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di Virgilio Ilari, “
Cinema di guerra
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di Virgilio Ilari 21
Ut pictura poësis (Orazio, ai Pisoni, 361)
Nel novembre 2001 si svolse a Potsdam, presso il Militärgeschichtliches Forschungsamt (MGFA), un convegno di due giorni sulla guerra e il militare nel cinema (Krieg und Militär im Film), al quale parteciparono oltre 60 storici, sociologi e studiosi dei media, allora quasi tutti giovani. Gli atti, un volume di 654 pagine, furono pubblicati nel 2003 nella collana scientifica del MGFA (Beiträge zur Militär- und Kriegsgeschichte N. 59), a cura di Bernhard Chiari, Matthias Rogg e Wolfgang Schmidt1. Nato a Vienna nel 1965, tenente colonnello di complemento delle truppe esploranti della Bundeswehr, con richiami in Bosnia (SFOR) e Afghanistan (ISAF), autore di importanti monografie sulla guerra 1939-45 al fronte orientale, Chiari è attualmente direttore scientifico del Centro per la Storia militare e le scienze sociali (ZMSBw) della Bundeswehr, sorto nel 2013 dalla fusione tra l’MFGA e l’Istituto delle scienze sociali (SOWI), nonché docente all’Università della Bundeswehr di Amburgo, come il colonnello Rogg (1963). Il colonnello della riserva Schmidt insegna invece storia militare alla Führungsakademie, pure ad Amburgo. La parte più importante del volume è la prima, dedicata al metodo interdisciplinare nello studio del film di guerra, con saggi di Gerhard Paul (1951), docente di didattica della storia a Flensburg, di Clemens Schwender (1956), docente di amministrazione dei media alla Hochschule der populären Künste di Berlino, dei
1 Bernhard Chiari, Matthias Rogg, Wolfgang Schmidt (Hrsg.), Krieg und Militär im Film des 20. Jahrhunderts, Oldenbourg Verlag, 2, 2003.
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germanisti Ulrich Fröschle (1963) ed Helmut Mottel (1958) e di Günter Riederer (1956), psicologo evolutivo. Gli altri 21 saggi riguardano il confronto tra il cinema di guerra russo e americano, la grande guerra nel cinema di Weimar, la Luftwaffe nel cinema del Terzo Reich, e guerra e militare nel cinema tedesco del dopoguerra.
A quanto pare questo importante volume è del tutto ignorato in Italia. L’unica biblioteca italiana che ne possiede una copia è quella del Museo della Shoah di Roma. Abbiamo dunque un gap di oltre due lustri da colmare nei confronti della Germania. E il nostro compito è molto più difficile perché, non esistendo da noi enti neanche lontanamente paragonabili al livello e all’autorevolezza scientifica del MGFA e della Führungsakademie, dobbiamo supplire con povero ingegno privato alla fastosa ignavia di stato. Il risultato di questo primo tentativo italiano non sarà dunque al livello dell’omologo tedesco: ma segnerà quanto meno un cippo per misurare la distanza, e una spia della refrattarietà italiana alla storia militare critica.
La genesi di questo Quaderno della Società Italiana di Storia Militare è stata particolarmente complessa. L’idea originaria, a cui cominciammo a lavorare nel 2011, era semplicemente di documentare i vari modi in cui alcuni tra gli storici militari italiani si rapportano al cinema storico e in particolare al cinema di guerra, ma l’esecuzione si rivelò subito impervia e deludente. Infatti, quando ci mettemmo all’opera, ci rendemmo conto che non solo noi guardavamo al cinema di guerra con l’ingenuità degli spettatori comuni, ma che proprio la presunzione di conoscere i fatti “wie es eigentlich gewesen”, ci rendeva ancor più passivi di fronte allo schermo. Invece di considerare i film, e la relativa letteratura specializzata, come genere letterario e corpus di documenti storici da ricostruire, decrittare e interpretare in un contesto più ampio, ci mettevamo inconsciamente sulla difensiva, pronti a rintuzzare pregiudizialmente le immaginarie incursioni ultra crepidam di cineasti e critici cinematografici, pescando e mettendo alla berlina gli orologi ai polsi dei legionari. Un atteggiamento ben testimoniato da due volumi collettivi usciti a Firenze2 e a New
2 Sergio Bertelli (cur.), Corsari del tempo. Gli errori e gli orrori dei film storici, Firenze,
Ponte Alle Grazie. 1995.
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York3 in quello stesso 1995 in cui Robert A. Rosenstone pubblicava il saggio e la raccolta di scritti4 che oggi vengono considerati pietre militari della teoria generale del cinema storico5 .
Quel che ci proponevamo, fin dall’inizio, non era di impartire lezioni, ma di apprendere, rimettendoci umilmente a studiare per allargare gli orizzonti della disciplina che professiamo, e che per nostra esclusiva colpa restano in Italia ancora troppo angusti e autoreferenziali. Non si trattava solo di cogliere nei film di guerra l’aderenza e l’originalità rispetto alle fonti letterarie e storiche – basti pensare ai capolavori di Rossellini e Visconti o di Kubrick e Bondarčuk, o all’accuratezza di Culloden6 , Comma 227 , Gettysburg8 , Hiroshima9 , Master and Commander10 , il Mestiere delle
3 Mark C. Carnes (general Ed.), Past Imperfect: History According to Movies, New York,
Henry Holt & Company, 1995. 4 Robert A. Rosenstone, Visions of the Past: the Challenge of Film to our idea of History, Harvard, 1995: Id. (Ed.), revisioning History: Film and the Construction of a New
Past, Princeton, 1995. Per un confronto tra questi due volumi e quello curato da Carnes, v. Bryan F. Le Beau, “The Perils and Promise of Rendering the Past on Film”, American Studies, vol. 38, No. 1 (Spring 1997), pp. 151-155. Cfr. pure Rosenstone, History on
Film / Film on History, Pearson, 2006, 2nd edition 2012; Id. and Constantin Parvulescu, a
Blackwell Companion to Historical Film, Wiley-Blackwell, 2013. 5 Insieme a Boleslaw Matuszewski, Siegfried Kracauer, André Bazin, Marc Ferro, Gianni
Rondolino, Lino Micciché, Pierre Sorlin, Michèle Lagny, Peppino Ortoleva, Andrea Fioravanti, per non citare che i più noti. Cfr. Silvio Alovisio, “Cinema e storia: elementi per una bibliografia essenziale”, la Valle dell’eden, N. S., VI, nn. 12-13, luglio-dicembre 2004, pp. 206-285. 6 John R. Cook, “Making the Past Present. John Watkin’s Culloden”, in Barry Keith Grant and Jeannette Sloniowski (Eds.), Documenting the Documentary: Close Readings of Documentary Film and Video, New and Expanded Edition, Detroit, Wayne State U. P., 2014, pp. 217-236. 7 James H. Farmer, “The Catch-22 Air Force”, air Classics, Volume 8, No. 14, December 1972. 8 Nicholas White, acceding to War: Nationalism, Popular entertainment and the Battle of
Gettysburg, A Dissertation Submitted to the Faculty of the Department of English, Graduate College, University of Arizona, 2009. 9 Lawrence H. Suid, “Hiroshima and Nagasaki, Image and Reality”, in Rikke Schubart, Fabian Virchow, Debra White-Stanley, Tanja Thomas (Eds.), War isn’t Hell, it’s entertainment: Essays on Visual Media and the Representation of Conflict, Jefferson (N. C.), Mc-
Farland and Co., 2009, pp. 167-180. 10 Tom McGregor, the Making of Master and Commander: the Far Side of the World. New
York, W.W. Norton, 2003. Cfr. Anne Gjelsvic, “‘Tell Me That Wasn’t Fun’: Watching the
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armi11); ma anche di renderci conto che un film di guerra, proprio come un romanzo, un poema o un’icona, può essere, di per sé, più ricco di informazioni e di pensiero di intere pedanti biblioteche di pseudo-storia militare. Sta di fatto che l’unico “testo” italiano noto all’estero su quella che negli anni Sessanta si chiamava guerra rivoluzionaria, di liberazione nazionale e di riscatto anticolonialista, e che oggi viene chiamata in Occidente guerra “asimmetrica” e via mistificando, è un film.
Che la Battaglia di algeri possa essere considerato dal Pentagono più pertinente e istruttivo12 del Manuale di guerriglia di “Che” Guevara, è una di quelle informazioni che la maggior parte degli storici militari italiani ignora e comunque considererebbe un’ulteriore riprova, per dirla con Obelix, che “sono pazzi questi americani”. Ma il fatto non è solo impor-
Battle Scenes in Master and Commander with a Smile in Your Face”, in War isn’t Hell, it’s entertainment, cit., pp. 115-131. 11 Andrea Fioravanti, la “storia senza storia”. racconti del passato tra letteratura, cinema e televisione, Perugia, Morlacchi, 2006, pp. 183 ss. (“Il 500 italiano di Ermanno Olmi”). A mio avviso la lettura di Olmi (2001) è un’inconscia contaminatio tra la morte di Giovanni de Medici e quella del Cavalier Baiardo senza macchia e senza paura, stupidamente ucciso da un’archibugiata italiana a Romagnano Sesia il 30 aprile 1524. Quest’ultima, grazie a Brantôme, divenne un topos letterario “ariostesco”, mentre nel caso di Giovanni l’effetto politico ridusse a mero dettaglio la morte per arma da fuoco. Ma è questo che Olmi, fin dal titolo banalmente fuorviante, mette in risalto; perché, nonostante le precise citazioni di Guicciardini, è ideologicamente refrattario a cogliere la portata storica dell’evento, di cui si aveva piena coscienza nel Risorgimento e ancora una flebile eco nel 1956 (Giovanni delle Bande Nere, di Sergio Grieco e Luigi Capranica). Anche in questo film, come in tutti i suoi, Olmi è candido specchio del senso comune dell’Italia post-storica, che pochi anni fa si è lasciata ridicolmente raccontare di essere nata nel 1861 (v. Ilari, “L’Italia dopo l’Italia”, limes, 2012, N. 4, pp. 147-157). 12 Tony Shaw, Cinematic Terror: A Global History of Terrorism on Film, Bloomsbury Publishing USA, 2014, chapter 5: “Newsreel Guerrillas”. Il 27 agosto 2003 la Direzione per le Operazioni Speciali e i conflitti a bassa intensità del Pentagono dichiarò che il film era un’utile illustrazione dei problemi da affrontare Iraq. Nell’invito ad assistere alla proiezione si leggeva: “How to win a battle against terrorism and lose the war of ideas. Children shoot soldiers at point-blank range. Women plant bombs in cafes. Soon the entire Arab population builds to a mad fervor. Sound familiar? The French have a plan. It succeeds tactically, but fails strategically. To understand why, come to a rare showing of this film.”
L’edizione restaurata del film, rilasciata il 12 ottobre 2004 dalla Criterion Collection, è corredata da interviste a due ex consulenti del Pentagono per il controterrorismo, Richard
A. Clarke e Michael A. Sheenan che discutono il modo in cui guerriglia e terrorismo sono rappresentati nel film, mentre i registi Spike Lee, Mira Nair, Julian Schnabel, Steven Soderbergh e Oliver Stone discutono la resa cinematografica.
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tante per la storia del cinema: lo è, ben di più, per la storia militare.
La rilevanza strategica e il potenziale bellico di quel che Mussolini – ribaltando l’affermazione di Lenin sul cinema “la più importante delle arti” – definiva “l’arma più forte dello stato”13 sono aspetti ben noti della “guerra politica” (concetto coniato in Gran Bretagna durante la seconda guerra mondiale14), della “guerra psicologica” e, più in generale, di quel che oggi viene definito “soft power”.
L’“arma più forte” non sono ovviamente i film di guerra, ma l’intera “fabbrica dei sogni” di una determinata nazione o di una determinata epoca. La mobilitazione politica dell’industria cinematografica è stata, già nelle guerre mondiali e soprattutto nella guerra fredda15 ben più determinante della mobilitazione religiosa. L’ostilità di Hollywood alla guerra del Vietnam16 è stata perfino valutata come uno dei fattori della sconfit-
13 Guido Aristarco, il cinema fascista: il prima e il dopo, Bari, edizioni Dedalo, 1996, pp. 7273. 14 Y. M. Streatfield, the Complete record of the Political Warfare executive, CaB 101/131, 1949, typeset by Lee Richards, London 2001. Philip M. Taylor (Ed.), allied Propaganda in World War ii: the Complete record of the Political Warfare executive. From the National Archives (PRO), Thomson Gale, 2005. Robert Pee, “Political Warfare Old and New.
The State and Private Groups in the Formation of the National Endowment for Democracy”, 49th Parallel. An Interdisciplinary Journal of North American Studies, vol. 22 (Autumn 2008), pp. 21-36. 15 Tony Shaw, British Cinema and the Cold War: the State, Propaganda and Consensus,
I. B. Tauris, 2006; Id., Hollywood’s Cold War, Edinburgh U. P., 2007. Id. and Denise
J. Youngblood, Cinematic Cold War, the american and Soviet Struggle for Hearts and
Minds, U. P. of Kansas, 2014. Cfr. pure Id., British government propaganda and persuasion during the mass media, ; Id., eden, Suez and the Mass Media: Propaganda and Persuasion during the Suez. Crisis, New York and London, I. B. Tauris, 1996.. Cfr. pure Ronnie D. Lipschutz, Cold war fantasies: film, fiction, and foreign policy, Lanham, Rowman & Littlefield Publishers, 2001. Tra gli studi più recenti cito ancora, ad esempio, Lilya Kaganovsky, “Thinking again about Cold War Cinema”, in Sanja Bauhn and John Haynes (Eds.), Cinema, State Socialism and Society in the Soviet Union and Eastern Europe, 1917-1989: re-Visions, London, Routledge, 2014, pp. 24-48. Sul nesso tra imperialismo, militarismo e cinema in America v. pure Carl Boggs, “Pentagon Strategy, Hollywood, and
Technowar”, New Politics, XI, Summer 2006, pp. 1-41 e Id. and Leslie Thomas Pollard,
The Hollywood War Machine: U.S. Militarism and Popular Culture, Paradigm Pub., 2007.
Un saggio di Boggs sul marxismo di Gramsci (1976) ha esercitato una vasta influenza nella sinistra americana. 16 A proposito di Hearts and Minds (1976) di Peter Davis, cfr. David Grosser, «‘We Aren’t on the Wrong Side: We Are the Wrong Side’», in Linda Dittmar and Gene Michaud, From
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ta, e proprio per questo la conquista “dei cuori e delle menti” mediante la “guerra con le informazioni” (information warfare) e la retorica della “narrazione” (narrative) è divenuta il principale obiettivo strategico delle successive guerre americane, a cominciare dal 199017 .
La rilevanza storico-militare della “settima arte” non consiste poi soltanto nel fatto di essere anche la “quarta arma”. La produzione cinematografica è infatti anche strumento di diplomazia parallela18 e al tempo stesso uno dei fronti della guerra economica. Sarebbe molto interessante, infatti, studiare da una prospettiva storico-militare la conquista americana dell’industria cinematografica19, determinata in ultima analisi da un’imprevedibile “symbiotic relationship between the film industry and America’s stewards of high culture”20 e mantenuta con una rigorosa difesa del copy-
Hanoi to Hollywood: The Vietnam War in American Film, Rutgers U. P., 1990, pp. 269282. V. pure Julian Smith, Looking away; Hollywood and Vietnam, Scribner, 1975. Michael Paris, “The American Film Industry and Vietnam”, History Today, Vol. 37, No. 4 (April 1987).. Gilbert Adair, Hollywood’s Vietnam: from the green berets to Apocalypse now, New York, Proteus, 1981. Milton J. Bates, The wars we took to Vietnam: cultural conflict and storytelling, Berkeley, University of California press, 1996. Stefano Ghislotti e Stefano Rosso (cur.), Vietnam e ritorno: la guerra sporca nel cinema, nella narrativa, nel teatro, nella musica e nella cultura bellica degli Stati Uniti, Milano, Marcos y Marcos, 1996. Mark Taylor, The Vietnam war in history, literature and film, Edinburgh U. P., 2003. 17 Robin Wood, Hollywood from Vietnam to Reagan, Columbia U. P., 1986; Philip M. Taylor,
War and the Media: Propaganda and Persuasion in the Gulf War, Manchester U. P., 1992.
David L. Robb, Operation Hollywood: how the Pentagon shapes and censors the movies,
New York, Prometheus Book, 2004. 18 Stefano Pisu, Stalin a Venezia. l’Urss alla mostra del cinema fra diplomazia culturale e scontro ideologico (1932-1953), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013. Stefano Cambi, Diplomazia di celluloide? Hollywood dalla Seconda guerra mondiale alla Guerra fredda,
Milano, Franco Angeli, 2014. V. The Berlin Language of Art & Music Conference 2014
“Cinematic Cultural Diplomacy: Practicing Cultural Diplomacy through Film” (Berlin;
February 12th - 14th, 2014 - Held Parallel to the Berlin International Film Festival);The
Language of Art & Music Conference in Hollywood “one Star, one Heart: Using Cinema to create Social Awareness”(Hollywood; February 27th - March 2nd, 2014 - Held Parallel to the 86th Academy Awards). Cit. nel sito dell’Academy for Cultural diplomacy. 19 Jens Ulff-Møller, Hollywood’s Film Wars with France: Film-trade Diplomacy and the
Emergence of the French Film Quota Policy, University Rochester Press, 2001. 20 Peter Decherney, Hollywood and the Cultural Elite: How the Movies Became American,
Columbia U. P., 2013.
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right21; oppure la guerra degli anni Settanta per la TV a colori in Europa22 e la competizione sul digitale23. A sua volta l’uso attuale o potenziale del cinema a scopi bellici ne condiziona lo sviluppo artistico, tecnico e socioeconomico24 in misura più rilevante di quanto non avvenga per la letteratura, la storiografia e le arti visive, forme di creatività relativamente meno dipendenti dalla committenza e dai gusti sociali25, per quanto l’avvento del digitale stia accorciando le distanze e creando nuove sfide per la stessa condotta delle operazioni militari, ora esposte ad essere filmate in diretta con intenti non controllati od ostili26 .
21 Peter Decherney, Hollywood’s Copyright Wars: From Edison to the Internet, Columbia U.
P., 2013. 22 Rhonda J. Crane, the Politics of international Standards. France and the Color tV War,
Norwood (N. J.), Ablex, 1979. 23 Jeffrey A. Hart, Technology, Television, and Competition: The Politics of Digital TV, Cambridge U. P., 2004. 24 Stuart Klawans, “How the First World War Changed Movies Forever”, The New York Times, 19 November, 2000. 25 Peppino Ortoleva, Cinema e storia. Scene dal passato, Torino, Loescher, 1991, p. 7. 26 Cori E. Dauber, Youtube War: Fighting in a World of Cameras in every cell phone and photoshop on every computer, U. S. Army, Strategic Studies Institute, November 2009.
Chris Jones, Andrew Zinnes and Genevieve Joliffe, the Guerilla Film Makers Pocketbook: the Ultimate Guide to Digital Film Making, A&C Black, 2010.
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Tuttavia lo scopo che ci siamo proposti qui non è una storia militare del cinema come strumento di propaganda o di diplomazia parallela o come fronte di guerra economica. L’intento era d’imparare a leggere, come fonte per la nostra disciplina e ala luce della Film Theory27, quel corpus che i critici e gli storici del cinema definiscono “cinema di guerra” o “War Films” (WF).
Autori come Virilio, Chapman, LaRocca affrontano in modo specifico la rappresentazione cinematografica della guerra, ma il compito preliminare è, ovviamente, la ricognizione della materia, che rinvia alla classificazione dei generi cinematografici. Nel 1964, dopo un anno e mezzo di lavoro, un’apposita commissione dell’Istituto cinematografico di Belgrado concluse che, in base ai film prodotti fino ad allora, non era possibile trovare criteri assolutamente rigorosi e oggettivi28. La lista belgradese includeva 45 generi, tra cui Historical, War, Adventure, Spy. Dopo i saggi di Tom Perlmutter e Norman Kagan sul cinema di guerra, entrambi del 197429, la bibliografia analitica di Frank Manchel (1990) si limita a ripartire i WF in documentary30 e fiction31, un criterio illusorio32 non recepito dalle successive monografie sul tema33 .
27 Dudley Andrew, Concepts in Film Theory, Oxford U. P., 1984. Edward Branigan, Warren
Buckland (Eds), The Routledge Encyclopedia of Film Theory, 2013. 28 Film Genres. An Essay on Terminology and Determination of Film Genres, Beograd Film
Institute, 1964, cit. in Frank Manchel, Film Study: An Analytical Bibliography, Fairleigh
Dickinson U. P., 1990, Volume 1, pp. 279-280. 29 Tom Perlmutter, War Movies, Castle Books, London, Hamlyn, 1974; Secaucus, (N.J.), Castle Books, con un contributo di Derek Ware sugli effetti speciali (I film di guerra. Immagini spettacolari e storia della guerra in celluloide, Milano, Fratelli Fabbri, 1975). Norman
Kagan, I film di guerra. Milano Libri, 1978. 30 Manchel, op. cit., pp. 279-324. 31 Manchel, op. cit., pp. 325-380, menziona come sotto-generi Biographical WF, Adventure
WF, Spy WF, Historical WF, Films on the (U. S.) Military Branches, The Military of Foreign Countries, The Prisoner of War Films, Socially Conscious War, Rehabilization, The
Civilian Wars, Aviation Films. 32 Ortoleva, op. cit., pp. 12-13. 33 Wes D. Gehring (Ed.), Handbook of American film genres, New York, Greenwood, 1988.
Luca Aimeri e Giampiero Frasca, Manuale dei generi cinematografici: Hollywood: dalle origini a oggi, Torino, Utet, 2002. Maurizio Francesconi, Se muori ti ammazzo: introduzione al cinema di guerra americano, Roma, Lithos, 2005. Guy Westwall, War Cinema:
Hollywood on the Front Line, Wallflower Press, 2006. la messa in scena della guerra, se-
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Inizialmente, nel gergo dell’industria cinematografica americana, War Films indicava i film sulla guerra civile, distinti dai western34 . Nell’accezione corrente, il termine include i film (War Movies, WM) i documentari (WD) e le serie televisive, anche quelli in cui la guerra è solo pretesto, allegoria, mera ambientazione storica (sci-fi, fantasy, kolossal, spy-story, western35, shoah36, action, adventure, comedy, comics based). Alcuni autori propongono Combat Films per distinguere il genere dall’Home-Front Drama (tipo Since You Went Away) e dai film sull’impatto sociale e individuale della guerra (come The Best Years of Our Lives o the Deer Hunter)37. Ma a voler essere troppo rigorosi non sapremmo dove collocare, ad esempio, Barry Lyndon (1975), le cui celebri scene scandite dalle note di British Grenadiers, lilliburlero e Hoehenfriedberger March sono un cult per gli storici militari. D’altra parte il cinema di guerra non può essere confuso col dilagante “militairenment”38 incentrato sulla spettacolarizzazione della violenza39 o sulle performances aeronautiche40 .
zione monografica di Cinegrafie N. 18. 34 James Chapman, War and Film, Reaktion Books, 2008, p. 8. 35 Sono talmente tanti che le liste sull’en.wikipedia sono suddivise per decadi. Prima del 1920 ne furono prodotti 200; solo quelli della serie the three Mesquiteers prodotti dalla
Republic Pictures fra il 1936 e il 1943 sono 52. La categoria en.wikipedia lost Western (genre) films include 80 pagine, quella dei poster 480 immagini. 36 La list of Holocaust Films di en.wikipedia include 143 film (63 durante la guerra fredda e 80 dopo) e 168 documentari (22 fra il 1945 e il 1976; 26 negli anni ’80, 69 negli anni ‘90, 61 dal 2000 a 2014, di cui 9 solo nell’anno 2000). I film italiani sono dieci, da Kapò (Pontecorvo) a la vita è bella (Benigni). 37 Chapman, op. cit., p. 9. 38 Cfr. Matthew Thomas Payne, “Manufacturing Militainment: Video Game Producers and
Military Brand Games”, in War isn’t Hell, cit., pp. 238-255. Robin Andersen and Marin
Kurti, “From America’s Army to Call of Duty: Doing Battle With the Military Entertainment Complex”, Democratic communiqué, vol. 23, No. 1 (2009), pp. 45-65. 39 Stefano Rosso (cur.), Un fascino osceno: guerra e violenza nella letteratura e nel cinema,
Verona, Ombre corte, 2006. Di contro alla scarsa audience dei film sulla Long War in Iraq e in Afghanistan, american sniper (2014) ha incassato 315 milioni di dollari. 40 La categoria «Aviation films» di en.wikipedia include 19 “subcategories” (tra parentesi le pagine dedicate a ciascun film): Films abourt aviation accidents or incidents (70); American aviation films (199); Animated films about aviation (8); British aviation films (71); Canadian aviation films (80); Cold war aviation films (18); Documentary films about aviation (32); Films about shot-down aviators (52); Film s based on Thunderbirds (TV series) (3);
Films set in airports (23); Films set on airplanes (93); Japanese aviation films (16); Korean
War aviation films (12); Philippine aviation films (2); USAF in films (43, of which 30 in
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La “tassonomia” più recente dei sottogeneri del cinema di guerra è quella allegata ad un volume collettivo curato da David LaRocca41, e che riportiamo nel seguente riquadro:
• Childhood and coming-of-age during wartime • Historical drama (including elements of re-creation and reenactement) • War Romance and Melodrama – Serial Melodrama – Serial Combat • Ancient Battle – Medieval – Shakespeare • Religious Drama or Epic – Dictatorships and Totalitarian Regimes • Wars of Revolution / Insurrection / Independence – American Revolution • Civil War – World War I – World War II (Combat, Holocaust, Home
Front) • Korean War (Combat / Home Front) – Vietnam War (Combat / Home
Front) • Mercenary – Samurai – Pulp War / Western – Modern Western / Terrorism • Cold War – Home Front (Including Deployment and Return from War) • Journalists and Photojournalists (Features, Documentaries, and Series) • Documentary (General, On Policy, On Mental Health, With fictional elements and reenactements, Faux Documentary, Depictions on Race,
Serial or episodic) • Class/Race Conflict (e. g. Drafting Minorities, the Poor, Immigrants into War) • Gender Conflict • Courtroom and War Trials – Prisoner of War / Escape • Military Science Fiction
the WW2); Uruguayan Air Force Flight 571 (13); Vietnam War aviation films (3); WW1 aviation films (27); WW2 aviation films (48), Films about the atomic bombing of Hiroshima and Nagasaki (21); Battle of Britain (43). Il totale è 845 (al lordo delle ripetizioni di film classificati in più categorie); e non sono inclusi i film italian, russi e tedeschi. Cfr.
James H. Farmer, Celluloid wings: [the impact of movies on aviation, Blue Ridge Summit (PA), Tab Books, Shrewsbury - Airlife Publishing, 1984. Bruce Orriss, When Hollywood ruled the Skies: the aviation Film Classics of World War ii. Hawthorne, California: Aero
Associates Inc., 1984. Jack Harwick and Ed Schnepf, “A Viewer’s Guide to Aviation Movies”. the Making of the Great aviation Films, General Aviation Series, Volume 2, 1989. 41 David LaRocca (Ed.), The Philosophy of War Films, U. P. of Kentucky, 2014, pp. 489-509 (“The Multifarious Forms of War Films: the Taxonomy of Subgenres”).
Preliminari Per lo studio storico-militare di un genere cinematografico 31
La Rocca sottolinea inoltre l’incidenza crescente dei WF tra i film di successo: su 86 Academy Awards for Best Picture, ne classifica 16 come WM42; tra i WD vi sono 17 candidati e 4 vincitori dell’Oscar.
Ma quanti sono i WF? Nel 2006 l’Internet movies database43 registrava oltre 4.500 “war movies”, ma secondo Robert James Niemi appena 150, ossia il tre per cento, sono “ispirati da fatti veri” e possono perciò essere classificati come “military history films”. Il suo elenco include quasi esclusivamente film britannici o americani, che Niemi discute brevemente nei primi 4 capitoli di un suo libro: i seguenti trattano dei film storici sullo sport, la musica, l’arte, il crimine, i rapporti socio-economici e i conflitti razziali negli Stati Uniti44 .
Di selezioni di WF ve ne sono un’infinità, dai top 10 War Movies selezionati dai critici del Guardian e dell’observer45, alla Sam’s List46 che ne include (con varie ripetizioni) 1.623, il cui minimo comun denominatore è che nelle loro schede informative compare la parola “war”. Senza contare le liste esclusivamente soggettive47, che ci informano della cultura e dei
42 LaRocca, op. cit., p. 5. L’elenco include però film che non classificherei tra i WF, come the Deer Hunter (1978), out of africa (1985), Cinema Paradiso (1988), Dancing with
Wolves (1990), Schindler’s list (1993), Forrest Gump (1994) e la Vita è meravigliosa (1997). Gli altri sono Platoon (1986), Braveheart (1995), the english Patient (1995),
Gladiator (2000), the lives of others (2006), the Counterfeiters (2007). 43 http://www.imdb.com. 44 Robert James Niemi, History in the Media: Film and Television, ABC-Clio, 2006; Id,, inspired by True Events: An Illustrated Guide to More Than 500 History-Based Films: An Illustrated Guide to More Than 500 History-Based Films, Second Edition, ABC-CLIO, 2013. 45 La lista include: 1 Apocalypse Now (1979, Francis Ford Coppola); 2 Paths of glory (1957,
Stanley Kubrick); 3 the thin red line (1998, Terrence Malick); 4 ran (1985, Akira Kurosawa); 5 idi i smotri (1985, Elem Klimov); 6 three Kings (1999, David O. Russell): 7 the
Deer Hunter (1978, Michael Cimmino); 8 la Grande illusion (Jean Renoir); 9 roma città aperta (1945, Rossellini, Fellini); 10 Who eagles Dare (1968, Brian G. Hutton). Una lista amatoriale dei top 10 Best ancient/Medieval War Movies (youtube) include 10 ironclad (2011), 9 Ben Hur (1959), 8 King arthur (2004), 7 robin Hood (2010), 6 300 (2007), 5
Seven Samurai (1954), 4 Kingdom of Heaven (2005), 3 Troy (2004), 2 Braveheart (1995), 1 Gladiator (2000). 46 www.imdb.com/list/ls055723960/?start=301&view=detail&sort=listorian:asc 47 P. es. Claudio Bertieri, Ansano Giannarelli, Umberto Rossi (cur.), l’ultimo schermo: cinema di guerra, cinema di pace, presentazione di Cesare Zavattini, Archivio storico audiovisivo del movimento operaio, Bari, Dedalo, 1984. Lawrence J. Quirck, the Great War
Films: From the Birth of a Nation to Today, New York, Citadel Press, 1994. Steven Jay
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gusti del selettore e del suo ambiente di riferimento, ma non danno alcun apporto ad una ricerca rigorosa. Per avere senso, un repertorio48 dev’essere almeno tendenzialmente completo e catalogato in modo oggettivo incrociando molteplici indicatori (es. tipologia, committenza, costo, circolazione; epoca, nazione, argomento, genere, influenze, enfasi, implicazione ideologica, rilevanza tecnica e artistica …).
Oggi vi sono ottimi repertori generali49 e specifici, ad esempio dei filmsulla prima50 e la seconda51 guerra mondiale. Altri riguardano la Corea52, il
Schneider (cur.), 101 film di guerra, Monteveglio (BO), Atlante, 2010; Claudio G. Fava,
Guerra in cento film, Recco, Le Mani Microart’s, 2010. 48 Umberto Eco, Vertige de la liste, Paris, Flammarion, 2009. Cfr. James Delbourgo and
Staffan Müller-Wille, “Listmania”, isis, The History of Science Society, Vol. 103, No. 4 (December 2012), pp. 710-715 e 735-742 (Delbourgo, “Listing People”). . 49 Robert Davenport, The encyclopedia of war movies: the authoritative guide to movies about wars of the twentieth century, New York, Facts on file, 2004. von Thomas Klein,
Marcus Stiglegger und Bodo Traber (Hg.), Filmgenres: Kriegsfilm, Stuttgart, Reclam 2006. Constantine Santas, James M. Wilson, Maria Colavito, Djoymi Baker (Eds.), the
Encyclopedia of Epic Films, Lanham (Maryland), Rowman & Littlefield, 2014. 50 Roger Smithe (Ed.), The first world war archive, introduction by Stephen Badsey, catalogue entries compiled by Stephen Badsey...[et al.], Trowbridge, Flicks Books, 1994. La bibliografia è immensa, ma citiamo almeno il saggio di Luke McKennan, “Propaganda, patriotism and profit. Charles Urban and British Official War films in America during the
First World War”, Film History, vol. 14, No. ¾ “War and Militarism, 2002, pp. 369-389..
Tra i contributi italiani, citiamo Pier Marco De Santi, 1914-1918 : una guerra sullo schermo, Roma, Rivista militare, 1988; Id., la grande guerra nel cinema italiano, Firenze,
Pagliai polistampa, 2005; Giaime Alonge, Cinema e guerra. Il film, la Grande Guerra e l’immaginario bellico del Novecento, Torino, Utet, 2001; Giuseppe Ghigi, le ceneri del passato. il cinema racconta la grande guerra, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014. 51 Frances Thorpe and Nicholas Pronay, British official films in second world war: a descriptive catalogue (1939-1945), Oxford, Clio Press, 1980. Thomas Doherty, Projections of war: Hollywood American culture and World War II, New York, Columbia U. P., 1993.
John Whiteclay Chambers II and David Culbert II (Eds.), World War ii, Film, and History, Oxford U. P., 1996. S. Paul Mackenzie, British War Films 1939-1945, London, A&C
Black, 2001. Jeanine Basinger, The World War II combat film: anatomy of a genre, Middletown, Wesleyan U. P., 2003. Peter B. High, the imperial Screen: Japanese Film Culture in the Fifteen Years’ War, 1931-1945, Univ of Wisconsin Press, 2003. Jo Fox, Film
Propaganda in Britain and Nazi Germany: World War II Cinema, Bloomsbury Academic, 2007. Terry Rowan, World War ii Goes to the Movies & television Guide Volume i a-K,
Lulu.com, 2012. King-fai Tam, Timothy Y. Tsu, Sandra Wilson (Eds.), Chinese and Japanese Films on the Second World War, London, Routledge, 2014. 52 Paul M. Edwards, a Guide to Films on the Korean War, Greenwood Publishing Group, 1997
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Vietnam, la guerra nucleare53. Nel 2002 sono stati repertoriati oltre 2.550 film sulla storia europea 1550-181554 .
I repertori a stampa diventano però rapidamente obsoleti, mentre quelli online possono essere costantemente accresciuti ed emendati. L’edizione inglese di wikipedia include parecchie liste di war film e TV specials, una a carattere generale e varie specifiche per i conflitti maggiori55. La prima lista include 1.500 film elencati per confitto in ordine cronologico: è particolarmente ricca di illuminanti spunti geopolitici e storico-militari la parte relativa ai conflitti del post guerra fredda, che include ben 278 film; exJugoslavia (68), ex-Unione Sovietica (26), guerra del Golfo (16), attentato delle Due Torri (10), guerra al terrore (21), Afghanistan (30), Iraq (46), Africa (27), Medio Oriente (12), Messico (9), Mercenari (13).
53 La wikipedia List of films about nuclear issues include 34 documentari e 56 film. Una Lista dei dieci migliori include 1 Dr. Strangelove (1964), 2 threads (1984), 3 The Day After (1983), 4 testament (1983), 5 Countdown to Looking Glass (1984), 6 When the Wind
Blows (1986), 7 the War Game (1966), A Day called X (1957), Damnation Alley (1977),
Dreamscape (1984). Ma, a parte il capolavoro di Kubrick, tra i film sulla guerra nucleare uno storico militare preferisce the Hunt for the red october (1990), K-19: The Widowmaker (2002) o il misconosciuto the Bartini Code. the riddle of the red Baron (2005). Sul tema, v. i recenti lavori di Maurizio Zinni [Schermi radioattivi. L’America, Hollywood e l’incubo nucleare da Hiroshima alla crisi di Cuba, Marsilio, Venezia 2013], Jerome F.
Shapiro [Atomic Bomb Cinema: The Apocalyptic Imagination on Film, London, Routledge, 2013] e David Deamer [Deleuze, Japanese Cinema, and the atom Bomb: the Spectre of Impossibility, Bloomsbury Publishing USA, 2014]. 54 Michael Klossner, The Europe of 1500-1815 on film and television: a worldwide filmography of over 2550 works, 1895 through 2000, McFarland & Co., 2002. 55 Molto interessanti sono le List of book based war films, suddivise per epoche storiche: (pre-1775), (1775-1898), (1898-1926), (1927–45), (post-1945), (peace). Altre riguardano conflitti particolari (es.: List of films and television shows about the American Civil War;
List of World War I films; Vietnam War in film, con 40 documentari e 94 film, di cui 10 vietnamiti, uno cinese e 4 italiani!; List of nuclear holocaust fiction e List of r). Circa la seconda guerra mondiale, oltre alla lista generale (List of World War II films) ve ne sono altre specifiche su particolari tipologie (List of Allied propaganda films of World War II; list of World War II documentary films; List of World War II short films; List of German films of 1933- 45). La List of film featuring the U. S. Marine Corps include 44 titoli. La voce
Submarine films ne elenca 139, di cui uno (1999) sui sottomarini confederati, uno (2007) sull’affondamento del lusitania, 26 prodotti durante la grande guerra, 11 tra le due guerre, 52 sulla seconda guerra mondiale, 2 su quella di Corea, 29 sulla guerra fredda, 13 sul post-guerra fredda e 26 sul futuro o sul passato fantastico. V. pure Jonathan Rayner, the
Naval War Film. Genre, History, National Cinema, Manchester U. P. 2007. I film su Troia e le Amazzoni sono nella List of film based on Greco-Roman mythology.
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Un buon terzo di questi film non è occidentale, e alcuni fanno risaltare le insospettate reticenze, rimozioni, omissioni e auto-censure del nostro cinema, incluso quello che si vorrebbe “progressista” o “di denuncia” (ma right or left, my Country)56. Un paio di film africani riguardano ad esempio pagine nere della storia militare italiana che sono anche pagine bianche del cinema italiano: Asad al-ṣaḥrāʾ (1981)57 e Adwa (1999). Altri denun-
56 Mitsushiro Yoshimoto, “The Difficulty of Being Radical: The Discipline of Film Studies and the Postcolonial Order”, in Braudy, Film Theory, cit., pp. 865-877. 57 il leone del deserto (أسد الصحراء, Asad al-ṣaḥrā), il film del produttore e regista siro-americano Mustafa Akkad [ucciso nel 2005 ad Amman durante un attentato di al-
Qā’ida] su Omar al-Mukhtār (1861-1931), l›eroe della resistenza senussita impiccato dagli italiani, interpretato nella pellicola da Anthony Quinn. Il film, parzialmente finanziato da
Muhammar Gheddafi con 35 milioni di dollari, presenta compiacenti distorsioni storiche tese ad avallare l›appropriazione dell›icona da parte del regime tripolino nato (e poi morto) proprio come antagonista dei senussiti della Cirenaica. Peraltro autorevoli storici, sia pure «di sinistra» come Angelo Del Boca, Denis Mack Smith e Drew Middleton (esperto militare del New York Times e di New Republic), hanno tributato entusiastici attestati al film, che, detto fra noi, non calca poi troppo la mano nel racconto delle vessazioni italiane e della trappola sleale infine tesa a Omar al-Mukhtār. Del resto sui retroscena del film
«cova ci gatta», perché fu girato pure a Roma, a Latina e Caprarola con una équipe tecnica in maggioranza italiana (tra cui la costumista), e il cast conta 13 attori italiani su 24, inclusi
Raf Vallone, Gastone Moschin, Lino Capolicchio e un paio in ruoli di arabi («una faccia una razza»). Nella voce dedicata al film su it.wikipedia, viene sbrigativamente accreditata la tesi, inesatta, che in Italia sia stato inizialmente oggetto di una formale censura. La realtà è però più complicata (testimonianza di Piero Crociani, resami il 24 ottobre 2012.).
Presentato a New York il 17 aprile 1981, the lion of the desert suscitò un’immediata interrogazione dell’on. Olindo Del Donno, un sacerdote cattolico eletto nelle liste missine.
Nella risposta, il sottosegretario agli esteri Raffaele Costa, liberale, informò il parlamento che fin dal maggio 1981 i nostri uffici diplomatici a Washington e a New York avevano monitorato la pellicola, giudicata uno spot propagandistico del regime libico che negava faziosamente l’umanità del soldato italiano ormai concordemente riconosciuta dagli storici onesti. Nel 1982 il film fu presentato a Cannes e proiettato in Europa, ma non in Italia, tanto che il settimanale Panorama ipotizzò un intervento politico della Farnesina sul distributore italiano, allo scopo di evitare che la proiezione rinfocolasse le polemiche circa l’espulsione degli italiani decretata da Gheddafi nel 1969 (e ampiamente indennizzata dal nostro governo) e turbasse il vitale business petrolifero tra la Penisola e la sua Quarta
Sponda. Costa negò le pressioni, ma Akkad dichiarò di averle apprese dal distributore italiano. A sua volta Emo Egoli, allora presidente dell’Associazione per l’amicizia italo-araba, precisò che non vi era stato da parte del Ministero dello spettacolo alcun diniego del nulla-osta alla distribuzione prescritto dalla legge 21 aprile 1962 n. 161, ma soltanto perché nessuno l’aveva richiesto! In seguito un importante istituto bancario italiano mise allo studio un contributo per finanziare la distribuzione del film in Italia, ma l’ipotesi fu archiviata a seguito dell’uccisione in Libia di un tecnico dell’Eni. Il film fu comunque proietta-
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ciano “di che lacrime grondi e di che sangue” la laïcité francese – Weda’an Bonapart (1985), Camp de Thiaroye (1987), indigènes (2005) – o ci mostrano le nostre epopee (Gallipoli, 1981) “from the other side of the hill” (Gelibolu, 2005; Çanakkale 1915, 2012).
Certamente la maggior parte di questi film (come ad esempio quelli turchi su Gallipoli) sono mere imitazioni, a ruoli rovesciati, dell’epica euroamericana. Altri però sono innovativi anche nei modelli e nei temi, e quindi sono particolarmente interessanti per la storia militare critica, che adotta un canone oggettivo e non identitario [agli antipodi dell’epica nazionale che ispira la storia militare “monumentale”, riducendola a mero contrappunto retorico e corporativo della storia “civile”].
Illuminante è anche lo studio di come un determinato tema o soggetto cinematografico persiste, evolve o si auto-replica nel tempo. Ad esempio, un esame diacronico dei 69 film e documentari (1955-2009) relativi al conflitto israelo-palestinese permette di evidenziare e mappare l’andamento della battaglia mediatica tra i due schieramenti, entrambi agguerritissimi58 .
Alcuni di questi film, come Waltz with Bashir (2008) e lebanon (2009),
to al festival di Montecatini nel 1983 e presentato al Mifed, il mercato internazionale per prodotti audiovisivi più importante in Italia. L’intervento della Digos per impedire la proiezione organizzata per il 10 marzo 1987 a Trento da un gruppo pacifista fu stigmatizzato in parlamento da Democrazia proletaria, la quale chiese di proiettarlo alla Camera. La pellicola fu nuovamente proiettata il 17 settembre 1988 a Riminicinema, e poi in altri festival.
Malgrado un impegno assunto da Craxi quand’era presidente del consiglio, il film non fu invece mai proiettato dalla Rai. Due proiezioni del 2002 (in gennaio al convegno di studi storici di Sesto San Giovanni, e in novembre al Festival dei Popoli di Firenze) suscitarono ancora un’interrogazione parlamentare, cui rispose, il 15 aprile 2003, il ministro della
Cultura e dello spettacolo Giuliano Urbani. In occasione della sua prima visita ufficiale in Italia Gheddafi si fece accompagnare dall’anziano figlio di al-Mukhtār e il 10 giugno 2009, atterrato a Ciampino, esibì, appuntata sul taschino, la foto dell’arresto dell’eroe, ripetendo poi il gesto il 28 marzo 2010, quando il premier Silvio Berlusconi compì l’ormai celebre baciamano. Una ricaduta di questa effimera congiuntura politica fu che il leone del deserto entrò nel circuito televisivo italiano: Sky lo mandò infatti in onda l’11 giugno 2009 replicandolo più volte. Emanuele Farruggia, “Il Leone del Deserto”, NSC, XVI n. 1, 2012, pp. 147-158. 58 V. Ilari, “Da exodous a lebanon. Il cinema nel conflitto israelo-palestinese”, in risk N.
S. N. 10, pp. 65-70 (liberal X, N. 54, novembre-dicembre 2009). Holger Pötzsch, “The
Ubiquitous Absence of the Enemy in Contemporary Israeli War Movies”, in LaRocca, op. cit., pp. 313-334.
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sono capolavori del cinema pacifista contemporaneo. Gli Antiwar sono però la categoria più sfuggente dei WF59. Wikipedia ne elenca 143, ma alcuni, come Saving Private Ryan, non sono affatto pacifisti60 mentre altri, come Apocalypse Now, sono più sottilmente ambigui61. Nel suo celebre saggio del 1961 sul modo corretto di fare un film pacifista Paul Goodman contrapponeva la rappresentazione della violenza “conclusa e catartica” a quella “ripetitiva” e “pornografica”, che induce mortiferi sensi di colpa e pulsioni auto-punitive, immancabilmente proiettati su capri espiatori62 . Anche secondo Chapman il carattere pacifista non sta nella crudezza delle immagini, ma nel persuadere il pubblico che la guerra è un’atroce tragedia63 .
Questa finalità pedagogica è, sempre secondo Chapman, il vero limite artistico degli Antiwar, come dei Prowar. Ma lo studio dei film pedagogici non si esaurisce nella denuncia del loro carattere propagandistico, come nota Ortoleva a proposito della storiografia italiana sul cinema totalitario: se il cinema non è “storia scritta col fulmine”64, non può neppure essere ridotto a “luogo dove agiscono le strategie della menzogna e della manipolazione”65. L’intento pedagogico è costitutivo della produzione artistica, ma l’arte è in compenso una fonte inesauribile di “memi”, di “spie” inconsce del sentire comune, di “rivelatori privilegiati” del “latente dietro l’apparente, del non visibile dietro il visibile”66, di quelle che Siegfried Kracauer definiva le “disposizioni psicologiche profonde di un popolo in una specifica fase della sua vicenda”67 .
Ad esempio, l’Inghilterra laburista di Mary Quant, dei Beatles e del
59 Michael T. Isenberg, Film against War, 2004. 60 Chapman, op. cit., p. 32. 61 Frank P. Tomasulo, “The Politics of Ambivalence: Apocalypse Now as Prowar and Antiwar Film”, in Dittmar and Michaud, From Hanoi, cit., pp. 145-156. 62 Paul Goodman, “Designing Pacifist Films”, liberation , April 1961 (poi in Utopian Essays and Practical Proposals, Vintage Books, 1964). 63 Chapman, op. cit., pp. 117 ss. 64 La celebre frase fu pronunciata dal presidente Wilson a proposito di the Birth of a Nation (1915) di Griffith. Cfr. Ortoleva, op. cit., p. 2, nt. 4. 65 Ortoleva, op. cit., pp. 15-16. 66 Marc Ferro, in Ortoleva, op. cit., p. 33. 67 Ortoleva, op. cit., pp. 43-44.
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ritiro a Ovest di Suez era la stessa di Dr. No (1962, primo dei 23 film 007), Lawrence of arabia (1962), Zulu (1964), Kartoum (1966), the Charge of the light Brigade (1968), the Man Who Would Be King (1975), Zulu Dawn (1979), fino alla spudorata apologia australiana del vile omicidio di un ecclesiastico colpevole di essere boche e pacifista (Breaker Morant, 1980) e ai remake di the Four Feathers (2002) e Zulu (2013) sullo sfondo della Global War On Terror68. Il confronto col coevo cinema italiano è particolarmente illuminante, se si pensa che Isandlwana (1879) fu peggio di Adua (1896) e che Dogali e Macallé non furono da meno di Rorke’s Drift.
I WF riflettono, enfatizzano e propagano i mutamenti dei ruoli sessuali69 e della propensione al militarismo70 . the Wind and the lion (1975) preannunciava l’esportazione della democrazia negli ex Imperi coloniali eu-
68 Lee Grieveson and Colin MacCabe, vol. 1 empire and Film; vol. 2 Film and the end of empire, British Film Institute, 2011. 69 Karen A. Ritzenhoff, Jakub Kazecki (Eds.), Heroism and Gender in War Films, Palgrave
Macmillan, 2014. Sul “gender” nel cinema di guerra v. pure Robert T. Eberwein (Ed.), the
War Film, Rutgers University Press, 2004, pp. 117-192. Ralph Donald and Karen Mac-
Donald, Women in War Films: From Helpless Heroine to G.i. Jane, Lanham (Md), Rowman & Littlefield, 2014. Emmett Early, the alienated War Veteran in Film and literature,
McFarland, 2014. 70 Lawrence H. Suid, Guts and glory: great American war movies, Reading, Addison-Wesley, 1978; nuova ed. riveduta Guts and Glory: The Making of the American Military Image in Film, U. P. of Kentucky, 2002; Id., Sailing on the Silver Screen: Hollywood and the U.S.
Navy, Naval Institute Press,1996; Dolores A. Haverstick and Lawrence H. Suid, Stars and
Stripes on Screen: A Comprehensive Guide to Portrayals of American Military on Film, 2005. V. pure Frank J. Wetta and Stephen J. Curley, Celluloid wars: a guide to film and the American experience of war, New York, Greenwood, 1992. Emmett Early Jefferson,
The war veteran in film, McFarland, 2003. Peter Rollins, Why We Fought: America’s Wars in Film and History, U. P. of Kentucky, 2008. Cfr. Andrew J. Bacevich, The New American Militarism. How Americans Are Seduced by War, with a new Afterword, Oxford U. P., 2005.
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ropei71. E bastava vedere Pomarančeve Nebo (2006), rigas Sargi (2007), Sluga Gosudarev (2007), Brestskaia krepost’ (2010), Bitwa Warszawska 1920 (2012)72 , 1612 (2012) per cogliere le avvisaglie della crisi ucraina73 . Sono film di cui in Italia non ci siamo neppure accorti, refrattari come siamo a quel “collasso delle convenzioni”74 che in Germania, ad esempio, ha reso possibile Das Boot (1981) e Der Untergang (2004)75 .
Se il cinema riflette la e contribuisce alla persistenza dei miti identitari, opera allo stesso modo anche in rapporto al revisionismo storico. E’ il caso, ad esempio, delle reinterpretazioni del western76, di Lincoln77, della seconda guerra mondiale78. Se non sono pure increspature superficiali, il revisionismo storico e il collasso delle convenzioni sono accolti con ostilità dai custodi della memoria, costretti alla denuncia solo quando la rimozione e il silenzio sono divenuti impossibili. Das Boot suscitò polemiche innescate da un veterano e storico della guerra sottomarina tedesca79. E
71 Ahmed Ould Meiloud, Image of Arabs in Hollywood Films, ProQuest, 2008. 72 Emanuele Farruggia, “La battaglia di Varsavia”, Nuova Storia contemporanea, XIX, N
1.
73 V. Ilari, “Codice Prometeo”, risk N. S. N. 5 (liberal, IX, N. 49, novembre-dicembre 2008). 74 Elisabeth Krimmer, “More War Films: Stalingrad and Downfall”, in Jaimey Fisher and
Brad Prager (Eds.), the Collapse of the Conventional: German Film and its Politics at the
Turn of the Twenty-first Century, Wayne State U. P., 2010, pp. 81-108. 75 Carlo Altinier, “Mein ciak: Hitler returns!”, Cineforum, 45, N. 445 (giugno 2005), pp. 38-43. 76 Jennifer L. McMahon, B. Steve Csaki (Eds.), The Philosophy of Western, U. P. of Kentucky, 2010. Jeremy Agnew, The Old West in Fact and Film: History Versus Hollywood,
McFarland, 2012. 77 Mark S. Reinhart, Abraham Lincoln on Screen: Fictional and Documentary Portrayals on
Film and television, Jefferson (N. C.), McFarland and Co.,2009. 78 Michael Paris (Ed.), repicturing the Second World War. representations in Film and television, Palgrave Macmillan, 2007. Maria Cristina Ana Kabiling, World War ii in Popular american Visual Culture. Film and Video Game after 9/11, A Thesis submitted to the
Faculty of The School of Continuing Studies and of The Graduate School of Arts and Sciences in partial fulfillment of the requirements for the degree of Master of Arts in Liberal
Studies, Washington, Georgetown University, 2010. Jonny Roberts, How has the representation of World War II on film changed from 1939 to 2009, A dissertation for BA (Hons)
Film & Video, International Film School, University of Wales, Newport, 2010. 79 Lothar-Günter Buchheim, “Kommentar – Die Wahrheit blieb auf Tauchstation”, Geo, No. 10, 1981. David G. Thompson, “Villains, Victims and Veterans: Buchheim’s Das Boot and the Problem of the Hybrid Novel-Memoir as History”, Twentieth Century Literature, 39,
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analoga reazione hanno avuto i veterani della seconda guerra mondiale di fronte al revisionismo hollywoodiano80 e quelli della guerra patriottica russa contro Vojna i Mir81 .
Quello di Guerra e Pace è un esempio particolarmente interessante per il rapporto tra storia, letteratura e cinema. Com’è noto Tolstoj aveva avuto come consulente militare il generale Ivan Petrović Liprandi (1790-1880), una vera autorità in materia. Tanto più i veterani si sentirono offesi a sentirsi spiegare che la guerra è una lotta di forze impersonali, in cui quasi nessun ruolo è svolto da singoli leader e che Napoleone non fu sconfitto dall’eroico esercito, ma dalla sua hybris e dalla tattica temporeggiatrice di Kutuzov che rifletteva e trasformava in arma la leggendaria pazienza russa82. Sopravvissuta a Tolstoj, nel primo ventennio sovietico l’epopea del 1812 fu soppiantata dalla lettura pseudomarxista e sentenziosamente economicista di Michail Pokrovskij (1868-1932). Liberato dal gulag nel 1934, lo storico miliare Evgenij Tarle (1874-1955) cercò di conformarsi a questa visione, scrivendo una biografia di Napoleone (1936) in cui Borodino era una sconfitta russa, la guerra zarista impopolare e il ruolo dei partigiani di Davydov marginale e non paragonabile alla guerriglia spagnola.
Senonché lo stesso anno Stalin impose un cambiamento radicale nella storiografia e nel 1938 il povero Tarle pubblicò una storia del 1812 che enfatizzava il patriottismo del popolo, la saggezza di Kutuzov e la vittoria di Borodino83. Il libro fu tradotto in inglese nel 1942 e nel 1943 Tarle
No. 1 (Spring 1993), pp. 59-78. Robert C. and Carol J. Reimer, “The Boat”, in Nazi-retro
Film: How German Narrative Cinema Remembers the Past, New York, Twayne, 1992, pp. 72-78. Sulla fotografia v. Marco Hadem, Die Kameratechnik in Wolfgang Petersens Kinofilm “Das Boot”, GRIN Verlag, 2007. 80 Suzanne Broderick, Real War vs Reel War: Veterans, Hollywood, and WWII, Rowman &
Littlefield, 2015. 81 Dan Ungurianu, “Versions and Visions of History: Veterans of 1812 on Tolstoy’s War and
Peace.”, Slavic and east european Journal, vol. 44, No.1, 2000, pp. 47-62 (ora in Id.,
Plotting History: The Russian Historical Novel in the Imperial Age, University of Wisconsin, 2007). 82 Sul punto v. l’eccellente Rick McPeak and Donna Tussing Orwin (Eds), Tolstoy On War:
Narrative art and Historical truth in “War and Peace”, Cornell U. P., 2012. 83 In un gustoso intervento ad un convegno italo-russo sul 1812, Aleksej Bukalov, direttore dell’Agenzia ITAR-TASS, ha raccontato che nel 1958 un professore dell’Istituto Relazioni Estere di Mosca, di nome Grunt (!), mise un votaccio ad uno studente tedesco-orientale
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fu consulente del film Kutuzov (di Vladimir Petrov)84, che si apriva con la Preobraženskij Marš, esaltava Kutuzov, Ermolov e Bagration ma non trattava male Barclay e Alessandro I [mentre Suvorov, del 1939, aveva infierito sul povero Paolo I], e dove il ritratto e le posture di Napoleone erano ispirate ai quadri di Vasilij Verešagin (1842-1904), uno dei maggiori illustratori dell’epopea russo-zarista. Il processo si concluse un quarto di secolo dopo, quando il capolavoro di Bondarčuk (1967)85, oltre a stracciare i precedenti e successivi War and Peace americani, monumentalizzò definitivamente l’interpretazione tolstojana del 1812, in origine dissacratoria. Uno dei veterani che nel 1868 polemizzarono contro Vojna i Mir, il generale Norov che aveva perso una gamba a Borodino, si sentì particolarmente indignato dal particolare “assurdo” di Kutuzov che, alla vigilia della battaglia, legge un romanzetto sentimentale, per giunta francese! Accadde però che dopo la morte di Norov fu trovata nella sua biblioteca proprio una copia del romanzetto, con un’annotazione autografa del proprietario: “letto a Mosca quand’ero ferito e prigioniero dei francesi nel settembre 1812”86. Non sempre l’aggiunta di un particolare è, come in Tolstoj, un tocco di genio: spesso un esperto vi scorge un anacronismo inconsapevole. E a volte i particolari sono tutti verisimili, ma è la loro ridondanza insistita, il loro insieme, che rivela il peggiore anacronismo. Saving Private Ryan è considerato il culmine dell’accuratezza storica nel campo cinematografico. Ma i cameramen del D Day non filmavano a colori e non furono in
che, interrogato su chi fosse il vincitore di Borodino, aveva risposto candidamente “Napoleone” [Tatiana Polomochnykh (cur.), 1812 Italianzi v russkoj kampanii. Gli Italiani nella campagna di russia. Atti del convegno Cassino Roma. Materiali konferenzii Kassino-
Rym oktobr 2012, Roma, AC Villa Paolozzi –Società Italiana di Storia Militare, p. 113]. 84 Evgenij Aleksandrovič Dobrenko, Stalinist Cinema and the Production of History: Museum of the revolution, Edinburgh U. P., 2008, pp. 94-96. 85 Olga Palatnikova, Neizvestnyj Bondarčuk (Bondarčuk sconosciuto), EKSMO, 2010. 86 A. E. Norov, in Voennyj Sbornik, 1868, n. 1. Il ritrovamento del romanzo (les aventures di roderick random, di Madame de Genlis) fu fatto da Michajlovskij-Danilevskij, il più grande storico russo delle guerre del 1799-1815. Cit. in Heinrich Böll, “Tentativo di avvicinamento. Considerazioni sul romanzo ‘Guerra e pace’ di Tolstoj” (estratti dal saggio critico su Krieg und Frieden, Verlag Kiepenheuer und Witsch, Köln, 1973), in Sante Graciotti e Vittorio Strada (cur.), Tolstoj oggi, Quaderni di San Giorgio, Firenze, Sansoni, 1980, pp. 180-181. Cfr. Pure Dominic Lieven, “Tolstoy on War, Russia, Empire”, in McPeak e Tussing, cit..
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grado di catturare nulla delle sequenze drammatiche create da Spielberg 53 anni dopo87. All’opposto, nella Battaglia di algeri inquadrature, fotografia (sgranata, in bianco e nero) e montaggio creano l’effetto del cinegiornale. L’iperrealismo è artificio, il neorealismo arte. Quale sia il mezzo – pittura, scultura, teatro, trompe-l’oeil, lanterna magica88, tableau-vivant, fotografia, cinema – l’autenticità del reenactement è nell’insieme illusoria89 .
Il centenario della grande guerra ha dato un forte impulso agli studi interdisciplinari che da alcuni anni si propongono di innovare la narrazione della guerra90, o per dir meglio, di costruire, soprattutto sulla base della letteratura, della memorialistica, delle arti visive e del cinema, canoni alternativi a quelli propri della storia militare critica91. Depurata di una certa
87 Chapman, op. cit., p. 31: “Saving Private Ryan is realistic not so much because it represents what the Second World War was like but rather because it conforms to our expectations of what a Second World War combat movie should be. Or, as one commentator puts it, ‘the history of the war film might prove a better context for understanding Saving Private Ryan’s achievements than the history of the War itself’”. 88 Cfr. Koen Vermeir, “The Magic of the Magic Lanterne (1660-1700): on analogical demonstration and the visualization of the invisible”, The British Journal of History of Science, vol. 38 No. 2, June 2005, pp. 127-159. 89 Jenny Thompson, The Authentic Illusion: Twentieth Century War Reenactors and the
Ownership of History, in War isn’t Hell, it’s entertainment , cit.,, pp. 181-197. 90 Heather Jones, “As the centenary approaches: the regeneration of First World War historiography”, Historical Journal vol. 56, N. 3, 2013, pp. 857-878. Virginie Renard, the
Great War and Postmodern Memory: British Fiction 1985-2000, P. I. E. Peter Lang, 2013. 91 V. Ilari, “Gli italiani in Spagna”, in Vittorio Scotti Douglas (cur.), Gli italiani in Spagna nella guerra napoleonica (1807-1813). i fatti, i testimoni, l’eredità, Novi Ligure, 22-24 ottobre 2004, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, p. 161-190. Kathryn Zabelle Derounian-Stodola (Ed.), The War in Words: Reading the Dakota Conflict Through the Captivity Literature, U of Nebraska Press, 2009. Rachel Woodward and K. Neil Jenkings, K.N.,
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Refugeehood: Interdisciplinary Perspectives, London, Routledge, 2014.
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supponenza, l’antropo-sociologia della narrazione militare è comunque un importante contributo ai “war studies”, e non va confusa con le sconsiderate estrapolazioni dall’antropologia culturale e dalle comunicazioni sociali puerilmente recepite dal Pentagono dopo la fine della guerra fredda, contribuendo alla colossale fabbrica di eufemismi e affabulazioni mistificanti che ha caratterizzato la sciagurata ideazione e la catastrofica condotta della Global War On Terror.
Tra i danni collaterali vi è stata la pretesa di includere nella formazione degli ufficiali e perfino nella dottrina operativa saccenti vulgate del “cultural turn”92, la “svolta culturale” verificatasi nelle scienze umane (e in particolare nella storiografia) a partire dagli anni Settanta da cui sono nati i “gender”, i “postcolonial”, i “memory” e gli stessi “film studies”. Il peggiore è stato però il furbastro corto circuito della “narrazione strategica” (Strategic Narratives), secondo cui per vincere la guerra basta raccontare (a casa) di averla vinta93 [come del resto aveva già fatto il rilievo di Ramses III nel tempio di Abu Simbel a proposito della legnata di Kadesh, o la Francia e l’Italia a proposito della seconda guerra mondiale].
Ma, tradizionale o “culturale”, la narrazione storica corre lo stesso rischio di autenticità illusoria della ricreazione visiva. Nel cinema il correttivo, sperimentato da John Huston nel 1945, è “hit the camera”, ossia simulare l’effetto di un’esplosione sulla cinepresa94. Anche lo storico può
92 Jeremy Black, War and the Cultural turn. Polity, 2011. Patrick Porter, “Good Anthropology, Bad History: The Cultural Turn in Studying War”, Parameters, Summer 2007, pp. 4558. 93 Andreas Antoniades, Ben O’Loughlin and Alister Miskimmon (Eds.), Great Power Politics and Strategic Narratives, center for Global Political Economy, Working Paper, University of Sussex, March 2010. V. Ilari, “strategia della storia”, in Luciano Bozzo (cur.),
Studi di strategia, Milano, Egea, 2012, pp. 61-86. Alister Miskimmon, Ben O’Loughlin and Laura Roselle (Eds.), Strategic Narratives: Communication Power and the New World order, London, Routledge, 2014. Jeffrey J. Kubiak, War Narratives and the american National Will in War, Palgrave Macmillan, 2014. Beatrice De Graaf, George Dimitriu, Jens
Ringsmore (Eds.), Strategic Narratives, Public opinion and War: Winning domestic support for the afghan War, London, Routledge, 2015. 94 LaRocca, op. cit., pp. 1-2, dove cita a Cameraman at the Front (1946), il documentario russo che contiene le immagini registrate dalla cinepresa quando l’operatore Vladimir
Sushinsky fu colpito a morte e quelle girate subito dopo da un collega, a sua volta caduto in azione.
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segnalare al lettore che la realtà che sta sperimentando non è l’evento ricostruito, ma il processo di ricostruzione: e lo fa dando conto puntualmente delle sue fonti. Oltre alle fonti, ci sono però l’ideologia e l’esperienza profonda, quella che Napoleone chiamava la réminiscence95, fatta anche di icone, la propria Wunderkammer inconscia.
Ut pictura poësis96. Nella diversità delle tecniche e nella specificità dei canoni espressivi, storiografia, letteratura e arti visive si influenzano e si rimandano reciprocamente97. Del resto la ragazza spagnola (1976) di Lucio Ceva testimonia che il capolavoro di un grande storico militare può essere il progetto di un film surrealista. Le differenze fra le arti stanno nel modo di rappresentare, ma il loro scopo – l’interpretazione – è unico. La “film philosophy” si avvale degli stessi strumenti critici – filologia, retorica, iconografia, psicanalisi, semiotica – impiegati dalla storia dell’arte e dalla storia della storiografia e del pensiero storico (incluse le loro declinazioni storico-militari).
95 «Sur le champ de bataille l’inspiration n’est le plus souvent qu’une réminiscence». 96 Oratio, ad Pis., 361. Cfr. « Η ποίηση είναι μια ζωγραφική που μιλάει και η ζωγραφική είναι σιωπηλή ποίηση » (« La poesia è pittura che parla, la pittura è una poesia silente », attribuito a Simonide). Rensselaer W[right] Lee, “Ut pictura poësis. The Humanistic Theory of Painting”, the art Bulletin, vol. 22 (1940), pp. 196-269 [come monografia New
York, Norton, 1967]. Mario Praz, Mnemosyne. The Parallel between Literature and the Visual arts, The A. W. Mellon Lecture in Fine Arts 1967, Bollingen Series xxxv, 16, Princeton U. P., 1970. 97 Theodore K. Rabb, The Artist and the Warrior: Military History through the Eyes of the
Masters, New Haven (CT) and London, Yale U. P., 2011. Peter Tame, Dominique Jeannerod and Manuel Bragança (Eds.), Mnemosyne and Mars: Artistic and Cultural Representations of Twentieth-century Europe at War, Cambridge Scholars Publishing, 2013.
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