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10 NICOLOSI SALVATORE, Sicilia contro Italia. Il separatismo siciliano, cit

I.2 Occupazione alleata, mafia e “dietrologie”

Sull’operazione Husky e sui contatti che in quel periodo americani e inglesi avrebbero avuto con elementi della mafia siciliana tanto si è detto e scritto negli ultimi decenni. Il più delle volte il quadro tinteggiato è quello che annovera elementi ai vertici dei comandi militari e della burocrazia statunitense che intrattengono relazioni con personaggi più o meno noti del crimine organizzato italo-americano. Il tutto arricchito dall’immancabile coinvolgimento di spie, informatori, infiltrati e in generale di membri appartenenti alle schiere dei servizi segreti sguinzagliate dalle varie nazioni nel corso del secondo conflitto mondiale.

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Queste circostanze, ancora di fatto non chiarite (ammesso che si potranno mai chiarire), inevitabilmente, non hanno fatto altro che alimentare un intero filone storico a metà tra la letteratura, la cronaca e la pubblicistica, che dal secondo dopoguerra a oggi ha avuto largo seguito nell’opinione pubblica ma sul quale gli storici di stampo accademico hanno sempre avanzato forti dubbi di fondo, incertezze se non addirittura una totale avversione. È quel filone fatto di libri d’inchiesta, articoli, saggi che, a qualche anno di distanza dalla fine della seconda guerra mondiale, cominciò a furoreggiare attingendo alle testimonianze, alle voci e alle teorie che circolarono in Sicilia e secondo le quali la mafia, dietro interessamento del governo statunitense e per tramite dei servizi segreti e degli stessi vertici delle forze armate alleate, avrebbe avuto un importante ruolo d’appoggio e di ausilio nell’ambito delle operazioni di occupazione del territorio isolano.

Un intreccio di fatti, circostanze e coincidenze che vedrebbero coinvolti non solo gangster italo-americani del calibro di Lucky Luciano e boss della mafia siciliana come Calogero Vizzini ma anche personaggi racchiusi in quei torbidi ambienti detti “dei servizi segreti deviati”, oltre che reazionari, faccendieri ed eversivi di varia estrazione politica.

Di certo uno dei primi a “teorizzare” l’esistenza di quello che fu definito, con termine latino, il pactum sceleris (patto scellerato) tra Alleati (e in particolare gli Stati Uniti) e la mafia fu Michele Pantaleone.16 Scrittore, giornalista e politico, Pantaleone visse a Villalba, piccolo centro nel cuore della Sicilia, in provincia di Caltanissetta, e fu testimone di fatti che, subito dopo l’arrivo degli Alleati, videro protagonista Calogero Vizzini, esponente di

16 Cfr. DICKIE JOHN, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Laterza, Bari 2005, pp. 245-251.

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spicco di quella mafia rurale legata ai meccanismi del latifondo e, in quel periodo, particolarmente dedita ai traffici del mercato nero. Vizzini sin da allora era considerato al vertice della criminalità organizzata siciliana se non addirittura il capo indiscusso, capace di prendere decisioni, dal suo piccolo paese d’origine, e di imprimere il proprio volere su un sistema malavitoso profondamente radicato nella società isolana. Un apparato mafioso, se così lo si può definire, ancora arcaico, fondato sui principi dell’onore, del rispetto e che aveva il proprio epicentro soprattutto nel palermitano, nel nisseno e in generale nei centri della Sicilia centro-orientale. Don Calò Vizzini, rappresentava sicuramente il personaggio di spicco nel notabilato paesano e per questo, dopo l’arrivo degli americani, fu posto a capo dell’amministrazione comunale provvisoria divenendo in futuro avversario diretto dello stesso Pantaleone che nella Villalba degli anni ’40 conduceva la sua attività politica e sindacale nell’alveo del Partito socialista italiano.

Come efficacemente rilevato da Elio Sanfilippo, le scelte degli Alleati per la nomina degli amministratori locali si muovevano soprattutto verso i notabili dei paesi, privilegiando le persone più in vista e che avevano un certo ascendente sulla popolazione visto anche lo stato di miseria, arretratezza di molti centri.17 Non sorprende, quindi, se un capomafia come Vizzini potesse essere considerato “notabile” del paese: la concezione che la stessa opinione pubblica aveva allora della mafia è molto lontana da quella odierna. Essere “mafioso”, prima che questa organizzazione criminale mostrasse il suo vero, terribile volto negli anni più recenti, a metà degli anni ’40 significava essere persona rispettata e rispettabile; persona che si è guadagnata un proprio posto nella società e che molto spesso ricopre un ruolo di autorità mantenendo e garantendo nel proprio ambito lo status quo, soprattutto nei momenti di crisi. Il capomafia, specie nei piccoli centri, quindi, era punto di riferimento per tutti, insieme al parroco, al sindaco, al medico e agli altri esponenti del piccolo notabilato. Ecco allora perché Vizzini, come altri suoi “omologhi” in molti centri siciliani dove il fenomeno mafioso era preponderante, in maniera quasi fisiologica divenne caposaldo della comunità, in un periodo di forte disorientamento come quello generato dalla guerra, e di conseguenza primo tra gli interlocutori delle forze alleate al momento dell’occupazione.

17 SANFILIPPO ELIO, Quando eravamo comunisti. La singolare avventura del PCI in Sicilia, Edizioni di passaggio, Palermo 2008, p. 23.

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Per Michele Pantaleone, i contatti tra Calogero Vizzini e gli Alleati nell’estate del 1943 sarebbero un segnale inequivocabile delle relazioni tessute nei mesi precedenti allo sbarco alleato tra alcuni apparati militari del governo statunitense e la mafia italoamericana. Il racconto di quanto avvenne a Villalba nel luglio del ’43 in piena occupazione americana è ormai entrato nell’antologia del “mistero italiano”.

Pantaleone per conoscenza diretta e tramite la testimonianza di suoi compaesani, parla di una strano avvistamento aereo sul cielo di Villalba in pieno giorno: un velivolo americano che attraversa il paese lanciando un pacco-messaggio indirizzato proprio a zu Calò (Calogero Vizzini) e che contiene anche un foulard giallo oro con una grande ‘L’ nera (simbolo del boss Charles ‘Lucky’ Luciano). Un vero e proprio segnale “atteso” dal capomafia villalbese che, a sua volta, prepara un suo messaggio in un dialetto pieno di metafore agro-pastorali dietro cui si celano precise istruzioni per favorire l’avanzata nella Sicilia centrale delle colonne alleate. Il messaggio di Vizzini sarebbe stato indirizzato a zu Peppi, ovvero a Giuseppe Genco Russo, capomafia di Mussomeli, grosso centro cerealicolo del nisseno a poca distanza da Villalba. Il racconto continua con l’arrivo del primo carro armato americano nel paese di don Calò. Un soldato americano reca il fazzoletto giallo oro con la ‘L’ nera e così rintraccia Vizzini per poi portarlo con sé. Secondo il racconto Vizzini farà ritorno a Villalba sei giorni più tardi quando già la Sicilia centrale è nelle mani degli Alleati. L’episodio viene riportato anche da John Dickie.18 Esistono tante versioni di questo racconto, in ognuna abbondano le coloriture e i dettagli, come a voler rendere ancora più realistica la storia.

Gli storici da sempre si sono rivelati fortemente scettici di fronte a questa testimonianza così come ad altre circostanze che, a parere di una certa pubblicistica, confermerebbero il nesso Alleati-mafia. Dickie stesso scrive che «l’episodio è stato raccontato innumerevoli volte, col risultato che su di esso s’è formata una spessa crosta di falsità che ne deformano qua e là i particolari, e che qualche volta danno luogo a invenzioni di sana pianta, per quanto consolidate. Oggi la maggioranza degli storici lo liquida come una favola».19 A confermare la contro-tesi delle «amene invenzioni di

18 DICKIE JOHN, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, cit., pp. 245- 248 (come detto la fonte primaria è in MICHELE PANTALEONE, Mafia e politica, Einaudi, Torino 1962). 19 Ibidem.

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Pantaleone»20, il riscontro oggettivo del mancato coinvolgimento del boss Lucky Luciano che, da quanto appurato dai documenti, nell’estate del ’43 si trova ancora in carcere negli Stati Uniti a scontare una lunga pena per coazione alla prostituzione. Luciano verrà rilasciato solo nel 1946 e successivamente rispedito in Italia.21 Questo dato di fatto fa crollare ogni possibile teoria sul coinvolgimento del boss italo-americano nella campagna di appoggio mafioso allo sbarco alleato in Sicilia. E pensare che ci sono alcune versioni dell’episodio di Pantaleone che narrano addirittura la presenza di Luciano al seguito delle truppe americane sull’isola in quel luglio del ’43. Se da un lato, come scrive Dickie, è certo che Luciano collaborò con i servizi segreti della marina americana per mettere in atto l’operazione anti-spionaggio nel porto di New York, spesso teatro di sabotaggi e danneggiamenti22, dall’altro «nulla prova che Luciano sia stato in Sicilia durante la guerra, e neppure che fosse stata raggiunta un’intesa per liberarlo in cambio delle sua opera per arruolare la mafia siciliana in appoggio a un’invasione alleata».23

Sulla stessa lunghezza d’onda Salvatore Lupo che in passato si è più volte occupato di questo argomento: «Appare in ogni caso poco credibile che al 1942 esista La mafia con cui l’alto comando o i servizi segreti alleati possano accordarsi. Invece è documentato che la US Navy abbia affidato a Luciano la difesa dei docks newyorkesi da sabotatori tedeschi, i quali peraltro non sarebbero mai esistiti essendo stato lo stesso boss a simulare gli attentati per ottenere la scarcerazione […] Sul versante siciliano, Luciano nega invece di aver svolto un qualsiasi ruolo: “Là, a casa, non avevo nemmeno un contatto”».24

Sul fronte opposto a lanciare ulteriori ombre sullo sbarco alleato è Giuseppe Casarrubea che parla di una mobilitazione di mafiosi messa in atto su spinta delle spie americane poco prima dell’avvio dell’operazione Husky: «Al momento dello sbarco del ’43, l’Oss [l’Office of strategic services, il servizio segreto americano, antenato

20 PRACANICA GIUSEPPE - BOLIGNANI GIOVANNI, Sicilia, Italia. 1943 e dintorni tra cronaca e storia, cit., p. 132.

21 DICKIE JOHN, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, cit., p. 249.

22 PRACANICA GIUSEPPE - BOLIGNANI GIOVANNI, Sicilia, Italia. 1943 e dintorni tra cronaca e storia, cit., p. 89.

23 DICKIE JOHN, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, cit., p. 249.

24 LUPO SALVATORE, Storia della mafia, dalle origini ai giorni nostri, Donzelli Editore, Roma 1993, p. 159.

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dell’odierna Cia] mandò Max Corvo e Vincent Scamporino a Favignana, dove erano rinchiusi alcuni avanzi di galera del regime fascista, con l’obiettivo di restituire la libertà ai mafiosi imprigionati. A essi se ne aggiunsero altri che, pur essendo stati nelle prigioni americane, si erano, per così dire, internazionalizzati e avevano portato il crimine dal livello locale su scala planetaria».25

Anche queste notizie andrebbero prese con il beneficio dell’inventario. Vero è che negli ultimi anni grazie all’apertura dei fondi d’archivio del Dipartimento di Stato e dei servizi segreti americani si è potuto scandagliare più a fondo questo periodo storico grazie alla gran mole di documentazione e rapporti provenienti dai vari informatori, tuttavia bisogna sempre tener conto che si tratta di fonti per le quali è alto il rischio di travisamenti, mistificazioni, manomissioni ed edulcorazioni varie. A redigere questi rapporti il più delle volte erano informatori “interessati” il cui punto di vista poteva anche non rispecchiare la realtà dei fatti.

A ogni modo gran parte della storiografia ufficiale, specialmente quella più recente, sempre scettica di fronte a certi metodi di indagine storica giudicati troppo frettolosi e pregni di preconcetti, anche in questo caso non si sbilancia. In più c’è da mettere in conto che subito dopo l’occupazione alleata della Sicilia le voci e le ipotesi circolanti sul presunto appoggio della mafia alla campagna anglo-americana divennero un’ottima materia prima per le polemiche e le strumentalizzazioni messe in atto da parti politiche diverse con l’obiettivo di ottenere consenso nell’opinione pubblica e demonizzare il nemico di turno. «Il contributo della mafia alla liberazione della Sicilia – scrive Elio

Sanfilippo – in un’organica alleanza con gli americani è un luogo comune agitato, allora dalle forze fasciste con l’intenzione di denigrare la funzione liberatrice degli Alleati e, in seguito, ripreso da settori di sinistra per alimentare la propaganda antiamericana».26

Anche Francesco Renda nella sua Storia della Sicilia si sofferma molto sull’ipotesi di un nesso tra mafia, gangsterismo italoamericano e servizi segreti statunitensi. La sua indagine storica, come da lui stesso sottolineato, parte da ben saldi riscontri su

25 CASARRUBEA GIUSEPPE, Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra, Bompiani, Milano 2005, p. 32. 26 SANFILIPPO ELIO, Quando eravamo comunisti. La singolare avventura del PCI in Sicilia, cit., p. 23.

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