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Profughi russi e aiuti italiani nei primi anni della diaspora
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Agnese Accattoli
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tigoni, una delle Isole dei Principi, arcipelago del Mar di Marmara di fronte alla capitale turca (bb. 1523, 1524, 1528, 1529, 1531, 1532, ff. Profughi russi ad Antigoni. Isola dei Principi; vedi anche: Conferenza della Pace, b. 41, f. 24). Alla fine del 1920 i profughi di Antigoni scrivono alla regina Margherita di Savoia perché la colonia non venga smantellata e le famiglie russe che hanno trovato riparo sull’isola non siano lasciate al loro destino in pieno inverno, ma il loro appello, pubblicato in Appendice, non viene ascoltato dalle autorità italiane a causa della annosa mancanza di fondi che costringe i carabinieri a sgomberare Antigoni nel gennaio 1921 (b. 1527, il f. Trattazione generale). Sebbene la colonia sia attiva un solo anno (dal febbraio 1920 al gennaio 1921), nel 1926 le spese per la missione di Antigoni non sono state ancora liquidate dai ministeri competenti (b. 1547, f. Liquidazioni del dopoguerra).
Queste carte dimostrano che il governo italiano è stato bersagliato per anni da continui e insistenti appelli, provenienti dalle istituzioni umanitarie e dagli altri governi, oltre che dalle comunità di esuli, per un maggiore contributo alla causa dei rifugiati russi. La scelta dell’Italia è stata invece di collaborare il meno possibile in termini monetari, e solo se costretta da ragioni di prestigio internazionale, e di evitare di accogliere grandi gruppi di esuli sul territorio nazionale, mentre nazioni europee meno ricche, come Serbia e Bulgaria, diedero un sostanziale contributo alle necessità immediate della crisi russa.
Le autorità italiane negano addirittura l’autorizzazione a varie iniziative filantropiche a costo zero da realizzarsi in Italia a favore dei rifugiati russi: nel dicembre 1922 attraverso l’ambasciata italiana a Costantinopoli arriva la richiesta da parte del Russian Relief and Reconstruction Fund della Società delle Nazioni di trasferire ad Abbazia la scuola di fanciulli russi con sede nell’immobile dell’ex ambasciata di Russia a Costantinopoli (Buyuk-Dere). Il Russian Relief Fund assicura di aver già individuato ad Abbazia un locale adatto e di disporre dei mezzi sufficienti per il sostentamento dei fanciulli e del personale della scuola, ma la risposta del Ministero è negativa “essendo inopportuno un agglomeramento di russi ai confini con la Jugoslavia e per di più in una località a popolazione mista”. Si pensa in alternativa di aprire la scuola sulla Riviera ligure “esclusa la zona finitima di Genova e Spezia”, ma non c’è tra i materiali nessuna informazione sullo sviluppo dell’iniziativa, che verosimilmente non è stata mai autorizzata (AP, 1919-30, b. 1540, f. Scuole russe in Italia. Abbazia, vedi anche bb. 1533, 1543, f. Pubblicazioni varie). Un’analoga proposta viene avanzata da un filantropo triestino, tale sig. Iasbitz, che con il benestare del Ministero è pronto a finanziare un centro di accoglienza per profughi russi a Trieste (AP, 1919-30, b. 1528, f. Soccorsi alla Russia), ma neanche sull’esito di questa richiesta si sono conservate notizie.
L’emigrazione russa nei fondi del Ministero degli Affari Esteri 61
Le maggiori difficoltà per il ricevimento dei russi emigrati in Italia sono di natura politica, poiché i sospetti sul ‘contagio’ del bolscevismo assumono in questi anni nelle istituzioni italiane caratteri di paranoia e non risparmiano neppure la popolazione russa più ostile in assoluto ai bolscevichi, i russi bianchi. Come dimostrano i documenti sui prigionieri di guerra russi tenuti in isolamento, sui profughi in fuga e sui russi diretti in Italia, spesso la paura del morbo bolscevico è dissimulata dai vertici politici italiani, e le precauzioni nel contatto con i russi sono giustificate da presunte misure di natura sanitaria. Certamente non sono mancate le epidemie vere e proprie (Affari commerciali, 1919-23, Russia, b. 160, pos. 12 – Sanità), ma il virus più temuto – di cui i profughi russi erano considerati portatori, anche inconsapevoli – era quello rivoluzionario.
Sulla diffidenza delle autorità italiane nei confronti degli esuli, in particolare dei militari, non lasciano dubbi i materiali che riguardano la diaspora dell’esercito bianco seguita alla disfatta dell’armata volontaria di Vrangel’ nel novembre 1920, con la precipitosa fuga di militari e civili dalla Crimea verso occidente su 126 navi (AP, 1919-30, bb. 1523, 1529, 1535, f. Disfatta Wrangel e resti dell’esercito in Serbia, Bulgaria, Cospoli). Le carte che riguardano più direttamente l’Italia sono relative all’avvicinamento delle navi alle acque italiane e agli sbarchi degli esuli nei porti dalmati dell’Adriatico, che crearono un clima di notevole allarme in Italia, presso le alte sfere politiche non meno che nell’opinione pubblica, aggravato dall’incerta situazione di Fiume e del confine orientale (AP, 1919-30, b. 1529. Dalla b. 1538 ha inizio la serie di f. Navi russe della flotta di Wrangel. Navi russe a Biserta).28
Dal 1921 principale promotore delle campagne a favore dei rifugiati russi per conto della Società delle Nazioni è Fridtjof Nansen (AP, 1919-30, b. 1522, vedi verbale della Conferenza di Ginevra che lo nomina Alto Commissario rifugiati russi nell’agosto 1921), il quale impiega non poche energie nel sollecitare la collaborazione economica e logistica italiana (AP, 1919-30, bb. 1527, 1532, 1533, 1535), senza tuttavia ottenere grandi risultati (b. 1533). I documenti dimostrano che l’Italia fu superata in generosità da paesi più lontani e sicuramente meno coinvolti nell’emergenza dei rifugiati russi, e che l’infaticabile opera di Nansen era vista col fumo negli occhi dalle autorità italiane:
Il Brasile ha comunicato di voler contribuire per una somma di 500 sterline alla costituzione del fondo di 30.000 sterline per l’evacuazione dei rifugiati russi a Costantinopoli, il rappresentante del Giappone, da parte sua ha promesso una contribuzione di 30.000 yens. Credo quindi opportuno far presente all’E. V. che data la tenacia insistente del dott. Nansen e la sua a volte esasperante attività importa evitare che in una eventuale assai probabile discussione davanti all’Assemblea abbia poi in definitiva a
28 Un rapporto sugli sbarchi dei militari di Vrangel’ a Cattaro nel 1922 può leggersi in appendice a questo capitolo.
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risultare che alla esecuzione del piano caritatevole escogitato dal comitato americano ha fatto totalmente difetto una contribuzione anche modesta da parte dell’Italia (Delegato italiano presso la Società delle Nazioni al Ministro degli Esteri, Roma 31 maggio 1922. AP, 1919-30, b. 1532).
Nel 1923, quando l’evacuazione di decine di migliaia di russi da Costantinopoli è resa ancora più urgente dall’imminente rientro del governo turco nella città, gli appelli congiunti di Nansen e delle organizzazioni umanitarie russe impongono all’Italia di ospitare sul territorio nazionale una quota di profughi. In base alle tabelle fornite al Ministero dal Comitato russo in Turchia, tra le destinazioni scelte dai profughi, che devono dimostrare di avere all’arrivo un lavoro o parenti pronti a ospitarli, l’Italia risulta al 15° posto, mentre le destinazioni più quotate sono Serbia, Francia e Stati Uniti. L’elenco nominativo dei circa novanta russi trasferiti effettivamente in Italia mostra un’alta percentuale di intellettuali e artisti (AP, 1919-30, b. 1540, f. Profughi russi ad Antigoni).
Nel 1921 si trovano notizie sul progetto di una commissione d’inchiesta italiana per la “verifica dei reali bisogni della Russia affamata” (b. 1527, f. Trattazione generale), che è soprattutto un’indagine sui vantaggi di natura economica per l’Italia dall’eventuale partecipazione a una missione umanitaria internazionale in Russia. Effettivamente nel 1922 la Croce Rossa italiana è inviata a Caricyn e le relazioni sulla missione non dissimulano la centralità dell’interesse politico ed economico dell’operazione umanitaria, che come si sperava “ha fatto un’ottima opera di propaganda italiana” (AP, 1919-30, b. 1540, f. La Croce Rossa italiana e i soccorsi in Russia; AM, b. 32, f. 2). I fondi avanzati dalla spedizione della Croce Rossa italiana nel basso Volga, 300.000 lire, sono distribuiti tra il consolato italiano a Mosca e due associazioni italiane di beneficienza: il Comitato di soccorso ai bambini russi, presieduto dal sen. Luigi Luzzatti (via Toscana, 12) e il Comitato per gli intellettuali russi presieduto dal sen. Carlo Calisse con sede via Nazionale, 89 (AP, 1919-30, b. 1540).
I rappresentanti zaristi e sovietici in Italia
I cittadini russi impiegati presso le sedi diplomatiche russe in Italia – del governo zarista fino al 1918 e dell’amministrazione sovietica dalla fine del 1920 in poi, – seppur estranei in linea di massima, e spesso avversi, ai gruppi dell’emigrazione russa, costituiscono pur sempre un numero importante di russi presenti sul territorio italiano e alcuni di loro sono esponenti della cultura o membri dell’emigrazione prima o dopo il servizio presso le sedi diplomatiche. Soprattutto nel periodo sovietico, non si tratta di cifre irrilevanti: negli anni tra il 1924 e il 1938, senza contare i numerosi fuoriusciti, sono circa 150 i cittadini sovietici impiegati stabilmente nelle sedi italiane.
L’emigrazione russa nei fondi del Ministero degli Affari Esteri 63
Foto 3
Tabella delle destinazioni degli emigrati russi (novembre 1922)