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proprio dalle regioni annesse, o riannesse, all’URSS alla fine della guerra.

3.4 L’Europa orientale scampata: Grecia, Finlandia e Austria

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Tre paesi situati ai margini dell’Europa orientale e divenuti zona di operazione dell’Armata rossa durante la guerra, Grecia, Finlandia e Austria, evitarono di cadere sotto il controllo sovietico e conservarono istituzioni democratiche e un’economia di mercato. Dopo un lungo periodo di disattenzione, negli ultimi anni la storiografia ha iniziato a lavorare sul loro mancato ingresso nell’Europa “sovietizzata” con argomenti diversi da quello della loro mera assenza dal notorio accordo delle percentuali 89. Nel caso della Grecia, al forte movimento partigiano comunista non venne permesso di sovvertire i termini dell’intesa politica raggiunta da Stalin e Churchill nell’ottobre 1944. Il rispetto di essa imposto da Stalin ai suoi alleati più dinamici nei Balcani, gli jugoslavi, pose i comunisti greci in una condizione di netta inferiorità militare nella sanguinosa guerra civile combattuta dal 1946 al 1949 90. Come ha osservato John O. Iatrides, «per Stalin l’insurrezione comunista greca costituì una battaglia minore nel quadro della guerra fredda, una battaglia che avrebbe desiderato vincere ma si poteva permettere di perdere» 91 .

Assai diverso il caso della Finlandia, che aveva fronteggiato con successo l’Armata rossa nel 1939-40 prima di venire sconfitta e privata di una porzione del suo territorio. Dal 1941 al 1944 il paese fu governato da un regime autoritario e partecipò alla guerra antisovietica al fianco dei tedeschi. Con la firma dell’armistizio di Mosca (19 settembre 1944) la Finlandia venne riconosciuta potenza sconfitta e responsabile di crimini di guerra (sentenza confermata dal trattato di pace del 1947). Il nuovo governo, guidato dall’ammiraglio Mannerheim, dovette accettare l’occupazione militare sovietica, la perdita di un decimo del territorio nazionale in favore dell’URSS, la messa al bando di ogni movimento di estrema destra e il pagamento di ingenti riparazioni. Anche dopo il ritiro dal paese (al fine di concentrare gli sforzi sulla presa di Berlino) l’esercito sovietico mantenne, fino al 1956, un’importante base militare sulla penisola di Porkkala, vicino a Helsinki. La Finlandia si dichiarò neutrale e conservò un assetto socioeconomico capitalistico. La mancata sovietizzazione fu dovuta, in primo luogo, alla sua collocazione periferica nella geopolitica del con-

fronto Est-Ovest. A differenza che in Grecia, gli occidentali accettarono di buon grado un’elevata influenza sovietica sulla politica interna finlandese. Probabilmente, questa circostanza indusse Stalin a rinunciare a una presa totale del potere e a un nuovo, eventuale conflitto armato che, visti i precedenti del 1918-19 e del 1939-40, avrebbe potuto rivelarsi troppo impegnativo. Ruth Büttner ha anche sottolineato la compattezza delle élite politiche e sociali finlandesi nel rifiutare l’inserimento nello spazio sovietico: un rifiuto che si estendeva al forte partito socialdemocratico e che avrebbe persuaso il plenipotenziario sovietico a Helsinki, Andrej ˇ Zdanov, dell’inanità di un tale tentativo 92. Secondo Tony Judt, fu invece il colpo di Stato cecoslovacco del febbraio 1948 a preservare il multipartitismo e la democrazia in Finlandia. Impegnato in un compito prioritario, il sostegno al nuovo potere in Cecoslovacchia, nell’aprile 1948 Stalin firmò con Helsinki un trattato di amicizia che evitò alla Finlandia l’imposizione di un regime di democrazia popolare 93 .

Nel caso dell’Austria, la scelta staliniana di non includerla organicamente nella sfera di influenza sovietica non appariva affatto scontata all’indomani della guerra. L’Austria e la sua popolazione erano ritenute dalle potenze alleate corresponsabili delle politiche attuate dalla Germania nazista. Nell’aprile 1945 il territorio austriaco venne occupato per tre quarti dagli occidentali che, come in Germania, vi stabilirono zone di occupazione integrate; per un quarto (inclusa la capitale, Vienna) dalle truppe sovietiche. Fino al 1955, quando con il trattato di pace l’Austria proclamò la «neutralità perpetua», lo stazionamento di proprie truppe nella parte orientale del paese fornì all’URSS la giustificazione logistica per mantenere la propria presenza militare anche in Ungheria e in Romania. Nel primo governo postbellico, guidato dall’anziano leader socialdemocratico Karl Renner, il partito comunista austriaco (Kommunistische Partei Österreichs – KPÖ), che aveva ottenuto solo il 5,4% dei voti alle elezioni del 25 novembre 1945, controllava i ministeri dell’Interno e dell’Educazione. Secondo Wolfgang Mueller, nel 1945-46 Stalin non mirava all’immediata sovietizzazione del paese attraverso la soppressione violenta del multipartitismo: sperava, piuttosto, che l’Austria avrebbe pacificamente evoluto da una neutralità benevola verso un ordinamento socialista grazie alla formazione di un ampio fronte politico antifascista con i partiti operai nel ruolo dominante 94 . Nel periodo successivo, tuttavia, la situazione politica internazionale, in primo luogo i contrasti sullo status della Germania, indussero Stalin a separare la questione austriaca da quella tedesca, ben più centrale e complessa. Fondamentale fu anche la netta opposizione dei socialde-

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