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2. 7 – I Ruffo verso il declino: l’ascesa di una nuova classe imprenditoriale a Bagnara pag

comune un po’ di tutti i Baroni ma che nel caso della Gran Casa di Bagnara risultò marcatissima. Il Partito dei Ruffo a Bagnara era guidato dai Romano e in prima fila figuravano i notai che regolavano gli atti pubblici e le deposizioni «spontanee». Seguiva poi l’amministratore dei beni ducali, che stava in contatto col Governatore Regio e col Giudice ai Contratti, con l’obiettivo di proteggere gli interessi estrattivi e produttivi derivanti dal patrimonio ducale. Alla Gran Casa erano poi legati numerosi massari,165 soprattutto delle zone di Pellegrina e Solano, ove gestivano le mandrie e i boschi di tutti i Ruffo. I massari avevano influenza totale sui contadini e buona rappresentatività all’interno delle Congreghe. La Gran Casa possedeva anche una flotta di barche da pesca, capitanata da una splendida «speronara» costruita nei cantieri di Bagnara, alla Marinella di Porto Salvo. Infine l’amministrazione delle cartiere e dei molini, che dava forte peso politico nella municipalità e fra i commercianti e che vedeva nella famiglia Pataria la maggiore alleata. Lo schieramento che, come si nota, risultava variegato nella sua composizione sociale, faceva capo pressoché integralmente ai grandi finanzieri di Bagnara: la famiglia Versace, che aveva coi Ruffo un rapporto di collaborazione di vecchia. I Romano addirittura figuravano in prima persona in contratti che in realtà facevano capo alla Casa Ducale. In tal senso ad esempio, operò il Priore Don Fabrizio Ruffo con Don Antonino Romano, titolare figurativo nell’acquisto dello Stato di Maida coi Casali di Lacconia, Cortale, Curinga, Jacurso, San Pietro e Vena. Il valore dell’operazione fu astronomico: 157.500 ducati e Don Antonino si trovò ad amministrare in nome proprio e a interesse di Don Fabrizio Ruffo, ben 12.400 abitanti distribuiti in 177 chilometri quadrati. L’operazione fu eseguita a inizio del ‘700 ma ancora a tutto il 1791 il feudo risultò intestato ai Romano.166 C’era poi la Famiglia Sciplino che operava «a mare» anche in nome proprio ma per conto di Don Nicola e soprattutto i Versace che nello schieramento ducale, costituivano la mano «politica» locale, se così possiamo definirne la posizione in chiave attuale. Don Pasquale Versace risultava ad esempio impegnato all’interno del «governo del Reggimento» cioè del Municipio in modo tale che la carica di Sindaco restasse sempre sotto il controllo dei Magnifici di Bagnara e questo avveniva in modo talmente sfacciato, da sollevare le proteste delle altre fasce produttive del Paese. Il partito Feudale infatti, era contrario allo spirito riformistico «stricto sensu», in assenza cioè di una rinegoziazione del ruolo periferico della feudalità nell’amministrazione e nella direzione produttiva. Esso era d’accordo quindi sulla necessità di procedere al rinnovamento della struttura periferica dello Stato, ma rivendicava il ruolo di gestore dell’apparato burocratico dei processi. Questo Partito aveva nella Regina e nel suo seguito pilotato da Acton, i massimi nemici.

2.7 – I Ruffo verso il declino: l’ascesa di una nuova classe imprenditoriale a Bagnara. S’era poi formata a Bagnara, nel corso degli ultimi cento anni, una classe imprenditoriale dalle molte sfaccettature. L’attività primaria dell’Ansa fu sempre quella del legname e il primo circuito economicoproduttivo (già al tempo dei Normanni) era partito dai boschi per giungere, attraverso le segherie, all’attività manifatturiera moderna: coste e fasce, ceste da trasporto, materiale per carpenteria edile e ad uso marittimo, prevalentemente militare nel Medioevo, adesso anche commerciale. Commercianti e Padron di Barca che facevano capo alla piccola borghesia, garantivano l’attività sulla quale confluivano i contributi di Mastri d’Arte, negozianti, pescatori, contadini e piccoli proprietari. Il commercio si sviluppava attraverso le «Società» e questo consolidava i rapporti interpersonali di questa gente. Il Partito era nelle solide mani delle famiglie impegnate nelle attività imprenditoriali, quali i De Leo e i Messina-Spina, in un certo senso avversari degli Sciplini, ma c’erano i mastri più in vista, quali i Florio, Arena, Denaro, Mazzei, Zoccalà, Calabrò e i Barbaro, oltre ai Padron di Barca: Potamia, Morello, Barbaro e Fondacaro. Questa «Coalizione» aveva in mano il Governo della Città e le cariche all’interno delle Congregazioni, ad esclusione delle due massime cariche: il Sindaco e il Priore. In questa «Coalizione», vi erano soggetti che avevano viaggiato o erano in contatto col mondo esterno. Soprattutto medici, avvocati ma anche uomini di cultura. I Savoia e i Lapiana erano gli esponenti più in vista di questa frangia estrema, nella quale confluivano anche alcuni giovani delle famiglie Messina e Romano, e questa fascia risultava la nemica più agguerrita della posizione reazionaria e clericale che faceva capo ai Fedele, Muscari, Parisio e ai Savoja e quindi agli interessi dell’Abbazia e del Partito Clericale. In questo settore della società bagnarese aveva trovato terreno fertile la massoneria la quale s’imponeva come pensiero forte proprio in chi cercava una migliore qualificazione del proprio ruolo, finalizzato a una missione sociale da esprimere nel miglioramento delle condizioni di vita della gente del

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165 I massari avevano la loro grande festa il 3 febbraio con un pellegrinaggio alla chiesa di San Biagio a Plaesano, vicino Galateo e ora in frazione di Ferooleto della Chiesa. Migliaia di contadini e massari giungevano con carri trainati da buoi e prima di entrare in chiesa, compivano l’antico rito dei tre giri attorno all’edificio. Poi entravano in chiesa portando un pugno di cereali per farli benedire. Li avrebbero poi mescolati con le altre sementi prima della semina sui campi. Portavano anche un frammento di tegola che mettevano a contatto colla statua del Santo. Quindi avvolgevano il frammento con della stoffa. Sarebbe servito per applicarlo sul ventre dei bambini in caso di mal di pancia poiché San Biagio è il Santo taumaturgo che toglie i dolori al ventre. Il frammento di tegola, prima del 1783 era un mattone intero. Dopo il terremoto tutto fu macerie e allora i contadini, anche per ricordare la loro condizione miserevole durante quei giorni, sostituirono il mattone col frammento, dello «straku». (U. DI STILO, Tre giri ed è subito festa, in Gazzetta del Sud, 1/II/1987). E’ singolare la somiglianza col rito dell’albero di Bisognano. Si trattava di una vecchia quercia, al rione Pisano, sotto la quale si disputavano contratti e patti, si redimevano liti, ecc. Si svolgevano anche matrimoni. I candidati giravano con i parenti tre volte attorno all’albero e dopo tutti li riconoscevano come sposati. Cfr.: G.GALLO, Cronistoria della Città di Bisognano, Brenner ed., Cs. 1989). 166 ASN, Registi, Relevi e Cedolari di Calabria Ultra, ced. 87,f.456; per i riferimenti al Priore di Bagnara cfr.: M.PELLICANO CASTAGNA, Le ultime intestazioni feudali in Calabria, Frama ed., Chiaravalle C. 1978, pg. 124.

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