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PREFAZIONE PAG

PREFAZIONE PAG

I - VICENDE STORICHE

IL RIARMO SPAGNOLO E LA FLOTTA DI CADICE

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La perdita dei domini italiani nel 1707 aveva tolto alla Spagna non solo lo status di Grande Potenza continentale e il controllo del Mediterraneo centrale, ma anche il vitale sistema di sicurezza costituito dal possesso dei porti della Sardegna e della Sicilia e dalle basi tirreniche continentali (Stato dei Presidi di Toscana, Gaeta, Napoli). In Spagna, che era rimasta devastata dalla lunga guerra per la successione spagnola divenuta una feroce guerra civile, il nuovo primo ministro, l’italiano Alberoni, si adoperava in vaste riforme civili e militari, dirette a ricostruire l’economia del Regno e le basi amministrative, finanziarie, commerciali e industriali della potenza militare e navale del regno iberico. Riorganizzò e potenziò notevolmente l’esercito e la marina. A seguito di tale attività nel 1716 la Spagna, anche su richiesta del Pontefice, era stata in grado di inviare una discreta flotta (6 vascelli e 5 galere) in Levante in soccorso dei Veneziani che erano stati attaccati dai Turchi e stavano subendo un duro assedio alla loro piazza strategica di Corfù.

LA RICONQUISTA SPAGNOLA DELLA SARDEGNA

Nell’aprile 1717 una flotta spagnola salpò nuovamente da Cadice, apparentemente ancora una volta in soccorso dei Veneziani. Tuttavia, anziché dirigersi sulla rotta di Sicilia, per poi procedere verso Levante, la flotta si spostò senza evidente motivo a Barcellona, destando a Vienna il timore, mai sopito, di un colpo di mano contro il regno di Napoli. Infatti, come risulta da tutte le Gazzette dell’epoca, Vienna dispose man mano il trasferimento di numerosi reggimenti dal Milanese verso Napoli e dai territori austriaci o verso il Milanese o direttamente verso il regno meridionale per via di mare nell’Adriatico, anche approfittando del fatto che nel frattempo si stava chiudendo la guerra contro i Turchi (con la presa di Belgrado nel 1717 e la pace di Passarovitz siglata definitivamente nel 1719) e si rendevano quindi disponibili molte delle forze, agguerrite e veterane, che erano state impiegate sul fronte orientale. Poche settimane dopo, alla fine di maggio, il governatore austriaco del ducato di Milano principe di Loewenstein fece arrestare il nuovo Grande Inquisitore di Spagna Molines che, munito di passaporto pontificio, aveva tentato di raggiungere Finale attraverso il Milanese. Fu quella la scintilla della guerra, caldeggiata in particolare dall’ambasciatore spagnolo a Genova, marchese di Sanfilippo2, e dal Duca di Parma. Tra le altre cause principali di questa decisione, come dichiarato da Madrid agli inviati britannici, vi era anche il risentimento per lo scorretto comportamento dell’Arciduca (Carlo VI) che al momento dell’abbandono della Catalogna e di Maiorca, aveva fatto consegnare dalle sue truppe le città e le fortificazioni agli abitanti dichiaratisi contrari a Filippo V, anziché consegnarle alle truppe spagnole, per cui l’esercito borbonico era stato costretto ad una lunga e sanguinosa guerra per quasi un anno. Il 12 luglio la flotta ricevette l’ordine segreto di attaccare la Sardegna, la cui difesa era affidata al viceré, il marchese di Rubì3 con appena 2 deboli reggimenti ispano-lombardi al servizio asburgico (reggimenti Barbon di fanteria e Carreras di cavalleria). Il

2 Vincenzo Baccalar y Sanna, Marchese di San Filippo nacque a Cagliari il sei febbraio 1669, Dopo la Pace di Utrecht, nel 1713, il Bacallar venne nominato ambasciatore spagnolo a Genova, dove sì fermò una ventina d’anni. Egli morì l’11 giugno del 1726, all’Aja, dove si era trasferito nel 1725, nominato ambasciatore in Olanda. 3 D. José Antonio de Rubì y Boxardos, dal 1717 marchese di Rubì (14 maggio 1669 Barcellona, 31 dicembre 1740 Bruxelles), già Viceré di Maiorca, uno degli emigrati catalani rimasti al servizio di Carlo VI d’Asburgo. ◀ Re Filippo V di Spagna, dipinto di Louis Michel Vanloo circa 1739 Museo del Prado Madrid

22 agosto la flotta borbonica comparve di sorpresa davanti a Cagliari, e sbarcò le truppe presso S. Andrea, 15 km più ad Est, mentre i cannoni dei vascelli sgombravano la riva dai 350 cavalieri nemici. L’assedio di Cagliari durò 47 giorni, con violenti bombardamenti e reiterati contrattacchi imperiali: ma dopo l’apertura della breccia la città si arrese. Un rinforzo di soli 400 uomini spedito frettolosamente da Napoli fu costretto a capitolare a Terranova, e in novembre anche Alghero, ultima guarnigione asburgica dell’Isola, si arrese agli Spagnoli, che vi nominarono subito un Viceré.

LA MEDIAZIONE INGLESE E LA QUADRUPLICE ALLEANZA

La riconquista spagnola della Sardegna acuì anche la tensione tra la Spagna e la Gran Bretagna (intanto era morta la regina Anna [ultima rappresentante della Casa Stuart] e sul trono di Londra sedeva il nuovo re, Giorgio elettore di Hannover). Al momento la corte spagnola dichiarò di non volere procedere ad ulteriori atti di ostilità in Italia. Nel novembre 1717 Londra e Parigi avanzarono proposte di mediazione che potessero in qualche modo soddisfare sia le pretese spagnole, che quelle austriache, non curandosi molto delle attese sabaude (queste soluzioni prevedevano per Vittorio Amedeo la cessione della Sicilia all’Austria, in cambio del regno di Sardegna, che sarebbe stata evacuata dagli spagnoli, e la successione ai ducati di Parma e Toscana per il figlio di Filippo V ed Elisabetta Farnese, Carlo di Borbone), ma la diplomazia inglese non riuscì a convincere Alberoni ad accettare il riassetto territoriale proposto. Alberoni ritenendo che la Gran Bretagna avesse un oggettivo interesse al ridimensionamento della potenza asburgica in Italia e che non si sarebbe impegnata in una nuova guerra nel Mediterraneo, si irrigidì dichiarando irrinunciabili il possesso della Sardegna e l’esclusione dell’Impero dalla Sicilia. Al contrario, a seguito degli incontri diplomatici svoltisi a Vienna nel marzo-aprile 1718, l’Imperatore Carlo VI aderì in linea di principio alla Triplice (anche l’Olanda, oltre la Gran Bretagna e la Francia) e poi Quadruplice – Alleanza, rinviando peraltro la firma del trattato sino alla fine dell’estate. Nel disperato tentativo di rompere l’isolamento diplomatico (i giochi escludevano il duca di Savoia, il cui grande protettore era stata la regina britannica Anna, mentre il nuovo re Giorgio non mostrava alcun interesse), tra il dicembre 1717 e il gennaio 1718 Vittorio Amedeo cercò vanamente di ostacolare il progetto franco-britannico (che, ricordiamo, prevedeva la cessione della Sicilia agli Asburgo) con missioni parallele in tutte le corti europee, prive di ogni risultato. I rapporti tra Torino e Vienna si deteriorarono sino a rasentare uno stato di guerra. Ai primi di giugno 1718, quando Carlo VI aveva già deciso di aderire alla Triplice, il sovrano sabaudo gli offrì invano la rinuncia alla Sicilia e ai diritti di successione spagnola in cambio della Sardegna e di maggiori acquisizioni territoriali in Lombardia. Vienna si apprestava ad affrontare direttamente la Spagna e non rinunciava alle pretese sulla Sicilia. Nel frattempo Londra allestì una squadra per il Mediterraneo allo scopo di dimostrare sia all’Impero che alla Spagna che la garanzia britannica sugli equilibri italiani era effettiva, e indurli entrambi ad una soluzione pacifica della loro controversia, accettando la mediazione e la proposta territoriale inglese. Londra temeva però che l’irrigidimento spagnolo e asburgico e le difficoltà militari dell’Impero, impegnato nella guerra contro la Turchia, favorissero la fazione revisionista e filospagnola della corte francese. Per scongiurare una rottura dell’accordo raggiunto con la Francia e una nuova grande guerra europea, alla fine di giugno Lord Stanhope si recò personalmente a Parigi in missione diplomatica, per convincere il Reggente (Duca d’Orleans, zio del minore Luigi XV) ad accettare il riassetto territoriale proposto dagli inglesi. Il 18 luglio si firmò l’accordo con l’Inghilterra, in base al quale le due Potenze si impegnavano ad una comune politica di pace e a persuadere l’Olanda, la Spagna e il Piemonte ad unirsi con l’Impero in una grande alleanza europea. Il trattato di Londra del 2 agosto 1718 sancì la Quadruplice Alleanza, in cui le Potenze riconoscevano la successione di Toscana e di Parma, una volta estinte le dinastie dei Farnese e dei Medici, all’Infante di Spagna Don Carlos (1716-88), figlio di secondo letto di Elisabetta Farnese, che aveva sposato nel settembre 1714 Filippo V, dopo la morte avvenuta nel 1712 della prima moglie Maria Gabriella di Savoia (figlia di Vittorio Amedeo II).

IL REGNO SABAUDO IN SICILIA

Il 3 ottobre 1713 Vittorio Amedeo II, scortato da una flotta di navi britanniche dell’ammiraglio Jennings era salpato dal porto di Villafranca, presso Nizza [oggi Villefranche], con un largo seguito di cortigiani e di truppe, alla volta della Sicilia al fine di prendere ufficialmente possesso del nuovo reame. Già il 31 luglio del 1713 era stato stabilito che fossero destinate ad andare di guarnigione nell’isola le seguenti truppe : aliquote delle Guardie del Corpo (allora due compagnie; una terza compagnia venne formata agli inizi del 1714 in Sicilia con i nuovi sudditi), Archibugieri Guardie della Porta e Guardie svizzere; il reggimento Dragoni di Piemonte, 1° battaglione del reggimento Guardie, 2° Battaglione Savoia, 1° battaglione Monferrato, 2° battaglione Piemonte, 1° battaglione Saluzzo, 2° battaglione Fucilieri, 2° battaglione svizzero-valesano Hackbrett (cui poi venne aggiunto il 3° battaglione), aliquote del battaglione di artiglieria. Qualche altro battaglione di fanteria nel corso degli anni venne ad accrescere il presidio dell’isola4 . Arrivò in Sicilia il 10 dello stesso mese, accolto con entusiasmo dai nobili e dalla popolazione. Vittorio Amedeo fu incoronato Re di Sicilia nella Cattedrale di Palermo il 24 dicembre 1713 con il titolo di Vittorio Amedeo I re di Sicilia. Però, dopo un breve soggiorno nell’isola, nel 1714 Vittorio Amedeo II ritornò in Piemonte, lasciando a Palermo un Viceré, il conte Annibale Maffei5 con una buona guarnigione, circa 6.000 uomini, comprendente anche il 1° battaglione del reggimento di Guardia o delle Guardie, composto, secondo la riforma dell’organico del 1712, da una compagnia di granatieri e sette di fucilieri6 . La partenza del Re causò una prima grossa delusione ai Siciliani, che speravano di tornare a vedere Palermo vera capitale di uno Stato sovrano ed alienò quindi alla causa dei Savoia molte simpatie, il che avrebbe pesato non poco nelle successive vicende. Le altre delusioni vennero quando i sudditi si accorsero che molti incarichi del governo dell’isola venivano affidati a Piemontesi, mentre i Siciliani migliori finivano a Torino. La burocrazia sabauda, formatasi sotto Vittorio Amedeo e brillantemente collaudata nel periodo bellico, iniziò ad esaminare tutto, decisissima a mettere ordine ovunque ed a consolidare il potere regio senza considerare le sensibilità e le tradizioni locali (la cosa si ripeterà 150 anni dopo per tutto il regno delle Due Sicilie). Mettendo le cose in ordine vennero fuori vari aspetti che non andavano per la burocrazia piemontese, e tra l’altro, nuove

4 Dai bilanci appare che nel corso del 1714 venne trasferito in Sicilia il reggimento della Marina (costituito di un solo battaglione) mentre l’anno successivo ne furono inviati altri tre, uno di Savoia, uno di Piemonte, uno di Saluzzo. portando a dodici il totale dei battaglioni inviati in Sicilia. Nel 1716 venne poi mandato un altro battaglione del reggimento Fucilieri, in sostituzione di quello della Marina, che si pensava di destinare unicamente al servizio di truppa d’imbarco. Nelle intenzioni di Vittorio Amedeo si doveva effettuare una rotazione tra i battaglioni distaccati in Sicilia e quelli rimasti in terraferma, ordinando al Viceré il 28 novembre 1714 di rinviare in Piemonte il battaglione delle Guardia e quello di Savoia; ma l’invasione turca della Morea lo costrinse a prendere provvedimenti difensivi, prescrivendo quindi al Viceré di trattenere quei battaglioni (Stellardi Vol. III, p. 367). 5 Annibale Maffei nacque nel 1666 a Mirandola dal conte Giovanni Maffei e da Margherita Baglioni. In giovane età fu inviato alla corte di Torino nel 1681 come paggio del duca Vittorio Amedeo II di Savoia, la fiducia del quale ben presto si guadagnò il favore a seguito al suo comportamento nella battaglia di Staffarda (1690). Prese parte a varie imprese quali la difesa di Avigliana, Cuneo, l'assedio di Carmagnola e la ritirata dalla Valle di Susa, che gli permisero di essere fregiato il 31 marzo 1692 dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Partecipò inoltre alla campagna di Buriasco, all'assalto del forte di Santa Brigida e alla battaglia di Orbassano. Nel 1695 fu inviato come diplomatico alla corte di Parma, ma fu più volte chiamato a partecipare a campagne militari, tra cui l’assedio di Namur, a luglio. Fu ambasciatore del duca di Savoia in Inghilterra dal 1699 al 1701. Ebbe il grado di tenente colonnello di cavalleria e nel 1703 fu nominato colonnello di uno dei reggimenti di fanteria nuovamente levati, ma ritornò in seguito come ambasciatore a Londra. Negli anni seguenti combatté a fianco del principe Eugenio e del duca di Marlborough. Nel 1709 fu nominato generale di battaglia; nel 1712 intervenne come delegato del duca di Savoia al Congresso di Utrecht. Maffei fu nominato viceré di Sicilia dal 171314 al 1719 dopo aver ricevuto la nomina di Gran Maestro di Artiglieria. Il 15 aprile 1729 gli fu assegnato il titolo di cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata. Successivamente fu ambasciatore del Re di Sardegna in Francia. Si ritirò dalla diplomazia nel 1732 e morì a Torino nel 1735. 6 Già il 31 luglio 1713 un ordine di Vittorio Amedeo aveva stabilito quali reggimenti di fanteria del suo esercito avrebbero dovuto essere destinati di guarnigione in Sicilia.

▲ Vittorio Amadeo II di Savoia viene incoronato nella cattedrale di Palermo

imposizioni di tasse (anche sugli alberi), e infine perfino la ristampa della raccolta degli atti dei Parlamenti di Sicilia, fu bruciata nel 1717 per ordine del Viceré quando questi lasciò Palermo. I nobili credettero di vedere andare in fumo la propria indipendenza ed i propri privilegi e dentro di sé promisero di sbarazzarsi dei Piemontesi alla prima occasione, che non avrebbe tardato a presentarsi; di lì a poco moltissimi di loro passarono infatti entusiasticamente dalla parte spagnola7. La goccia che fece traboccare il vaso fu la politica repressiva condotta contro il clero siciliano. La partecipazione agli eventi bellici da parte della popolazione siciliana, animata e sostenuta da gran parte della nobiltà, fu molto intensa e convinta, come vedremo meglio nelle altre parti di questa serie. I fatti d’arme che seguirono all’invasione spagnola, ai quali parteciparono le truppe sabaude non furono moltissimi : i principali consisterono nella marcia del Viceré Maffei da Palermo a Siracusa, nella quale scontrandosi con le milizie paesane dopo un faticoso percorso ad ostacoli i Piemontesi riuscirono a giungere a Siracusa, il lungo e duro assedio di Messina sostenuto con fermezza e con onore dai sabaudi, in un secondo tempo con il rinforzo di truppe ausiliarie austriache provenienti da Reggio, l’assedio della piazza di Milazzo, che gli Spagnoli non riuscirono a conquistare, anche per il consistente nerbo di truppe imperiali che a più riprese vi misero piede, oltre all’assedio di alcuni castelli e forti, rapidamente conclusi. Alle due battaglie campali di Milazzo e di Francavilla parteciparono esigui contingenti sabaudi: un battaglione sabaudo

7 Non erano ancora passati cinque anni, che gli animi de’ Siciliani s’intiepidivano, anzi odiavano il governo savojardo; e questo per vari motivi ... Ma le principali cagioni furono due, che poi, avanzandosi l’una e l’altra, fecero che fosse stato preso in odio non che il governo, ma l’istesso nome di Savojardo. La prima fu la guerra fatta al papa ed ecclesiastici; e benché egli l’avesse trovata, la portò nondimeno a tal segno, che diede licenza libera ed indipendente dal Viceré ad una giunta di ministri, da lui eretta, a metter mano sopra gli ecclesiastici, ed avvalorata dal suo braccio. […] La seconda fu l’interesse, per la quale le gabelle regie erano esatte con estrema delicatezza [rigore] e con esorbitanza, costringendo a pagar più del solito e pagar quello, che mai si era costumato pagare. (BIBLIOTECA STORICA E LETTERARIA DI SICILIA Per cura di Gioacchino di Marzo DIARI Volume XI 1873 (Memorie Storiche del Regno di Sicilia, di Gaetano Giardina, p. 115-116)

partecipò alla battaglia di Milazzo e dopo quella di Francavilla due battaglioni provenienti da Siracusa si unirono all’esercito imperiale. Le piazze di Trapani e di Siracusa subirono un blocco ed una forma di assedio niente affatto stringente; rimasero in potere dei Piemontesi fino a che non furono cedute agli Austriaci. Le fonti bibliografiche sulla storia di questo periodo per quanto riguarda il regno di Vittorio Amedeo di Savoia in Sicilia e le vicende delle truppe savoiarde, sono ancora costituite essenzialmente dai lavori di Domenico Carutti e Isidoro La Lumia, oltre alla monumentale raccolta di documenti operata dall’abate Stellardi, su incarico di Vittorio Emanuele II. Successivamente Pio Bosi compose uno studio sulle truppe sabaude in Sicilia e, in tempi molto più recenti Alberico Lo Faso Serradifalco ha presentato alcuni studi, molto dettagliati e ben documentati, sulle vicende politiche e di guerra di quel periodo. Sono risultate anche significative varie relazioni di testimoni contemporanei (diari, relazioni e gazzette dell’epoca) che narrano, sia pure da un punto di vista parziale, le vicende che si stavano svolgendo sotto i loro occhi. Per un inquadramento complessivo della situazione e una descrizione dello svolgersi dei fatti v. “Istoria delle guerre avvenute in Europa e particolarmente in Italia per la Successione Spagnola 1696-1725.” Francesco Maria Ottieri T. IV Roma 1757 ...,” p. 228 e segg.

LO SBARCO SPAGNOLO IN SICILIA (1° LUGLIO 1718)

Nella primavera del 1718, resisi intanto padroni della Sardegna, gli Spagnoli continuavano ad accrescere i loro armamenti di terra e di mare, per cui il 13 aprile 1718 Vittorio Amedeo, che intanto era stato informato dai suoi diplomatici del disegno di Francia e Gran Bretagna di cedere la Sicilia all’Imperatore (senza averlo consultato) in cambio del riconoscimento di Filippo V come Re di Spagna, sperando in tal modo di prevenire ulteriori atti di guerra, confermò al Maffei le istruzioni già impartite per la difesa della Sicilia, raccomandandogli di non volere difendere tutto, usando a tal proposito un’espressione assai vivace “chi tutto stringe nulla abbraccia”. In particolare invitava il Viceré, in caso di invasione, a concentrare la difesa delle piazze di Messina, Trapani e Milazzo, poiché Palermo non era in grado di sostenere un assedio; a spostare le truppe dalla costa occidentale a quella orientale dell’isola, dove la difesa sarebbe stata più facile, e dettava una serie di modalità comportamentali nel caso di comparsa della flotta spagnola, prescrivendo che ne fosse consentito l’attracco nei porti, solo in caso di tempesta. Su queste basi Maffei diede le disposizioni esecutive per far fronte ad un’eventuale invasione e ordinò al marchese d’Andorno, comandante delle Armi in Sicilia, di approvvigionare d’armi, munizioni e viveri la cittadella di Messina ed i forti della costa orientale. Egli all’inizio di giugno ispezionò la costa, diede disposizioni per mettere i forti in stato di combattimento, e andò a Messina per accordarsi col comandante della città, il marchese Tana d’Entraives, per le misure necessarie a portare a termine i progetti difensivi8 . Quando, all’inizio di luglio, seppe che gli Spagnoli erano sbarcati a

8 “Abbandonando Palermo si lasciarà un B.ne (=Battaglione) od un distaccamento di 500 Huomini per custodire Castelamare ed il Forte del Molo, e prima di ritirare da detta Città le Truppe, che sono 4 B.ni di 600 Huomini cad.o con 300 H.ni della Marina e la metà del Reggimento Dragoni di Piemonte si provederà al Presidio di Trapani, et a quello di Termini, inviando in quella Piazza uno dei sudetti B.ni, et in questa un distaccamento di 350, o 400 H.ni al più. In Palermo vi erano H.ni 3000. Se ne lasciano in Castelamare H.ni 500, in Trapani H.ni 600, in Termini H.ni 400, totale 1500, che devono seguitare il Viceré H.ni 1500. Ha destinato il Marchese d’Andorno per commandare a Messina, suo Dipartimento, Coste di Levante, e mezzo giorno. Vi sono in detta Città e suoi Forti cinque B.ni con quattro Comp.e del Reggimento Dragoni Piemonte per agire nel modo che li movimenti de Nemici potranno permettere e doppo tutte le difficoltà, che si opporranno allo sbarco, et passaggio de’ Nemici nelle Montagne, si lasciarà in quella Cittadella un Corpo di mille Huomini per la diffesa della medesima. In Melazzo si lasciarà il B.ne, che presentemente vi si ritrova di Presidio, e sarà in tempo rinforzato d’un distaccamento da detto Marchese d’Andorno prima che si ritiri verso Taormina. Augusta si evacuarà di quanto vi si ritrova tanto de viveri, che d’attrazzi militari. In Siracusa si lascieranno per hra due B.ni con una Compagnia del reggimento Dragoni Piemonte e somministrerà 300 Huomini di detti due B.ni per restare in Augusta, sinche sij come sovra evacuata. In Trappani si lascia il B.ne di 600 Huomini, che vi si ritrova presentemente e s’augmenterà quel Presidio come sovra s’è detto con un Battaglione di quelli che usciranno da Palermo. Quanto alle provisioni da bocca, che da guerra, come pure de fascinassi, gabioni, pichetti, et altri boscami per l’Artiglieria scrive che aveva date tutte le disposizioni necessarie, affinchè ne venisse provvista la quantità che sarebbe di bisogno in cad.a di dette Piazze. Quanto alle riparazioni delle fortificazioni delle medesime vi si travaglia incessantemente. (A.S.To. Sicilia Inv. 1 Cat. 3 Mazzo 2 citato da Lo Faso di Serradifalco, Alberico “I Piemontesi in Sicilia. L’assedio di Messina (luglio-settembre 1718)”)

Palermo, cercò di provvedere in fretta a rinforzare e rifornire la Cittadella e i forti dipendenti da Messina, immagazzinando polvere da sparo, munizioni, esplosivi, mise l’artiglieria in stato di combattimento, dotò la piazza del necessario per impiantarvi un ospedale. Non fu però possibile, per mancanza di tempo e di fondi, effettuare la riparazione ed il rafforzamento delle mura dei forti e della Cittadella. Intanto il conte Viancino era stato spostato a Palermo a comandare le truppe in quella città, e il marchese d’Andorno al comando della piazza di Messina, quale la piazza militare più importante del regno.

Come risulta da tutte le gazzette dell’epoca, Vienna, allarmata dalle mosse della flotta spagnola che temeva diretta contro il regno di Napoli9 (anzi si sospettava ancora con l’appoggio mascherato di Vittorio Amedeo), dispose man mano il trasferimento di numerosi reggimenti dal Milanese verso Napoli e dai territori austriaci o verso il Milanese o direttamente verso il regno meridionale per via di mare nell’Adriatico, anche approfittando del fatto che nel frattempo si stava chiudendo positivamente la guerra contro i Turchi (con la presa di Belgrado) e si rendevano quindi disponibili molte delle forze che erano state impiegate sul fronte orientale.

Il 1° giugno era partito dall’Inghilterra (come una delle Potenze garanti dell’assetto europeo derivante dai trattati di pace) l’ammiraglio George Byng (1663-1733) con una flotta di 20 navi di linea, 2 brulotti, una nave ospedale e una nave oneraria con alcuni reggimenti destinati a dare il cambio alla guarnigione inglese di Port Mahon. Alla flotta iniziale si aggiunsero altri legni lungo il tragitto, in particolare alle isole Baleari. Oltrepassato il Capo S. Vincenzo, il 19 giugno Byng fece comunicare ad Alberoni, tramite l’ambasciatore a Madrid, la richiesta di cessare le ostilità contro Carlo VI e l’offerta di una mediazione britannica, con l’avvertimento che la flotta inglese si sarebbe opposta a qualunque tentativo di attaccare Napoli o la Sicilia o di sbarcare in qualsiasi altro punto della Penisola italiana. Le istruzioni per l’ammiraglio inglese erano che egli dovesse rendere edotti la corte di Madrid, il Viceré di Napoli ed il Governatore di Milano che veniva inviato nel Mediterraneo per promuovere tutte le misure che avrebbero potuto comporre al meglio le differenze tra le due corone, e per prevenire ogni ulteriore violazione della neutralità dell’Italia. Ma nel caso che gli Spagnoli dovessero attaccare ancora i territori dell’Imperatore in Italia o tentare di invadere il regno di Sicilia, con l’evidente intento di invadere poi il regno di Napoli, egli doveva con tutta la sua forza cercare di ostacolare questi disegni. Se (al suo arrivo) gli Spagnoli fossero poi sbarcati in qualche territorio, avrebbe dovuto dissuaderli e offrire la sua assistenza per il ritiro delle truppe e porre fine ad ogni altro atto di ostilità. Se infine questi tentativi amichevoli avessero dovuto risultare inefficaci, avrebbe dovuto difendere i territori attaccati, intercettando navi e convogli (degli spagnoli) e, se necessario, opponendosi apertamente ad essi. Alberoni ricevette le lettere di Byng solo il 30 giugno: ma anche se l’intervento inglese fosse stato più tempestivo, difficilmente avrebbe modificato le decisioni di Madrid. Infatti il 16 era salpata segretamente da Barcellona una poderosa squadra spagnola, con l’ordine di aprire le lettere contenenti la destinazione solo una volta giunta a Cagliari. In origine Filippo V intendeva effettivamente fare sbarcare la spedizione nel regno di Napoli, ma Alberoni l’aveva convinto ad attaccare invece la Sicilia, ritenendo in questo modo di poter evitare un intervento inglese, dato che la garanzia britannica sui domini imperiali in Italia non si estendeva formalmente a quelli sabaudi (senza considerare il fatto che l’Imperatore riteneva la Sicilia di sua appartenenza). La flotta spagnola contava 12 vascelli, 17 fregate, 2 brulotti, 4 bombarde e 7 galere, con 276 legni da trasporto e 123 tartane sui quali erano imbarcati oltre 30.000 soldati, 100 cannoni da assedio, 25 da campagna, 40 mortai, 100.000 palle da cannone, 30.000 bombe e 20.000 quintali di polvere.

9 8 marzo 1718 Napoli (Avisi italiani di Vienna) Li continui armamenti della Spagna, per Mare, e per Terra, fanno stare vigilanti li Cesarei in questo Regno, tanto più che dicesi, che sia destinata per il Rendevous generale di tutte le forze spagnole la Sardegna […]

Tav. 01 - Timballiere Dei Dragoni di S.M.

Tav. 03 - Reggimento Guardie, Ufficiale

Tav. 04 - guardie del Corpo, Cornetta

Il 1° luglio la squadra si presentò di sorpresa nella rada di Solanto presso Palermo10 e sbarcò circa 20.000 uomini a Bagheria, accolti molto favorevolmente dalla popolazione e dalla nobiltà. Infatti l’isola da oltre tre secoli era legata stata alla Spagna e fra i due paesi si erano stabiliti saldi legami di sangue e di fiducia. La maggioranza della nobiltà era stata infeudata da re spagnoli e le famiglie originarie siciliane si erano nel tempo mescolate ai nobili catalani ed aragonesi venuti nei secoli successivi nell’isola al servizio dei monarchi iberici. I sovrani di Spagna erano sentiti dai Siciliani come propri11. Il favore iniziale con cui era stato accolto Vittorio Amedeo, soprattutto perché poteva significare la rinascita del regno con un re residente in Palermo, come già notato, venne rapidamente declinando. Il Re Vittorio Amedeo, benché avesse rinforzato il presidio dell’isola portandolo a 10.000 uomini, e avesse lanciato un proclama ai sudditi incitandoli a sostenerlo contro gli invasori spagnoli, forse era ormai rassegnato a perdere la Sicilia (e, come rilevano le fonti inglesi, poco propenso a dissipare le forze per l’inutile difesa di un regno, che sapeva sarebbe probabilmente stato ceduto all’Impero). Così, volendosi persuadere che l’Armata spagnola fosse diretta contro il regno di Napoli, il re sabaudo ordinò al viceré Maffei di accoglierla come quella di un paese amico ed evitare atti di ostilità, a meno che di non essere attaccato. Ma, appena completato lo sbarco, il marchese di Lede12 a capo della spedizione spagnola chiarì il suo vero obiettivo con minacciose intimazioni. In considerazione della disparità di forze (non potendo neanche contare sull’appoggio della popolazione), il viceré Maffei decise allora di lasciare due piccoli presidi a Termini Imerese (il governatore del forte e comandante la guarnigione era il conte Badat, con 2 compagnie del 2° Batt.ne Savoia a cui si aggiunsero 184 uomini del 1° Guardie e di Hackbrett) e nel Castello di Palermo (Castellamare) e il 3 luglio uscì dalla capitale con 400 funzionari e 1.400 soldati (1° battaglione Guardie, 2° Savoia, un battaglione di Hackbrett e 5 compagnie del reggimento Dragoni Piemonte tutti sotto il comando del conte Francesco Montanaro di Viancino colonnello del reggimento La Marina), marciando verso Siracusa per Piana dei Greci, Corleone, Vicari e Vallelonga con una marcia assai faticosa e contrastata, senza che un solo nobile si fosse presentato almeno a salutarlo. Accompagnavano il viceré, oltre la moglie ed i figli, il conte Francesco Antonio Nicolis di Robilant auditore generale di guerra consultore del regno di Sicilia, il conte Bolgaro direttore generale dell’Ufficio del soldo, il commissario di guerra Buttis, il conservatore Sapellani e vari altri personaggi della corte vicereale. L’8 luglio la colonna sabauda giunse a Caltanissetta, alla qual città erano intanto giunte le notizie di quanto era avvenuto a Palermo. Priva di viveri, la colonna decise di entrare a rifornirsi in città. La milizia civica, 400 uomini, appoggiati dalla popolazione che si era dichiarata in favore di Filippo V, e forte dei pe-

10 .. la armata di Spagna ...consistente in dieci vascelli di guerra, di 60 in 74 cannoni, 16 fragate, 7 galere, 2 burlotti, 4 palandre e sopra 400 bastimenti di trasporto, noleggiati da Francesi, Genovesi ed Inglesi, fecero vela verso Palermo, dove il primo giorno di luglio dell'anno 1718, sulle ore 13, comparvero da ponente, lungi dalla città 6 in 7 miglia. Era comandata detta armata da D. Antonio Castagnetta, imbarcato sopra la nave San Filippo di 74 cannoni, e che avea sotto di lui quattro capi di squadra: D. Ferdinando Ciacchon sopra il Principe d'Asturias, di 64 cannoni; il marchese Stefano Mari sopra la Reale, di 62 cannoni; D. Girolamo Camok sopra San Ferdinando il Grande, di 62 cannoni; e D. Baldassare Guevara sopra San Luigi, di 60 cannoni. Erano altresì le sette galere sotto il comando di D. Francesco Grimau, sopra la Capitana, e di D. Pietro di Montemayor, sopra la Padrona. Il numero di tanti bastimenti era impiegato a portare, oltre le milizie, che noterò appresso, centocinquanta cannoni di bronzo di 24 libbre, con doppia cassa, e cinquanta altri di campagna di 16 libbre; quaranta mortari di bombe; quindecimila fascine; trentamila bacchette per trincere; trentamila bombe, palle, granate e barrili di polvere senza conto, picche, zappe, chiodi, carri di trasporto, sacchi di miccio, sacchi di carboni in considerabile quantità; mule per carriaggi duecento, e di più la provigione necessaria per detta armata, valevole per quattro mesi, compresa la paglia per tutta la cavalleria. BIBLIOTECA STORICA E LETTERARIA DI SICILIA Per cura di Gioacchino di Marzo DIARI Volume XI 1873 (Memorie Storiche del Regno di Sicilia, di Gaetano Giardina). NB Le varie fonti differiscono leggermente nell’indicazione della consistenza della flotta spagnola e delle truppe trasportate, ma le cifre qui riportate danno in sostanza conto della conmposizione massicia della spedizione. In ogni caso nel corso del tempo altre truppe spagnole furono sbarcate nell’isola. 11 Lo Faso di Serradifalco, Alberico “Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del Conte Maffei” in Studi Piemontesi Nov. 1999, vol. XXVIII, fasc. 2 12 Jean-François de Bette, Marquis de Lede, (Bruxelles, 6 dicembre 1672 – Madrid, 11 gennaio 1725) esponente della primaria nobiltà proveniente dai Paesi Bassi spagnoli da lungo tempo militante negli eserciti spagnoli nei quali ricoprì le più importanti cariche.

rentori ordini diramati dal marchese de Lede in qualità di rappresentante di Filippo V di nuovo re di Sicilia, che ingiungevano di non far passare e di non rifornire i Piemontesi, si oppose a mano armata. Il Viceré Maffei perse la pazienza; sabato 9, fallite le trattative, i dragoni (Dragoni di Piemonte) caricarono, seguiti dai granatieri dei battaglioni Savoia, Guardie ed Hackbrett, e giunsero alle porte della città, dopo alcune scaramucce con la milizia, mentre i fucilieri, aggiratala, vi penetravano dalla parte opposta conquistandola rapidamente, perdendo 18 morti e 30 feriti contro 40 paesani e un sacco parziale alla città. Negli scontri morirono da parte sabauda il barone di Faverges, 17 soldati tra fanti e dragoni, ed ebbero inoltre 31 feriti, tra cui due ufficiali. L’11 la colonna piemontese, dopo aver alla fine ottenuto qualche rifornimento, riprese la marcia, sotto il sole e circondata da una popolazione ostile, che negava a mano armata i rifornimenti e costringeva ad evitare i centri abitati. Transitando per Piazza Armerina, dopo aver incontrato ogni sorta di resistenze da parte del popolo, sobillato dai nobili lungo tutto il percorso, il 16 luglio giunsero a Siracusa, dopo aver coperto 360 km e perduto 113 uomini per fame e stenti13, e si chiusero nelle fortificazioni in attesa delle mosse degli Spagnoli. Questi, raggiunta la città, si limitarono però a bloccarla. Entrato in Siracusa il conte Maffei diede ordine che le due imbarcazioni della marina, che vi si trovavano, partissero per Messina conducendo seco quattro compagnie del reggimento siciliano di Gioeni, che giunte in Messina il giorno 21, furono poste di guarnigione nella cittadella. Nel contempo la popolazione di Agrigento si sollevò acclamando Filippo V re di Spagna e di Sicilia, ed anche l’isola di Lipari si sollevò in favore degli Spagnoli, facendo prigioniero il governatore sabaudo (che fu poi liberato). I Liparoti armarono poi diversi legni corsari e per oltre un anno condussero un’intesa attività contro i legni napoletani ed austriaci, fino a che non furono sottomessi con la forza da una apposita spedizione armata austriaca14 . Frattanto gli Spagnoli erano entrati in Palermo accolti dalla cittadinanza come liberatori. L’artiglieria del castello di Palermo (Castellamare), al cui comando era il tenente colonnello cav. Carlo Marelli capitano nel reggimento di Guardia, con 5 compagnie del reggimento La Marina, tentò di molestare i lavori di approccio del nemico, ma la sera del 12 luglio gli Spagnoli aprirono il fuoco con una batteria di mortai seguita poco dopo da una di cannoni, e al mattino seguente, senza opporre ulteriore resistenza, Marelli si arrese, nonostante avesse ordine di resistere almeno fino all’apertura della breccia; più tardi, liberato dagli inglesi, raggiunse Siracusa dove fu processato e fucilato per non avere adempiuto fino in fondo al suo dovere15. In seguito gli Spagnoli misero il 17 luglio il blocco a Trapani, energicamente presidiata dal generale conte di Campiglione con 2 battaglioni (1° Saluzzo e 1° Monferrato).

13 Così la gazzetta contemporanea, Avisi Italiani di Vienna, riporta la cronaca dei fatti: 14 luglio 1718 Palermo “Doppo d’essersi fatti gli attacchi, e piantate le batterie contro il Castel à Mare di questa Città, si cominciò da’ Spagnuoli à farsi fuoco la notte scorsa con sì favorevole successo, che senza far alcuna breccia nelli ripari à capo di 4 ore gli Assediati fecero la Chiamata, essendo essi in numero di circa 460 Soldati, e 18 Uffiziali; e benche essi pretendevano di sortire cogli onori militari, il Generale Lede fece loro intendere, che non li voleva altrimenti ricevere, che à discrezione, al che finalmente acconsentirono li Piemontesi, & havendo subito li Spagnuoli preso possesso del Castello, ne uscirono li Contrarii, che mostrano inclinazione di prendere partito frà le Truppe Angiuine. Il Conte Maffei proseguisce la ritirata verso Siracusa, dove si crede giunto con qualche perdita di Gente; e dietro di lui è andato il Tenente Generale D. Luca Spinola colla vanguardia della Cavalleria, mà per la di lui precipitosa ritirata, non lo puotè arrivare; e secondo si suppone esso Maffei per l’oposizione, che haverà incontrata nel camino dagli infiniti Popoli, he acclamano da per tutto l’Armi Angiuine, e si armano contra li Piemontesi, haverà perduta molta Gente del suo seguito a ogni Passo, come si è veduto nella Villa di Caltanizzetta, li di cui Paesani ne hanno uccisi fino a 40, e frà essi il Nipote del medesimo Conte Maffei, per la sola pena, che haveva ordinata a quel Popolo, che somministrasse alle sue Truppe Pane, & Biada : & il detto Ten. Generale Spinola và altresì per aggiutare tutti quei Paesi. Il resto della Cavalleria Spagnuola si è incaminata verso Messina per bloccarla finchè il Marchese di Lede vi passi per Mare con tutta la Fanteria, che è già imbarcata, per mettervi l’assedio formale. La Città di Cattania si impadronì del suo Castello, facendo priggione il poco Presidio Piemontese, che vi era. Tutti li Corrieri che spediscono li Governatori delle Piazze Nemiche sono condotti al Campo Spagnuolo da’ medesimi Paesani, che procurano attrapparli. Il Tenente Generale Montemar resta nella Valle di Mazara con un Campo Volante di 3. mila huomini per impedire le Guarniggioni Nemiche di Trapani, e Termini.” 14 Per una descrizione dettagliata delle vicende della marcia del Viceré Maffei v. Lo Faso di Serradifalco, Alberico “Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del Conte Maffei” in Studi Piemontesi Nov. 1999, già citato. 15 Vittorio Amedeo II era molto rigido sul comportamento dei comandanti di piazze o fortezze. Anche nelle precedenti guerre, ogni volta che una piazza si arrendeva al nemico, il comandante o governatore veniva sottoposto a giudizio, e, se trovato colpevole, subiva una severa punizione, che poteva giungere alla pena di morte.

▲ Entrata della flotta spagnola nel porto di Messina. Questa e le stampe successive derivano dal volume: “Vera e distinta relazione de’ progressi dell’Armi Spagnuole in Messina, e suo Distretto fatti sotto la Direzione dell’Eccellentissimo Signore D. Giovanni Francesco de Bette Marchese di Lede, Cavaliero dell’Insigne Ordine del Toson d’Oro, Capitan Generale dell’Eserciti di Sua Maestà, Direttore Generale di tutta la sua Infanteria Spagnuola e straniera, Comandante Generale del Regno d’Aragona, Vice-Rè e Capitan Generale per la Maestà di Filippo V in questo Regno di Sicilia.” Vincenzo Migliaccio Messina 1718

Il 22 luglio il grosso delle forze spagnole, al comando di Lede, sbarcò tra Milazzo e Messina, quest’ultima piazza difesa dal generale Ghirone Silla S. Martino, marchese di Andorno, colonnello del reggimento di Guardia, figlio del marchese di Parella distintosi nelle guerre del Seicento. Aveva ai suoi ordini circa 6.000 uomini, con 5 battaglioni (3° Savoia, 1° Piemonte, 2° Fucilieri, 2° e 3° Hackbrett 550 uomini in tutto) e 4 compagnie siciliane (reggimento Gioeni 290 uomini), oltre ad alcune Milizie urbane con il loro Capitano ed un po’ di truppe montate (dragoni Piemonte). I maggiorenti della città lo convinsero però a chiudersi nella cittadella e nei forti esterni, e a lasciarli liberi di trattare col nemico, in modo da evitare che i combattimenti coinvolgessero gli abitanti. Il 24 luglio le prime truppe spagnole entrarono in città accolti favorevolmente e predisposero l’attacco alle posizioni sabaude, posizionando le batterie per l’assedio delle fortificazioni avversarie. Il 27 cadde il forte del Castellaccio, seguito il 31 luglio ed il 4 agosto da quelli di Matagrifone e di Gonzaga. Resistevano tuttavia in mano sabauda la Cittadella e il forte di S. Salvatore. Contemporaneamente il duca di Montemar, distaccato dal Marchese di Lede con un corpo di truppe per dirigersi contro Trapani, attaccava prima il castello di Termini Imerese, difeso da 300 uomini (2 compagnie del 2° Savoia, 185 tra Guardie e alcuni svizzeri del reggimento Hackbrett) al comando del conte Badat

governatore del Castello. Mentre la città si era sollevata contro il dominio sabaudo ed aveva acclamato per re Filippo V, il 26 luglio le batterie spagnole aprirono il fuoco e il 3 agosto la breccia. Con un’eroica sortita il presidio riuscì a devastare le trincee nemiche, ma la sera seguente, esaurite le munizioni, dovette arrendersi per evitare l’ormai imminente assalto generale. Lo stesso giorno altre forze spagnole, sostenute dalle milizie isolane, bloccarono Siracusa da terra e da mare. In questi frangenti caddero gli ultimi dubbi austriaci circa una segreta intelligenza tra Spagna e Vittorio Amedeo. Il Viceré Maffei da Siracusa, sulla base delle istruzioni ricevute dal sovrano, richiese l’aiuto (offerto) degli austriaci, che presidiavano in forze Reggio di Calabria ed iniziarono ad inviare da lì e da Napoli soccorsi di viveri e munizioni e poi anche di uomini ai sabaudi in Messina. Vienna annunciava anche di avere predisposto l’invio di un consistente nerbo di truppe (dai confini orientali) verso l’Italia. Rimanevano in potere dei Piemontesi le sole Piazze di Trapani, Siracusa, Messina, e Milazzo. Il 9 di agosto un emissario di Vittorio Amedeo, il conte Solaro di Borgo, concordò col Viceré austriaco di Napoli, conte Daun, l’ammissione in Messina di truppe imperiali. In conseguenza di ciò altre truppe austriache entrarono in forza nella piazza assediata dagli Spagnoli, ed in seguito anche in quella di Milazzo, rimpiazzando in parte quelle piemontesi, che furono inviate a Reggio per un meritato periodo di riposo.

LA BATTAGLIA NAVALE DI CAPO PASSERO (11 AGOSTO 1718)

Benché si tratti di un combattimento navale, che non riguardò direttamente né l’esercito di terra spagnolo, né tantomeno quello sabaudo, trattiamo nel seguito l’episodio della battaglia navale di Capo Passero, tra la flotta britannica e quella spagnola, perché l’esito segnò in modo decisivo l’andamento della guerra. L’ammiraglio Byng apprese della spedizione spagnola contro la Sicilia solo il 12 luglio, quando giunse a Port Mahon. Fece allora vela su Napoli, dove giunse il 1° agosto. Qui, secondo le istruzioni ricevute e autorizzato e incoraggiato da Stanhope, prese accordi di cooperazione militare con il viceré conte Daun. L’obiettivo inglese non era solo quello di garantire la difesa del Regno di Napoli e di impedire un allargamento del conflitto. C’era anche la forte tentazione di cogliere un’occasione irripetibile per distruggere il nucleo fondamentale della flotta spagnola e accrescere così la sicurezza del traffico commerciale inglese, anche nelle Americhe. Il compito non era tuttavia facile. Byng sapeva che la squadra dell’ammiraglio Castañedo era ormeggiata nella Rada Paradiso, un miglio a nord di Messina, l’unico buon ancoraggio dello Stretto, e conosceva la difficoltà di accedervi da nord. Tuttavia, mentre 10.000 soldati imperiali si concentravano via terra a Reggio Calabria, le 21 unità inglesi imbarcarono altri 2.000 soldati (I.R. Reggimento Wetzel), e la notte del 5 agosto salparono da Napoli verso il Faro di Messina. Giuntovi tre giorni dopo, Byng inviò una lettera a Lede invitandolo a sospendere le ostilità. La risposta di Lede non lasciò dubbi sulla determinazione spagnola per la conquista dell’isola e Byng decise di sbarcare i soldati imperiali a Reggio per poi tornare ad ancorarsi a Messina. Strada facendo apprese però che l’ammiraglio Castañedo aveva lasciato lo Stretto ed era stato avvistato al largo delle coste calabre, diretto a Sud verso Siracusa, e decise di intercettarlo (senza peraltro dichiarare intenzioni ostili agli Spagnoli). Infatti il mattino del 10 agosto i trasporti spagnoli ormeggiati nella Rada Paradiso salutarono con 21 salve di cannone il passaggio della squadra inglese, che rispose nello stesso modo. Prima di sera Byng avvistò la squadra spagnola, forte di 26 vascelli (in gran parte ex-mercantili convertiti in navi da guerra), 2 brulotti, 4 bombardiere, 7 galere e parecchi trasporti. Al mattino dell’11 agosto Byng distaccò 8 unità contro le navi minori spagnole della retroguardia e alle 11 attaccò i vascelli al largo di Capo Passero, ancora una volta senza dichiarazione di guerra anche se gli Inglesi, almeno nelle loro dichiarazioni posteriori, aspettarono che gli Spagnoli, colti di sorpresa, aprissero per primi il fuoco. Lo scontro si protrasse per oltre sette ore. A sera 17 navi spagnole erano state catturate (e con esse un gran numero di marinai e soldati degli equipaggi) e altre 8 inseguite e bruciate nella baia di Avola. Solo 22 legni, in gran parte minori, riuscirono a salvarsi.

▲ Lo scontro navale di Capo Passero del 11 agosto 1718

LE OPERAZIONI TERRESTRI IN SICILIA (AGOSTO 1718 - SETTEMBRE 1719)

Frattanto 2.000 soldati imperiali provenienti dal presidio di Reggio avevano rinforzato la guarnigione della Cittadella di Messina16. La composizione iniziale del presidio era la seguente: 3° batt.ne reggimento Savoia, 1° di Piemonte, 2° dei Fucilieri, 2° e 3° di Hackbrett, 4 compagnie di Gioeni. Al principio, fedele alla consegna, il generale piemontese Andorno li aveva rifiutati, asserendo di avere truppe sufficienti per la necessaria resistenza. Solo un ordine scritto del suo Re lo convinse ad accogliere i rinforzi “alleati”, senza tuttavia cedere il comando della piazza.17 Neanche lo sbarco di successivi contingenti imperiali e la supremazia navale anglo-austriaca, impedì al mar-

16 Per una ricostruzione precisa e ben documentata dell’assedio della piazza di Messina e della valorosa resistenza opposta dall’esercito sabaudo v. Lo Faso di Serradifalco, Alberico “I Piemontesi in Sicilia. L’assedio di Messina (luglio-settembre 1718)” in “Studi Piemontesi” Dic. 2003, vol. XXXII, fasc. 2. 17 6 settembre 1718 Napoli Mercordì con espresso venuto da Reggio, s’hebbe l’aviso che continuando l’ostilità tra’l Campo degl’Angiuini sotto Messina, e le Fortezze della Cittadella, e Salvatore della medesima Città, s’erano dal General Barone Wezel il giorno de’ 24 caduto distaccati 2 Battaglioni Alemani, con suoi rispettivi Uffiziali, per andare in rinforzo delle sudette Fortezze Cittadella e Salvatore, essendo felicissimamente entrati la notte dell’istesso giorno, conducendo ancora quantità di utensili di Guerra, con molti attrezzi & altri requisiti militari; essendo all’incontro usciti e venuti nel luogo della Catona presso Reggio medesimo, altri due Battaglioni Savojardi di quelle Guarnigioni, gente veterana, e ben all’ordine; e coll’istesso Corriere si confermò la grande costernazione che regnava, non solo nel Campo nemico, mà anche in tutti quei Popoli del Regno di Sicilia per l’intiera disfatta dell’Armata di Mare Angiuina … (Avvisi italiani di Vienna).

AUTORI

Giancarlo Boeri (Sanremo 1944 ), Laurea in Fisica, fin dall’infanzia si è dedicato allo studio della storia e dell’iconografia militare dei secoli XVII e XVIII. Nel tempo ha approfondito tutti gli aspetti sugli eserciti degli Stati preunitari italiani, dell’esercito spagnolo, francese e degli Stati dell’Europa occidentale del XVII e XVII secolo, tanto da divenire un punto di riferimento per gli studiosi del campo. Ha scritto numerosi articoli e libri, da solo e con altri autori in Italia e all’estero, tra cui una serie di volumi sull’esercito borbonico dalla Rivoluzione francese alla fine del Regno di Napoli (1789-1861), pubblicata dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito. Ha pubblicato, inoltre, diverse opere sulle uniformi delle Marine degli Stati italiani preunitari ed una serie di monografie, in italiano ed inglese, sugli eserciti sabaudo, spagnolo, francese, imperiale austriaco, operanti tra Seicento e Settecento. Josè-Luis Mirecki Tenente di fanteria in pensione, investigatore e storico militare. Nato a Madrid nel 1958. Ha già lavorato come co-autore con Giancarlo Boeri negli eserciti spagnoli nella guerra della Lega di Augusta (1688-1697), pubblicato da The Pike & shot Society nel 2011; “los Tercios de Carlos II durante la Guerra de los Nueve anos (1689-1697)”, pubblicato con Pen & Sword nel 2005. Con il collega José Palau Cuñat, purtroppo deceduto, ha collaborato alla stesura di: “Rocroy, cuando la honra española se pagaba con sangre, Editorial Actas, 2016. Recentemente è impegnato nella ricerca sul tentativo di riconquista dell’Impero realizzato da Felipe V tra il 1715 e il 1746. Paolo Giacomone Piana (Genova 1959) Studioso di storia militare, in particolare di storia della repubblica di Genova, della marina e dell’esercito, ha pubblicato numerosi saggi ed articoli, molti in collaborazione con il compianto Riccardo Dellepiane, tra cui il libro Militarium. Guglielmo Aimaretti, Nato a Villafranca Piemonte, in provincia di Torino, vissuto a Torino fino al 1971 è stato docente di Discipline Artistiche ad Alba. Fin dalla giovinezza collezionista e cultore di documentazione storico-militare ha affiancato all’attività docente quella di illustratore nell’ambito uniformologico collaborando con l’editoria specializzata. Molti suoi lavori sono in collezioni private in Italia e all’estero . Roberto Vela, (Acqui 1952). Appassionato di storia militare, cultore di storia locale e di araldica, uniformi ed armi dei secoli XVII-XVIII, si è dedicato alla ricerca iconografica e alla produzione di disegni ed illustrazioni per numerose pubblicazioni, apparse, tra l’altro, sul Bollettino dell’Accademia di San Marciano. Ha collaborato da alcuni decenni con Giancarlo Boeri per le pubblicazioni partecipando alle ricerche storiche relative.

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RINGRAZIAMENTI

Gli autori desiderano ringraziare per il sostegno e la collaborazione alle ricerche fornita nel corso degli anni il personale dell’Archivio General de Simancas, particolarmente Isabel Aguirre, e da numerosi studiosi, tra cui vogliono ricordare Carlos Belloso, Antonio Rodriguez, Robert Hall, Luis Sorando. Un sentito ricordo per Pepe Palau e Jesus Alia-Plana, con i quali abbiamo condiviso tante ricerche negli archivi di mezza Europa, la cui immatura scomparsa ci ha privato della loro amicizia e collaborazione.

Title: LA GUERRA DI SARDEGNA E DI SICILIA 1717-1720. GLI ESERCITI CONTRAPPOSTI: SAVOIA,

SPAGNA, AUSTRIA - Parte 2 L’Esercito Spagnolo nel 1717-1720 e la Guerra per la conquista e la difesa della Sardegna

e della Sicilia - Tomo 1. By G.C.Boeri, J.L.Mirecki e P.Giacomone Piana. Tavole di G.Aimaretti e R. Vela. Prima edizione by Luca Cristini Editore per i tipi di Soldiershop. Ottobre 2018 Cover & Art Design: L.S. Cristini. ISBN code: 978-88-93273725

LA GUERRA DI SARDEGNA E DI SICILIA 1717-1720. GLI ESERCITI CONTRAPPOSTI: SAVOIA, SPAGNA, AUSTRIA

PARTE 2 L’ESERCITO SPAGNOLO NEL 1717-1720 E LA GUERRA PER LA CONQUISTA E LA DIFESA DELLA SARDEGNA E DELLA SICILIA TOMO 1

INTRODUZIONE

Nella trattazione, in tre parti, delle vicende che ebbero luogo nelle isole di Sardegna e di Sicilia tra il 1717 ed il 1720 si presenterà lo svolgersi delle operazioni militari che videro contrapposti l’esercito e la marina spagnola e quelli austriaci e sabaudi e un’analisi delle forze militari impiegate. Filippo V Borbone, Re di Spagna, non si era rassegnato alla situazione che si era creata alla fine della guerra per la successione spagnola, che aveva visto l’occupazione da parte degli austriaci dei possedimenti spagnoli in Italia (Milano, Sardegna, Regno di Napoli) nonché quello di Sicilia ceduto a Vittorio Amedeo II di Savoia e, alla prima occasione (l’impero austriaco era impegnato in una durissima guerra contro i Turchi) inviò un fortissimo corpo di spedizione, che occupò un dopo l’altra la Sardegna e la Sicilia. Le potenze garanti dei trattati di pace del 1714 e dell’assetto che ne era conseguito (in primis la Gran Bretagna e la Francia) reagirono. La Gran Bretagna inviò una potente flotta nel Mediterraneo, che ribaltò il rapporto di forze e praticamente impedì che l’esercito spagnolo nelle due isole potesse ricevere soccorsi. L’impero austriaco da Milano e da Napoli raccolse ed inviò un numero sempre crescente di truppe, che invasero a loro volta la Sicilia (il cui dominio era stato nel frattempo ceduto da Vittorio Amedeo all’Austria in cambio del regno di Sardegna). La coalizione europea costrinse alla fine la Spagna a rinunciare alla sua avventura ed evacuare le due Isole.

Questo secondo libro sulla Guerra di Sardegna e di Sicilia (1717-1720) (a sua volta diviso in due tomi) si incentra sulla partecipazione dell’esercito spagnolo alla vicende della guerra, combattuta per quasi quattro anni sulle due isole mediterranee, sulla sua organizzazione e le sue uniformi. Il primo volume della serie (già pubblicato) ha delineato nell’insieme la situazione complessiva entro la quale si sono svolti gli eventi del conflitto ed ha trattato l’evolversi delle vicende, viste dalla parte sabauda, mentre il terzo volume riguarderà l’esercito austriaco e la flotta britannica.

GianCarlo Boeri

◀ Ritratto di Filippo V a cavallo, opera di Jean Ranc Fecha, Museo del Prado, Madrid

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