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Sull’importanza di una corrispondenza

Nelle poche righe che seguono è riassunta la vita di un uomo. Nella maggior parte dei casi, però, succede che nome e cognome finiscano su una lapide, molto più probabilmente solo in un registro depositato in un Archivio Comunale che man mano si copre di polvere e che, nella migliore delle ipotesi, viene dimenticato. Molte di queste testimonianze ufficiali o private fanno una fine peggiore: si perdono. Può anche accadere, ma è molto, molto raro, che qualcuno ritrovi fortunosamente un piccolo involucro con lettere, documenti, foto e quant’altro una madre può raccogliere del figlio morto in guerra. Su seicentomila morti della Grande Guerra questa scoperta può avvenire anche a cento anni di distanza e chi comincia a leggerne il contenuto, ha sensazioni diverse da chi sfogliava le stesse pagine poco tempo dopo la fine del conflitto. Sappiamo che un giovane militare tende, nella corrispondenza, a tranquillizzare i propri congiunti, a nascondere i pericoli, la fame o le malattie, ma non può celare del tutto i suoi stati d’animo e, comunque, lascia una traccia dei suoi rapporti con i compagni d’armi, i suoi superiori o del clima di guerra. Solo i diari e le lettere agli amici possono rivelare una parte della verità. Il familiare che scrive al congiunto in zona di guerra è invece più spontaneo, anche se opportunamente prudente nel comunicare brutte notizie. Non essendo sottoposto a una strettissima censura come il militare, riferisce sulla vita del paese, sulle vicende famigliari e degli amici. Abbiamo poi i documenti tipo le licenze, i permessi, gli appunti intimi, la corrispondenza con i compaesani, anche loro militari, o le foto, che aiutano a completare il quadro di quella vita che finirebbe racchiusa in poche righe. Tenteremo con questo studio di fare il ritratto di un giovane isolese, vittima ma non eroe nel senso comune della parola, che rappresenta tanti altri di Isola del Cantone, Comune appenninico, che fornì all’officina della guerra, come la chiama Antonio Gibelli docente dell’Università di Genova, almeno 400 soldati e 41 vittime. Non eviteremo la retorica ma neanche cederemo a stereotipi guerrafondai o pacifisti, se possibile.

Piccola avvertenza per la lettura: i testi di lettere o manoscritti vengono trascritti senza eventuali correzioni ortografiche e quindi mantengono anche maiuscole, punteggiatura, errori o convenzioni degli Autori stessi. I soprannomi vengono riportati in corsivo.

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