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I rappresentanti zaristi e sovietici in Italia

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Agnese Accattoli

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Il fondo più specifico per questa categoria è la Direzione Generale del Personale,la cui serie decima,dedicata alle Rappresentanze estere in Italia, conserva i documenti sulle rappresentanze russe e sovietiche in quattro buste con documenti dal 1887 al 1935. Questi faldoni presentano, in fascicoli abbastanza disordinati dal punto di vista cronologico, materiale sul profilo politico dei diplomatici, sull’ingresso e il turnover dei funzionari, sulle nomine e il gradimento degli ambasciatori, informazioni e fascicoli personali sugli addetti ed elenchi mensili dei dipendenti di tutte le sedi. Vario materiale simile può trovarsi nel fondo Affari Politici, che per alcuni anni integra le lacune della DG Personale e per altri aggiunge materiale più propriamente politico ai documenti tecnici di questo fondo.

Per quanto riguarda il ventennio fascista, nel complesso la documentazione dimostra che la presenza dei rappresentanti sovietici in Italia è considerata con particolare preoccupazione e che le istituzioni italiane non smettono mai di sospettare che tra le mura delle sedi diplomatiche dell’Urss si preparino misteriose attività di propaganda e di sostegno ai sovversivi italiani, diffidenza aggravata dall’elevato numero degli addetti ai diversi servizi.

Il materiale degli anni 1900-1916, contenuto in un solo faldone (DG Personale, X, Russia, b. 32), comprende tutti gli elenchi del personale e delle funzioni fino al 1914 (f. Incartamenti 1900-14), diversi fascicoli dedicati alle decorazioni italiane accordate ai diplomatici a fine servizio, di cui si ricostruiscono generalmente le carriere, e alcuni documenti informativi sul loro conto. Materiali sul via vai degli addetti all’ambasciata di Russia a Roma fino al 1916 si trovano in un unico fascicolo (f. Parte generale, 18871916) e il materiale sul periodo della guerra in altri due, che riguardano principalmente addetti navali e militari (f. Addetto militare, 1914-17; f. Addetto navale, 1915).

Per il periodo 1914-1927 (DG Personale, X, Russia, b. 33) la documentazione è divisa in tre fascicoli: 1917-23; 1923-27 e Pratiche passaporti 1914-22. Le pratiche dei passaporti sono raccolte in fascicoli personali, con documenti sui funzionari e le loro famiglie. Non vi rientrano solo le pratiche dei visti, ma anche informazioni generali e politiche sulla rappresentanza di Vorovskij, su addetti commerciali, corrieri diplomatici e rappresentanti del governo ucraino. Tra i nomi dei corrieri si incontra anche quello di Maksim Peškov, il figlio di Gor’kij, che arriva da Riga nel 1921 e chiede l’ingresso in Italia della fidanzata Nadežda Vvedenskaja (DG Personale, X, Russia, b. 33, f. 1917-23, sf. Pratiche passaporti 1914-22; su Peškov vedi anche AP, 1919-30, b. 1525, f. Missione Vorowski e ripresa relazioni commerciali).

Il fascicolo 1917-23 contiene materiale sul passaggio del personale diplomatico del governo zarista a quello dei governi successivi, da cui risulta che diversi funzionari imperiali mantennero le credenziali fino al 1920: il 7 dicembre 1920 l’ambasciata imperiale a Roma manda al Ministero degli Esteri la lista del corpo diplomatico, di cui alcuni componenti chiedono di

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poter rimanere in Italia (DG Personale, X, Russia, b. 33, f. 1917-23, sf. Russia 1917 fino al 1922). Lo stesso sottofascicolo conserva documenti sul transito e l’ingresso di nobili e militari russi in Italia, nonché sull’arrivo di una compagnia di balletti russi nel 1917. Durante la guerra civile tentano di farsi accreditare presso il governo italiano i rappresentanti del governo provvisorio, poi del governo di Omsk e di altre formazioni politiche russe fino all’insediamento della Delegazione commerciale sovietica presieduta da Vaclav Vorovskij, che riceve pieni poteri da Georgij Čičerin per trattare l’accordo commerciale con l’Italia nel maggio 1921 (DG Personale, X, Russia, b. 33, f. 1917-23, sf. Russia 1917 fino al 1922).

Il materiale degli anni 1923-1927 è raccolto in un voluminoso fascicolo di pratiche generali, con documentazione sull’omicidio di Vorovskij e sull’arrivo nel giugno 1923 del suo successore Nikolaj Iordanskij: “noto e stimato scrittore appartenente da molti anni al partito menscevico. Quattro mesi fa aderì principi del bolscevismo ed attuale Governo russo ha molta fiducia in lui” (Roma, 2 luglio 1923. DG Personale, X, Russia, b. 33, f. 192327); resoconti sull’avvicendamento del personale per tutto il periodo; documentazione sul riconoscimento de jure della Russia bolscevica e sull’arrivo del primo ambasciatore Konstantin Jurenev.

Negli elenchi del personale accreditato del 1924 compaiono i nomi di russi già residenti in Italia da molti anni, come i coniugi Mark e Ekaterina Šeftel’, David Kurfirst, tutti medici, e lo scultore Michail Kac. Due fascicoli riguardano le nomine degli ambasciatori Platon Keržencev, insediatosi nella primavera del 1925 in sostituzione di Jurenev e richiamato in Urss nel dicembre 1926 (DG Personale, X, Russia, b. 33, f. 1923-27, sf. Gradimento Amb. russo Platone Kerjentseff), e Lev Kamenev, in carica per tutto il 1927 (DG Personale, X, Russia, b. 33, f. 1923-27, sf. Nomina di S.E. Kameneff ad Ambasciatore dell’Urss). Quest’ultimo fascicolo contiene un interessante carteggio tra Benito Mussolini e l’ambasciatore a Mosca Gaetano Manzoni sull’opportunità della presenza a Roma di Kamenev, la cui destinazione in Italia, assicura Manzoni, non è altro che un “allontanamento da Mosca per ragioni di partito”. Sulla nomina di Kamenev ad ambasciatore, cui corrisponde la nomina di Vittorio Cerruti a Mosca (Kamenev arriva a Roma nel gennaio 1927, Cerruti a Mosca in aprile), si possono leggere nel fondo AP alcuni documenti integrativi degli anni 1927-1928, da cui si può ricavare la lettura della diplomazia italiana della lotta per il potere in Unione sovietica e i riflessi di questa sui rapporti internazionali (AP, 1919-30, bb. 1548, 1549).

Che la sede di Roma rappresentasse in questo periodo una destinazione in certo modo “punitiva”, o se non altro un modo per allontanare da Mosca personaggi coinvolti nelle lotte interne al partito, anche senza esperienza diplomatica, sarebbe confermato da altri documenti consultati in altri archivi: sul conto di Nikolaj Glebov-Avilov,* nuovo agli incarichi diplomatici ma

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nominato consigliere d’ambasciata a Roma dal maggio 1926 al dicembre 1927 (DG Personale, Serie X, b. 33, f. Russia 1923-27), Manzoni ritiene che “la di lui destinazione a Roma sia piuttosto un voluto allontanamento dello Avilov dallo Zinovieff, attorno al quale si vorrebbe fare il vuoto, che l’adesione a una domanda del Zinovieff” (Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, Affari generali e riservati, 1926, cat. A 16, b. 40, f. Gleboff Nicola, moglie Maria e figlia Elena). In precedenza la sede di Roma sembra fosse abbastanza ambita: Giovanni Amadori, dopo la morte di Vorovskij, aveva riferito da Mosca che “tutti vorrebbero andare”, e aveva fatto i nomi di Litvinov e Lunačarskij (AP, 1919-30, b. 1538). Quest’ultimo è proposto anche nel 1927 per la sostituzione di Kamenev, ma in un primo momento sembra più probabile la nomina del diplomatico Viktor Kopp (AP, 1919-30, b. 1549), mentre alla fine la scelta cade su Dmitrij Kurskij, ambasciatore dal 1928 al 1932 (DG Personale, Serie X, b. 44, f. 1925-32, sf. Personale sovietico in Italia fino al 1932; AP, 1919-30, bb. 1550-1551), nomina che segna una svolta nelle relazioni diplomatiche con il fascismo, in questo periodo particolarmente amichevoli.

Nel 1925 il governo sovietico pretende mensilmente informazioni dettagliate sulla composizione e il ricambio del personale diplomatico italiano in Unione Sovietica, richiesta inusuale che, secondo l’ambasciatore Manzoni, è sintomatica di regolamenti in materia di trattamento del corpo diplomatico tutti particolari dell’Urss “che lo distaccano dai Governi occidentali e lo avvicinano piuttosto a quelli orientali” (Mosca, 15 maggio 25. DG Personale, X, Russia, b. 44, f. 1925-32, sf. Personale sovietico in Italia fino al 1932). Il capo della polizia italiana Francesco Crispo Moncada coglie l’occasione per richiedere, in forza del principio della reciprocità di trattamento, riscontri regolari sull’intenso traffico di funzionari sovietici nel Regno, fonte di costante preoccupazione, “data anche la grande frequenza con cui tali mutamenti avvengono e il grande riserbo che si è potuto constatare in proposito da parte della Rappresentanza russa” (DG Personale, X, Russia, b. 44, f. 1925-32, sf. Personale sovietico in Italia fino al 1932).

Per il periodo 1925-1932 si conservano quindi decine di elenchi aggiornati mensilmente su tutto il personale sovietico in Italia, fornite al Ministero degli Esteri direttamente dalle rappresentanze sovietiche a cadenza trimestrale, anche se il materiale è in gran disordine e spesso contiene evidenti errori o lacune. A parte documenti più specifici sull’arrivo dei diplomatici e dell’ambasciatore, la gran parte del materiale per questi quattro anni è costituita da elenchi di nomi di cittadini russi, alcuni dei quali avevano vissuto in Italia in passato, come il capo ufficio stampa Samuil Pevzner, richiamato a Mosca nella primavera del 1928, ma rifiutatosi di partire e sostituito in ambasciata da Vladimir Kurnosov; di Tat’jana Šucht, cognata di Antonio Gramsci, in Italia da molti anni, impiegata come corrispondente e traduttrice

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dell’ufficio esportazione della rappresentanza per il commercio estero nel periodo 1928-29; dello scrittore Osip Blindermann (Ossip Félyne) e della figlia Iris, anche loro impiegati presso la Delegazione commerciale nel 1928; e ancora dello scultore Michail Kac, già vissuto in Italia negli anni 19161921, che figura dal 1925 negli elenchi del Consolato generale russo a Roma con le mansioni di ragioniere e segretario. Su quest’ultimo si conserva un documento del Ministero dell’Interno del maggio 1925 che riguarda anche nomi della colonia di russi bianchi di Roma (DG Personale, X, Russia, b. 44, f. 1925-32, sf. Personale sovietico in Italia fino al 1932).

Sempre relativamente agli anni Venti, questi materiali si possono integrare con due faldoni degli Affari Politici contenenti informazioni su Ivan Zalkind, console sovietico a Genova e Milano negli anni 1924-1927 (AP, 1919-30, b. 1549), sugli incarichi del personale sovietico nelle varie sedi italiane e le informazioni apparse sulla stampa nel 1925 (b. 1550, f. Rappresentanze dell’URSS in Italia). Su Aleksandr Ivanovič Alekseev, ex console imperiale russo a Bari e successivamente segretario del consolato generale dell’Urss a Genova, sono conservati diversi materiali del 1930 (AP, 191930, b. 1561).

Nel 1928 ancora una volta si nutrono riserve sulle reali funzioni del personale, anche di quello italiano, impiegato negli uffici diplomatici, consolari e commerciali dell’URSS in Italia:

Secondo l’elenco comunicato mensilmente dall’ambasciata, tale numero ascenderebbe attualmente a 142, di cui un centinaio (fra cui 25 italiani) esclusivamente addetti alle rappresentanze commerciali di Genova e di Milano. Ora tale considerevole numero di funzionari ed impiegati non sembra, in verità, proporzionato allo scarso numero di affari che, in definitiva, le Rappresentanze Sovietiche in Italia concludono. Sembra giustificato perciò il dubbio che dette rappresentanze non si occupino soltanto di affari commerciali, ma adempiano ad altre mansioni forse non confessabili (Promemoria per S.E. Grandi, Roma, 16 giugno 28. DG Personale, X, Russia, b. 44, f. 1925-32, sf. Personale sovietico in Italia fino al 1932).

Nel 1929 è attivato un servizio di spionaggio sull’ambasciata, come rivela un documento riservatissimo e urgentissimo della Milizia volontaria nazionale, che chiede al Ministero degli Affari Esteri l’elenco nominativo di tutto il personale addetto per “iniziare e regolare un servizio tendente ad attingere notizie di carattere politico, o comunque interessanti, nell’ambiente russo locale. All’uopo lo scrivente si servirebbe di un ufficiale della Milizia, nato da madre russa, e che, perciò, ne conosce perfettamente la lingua e bene la nazione” (Roma, 15 novembre 1929. DG Personale, X, Russia, b. 44, f. 1925-32, sf. Personale sovietico in Italia fino al 1932).

Ancora al novembre 1929 risale un documento intitolato Sanzioni sovietiche contro i funzionari “traditori”, riguardante le pene previste in Urss per i cosiddetti nevozvraščency, quei funzionari che al momento del richiamo in patria scelgono di non rientrare: in caso di arresto, la fucilazione entro

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24 ore e la confisca di tutti i beni è la minaccia sotto cui viveva in Italia un numero sempre crescente di persone, concentrate soprattutto a Milano a partire dalla seconda metà degli anni Venti (DG Personale, X, Russia, b. 44, f. URSS 1928-29. Il testo è conservato anche in AP, 1919-30, b. 1554). A questo proposito è interessante l’analisi di Cerruti sulle ragioni del provvedimento:

Questa nuova legge draconiana del Governo sovietico è diretta contro quegli alti funzionari sovietici che hanno fatto recentemente parlare di sé la stampa estera per le loro rivelazioni. Essa conferma le notizie in mio possesso che il fenomeno della defezione di funzionari sovietici in missione all’estero non è casuale ma ha assunto negli ultimi mesi un carattere di vero movimento. Esso è dovuto alla poca moralità dei funzionari sovietici e alle sempre peggiori ed incerte condizioni d’impiego negli uffici statali (Ambasciata a Mosca a Ministero degli Esteri, Mosca, 22 novembre 1929).

Alla fine del 1932, l’ambasciatore Dmitrij Kurskij è sostituito con Vladimir Potëmkin, che rimane in carica fino alla fine del 1934, quando subentra Boris Štejn. Per il periodo 1933-1935 continuano a pervenire gli elenchi mensili del personale, ordinati per anno (DG Personale, X, b. 45, f. Elenchi del personale fino al 1935), mentre per il 1936 non si è trovata altra documentazione simile in questo fondo, che per quanto si sa non conserva documenti sulle rappresentanze dell’Urss successivi al 1935. Gli elenchi del personale del triennio successivo si possono invece consultare in faldoni del fondo Affari Politici del 1937 (AP, 1931-45, b. 24, f. Rapporti politici), del 1938 (AP, 1931-45, b. 29, f. Rappresentanza della Russia in Italia) e del 1939 (AP, 1931-45, b. 32, ff. 2 e 3; b. 35, f. 1).

Nel 1937,in un clima estremamente teso delle relazioni tra Italia e Urss, e a seguito di proteste, sospetti e indagini sulla presenza eccessiva e ingiustificata di funzionari sovietici in Italia, il Ministero degli Esteri chiede a Mosca di diminuire il personale diplomatico. Per tutta risposta i sovietici chiedono di aprire in Italia una nuova sede consolare a Napoli, che ai loro occhi si rende necessaria per equilibrare l’elevato numero di sedi diplomatiche italiane in Urss. Dal carteggio sulla questione nell’autunno del 1937 si evince che se l’Italia ha ben sei sedi sparse sul territorio sovietico, queste sono “tutte basate su organici minimi”, mentre l’Urss può contare in Italia sui sovraffollati consolati di Roma e Milano e su una rappresentanza commerciale con uffici a Milano e Genova, per un personale complessivo di circa 150 dipendenti. Sul tema si innesca un meccanismo di pretese e ritorsioni tra i due governi che porta alla fine dell’anno al drastico ridimensionamento del personale italiano in Urss, con la soppressione di cinque sedi diplomatiche (Kiev, Leningrado, Tiflis, Novorossijsk e Batum). La sede di Odessa sopravvive in cambio del mantenimento del Consolato generale sovietico a Milano (AP, 1931-45, b. 24, f. Russia-Italia).

Contemporaneamente si fa più intenso e rigoroso il controllo del Ministero dell’Interno nei confronti dei cittadini sovietici in Italia che, in base a

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un conteggio del novembre 1937, sarebbero in tutto 309 (di cui 114 solo a Milano e 87 a Roma), calcolando anche i membri del Corpo diplomatico accreditato presso il Quirinale (37), della Missione tecnica navale (25) e della Missione commerciale (19). Secondo alcune fonti del Ministero degli Interni, molti dei sovietici presenti in Italia a titolo privato vi soggiornerebbero “senza lavorare”:

Sarebbe interessante avere su queste persone maggiori informazioni ed accertare, ove possibile, quali siano le ragioni che loro permettono di risiedere nel Regno, ciò essendo per un sovietico, specialmente nelle presenti circostanze, un privilegio del tutto eccezionale (AP, 1931-45, b. 29, f. Sudditi russi in Italia).

Quindi nei primi mesi del 1938 si procede a un conteggio per provincia dei cittadini sovietici residenti nel Regno a titolo privato, che tuttavia avviene con criteri disomogenei: negli elenchi stilati dai prefetti figurano anche ex cittadini sovietici emigrati da anni, provvisti o meno di un documento sovietico valido, ad esempio si incontrano a Roma i nomi di Ol’ga Šor (con un passaporto rilasciato a Mosca nel 1926), del pittore Aleksej Isupov (con passaporto vistato a Roma nel 1925), ma anche l’intera famiglia del pittore Grigorij Mal’cev, i cui figli erano nati a Roma ed erano cittadini italiani. I dati del censimento quindi non ci sono utili oggi, come probabilmente non furono utili alla polizia di allora, per stabilire il numero dei sovietici residenti in Italia né quello dei russi emigrati.

Un documento dell’aprile 1939 redatto dall’ex diplomatico dell’Urss Fedor Butenko,29 fa il punto sulla struttura dell’ambasciata bolscevica, fornendo “alcuni dati che caratterizzano la condizione delle legazioni o ambasciate sovietiche all’estero, in connessione con quella cosidetta ‘ricostruzione’, la quale si realizza adesso sotto l’azione del terrore staliniano” (Roma, 27 aprile 1939. AP, 1931-45, b. 32, f. 3). L’elemento di novità nell’organizzazione delle sedi sovietiche all’estero rispetto alla prima metà del decennio, secondo questo circostanziato rapporto, è che non si può più distinguere tra funzioni diplomatiche e spionistiche, giacché “il pieno sfacelo dell’URSS sul fronte diplomatico” ha prodotto uno svuotamento delle funzioni diplomatiche del personale, il quale pur sotto i tradizionali ruoli (opportu-

29 Su Butenko e la pubblicazione di suoi scritti vedi in ASMAE anche AP, 1931-45, b. 31, f. 6. Butenko fugge dall’ambasciata sovietica di Bucarest e si rifugia in Italia all’inizio del 1938: oltre a fornire una serie di rapporti al Ministero degli Esteri sulla politica interna ed estera dell’Urss, ad elargire informazioni riservate a quotidiani italiani ed esteri, pubblica il volumetto: Th. Butenko, Rivelazioni su Mosca, Firenze, F. Le Monnier, 1939. Sul caso Butenko cf. Vladimir Kejdan, Vybor Fedora Butenko: Sud’ba intellektuala-nevozvraščenca v epochu totalitarizma, in Personaži v poiskach avtora: Žizn’ russkich v Italii XX veka, sost. i nauč. red. A. d’Amelia, D. Rizzi, Moskva, Russkij put’, 2011, pp. 295-312; in italiano è disponibile il saggio di Riccardo Maffei, Il caso Butenko. Un uomo contro il bolscevismo, «Nuova storia contemporanea», 2007, n. 5, pp. 99-128.

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namente elencati e descritti) per metà svolge opera di spionaggio all’interno della rappresentanza sui propri connazionali, per l’altra metà compie le medesime funzioni all’esterno nei confronti del paese ospite. Di fatto quasi nessuno degli addetti alle ambasciate risponde più agli Esteri, “essi sono agenti completamente di un altro ministero (la G.P.U. o il Commissariato Militare)”. Si devono alla stessa fonte fiduciaria, altre relazioni del 1939 sul personale del Commissariato degli Affari Esteri a Mosca e sui rappresentanti del governo dell’Urss dislocati nelle principali sedi diplomatiche sovietiche (AP, 1931-45, b. 32, f. 3).30

30 Butenko, che aveva studiato e lavorato presso l’Istituto di letterature comparate dell’Occidente e dell’Oriente di Leningrado (ILJaZV, ex Institut im. Veselovskij), fornisce al Ministero anche alcuni rapporti sull’intelligencija dissidente russa che si possono leggere in appendice al terzo capitolo.

APPENDICE I

1 .Affari Calvino Caffi e Leviné (1908) 1

Ambasciata di S. M. il Re d’Italia n.257/96 Pietroburgo, li 12 Marzo 1908

Signor Ministro, L’affare Calvino la cui fase più acuta si svolse appunto al momento in cui la presenza della squadra russa, nelle acque napoletane e la visita a Roma del suo stato maggiore ci imponeva l’obbligo assoluto di evitare in Italia qualsiasi agitazione antirussa, se fu anche per l’Eccellenza Vostra argomento di molte preoccupazioni fu per me occasione di profondissime angosce, giacché nessuno meglio di me era in misura di avvertire le difficoltà ed i pericoli della situazione in cui mi conveniva agire per cercare di salvare la vita del presunto nostro concittadino, e pur tenendo conto di due ambienti diametralmente opposti fra di loro, l’ambiente italiano e quello russo. Nel mentre di fatti la stampa e l’opinione pubblica del nostro paese singolarmente s’infervorava per il caso pietoso del falso Calvino, quasi dimenticando che egli era sul punto di commettere un atto terrorista che oltre all’uccisione delle designate vittime avrebbe pure mietuto centinaia di vite innocenti, non erasi d’altra parte da dimenticare come sulla sorte del condannato del tribunale militare di Pietroburgo avevano a pronunciarsi persone la di cui nota intransigenza era capace di ravvisare in ogni troppo calorosa nostra intervenzione a favore del presunto Calvino quasi come un atto di complicità. Per costoro, a cui non potrà certo addebitarsi di nutrire troppe vive simpatie per il nostro paese, l’aver messo la mano su di quei rivoluzionari italiani costituiva diggià una “bonne aubaine”, e sono certo che la notizia del non essere il supposto Calvino suddito italiano fu in questo campo tutt’altro che una gradita sorpresa. Mi rendevo quindi esatto conto ogni nostro ricorso alla clemenza di questi personaggi a nulla altro avrebbe condotto se non sottoporci ad un più omeno garbato rifiuto, né potei quindi fare a meno di estendere a Vostra Eccellenza la mia ripugnanza ad agire in questo senso.

1 L’ambasciatore d’Italia a Pietroburgo Giulio Melegari scrive al Ministro degli Esteri Tommaso Tittoni in merito ai recenti arresti di sudditi italiani nell’impero russo per atti rivoluzionari. Per quanto riguarda il caso Calvino, si era trattato di uno scambio di persona, in realtà l’attentatore arrestato era un giovane russo vissuto a lungo in Italia, Vsevolod Lebedincev (vedi nota biografica su Lebedincev tra gli approfondimenti alla fine del volume).

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Fin da principio mi sono reso esatto conto che la sola considerazione che avrebbe potuto indurre il Governo russo ad un atto di clemenza a favore del Calvino era basata sull’opportunità di non fare nel presente momento politico cosa che potesse turbare gli eccellenti rapporti esistenti fra i due paesi. Questo punto di vista era al pari di noi condiviso interamente dal Signor Iswolsky,2 ed è perciò che non lasciai passo intentato per spingerlo ad una vigorosa azione presso i suoi colleghi del Gabinetto ed altre autorità competenti. Devo riconoscere che in tutto quell’affare ho trovato presso il Ministero russo degli affari esteri, con cui mi mantenni per quarantotto ore in quasi continuo contatto personale ed epistolare, la più calda assistenza e non è certamente a colpa sua che devesi addebitare se le nostre pratiche non furono coronate da successo.

Dileguato ora definitivamente l’incubo Calvino, ecco ora la stampa ed il pubblico italiano infervorarsi di bel nuovo per i casi del Leviné3 e del Caffi!4 Come l’Eccellenza Vostra già sa, ho per parte mia già fatto e continuerò a fare tutto il possibile per migliorare la sorte di quei due italiani cosicché la mia coscienza è interamente al coperto e mi fa lecito di esporre con intera libertà il mio pensiero all’Eccellenza Vostra. Ecco due giovani studenti: l’uno il Caffi figlio di padre italiano ma già da molti anni naturalizzatosi russo per motivi di interessi suoi personali, l’altro il Leviné figlio di qualche ebreo russo o polacco, che probabilmente per le stesse ragioni s’indusse a prendere anni sono la cittadinanza italiana; ambedue nati, cresciuti ed educati in un ambiente puramente russo, ove probabilmente, senza le vicende rivoluzionarie avrebbero intrapreso una pacifica carriera nell’amministrazione o negli affari, dimenticando forse interamente col tempo di essere mai stati italiani.

2 Si fa riferimento al Ministro degli Esteri dell’Impero russo dal 1906 al 1910 Aleksandr Petrovič Izvol’skij (1856-1919). 3 Si tratta del noto rivoluzionario Evgenij Levine (Eugen Leviné), arrestato a Minsk nel 1908 dopo un primo arresto nel 1906. Nato a Pietroburgo nel 1883, educato in Germania e tornato in Russia per partecipare ai moti rivoluzionari del 1905, dopo una serie di arresti è esiliato in Siberia. Fugge nuovamente in Germania, studia diritto a Heidelberg e nel 1915 sposa la rivoluzionaria polacca Rosa Broido (autrice di una sua biografia). Tra i leader del breve esperimento della Repubblica Sovietica di Baviera (aprile-maggio 1919), è fucilato a Monaco nel 1919. Levine sarebbe cittadino italiano perché suo padre Jules Levine, un ricco mercante ebreo morto nel 1886, secondo i dati dell’ambasciata, “è stato naturalizzato italiano fino al 1872” (Pietroburgo, 8 marzo 1908. Serie P, 1891-1916, b. 716, f. Rivoluzione in Russia. Avvenimenti vari). Cf. Rosa Leviné-Meyer, Levine: The Life of a Revolutionary, 1973; Id., Inside German communism: memoirs of party life in the Weimar republic, London, Pluto Press, 1977; http://www.spartacus.schoolnet.co.uk/GERlevine.htm. 4 Giuseppe Caffi, più noto come Andrea Caffi, era stato arrestato già due volte in Russia (la seconda volta insieme a Evgenij Levine) nel 1906 e poi rilasciato in seguito all’interessamento dell’ambasciata, sollecitato da un’interpellanza parlamentare socialista in Italia. Documenti sui primi arresti di Caffi si trovano nella Serie P, 1891-1916, b. 721, f. Caffi G.

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