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kennan jonan e naruto hichō

MARCO SIMEONE

Il jidai shōsetsu tra convenzione e innovazione: Kennan jonan e Naruto hichō

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È invero possibile scrivere qualcosa che non contenga falsità, ma è impossibile scrivere l’assoluta verità. Un autore può solamente scrivere la sua personale versione della verità. […] Quando si ricerca del materiale tra le fonti storiche, non è raro scoprire che fraintendimenti ed esagerazioni compaiono in gran numero. Allora è meglio tenere a mente i fatti generali di un argomento storico, aggiungervi la propria interpretazione, impregnarlo di uno spirito vitale, e infine scrivere menzogne: dal punto di vista dell’opera stessa, le menzogne diventano un’assoluta realtà. Hasegawa Shin (1884-1963)1

Le parole dello scrittore giapponese riflettono le posizioni opposte di un dibattito che ha impegnato scrittori e critici di narrativa storica fin dall’era Taishō. Da un lato erano schierati coloro che si opponevano a qualsivoglia alterazione del fatto storico in nome di un asservimento all’intrattenimento del pubblico; dall’altro, coloro che dubitavano dell’infallibilità delle fonti, e che vedevano giustificata un’alterazione del dato storico in favore di un avvicinamento al lettore moderno, a patto di rimanere fedeli allo spirito dell’epoca ritratta.

In generale, il rapporto tra letteratura e storia si sviluppa presto all’interno delle varie culture – dal momento che le prime fonti scritte sono spesso di natura storica – ed è di certo problematico: stabilire una linea di demarcazione dove la storia diventa finzione non è sempre facile.

Anche in Giappone il rapporto tra verità storica e finzione è stato particolarmente sentito, complice anche la matrice culturale di stampo cinese, che stabiliva una gerarchia tra le arti che vedeva al primo posto le cronache storiche; proprio alle fonti storiche ufficiali si rivolgevano ad esempio gli yomihon (come il Chinsetsu yumiharizuki di Takizawa Bakin) per trovare una giustificazione al loro essere.2 È tuttavia solo con la nascita di un romanzo storico in senso moderno, che si sviluppa un dibattito critico sul romanzo storico che vede impegnati autori di letteratura pura così come scrittori di letteratura popolare.

In tale dibattito è invalsa la tendenza a distinguere tra una narrativa storica “seria” (rekishi shōsetsu) e una di stampo più “popolare” (jidai shōsetsu), sebbene non siano poi molto chiari i criteri mediante i quali questa distinzione sia tracciata:

1 Hasegawa Shin, “Shōsetsu, gikyoku wo benkyō suru hito he” (A chi studia il romanzo e il dramma), in Hasegawa Shin zenshū, XII, Asahi shinbunsha, Tokyo 1972, p. 164. 2 Come sottolineato in Suzuki Tomi, Narrating the Self – Fictions of Japanese Modernity, Stanford University Press, Stanford 1996, pp. 16-17 e 191.

a volte sembra essere lo status dell’autore – così che la produzione di Mori Ōgai, viene definita romanzo storico, mentre quella di Naoki Sanjūgo (1891-1934), scrittore di romanzi d’appendice, è semplicemente romanzo d’epoca; altre volte la discriminante sembra essere la maggiore o minore aderenza al dato storico, per cui i rekishi shōsetsu raffigurerebbero il passato con fedeltà, mantenendo un senso di estraniazione dal presente, mentre i jidai shōsetsu ambienterebbero, su uno sfondo storico più o meno accurato, drammi di tipo contemporaneo.

Non è questa la sede per una disanima della diatriba fra romanzo storico e romanzo d’epoca, basti ricordare come si inserisca all’interno del più ampio dibattito fra jun bungaku e taishū bungaku, che ha dominato il panorama letterario nel tardo periodo Taishō, e che vedeva contrapposti i sostenitori della letteratura prodotta dal (e destinata al) bundan, a quelli della letteratura di massa, che mirava al raggiungimento di un elevato numero di lettori mediante opere di intrattenimento.

Prima specificazione temporale della tasihū bungaku, se si accetta la comune opinione per cui la data di nascita effettiva della letteratura popolare sia il 1913,3 il jidai shōsetsu ha avuto una gestazione travagliata, che può essere analizzata sotto diversi aspetti – ma sono assolutamente da sottolineare due punti: innanzitutto il romanzo d’epoca trae le sue origini dalle forme d’arte del periodo Edo che più si rivolgevano a un pubblico popolare, principalmente il jōruri e i kōdan (al cui repertorio di trame e personaggi il jidai shōsetsu attinge a piene mani),4 ma anche la produzione in prosa dal carattere “disimpegnato” che va sotto il nome di gesaku. Secondariamente, va ricordato che, nonostante i suoi legami con le arti popolari di epoca Edo, il jidai shōsetsu è un fenomeno che nasce nel XX secolo, e come tale ha aspetti moderni che lo contraddistinguono, non ultima la relazione di simbiosi che legava gli autori di romanzi d’epoca con l’industria di stampa di massa: il miglioramento delle tecniche tipografiche e di distribuzione permettevano all’industria delle pubblicazioni di raggiungere centinaia di migliaia di lettori su base giornaliera, e questo vasto strato di lettori/consumatori, ceto medio urbano frutto della massiccia migrazione nelle città dovuta al rapido processo di industrializzazione del paese, era indispensabile al sostentamento dei quotidiani e delle riviste, che si rivolgevano agli autori per avere romanzi d’appendice che attirassero il maggior numero possibile

3 Sebbene il termine taishū bungaku si sia istituzionalizzato a partire dal 1926, anno in cui la rivista Taishū bungei diffonde l’espressione “letteratura di massa” presso il grande pubblico, opere definibili come taishū bungaku, in particolare appartenenti al filone del romanzo d’epoca, erano già apparse da tempo: il critico Nakatani Hiroshi considera il 1913, anno in cui viene per la prima volta pubblicato sul Miyako shinbun un episodio di Daibosatsu tōge (Il valico del grande bodhisattva, 1913-41) di Nakazato Kaizan, l’anno di nascita del jidai shōsetsu. Si veda Ozaki Hotsuki, Taishū bunagku (La letteratura popolare), Kinokuniya shoten, Tokyo 1980, p. 9. 4 Si veda Maria Teresa Orsi, “Recitativi e narrativa nel Giappone degli anni Tokugawa-Meiji: kōdan e rakugo”, Il Giappone, XVII, Roma 1979; ma anche Matilde Mastrangelo, “Un kōdan su Mito Kōmon”, in Asia Orientale, 5/6, Napoli 1987, pp. 259-86; Matilde Mastrangelo, “Tokugawa Mitsukuni fra storia e leggenda – il personaggio di Mito Kōmon e lo ‘shōgun dei cani’”, in Il Giappone, XXVII (1987), Roma, 1989, pp. 107-58.

di lettori.5 A loro volta, gli autori per raggiungere o mantenere il proprio successo (di pubblico e conseguentemente economico) non potevano fare a meno delle pubblicazioni di massa, che uniche potevano garantire loro la larga base di sostenitori necessaria.

I lettori cui si rivolgevano gli autori di romanzi d’epoca avevano sicuramente familiarità con le trame e i personaggi che il jidai shōsetsu mutuava dalla tradizione, ma questo non era un fattore negativo: l’uso di trame convenzionali o personaggi stereotipati costituiva un terreno comune tra il lettore e l’autore, che rendeva più immediata la comunicazione. Ovviamente, i fruitori chiedevano qualche elemento di novità che rendesse sempre originale e stimolante la riproposizione di temi a loro familiari, e gli autori di jidai shōsetsu si rivolgevano all’osservazione della società contemporanea per trovare quegli elementi di freschezza e novità che impedivano al pubblico di annoiarsi. Spesso il successo di un autore di romanzi d’epoca era proprio dato dalla sua capacità di saper interpretare le richieste del pubblico, di intuire gli aspetti del mondo contemporaneo che colpivano il lettore e inserirli nella narrazione di eventi passati, costruendo una cornice storica in cui muovere personaggi dotati di una psicologia moderna, con cui i lettori potessero facilmente identificarsi. Uno degli autori di jidai shōsetsu più significativi sotto questo aspetto fu senza dubbio Yoshikawa Eiji (1892-1962).

Dopo un’infanzia e una giovinezza trascorse a Yokohama all’insegna della povertà, Yoshikawa Hidetsugu, questo il suo vero nome, si trasferisce a Tokyo con la speranza di trovare un lavoro che gli permetta di prendersi cura della famiglia. Mentre lavora come produttore di beni damaschinati, si dedica dapprima al senryū, inviando poi dei racconti in occasione dei concorsi letterari indetti da alcune riviste, e vincendo anche premi importanti. Con il calo di richiesta dei suoi beni, Yoshikawa intraprende la carriera giornalistica, che viene bruscamente interrotta dal terremoto del 1923, evento in seguito al quale decide di diventare uno scrittore professionista.

Yoshikawa si rivolge alla rivista Omoshiro kurabu per compiere il suo primo passo come autore di romanzi: durante il 1924 sono pubblicati – sotto diversi pseudonimi – numerosi suoi scritti su molte delle riviste edite dalla Kōdansha, fra cui Shōjo kurabu, Kōdan kurabu, Yūben e Gendai. 6 Ma è nel 1925, anno in cui gli viene commissionato un romanzo a puntate per la nuova rivista della Kōdansha, Kingu – che sarebbe divenuta poi una delle riviste popolari di punta nel tardo periodo Taishō e inizio Shōwa – che Yoshikawa guadagna fama come scrittore. La sua opera Kennan jonan (Problemi di spade, problemi di donne, 1925), comparsa sul primo numero del periodico ricevette un’ottima accoglienza da parte del pubblico.

5 Su quest’aspetto della letteratura popolare si vedano Gregory J. Kasza, The State and the Mass Media in Japan, 1918-1945, University of California Press, Berkeley 1988, pp. 3-6 e Adachi Ken’ichi, Tachikawa bunko no eiyūtachi (Gli eroi della collana Tachikawa), Bunwa shobō, Tokyo 1980, p. 15. 6 Tra i numerosi nomi d’arte usati da Yoshikawa abbiamo Yoshikawa Shiranami, Yoshikawa Ryōhei, Yoshikawa Kijirō, Tachibana Hachirō, Sugimura Teitei; Sugimura Kenpachi, Setsuya Konnosuke, Fugo Sentei, Chūjō Sentarō e Mochizuki Jūsanshichi. Ozaki Hotsuki rileva come solo Osaragi Jirō usò altrettanti pseudonimi letterari. Si veda Ozaki Hotsuki, Yoshikawa Eiji: denki (Yoshikawa Eiji: biografia), Kōdansha, Tokyo 1970, pp. 215-218.

I numeri iniziali di Kingu contavano diversi romanzi d’appendice e numerosi articoli, per cui è difficile stabilire effettivamente quanto Kennan jonan abbia contribuito al successo della rivista.7 Tuttavia, critici e storici della letteratura sottolineano come il successo di pubblico di Kennan jonan lanciò la carriera di scrittore di Yoshikawa. Ozaki Hotsuki sostiene, ad esempio, che è proprio con quel romanzo che l’autore si afferma fra il grande pubblico con lo pseudonimo di Yoshikawa Eiji, che non avrebbe più cambiato per via del richiamo che esso aveva per i lettori.8 Momose Akiji indica Kennan jonan come “l’opera che ha stabilito la carriera di Yoshikawa”, nel senso della notorietà che ha fatto acquisire all’autore;9 Kiyohara Yasumasa afferma che con questo romanzo Yoshikawa “è diventato di colpo popolare”;10 più pragmaticamente Sasamoto Tora suggerisce che l’impatto dell’opera nella carriera di Yoshikawa Eiji lo si può notare dal cambiamento nello stile di vita dell’autore, che passò da un modesto appartamento in affitto a Umabashi nel 1924, a una lussuosa casa in Kami-ochiai nel 1928.11

Questi commenti, per quanto positivi, rivelano poco di come l’opera venne accolta dai lettori; ciononostante, possiamo cogliere degli indizi a riguardo in un saggio dello scrittore Niwa Fumio (1904-2005) nel dopoguerra:

Ben prima di incontrare Yoshikawa di persona, avevo imparato a conoscere le sue opere. Quella che ho trovato più interessante è stata Kennan jonan; sono rimasto affascinato dallo spregiudicato sviluppo della sua trama. […] Ho letto molti romanzi di Yoshikawa, ma nessuno supera questo in termini di attrattiva: il suo fascino sta nella sua eterna freschezza. Certo, questa dovrebbe essere una qualità intrinseca di ogni buon romanzo, ma in Kennan jonan si rivela apertamente, senza sotterfugi.12

Se è vero che il fascino dell’opera risiede nella sua “freschezza”, tuttavia essa si va ad inserire su formule tipiche del genere: la trama ruota attorno a una vendetta, e

7 Fra le altre opere apparse nel primo numero di Kingu vanno menzionate Ningen mi (Sapore di umanità) di Murakami Namiroku, Shojo (La vergine) di Nakamura Murao, e Shishi-ō (Il re leone) di Watanabe Katei. Accanto a questi scrittori già affermati, la rivista costituì un ottimo trampolino di lancio per giovani scrittori emergenti come Yoshikawa Eiji: il primo numero di Kingu vendette 740 mila copie; per la fine del 1925 la tiratura era arrivata al milione di copie, mentre l’apice lo raggiunse nel 1928, toccando la vetta di un milione e 400 mila copie vendute. Ozaki Hotsuki, Taishū bungaku no rekishi (La storia della letteratura di massa), I, Kōdansha, Tokyo 1989 p. 127; Wada Hirofumi, “Masumedia to modanizumu” (I mass media e il modernismo ), Iwanami kōza nihon bungakushi, XIII, Iwanami shoten, Tokyo 1996, p. 332. 8 Ozaki Hotsuki, Taishū bungaku …, cit., p. 128. 9 Momose Akiji, “Kennan jonan no tabi” (I viaggi in Kennan jonan), in Yoshikawa Eiji zenshū (d’ora in avanti YEZ), I, Kōdansha, Tokyo 1983. 10 Kiyohara Yasumasa, “Omoshirosa no enerugi” (L’energia dell’intrattenimento), in YEZ, I, p. 418; un’affermazione simile compare in Ozaki, Yoshikawa Eiji…, cit., p. 234. 11 Riportato in Kiyohara, “Omoshirosa no enerugi”, cit., p. 418. 12 Tratto dal saggio di Niwa Fumio “Yoshikawa-san no koto” (Su Yoshikawa Eiji), in Kiyohara, Yasumasa, “Omoshirosa no enerugi”, cit., pp. 418-419.

include rivalità amorose, combattimenti contro banditi, e tutta una serie di personaggi stereotipati – come il prode samurai, i nemici malvagi, la bella fanciulla e le ingannatrici dokufu. Combattimenti all’arma bianca, situazioni sul filo del rasoio, coincidenze improbabili, violenza ed erotismo, sono tutti elementi che compaiono in quest’opera. In particolare, Manabe Motoyuki nota come il ruolo giocato dalla violenza e dall’erotismo nel romanzo sia ovvio già dalla scelta del titolo: “Considerando che i temi costanti della narrativa d’intrattenimento sono l’erotismo e i duelli con le spade, mi stupisce sempre più quanto sia perfetto questo titolo”.13

Ad ogni modo, nonostante tutta questa sua “convenzionalità”, Kennan jonan presenta un elemento di novità, vale a dire la tematica dell’androginia. L’offuscamento della distinzione tra i sessi fu particolarmente sentito nella cultura popolare urbana del Giappone degli anni Venti. Le moga (modern girl) che portavano i capelli corti e indossavano talora vestiti da uomo, e i mobo (modern boy), coi capelli lunghi e un fondo di rosso applicato sulle guance, erano una vista non rara nel quartiere à la mode di Ginza. D’altra parte, manifestazioni di quest’androginia potevano essere rintracciate anche negli spettacoli della compagnia teatrale femminile Takarazuka, le cui attrici impersonavano ruoli maschili, o nella figura del nimaime nel mondo cinematografico dell’era Taishō.14 Donald Roden, parlando delle origini dell’atteggiamento flessibile nei confronti dell’identità dei sessi tra la fine dell’era Taishō e l’inizio dell’era Shōwa, scrive:

All’inizio del secolo, specialmente negli anni Venti, l’espressione e la rappresentazione dell’ambivalenza dei sessi catturò l’immaginazione di una consistente fetta della popolazione urbana letterata in un modo che sembrava semplicemente impensabile ai tempi della “civiltà e illuminismo”. […] La “gioventù angustiata” dei primi anni del 1900, e gli scrittori naturalisti che ne esprimevano la voce […] contribuirono a fornire una nuova immagine della virilità, caratterizzata da ansietà, indecisione, nervosismo e un’inclinazione all’innamoramento – tratti, tutti, che si ponevano in netta opposizione con la concezione del maschio capofamiglia. Dall’altra parte, la celebrazione che fece Yosano Akiko del potere della sensualità femminile contribuì alla concettualizzazione di una “nuova donna” (atarashiki onna) che emergeva dai primi numeri della rivista letteraria femminista Seitō. Se il “nuovo uomo” del tardo Meiji era sensibile al punto da dimostrare dipendenza emozionale, la “nuova donna” emanava quello che Itō Noe chiamava nel 1913 “una decisa fiducia di sé” (kakko taru jishin) e un’autonomia a livello emozionale dalla famiglia patriarcale.15

13 Manabe Motoyuki, Taishū bungaku jiten (Enciclopedia di letteratura popolare), Seiabō, Tokyo 1967, p. 96. 14 Si veda, sulla compagnia Takarazuka, Donald Roden, “Taishō Culture and the problem of Gender Ambivalence”, in J. Thomas Rimer (a cura di), Culture and Identity: Japanese Intellectuals during the Interwar Years, Princeton University Press, Princeton 1990, pp. 47-48. Sulla figura del nimaime si veda Satō Tadao, Nimaime no kenyū (Uno studio sul nimaime), Chikuma shobō, Tokyo 1984, pp. 20-21. 15 Donald Roden, “Taishō Culture…”, cit., p. 43; la traduzione dall’inglese è di chi scrive.

La raffigurazione che Yoshikawa Eiji fa di due dei personaggi principali di Kennan jonan mostra chiaramente l’influsso di queste immagini del “nuovo uomo” sensibile e della “nuova donna” autoritaria.

Il romanzo, ambientato nel XVII secolo, ha per protagonista il giovane ed effeminato samurai Kasuga Shinkurō, che vive a Fukuchiyama, nella provincia di Tanba (attuale prefettura di Hyōgo), con il fratello maggiore, Jūzō, un rōnin che dirige una scuola di scherma. Se questi è uno spadaccino abile e valoroso che si allena quotidianamente per affinare la propria abilità, Shinkurō predilige la pittura, il flauto e il giardinaggio alle arti marziali. Sebbene abbia 19 anni, ufficialmente non è ancora diventato adulto, poiché indossa ancora i furisode, e non si rasa i capelli sulla fronte. Inoltre, il suo aspetto suggerisce implicazioni omosessuali: l’amore fra uomini e giovinetti era un evento comune durante il periodo Edo, sia tra i samurai che tra i mercanti. Nella letteratura di quell’epoca, in particolare in quella di Ihara Saikaku, la frangia non tagliata e il furisode indicavano spesso la disponibilità al ruolo passivo nella relazione omosessuale. Dunque la raffigurazione che Yoshikawa ci offre del protagonista, rende la sua identità sessuale ambigua.16

Nonostante tutto, il fratello perdona a Shinkurō tutte le sue mancanze, e addirittura la bella Chinami si invaghisce del pavido ed effeminato samurai. Ma una tragedia sconvolge la vita di tutti: in un duello contro lo spadaccino Kanemaki Jisai, Jūzō viene ferito a una gamba, rimanendo invalido: spetta ora a Shinkurō vendicare il fratello e ristabilire l’onore della famiglia sconfiggendo Jisai, cosa impossibile per il giovane, a cui Jūzō si rivolge così:

Se tu fossi una donna, non ci sarebbe problema. Ma sei figlio di una famiglia di guerrieri. Che dirà la gente se continui ad andartene in giro agghindato con abiti sgargianti in un momento come questo? Pensa all’onore di nostro padre! Fa quello che farei io! Oh, Shinkurō, perché non sei nato femmina?” Shinkurō rimaneva seduto, le mani abbandonate sulle gambe, e la testa china in segno di acquiescenza. La sua sagoma afflosciata somigliava in tutto e per tutto a una marionetta separata dalle mani del suo burattinaio. Era talmente remissivo da non osare neppure rispondere alle dure parole di condanna del fratello, che di fronte a questo atteggiamento, alla fine si era sempre rassegnato al fatto che non poteva fare affidamento su Shinkurō. Ma oggi era diverso, Jūzō era molto nervoso. “Siamo diventati gli zimbelli di tutto il paese: un samurai quasi ventenne che non sa neppure impugnare una spada di bambù e il suo invalido fratello… Che coppia! Shinkurō, ti prego, mostra un po’ di senso dell’onore. Suicidati!” Shinkurō, incredulo, cominciò a tremare di paura e tentò di allontanarsi dal

16 Si vedano Gary Leupp, Male Colors: The Construction of Homosexuality in Tokugawa Japan, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1995, pp. 122-25; Greg Pflugfelder, Cartographies of Desire: Male-Male Sexuality in Japanese Discourse, 1600-1950, University of California Press, BerkeleyLos Angeles 1999, p. 33; si veda anche quanto scrive Andrea Maurizi in Ihara Saikaku, Il grande specchio dell’omosessualità maschile, Frassinelli, Roma 1997.

letto in cui giaceva il fratello, ma Jūzō allungò la mano e lo trattenne per un lembo della veste. “Non aver paura! Nascere in una famiglia di guerrieri è stata la tua sfortuna, ma dov’è l’onore quando si vive coperti dalla vergogna? Ucciditi, ti prego.” “Ma, Jūzō, io…” “Che c’è, ora, eh? Sei patetico!”. Jūzō afferrò la spada corta che giaceva accanto al suo guanciale. Shinkurō sbiancò. Un secondo dopo, era già fuori della casa, correndo a perdifiato.17

Shinkurō cerca conforto in Chinami, che però rifiuta di vederlo, evitandolo per il suo bene, affinché in lui si risvegli il suo spirito guerriero: dice al giovane samurai di dimenticarla finché non sia riuscito a sconfiggere Kanemaki Jisai. I restanti tre quarti del romanzo seguono Shinkurō nella sua missione, durante la quale incontra banditi, rōnin malvagi e donne fascinose. Tra queste merita sicuramente menzione un’intrigante nobildonna, Onkata, che lo distrae dal suo addestramento e lo corrompe coi piaceri della carne.18

Se il timido e sensibile Shinkurō rispecchia il “nuovo uomo”, allora Onkata mostra tutte le qualità della “nuova donna”. Nonostante le venga ordinato dai genitori di farsi monaca per aver dato scandalo tirando di scherma con un gruppo di samurai nel mercato di Kyoto, ella rifiuta, e fugge a Edo, dove – libera dal controllo dei genitori – si gode la sua piena libertà, prendendo come amante chi desidera, e tagliandosi i capelli corti; è in pratica la versione del XVII secolo della moga di epoca Taishō.

Tuttavia, con il dipanarsi della storia, i personaggi caratterizzati come sessualmente ambigui – Shinkurō e Onkata – “rinsaviscono”, e cominciano ad agire secondo la morale convenzionale: lui vince la sua timidezza e ristabilisce l’onore della famiglia vincendo il suo antagonista; lei supera il vizio della sua egoistica sensualità e, arresasi alla purezza di Chinami, si dedica a una vita di clausura. Tuttavia per buona parte del romanzo questi due personaggi androgini costituiscono un’eccezione nel panorama dei jidai shōsetsu scritti nel 1925.

Se da una parte la raffigurazione “fuori dagli schemi” (dal punto di vista dell’identità sessuale) che Yoshikawa fa di Shinkurō e Onkata andava incontro ai gusti del suo pubblico urbano del tardo periodo Taishō, il loro “ravvedimento” verso la fine del romanzo tradisce un conservatorismo che probabilmente era gradito alla fetta di lettori meno cosmopolita. La capacità dell’autore di distinguere correnti talvolta divergenti nella cultura a lui contemporanea, e incorporare nelle opere temi e per-

17 Yoshikawa Eiji, Kennan jonan, in YEZ, I, cit., p. 39. 18 Così viene descritto l’appetito sessuale di Onkata: “Appena il suo sguardo si posò su Shinkurō, le fiamme di un’ardente passione, una brama infuocata, avvamparono nei suoi occhi. Sebbene fosse un uomo adulto, Shinkurō non riusciva a sostenere lo sguardo della donna. In quel momento, Onkata sembrava fremere spasimi di desiderio immaginando che lui affondasse i denti nelle sue carni, che la violentasse, che la torturasse. Questo fuoco la consumava”. Ovviamente, è lei a fare la prima mossa nei rapporti con Shinkurō. Ibidem, p. 109.

sonaggi che li riflettono – e farlo in modo tale da attrarre un’ampia fascia di lettori – testimonia la sua abilità come scrittore di letteratura popolare.

Dopo il successo di Kennan jonan, l’Ōsaka mainichi shinbun avvicinò Yoshikawa chiedendogli di scrivere un romanzo, richiesta alla quale l’autore rispose con Naruto hichō (Il manoscritto segreto di Naruto, 1926-27). Isogai Katsutarō definisce Naruto hichō come un’opera “che ben rappresenta la letteratura di Yoshikawa Eiji”, affermando che non solo “fu uno dei più grandi romanzi d’epoca del suo tempo”, ma che è “un caposaldo della letteratura popolare”;19 Ozaki Hotsuki usa simili espressioni, considerandola “un’opera che ha segnato la storia della letteratura popolare” e la cui “influenza nello stabilire la taishū bungaku [come genere legittimo] è stata smisurata”.20

L’Ōsaka mainichi shinbun vantava nel 1926 una tiratura di oltre un milione di copie, per cui i potenziali lettori del nuovo romanzo di Yoshikawa erano comparabili a quelli di Kennan jonan. Per attirare i lettori del Kansai, l’autore scelse il Giappone occidentale come sfondo delle vicende narrate: gli eventi si susseguono ora a Ōsaka, ora a Aizu, ora a Kyoto o nella provincia di Awa, e solo una volta l’azione si sposta a Edo. Nonostante queste caratteristiche la rendessero principalmente rivolta al pubblico del Kansai, l’opera ebbe un grande successo in tutto il paese.

Ancora prima che la pubblicazione a puntate fosse completata, il romanzo era stato scelto per essere incluso in uno dei sessanta volumi della Gendai taishū bungaku zenshū (Collezione di letteratura popolare contemporanea, 1927-32), l’opera che segnò l’entrata della Heibonsha nel mercato dei cosiddetti enpon (libri a uno yen), fenomeno che conobbe un grande sviluppo tra la fine dell’era Taishō e l’inizio di quella Shōwa.21 Per la prima serie di enpon, la Heibonsha puntò su Shirai Kyōji e il suo Shinsengumi (1924-25): la scelta si rivelò vincente, e fece guadagnare alla casa editrice circa 330 mila abbonati. Per la seconda campagna di sottoscrizioni, lanciata nel 1928, la Heibonsha si affidò a Naruto hichō di Yoshikawa Eiji, e anche in questo caso la scelta fu azzeccata, poiché registrò ben 400 mila abbonamenti.22

Naruto hichō è simile a Kennan jonan nella misura in cui anche in questo caso l’autore opera una commistione tra convenzione e innovazione all’interno della sua narrativa. Come nel romanzo precedente compaiono una serie di personaggi stereotipati: l’intrepido spadaccino, la bella fanciulla e tutta una serie di cattivi – da seguaci del daimyō di Awa a semplici rōnin. Il protagonista Norizuki Gennojō è aiutato – fra gli altri – nella ricerca del padre della sua innamorata Ochie da un in-

19 Isogai Katsutarō, “Taishū bungaku no kinenbiteki sakuhin”, in YEZ, III, cit., p. 423. 20 Ozaki Hotsuki, Yoshikawa Eiji: denki, cit., p. 236. 21 Dal 1926 al 1934 gli editori si contesero i lettori lanciando sul mercato antologie di opere – giapponesi e occidentali – dal costo di uno yen a volume. I libri venivano perciò detti enpon, ed erano acquistabili solo dagli abbonati, che ogni mese ricevevano un nuovo volume. Questi enpon ebbero un grande successo, e contribuirono a risollevare le finanze di non pochi editori. Inagaki Tatsurō, Shimomura Fujirō (a cura di), Nihon bungaku no rekishi, XI, Kadokawa shoten Tokyo, pp. 364-65. 22 Ibidem, pp. 425-26; Ozaki Hotsuki, Taishū bungaku no rekishi, cit., pp. 134-36.

vestigatore di Ōsaka, Mankichi, e dall’affascinante borseggiatrice Otsuna. Tra i personaggi, ne spicca in particolare uno per la sua caratterizzazione fuori dagli schemi: il rōnin nichilista Ojūya Magobei, un personaggio malvagio, il cui passato è avvolto nel mistero, così come la sua testa è sempre coperta da un cappuccio (zukin), anche quando dorme o fa l’amore.

Concepita sullo sfondo dell’incidente Hōreki del 1758,23 la trama si presenta complicata e rocambolesca sin dalle prime battute, e riassumerla sarebbe impossibile, fra viaggi, colpi di scena, improbabili salvataggi dell’ultimo minuto, duelli, amori non corrisposti e rivalità sentimentali. Tuttavia ci si vuole soffermare qui sulla riproposizione delle tematiche della violenza e dell’erotismo, spesso combinate insieme nei passaggi in cui l’autore descrive la passione dai tratti sadici di Magobei per Otsuna. Dopo essere stato narcotizzato dalla ladra in una casa da tè, egli si mette sulle sue tracce per ucciderla e vendicarsi, ma quando la trova con la sua guardia abbassata, estasiata dal suono del flauto di Gennojō, la sua passione per lei gli fa cambiare idea, e ritrae la spada:

Gli occhi iniettati di sangue e i denti serrati davano al volto di Magobei un terribile aspetto demoniaco. Impugnando l’elsa della spada, fissò lo sguardo sul collo eburneo di Otsuna. Se avesse menato un fendente ora, quel collo così sottile sarebbe stato tranciato di netto. In un’altra occasione Otsuna, sempre attenta, si sarebbe accorta della presenza del suo assalitore dal fruscio dell’erba, ma stavolta la sua attenzione era tutta rivolta all’ascolto della melodia suonata dal flauto di bambù. I suoi pensieri erano catturati dall’immagine del monaco itinerante. Era realtà? Oppure solo la sua immaginazione? Magobei non sapeva dirlo, ma il fascino di Otsuna era più prorompente del solito: l’elegante curva della sua nuca, i lineamenti dolci delle sue spalle e delle gambe, la pienezza del suo seno che premeva contro l’erba del suolo… La splendida figura della donna non faceva che alimentare la rabbia di Magobei, finché egli non realizzò che tagliarla semplicemente in due non lo avrebbe appagato. In quel momento di esitazione, la rabbia di Magobei si trasformò in selvaggio istinto animale.24

Il suo atteggiamento sadico non è rivolto in particolare solo all’affascinante ladra, ma anche ad altre donne, come si vede dall’episodio in cui i samurai di Awa interrogano la moglie di Mankichi percuotendola. Sebbene l’interrogatorio non serva per ottenere informazioni utili, esso tuttavia fa eccitare Magobei, che confida ai suoi compagni:

23 L’incidente vede coinvolti lo studioso scintoista Takenouchi Shikibu (1712-1767) e diversi nobili di corte. Nei primi anni del 1750, Takenouchi insegnava ai nobili della corte le dottrine scintoista e confuciana, e le arti militari, il tutto modellato sulle sue prospettive lealiste e avverse allo shogunato – che trovavano terreno fertile fra i membri dell’aristocrazia. Quando il bakufu scoprì tutto ciò nel 1758, mise agli arresti in casa i nobili, mentre esiliò Takenouchi da Kyoto. Si veda Tahara Shirō, “Hōreki jiten” (L’incidente Hōreki), Heibonsha daihyakka jiten, XIII, Heibonsha, Tokyo 1985, p. 915. 24 Yoshikawa Eiji, Naruto hichō, I, Kōdansha, Tokyo 1989, pp. 113-114.

“È vero che non è più nel fiore della sua giovinezza, però ammetto che non mi dispiacerebbe affatto possedere la moglie di Mankichi. Il suo volto dopo che Tendō l’ha colpita, il modo con cui cercava di trattenere le lacrime... era seducente oltre ogni dire”.25

L’origine dell’atteggiamento sadico e nichilista di Magobei viene rivelata solo alla fine del romanzo, dove si capisce come egli sia diviso tra il suo bisogno patologico di indugiare in atti illeciti e la sua devozione al ricordo della defunta madre, una fervente cristiana. Il simbolo del suo conflitto interiore è il cappuccio che egli indossa sempre per mascherare il suo volto. L’autore riesce a stuzzicare la curiosità dei lettori per tutta l’opera, senza mai svelare il segreto di Magobei. Solo quando questi viene ucciso, e Otsuna sta per sfilargli il cappuccio, compare un misterioso nano che racconta la storia di Magobei.

Sua madre Isabel discendeva dai missionari spagnoli giunti a Nagasaki nel 1614. La nonna di lei scampò alle persecuzioni contro i cristiani rifugiandosi nel feudo di Awa, dove il daimyō le concesse di mantenere la sua fede, che tramandò poi ai suoi discendenti insieme a un pettine con incisa l’immagine della Vergine. Magobei non dimostrava nessun interesse per il cristianesimo, dedito piuttosto al bere, alle donne e al gioco. Isabel, preoccupata per il figlio, in punto di morte, chiamò Magobei per scongiurarlo di redimersi. Al suo rifiuto, ella lo fece immobilizzare da alcuni seguaci cristiani e incise con tagli profondi la forma di una croce sulla fronte del figlio, poi gli infilò il pettine con l’effigie della Vergine fra i capelli e gli fece giurare di non toglierselo fino a che non avrebbe abbandonato la sua vita dissoluta; fece inoltre promettere agli altri cristiani di uccidere Magobei se egli fosse venuto meno al suo impegno. Il nano era il guardiano che doveva controllare che il giuramento fosse mantenuto, e alla morte del rōnin incappucciato chiede a Gennojō e gli altri di poter portare il corpo di Magobei ad Awa, come prova che la sua missione era conclusa.

L’elemento grottesco di questo episodio completa l’elemento erotico (pur nella sua dimensione sadica) illustrato sopra, e mostra ancora una volta la sensibilità di Yoshikawa Eiji nel rispondere ai gusti dei lettori: l’espressione ero guro nansensu (talora abbreviata in ero guro), combinazione nata dall’abbreviazione delle parole inglesi erotic, grotesque e nonsense, veniva spesso usata per descrivere i prodotti culturali del Giappone degli anni Venti e Trenta. Come indica il critico Kida Jun’ichirō, i tre termini erano già in circolo da tempo separatamente, ed è solo successivamente che essi formarono lo slogan che apparve con tanta insistenza nei media.26 Le parole avevano comunque una stretta relazione l’una con l’altra già dagli inizi degli anni Trenta: nel 1932, la rivista Fujin kōron pubblicò un glossario dei neologismi “alla moda” come supplemento; il mini-dizionario definisce la parola guro come “ciò che è bizzarro (kaiki) e inquietante (kimi no warui), usato anche per riferirsi a

25 Ibidem, II, p. 315. 26 Kida Jun’ichirō, “Toshi no yami to meikyū kankaku: Ero guro nansensu to Edogawa Ranpo”, in Bessatsu taiyō, LXXXVIII, Heibonsha, Tokyo 1995, pp. 13-14.

dimostrazioni di erotismo tanto palesi da essere sgradevoli (minikui bakari akudoi rokotsuna ero)”.27 Nello stesso periodo il fondatore della Shinchōsha, Satō Giryō (1878-1951), compilò una raccolta di immagini e foto dividendola in tre sezioni, intitolate erochiku, gurotesuku e nansensu: era il segno che questi tre termini si erano ormai uniti l’uno all’altro nell’inconscio popolare.28 Ciò che lega le parole è la consapevolezza che ognuna rappresenta un aspetto di quelle forze che, svincolate dai codici etici e morali imposti dall’alto, serpeggiavano nella società; il tormentone ero guro nansensu rappresentava il fascino di quegli istinti selvaggi, irrazionali, erotici generalmente soppressi dall’etica sociale. Per usare le parole di Pflugfelder:

La celebrazione dell’‘erotico’ (ero) in tutte le sue molteplici forme costituiva un rifiuto dell’imperativo Meiji secondo cui la sessualità non era atta ad essere mostrata o rappresentata pubblicamente, a meno che non si conformasse ai ristretti standard della “moralità civilizzata”. L’elevazione del “grottesco” (guro) tradiva un simile rifiuto per i codici estetici dominanti, incentrati sui canoni tradizionali di bellezza e offuscamento dei lati più sordidi dell’esistenza. Infine la valorizzazione dell’“assurdo” (nansensu) era indice di un malcontento nei confronti della rigida morale vigente e delle certezze epistemologiche.29

Lo slogan ero guro nansensu che i media usarono tanto spesso per descrivere i tempi, andò particolarmente di moda nei primi anni del periodo Shōwa, durante la depressione degli anni Trenta, quando forme di intrattenimento occidentali invasero le città del Giappone – in particolare Osaka e Tokyo; questa inondazione assunse diversi aspetti: il jazz, il proliferare dei bar-caffè (kissaten), dance-club, cinema, e altre forme di intrattenimento moderno. Nonostante le forze conservatrici dell’epoca avessero definito il fenomeno come decadente (e in letteratura l’ero guro nansensu veniva considerato diretta derivazione del decadentismo europeo), recentemente alcuni autori lo rivalutano positivamente come espressione della vitalità della cultura dagli anni Venti agli anni Quaranta.30

Anche in questo caso, come pure per l’introduzione delle figure del mobo e della moga in Kennan jonan, l’inserimento in formule già consolidate (trame e personaggi stereotipati) di elementi innovativi, frutto dell’osservazione dell’autore nei confron-

27 Fujin hisshū modango jiten (Dizionario dei neologismi essenziali per le signore), supplemento a Fujin kōron, XVII, 1, Chūō kōronsha, Tokyo 1932, p. 33. 28 Satō Giryō, Gendai ryōki sentan zukan (Libro illustrato sulle ultime tendenze grottesche odierne), Shinchōsha, Tokyo 1931. 29 Greg Pflugfelder, Cartographies…, cit. p. 290. La traduzione dall’inglese è di chi scrive. 30 Si veda Miriam Silverberg, Erotic Grotesque Nonsense – The Mass Culture of Japanese Modern Times, University of California Press, Berkeley & Los Angeles 2006, p. XVI. Utilizzando quello che lei stessa definisce un “montaggio” (montage) di vari media, testi, luoghi del Giappone urbano, l’autrice oltrepassa la definizione letterale di ero-guro nansensu, per rendere giustizia della complessa estetica culturale del fenomeno, che rispecchiava la cacofonia del calderone culturale del Giappone degli anni Venti e Trenta, dove accanto ai desideri consumistici del ceto urbano si andava delineando la costruzione di un impero nazionalista.

ti della realtà che lo circonda, non deve far pensare a una particolare o profonda riflessione sulla cultura e la società del periodo; nei jidai shōsetsu di Yoshikawa Eiji, i due fenomeni fanno un’apparizione piuttosto superficiale, sono una veste di “contemporaneità” che ammanta la storia, allo scopo di accostare la raffigurazione del passato ai lettori moderni – tratto questo che è stato spesso criticato negli autori di romanzi d’epoca dai sostenitori della letteratura pura, dimenticando talora la natura e lo scopo della taishū bungaku.

Come fatto notare da Cawelti, la convenzione e l’innovazione assolvono a funzioni culturali diverse: la prima è costituita da immagini e significati familiari e condivisi da tutti, e conferma la continuità dei valori; la seconda ci pone davanti a una nuova percezione o un nuovo significato. Entrambe le funzioni sono importanti in una cultura, poiché la convenzione aiuta a mantenerla stabile, mentre l’innovazione l’aiuta a rispondere ai cambiamenti.31

Va da sé che la riproposizione di formule note non è caratteristica propria solamente al genere del jidai shōsetsu, né l’introduzione in un romanzo di elementi mutuati dall’osservazione della realtà appare esclusiva di Yoshikawa Eiji (o degli altri scrittori di letteratura storica di consumo), dal momento che qualsiasi autore inserisce nella propria opera, in maggiore o minore quantità, la sua consapevolezza nei confronti dell’ambiente che lo circonda. Tuttavia, ciò risulta particolarmente significativo nel caso del jidai shōsetsu: come genere letterario, il romanzo d’epoca nasce dall’incontro tra passato e presente, tra i repertori propri delle forme d’arte popolare del periodo Edo (in particolare i kōdan e il jōruri), e lo sviluppo di una moderna editoria di massa, intimamente legata al pubblico di lettori che mira a soddisfare. Inoltre, trattandosi di romanzi d’appendice, spesso lunghissimi, che venivano pubblicati per anni (si pensi a Daibosatsu tōge di Nakazato Kaizan, pubblicato dal 1913 al 1941 o a Tokugawa Ieyasu di Yamaoka Sohachi, apparso su più riviste tra il 1950 e il 1967), era di particolare importanza che l’autore di jidai shōsetsu fosse attento ai mutamenti socio-culturali del tempo e fosse in grado di interpretare i gusti dei suoi lettori, e adattare la propria opera di conseguenza, per non perdere il favore del pubblico.

Le tematiche dei jidai shōsetsu sono tanto diverse quanto lo sono i gusti delle masse. Spesso hanno più successo temi che vadano contro la morale convenzionale, ma in genere il romanzo d’epoca tende alla fine a riaffermare l’etica tradizionale e l’ordine sociale stabilito; questo dipende anche dal fatto che i jidai shōsetsu sono diffusi tramite i mass media, per cui l’autore deve scendere a patti con l’imposizione di valori dall’alto e con quanto dettato dall’industria editoriale. In buona sostanza, il romanzo d’epoca unisce elementi convenzionali e innovazioni nella misura in cui ciò è richiesto dal pubblico di lettori: le masse nel presente rappresentano la guida dell’autore nel ritrarre il passato.

31 John G. Cawelti, “The Concept of Formula in the Study of Popular Literature”, Journal of Popular Culture, III, 3, Michigan State Unviersity, 1969, p. 385.

Convention and Innovation in jidai shōsetsu: Kennan jonan and Naruto hichō by Yoshikawa Eiji

The historical fiction (jidai shōsetsu), a sub-genre of popular literature (taishū bungaku), incorporated conventions borrowed from popular arts of Edo era, such as formulaic plots and stock characters found in kōdan. Apart from the re-proposal of traditional elements, jidai shōsetsu has a component of innovation, which stems from the writer’s efforts to appeal to contemporary mass audience, by projecting his consciousness of his own milieu onto the past. In this paper I present two of Yoshikawa Eiji’s novels, aiming to show how elements taken from author’s present are reflected in the description of past events: namely, I will consider the two protagonists of Kennan jonan and the villain of Naruto hichō as the projections of the concept of mobo and moga, and of ero-guro nansensu.

伝統と革新の間の時代小説 - 吉川英治著『険難女難』および『鳴門秘 帖』

マルコ・シメオーネ

大衆文学のサブジャンルにあたる時代小説は、江戸時代の話芸、芸能など より、講談にも現れるステレオタイプのプロットや人物等を吸収した。 しかし、伝統的なリメイクの隣に、時代小説には革新的な部分もあ り、それは著者が読者の興味を引くための努力の結果でもあるに違い ない。作者は、同時代の社会を過去に移動したとも言える。 本発表で紹介する、吉川英治の二つの小説では、現代の世界が過去に 移されている。詳しくは、『険難女難』の2人の主人公と『鳴門秘 帖』の悪浪人、お十夜孫兵衛に、それぞれモボ、モガ、エロ・グロ・ ナンセンスの、現代の流行がどのように移されているかを説明する。

Giapponese e italiano lingue a confronto

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