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3.5. La nascita del blocco sovietico

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Bibliografia

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mocratici austriaci a ogni ipotesi di fusione con l’impopolare KPÖ, il quale venne presto escluso dall’esecutivo (novembre 1947) e ridotto a un ruolo marginale.

Diversi studiosi hanno sottolineato che la separazione della zona sovietica dal resto dell’Austria rimase nei programmi del KPÖ fino al 1948, ma incontrò la netta opposizione di Mosca. Ciò era dovuto principalmente a motivi economici. Nei primi anni del dopoguerra la parte orientale dell’Austria venne sottoposta a un intenso sfruttamento. Circa 450 unità produttive appartenenti a cittadini tedeschi, incluse le raffinerie di petrolio situate presso Vienna, all’epoca fra le maggiori in Europa, vennero espropriate e incluse in una holding denominata Amministrazione delle proprietà sovietiche in Austria (USIA). Le lucrose transazioni internazionali di questo complesso economico, alienato dal circuito economico nazionale, vennero gestite fino al 1955 da una “banca militare” sovietica 95. Anche in seguito al ritiro delle truppe sovietiche e sino alla fine degli anni ottanta l’Austria sarebbe rimasta lo snodo principale delle transazioni commerciali e finanziarie fra l’Occidente e il blocco sovietico, che cumulò così un corposo beneficio economico e i vantaggi politico-diplomatici che derivavano all’URSS dalla neutralità del paese.

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3.5 La nascita del blocco sovietico

3.5.1. DAFULTONALKOMINFORM

La rottura della “grande alleanza” fra le potenze occidentali e l’Unione Sovietica, che aveva permesso la sconfitta del nazismo e la liberazione dell’Europa, non giunse inaspettata nell’estate del 1947 ma rappresentò l’inevitabile scioglimento di una coalizione degli opposti che solo una guerra mondiale aveva temporaneamente cementato. I contrasti sullo status della Germania e sull’appartenenza di Trieste, che nel 1945-46 paralizzarono il processo di pace, rispecchiavano sempre più l’impossibilità di coordinare la gestione degli affari europei. In questo clima già piuttosto teso, la futura collocazione dell’Europa orientale contribuì a infiammare il dibattito internazionale. Il 5 marzo 1946 Churchill, parlando al Westminster College di Fulton, nel Missouri, espresse preoccupazione per la “cortina di ferro” calata dai sovietici sul continente, dal Baltico (Stettino) all’Adriatico (Trieste). Questi ultimi reagirono stizziti all’attacco dell’ex alleato, ma fino all’inizio del 1947 continuarono a sperare che l’alleanza proseguisse alle

condizioni poste da Stalin: cooperazione economica globale, soluzione condivisa della questione tedesca e austriaca, moderata influenza dei partiti comunisti sui governi occidentali, pieno controllo politico ed economico dei paesi dell’Europa orientale occupati dall’URSS o retti da governi ad essa amici.

Il 12 marzo 1947, il presidente americano Truman pronunciò un discorso dottrinale che, prendendo lo spunto dalla minaccia comunista in Grecia e Turchia, invitava i governi occidentali a fare fronte comune contro di essa ovunque si manifestasse. Il riferimento all’URSS (che Truman non menzionava esplicitamente) era fin troppo chiaro. La primavera del 1947 divenne il momento decisivo della rottura di un equilibrio di alleanze divenuto precario. Mentre in Italia, in Francia e altrove i comunisti venivano esclusi dalle coalizioni di governo, il 5 giugno il segretario di Stato americano lanciò un piano di aiuti economico-finanziari. Lo European Recovery Program, immediatamente ribattezzato Piano Marshall, avrebbe distribuito fino al 1951 oltre 17 miliardi di dollari ai paesi dell’Europa occidentale. Il suo obiettivo era tuttavia assai più ambizioso e rappresentava una sfida aperta agli interessi sovietici: contribuire all’integrazione delle economie europee, con l’inclusione della Germania, dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti; in subordine, restringere l’area di influenza sovietica in Europa 96. La storiografia è oggi concorde nell’individuare nel rifiuto opposto da Stalin e Molotov al programma di aiuti le origini della formazione del blocco sovietico, che nacque, così, in modi e tempi largamente imprevisti.

La creazione del Kominform, l’“Ufficio di informazione” dei partiti comunisti, tentò di dare all’impero esterno sovietico una coerenza organizzativa e una sistemazione ideologica. L’organo che si incaricava di rilevare le funzioni del Komintern nacque durante una riunione tenuta a Szklarska Por˛eba, in Polonia, il 22-28 settembre 1947, sulla scorta di un piano concepito a partire da giugno. Il Kominform non era riservato solo alle “democrazie popolari”, ma includeva anche i partiti comunisti italiano e francese, mentre escludeva quelli tedescoorientale e albanese, rappresentato quest’ultimo dagli jugoslavi. Nella relazione introduttiva, tenuta da ˇ Zdanov ma ispirata da Stalin e Molotov, veniva affermato il concetto della divisione del mondo in “due campi” contrapposti, quello «democratico anti-imperialista», con a capo l’URSS e comprendente le democrazie popolari, e quello «imperialista e antidemocratico», formato dagli Stati capitalisti guidati dagli Stati Uniti. Nonostante i dubbi espressi da diversi delegati sull’opportunità e i modi della svolta (il polacco Gomu/ lka ottenne addirittura che la sede dell’ufficio non venisse fissata a Varsavia bensì a Belgra-

do, per il timore di perdere importanti partner commerciali occidentali), la rottura definitiva dell’alleanza antifascista venne sottolineata dall’aggressiva retorica antioccidentale esibita dai delegati, in particolare dai sovietici e dagli jugoslavi, e confermata da un’accelerazione nella costruzione dei regimi di tipo sovietico in Europa orientale 97 .

Apparentemente, il Kominform si limitò a un’attività essenzialmente propagandistica: la pubblicazione di una rivista teorica, “Per una pace stabile, per una democrazia popolare”, stampata fino al 1956 nelle lingue di tutti i partiti partecipanti; la costituzione del movimento dei Partigiani della pace nei paesi dell’Europa occidentale e l’attivazione di stazioni radio clandestine in Grecia. In realtà, la sua attività fu solo in minima parte pubblica. La gestione riservata dell’apparato burocratico (segreteria, cancelleria, referenti politici, tecnici) era prerogativa dei sovietici. Segrete furono le conferenze tenute nel 1947 in Polonia, nel 1948 in Romania e nel 1949 in Ungheria e le quattro sedute della segreteria convocate nel 1948-50. L’unica decisione pubblica rilevante assunta dal Kominform fu l’espulsione del partito comunista jugoslavo dal movimento comunista internazionale durante la conferenza di Bucarest del 19-23 giugno 1948.

3.5.2. LOSCISMAJUGOSLAVO

La conquista del potere in Europa orientale pose Stalin di fronte a un dilemma inedito: poteva l’Unione Sovietica autorizzare o tollerare “vie nazionali” al socialismo, ovvero deviazioni più o meno sostanziali dal modello sovietico? Il problema caratterizzò tutta l’epoca socialista e si presentò per la prima volta nel caso della Jugoslavia. Sin dal 1945 il leader comunista Tito ricopriva un ruolo particolare fra gli alleati di Stalin. Egli era a capo del più potente partito comunista dell’Europa centro-orientale, protagonista di una guerra partigiana durata quattro anni. Sino alla fine del 1947 la Jugoslavia godette del pieno sostegno sovietico nella politica estera e in campo economico e militare. L’URSS rappresentava il principale interlocutore commerciale di Belgrado, partecipando inoltre alla formazione dei suoi quadri e all’addestramento dell’esercito e dei servizi segreti. Il malcontento sovietico nei confronti di Tito iniziò a crescere nell’autunno 1947 in seguito all’annuncio dei governi di Jugoslavia e Bulgaria di un imminente accordo bilaterale di collaborazione e mutuo soccorso. Tito concepiva chiaramente l’asse bulgaro-jugoslavo come il primo passo verso la formazione di un blocco balcanico. Le proteste sovietiche nei confronti di un’azione unilaterale, che cadeva in un momento di for-

tissime tensioni internazionali, costrinsero i due paesi a rimandare di qualche mese la firma dell’accordo. Nel gennaio 1948, tuttavia, fu il leader bulgaro Dimitrov a rilanciare l’idea di una confederazione e di un’unione doganale che comprendessero non solo le “democrazie popolari”, ma anche la Grecia, che Stalin considerava parte della sfera di influenza occidentale. Quando pochi giorni dopo, il 19 gennaio, Tito iniziò a preparare (senza essersi consultato con Mosca) l’annessione militare dell’Albania, le autorità sovietiche intervennero per la prima volta con una sconfessione pubblicata il 28 gennaio 1948 sulla “Pravda”. In un vertice tenuto il 10 febbraio con una delegazione di dirigenti esteuropei Stalin denunciò duramente le mire egemoniche della leadership jugoslava, un’accusa che Tito respinse al mittente.

Nella primavera del 1948 la disputa jugoslavo-sovietica, ancora segreta, si trasformò in rottura politica 98 . Il 18 marzo Stalin ordinò l’immediato richiamo dei consiglieri militari e politici, mentre fra i due partiti comunisti iniziava un fitto scambio epistolare. I sovietici accusarono Tito e i suoi seguaci di “opportunismo”, “deviazionismo” e atteggiamenti antisovietici, mentre gli jugoslavi risposero rivendicando il diritto di costruire un modello di socialismo diverso da quello sovietico 99 . L’esplosione pubblica del conflitto, ormai inevitabile, si consumò il 28 giugno 1948 con la condanna pubblica da parte del Kominform, che denunciò il “nazionalismo” di Belgrado. In Europa orientale, le autorità scatenarono sotto la regia di Mosca una gigantesca campagna di propaganda antijugoslava. In Ungheria, dove Tito aveva goduto fra gli iscritti al partito di grande popolarità nell’immediato dopoguerra, il leader comunista Rákosi lo definì «un cane al guinzaglio delle forze imperialiste occidentali». Le frontiere con la Jugoslavia vennero chiuse e i rapporti commerciali interrotti. La speranza di Stalin di una rapida sostituzione del gruppo dirigente jugoslavo scomunicato andò tuttavia delusa. Il gruppo dirigente titoista si mantenne compatto e condusse una campagna poliziesca spietata nei confronti dei comunisti “kominformisti”, leali all’Unione Sovietica. Le potenze occidentali, dal canto loro, videro nell’eresia di Tito un fattore di instabilità interna al blocco sovietico e incoraggiarono il leader jugoslavo, attraverso finanziamenti e accordi commerciali assai favorevoli, a mantenere la propria posizione di indipendenza. L’aiuto internazionale permise a Tito, negli anni cinquanta, di iniziare la costruzione della “via jugoslava al socialismo”, basata sul principio dell’autogestione economica.

Lo scontro Stalin-Tito si concluse senza un chiaro vincitore. Nonostante Stalin percepisse lo scisma jugoslavo come una sfida intollerabile all’unico modello di “socialismo realizzato”, quello sovietico, l’esempio jugoslavo restò isolato. Il Kominform si ridusse dopo il

1948 a cassa di risonanza della propaganda antijugoslava, mentre i paesi dell’Europa orientale furono pesantemente coinvolti nell’azione di rappresaglia economica e politica, così come nell’accoglienza dei numerosi comunisti jugoslavi fedeli all’Unione Sovietica.

3.5.3. LAQUESTIONETEDESCAELANASCITADELLARDT

La questione tedesca emerse dalla fine della guerra come un test cruciale per l’evoluzione delle relazioni internazionali. Inizialmente Stalin aderì al Piano Morgenthau, che mirava a spogliare la Germania delle sue risorse economiche e a ridurla a un livello socioeconomico preindustriale, per impedire la sua rinascita politica e militare. Nel febbraio 1945, a Jalta, le potenze raggiunsero un accordo sulla spartizione della Germania in quattro zone di occupazione e la divisione della capitale Berlino in quattro settori. Le linee guida dell’accordo, perfezionato a Potsdam in agosto, prevedevano la “denazificazione” e la democratizzazione della Germania, che venne obbligata al pagamento di pesanti riparazioni di guerra. Sin dall’inizio, tuttavia, gli obiettivi occidentali e quelli sovietici mostrarono un orientamento divergente. Il 6 giugno, nelle regioni orientali occupate dall’Armata rossa fu costituita la Zona di occupazione sovietica (Sowjetische Besatzungszone – SBZ), un organo misto militare-civile presieduto dal maresciallo Georgij Konstantinoviˇc ˇ Zukov, il cui quartier generale era situato appena fuori Berlino, che poteva contare su 300.000 soldati. Nel 1945-46 i sovietici tentarono di imporre il pagamento di riparazioni di guerra del valore di 10 miliardi di dollari attraverso il trasferimento di intere installazioni militari e tecnologiche in URSS. Stalin puntava a trasformare nel lungo periodo le quattro zone di occupazione in un’amministrazione unificata, come previsto seppure in termini vaghi dagli accordi di Potsdam. Gli occidentali, al contrario, si mostrarono più interessati alla ricostruzione di un’economia funzionante nelle zone da essi controllate che al pagamento delle riparazioni. Il primo maggio 1947 si verificò un evento del quale la direzione sovietica non comprese subito la portata: con la fusione delle zone di occupazione statunitense e britannica nacque il nucleo del futuro Stato tedescooccidentale, la cosiddetta “Bizona”. Il 23 maggio 1947, dopo il fallimento dell’incontro di Mosca per discutere del trattato di pace tedesco, americani e inglesi decisero di concedere ai tedeschi una rappresentanza politica nel Consiglio economico della loro zona. Ciò rappresentava il primo passo verso la costruzione di un’autorità politica autonoma legata alle potenze occidentali 100. Il 6 marzo 1948 gli occi-

dentali decisero l’inclusione delle tre zone sotto il loro controllo nel Piano Marshall e il consolidamento di strutture federali 101 .

Secondo le ricostruzioni più recenti, frutto di scoperte archivistiche e di un lungo dibattito storiografico, sino al 1948 i sovietici non intesero costituire nella loro zona di occupazione un altro Stato satellite. Come sottolineato da Naimark, tuttavia, gli amministratori della SBZ non conoscevano altra forma di costruzione istituzionale che quella realizzata nella stessa URSS e la loro azione si configurò inevitabilmente in una forma di sovietizzazione. Le sue tappe furono la riforma agraria del settembre 1945 e la nazionalizzazione della grande industria del luglio 1946. Vennero inoltre create organizzazioni di massa “democratiche”, per orientare in senso progressista la popolazione tedesca, e una nuova polizia politica, controllata e istruita dalla forze di sicurezza sovietiche, che avrebbe costituito l’ossatura della Stasi (Staatsicherheit), creata nel febbraio 1950 102. Dal 1945 al 1948 uno dei compiti più difficili delle autorità sovietiche divenne la ricostruzione dell’immagine del partito comunista presso una popolazione immiserita e pervasa da sentimenti ostili per il comunismo e l’URSS: a causa non solo di tredici anni di propaganda nazionalsocialista, ma anche del comportamento indisciplinato e spesso criminale delle truppe di occupazione 103. Nel settore sovietico il partito comunista (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands – SED) diventò presto egemone in seguito al congresso di unificazione con il partito socialdemocratico del 21-22 aprile 1946. La sconfitta elettorale subita dai comunisti alle elezioni municipali di Berlino del 20 ottobre 1946 (appena il 20% dei voti) convinse i sovietici a inasprire il controllo ideologico sulla SBZ. Nel giugno 1947 venne creata la Commissione economica tedesca, che l’anno successivo assunse i tratti di un vero e proprio governo civile, dominato dalla SED, con la partecipazione formalmente paritaria degli ex socialdemocratici guidati da Otto Grotewohl. Nel giugno 1948 Walter Ulbricht impose la trasformazione della SED in un “partito nuovo”, incaricato di assumere il ruolo guida dello Stato tedesco-orientale la cui creazione venne resa necessaria dalla situazione internazionale.

Nel marzo 1948 la conferenza di Londra stabilì l’unificazione delle zone di occupazione occidentali. Poche settimane dopo, il primo giugno venne annunciato il piano per la creazione di uno Stato tedesco-occidentale separato, con una nuova moneta. Stalin avrebbe preferito una Germania riunificata, neutrale e capace di svolgere una mediazione politica ed economica tra blocco orientale ed Europa occidentale, favorevole agli interessi sovietici. Egli cercò, allora, di costringere gli alleati occidentali a rinunciare ai loro progetti monetari e

politici e a discutere la possibilità di riunificare tutte le zone di occupazione con la minaccia di affamare Berlino, gli accessi alla quale furono bloccati dai sovietici. Grazie agli imponenti rifornimenti aerei organizzati dagli eserciti occidentali, Stalin fallì entrambi gli obiettivi. In aprile la Francia unì la sua area di occupazione al progetto del nuovo Stato tedesco-occidentale, divenuto realtà, nel maggio 1949, con il nome di Repubblica Federale Tedesca (RFT). La formazione simmetrica della Repubblica Democratica Tedesca (RDT), proclamata a Berlino Est dal Congresso del popolo il 7 ottobre 1949, sancì la duratura esistenza di due Germanie. La loro costituzione rappresentò una sconfitta per l’Unione Sovietica e per lo stesso Stalin, che fino alla sua morte non avrebbe abbandonato l’idea di riunificare lo Stato tedesco orientandolo in senso filosovietico.

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