3 minute read
2.6. Liberazione e occupazione
preservarsi nella propria interezza: un caso unico in Europa orientale. Meno noto è, invece, che l’11 marzo 1943, con una serie di azioni pianificate e coordinate, il governo di Sofia iniziò a deportare gli ebrei della Macedonia e della Grecia, ancora privi di cittadinanza bulgara e soggetti a discriminazioni fin dal 1941. In meno di venti giorni, oltre 7.000 vennero concentrati e deportati a Treblinka, dove venne annientata l’intera comunità sefardita macedone 78 .
Nel 1943-44 il peggioramento della situazione militare indusse l’élite conservatrice bulgara a tentare di uscire dal conflitto. Oltre alla scarsità di contatti con il mondo occidentale, che li distingueva dai colleghi romeni e dagli ungheresi, i politici bulgari faticavano ad accettare come ineluttabile la perdita di territori. I partiti di centro-destra si ritrovarono, così, in una posizione di netto svantaggio rispetto ai comunisti quando, nell’agosto-settembre 1944, la sorte della Bulgaria conobbe una svolta radicale. La capitolazione romena del 23 agosto mise in allarme le autorità bulgare e il 2 settembre venne formato un nuovo gabinetto, guidato dall’agrario filo-occidentale Kosta Muraviev, che ritirò immediatamente la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Il 5 settembre, tuttavia, l’URSS dichiarò guerra alla Bulgaria e, tre giorni dopo, Sofia veniva invasa dalle truppe sovietiche senza consultazione preventiva con gli alleati occidentali. Il governo ordinò all’esercito di non resistere e ruppe le relazioni con la Germania. Il Fronte della patria, un’organizzazione antifascista dominata dal partito comunista, fondata nel 1944, entrò allora in azione con scioperi e manifestazioni e il 9 settembre prese il potere utilizzando ampiamente le forze di polizia e l’esercito, che interveniva per la prima volta nel conflitto a fianco dell’Armata rossa, contro i tedeschi in ritirata. La capitolazione degli agrari di fronte al predominio sovietico si accompagnò presto alla repressione dei dissidenti. Dopo la Jugoslavia e l’Albania, la Bulgaria fu il terzo paese sul quale all’inizio del 1945 il partito comunista aveva già affermato un forte controllo politico e militare.
Advertisement
2.6 Liberazione e occupazione
L’offensiva sovietica in Europa centro-orientale, iniziata nella tarda estate del 1944 sulle due direttrici nord (verso Varsavia e Berlino) e sud (verso i Balcani e Budapest), si concluse il 9 maggio 1945 con l’ingresso dell’Armata rossa a Praga. Il giorno prima l’esercito tedesco aveva capitolato, mentre le truppe sovietiche controllavano ormai tut-
ta la metà orientale del continente, comprese Vienna e Trieste, occupata, quest’ultima, il 31 maggio dalle truppe jugoslave con l’iniziale assenso sovietico e dei dirigenti comunisti italiani 79 .
Scrive Norman Davies che la spinta sovietica verso l’Europa centrale fu «una delle più grandi e terribili operazioni militari della storia moderna», che portò alle popolazioni coinvolte la fine di un conflitto sanguinoso, ma anche – talora immediatamente – la soggezione allo stalinismo 80. Nei territori controllati dall’Armata rossa il 1945 costituì un’esperienza non omologabile al dopoguerra europeo occidentale. Capire le circostanze in cui una città, una regione o un dato gruppo etnico reagirono alla presenza sovietica è fondamentale per analizzare la successiva rielaborazione degli eventi del 1944-45 nei vari paesi dell’Europa orientale. L’arrivo dei soldati sovietici liberò milioni di persone da un’occupazione di tipo genocida come quella nazista. Per gli ebrei polacchi e ungheresi sopravvissuti alla Shoah, per le popolazioni slave che Hitler aveva ridotto in schiavitù, per i pochi partigiani in armi e gli oppositori politici, e infine per una parte consistente della popolazione, stremata da una lunga guerra, l’Armata rossa rappresentò davvero l’unica salvezza. Anche in Cecoslovacchia e in Bulgaria essa venne accolta come un esercito di liberazione, tanto più che essa lasciò quasi subito il loro territorio. Per i “nemici”, ovvero i tedeschi e chiunque avesse collaborato con essi come militare, ricoperto incarichi negli Stati alleati/satelliti del Reich, l’arrivo dei sovietici non significò solo la sconfitta di un progetto, ma l’inizio di una lunga fase di terrore più o meno “spontaneo”, nella quale milioni di soldati in condizioni psicofisiche tremende riversarono la loro ebbrezza di successo sui vinti. Il numero di persone massacrate, soprattutto in Germania, Polonia e Ungheria in seguito all’arrivo delle truppe sovietiche rimane difficilmente calcolabile, ma ammonta a centinaia di migliaia di persone, soprattutto fra le comunità tedesche dell’Europa orientale sradicate dai propri luoghi di residenza. Milioni furono invece gli stupri e le violenze “minori” (le rapine e gli espropri) consumati nei primi mesi successivi alla fine del conflitto 81. Passata l’ondata di violenza, l’occupazione sovietica divenne parte integrante della vita quotidiana dell’Europa orientale fino al ritiro delle truppe, dopo il 1990-91.