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Allegato 1 – Le impressioni di viaggio di Pilati in Calabria a metà del Settecento pag

APPENDICE 1

LE IMPRESSIONI DI VIAGGIO DI PILATI IN CALABRIA A META’ DEL SETTECENTO

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Pilati: un grande illuminista trentino formatosi alle scuole di Salisburgo, Lipsia e Gottinga. Il primo viaggio in Italia, Pilati lo intraprese nel 1756, a 23 anni, per approfondire i suoi studi di giurisprudenza. Viaggiatore instancabile, negli anni Sessanta visita molte città europee prima di fermarsi a Trento, per occupare la locale cattedra di giurisprudenza e rifinire il trattato su L’esistenza della legge naturale (Zatta ed., Venezia 1764) e, l’anno seguente, la Dissertatio de servitutibus realibus. Nel 1767 Pilati apre una propria tipografia a Coira ed è lì che vede la luce lo spettacolare trattato Di una riforma d’Italia ossia dei mezzi di riformare i più cattivi costumi e le più perniciose leggi d’Italia. Un violento atto d’accusa contro le mollezze del Sistema e le ingerenze ecclesiastiche nei gangli vitali della vita sociale italiana, un’Italia vista come retaggio, come memoria di virtù formatesi nell’era classica. Aperta la condanna al modo cattolico di interpretare la Religione nella vita comune di tutti i giorni e lodi all’operosità dei Protestanti. Auspicava una dinamica di riforme ideate e orchestrate da un Principe in sintonia colla Chiesa; il primo provvedimento doveva essere l’abolizione degli Ordini Monastici e il controllo statale sull’attività del Clero. Certamente non un saggio rivoluzionario, visti i tempi e tuttavia suscitò scalpore. Si Trattava di un libro pubblicato in Italia, contenete attacchi diretti al sistema religioso imperante e soprattutto, un libro che ovunque andò a ruba essendo stato accolto con entusiasmo. La difesa dell’uomo capace di produrre idee e fatti, della sua intelligenza intuitiva che sempre ha bisogno di ragionare in un ambiente di libero pensiero, trova il suo compimento nel trattato: Riflessioni di un italiano sopra la Chiesa in generale, sopra il Clero sì regolare che secolare, sopra i Vescovi, ed i Pontefici Romani, e sopra i diritti ecclesiastici dé Principi (Zatta ed., Venezia 1768). Concetti ribaltati poi in una serie di interventi sul Giornale Letterario che a Coira iniziava le pubblicazioni e che successivamente verrà ristampato a Napoli. Soprattutto per l’accrescersi dei consensi attorno a lui e alle sue opere, la Chiesa lo indicò come pericoloso peccatore, dando ordine attraverso i Gesuiti, di perseguitarlo in tutti i modi. Espulso da Venezia nel 1769, si rifugia nuovamente a Coira e qui dè alle stampe la sua Istoria dell’Impero Germanico e dell’Italia dai tempi dei Carolingi fino alla pace di Vestfalia. Nel 1774 pubblicava il Traité des Loix civiles per il rinnovamento del diritto giustinianeo. Riprende anche l’attività di viaggiatore, sempre con l’intento, classico dell’Illuminismo, di capire, conoscere, sperimentare. Vedono così la luce i Voyages en différentes pays de l’Europe en 1774 – 1775 – 1776 ou Lettres écrtites le l’Allemagne, de la Suisse, de l’Italie, de la Sicilie et de Paris (L’Aja 1777), poi ristampate come Lettere scelte del Signor xxx viaggiatore e filosofo, tradotte dal tedesco (1781). Nel 1780 vide la luce il Traité des lois politiques des Romains du temps de la République e l’Histoire des revolutions arrivées dans le gouvernement, les lois et l’esprit humain, aprés la conversion de Constantin jusque à la chute de l’Empire d’Occident. E’ il momento dell’intesa collaborazione coll’Illuminismo bavarese e di piena maturità e consapevolezza. Proprio in questo periodo si ristampano le Lettere (tip. Poschiavo, L’Aja 1782). Pilati era partito per la Calabria in compagnia di un principe. Prima di salire sulle cavalcature, questo Principe aveva mandato in avanguardia molta gente armata per la ricognizione della via al fine di individuare e neutralizzare eventuali postazioni di briganti. La carovana era poi scortata da “un battaglione di giganti” con quattro pistole alla cintola e uno schioppo a tracolla. Un viaggio che si presentò subito lungo per via delle pessime strade. Pilati che partì da Salerno convinto di rinvenire templi e tradizioni magno-greche ma, tappa dopo tappa, si sarebbe dovuto ricredere sempre più. Anche l’acquisizione d’informazioni sul passato classico della Calabria fu difficoltosa: “gli abitanti sono troppo ignoranti” per tentare un dialogo su quei temi, gente messa male perché “ruinata dà Baroni e dal Clero”. Esemplare il caso del curato di Policastro, che confuse Temesa con un vino forestiero. Un frate di Cosenza si prestò meglio all’informazione e, sentiti i commenti sull’ignoranza dei calabresi, così si rivolse al filosofo illuminista: Signor Forestiero, le genti di questo Paese sono di quelle di cui la sacra bibbia dice: hanno piedi e non camminano, hanno orecchi e non odono (pag.30). Così il frate che si dichiarava seguace di Linneo. A Morano e Castrovillari, nessuno seppe comunicargli informazioni su Syphoeum, a Saracena i frati non seppero cosa fosse Sestium e ad Altomonte, con sorpresa, incontrò un giovane già visto a Parigi che lo ospitò ristorandolo con “buon vino e formaggio eccellente”. Scrive Pilati: mi domandò se io aveva dunque commesso dei peccati sì grandi da dover venire a purgarli fra le montagne e nelle osterie della Calabria. (Pag.33). Riesce anche ad avere notizie dell’antica Balbia da un frate che gli cita l’Aceti. Un viaggio “terribile” lo portò poi a Cetraro dove nessuno sapeva di Lampetia. Paola la trovò “una delle più belle città della Calabria”, piena di frati che governavano una vasta campagna di loro proprietà. Cosenza fu descritta come “patria di gente di gran quantità di merito e di dotti”. Il viaggio d’avvicinamento a Monteleone è pregno d’ansia. Pilati spera di vedere le vestigia di Hipponium, la città dei fiori profumati. Trova solo fichi e bambagia. Il tropeano non gli risultò ancora sollevato dal terremoto del 1638 e gli abitanti di Lametia erano ancora sfollati a Lamato. L’Ordine di Malta aveva cominciato la bonifica del territorio e i lavori stavano proseguendo. Deliziosa e grande la piana che si estende da Mileto, tutta seminata di villaggi “che anticamente erano la maggior parte città celebri e popolarissime, come Metauria, Taurianum, Portus Orestis, di cui non restano oggigiorno i menomi vestigi, da quelli di una Città in poi, che alcuni pretendono essere stato Taurianum

vicino al villaggio di Laureana” ma altri “sostengono con altrettanta probabilità, che questo Taurianum era situato là dove ora è Seminara”. Man mano che il viaggio procede, diminuisce nel filosofo illuminista la speranza di “osservare” gli elementi del passato classico i cui ritrovamenti, avrebbero consentito di innescare una specie di “macchina del tempo” per dipanare l’evoluzione dell’intelligenza umana in tremila anni di storia. Pilati contava molto sui “templi” calabresi che, a differenza di quelli greci, in un certo senso inquinati dalla continua presenza dell’uomo, s’immaginava isolati, sperduti, e quindi in un certo senso “intatti”. L’osservazione scientifica sarebbe risultata formidabile. Pilati non solo non rinviene più il paradiso classico dell’uomo, ma scopre, si rivela davanti a lui, una realtà miserabile, fatta d’istinti bestiali, ignoranza, superstizione e prepotenza dei pochi forti verso i molti deboli. In tal senso lo sorprende ancor più però, la totale sottomissione del debole verso il forte, quasi che il debole avesse la consapevolezza di esser tale e basta, mentre il nobile signore fosse, sempre agli occhi del debole, un’altra cosa e fosse giusto che così risultasse. Man mano che il viaggio prosegue dunque, il filosofo diviene sempre più pessimista. Oltre la piana, “si cammina per lunga pezza sopra un terreno di talco”. Pilati, che si supporta con le vedute disegnate dal Padre Minasi di Scilla, sa già che oltre la Piana si aprirà davanti ai suoi occhi la straordinaria veduta del Canale e vi si avvicina con rinnovato interesse. Fra Palmi e Scilla “non s’incontra nessun avanzo d’antichità” ma scopre una “antica muraglia” e chiede in giro di conoscerne l’origine. Gli è riferito che si tratta di una difesa fatta costruire da Anassilao, tiranno di Reggio ma altri affermavano trattarsi di una prigione fatta costruire da M.Crasso per chiudervi, lontano dal mondo, Spartaco ribelle. Nel viaggio d’avvicinamento al Canale, Pilati anticipa anche la descrizione su molte miniere scavate fra le montagne lungo la direttrice Scilla/Reggio. Nel 1734 si scoprì a S.Agata di Reggio una miniera d’argento e giacimenti di piombo e stagno erano in quelle vicinanze. In genere, scrive Pilati, queste scoperte danno “molto impaccio” ai Baroni perrocché essi perdono subito i loro diritti sopra sì fatte montagne le quali sono riunite ai beni della Corona. (pag. 39)271 Pilati dunque ammira dall’alto dei Piani della Corona, sopra Bagnara, l’incanto dello Stretto e quindi attraversa l’antichissimo Passo di Solano, il più temuto e oscuro “covo del male” che si possa immaginare. Quindi comincia a discendere gradatamente verso Reggio. La potente Piazza d’Armi gli risulta in realtà “piccola” e in mano al Clero che “ha la parte migliore della fertile campagna”. Il luogo è fra “i più belli del mondo” e vi si produce lana lucida colla quale a Reggio si fabbricano guanti e calze. Ottima la seta che vi si commercia. Ma su tutto questo, Pilati non smette di evidenziare la dualità: in Calabria i Baroni sono ricchi dove che il popolo e poverissimo (pag. 44). Se non fosse per i genovesi, asserisce, i Calabresi morrebbero di fame. Questo perché la Calabria non ha porti per questo i francesi e gli inglesi non vi approdano. Lo fanno i genovesi che navigano con piccoli navigli; si avvicinano alle coste scoscese e si arrampicano su per le rupi andando a fare il giro dei villaggi dove comprano a buon mercato dai contadini “quel poco d’ulive, di vino, di fichi e di mandorle che hanno nei loro campi raccolto o rubato nelle gran terre dé loro signori”(pag.45). E’ tempo di una prima sintesi del viaggio e Pilati, che conosce quanto di meglio la cultura europea più progredita aveva generato ai suoi tempi, può esaminare la situazione in modo estremamente disincantato. Qui in Calabria le teorie fisiocratiche subiscono una pesante battuta d’arresto e anche l’economia monetaria, di Broggia e dell’abate Galiani, risultavano sconvolte. Pilati costata, quasi affranto da questa realtà, che il popolo calabrese non ha denaro e commercia coi prodotti che si ricava. Con questi prodotti si paga la merce, si comprano le grazie degli Ufficiali e dei loro Signori e si fanno i processi. Tutta la gente in Calabria fra tre sorti di spese, perfino i più poveri. Non sono numerose un padre, una madre, una persona insomma che abbia diritto di fare testamento, che non faccia dir delle messe…che non abbia un processo e che non soffra di qualche vessazione…per mancanza di denaro si pagano tutte queste spese con qualche produzione che hanno lasciato indietro i forestieri (pag.45). Accuse molto gravi perché nella sostanza sommano alla mancanza di civiltà sociale, anche l’incapacità all’autogestione, all’innovazione per un popolo schiavo della superstizione e dunque, quel poco che c’è, c’è perché lo hanno lasciato indietro i forestieri. E infatti Pilati ne rimarca frequentemente i concetti: I contadini che hanno bisogno di denaro, non vanno mai a cercarlo… quando essi vanno a domandare ai loro creditori qualche dilazione per lo pagamento d’interessi, vi si portano con lana, castagne, miele, ecc. Le persone di spirito testimoni oculari di queste miserie si rendono preti o frati o curiali e vanno ad accrescere il numero di quelli che prendono, in pregiudizio della folla dei matti che danno. Ecco come questo Paese è andato in malora ed ecco la ragione perché si veggono in giro tanti preti calabresi che dicono quattro messe al giorno e si contentano di mangiar quello che avanza ai servi dei Signori (pag. 45). Nel 1801 ritroviamo Pilati presidente del Consiglio Supremo di Governo del Trentino e del Tirolo Meridionale, poco prima della sua morte, avvenuta a Tassullo, suo paese natale, nel 1802.

271 In effetti l’attività estrattiva in Calabria aveva una sua importanza, ancorché relativa al territorio. A parte le cave che servivano Mongiana e Stilo, cave dalle quali s’estraeva minerale di ferro erano attive anche a supporto delle officine di Arancea, così com’erano attive miniere nei pressi di Serra della Nucara, vicino a Pacì (Scilla) e a Santa Trada. Dalle cave del Pacì oltre al ferro, s’estraeva anche una discreta quantità di piombo. (cfr.: G.MELOGRANI, Descrizione geologica e statistica di Aspromonte e sue adiacenze, tip. Simoniana, Napoli 1823).

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