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DELL’ESERCITO SABAUDO (1713-1720) PAG
INDICE
INTRODUZIONE PAG. 5
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VICENDE DELLA GUERRA IN SARDEGNA E SICILIA PAG. 7
L’evoluzione del conflitto, pag. 7 - La spedizione di Sardegna, pag. 8 - La spedizione di Sicilia, pag. 14 - Lo sbarco a Palermo e la marcia su Messina, pag. 18 - La squadra dell’ammiraglio Byng, pag. 23 - La sorpresa di Capo Passero, pag. 30 - L’assedio della cittadella di Messina, pag. 37 - Battaglia e assedio di Milazzo, pag. 38 - La battaglia di Francavilla, pag. 43 - La gloriosa difesa della cittadella di Messina, pag. 50 - Le operazioni nella Sicilia occidentale, pag. 54 - L’evacuazione di Sicilia e Sardegna, pag. 57.
ORGANIZZAZIONE DELL’ESERCITO SPAGNOLO PAG. 59
Fanteria, Cavalleria e Dragoni, pag. 59 - Generali, artiglieria e ingegneri, pag. 68 - La marina spagnola, pag. 70.
VICENDE DELLA GUERRA IN SARDEGNA E IN SICILIA
Il re Luigi XIV di Francia aveva ottenuto il suo obiettivo di mettere sul trono di Spagna suo nipote Filippo (Filippo V). Per questo fine non esitò a scatenare in Europa una guerra sanguinosa che durò quindici anni, proseguendo in Catalogna e nelle Baleari fino al 1715. La gran perdente fu la Spagna. Prima sui campi di battaglia e poi ai negoziati di Utrecht, la parte europea del suo impero: i Paesi Bassi, Milano, Napoli e la Sardegna, passarono sotto il dominio degli Asburgo d’Austria, mentre la Casa di Savoia ottenne la Sicilia e gli Inglesi si insediarono a Minorca e Gibilterra, piazza quest’ultima che conservano tuttora. La lunga guerra aveva creato una classe di soldati come mai vi era stata in Spagna, poiché coinvolgeva tutti gli strati della società, i cui sogni di vittoria erano stati frustrati dai negoziati di pace, diretti dalla Francia secondo i suoi interessi, lasciando quasi intatti i territori francesi e cedendo invece i possedimenti spagnoli. L’esistenza di un esercito forte e sperimentato, nonostante le riforme subite dopo la fine della guerra ed il desiderio di Filippo V di recuperare gli Stati perduti, portarono inevitabilmente a una nuova serie di guerre, anche se tutti i contendenti cercarono di evitare che si instaurasse un conflitto universale, come era stata la precedente guerra della Successione Spagnola. L’ingente numero di soldati smobilitati da altri eserciti a causa dell’arrivo della pace nel 1714 (e poi nel 1717 con i Turchi) e che indipendentemente dalla loro nazionalità si offrivano di servire a chi li avesse pagati, permise all’esercito spagnolo in trasformazione di reclutare i reggimenti stranieri e di crearne dei nuovi chiamati in Spagna “de naciones”, che servirono su tutti i fronti tra il 1717 ed il 1720. Un ambizioso personaggio si era fatto largo alla corte di Madrid grazie alla protezione della regina Isabella Farnese e l’appoggio del partito italiano. Si trattava di Giulio Alberoni, un ecclesiastico italiano, divenuto cardinale nel 1717, già segretario del duca di Vendôme fino alla morte di questi; egli agiva come strumento del duca di Parma, Francesco Farnese, zio e patrigno della regina, che voleva sfruttare la situazione facendo leva sul desiderio di Filippo V di recuperare i suoi possedimenti italiani. La politica di Alberoni venne favorita dal comportamenti dei governatori imperiali di Milano e Napoli e di Vittorio Amedeo in Sicilia.
EVOLUZIONE DEL CONFLITTO
La crisi decisiva scoppiò il 27 maggio 1717 quando l’ottuagenario don José Molines, nominato Grande Inquisitore di Spagna mentre era in missione diplomatica a Roma, venne arrestato a Milano, dove era di passaggio per evitare il viaggio in mare sulla via della Spagna: fu una decisione arbitraria del governatore principe di Löwenstein, il quale senza un motivo plausibile fece rinchiudere il vecchio prelato nel castello di Milano (l’attuale “Castello Sforzesco” il cui aspetto era allora molto diverso da quello odierno) dove ben presto morì. Alla notizia dell’arresto di Molines, la collera di Filippo V fu incontenibile. Alberoni cercò di calmarlo e di evitare, per il momento la guerra, ma le pressioni esercitate congiuntamente dalle Corti di Parma e di Madrid furono tali che non gli fu possibile resistere.1 Il primo obiettivo spagnolo fu la Sardegna, che aveva appartenuto alla “Corona d’Aragona” dalla fine del XIII secolo entrando poi a far parte della “Corona di Spagna” con le nozze di Ferdinando e Isabella. Anche l’obiettivo successivo, la Sicilia, apparteneva alla “Corona d’Aragona” dopo i “Vespri Siciliani” del 1282, quando gli isolani avevano chiamato il re Pietro III di Aragona, acclamandolo come loro re. Molte province del regno di Francia ne facevano parte da molto meno tempo di quanto le due isole fossero passate sotto il governo di dinastie ispaniche. La Sardegna era stata tolta ai borbonici nel 1708 dai sostenitori del partito della casa d’Asburgo e posta sotto il dominio del loro pretendente al trono spagnolo, l’arciduca Carlo (Carlo III come re di Spagna,
1 Paolo Alatri, L’Europa dopo Luigi XIV (1715-1731), Palermo, Sellerio, 1986, pp. 149, 152.
poi imperatore Carlo VI). Erano stati invece gli inglesi a volere che la Sicilia fosse ceduta a Vittorio Amedeo II di Savoia, per compensarlo dell’esclusione dalla successione al trono della Gran Bretagna alla quale lui, cattolico, aveva maggior diritto che l’elettore di Hannover, favorito dal principio della “successione protestante”. Ottenuta l’isola in virtù del trattato di Utrecht, Vittorio Amedeo era giunto a Palermo il 23 settembre 1713, vi era stato incoronato il 21 dicembre seguente ed era rimasto nell’isola fino al settembre 1714 quando ritornò in Piemonte, lasciando al governo della Sicilia come viceré il conte Annibale Maffei.2 In quanto alla Sardegna, l’Imperatore dal 1708, quando il regno era stato strappato ai borbonici, ne aveva affidato il governo ad un viceré. Nel 1717 Pedro Nuño Colón Portugal, conte di Atalaya fu sustituito come viceré da Joseph Antonio de Rubí y Boxadors, marchese di Rubí, che dopo avere combattuto durante ▲ Giovanni Maria Dellepiane (Il Mulinaretto), ritratto del cardinale tutta la guerra precedente nell’esercito del pre- Alberoni, Collegio Alberoni (Piacenza). tendente austriaco al trono spagnolo arciduca Carlo, giungendo ad esser colonnello del reggimento spagnolo-catalano della Regina, era stato nominato governatore di Maiorca nel 1713, isola ripresa dalle armi di Filippo V due anni dopo. Le forze militari asburgiche dispiegate in Sardegna erano anche composte da gente della stessa origine. La spedizione spagnola in Sardegna nel 1717 e poi quella in Sicilia nel 1718 riaccesero la guerra in Europa. La riconquista spagnola della Sardegna acuì la tensione con la Gran Bretagna: vascelli inglesi furono predati da navi spagnole in America, e circolarono voci di una possibile spedizione navale contro le coste britanniche in appoggio alla ribellione giacobita. Nel novembre 1717 Londra e Parigi avanzarono proposte di mediazione, ma non riuscirono a convincere Madrid ad accettare il riassetto territoriale proposto, che prevedeva il passaggio dei ducati di Parma e Piacenza all’infante Carlo, figlio della regina Elisabetta, quando i Farnese si fossero estinti, eventualità considerata praticamente certa. Alberoni riteneva che la Gran Bretagna avesse un oggettivo interesse al ridimensionamento della potenza asburgica e puntava sulla speranza che la Francia si alleasse con la Spagna: speranza tenuta viva dalle oscillazioni e incertezze del reggente Filippo d’Orleans (nel frattempo nel 1715 Luigi XIV era morto ed il trono era passato al pronipote Luigi XV di appena 5 anni, per cui il governo era stato assunto, come reggente da Filippo d’Orleans, figlio di un fratello del Re Sole): per cui si irrigidì dichiarando irrinunciabili il possesso della Sardegna e l’esclusione dell’Impero dalla Sicilia. Al contrario, a seguito degli incontri diplomatici svoltisi a Vienna nel marzo-aprile 1718, Carlo VI aderì in linea di principio alla Triplice - e ora Quadruplice - Alleanza tra Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi: e firmò il trattato a metà giugno. Il Reggente di Francia, Duca d’Orléans, già avverso a Filippo V a causa dei problemi legati alla successione di Luigi XIV dopo la sua morte avvenuta nel 1715, fu esasperato dalla fallita “congiura di Cellamare” (dal nome dell’ambasciatore spagnolo a Parigi), uno dei più gravi errori di Alberoni, per cui la Spagna non solo entrò in guerra contro i suoi antichi nemici, ma si vide anche attaccata dalla stessa Francia, con la motivazione di ridurre la Spagna ad accettare le condizioni della Quadruplice alleanza e di fare licen-
2 Vedi il volume I di questa serie.
ziare Alberoni dalla corte di Madrid. I primi ventimila soldati francesi entrarono in territorio spagnolo il 21 aprile 1719 per Vera ed Irún e posero l’assedio alla città fortificata di Fuenterrabia che cadde il 18 giugno. Il 2 agosto cadde San Sebastián, il 17 la sua cittadella e in breve termine s’impossessarono di tutta la provincia di Guipuzcoa (nei Paesi Baschi). Nel mese di ottobre l’esercito francese invase anche la Catalogna, ma non riuscì a impadronirsi di Rosas; inoltre il duca di Berwick3, che lo comandava, era poco disposto a valersi dell’appoggio dei partigiani del partito asburgico (i “micheletti” antiborbonici) ancora attivi in un paese dove le istanze di ribellione al governo di Madrid erano sempre vive. In Francia la guerra contro la Spagna era impopolare e il governo era orientato a concludere quanto prima la pace. In Gran Bretagna i protestanti erano invece esacerbati dalla spedizione in Scozia in appoggio al “pretendente” Giacomo Stuart, dispersa da una tempesta nell’aprile 1719: per ritorsione e per aumentare ancora più la pressione sulla corte spagnola con operazioni anfibie al comando del gen. Cobham, la flotta dell’ammiraglio James Mighells mise a ferro e fuoco le coste della Galizia e assalendo Vigo e Pontevedra, che si arresero il 10 e 14 ottobre 1719 (solo la cittadella di Castro resistette fino al 21). A questi fronti militari, si doveva aggiungere il fatto che inglesi e francesi attaccavano anche le coste americane e minacciavano le flotte delle Indie; a tanti problemi si aggiungeva poi lo stretto assedio del possedimento africano di Ceuta mantenuto dal sultano del Marocco. Scoraggiato dall’esito disastroso di quella guerra4, Filippo fu costretto infine ad accettare le condizioni della Quadruplice Alleanza, gettando la colpa di tutto su Alberoni, che fu allontanato dalla Spagna ed esiliato in in Italia. Il conflitto ebbe termine il 17 febbraio 1720, anche se la conclusione delle ostilità in Sicilia giunse qualche tempo dopo.
LA SPEDIZIONE IN SARDEGNA.
In Sardegna si era mantenuto un forte partito filo-spagnolo appoggiato da potenti famiglie isolane come i marchesi di Laconi e di San Felipe, che cercavano di ritornare sotto il dominio della Spagna. I viceré asburgici, il conte di Erill D. Antonio Roger e quello di la Atalaya, D. Pedro Manuel, avevano imposto all’isola pesanti tasse guadagnandosi l’avversione del popolo e provocato la sollevazione della città di Sassari. La guarnigione asburgica dell’isola, già scarsa, contava solo alcune compagnie del reggimento di fanteria del colonnello Manuel Barbon, il piccolo reggimento di cavalleria del colonnello Jaime Carreras e qualche reparto minore, meno di millecinquecento uomini in tutto, formati però in larga maggioranza da catalani e valenciani di sentimenti antiborbonici5. Completavano le forze circa 150 ufficiali ed artiglieri distribuiti nelle tre piazzeforti di Cagliari, Alghero e Castel Aragonese (oggi Castelsardo) e nelle torri costiere. I preparativi della spedizione si fecero con tanta segretezza che neppure i capi delle truppe sapevano bene quale fosse la loro destinazione. Nel 1716 la Spagna, su sollecitazione del Pontefice, aveva inviato a Corfù una Squadra di 6 vascelli e 4 galere per combattere i Turchi, che avevano invaso la Morea (Peloponneso) e assediavano nell’isola greca la guarnigione veneziana al cui comando era il maresciallo Schulenburg. Nel 1717 truppe e navi furono riunite a Barcellona col pretesto di una nuova spedizione nel Mediterraneo orientale. In terra, grazie allo zelo dell’intendente generale Patiño, fu pronto in breve tempo tutto il necessario per la spedizione, che si componeva principalmente di reggimenti già di stanza nel Principato di Catalogna. Nell’aprile 1717 la flotta si raccolse nel porto di Cadice, dicendosi che dovesse unirsi alla marina veneziana nella lotta contro i turchi ed iniziarono i preparativi della spedizione. La squadra rimasero in questo porto fino al mese di giugno, quando prese il mare. Tuttavia, anziché dirigersi sulla rotta di Sicilia e da lì verso
3 James Fitzjames figlio illeggitimo del desposto re inglese Giacomo II e della sua amante Arabella Churchill (sorella del futuro duca di Marlborough), ebbe il titolo di duca di Berwick, e fece una lunga carriera al servizio della Francia, nonché della Spagna. 4 Una buona parte delle truppe migliori veterane erano impegnate in Sicilia; molte di quelle schierate contro i Francesi, con i loro ufficiali, erano invece di nuova leva e di scarsa esperienza. 5 Nel volume III si tratterà in maggior dettaglio questo argomento, Il reggimento Barbon era in origine un reggimento di fanteria spagnola-lombarda formato a Milano nel maggio 1707; nel 1710 una parte del reggimento passa di guarnigione in Sardegna; nel 1714 tutto il reggimento viene destinato a guarnire l’isola. Il reggimento Carreras derivava invece dal reggimento di cavalleria catalana Sormani formato in gran parte da prigionieri della battaglia di Zaragoza (1710) passati al partito asburgico; il reggimento era stato destinato alla guarnigione della Sardegna dopo l’abbandono di Barcellona nel 1713.
Levante per congiungersi con le altre squadre ausiliarie della Repubblica veneta, si spostò senza apparente motivo a Barcellona, (per congiungersi ai trasporti che portavano le truppe), entrando in rada di Barcellona la mattina del 2 luglio 1717. Questo fatto destò a Vienna il timore di un colpo di mano contro il regno di Napoli, per opporsi al quale le forze mancavano. Per quanto le Gazzette dell’epoca affermino che Vienna abbia subito disposto il trasferimento di numerosi reggimenti verso Napoli, fu solo dopo la grande vittoria riportata dal principe Eugenio presso Belgrado (18 agosto 1717) che si resero disponibili molte delle forze che erano state impiegate sul fronte orientale.
SPEDIZIONE CONTRO LA SARDEGNA Tenenti Generali.
Jean-Francois-Nicolas de Bette e Croy-Zollre, marchese di Lede. Capo della spedizione. Joseph de Armendariz e Perurena, marchese de le Navas e Castelfuerte.
Marescialli di campo.
Joseph Carrillo de Albornoz y Montiel, conte (poi duca) di Montemar. Antonio Pignatelli e Aymeric, marchese di San Vicente. Philippe-Emmanuel-Antoine de Bette et de Croy, cavaliere de Lede. Enrique Grafton. Le truppe che componevano la spedizione erano 14 battaglioni di fanteria, e 300 dragoni. ◆ 4 battaglioni delle Guardie spagnole, colonnello Guillén Ramón de Moncada y Portocarrero, marchese di
Aytona (agli ordini del tenente colonnello Francisco Armendáriz). ◆ 4 battaglioni delle Guardie vallone, colonnello Guillaume de Melun de Gand-Vilain, marchese di Risbourg (agli ordini del loro tenente colonnello il conte di Glymes) ◆ 2 battaglioni del reggimento di Murcia. Colonnello Francisco Bustamante. ◆ 2 battaglioni del reggimento di Burgos. Colonnello Isidro Usel Guimbarda. ◆ Reggimento di Wachop. Colonnello Francisco Wachop. ◆ Reggimento di Hainaut. Colonnello Claude, conte di Bournonville. I dragoni, comandati dal conte di Pezuela, erano costituiti da distaccamenti di vari reggimenti. L’artiglieria, al comando del colonnello Sebastián de Matamoros, contava 200 artiglieri e bombardieri, 60 operai e 50 minatori, con un parco composto da 32 cannoni e 14 mortai; completavano le forze alcuni ingegnieri comandati da Joseph de Bauffre. La flotta che doveva convogliare questa spedizione, secondo il padre Belando, era composta da quindici navi da guerra (di cui nove di linea), due brulotti, due galeotte a bombe, quattro galee e undici navi, 34 tartane, dieci pinchi, e una saetia per il trasporto delle truppe 6, la maggior parte di questi requisiti all’ultima ora tra le imbarcazioni mercantili che si trovavano nei porti della Catalogna e di Valencia. Il comando fu conferito al genovese marchese Stefano de Mari, insieme ai capi di squadra Baltasar de Guevara e Francisco Grimau. Il 17 luglio, giorno previsto per la partenza della spedizione, già si trovavano raccolti in Barcellona una gran quantità di viveri e munizioni da guerra e da bocca e gran parte della truppa che doveva imbarcarsi. Il ritardo dell’arrivo dei quattro battaglioni delle Guardie Vallone, che erano accantonati in Tarragona, fece sì che i marchesi di Lede e Mari, decidessero di salpare comunque, lasciando indietro parte della flotta a carico di Baltasar de Guevara perché li imbarcasse, ponendo queste truppe a carico del conte di Montemar e senza potere dare ordini precisi dei quali essi stessi non disponevano. In questo modo Mari si pose alla vela il 24 luglio e Guevara non poté farlo che il 30 seguente. La flotta di Mari era composta da 59 legni insieme alle galee, lasciando a Guevara tre vascelli da guerra, cinque da trasporto e dodici tartane. Però la perizia marinara di Guevara fece sì che la sua piccola squadra navigasse direttamente costeggiando il golfo del Leone fino alla Corsica e di lí alla Sardegna, evitando le calme di vento che trattennero invece i legni di Mari, che si videro obbligati a fermarsi
6 Nicolas de Jesus Belando, Historia civil de España, II, Madrid, Manuel Fernandez, 1740, p. 167.
a Maiorca, di modo che non giunsero a vista di Cagliari fino al 9 agosto. La sorpresa del marchese di Rubí, viceré asburgico dell’isola, di fu totale. Montemar, in assenza di ordini, decise di aspettare l’arrivo del grosso della flotta e in questo modo perse l’opportunità di impadronirsi della piazza con scarsa resistenza. Il viceré Rubí, fece chiamare alle armi gli uomini della milizia e diede ordini per munire di viveri le tre piazzeforti dell’isola: Cagliari, Castello Aragonese ed Alghero. Mentre Montemar dibatteva con i suoi ufficiali se si dovessero sbarcare le truppe, il 20 arrivò una nave inviata da Mari avvisando del suo prossimo arrivo, che avvenne il giorno seguente. La stessa notte cominciò lo sbarco degli uomini nella spiaggia di Sant’Andrea, con scarsa resistenza da parte degli imperiali. Il campo spagnolo si pose nei pressi del santuario di Nostra Signora de Lluch, alla cima del monte Urpino, luogo che contava tre pozzi d’acqua, punto importante perché il viceré Rubí aveva dato ordine di avvelenare tutti i pozzi, metodo di “mala guerra” molto utilizzato dai catalani nella resistenza contro i Borbonici nella recente guerra in Spagna. Lede invió un trombettiere a Rubí chiedendo la resa della piazza, ma ne ricevette una risposta negativa. La disposizione del terreno obbligava ad aprire gli attacchi dal convento di Gesú [oggi la ex Manifattura Tabacchi], fino alla Chiesa di San Lucifero, per battere il bastione di Monserrato o dello Sperone o della Zecca [nell’odierno Bastione San Remy], dove si doveva aprire la breccia, dovendosi per prima cosa catturare il sobborgo fortificato della Marina. L’attacco inizió dall’est, impossessandosi i battaglioni delle guardie vallone comandati dal brigadiere e capitano della compagnia di granatieri del terzo battaglione, Albert-Joseph de Dongelberg, marchese di Rèves, dei conventi di Bonaria, della Trinità [nell’attuale Camposanto] e di San Lucifero, situati ad est della città ed il 26 si cominciò lo sbarco dell’artiglieria. Nel mentre, la flotta chiuse l’adito ad ogni intento di soccorso agli assediati, catturando in breve alcuni artiglieri venuti da Napoli che cercavano di entrare nella piazza. Allo stesso tempo le navi cominciarono a lanciare alcune bombe contro la piazza e le sue difese per intimidire la popolazione perché obbligasse il viceré ad arrendersi. Il 31 agosto riuscì ad entrare nella piazza un rinforzo di 300 cavalieri che alleviarono un po’ la penuria di uomini di cui soffriva la guarnigione. Il viceré Rubí, credendosi superiore in cavalleria alle truppe borboniche dispiegò i suoi seicento cavalieri nella pianura, ed attaccò le linee degli assedianti; però nello scontro in campo aperto con i dragoni spagnoli, ebbe a soffrire una cocente sconfitta, rimanendo disfatta la sua cavalleria con molti morti e prigionieri. Il maresciallo di campo Grafton con un distaccamento di 200 granatieri cercò di impadronirsi del castello di San Michele della Contessa, perché i capi spagnoli stimavano che si trovasse poco guarnito e quasi in stato di abbandono. In realtà si sbagliavano poiché fu difeso efficacemente dal conte di San Martín con una compagnia di fanteria e numerosi miliziani, obbligando i granatieri a ritirarsi con una ventina di perdite. Un nuovo attacco effettuato il 6 settembre, fu di nuovo respinto. Fino al 10 settembre da parte spagnola non si poté cominciare ad aprire la trincea contro la piazza, per mancanza di un sufficiente numero di fascine e tre giorni dopo aprì il fuoco la prima batteria. I difensori, al contrario di quanto ci si aspettasse, lottavano con gran perseveranza, però il 15 gli spagnoli si resero padroni del sobborgo di Stampace, ma restarono trattenuti in quello di Villanova. Intanto, il 6 precedente avevano salpato da Barcellona sedici navi al comando del marchese di Montealegre, che conducevano in Sardegna come rinforzo il reggimento di fanteria italiana di Basilicata, di un battaglione, con il suo colonnello Bernardo Carafa e tre squadroni del reggimento di cavalleria di Rosellón Viejo (poi Borbón), colonnello Joseph Manrique de Arana, marchese di Villalegre, che giunsero il 16 a Cagliari. Il 17 si aprì una nuova trincea e si poté completare l’accerchiamento della piazza. Non avendo speranza di soccorsi, quella stessa notte il viceré Rubí, accompagnato dai nobili più legati al governo asburgico e scortato da alcuni cavalieri, fuggì cercando rifugio nell’interno dell’isola. Il 19 i fuggitivi furono sorpresi a Siamanna dal conte di Pezuelae dai suoi dragoni lanciati all’inseguimento e fatti quasi tutti prigionieri, ma il viceré riuscì a
mettersi in salvo, perdendo però sia il cappello, che il bastone di comando. Alla notizia dell’assedio di Cagliari, molte località dell’interno dell’isola cominciarono a sollevarsi contro le autorità austriache. Gli abitanti della città di Sassari insorsero guidati da Domingo Vico, marchese di Solemnis, Pedro Amat, barone di Sorso; Juan Guio, barone di Osi e Antonio Miguel Olivés, marchese di Montenegro. Il 12 ottobre il marchese di Lede diede ordine a Francisco Grimau che appoggiasse con le sue galere gli insorti e il 16 arrivò a Sassari il marchese di Montealegre con un distaccamento, che si unì alla gente che comandava il marchese di Montenegro. Il governatore asburgico, colonnello Joseph Gonzalo Benítez de Lugo, si diede alla fuga, venendo nominato al suo posto dai sollevati Pedro Amat. Il rimanente dell’isola si sottomise senza resistenza. Tuttavia continuavano a resistere alcuni nobili come Francesco Pes, marchese di Villamarina e Juan Valentín, conte di San Martino, che riunirono in Gallura un corpo di circa mille cavalieri, sperando in rinforzi dal continente, ben presto però di fronte alla mancanza di soccorsi la gente si disperse e cominciò a tornare alle proprie case, mentre i capi si posero in salvo in Corsica. A Cagliari, la fuga del viceré non aveva scoraggiato i difensori chiusi nel castello al comando del colonnello Carreras. Questi il 22 ordinò una sortita arrivando fino al campo degli assedianti, anche se fu respinta con alcune perdite. A partire dalla mattina del 24 entrò in azione una nuova batteria con la quale quaranta cannoni e venti mortai bombardavano la città. Il 28 un distaccamento di 300 guardie vallone s’impadronì del sobborgo della Marina, abbandonato dai difensori. Inaspettatamente, la sera del 30 il colonnello Carreras fece la chiamata per arrendersi. Il 2 fu sottoscritta la capitolazione, lasciando libera la guarnigione: ma il giorno dopo si imbarcarono solo 122 uomini, prendendo partito per la Spagna i rimanenti. Due giorni dopo la capitolazione di Cagliari, il conte di Montemar uscì dal campo spagnolo con un distaccamento di mille granatieri ed il reggimento di cavalleria di Rosellón Viejo verso Alghero, mentre il marchese di Lede si poneva in marcia con il grosso dell’esercito il 14 ottobre, lasciando di guarnigione nella capitale i reggimenti di fanteria di Murcia e Basilicata ed un distaccamento di cento dragoni e come governatore il tenente generale Joseph Armendáriz, benché a causa dell’infermità di cui soffriva, governasse interinamente la piazza il marchese di San Vicente. Dopo una marcia penosa a causa del calore e la scarsità d’acqua, il grosso delle truppe di Lede giunse ad Alghero la notte dal 19 al 20 settembre, riunendosi con l’avanguardia di Montemar, che aveva già preso i posti. Governava questa piazza per l’imperatore il colonnello Alonso Bernardo de Cespedes, con circa quattrocento uomini, compresi 180 dragoni smontati del reggimento di dragoni Hamilton (dell’esercito del ducato di Milano) che erano riusciti a sbarcare in Sardegna. Vi si trovava anche il viceré Rubí, che non sentendosi sicuro si imbarcò raggiungendo poi la Corsica. La piazza d’Alghero, benché forte per la sua situazione, non aveva fortificazioni in grado di resistere ad un assedio. Dopo l’arrivo di alcune navi che bloccarono il porto, il governatore de Cespedes si arrese il 28 ottobre e la maggiore parte dei dragoni di Hamilton presero partito per gli spagnoli;. il giorno dopo questi entrarono nella piazza, lasciandola guarnita da 500 uomini agli ordini di un colonnello. Mentre ancora durava l’assedio di Alghero, si inviò un distaccamento comandato dal maresciallo di campo marchese di San Vicente verso Castel Aragonese, che si arrese il 29 ottobre. I soccorsi inviati dalla corte di Vienna ai difensori della Sardegna furono molto limitati. Dalla Lombardia partì solo il reggimento di dragoni di Hamilton, smontato, di cui però, causa il tempo contrario, ne arrivò circa la metà, che rinforzò i presidi di Alghero e Castel Aragonese. Andò peggio a un distaccamento di circa cinquecento uomini mandato da Napoli, che sbarcato presso Terranova (oggi Olbia) fu costretto alla resa dagli abitanti del luogo, controllato da Giovanni Battista Sardo di Tempio che aveva preso le armi per la Spagna.7 Il clima malsano dell’isola, infestata dalla malaria, aveva decimato le truppe spagnole. La conquista della Sardegna aveva richiesto due mesi e otto giorni, con un costo di circa cinquecento perdite, la maggiore parte a causa di infermità, risultando tra le più sensibili quelle del brigadiere Francisco Morejón, tenente colonnello
7 Secondo Gerba i fatti si svolsero in maniera diversa e meno romanzesca: vedi volume III
Tav. 1 Granatiere e ufficiale superiore a cavallo del reggimento delle Guardie di fanteria spagnole.
Tav. 8 Granatieri dei reggimenti di fanteria Valladolid e Ultonia.
Quell’estate del 1718: il “grande gioco” nel Mediterraneo. Gli eventi che portarono alla battaglia di Capo Passero
La battaglia di Capo Passero Ricorre quest’anno il trecentesimo anniversario della battaglia navale di Capo Passero, nella quale la squadra inglese dell’ammiraglio Byngdistrusse la flotta spagnola comandata dall’ammiraglio Castañeta. Si trattò di una battaglia anomala perché combattuta in assenza di una dichiarazione di guerra formale. Poiché si tratta di un periodo storico forse poco conosciuto, riteniamo utile riassumere gli eventi che portarono al conflitto tra le potenze della Quadruplice Alleanza, Inghilterra, Francia, Olanda e Austria, e la Spagna, con la “partecipazione”, del tutto involontaria, di Vittorio Amedeo II, duca di Savoia e, all’epoca, Re di Sicilia. Nel 1718 i fragili equilibri europei stabiliti dal trattato di Utrecht che aveva posto termine alla guerra di successione spagnola stavano scricchiolando. Filippo V di Borbone, Re di Spagna, non si era mai rassegnato alla perdita dei possedimenti spagnoli in Italia: il ducato di Milano, la Sardegna e il regno di Napoli assegnati all’Imperatore Carlo VI d’Asburgo, e il regno di Sicilia, con il tanto a lungo ricercato titolo reale, al Duca Vittorio Amedeo di Savoia (questo grazie all’appoggio della regina Annad’Inghilterra). A sua volta l’Imperatore non aveva rinunciato alle sue pretese sulla corona di Spagna e non aveva accettato l’assegnazione della Sicilia al Savoia, al quale rifiutava il riconoscimento del titolo reale. Negli anni seguenti, grazie all’attività del nuovo primo ministro, il cardinale Alberoni, la Spagna era riuscita a ricostruire parzialmente la propria forza militare e navale. Nel 1717 Filippo V, istigato dal Duca di Parma Francesco Farnese, decise di riprendersi la Sardegna, approfittando del fatto che l’Austria era duramente impegnata in Ungheria conto l’impero ottomano, al quale aveva dichiarato guerra nel 1716 quando la repubblica di Venezia - che era stata attaccata dai turchi ed aveva perso una buona parte dei territori dello Stato da Mar–aveva chiesto il suo aiuto.
Le consistenti truppe spagnole trasportate da una numerosa flotta occuparono rapidamente l’isola senza che il viceré austriaco di Napoli, conte Daun, privo di forze sufficienti, potesse inviare rinforzi alle truppe imperialiche la presidiavano e dovettero arrendersi.Una volta consolidata la conquista, la flotta spagnola rientrò a Barcellona. A tutte le cancellerie europee era però chiaro che quella era solamente una mossa iniziale: i preparativi bellici spagnoli continuavano, una nuova flotta, poderosa nel numero se non nella qualità, veniva radunata a Barcellona dove venivano fatti affluire consistenticorpi di truppe. L’unica incognita era la loro destinazione. Si pensava al Regno di Napoli, al Ducato di Milano oai presidi della Toscana1 . Tra la fine del 1717 e l’inizio del 1718, dopo vani tentativi di mediazione e lunghe trattative diplomatiche, la Gran Bretagna, la Francia, l’Impero e i Paesi Bassi stipularono un trattato di alleanza che aveva l’obiettivo di contenere l’espansionismo spagnolo e di risolvere le questioni rimaste in sospeso tra l’Impero, la Francia e il Regno di Sicilia; i preliminari del trattato furono approvati a gennaio e il trattato, detto della Quadruplice Alleanza, che aveva come scopo dichiarato quello di portare la pace tra “l’Imperatore e i Re di Spagna e di Sicilia”, fu firmato a Londra il 2 agosto2. Tra l’altro, il trattato prevedeva che Vittorio Amedeo II, che non era stato consultato, cedesse la Sicilia all’Imperatore ricevendo in cambio la Sardegna con l’annesso titolo regale. Carlo VI e l’Inghilterra si impegnavano a fornire le forze navali e terrestri per la riconquista dell’isola nel caso la Spagna non avesse accettato di cederla pacificamente. Come previsto dal trattato, nei mesi precedenti la firma ufficiale Vittorio Amedeo fu contattato dai rappresentanti delle potenze firmatarie per convincerlo ad accettare lo scambio, cosa che rifiutò anche se, avendo perso l’appoggio inglese con la morte della regina Anna e con una Francia alquanto indifferente, i suoi margini di manovra fossero nulli: le sue proteste e i tentativi di ottenere delle modifiche caddero nel vuoto. Poiché quando il trattato fu firmato ufficialmente Vittorio Amedeo non aveva ancora accettato la cessione della Sicilia, gli articoli due e tre “separati e segreti” firmati il 2 agosto a Londra, prevedevano che gli fossero concessi tre mesi di tempo per accettare le condizioni “fisse ed immutabili” della Pace con l’Imperatore; se allo scadere di quel lasso di tempo il Re di Sardegna (come era ormai denominato dalle quattro potenze) “contro tutte le attese degli altri Contraenti e la volontà di tutta l’Europa” non avesse accettato le condizioni e siccome “non è possibile che la pace d’Europa dipenda dalla renitenza di quel Principe” le potenze firmatarie avrebbero unito le proprie forze per costringerlo con la forza a sottomettersi, così come avrebbero fatto nei confronti della Spagna3. Nel caso avesse invece accettato lo scambio avrebbe dovuto unirsi aloro contro la Spagna. Contro il Savoia pesava anche il sospetto di Carlo VI che si fosse segretamente alleato con la Spagna per invadere il regno di Napoli. Grazie all’imminente fine vittoriosa della guerra contro i turchi (la pace sarà firmata a Passarowitz il 21 luglio 1718), l’Austria fu in grado di cominciare a trasferire alcuni contingenti di truppe dai Balcani all’Italia, ma si trattò di un movimento che richiese molto tempo, anche a causa della carenza di mezzi finanziari e dello stato malconcio delle truppe che avevano bisogno di riposo, vestiario e rimonte per la cavalleria. I primi rinforzi giunsero a Napoli, parte via terra e parte via mare da Fiume, tra aprile e maggio 17184 . A marzo del 1718 gli Avvisi Italiani, una gazzetta che si stampava a Vienna, riportarono la notizia che il Regno di Napoli era allarmato per i “continui armamenti della Spagna, per Mare e per Terra” che si supponeva avessero come luogo di raduno la Sardegna.5
Questo era il quadro nella tarda primavera del 1718, quando i vari contendenti cominciarono le loro mosse sulla scacchiera rappresentata dal Mediterraneo.
Gli eventi tra giugno e il 6 agosto 1718
I movimenti spagnoli e inglesi tra giugno e agosto 1718
Il governo inglese decise di inviare nel Mediterraneo una forte squadra navale, il cui comando fu assegnato all’ammiraglio sir George Byng le cui istruzioni erano, una volta giunto nel Mediterraneo, di rendere noto alla Corte di Spagna e al viceré di Napoli che era stato inviato per comporre i motivi di disaccordo tra le Corone di Spagna ed Austria e per prevenire ogni ulteriore violazione della Neutralitàdell’Italia. Nel caso che gli spagnoli avessero persistito nell’attaccare i territori imperiali in Italia, oppure avessero tentato di impadronirsi della Sicilia, Byng avrebbe dovuto contrastarli, prima amichevolmente poi, se i suoi tentativi fossero falliti, avrebbe dovuto difendere i territori attaccati intercettando le navi e i convogli spagnoli oppure affrontandoli direttamente6 . Byng salpò da Spithead (Portsmouth) soltanto il 15 giugno; purtroppo ogni scopo di prevenzione era già fallito sul nascere perché era in grande ritardo, in quanto soltanto tre giorni dopo una grande flotta spagnola lasciò Barcellona diretta verso levante7 . L’intenzione di Filippo V era stata di attaccare direttamente il viceregno di Napoli, ma Alberoni lo aveva convinto a ripiegare sulla Sicilia sabauda nella speranza che ciò non avrebbe provocato l’intervento dell’Inghilterra, che formalmente si era impegnata a difendere solamente i possedimenti imperiali8 . Il massimo segreto era stato osservato circa la destinazione e l’obbiettivo della spedizione anche se tutti i partecipanti ipotizzavano che si dovessero attaccare i possedimenti imperiali italiani, anche se restava il dubbio se l’obbiettivo fosse il milanese o il regno di Napoli. All’ammiraglio Castañeta, che comandava la flotta, e almarchese de Lede, checomandava le
truppe erano state consegnate tre buste sigillate contenenti gli ordini: la prima, da aprire subito dopo la partenza, conteneva l’ordine di raggiungere Cagliari dove avrebbero imbarcato ulteriori truppe9 . La flotta spagnola giunse a Cagliari il 24 e ne partì quattro giorni dopo facendo rotta verso est, per cui tutti coloro che ne avevano seguito i movimenti pensarono che fosse diretta verso Napoli10
Lo stesso giorno Byng si trovava davanti a Capo San Vincenzo, dove distaccò un vascello per portare a Cadice una lettera che l’inviato britannico alla corte di Spagnaconsegnò ad Alberoni. La lettera conteneva le istruzioni date all’ammiraglio inglese e l’elenco delle navi che ne componevano la squadra; la lettera furestituita dopo nove giorni all’inviato, con l’aggiunta di una annotazione del cardinale che diceva semplicemente che l’ammiraglio poteva eseguire gli ordini che aveva ricevuto. Ritardato dal vento, Byng arrivò all’ingresso dello stretto di Gibilterra l’8 luglio, dove il vascello che aveva distaccato si ricongiunse portandogli la notizia dell’avvenuta partenza della flotta spagnola da Barcellona. Al ritardo che aveva accumulato si aggiunse la sosta che dovette fare prima a Capo malaga per reintegrare le riserve d’acqua, e poi a Port Mahon (Minoraca), dove giunse il 23 di luglio, per sbarcare le truppe destinate a quella guarnigione. Qui venne informato che le navi spagnole erano state avvistate il 30 giugno a quaranta leghe da Napoli con rotta sud-est. Ormai conscio del grave ritardo con il quale era arrivato nel Mediterraneo, Byng inviò dei messaggeri al governatore di Milano e al viceré di Napoli per informarli del suo imminente arrivo, e il 25 luglio fece vela alla volta di Napoli11, dove arrivò il primo di agostoed apprese che gli spagnoli erano sbarcati in Sicilia.
La squadra inglese davanti a Napoli L’arrivo della flotta inglese sollevò notevolmente il morale degli austriaci: sebbene lo sbarco degli spagnoli in Sicilia avesse cancellato le paure di un attacco contro Napoli, Daun temeva che Vittorio Amedeo non avrebbe rischiato le sue truppe per difendere un paese che non solo gli si era ribellato contro ma che sarebbe comunque stato costretto ad abbandonare, anche se le notizie che gli erano arrivate da Vienna indicavano che il Savoia era ora deciso ad aderire alla Quadruplice Alleanza e che aveva accettato di ammettere truppe imperiali nella cittadella di Messina dove si era asserragliata la guarnigione sabauda dopo la rivolta della città12 . Il sei agosto Byng salpò da Napoli, scortando un convoglio di tartane sulle quali erano imbarcate delle truppe inviate di rinforzo a quelle che già si trovavano a Reggio Calabria e il generale imperiale Wetzel destinato a
prenderne il comandoe il nove giunse all’imbocco dello Stretto di Messina, che all’epoca era noto con il nome di Canale del Faro13 . La flotta spagnola aveva lasciato Cagliari il 28 giugno, appena furono in mare i comandanti poterono aprire la seconda lettera, dalla quale appresero di doversi dirigere verso Palermo, davanti alla quale giunsero il primo di luglio. Qui aprirono la terza e ultima lettera che rivelò loro lo scopo della missione: il marchese de Lede doveva assumere la carica di Viceré di Sicilia e intraprendere tutte le operazioni necessarie per renderla effettiva. Nella notte le navi si spostarono nella rada di Solanto, a 15 km di distanza da Palermo, dove iniziò lo sbarco delle truppe, in tutto 23.000 fanti e 6.000 cavalieri. Lo sbarco spagnolo colse completamente di sorpresa i sabaudi: nei primi mesi del 1718 Vittorio Amedeo II aveva ordinato al viceréin Sicilia, il conte Annibale Maffei, di prendere le opportune misure per la difesa della Sicilia in caso di tentativo di invasione, ma era convinto di non aver nulla da temere da parte della Spagna, come gli scrisse ad aprile;in ogni casoordinò al viceré di prendere tutte le misure necessarie per difendere, se non l’intera isola, compito che riteneva impossibile date le poche truppe che la presidiavano, almeno le piazzeforti più importanti.14 . A riguardo del pericolo di invasione, il viceré Maffei era titubante: all’inizio di giugno le notizie che aveva ricevuto lo avevano convinto che l’armamento spagnolo fosse diretto contro la Sicilia, ma alla fine del mese dichiarò che tutte le informazioni in suo possesso indicavano invece che non fosse diretto contro il regno sabaudo15 . L’avvistamento della flotta spagnola che sfilò davanti alla capitale siciliana non fu sufficiente a fugare i suoi dubbi, anche perché era convinto che in caso di ostilità contro la Spagna il re lo avrebbe senz’altro preventivamente avvertito. Solo quando iniziò lo sbarco delle truppe spagnole e gli emissari sabaudi inviati da Maffei furono informati da de Lede dello scopo della loro presenza Maffei comprese la gravità della situazione. Alberoni era riuscito a sorprendere anche l’avveduto Vittorio Amedeo. Lo sbarco spagnolo ebbe un effetto totalmente inaspettato dai governanti sabaudi: non appena de Lede fece diffondere i motivi della sua venuta, l’intera isola, popolo e nobiltà,si schierò con gli spagnoli. Dopo aver atteso inutilmente che la nobiltà palermitana si presentasse al palazzo reale,il 3 luglioMaffei con i soldati del presidio abbandonò Palermo, giudicata indifendibile, per recarsi a Siracusa, una piazzaforte più sicura. Poiché la flotta spagnola bloccava la costa e le cinque galere e i due vascelli della marina sabaudo siciliana si trovavano nei dintorni di Siracusa a Maffei non restò altra scelta che attraversare l’interno dell’isola, affrontando una popolazione sempre ostile e in molti casi apertamente ribelleche costrinse i sabaudi a farsi strada con le armi16 . Maffei entrò a Siracusa il 17 di luglio, per restarne immediatamente bloccato dall’insurrezione generale dei siciliani; scrivendo al re pochi giorni dopo, a causa della rivolta generale la sua autorità non era riconosciuta nemmeno a poche miglia da Siracusae non poteva “fidarsi di un solo uomo nel paese”.17 La rivolta di Catania e di Acireale, icui abitanti battevano il mare con dei feluconi armati gli rendevano difficili anche le comunicazioni con Messina. La rivolta del paese e la mancanza di denaro impedirono la formazione di un sia pur piccolo corpo mobile; le truppe sabaude (che teoricamente avrebbero dovuto sommare a 8.000 uomini ma che più probabilmente non erano più di 6.000)rimasero quindi rinchiuse nelle piazzeforti costiereancora in loro mano: Siracusa, Messina, Trapani, Milazzo, Termini Imerese, Augusta e Moladi Taormina18 . Il giorno del suo arrivo a Siracusa, il 16 di luglio, Maffei vi aveva trovato gli unici due vascelli della marina sabauda; la notte stessa li inviò conun rinforzo di truppe a Messina. Purtroppo quando i due vascelli, dopo aver sbarcato le truppe, cercarono di salpare per far ritorno a Siracusa, l’arrivo della flotta spagnola li costrinse a rifugiarsi nel porto dove rimasero definitivamente bloccati, privando Maffei del loro apporto.
L’ingresso della flotta spagnola nel Canale del Faro La flotta spagnola aveva lasciato Palermo con a bordo il grosso dell’esercito destinato a conquistare Messina il 18 luglio; il 23 entrò nel Canale del Faro e si ancorò nella rada del Paradiso, pochi chilometri a nord di Messina, dove sbarcò le truppe che diedero inizio all’assedio della cittadella nella quale si era rinchiusa la guarnigione sabauda. La cavalleria intanto si spingeva a sud fino nei dintorni di Siracusa, tagliando qualsiasi possibilità di rinforzo agli assediati; da quel momento in poi, Maffei rimase bloccatoa Siracusa con le sue truppe. Il 14 agosto, tre giorni dopo la battaglia di Capo Passero, il viceré sabaudo così descrisse la sua situazione ad Andorno e al viceré di Napoli Daun:i soldati di cui disponeva erano sufficienti a presidiare le piazzeforti ma non gli permettevano di “…me mettre au large…” ossia di intraprendere azioni in campo aperto, sia perché non erano numericamente sufficienti sia perché avrebbero consumato una quantità di viveri che erano invece necessari per sostenere eventuali assedi e che non si sarebbero potuti reintegrare perché i ribelli erano arrivati fino alle porte delle varie piazze. Inoltre da tre o quattro giorni era giunto ad Avola un corpo di 700 cavalieri spagnoli, seguiti il 13 da un certo numero di fanti; poiché però Maffei “…era già serrato da ogni parte sino a queste vicinanze [di Siracusa]…” il loro arrivo non ne modificava la situazione perché “…le truppe [sabaude] non possono tenere la campagna…”19 . Nonostante la presenza dei corsari siciliani e della flotta spagnola, Maffei e i difensori di Messina non furono mai completamente isolati: dopo i primi, difficili,giorni, Maffei riuscì a stabilire contatti con Reggio e Messina grazie a piccoli bastimenti noleggiati, generalmente tartane o feluche, che comunque correvano sempre il rischio di essere catturate, mentre tra i sabaudi di Messina e gli imperiali di Reggio si stabilirono contatti frequenti benché informali, in attesa di conoscere le decisioni delle rispettive cancellerie su un’eventuale alleanza. Nelle due settimane in cui la marina spagnola rimase nelle acque di Messina essa non riuscì mai ad imporre un blocco impenetrabile, presumibilmente anche a causa delle forti correnti presenti nello stretto che impedivano alle navi di stazionare a lungo davanti al porto. Numerose tartane e feluche facevano la spola tra Reggio e Messina
portando agli assediati materiali per rinforzare le fortificazioni, munizioni e la corrispondenza da e verso il continente.Nonostante ciò, soltanto il 21 luglio il comandante della guarnigione di Reggio poté comunicare ad Andorno che la flotta inglese era salpata da Spithead. Intanto Vittorio Amedeo aveva dovuto inchinarsi alla realtà dei fatti e rassegnarsi ad accettare gli accordi della Quadruplice Alleanza: nelle istruzioni consegnate al marchese di San Tommaso, che era in procinto di partire per Vienna per concludere un accordo con l’Imperatore, ricordò che per ottenere i necessari e urgenti soccorsi, senza i quali lui avrebbe perso il Regno di Sicilia e l’Imperatore avrebbe corso il rischio di perdere quello di Napoli, era pronto a stringere un’alleanza difensiva e offensiva sulla base di quello che quest’ultimo desiderava, ossia lo scambio tra la Sicilia e la Sardegna20 . Informato di questi sviluppi, Maffei cercò di mettersi in contatto diretto con l’ammiraglio Byng.Prima di allora, era rimasto molto sospettoso delle assicurazioni ricevute dai generali imperiali di Reggio Calabria che la flotta inglese stesse arrivando, perché il Re non ne aveva mai parlato nelle poche lettere che riuscirono a raggiungere il viceré21 . Il 5 agosto un funzionario sabaudo partì da Siracusa a bordo di un bastimento napoletano per recarea Napoli con una lettera del viceré per l’ammiraglio inglese, del cui arrivo nella città partenopeaMaffei era ancora all’oscuro. Dopo aver riassunto ciò che era accaduto in Sicilia fino ad allora, Maffei informava l’ammiraglioche la cittadella di Messina era in grado di resistere per una quindicina di giorni e che l’apparizione della squadra inglese nelle vicinanze sarebbe stata sufficiente a far recedere gli spagnoli dai loro propositi. PregavaquindiByng di dirigersi, se i suoi ordini glieloavessero consentito, con la massima sollecitudine verso la costa di mezzogiorno della Sicilia e di entrare nel Faro. Nel caso l’ammiraglio lo avesse giudicato utile, Maffei era disponibile a concordare con lui tutte le misure più utili al passaggio della flotta22 . Lo stesso giorno una lettera inviatagli da Reggio dal generale austriaco Schober informò Maffei dell’arrivo di Byng a Napoli23;scrisse quindi una seconda lettera all’ammiraglio, ribadendo l’urgenza del suo arrivo davanti a Messina.Avendo intanto appreso della sua prossima partenza da Napoli inviò questa seconda lettera a Reggio, dove sperava che l’ammiraglio l’avrebbe ricevuta24 .
L’arrivo di Byng nel canale del Faro e la battaglia di Capo Passero
Il 7 agosto una feluca spagnola avvistò al largo di Lipari la squadra inglese che si avvicinava al Faro e il giorno successivo ne portò la notizia a Castañeta, la cui flotta era ancora all’ancora nella rada del Paradiso insieme alla moltitudine di trasporti, molti dei quali erano francesi e inglesi, regolarmente noleggiati dagli spagnoli25 . La maggioranza degli ufficiali che parteciparono al consiglio di guerra che l’ammiraglio riunì per decidere il da farsi affermò che essendo ignote le reali intenzioni inglesi sarebbe stato meglio evitare un possibile scontro con una squadra così superiore in numero e qualità. La loro opinione fu condivisa dall’ammiraglio e dall’Intendente e plenipotenziario Patiño i quali basarono la loro decisione sulle istruzioni ricevute da Alberoni, nelle quali li assicuravache Byng arrivavasolo in qualità di mediatore e non di aggressoree che il Re d’Inghilterra non avrebbe rotto i rapporti con la Spagna sacrificando il lucroso commercio inglese con la Spagna“ad interessi particolari”. L’ammiraglio decise quindi di lasciare i trasporti al Paradiso e di salpare con la squadra da battaglia e le galere per portarsi a sud, allo scopo di riunirsi con i vascelli che erano stati inviati a Malta per impadronirsi delle galere sabaude26 . Il 9 agosto la squadra di Byng si ancorò davanti alle Mortelle, all’ingresso dello Stretto. Nella tarda mattinata le navi da guerra spagnole levarono l’ancora e si diressero a sud. Byng inviò un emissario al marchese de Lede con la proposta di accettare un armistizio di due mesi in modo di dar tempo alle varie cancellerie europee di giungere ad un accomodamento.
Il giorno successivo De Lede rispose di non avere il potere di negoziare e che avrebbe eseguito l’ordine del suo Re di conquistare la Sicilia27; la flotta inglese entrò quindi nel Faro e sostò brevemente davanti a Messina. Byng conferì con i comandanti imperiali. Ad un emissario inviatogli da Andorno per chiedergli quali ordini avesse Byng rispose che avrebbe dovuto attaccare gli spagnoli se non avessero desistito dalla loro impresa in Sicilia28 . Un ufficiale sabaudo che era giunto con la squadra inglese portò ad Andorno la lettera con la quale il Re lo autorizzava ad ammettere nella Cittadella le truppe imperiali fino a costituirne la metà della guarnigione29 . Le navi spagnole nella notte del 10 furono viste transitare al largo di Siracusa; una improvvisa calma di vento le obbligò ad ormeggiarsi tra Avola (a 12 miglia a sud di Siracusa) e Capo Passero. Nel tardo pomeriggio del 10 Byng si era messo al loro inseguimento ma fu ritardato dal vento contrario e poi dalla bonaccia. Poco dopo mezzanotte la squadra inglesepassò anch’essa al largo di Siracusa.30
L’11 agosto, al levar del sole, a Siracusa si cominciò a udire un grande rumore di cannonate che durò fino alle 22; durante la notte si continuaronoa vedere le fiamme dei vascelli che bruciavano ed esplodevano all’altezza di Avola31 . L’ammiraglio Byng aveva sorpreso la squadra spagnola ormeggiata in disordine e sparpagliata. La battaglia si divise in due episodi: un gruppo di navi inglesi assalì e distrusse la retroguardia spagnola del viceammiraglio genovese Stefano de Mari che era rimasta indietro rispetto al grosso ed era ancorata davanti alla baia di Avola, mentre Byng raggiunse Castañeta e le sue navi che si trovavano più a sud. A posteriori, Byng asserì che ad aprire il fuoco per primi fossero stati gli spagnolidella retroguardia. Al termine della battaglia, 17 navi spagnole erano state catturate e 8 erano state bruciate nella baia di Avola, dove erano state portate ad arenarsi dai loro equipaggi. Si salvarono solamente 22 bastimenti, in gran parte minori, e le galere che raggiungeranno Palermo dopo aver costeggiato l’isola in senso orario. I danni alle navi inglesi furono molto limitati. I marinai delle navi che erano bruciate si salvarono scendendo a terra ed andarono ad aggiungersi alle truppe spagnole che, come abbiamo visto,già da qualche giorno erano stazionatead Avola indisturbate. Il 21 agosto Byng entrò nel porto di Siracusa e si incontrò con Maffei. Vi fu un momento di tensione in quanto, sull’onda dell’entusiasmo per la vittoria inglese, l’emissario sabaudo alla corte vicereale di Napoli, il conte Borgo, aveva “…creduto che la cittadella di Messina e le altre piazze fossero fuori pericolo con la vittoria della flotta inglese, per cui ha pensato di ritrattare la convenzione che aveva fatta con Daun che ammette gli imperiali nella cittadella fino a metà della guarnigione…”. Appresa la notizia, Byng minacciò di ritirare la sua squadra. Fortunatamente, Borgo fu rapidamente sconfessato da Vittorio Amedeo, tacitando sul nascere le diffidenze che la ritrattazione avrebbe suscitato tra gli anglo-imperiali nei confronti dei sabaudi32 .
Conclusione
La vittoria inglese fece sperare che gli spagnoli, isolati da ogni speranza di ricevere in futuro rinforzi di una qualche consistenza, avrebbero posto termine sia all’assedio di Messina che ad ogni progetto di mantenere il possesso della Sicilia. Così però non fu:divenne ben presto evidente che gli spagnoli sarebbero stati in grado non solo di continuare gli assedi di Messina e di Milazzo, ma anche di mantenere per lungo tempo il controllo dell’isola grazie alle risorse e all’appoggio della popolazione della Sicilia e alle ingenti scorte di provviste, materiali e di denaro di cui de Lede era fornito. Scrivendo al Re, Maffei dovette ammettere che “…la disfatta della flotta spagnola è stata utile perché senza di essa le cose sarebbero precipitate ma senza un soccorso delle truppe imperiali soccomberemo…gli spagnoli hanno 30.000 uomini e 6.000 cavalli e tante provviste che Byng non crede Armata sia mai stata altrettanto provveduta…”33 . Nonostante i rinforzi imperiali, la cittadella di Messina dovette arrendersi il 29 settembre; in base agli accordi di resa, le truppe della guarnigione, sia sabaude
che imperiali, furono lasciate libere di rifugiarsi con le armi e il bagaglio a Reggio Calabria, in cambio della consegna delle fortificazioni intatte. Anche Byng e gli imperiali comprenderanno ben presto che sarebbe stata necessario radunare un consistente corpo di truppe e poi una lunga e faticosa campagna terrestre per indurre gli spagnoli alla resa, cosa che avverrà solamente il 2 maggio 1720. La squadra di Byng rimase nelle acque della Sicilia per tutta la durata della guerra (anche se durante i mesi invernali la maggior parte della squadra inglese riparerà a Port Mahon lasciando in Calabria solo un numero ridotto di vascelli) assicurando l’incontrastato dominio del mare, grazie al quale gli alleati poterono postare truppe e rifornimenti a loro piacimento e scegliere i luoghi e i momenti adatti per sbarcare le truppe imperiali inSicilia; il blocco delle coste non fu assolutamente impenetrabile, ma solo saltuariamente pochi rinforzi riuscirono a giungere a de Lede e non cambiarono la sua situazione strategica, mentre numerosi furono i vascelli e bastimenti spagnoli catturati o affondati. Un capitolo interessante della guerra navale in Sicilia è dato dall’impiego delle galere: esse risultarono particolarmente utili nelle acque dello Stretto di Messina, le cui forti correnti e i venti variabili rendevano difficile alle navi a vela stazionare e bloccare Messina quando gli spagnoli vi furono a loro volta assediati dalle forze imperiali, mentre le più agili galere potevano più efficacemente operare in vicinanza delle coste. Le galere erano ritenute così utili che negli accordi presi a Napoli con il conte Borgo e il vicerè Daun per il proseguimento della guerra in Sicilia e la futura spedizione diretta all’occupazione della Sardegna, l’ammiraglio Byng chiese che le galere sabaude, finalmente ritornate da Malta grazie al suo arrivo a Valletta con alcuni vascelli, rimanessero a sua disposizione per alcuni mesi, insieme a quelle napoletane. Byng affermò che “…sarà necessario avere delle galere perché i vascelli avendo dato fondo in porto non avrebbero sempre potuto uscire quando necessario, e che in quel caso le galere sarebbero state più veloci e avrebbero impedito l’arrivo di viveri a Messina, e che le avrebbe fatte sostenere da un vascello o due…”34
Aldo Antonicelli
1 Simone Candela, I piemontesi in Sicilia,1996, p. 381 2 Generalmente si fa risalire il nome di “quadruplice alleanza” al fatto che al trattato aderirono Inghilterra, Francia, Austria e Paesi Bassi; in realtà questi ultimi vi aderirono solamente nel 1719; l’originale designazione di quadruplice si riferiva invece al fatto che inizialmente le prime tre Potenze speravano che al trattato avrebbe aderito anche la Spagna. 3 Archivio di Stato di Torino, Corte (ASTOC), Materie politiche per rapporto all'estero,Negoziazioni colla Corte di Francia,mazzo 28, fasc.9, Altro detto della quadruplice Alleanza con li Articoli Secreti, e Separati conchiusi in Londra trà L'Imperatore, e li Rè di Francia, e d'Inghilterra, per cui frà le altre Cose viene Stipulato il Cambio della Sicilia colla Sardegna, 2. Agosto 1718. 4 Raimondo Gerba, Campagne del Principe Eugenio di Savoia, vol. XVIII, Guerre in Sicilia e in Corsica, Vienna 1891, p 52 e seg. 5 Avvisi Italiani, Il Corriere Ordinario del 30 marzo 1718; 8 marzo 1718 da Napoli. 6 Corbett, An Account of the Expedition of the British Fleet to Sicily, III ediz, Londra, 1739,pp10-11. 7 La squadra inglese era composta da 20 vascelli, due brulotti e due navi-bombarda; quella spagnola contava 12 vascelli di linea, 17 fregate, due brulotti, due navi-bombarda e sette galere che scortavano 276 bastimenti da trasporto e 123 tartane che avevanoa bordo 36.000 soldati e 8.000 cavalli, oltre al treno d’artiglieria e d’assedio. Mentre i vascelli inglesi erano vere e proprie bastimenti da guerra, la maggior parte di quelli spagnoli erano bastimenti mercantili convertiti, quindi decisamente inferiori. 8 Giancarlo Boeri e Guglielmo Aimaretti, La guerra di Sardegna e di Sicilia 1717-1720, parte I, 2017 p. 14. 9 Cesareo Fernandez Duro, Armada Española, tomo VI, 1900, pp 140-141. 10 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7, Maffei 30 giugno 1718. 11 Corbett, p. 13. 12 Ibid, pp 14-15. 13 Gerba, pp 67-68.
14 Vittorio Emanuele Stellardi, Il Regno di Vittorio Amedeo,vol I,Torino, 1862, pp. 391-92; 13 aprile 1718, Vittorio Amedeo II a Maffei. 15ASTOC Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7, Maffei 28 giugno 1718. Ancora il 30 giugno Maffei scriveva al marchese di Andorno, comandante generale delle truppe sabaude nell’isola, che si trovava a Messina, che “non v’è alcuna parvenza di inimicizia tra SM e il Re di Spagna…non è probabile che durante questa campagna il Regno venga inquietato da qualunque parte”. 16 Alberico Lo Faso di Boccadifalco, Piemontesi in Sicilia. La lunga marcia del conte Maffei, Studi Piemontesi, vol.23, 2003. 17 ASTOC, Miscellanee, Miscellanea Stellardi, mazzo 7; 17 e 26 luglio 1718, Maffei al Re. 18 Il piccolo presidio di Termini Imerese si arrenderà il 20 di agosto, seguito pochi giorni dopo da quello di Mola di Taormina,mentre il presidio di Augusta sarà evacuato e trasportato a Siracusa verso la fine di luglio grazie a due piccoli bastimenti inglesi noleggiati; ibid, 26 luglio 1718, Maffei al Re. 19 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7; 14 agosto 1718 Maffei ad Andorno; 14 agosto 1718, Maffei a Daun; mazzo 8; 15 agosto 1718 Maffei al Re.Le parole di Maffei smentiscono quanto recentemente è stato affermato nel volume “Ricerche per mare: la cultura afferente il mare”, edito della Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia,che ad Avola, qualche tempo prima della battaglia di Capo Passero, ebbeluogo una “…violenta battaglia di terra fra i due schieramenti avversi (piemontesi e loro alleati contro gli spagnoli) risoltasi col predominio spagnolo…”. Come si è visto, i sabaudi non avevano risorse per affrontare in campo aperto gli spagnoli né al momento avevano alleati nell’isola, d’altra parte, i soldati spagnoli giunsero ad Avola solamente pochi giorni prima della battaglia. 20 ASTOC, Materie politiche per rapporto all’Estero, Negoziazioni, Austria, mazzo 1 d’addizione; 7 agosto 1718 istruzione originale al conte di San Tommaso per il suo viaggio a Vienna. 21 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo8, 15 agosto 1718, Maffei al Re. 22 Ibid, mazzo 7; 4 agosto 1718, Maffei aByng; Stellardi, vol III, Maffei al Re, p373. 23 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7,5 agosto 1718, Maffeiad Andorno. 24 Ibid, 5 agosto 1718, Maffei a Byng. La lettera non partì immediatamente, in quanto vi fuaggiunto un post scriptum datato 8 agosto nel quale Maffei riferisce di aver appreso della prossima partenza di Byng da Napoli.In un recente articolo pubblicato nel già citato volume “Ricerche per mare: la cultura afferente il mare”(vedi nota 19),Carlo Pedone afferma che,prima della battaglia di Capo Passero “ …che vifosse un canale di comunicazione costante tra lui [Maffei] e Lord Byng è un dato storicamente acclarato…”. In realtà ciò è errato; dall’esame dei copialettere della Segreteria vicereale, risulta che le due lettere citate sono le uniche che il viceré inviò all’ammiraglio inglese, delle quali solo la seconda è possibile gli sia pervenuta prima della battaglia di Capo Passero; ulteriori contatti tra i due si ebbero solamente dopo la battaglia quando Byng con la sua squadra si fermò alcuni giorni a Siracusa.D’altronde non vi sarebbe nemmeno stata la possibilità di scambiare ulteriori comunicazioni dato il brevissimo tempo che passò da quando Maffei apprese dell’arrivo di Byng a Napoli (il 5 agosto) al giorno della battaglia di Capo Passero (l’11 agosto). 25 Nei giorni successivi, obbedendo agli ordini del Byng, i bastimenti inglesi si portarono a Reggio, carichi delle provviste e munizioni che non erano ancora state sbarcate. Le provviste furono acquistate dall’amministrazione militare imperiale e il denaro dato ai comandanti die bastimenti a titolo di indennizzo per i pagamenti dei noleggi che avrebbero dovuto ricevere dagli spagnoli; Avvisi Italiani, Il Corriere Ordinario del 19 ottobre 1718, corrispondenza da Reggio del 12 settembre. 26 Duro, p 145. 27 Corbett, p 17, Duro, p 145. 28 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario I, cat. 3°, mazzo 2, Fasc. 2, Relation du Siege de Messine faite par Ms le Marquis d’Entraive. 29 Ibid; le prime truppe imperiali entreranno nella cittadella di Messina solamente il 24 agosto. 30 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 10°, mazzo8, 11 agosto 1718, il Segretario di Guerra de Carolisal Primo Segretario di Guerraa Torino. 31 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7, 11 agosto 1718, Maffei a Andorno. 32 ASTOC, Miscellanee, Miscellanea Stellardi, mazzo9, 22 agosto 1718, Maffei al Re. 33 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7,4 settembre 1718, Maffei al Re. 34 ASTOC, Miscellanee, Miscellanea Stellardi, mazzo9, 4 novembre 1718, Borgo al Re.