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Introduzione
Quando nel marzo 1860 il plebiscito indetto nell’ex ducato di Francesco V si pronuncia con una maggioranza schiacciante per l’annessione di quei territori al regno sabaudo di Vittorio Emanuele II si chiude in maniera definitiva la vicenda di un’istituzione
che affonda le sue radici nell’età moderna e che, dopo la devoluzione di Ferrara al papa nel 1598, trova la sua sede stabile nelle città emiliane di Modena e Reggio. La storiografia relativa a questa compagine statale si è spesso concentrata sulla capitale, sede di un potere geloso e sempre soggetto alla tentazione di espandere la propria sfera di influenza, come d’altra parte dimostrano ampiamente le controverse vicende della “congiura estense” del 1831. Tuttavia questa eccessiva focalizzazione sugli
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ambienti di corte e di governo, che peculiarmente finiscono per coincidere nello Stato estense, ha per molti versi impedito agli studi di percorrere linee di ricerca alternative che tengano conto sia dei rapporti complessi ed articolati tra le varie categorie sociali e produttive esistenti sul territorio sia della tensione latente tra le province di Modena e
Reggio.
L’analisi dell’atteggiamento delle classi dirigenti nei confronti della dinastia regnante si è limitata a constatare la presenza di una fazione ‘duchista’ opposta ad una ‘antiduchista’, senza troppo approfondire le ragioni profonde del passaggio di un numero sempre maggiore dei figli di possidenti e collaboratori del sovrano fra le fila dei suoi più fieri e tenaci oppositori. Allo stesso modo gli studi sulla chiesa del ducato hanno finito spesso per limitarsi ad enumerare le vicende contrapposte dei partigiani ecclesiastici del
legittimismo e di quelli del liberalismo. Il contesto sociale ed economico delle due province è quindi considerato come un dato di fatto, in sostanza privo di ricadute sulle caratteristiche e sulle difficoltà del
governo estense. Le vicende della scomparsa del ducato sembrerebbero il frutto della vittoria della
fazione avversa al sovrano, favorita dalle contemporanee vicende politiche, diplomatiche e militari che coinvolgono il complesso sistema di relazioni tra gli Stati italiani ed europei.
Questa visione statica dei domini estensi durante la Restaurazione corre però il rischio di essere fuorviante. È ovvio che non si possono sottovalutare le forze esogene che portano alla fuga di Francesco V ed al successivo passaggio dei suoi territori nel neonato Regno d’Italia così come sarebbe ingenuo pensare ad un qualche possibile cambiamento di rilievo negli assetti statali del nord Italia senza la seppur incompleta vittoria francopiemontese nelle campagne del 1859.
Tuttavia non può essere taciuta l’importanza dei cambiamenti sociali, politici, culturali e generazionali che, a partire almeno dalla metà degli anni Quaranta, creano i presupposti per gli eventi del 1848 e colpiscono in modo traumatico la natura stessa del potere ducale. Questo finisce per essere contestato proprio per la propria incapacità a rispondere alle nuove attese che provengono, con accenti diversi, dalle diverse fasce sociali della popolazione.
Anche dopo il ritorno sul trono di Francesco V dopo le sconfitte militari piemontesi, nonostante le apparenze, la dinastia regnante non è più in grado di porre un freno alla disaffezione della quasi totalità della classe dirigente ed all’insofferenza di una parte crescente dei sudditi.
In questo contesto lo studio delle vicende della seconda città del ducato e della
provincia che ad essa fa riferimento permette di promuovere un’analisi che tiene conto di tutti gli aspetti della crisi del ducato estense, senza essere viziata dalla presenza ingombrante della corte e del sovrano che finisce per attrarre le attenzioni di una storiografia spesso vittima del proprio gusto erudito. Le dimensioni della città di Reggio, tutto sommato simili a quelle della capitale, sono ideali per seguire da vicino l’evoluzione notevole dei ceti urbani colti, il ruolo
assolutamente inedito di una chiesa locale in cerca di una propria visibilità politica, le quotidiane difficoltà materiali di quella porzione notevole degli abitanti perennemente sulla soglia dell’indigenza. Lo scopo di questo lavoro non è la realizzazione di una nuova storia di Reggio Emilia nel Risorgimento quanto l’indagine sulle forze endogene capaci di logorare le strutture
degli antichi Stati italiani fino a ridurle ad organismi vuoti, in balìa degli eventi esterni. In questo senso quindi la ricostruzione delle vicende cittadine è più un mezzo per rispondere
agli interrogativi storiografici che non un fine. Così va intesa anche la parte relativa al
volontariato militare di cui si è voluto approfondire la conoscenza in ragione non tanto del ruolo tattico-strategico da esso rivestito durante le campagne militari, quanto della sua interpretazione come spia del malessere politico e sociale latente nel ducato, amplificato poi dalle vicende del 1848. La ricerca ha cercato di superare i limiti dei precedenti studi di storia locale
attraverso un approccio che contemplasse tutti i settori della vita cittadina, anche quelli finora trascurati. È stata riservata un’attenzione particolare all’istruzione superiore, alle vicende della chiesa di Reggio ed al caratteristico apparato repressivo ducale. Inoltre si è voluto contestualizzare ogni cambiamento ed ogni vicenda nel contesto economico e sociale del periodo, superando le reticenze della storiografia esistente. Per fare questo è stato necessario integrare le fonti istituzionali con la sterminata
mole delle fonti private (cronache, diari, epistolari) in precedenza quasi completamente ignorate oppure relegate a sporadiche citazioni di carattere aneddotico. Eppure l’apporto di questa straordinaria documentazione appare insostituibile quando si decida di allargare il campo d’indagine oltre i ristretti confini delle strutture statali per giungere ad una comprensione più profonda della mentalità e della ricezione
dei cambiamenti politici e culturali in un periodo complesso come quello dell’unificazione nazionale italiana. Certo non possono essere sottovalutati i problemi filologici ed esegetici che vengono posti quotidianamente a chi si accosta a questo genere di fonte. Tuttavia la ricchezza degli spunti forniti e l’ampio spettro delle informazioni rese in questo modo accessibili supera di gran lunga le difficoltà incontrate durante il lungo e difficile spoglio di migliaia di carte private.
Dal punto di vista metodologico è risultato fondamentale l’incrocio delle fonti istituzionali e di quelle cronachistiche con la documentazione presente nei fondi della polizia estense il cui carattere estremamente composito, unito all’inesorabile precisione del sistema repressivo estense, ha permesso di giungere alla conoscenza particolareggiata di molte vicende personali altrimenti destinate a rimanere nell’ombra.