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12 MANGIAMELI ROSARIO, La regione in guerra (1943-50), cit., p. 485, alla nota
Alla mia famiglia A mio nonno Turi
«Gli indipendentisti erano i separatisti di cui tanto si parlava, volevano la Sicilia separata dall’Italia, mio padre diceva che non avevano torto, sempre coi piedi la Sicilia l’avevano trattata».
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LEONARDO SCIASCIA, Gli zii di Sicilia (1958)
«Senza Italia, Sicilia si nni scanta; senza Sicilia, Italia picca cunta».
ANONIMO SICILIANO
Introduzione
Nell’ultramillenaria storia della Sicilia, quella dell’indipendentismo sorto subito dopo il Secondo conflitto mondiale è sicuramente una tra le pagine più controverse e al tempo stesso affascinanti. A partire dagli anni Sessanta dello scorso secolo questo momento storico è stato raccontato, studiato e sviscerato nei suoi aspetti principali; eppure a distanza di così tanto tempo sembra che sull’indipendentismo (o separatismo, che dir si voglia) ci sia ancora parecchio da comprendere e raccontare.
I primi a interessarsi a questo fenomeno politico e sociale tutto siciliano furono i giornali e i periodici con articoli e inchieste che, come ovvio, predilessero l’aspetto cronachistico della vicenda. Importanti, a questo proposito, le inchieste condotte da Marcello Cimino per «L’Ora» e da altri cronisti che contribuirono a tirare fuori dall’oblio questo controverso capitolo della storia siciliana. Negli anni successivi un rapido processo di decantazione di concetti, sentimenti, interessi ha permesso al separatismo di divenire oggetto di veri e propri studi condotti da accademici di riconosciuto valore, ovviamente tutti siciliani. Grazie all’impegno degli storici è stato possibile scoprire ancora di più attingendo a documenti d’archivio e ad altre importanti fonti e testimonianze. Ecco allora che la storia dell’indipendentismo siciliano è divenuta un campo di ricerca importante e interessante con il quale rileggere il dopoguerra isolano e reinterpretare anche il processo di ricostruzione della compagine statuale italiana in rapporto alle vicende locali. Il separatismo, nel passato come ancora oggi, è un argomento molto gettonato nella pubblicistica e nell’ambito dell’editoria locale. Tra posizioni preconcette, indagini storiche spesso superficiali e tendenze “romantiche”, la pubblicistica sul separatismo è comunque testimonianza importante di un dibattito, quello sull’indipendenza e l’autonomia dallo Stato centrale, che non finirà mai di essere attuale.
Con questo lavoro ci siamo proposti di ripercorrere la vicenda del separatismo siciliano seguendo l’evoluzione dell’idea indipendentista a partire dal crollo del regime fascista e fino alla piena affermazione dell’autonomia regionale insieme al nuovo sistema partitocratico. Evitando di soffermarci solo sui meri dati cronachistici, abbiamo cercato di indagare il “fenomeno separatismo” studiando le motivazioni culturali, sociali, economiche e politiche che furono alla base di esso, mettendole sempre in confronto e relazione con il contesto storico nazionale e internazionale. Nel fare questo abbiamo prediletto studi importanti come quelli condotti da Giuseppe Giarrizzo, Francesco Renda, Rosario Mangiameli, Giuseppe Carlo Marino, Salvatore Lupo, senza, tuttavia, disdegnare testi non strettamente scientifici come quelli di autori locali. Nel complesso il nostro è un modesto tentativo di far “dialogare” fonti e autori più
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vari nell’obiettivo di ricostruire in maniera attenta, approfondita ma al tempo stesso non dispersiva, la vicenda storica dell’indipendentismo siciliano sul quale spesso gravano giudizi troppo netti o affrettati.
La struttura e i contenuti di questa tesi seguono l’andamento cronologico del fenomeno separatista a partire dall’estate del 1943 e fino alle soglie degli anni ’50 quando avvenne la definitiva dissoluzione dell’indipendentismo come movimento politico organizzato. Il primo capitolo è interamente dedicato al contesto sociale, politico ed economico della Sicilia al momento dello sbarco alleato del luglio ’43. Vengono affrontate questioni importanti, come quella della crisi economica, del sistema latifondistico, e dei rapporti tra mafia e potere, che diventarono argomenti del dibattito politico del dopoguerra. Delineato il contesto, con il secondo capitolo si entra nel vivo della storia dell’indipendentismo: partendo dalle basi ideologiche sicilianiste, vengono ripercorse tutte le tappe che portarono alla ribalta il movimento separatista come il principale attore politico negli anni 1943-45. Personaggi e tematiche dell’indipendentismo siciliano sono messi a confronto con gli esponenti e le ideologie dei nuovi partiti della nascente democrazia italiana che nel frattempo partorirà per la Sicilia l’antidoto contro il separatismo: l’autonomia regionale. Nel terzo capitolo seguiremo l’involuzione del movimento separatista analizzando le cause (interne ed esterne) del declino dell’idea indipendentista e le conseguenze di quest’ultima fase. Con il processo di nascita dello Statuto autonomistico e quindi della Regione siciliana, il separatismo organizzato ebbe gli ultimi violenti singulti – dalla nascita dell’EVIS alle lotte interne per la guida del movimento – prima del definitivo scioglimento del movimento dovuto alla dispersione della sua classe dirigente di fronte a risultati elettorali sempre più deludenti.
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CAPITOLO I
Dopo la guerra: occupazione alleata, crisi e ricostruzione nel contesto sociale, politico ed economico della Sicilia
Come si sveglia la Sicilia dopo l’incubo di una dittatura durata più di vent’anni e dopo gli affanni di una guerra combattuta ad armi impari al fianco di un alleato così volitivo e ingombrante come la Germania? La domanda è d’obbligo per chi vuole addentrarsi in quella lunga serie di eventi che negli anni ’40 dello scorso secolo coinvolsero la maggiore tra le isole del mar Mediterraneo segnandone per sempre il destino. Alla base di tutto, come evento innescante, è lo sbarco anglo-americano del 1943.
I.1 Luglio 1943: l’operazione Husky
L’estate del 1943 con l’ “invasione-liberazione” alleata del territorio siciliano, parte più estrema e strategicamente appetibile di quell’Italia che il primo ministro inglese Winston Churchill aveva definito «il ventre molle dell’Asse», rappresenta certamente un momento di cesura. Lo sbarco delle truppe inglesi e americane sulle coste sud-orientali e occidentali della Sicilia, oltre a essere, un evento di rilevanza internazionale decisiva1, segna l’ “inizio della fine” per il regime fascista, e non solo nell’isola.
È un dato incontrovertibile: lo sbarco generava il crollo definitivo di tutte quelle certezze, negli ultimi mesi un po’ traballanti, che avevano reso l’Italia forte e ben difesa agli occhi del governo Mussolini. Il mito dell’inviolabilità del “sacro suolo italico” accuratamente costruito dalla propaganda di regime e più volte ripetuto anche da Mussolini, seppur con qualche ritrattazione, specie negli ultimi periodi2, crollava davanti agli occhi degli stessi italiani e, per primi, dei siciliani che forse a quel mito non avevano mai creduto. Primo baluardo a cadere nelle mani degli Alleati era l’isola di Pantelleria che per la sua posizione al centro del canale di Sicilia rappresentava un punto nodale di grande
1 Cfr. RENDA FRANCESCO, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, vol. III, Sellerio, Palermo 1987, p. 15.
2 PRACANICA GIUSEPPE - BOLIGNANI GIOVANNI, Sicilia, Italia. 1943 e dintorni tra cronaca e storia, Edas, Messina 2005, p. 76. Il 24 giugno 1943 Mussolini, nel suo rapporto ai dirigenti del PNF, ragionava sulla possibilità di un attacco terrestre alla Sicilia da parte degli Alleati. Mussolini ammetteva la possibilità di un tentativo di “sbarco” degli anglo-americani da distinguere dall’ipotesi di una “penetrazione” ancora ritenuta improbabile.
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importanza per il traffico navale. A Pantelleria si trovava una base aero-navale, presidiata da una guarnigione di 11 mila uomini al comando dell’ammiraglio Pavesi. Un avamposto che avrebbe potuto dare seri problemi ai convogli navali anglo-americani diretti sulle sponde siciliane. Per questo gli Alleati decisero di iniziare la campagna di occupazione dell’Italia proprio dalla piccola isola.
La vicenda dell’attacco e della repentina resa della guarnigione italiana di stanza sull’isola ancora oggi presenta dei passi oscuri. Di certo c’è che Pantelleria si arrese a sole 48 ore dall’intimazione lanciata dagli Alleati: il 10 giugno 1943 fu issata bandiera bianca senza che nessun soldato inglese o americano fosse ancora sbarcato sull’isola. Sui motivi della resa “facile” della piazzaforte pantesca negli anni successivi nacque un vero e proprio dibattito di natura storico-pubblicistica che vide spunti di forte polemica e anche qualche strascico giudiziario.
Nel mirino alcuni personaggi ai vertici dell’allora Regia Marina Militare che, in riferimento all’episodio di Pantelleria e ad altri fatti, furono accusati di inettitudine, tradimento o addirittura di essere in combutta con gli Alleati.3 Vere e proprie ombre sull’operato della marina italiana e dello stesso esercito che si prolungarono anche su eventi successivi. In quel momento, quindi, i sentori di un prossimo attacco diretto alle sponde siciliane da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito c’erano tutti, e dopo l’occupazione di Pantelleria non poterono che diventare sempre più forti. In effetti qualche tentativo, o meglio, qualche “prova tecnica” di sbarco fu messa in atto dagli Alleati.
Salvatore Nicolosi scrive che «la notte fra il 3 e il 4 di quel mese [luglio 1943] un commando britannico, per saggiare l’efficienza della difesa italo-tedesca nell’isola, aveva tentato di sbarcare sul lido di Avola, […] era stato ricacciato in mare, ma quell’impresa preannunciava, senza equivoci, le intenzioni del nemico».4
3 Ivi, pp. 69-70. Antonino Trizzino (1899-1973), pilota della Regia Aeronautica e successivamente giornalista, nel suo libro dai forti toni polemici Navi e poltrone (Longanesi, Milano, 1953) accusò, senza mezzi termini, di tradimento e disfattismo alcuni ufficiali della Regia Marina, tra cui l’ammiraglio Gino Pavesi al comando della base militare di Pantelleria nel giugno del ‘43. Trizzino fu chiamato in giudizio per diffamazione e vilipendio in diversi processi, tra cui uno intentato dal Ministero della Difesa e conclusosi in secondo grado con l’assoluzione del giornalista. Propendono a favore del Trizzino anche alcune recenti valutazioni sull’episodio di Pantelleria fatte dalla stessa Marina Militare («Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare», giugno 2003, p. 198).
4 NICOLOSI SALVATORE, Sicilia contro Italia. Il separatismo siciliano, Tringale, Catania 1981, p. 10-11.
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Tuttavia l’Italia, anche se in quel caso era riuscita a ricacciare i pochi componenti di un commando nemico, a causa di una serie di ritardi, di errori di valutazione e di problemi di comunicazione, era assolutamente impreparata all’evenienza di uno “vero” sbarco alleato. Il governo Mussolini solo negli ultimi tempi fu in grado di rendersi realmente conto di quanto fossero labili e limitate le difese schierate in Sicilia. In tutto ciò una responsabilità oggettiva è da attribuire agli ufficiali di comando che spesso sottovalutarono la debolezza delle divisioni siciliane. Nonostante ciò, a Roma le notizie sui problemi difensivi della Sicilia arrivavano a più riprese. Il generale Rosi, che dal 1941 era al comando della VI Armata schierata in difesa dell’isola, in un rapporto di quel periodo rilevava che ben poco era stato fatto in quegli anni per difendere il territorio, in Sicilia mancava di tutto «dal cemento ai cannoni, dai reticolati ai binocoli per le vedette, agli stessi colori e ai pennelli occorrenti per mimetizzare le postazioni».5 Ma la stampa di regime stravolge totalmente la realtà, anche perché, molto probabilmente, non la conosce. Un esempio su tutti: “La Stampa” di Torino nel gennaio del ’43, con l’accondiscendenza giornalistica e l’enfasi tipica del periodo, dipinge la Sicilia come «un solido baluardo […] munitissimo di opere difensive».6 Il 14 giugno dello stesso anno, a meno di un mese dall’attacco alleato, il generale Guzzoni in un nuova relazione indirizzata a Roma descrive lo stato catastrofico delle truppe di stanza in Sicilia aggiungendo anche note sullo stato di disorientamento e depressione della popolazione, stremata dalla mancanza di viveri. Sarà lo stesso Mussolini a commentare le notizie inviate da Guzzoni: «Finalmente ho conosciuto la verità sulla Sicilia».7
Nessuna sorpresa, quindi, se la Sicilia venne occupata dagli Alleati senza grosse difficoltà nel giro di poche settimane. L’operazione Husky scattò la notte tra il 9 e il 10 luglio 1943.8 Sin dal gennaio di quello stesso anno, in occasione della conferenza di Casablanca, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt e il primo ministro inglese
5 PRACANICA GIUSEPPE - BOLIGNANI GIOVANNI, Sicilia, Italia. 1943 e dintorni tra cronaca e storia, cit., p. 39.
6 Ivi, p. 41
7 Ivi, p. 76
8 Cfr. MANGIAMELI ROSARIO, La regione in guerra (1943-50) in AA.VV. Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità a oggi. La Sicilia, a cura di Maurice Aymard e Giuseppe Giarrizzo, Einaudi, Torino 1987, p. 485.
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Winston Churchill avevano posto le basi di quello che sarebbe stato il primo attacco frontale alle potenze dell’Asse sul continente europeo. A prevalere a Casablanca fu la linea inglese di Churchill e del generale Alan Brook, capo di stato maggiore generale britannico, che prevedeva lo sbarco sulle coste siciliane.9 I vertici inglesi dell’esercito convinsero gli americani, inizialmente favorevoli a uno sbarco in Sardegna, a optare per la Sicilia grazie a una serie di motivi tattici.
La sera del 9 luglio due ricognitori dell’aeronautica militare italiana sorvolano il Mediterraneo a ovest di Malta. Al comando delle forze armate in Sicilia, che ha sede ad Enna, arriva subito una comunicazione. Il radiotelegrafista allibito comunica che tra l’Africa e la Sicilia vede il mare «nero di navi».10 È l’inizio dell’operazione Husky. La mattina del 10 luglio i soldati della VII armata americana sotto la guida del generale George Patton occuparono la costa sud-occidentale tra Pozzallo e Licata mentre gli inglesi della VIII armata guidati dal generale Bernard Montgomery sbarcarono su quella sudorientale tra Pozzallo e Avola. Al generale Dwight D. Eisenhower, già al vertice delle forze alleate in Nord Africa, andò il comando supremo dell’intera operazione. Obiettivo degli Alleati, neutralizzare e respingere le difese italo-tedesche per poi penetrare nell’entroterra in direzione delle principali città isolane. Per far questo, durante tutta la campagna militare siciliana, scesero in campo in 450 mila tra inglesi, americani e canadesi. Dall’altro lato a difesa dell’Italia furono schierati 405 mila uomini fra italiani e tedeschi.11
Nonostante i numerosi problemi delle linee difensive a cui abbiamo già accennato, soprattutto per quanto riguarda la preparazione di soldati e ufficiali, le dotazioni e gli armamenti, gli italiani, come scrive Rosario Mangiameli, «combatterono con molto accanimento e dignità, qualche volta con notevole valore, come nella piana di Gela, […] e con scarso sostegno da parte dell’alleato, che in quei giorni mostrò la sua ferocia nei confronti della popolazione civile».12
9 PRACANICA GIUSEPPE - BOLIGNANI GIOVANNI, Sicilia, Italia. 1943 e dintorni tra cronaca e storia, cit., pp. 107- 108. Cfr. anche RENDA FRANCESCO, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, cit., p. 17-18.
10 NICOLOSI SALVATORE, Sicilia contro Italia. Il separatismo siciliano, cit., p. 10.
11 RENDA FRANCESCO, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, cit., p. 15.
12 MANGIAMELI ROSARIO, La regione in guerra (1943-50), cit., p. 485, alla nota 1.
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Ed erano proprio i civili, i siciliani, a non poterne più di questa guerra che era costata vite umane, danni, disagi, sacrifici quotidiani e soprattutto fame, tanta fame. Non è un caso, allora, se l’arrivo dei ‘miricani fu sin dal primo momento salutato dalla popolazione isolana come la salvezza, la liberazione dai dolori patiti negli ultimi anni per motivi difficili da comprendere. Ancora prima dello sbarco, nel gennaio del ’43, lo scrittore inglese Fernando Tuhov scriveva su “Sphere”: «La Sicilia è stata talmente trascurata dal governo fascista che i siciliani sarebbero lieti di aprire le braccia agli anglo-americani e far entrare in casa le truppe alleate». La realtà dei fatti non era per nulla lontana da quanto previsto dal giornalista: la Sicilia era davvero un «frutto maturo». L’operazione Husky continuò a ritmo serrato in quei giorni di luglio e le forze alleate, dopo i pesanti bombardamenti sulle principali città e dopo la ritirata delle truppe italo-germaniche dalla zona centrale verso Messina, riuscirono a ottenere il controllo dell’intera isola.13
Sia prima che dopo l’avvio dell’occupazione le incursioni aeree alleate furono particolarmente violente sulle città. In particolare a Messina dove i bombardamenti erano mirati non solo a distruggere obiettivi militari ma anche a demoralizzare la popolazione. Una strategia d’urto piuttosto violenta corroborata anche dal lancio di volantini che invitavano i soldati italiani e i civili alla disobbedienza verso il regime.14 Tappa conclusiva della campagna d’occupazione alleata fu proprio Messina. Il 17 agosto 1943 gli americani entrano della città dello Stretto, subito dopo arrivano anche gli inglesi della VIII armata. Lo fanno a poche ore di distanza dalla fuga degli italiani e dei tedeschi che riescono a traghettare sulla sponda calabra ingenti quantità di uomini e mezzi: 62 mila italiani, 40 mila tedeschi, 50 carri più tutto il parco veicoli quasi indenne. A quel punto i tre chilometri di mare che separano la costa siciliana dal resto d’Italia diventarono linea di demarcazione: da una parte la Sicilia “libera”, dall’altra la penisola futuro teatro di aspri conflitti e dove, a quella data, il regime fascista era già crollato.15
13 Ibidem. In particolare, gli Alleati raggiunsero Palermo il 22 luglio. Più difficile il cammino verso Catania che conquistata dagli inglesi solo il 6 agosto 1943.
14 PRACANICA GIUSEPPE - BOLIGNANI GIOVANNI, Sicilia, Italia. 1943 e dintorni tra cronaca e storia, cit., pp. 109- 110.
15 La notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 a Roma si riunì il Gran consiglio del fascismo che approvò a maggioranza significativa l’ordine del giorno presentato da Dino Grandi che invitava Vittorio Emanuele III a riassumere il comando supremo delle forze armate, sconfessando di fatto il capo del governo. A poche ore di distanza, lo stesso 25 luglio, Mussolini fu obbligato a rassegnare le dimissioni e arrestato dai carabinieri.
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