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Teorie e principi: Salus patria suprema lex

Questo nuoce ai due ministri designati [Presidente del Consiglio, Ministro degli esteri] in quanto li grava di una responsabilità che non spetta a loro soltanto: nuoce agli altri [Ministri] perché ci fa passare per altrettanti fantocci… foggiati per dir di sì, o, peggio, per gente che avendo fretta di andare a pranzo è lietissima di affidare ad altri ogni risoluzione intorno alle sorti del paese205 .

- Teorie e principi: Salus patriae suprema lex

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Giovanni Giolitti, nel discorso di Torino del 7 ottobre 1911 sulla guerra di Libia, sembra stilare una sorta di trattato a proposito di tale questione; una “delucidazione” dei principi (pratici, teorici, retorici) attraverso i quali la classe dirigente liberale tendeva ad impostare la politica estera del Paese.

La politica estera… non è materia la quale si presti a… particolareggiate dichiarazioni, poiché… subordinata ad avvenimenti che non dipendono dalla nostra volontà…; La politica estera non può, come la politica interna, dipendere interamente dalla volontà del governo e del Parlamento ma, per assoluta necessità, deve tener conto di… situazioni che non è in poter nostro di modificare… accelerare o ritardare. Consideriamo la pace e il completo accordo con tutte le potenze come sommo beneficio per l‟Italia, che ha tanti problemi interni da risolvere, ma non possiamo sacrificare, per amore di quieto vivere, né gli interessi vitali, né la dignità nazionale. La politica estera non può dare luogo a divisione di partiti perché dominata da un solo pensiero, che ci unisce tutti: quello della patria206 .

Ragionando su questo discorso, e sul contesto nel quale esso si inserisce, Brunello Vigezzi ricava una “teoria liberale della politica estera”, ovvero la dottrina che la classe dirigente liberale tendeva a seguire, o diceva di voler seguire, quando si trattava di elaborare un indirizzo e prendere decisioni di politica estera, fondata su quattro criteri portanti: 1) la politica estera è altra cosa rispetto alla politica interna; 2) la politica estera ha come obiettivo primario l‟affermazione degli “interessi vitali” del Paese, e dunque non consente divisione di “partiti”; 3) la Consulta e la Corona

205 Cfr. F. Martini, op. cit., p. 9, 1°agosto 1914. 206 Cit. in B. Vigezzi, L‟Italia unita, cit., p. 214. Un discorso del genere potrebbe essere pronunciato anche da personaggi con ideali molto diversi, ma comunque appartenenti alla classe dirigente tradizionale. Il famoso discorso tenuto da Salandra (18 ottobre 1914), in qualità di Presidente del Consiglio, mentre assumeva l‟interim degli Esteri (in A. Salandra, La neutralità italiana. Ricordi e pensieri, Mondadori, Milano 1928, pp. 377-378), infatti, ricalca lo stesso copione retorico e si basa sugli stessi principi guida.

hanno, in politica estera, le mani libere, in quanto incarnano lo spirito di nazionalità ed in quanto sono gli unici organi istituzionali a conoscere davvero i fatti; 4) l‟opinione pubblica, i gruppi di pressione, i partiti, la stampa, dovrebbero tacere, non dovrebbero darsi battaglia sul tema, indebolendo così la Nazione nell‟arena internazionale; non dovrebbero influire sulle decisioni, sebbene, entro i limiti sottintesi e tollerati da Giolitti nell‟arco del suo decennio207, possano discuterne e dire la loro dando “consigli” al governo su come meglio affermare gli interessi della patria.

Innanzi alla patria la parte avrebbe dovuto scomparire…; Delle questioni interne si poteva discutere, ma su quelle estere era importante che gli uomini più autorevoli di tutti i partiti fossero concordi. Dovere del governo era semmai tenerne conto e non far valere su questo terreno discriminanti controproducenti. Ma anche l‟opposizione –l‟opposizione costituzionale- avrebbe dovuto prenderne atto, guardandosi dall‟avanzare proposte fantasiose e irrealizzabili: “i programmi di politica estera, svolti negli uffici dei giornali, ci paiono necessariamente gonfi, vaporosi ed incompiuti”. Poteva succedere che a dirlo fosse… l‟opposizione e che sul… fronte… governativo, ci si pronunziasse in maniera analoga. La politica estera andava collocata… al di sopra e al di là delle lotte di partito in modo che in faccia agli stati stranieri non vi fosse che una sola politica: quella dell‟Italia liberale…; La politica estera al di sopra dei partiti… un governo non contestato su questo terreno e forte di fronte all‟estero d‟un largo consenso: l‟obiettivo come tale non fu mai abbandonato208 .

Sfortunatamente, teoria e storia non camminano mai a braccetto; la politica estera si lega troppo strettamente alla politica generale. La faida nazionale fra interventisti e neutralisti, i giochi di potere, i sogni di gloria e le connessioni fra politica interna e politica estera che la guerra aizzerà, renderanno palesi le enormi falle di questa impostazione alla quale, in ogni caso, molti, accettandola o deprecandola, avevano pure dato credito; un‟impostazione che grossomodo tutta la classe dirigente tradizionale (dai giolittiani ai sonniniani), in ossequio al suo radicato trasformismo e al proprio ideale di patria, pur con mille differenze, espedienti, accorgimenti o menzogne, aveva, fino al 1914, quantomeno finto, pensato o dichiarato di mettere in atto e di riconoscere.

207 Cfr. Aldo A. Mola, Giolitti. Lo statista della nuova Italia, Mondadori, Milano 2006. 208 Cfr. E. Decleva, L‟incerto alleato. Ricerche sugli orientamenti internazionali dell‟Italia unita, Franco Angeli, Milano 1987, p. 18-19.

In ogni caso, fino al periodo immediatamente precedente lo scoppio della guerra europea, la classe dirigente liberale presentava la politica estera come un ambito politico-decisionale particolare, retto da due o tre persone, governato da leggi particolari, con scopi precisi e improrogabili: l‟affermazione/difesa degli interessi nazionali. Del resto, questo era lo spirito dei tempi, lo spirito di un‟Europa lanciata in piena gara di potenza nazionale; questo modo di ragionare imponevano agli statisti, ai popoli, alle nazioni e alle razze, dal 1870, le severe leggi della politica internazionale209 . Tutto stava poi a come questi criteri, riconosciuti, condivisi, approvati teoricamente da tutta la classe dirigente costituzionale, da tutti i partiti d‟ordine (liberali, cattolici, nazionalisti), seppur con varietà d‟atteggiamenti e orientamenti, e dall‟opinione pubblica e dalla stampa ad essi corrispondente (altra questione è poi stabilire l‟esatto significato di questi termini), ed ipoteticamente accettati, spesso obtorto collo210, comunque da tutto il Paese211, venissero poi interpretati, sviluppati e messi in atto da chi

209 Scrive, nel 1915, Benedetto Croce (convinto neutralista): “Noi italiani (o francesi o inglesi o russi ecc.) siamo italiani (o francesi inglesi russi ecc.); e poiché il corso degli avvenimenti ha fatto entrare l‟Europa in… guerra, ci batteremo fino all‟ultimo, e faremo ogni sacrificio per la nostra patria, qualunque cosa possa accadere. Altro non ci importa né vogliamo sapere”. Cit. in B. Vigezzi, L‟Italia unita, cit., p. 222. 210 Socialisti, cattolici, pacifisti (quindi una grossa fetta d‟opinione pubblica politicamente impegnata) condannavano spesso questo stato di cose, in Parlamento, in dichiarazioni pubbliche, nei loro organi stampa. “I movimenti… di tradizione socialista e… cattolico… si presentavano con una posizione che anteponeva in linea teorica la solidarietà internazionale alla grandezza e alla sicurezza nazionale...; Essi ebbero… un ruolo decisivo nell‟orientamento di grandi masse… tuttavia, furono caratterizzati entrambi da profonde divisioni interne, dallo iato… fra dichiarazioni di principio e valutazione dei singoli conflitti, dall‟influenza… esercitata, in ambedue i casi, da visioni di carattere nazionale”. Fino al 1914, i rimedi che cattolici e socialisti proposero per mutare tale impostazione, erano ipotetici (utopici, non concreti), a lunga scadenza, e si rassegnarono dunque, o a sfumare le loro idee, o ad accettare il fatto che il Paese reale non prendesse parte alla conduzione della politica estera nazionale, e che la Consulta avesse carta bianca. “Condannano ma non negano che sia così”; “La si condanna; ma questo si traduce nel disinteresse”. Col tempo i cattolici meno intransigenti e i socialisti riformisti, entrando progressivamente nelle sfere dirigenziali dello Stato, cominceranno anzi ad accostarsi a questa impostazione della politica estera, dando prova di ritrovato e rinnovato patriottismo. Cfr. Giorgio Rumi, Intransigentismo e diplomazia delle grandi potenze: il caso dell‟ “Osservatore cattolico” 1878-1898, in AA. VV., Opinion publique, cit., pp. 607-643; L. Goglia, R. Moro, L. Nuti, op. cit., pp. 15-16; B. Vigezzi, L‟Italia unita, cit., pp. 236-237. 211 Si veda l‟inchiesta condotta da Paolo Arcari (1910). Le domande principali sono: a) I problemi nazionali (di politica estera) possono modificare gli atteggiamenti dei partiti, i loro contrasti e determinare nuovi atteggiamenti?; b) In quali limiti si deve contenere il concorso dell‟opinione pubblica alla discussione dei problemi di politica estera. In quali forme può manifestarsi? La

(Re, Presidente del Consiglio, Ministro degli esteri, e i loro consiglieri), al momento della scelta, si trovava nella stanza dei bottoni. Anticipando approssimativamente le cose, possiamo dire che Giolitti, fra il luglio 1914 ed il maggio 1915, reputerà che l‟affermazione/difesa degli interessi nazionali passino per la “neutralità relativa” e per le trattative ad oltranza con Vienna; per Sonnino e Salandra la Ragion di stato imporrà alla fine, invece, l‟attraversamento del Piave. È questa, allora, una politica estera nazionalista? In un certo senso si. Il nazionalismo è lo spirito del tempo, lo abbiamo detto e ridetto; si ragiona in termini di potenza nazionale. Il Partito nazionalista italiano esaspera le cose, è vero. Giudica la politica estera come una perpetua resa dei conti, come una continua lotta, condotta senza esclusione di colpi, fra le nazioni e fra le razze. Rifiuta la lotta di classe e le divisioni interne fra i partiti, pretendendo che la collettività nazionale appaia, al di là delle patrie frontiere, compatta. Vuole che le contese interne fra le parti sociali si trasferiscano dal piano nazionale a quello internazionale; aspira alla lotta di classe internazionale. I nazionalisti esagerano, certo. Sembrano non tener conto delle reali condizioni, morali e materiali del Paese; invocano la guerra in ogni caso, la guerra per la guerra; auspicano, sempre e senz‟altro, e prima d‟ogni altra cosa, una politica espansionistica basata sui “diritti storici” della razza italica (Trento, Trieste, Savoia, Nizza, Corsica, Tunisia, Istria, Dalmazia, Malta, Asia minore), in ogni campo, in qualsiasi direzione;

maggior parte delle risposte esprimono concetti del tipo “In una nazione i partiti politici formano la vita interna; oltre i confini del Paese lo spirito di parte deve tacere e lasciar parlare lo spirito di nazionalità”; “in fatto di politica estera ci dovrebbe essere un solo partito, quello nazionale”; “il concorso dell‟opinione pubblica in fatto di politica estera deve essere limitato. La politica estera deve avere lunghe viste; l‟opinione pubblica non riflette altro che il momento che passa”. Analizzando poi i rapporti dei prefetti, in risposta alla circolare “riservatissima… sullo stato dello spirito pubblico in ordine a una eventuale entrata in guerra del nostro Paese” inviata da Salandra (12 aprile 1915), si scorge l‟immagine di un Paese che aspetta, indipendentemente dai propri desideri, le risoluzioni del governo “che nella sua saviezza e piena conoscenza delle cose… solo [esso] è in grado di valutare spassionatamente colla unica mira dell‟interesse nazionale”; “È generale la persuasione che quando il Governo decidesse la guerra ciò significherebbe che essa è inevitabile e necessaria”. Cfr. B. Vigezzi, L‟Italia unita, cit., pp. 217-218; Id, Da Giolitti a Salandra, Vallecchi, Firenze 1969, pp. 321-401.

invocano un sospettoso primato della politica estera su quella interna212. Ma quanto a principi, sono in linea con le concezioni che la classe dirigente tradizionale e la grande stampa liberale sostengono quando si trovano a parlare di politica estera; quanto a retorica, si può dire che non facciano altro che esagerare motivi già presenti e strutturati. Questo è un punto cardinale, uno dei principali motivi del crescente successo dei nazionalisti in seno all‟opinione pubblica borghese

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. L‟ANI (Associazione Nazionalistica Italiana) desidera che la politica estera miri in modo precipuo all‟affermazione degli interessi nazionali, desidera che, quando si parla di politica estera, all‟interno non sorgano fazioni e che a parlare sia soltanto lo spirito di nazionalità; esclude ogni valutazione sentimentale delle alleanze e degli accordi internazionali, impostando la questione esclusivamente in termini di compensi (si sta con chi offre di più), secondo una visione estremamente angusta degli interessi nazionali; secondo un

212 “[fra i nazionalisti c‟era] chi considerava la Triplice come un dato… duraturo, e pensava ad un imminente scontro con la Francia nel Mediterraneo; chi riteneva che, prima o poi, l‟inevitabile conflitto con l‟Austria avrebbe portato l‟Italia dalla parte dell‟Intesa…; non c‟è nulla di strano che … permanessero divergenze in materia di politica estera…; la caratteristica… più autentica del nazionalismo italiano sta… in un particolare modo di vedere i rapporti sociali all‟interno della nazione: l‟appello alla compattezza del paese, la prospettiva di un mitico fine della nazione da raggiungersi attraverso l‟espansione o la conquista avevano come corollario una politica volta a tacitare ogni sorta di contrasti interni: in particolare i conflitti di classe, capaci di incanalare le correnti del reddito nazionale verso impieghi sociali, a detrimento delle spese militari, ergo della sicurezza e della potenza della patria…; Maraviglia (1909): “A correggere le disuguaglianze sociali, non la spoliazione di alcune classi dello stesso popolo potrà esser rimedio… ma la ricchezza che l‟opera audace e intraprendente di tutto il popolo saprà acquistare per le vie del mondo”; Corradini (1910): “Bisogna rinchiodare nel cervello dei lavoratori che hanno maggior interesse a mantenersi solidali coi loro padroni e con la loro nazione e a mandare al diavolo la solidarietà coi loro compagni del Paragay e della Conchichina”. In una prospettiva del genere non avevano molta importanza le scelte precise di politica estera: l‟importante era che si avesse consapevolezza della necessità di tenersi pronti per affrontare ogni eventuale minaccia, da qualunque parte venisse; che vi fosse continuamente stimolo –reale o fittizio- capace di tener desta la coscienza nazionale”. Cfr. G. Sabbatucci, Il problema dell‟irredentismo e le origini del movimento nazionalista in Italia, In “Storia Contemporanea”, settembre 1970, Anno I, n°3, pp. 467-502, e marzo 1971, Anno 2, n°1, pp. 53-106, Il Mulino, Bologna, pp. 100-102.

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“La spiegazione del successo… di Corradini… è nella… semplicità di idee… la realtà della patria, come unità della stirpe nella tradizione del passato e nella volontà di potenza”. “Nel 1912 l‟ANI poteva considerarsi abbastanza diffusa…; possono iscriversi all‟ANI tutti coloro che “qualunque principio politico o religioso professino, pongano gli interessi della Nazione al di sopra d‟ogni interesse particolare, corporativistico, confessionale… di classe”. L‟ANI… miete iscrizioni nel vasto campo che va dalla destra liberale ai radicali ai democratici…; esclusi socialisti e cattolici… panorama d‟uomini e tendenze estremamente vario che può spiegarsi soltanto con l‟estrema genericità dell‟impostazione”. Cfr. F. Gaeta, Nazionalismo, cit., pp. 67 e 94-95.

concetto “realistico” della politica estera, rivolta semplicisticamente agli interessi economico-territoriali e alla dignità della nazione. È la logica del sacro egoismo. Ed è, di fatto, la stessa logica con cui pensano, seppur con diverse sfumature, Sonnino e Giolitti, Frassati e Scarfoglio, che pure nazionalisti (nel senso storico, politico, partitico, del termine) non sono, o almeno, non in questi termini214 .

La classe dirigente tradizionale, certo, conserva il suo ruolo determinante sino alla prima guerra mondiale; il liberalismo non può… essere confuso col nazionalismo; ma, nel campo della politica estera, gli spunti, le tendenze, i criteri nazionalisteggianti hanno ben presto una funzione così forte, persistente, corrosiva da orientare gli sviluppi…; Rispetto a simili orientamenti, i “liberali” riescono solo sino ad un certo punto a mantenere una loro fisionomia distinta, e, in ogni caso, sul terreno della politica estera rappresentano… un debole argine, se pure, in più di un‟occasione, già non sono inclini a confondere le fila e le idee215 .

214 1) Nella seduta parlamentare del 10 dicembre 1913, Sonnino, dopo aver criticato i nazionalisti riguardo la politica interna, afferma: “Il… sentimento nazionalista… che fa palpitare il cuore dei cittadini per la indipendenza e la gloria della patria, può valere nei riguardi esteri e nei momenti in cui si desta più vivo il senso del pericolo di fronte alla competizione e alla pressione straniera”. 2) Giolitti, nel 1913, dichiara: “Le sorti del proletariato sono connesse con quelle della Nazione…; il proletariato di un popolo vinto non sarà mai un proletariato felice… I socialisti mirano a conseguire uno stato di pace, unendo gli interessi del proletariato di tutte le nazioni… nobile fine, ma purtroppo è lontano il giorno in cui potrà essere raggiunto. Per ora si fanno sempre più aspre le lotte economiche… e politiche; e nello stato attuale… noi mancheremmo al nostro dovere se non difendessimo energicamente… gli interessi politici della nostra patria”; “Il governo… non ha mai subito la dominazione di alcun partito… e non la subirà mai. Non è certo delle indicazioni dei partiti o dell‟opinione pubblica ch‟esso ha bisogno per decidere la via, quando può… attingere direttamente e senza intermediari… ai supremi interessi del paese rettamente intesi, e derivare di lì i propri criteri. Per Giolitti… opinione pubblica in politica estera significa… interventi estranei, irresponsabili, pericolosi, incontrollabili, atti… solo a provocare complicazioni”. 3) Per Scarfoglio bisogna armarsi per ottenere il più possibile da qualunque alleanza. Se è vero che l‟Italia è “l‟ultima salute del germanesimo”, e se è vero che se l‟Italia passasse all‟Intesa sarebbe la “catastrofe tedesca”, allora bisogna che gli italiani “sappiano far valere davanti agli alleati l‟enormità del servizio, e se ne assicurino… la congrua ricompensa”. 4) Secondo Frassati era degno di “partitanti isterici da comune rurale” idolatrare la Germania perché proteggeva il trono e l‟altare, ovvero “convellarsi di furore con la Francia” perché questa aveva proclamato i diritti dell‟uomo…; il distacco rispetto ai presupposti della democrazia appare insanabile…; si poteva anche concepire che non si rinnovasse la Triplice… ma… non in base ad adesioni sentimentali all‟altra parte. Che nella… Intesa militassero potenze “democratiche” in sé era indifferente. Il criterio era tutt‟altro. “Noi dobbiamo scegliere gli amici che ci garantiscono più risolutamente i nostri interessi e paghino più cara la nostra amicizia: ogni altro criterio di scelta non è degno di gente che ragioni”. 4) Gli stessi (futuri) socialisti riformisti ragionano con una logica “nazionale” che fonde gli ideali marxisti ad un patriottismo di stampo mazziniano. Nel 1912 Bissolati, pur portando argomenti contrari all‟impresa libica, affermò che il proletariato e il Partito socialista, in ogni caso, non avrebbero dovuto isolarsi dal resto della nazione, e dichiarò che a lui e ai suoi amici non sarebbe mai venuta meno “la preoccupazione per i supremi interessi dell‟Italia”. Cfr. B. Vigezzi, L‟Italia unita, cit., pp. 224-225; E. Decleva, Da Adua a Sarajevo, cit., pp. 213-214, 360361; F. Gaeta, La crisi di fine secolo, cit., pp. 532-533. 215 Cfr. B. Vigezzi, Politica estera e opinione pubblica, cit., pp. 72-73.

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