenti film come Prometheus e oblivion ci propongono alieni che sembrano avere motivazioni complesse e contrastanti, o dei quali si può soltanto presumere l’esistenza attraverso macchine che hanno costruito e lanciato nello spazio. Quantomeno c’è qualcosa di più al quale pensare. Negli Stati Uniti la televisione ci ha proposto in questi anni delle visioni fantascientifiche molto più interessanti di quelle che abbiamo visto nei cinema, in particolare la serie di telefilm Battlestar Galactica (nella versione 2004-2009, non quella del 1978-79) che riguarda una guerra civile esportata nello spazio, con robot senzienti, animati da una religione monoteista, che si scontrano con i pochi umani politeisti fuggiti al tentativo di genocidio operato dai robot. Va detto che nel corso di oltre 70 puntate gli autori hanno avuto modo di sviluppare una serie di trame intrecciate, di grande complessità, coinvolgendo un’ampia gamma di personaggi ben delineati. Questo nel cinema è ormai oggettivamente più difficile.
Conclusioni
Il cinema è ovviamente un’attività commerciale, e in fin dei conti la cosa fondamentale è vendere biglietti e poi video. Ma i film sono anche artefatti culturali e intellettuali che possono servire a stimolare la riflessione su questioni importanti. Basti pensare alla lunga serie di film americani, anche di grande successo commerciale, che hanno affrontato il problema del razzismo, per esempio indovina chi viene a cena? del 1967 (regia di Stanley Kramer) o il più recente the Help (2011, regia di Tate Taylor) un successo sul mercato americano, se non particolarmente a livello internazionale. Il cinema di fantascienza potrebbe in qualche misura favorire una riflessione ragionevolmente seria sugli ipotizzabili conflitti del futuro. Ma per questo sarebbe necessario immaginare eventuali invasori (o quantomeno rivali) extraterrestri un po’ diversi da quelli disegnati negli ultimi vent’anni. Probabilmente l’industria cinematografica non vorrà intraprendere un progetto di questo tipo. Ma niente ci proibisce di pensare a come rappresentare meglio un’aggressione extraterrestre.
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La miglior difesa è l’attacco! No Pasaran!
Sembra opportuno non attribuire agli alieni un potere smisurato, per poi ricorrere a un’improbabile deus ex machina per sconfiggerli. È ragionevole pensare che ci siano sempre limiti al potere, e interessante speculare su quali potrebbero essere i limiti e i punti deboli di civiltà tecnologicamente molto avanzate. È fondamentale ricordarsi che la distruzione materiale (e anche umana) non equivale a sconfiggere l’avversario, risultato che si misura prima di tutto in termini politici. A cosa potrebbe servire agli extraterrestri un pianeta coperto di macerie, prodotte con enorme dispendio di risorse? Infatti, pare sensato attribuire agli extraterrestri almeno una sorta di cultura strategica. Si può benissimo immaginare una logica strategica diversa da quelle alle quali siamo abituati, ma una logica, riconoscibile come tale, ci vuole. Rendiamoci conto che gli effetti speciali cinematografici servono principalmente per visualizzare gli effetti collaterali delle scelte politiche, strategiche, e tattiche dei protagonisti. Si può risparmiare sugli effetti speciali, che non devono sostituirsi a sceneggiatura e regia intelligente, evitando anche di dedicare troppa attenzione all’aspetto degli alieni. Più ci preoccupiamo a renderli fisicamente diversi da noi, più
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cresce la convinzione che agiscano in maniera priva di logica strategica. Diventano soltanto bizzarri animali ultra distruttivi. È più istruttivo l’extraterrestre intellettualmente e psicologicamente ripugnante che quello fisicamente ripugnante.
Va ripetuto, infine, che l’immagine che ci diamo degli ipotizzabili invasori extraterrestri non è altro che un’estensione del nostro modo d’immaginare gli avversari che già concretamente ci troviamo davanti, e anche noi stessi. Come sottolinea Menarini, “non esiste film di fantascienza che non analizzi . . . la condizione sociale, culturale, e comunitaria degli uomini con se stessi”25 .
25 Cinema e fantascienza, p. 39.
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