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Carrier Strike Group 21: analisi, lezioni e prospettive
Carrier Strike Group 21: Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive Analisi, lezioni e prospettive
Michele Cosentino
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Contrammiraglio (ris.) del Genio Navale, ha frequentato l’Accademia Navale nel 1974-78 e ha successivamente conseguito la laurea in Ingegneria navale e meccanica all’Università «Federico II» di Napoli. In seguito, ha ricoperto vari incarichi a bordo dei sottomarini Carlo Fecia Di Cossato, Leonardo Da Vinci e Guglielmo Marconi e della fregata Perseo. È stato successivamente impiegato a Roma nella Direzione generale degli Armamenti navali, il Segretariato generale della Difesa/Direzione Nazionale degli Armamenti e lo Stato Maggiore della Marina, in incarichi relativi al procurement di sistemi navali, alla cooperazione internazionale e alle relazioni con le Marine estere. Nel periodo 1993-96 è stato destinato al Quartier generale della NATO a Bruxelles, occupandosi di Politica militare e Pianificazione delle Forze. Nel periodo 2005-11 ha lavorato al «Central Office» dell’Organisation Conjointe pour la Cooperation en matiere d’Armaments (OCCAR) a Bonn, occupandosi della gestione dei programmi d’armamento in cooperazione e delle discipline nel settore del programme management. Ha lasciato il servizio a settembre 2012, è transitato nella riserva della Marina Militare e nel 2016 è stato eletto Consigliere Nazionale dell’ANMI per il Lazio Settentrionale e successivamente Membro del Comitato Esecutivo Nazionale dell’ANMI. Dalla primavera del 2021 fa inoltre parte del Consiglio Direttivo e del Comitato Scientifico del Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima (CeSMar). Dal 1987 collabora con numerose riviste militari italiane e straniere e ha pubblicato oltre 600 fra libri, saggi monografici, articoli e ricerche su tematiche di politica e tecnologia navale, politica internazionale, difesa e sicurezza e storia navale: partecipa regolarmente a convegni e seminari su tematiche di sicurezza marittima e geopolitica.
Foto aerea della portaerei QUEEN ELIZABETH, fulcro del
gruppo navale impegnato nel CSG 21: sul ponte di volo sono visibili 13 velivoli F-35B e due elicotteri Merlin HMA.2 (Royal Navy).
Il 9 dicembre 2021, al termine della manovra di ormeggio nella base navale di Portsmouth, la portaerei britannica Queen Elizabeth ha concluso la campagna operativa e promozionale intorno al mondo ufficialmente nota come «Carrier Strike Group 21 deployment». Con una durata di oltre 7 mesi e costellato da un miriade di eventi di varia natura in mare e in porto, la campagna aveva come obiettivo la concretizzazione del concetto di «Global Britain», divulgato per la prima volta dalle autorità politiche britanniche nel marzo 2021: in sostanza, una nuova grand strategy orientata verso una presenza attiva in tutte le aree del globo ritenute d’interesse per Londra (1).
Il dispiegamento
All’interno della Royal Navy, il concetto di carrier strike era stato rivitalizzato verso il 2015, ma l’assenza di portaerei e di personale addestrato alle operazioni di volo aveva limitato le attività a studi e approfondimenti teorici. L’entrata in servizio della Queen Elizabeth prima e del Prince of Wales dopo, nonché la progressiva disponibilità di velivoli a decollo corto e appontaggio verticale F-35B, hanno permesso di riprendere l’attività in mare, con una serie di esercitazioni NATO e nazionali propedeutiche al dispiegamento e conclusesi nel primi trimestre del 2021. Nel frattempo, e come sancito dal «Global Britain», l’attenzione strategica, politica, militare ed economica di Londra si è parzialmente riorientata verso il teatro Indo-Pacifico, e l’invio di un consistente gruppo navale in quel teatro non poteva non simboleggiare meglio questo riorientamento. Al termine della visita compiuta dalla Regina Elisabetta II sull’unità che porta il suo nome, la portaerei Queen Elizabeth è partita da Portsmouth il 22 maggio 2021, seguita da altre unità della Royal Navy, in particolare i cacciatorpediniere lanciamissili Defender e Diamond, le fregate Kent e Richmond (2) e le unità ausiliarie Fort Victoria e Tideforce; al gruppo navale — per l’occasione denominato CSG21 e guidato dal contrammiraglio Steve Moorehouse — si sono aggregati il
L’infografica riepilogativa dell’operazione «Fortis», con i crest delle unità navali e dei reparti aerei partecipanti e delle bandiere delle nazioni con le quali il Carrier Strike Group ha avuto interazioni di vario tipo (Royal Navy).
cacciatorpediniere lanciamissili statunitense The Sullivans (un’unità classe «Arleigh Burke Flight I», normalmente di base in Florida e per l’occasione rischierato nelle acquee europee) e la fregata lanciamissili Evertsen della Marina olandese, mentre in maniera assai più discreta ha preso il mare da un’altra località del Regno Unito anche il sottomarino d’attacco a propulsione nucleare Astute, eponimo di una classe di cui gli ultimi tre esemplari, su sette, sono tuttora in costruzione e allestimento. Elemento chiave, organico alla portaerei, per l’attuazione del concetto «Carrier Strike» è stato il gruppo aereo imbarcato sulla Queen Elizabeth, composto per l’occasione da 18 velivoli ad ala fissa F-35B (di cui otto britannici e dieci statunitensi) (3), da sette elicotteri «Merlin HM.2» (di cui tre dotati del sistema «Crowsnest» per la sorveglianza radar a lungo raggio e gli altri equipaggiati per le operazioni antisommergibili) e da tre «Merlin HC.4» per assalto e proiezione: gli aeromobili della portaerei hanno operato assieme a quattro elicotteri «Wildcat HMA.2» imbarcati sulle unità di scorta. In totale, sulle unità inquadrate nell’UKCSG hanno operato circa 3.700 uomini e donne.
La campagna ha preso il nome di operazione «Fortis»: il CGS21 è rimasto fuori sede per 244 giorni — di cui 136 in mare —, navigando per circa 50.000 miglia e visitando porti di 42 nazioni e 3 territori d’oltremare della Corona britannica, cioè Gibilterra, l’isola di Diego Garcia, e le due SBAs nell’isola di Cipro (4). Se si esamina quest’aspetto sotto il profilo della presenza, della diplomazia navale e dell’economia, il CSG21 ha interagito con entità statuali in cui risiede il 47% della popolazione mondiale e il 53% dei partner commerciali di Londra, e dunque in linea con quanto declinato in «Global Britain». Dal punto di vista politico-mediatico, a bordo del Queen Elizabeth sono stati ospitati 66 ministri, 106 ambasciatori e circa 500 ufficiali superiori di Forze armate estere, con le discendenti attività in mare e in porto, interviste e dirette televisive (5); non secondario è stato anche lo sforzo logistico per dar da mangiare ai 3.700 uomini e donne durante tutto il di-
La fregata lanciamissili olandese EVERTSEN, in sosta nel porto di Catania, durante l’ultima fase delle operazioni con il gruppo navale della Royal Navy
(Navy lookout).
spiegamento del CSG21, comprese le soste nei porti dove gli equipaggi sono stati confinati a bordo nel rispetto delle procedure anti Covid-19. Importante rimane il ruolo delle infrastrutture tecnico/logistiche a disposizione della Royal Navy, da Gibilterra a Singapore, passando per la nuova base in Oman — con banchine idonee all’ormeggio delle portaerei classe «Queen Elizabeth» — e Diego Garcia.
Un aspetto cruciale dell’approccio olistico dell’operazione «Fortis» ha riguardato le operazioni militari, comprendenti attività addestrative e missioni reali: delle prime hanno fatto parte esercitazioni che hanno coinvolto unità navali e reparti aerei di 17 nazioni, in teatri operativi che hanno spaziato dall’Atlantico orientale e al Pacifico occidentale, passando per l’Oceano Indiano. Fra le attività reali, vanno annoverate le 44 missioni di combattimento svolte dal gruppo aereo imbarcato sulla Queen Elizabeth nell’ambito dell’operazione «Inherent Resolve» contro obiettivi del sedicente Daesh in Siria e Iraq, missioni svolte tutte dal mare, cioè dal Levante mediterraneo. Aggiungendo queste missioni a quelle di natura addestrativa, gli F-35B imbarcati hanno totalizzato circa 1.280 sortite durante tutto il dispiegamento, equivalenti a 2.200 ore di volo di giorno e di notte, numeri importanti per acquisire l’esperienza sul campo in termini di sostenibilità operativa e logistica dei velivoli imbarcati per lunghi periodi e per missioni di lunga durata. Una considerazione analoga si applica all’impiego dei tre elicotteri «Merlin HM.2» equipaggiati con il sistema «Crowsnest», ma in una configurazione operativa embrionale nota come «pre-IOC» che la Royal Navy aveva comunque deciso di testare sul campo: durante il dispiegamento e con la possibilità di far volare contemporaneamente i tre elicotteri, il sistema ha totalizzato 362 ore di volo in 7 mesi, cifra che da un lato suggerisce un graduale incremento verso il conseguimento della capacità operativa iniziale e dall’altro la sua non completa affidabilità nell’assicurare una copertura completa durante le attività operative, allun-
Il cacciatorpediniere lanciamissili DIAMOND, ripreso all’ormeggio nella Stazione Navale Mar Grande, durante la sosta sei settimane per la sostituzione di una delle due turbine a gas, effettuata in Arsenale: in secondo piano, il rifornitore di squadra STROMBOLI .
gando così i tempi per il conseguimento della piena capacità operativa.
Impegnativo e non poco si è rivelato il compito dei due cacciatorpediniere lanciamissili Defender e Diamond, soprattutto quando il primo, in azione nel Mar Nero, è stato «infastidito» da velivoli e unità navali della flotta del Mar Nero, in un’esibizione giudicata poco professionale del comandante della nave, capitano di fregata Vince Owen (6). Per dovere di cronaca va ricordato l’accordo firmato il 23 giugno 2021 sul Defender in porto a Odessa fra il ministro per il Procurement militare britannico Jeremy Quinn e il vice ministro della Difesa ucraino Oleksandr Myroniuk in materia di cooperazione militare fra Kiev e Londra: un aspetto chiave dell’accordo riguarda il potenziamento delle capacità delle modeste forze navali ucraine, mediante la costruzione di pattugliatori lanciamissili costieri e la fornitura di sistemi d’arma e materiali. Non c’è dubbio che il conflitto scoppiato il 24 febbraio 2022 avrà un impatto sui contenuti dell’accordo e sull’atteggiamento futuro della Gran Bretagna nei confronti delle nazioni rivierasche del Mar Nero.
Diversa l’esperienza del Diamond, obbligato a sostare sei settimane a luglio-agosto 2021 nell’Arsenale di Taranto per la sostituzione di una delle due turbine a gas che compongono il sistema di propulsione. Anche se si è cercato di evidenziare l’aspetto positivo dell’evento, vale a dire la capacità di sostituire in tempi relativamente contenuti una turbina a gas durante una missione lontana dalla Gran Bretagna, l’evento ha rappresentato un’ulteriore dimostrazione della scarsa affidabilità del predetto sistema, soprattutto in teatri marittimi caratterizzati da elevata temperatura dell’acqua di mare, e ha comportato — assieme a un altro inconveniente tecnico a cui si è rimediato a Singapore — un cambio di programma che ha impedito il Diamond di partecipare alla parata navale per celebrare il 50° anniversario del Five Power Defence Agreement (FPDA) (7) e, soprattutto, alla scorta della Queen Elizabeth durante il suo transito nel Mar Cinese Meridionale.
Operazioni di volo con un convertiplano «Osprey» dei Marines in procinto di appontare sulla QUEEN ELIZABETH: la foto è stata scattata durante le eser-
citazioni condotte nel Pacifico occidentale con unità dell’US Navy (US Navy).
Gli effetti di una pandemia praticamente estesa a tutto il mondo hanno avuto un impatto negativo su diversi aspetti dell’operazione «Fortis», ma quello forse più sentito è stata l’impossibilità di effettuare la franchigia in numerose località, per esempio il Giappone, altrimenti irraggiungibili per numerosi membri degli equipaggi. Opportunità di svago organizzate all’ultimo momento sono state all’ordine del giorno, per esempio un po’ di tempo trascorso dagli equipaggi in spiagge isolate o in luoghi dove non avrebbero comunque potuto interagire con la popolazione locale: l’isola di Guam è stata una di queste opportunità, oltre a esserlo per numerosi eventi addestrativi, mentre durante la navigazione di rientro, gli equipaggi di Diamond e Defender hanno potuto approfittare di una franchigia quasi normale in alcune città europee. Al di là di queste eccezioni e inclusa la sosta del Diamond a Taranto, è difficile che il dispiegamento possa essere ricordato con particolare affetto dalla maggior parte del personale a causa del lungo tempo di confinamento a bordo.
Un altro aspetto degno di nota riguarda infine le soste e le attività addestrative eseguite dalla Queen Elizabeth nelle acque del Giappone e Corea del Sud, importanti per la Marina nipponica per acquisire lezioni da travasare nel futuro impiego degli F-35B dai propri cacciatorpediniere portaelicotteri classe «Izumo» e per quella sudcoreana per ampliare il bagaglio delle proprie conoscenze, e quelle dell’industria locale, in relazione al programma di costruzione CVX.
Gli inconvenienti più gravi
Dopo il transito a salire del Canale di Suez e nel corso della normale attività di volo, la Queen Elizabeth è stata protagonista, il 17 novembre 2021, dell’incidente che ha causato la perdita di un velivolo F-35B britannico. Le riprese, effettuate clandestinamente con uno smartphone da un membro dell’equipaggio posizionato sull’isola prodiera e successivamente arrestato, hanno evidenziato una probabile perdita di potenza del propulsore del velivolo al momento di lasciare lo ski-
jump, istantaneamente seguita dall’immediata espulsione del pilota dall’abitacolo. Per sua fortuna e abilità, il pilota è riuscito ad atterrare con il paracadute sul ponte di volo della portaerei e poi trasportato a terra per precauzione. Diverse fonti ufficiose hanno rivelato che la causa dell’incidente è stata la mancata rimozione di una protezione in spugna della presa d’aria del propulsore, conseguentemente risucchiata da quest’ultimo e che ha quindi perso potenza: tuttavia, è difficile prevedere se, e quando, l’inchiesta seguita all’incidente ne rivelerà le cause esatte. Un aspetto accertato è che il velivolo perso era uno dei più recenti F-35B in dotazione alle Forze armate britanniche, avendo eseguito il primo volo nel 2019 e consegnato in un configurazione più aggiornata rispetto agli esemplari entrati in linea in precedenza (8). L’F-35B è caduto in mare in una zona dove il fondale raggiunge i 1.500 metri, in un punto approssimativamente situato a sud di Cipro: l’area dell’incidente è stata presidiata per qualche tempo da unità navali di superficie e subacquee di nazioni NATO, per evitare possibili «intrusioni» di forze navali russe o comunque non amiche, senza dimenticare che una possibile intrusione avrebbe potuto facilmente causare un incidente internazionale dai risvolti drammatici. L’intervento immediato delle organizzazioni britanniche specializzate in questo campo ha permesso il recupero del velivolo, in collaborazione con l’US Navy e la Marina Militare; probabilmente monitorata da qualche unità navale russa mantenutasi a un’opportuna distanza di sicurezza, l’operazione è avvenuta nella prima settimana di dicembre 2021. Se l’incidente non ha avuto un impatto significativo sulla prosecuzione del dispiegamento del CSG21, all’epoca nella fase finale, la perdita di un aeroplano costato mediamente 100 milioni di sterline e gli inconvenienti tecnici al Diamond simboleggiano inevitabilmente altrettante macchie di una campagna navale dagli esiti altrimenti positivi. Va da sé che l’intero episodio dell’F-35B ha generato non poco imbarazzato all’establishment militare britannico, rappresentando sia un errore da cui trarre lezioni importanti sia i rischi insiti nelle operazioni aeronavali. Nel corso della sua esistenza, e anche in tempi non remoti, la Fleet Air Arm ha infatti perso numerosi velivoli a causa di incidenti ma si trattava generalmente di macchine meno costose e più semplici da operare: una considerazione certamente valida è l’insufficiente disponibilità quantitativa dei moderni velivoli imbarcati, non solo per la Royal Navy ma anche per altre Marine, che obbliga a limitarne l’impiego su una o al massimo due portaerei, amplificando l’impatto dei rischi di perdite dovute a incidenti. L’aspetto maggiormente negativo e assolutamente triste del dispiegamento del CSG è stato infine il probabile suicidio — avvenuto il 10 luglio — di Daniel Harrison (9), un giovane graduato appartenente all’equipaggio della fregata Kent; al di là dell’assoluto riserbo sulle indagini e sulle cause del tragico evento, esso ha comunque offuscato l’immagine della Royal Navy, sicuramente molto di più di quanto occorso con la perdita dell’ F-35B.
Rifornimento in mare fra il FORT VICTORIA e il TIDESPRING, il primo con-
cepito per carichi solidi e il secondo per carichi liquidi. Fra le lezioni apprese dall’operazione «Fortis», vi è l’ammodernamento della componente logistica d’altura della Marina britannica (Royal Navy).
Due elicotteri «Merlin» equipaggiati con il radar del sistema «Crownests», le cui criticità sono state confermate dalla campagna navale. La Royal Navy ne prevede la sostituzione con un radar aeroportato da un velivolo a controllo remoto (Fleet Air Arm).
Un’immagine aerea di un sottomarino nucleare d’attacco classe «Astute», con il battello eponimo che ha discretamente partecipato a tutta l’operazione «Fortis» (Coll. Autore). Un bilancio
Per quanto riguarda gli aspetti economici del dispiegamento, il ministero della Difesa britannico — su specifica richiesta di un parlamentare laburista (10) — ha affermato pubblicamente che i costi dell’impresa si sono attestati sui 73 milioni di sterline, in aggiunta a quelli ricorrenti associati alle normali attività addestrative necessarie a mantenere elevate le capacità operative delle unità di un Carrier Strike Group e dei relativi equipaggi: assumendo che nulla si possa recuperare dal relitto del velivolo, a questi 73 milioni di sterline, vanno sommati i 100 milioni relativi alla perdita dell’F-35B. Mettendo tutto sul piatto della bilancia, compreso il ritorno mediatico, il dispiegamento CSG21 è stato considerato un successo, almeno dagli organi istituzionali britannici. Certamente rilevanti sono state le operazioni contro il Daesh e l’attività di presenza in Mar Nero, soprattutto se si considera l’atteggiamento tenuto dalla Russia già in tempi non sospetti: considerazioni analoghe si possono applicare alle attività svolte nel Mar Cinese Meridionale, a valere come contributo, peraltro limitato nel tempo, della Gran Bretagna alla difesa del diritto marittimo internazionale. Nonostante la forte retorica dei media statali della Repubblica Popolare Cinese quando è stato annunciato il dispiegamento, la risposta di Pechino alla presenza del CSG21 nelle acque estremo-orientali si è rivelata di routine e di basso profilo: da parte sua, la fregata Richmond ha condotto pattugliamenti al largo della Corea per far rispettare le sanzioni dell’ONU contro il regime nordcoreano ed è stata l’unica unità del gruppo a transitare effettivamente nello stretto di Taiwan, evidentemente un’azione mantenuta di basso profilo per non esacerbare troppo gli animi. Ben diverso sarebbe forse stato infatti l’atteggiamento di Pechino se al transito avesse partecipato la Queen Elizabeth, magari eseguendo operazioni di volo con gli F-35B, cosa che peraltro non avviene quando il transito è a cura di unità navali statunitensi. L’impatto politico-diplomatico ed economico del dispiegamento è un altro obiettivo di valore raggiunto, confermando la funzione della Royal Navy quale strumento di promozione di interessi politici, militari e commerciali e nonostante le restrizioni dovute al Covid-19: mettendo sulla bilancia costi da una parte
La portaerei QUEEN ELIZABETH in navigazione nell’emisfero meridionale
assieme al nuovo rifornitore polivalente di squadra della Marina neoze-
landese AOTEAROA (THB info Behling).
Il cacciatorpediniere lanciamissili DARING, impacchettato nel corso degli
interventi previsti dal Power Improvement Programme, PIP, finalizzato a eliminare le carenze del sistema propulsivo e di generazione dell’energia elettrica (BAE Systems).
e risultati, anche di medio-lungo termine, dall’altra, la promozione del «marchio Gran Bretagna» ha avuto successo. Va detto che il dispiegamento in acque lontane di un gruppo navale non è un esercizio del tutto nuovo per la Royal Navy, ma quello del CSG21 è stato il più rilevante negli ultimi 50 anni di storia navale britannica, secondo solo a quanto accaduto con l’operazione «Corporate» (la riconquista delle Falkland) e tale da rappresentare simbolicamente la fine di un declino dagli effetti della disastrosa edizione 2010 della Strategic Defence & Security Review, SDSR (11).
Lezioni e rimedi
Il risultato complessivamente positivo del dispiegamento non deve indurre a pensare che la Royal Navy ne possa intraprendente uno ogni anno: rimane tuttavia il messaggio che la Marina britannica ha decisamente imboccato la strada verso uno strumento aeronavale di cui fa parte un gruppo portaerei che può operare su scala globale, anche se non pochi rimangono gli inconvenienti tecnici a cui si dovrà rimediare. Partendo dai numeri, appare chiaro che la presenza del The Sullivans e dell’Evertsen sia stata dettata dalla necessità di ampliare le prestazioni complessive della bolla mobile di difesa antiaerea/antimissile incentrata sulla Queen Elizabeth, oltreché lo spettro delle capacità di presenza «fisica» in determinate circostanze; del resto, la fragilità del sistema propulsivo dei sei cacciatorpediniere lanciamissili classe «Daring/Type 45» era già nota, tanto che alcuni di essi, già prima dell’operazione «Fortis», hanno iniziato il programma di potenziamento necessario sia per eliminare gli inconvenienti alle turbine a gas, sia per potenziare la generazione di energia elettrica (12). Lo stesso discorso vale per gli F-35B imbarcati, con quelli del Corpo dei Marines chiamati a fare numero perché il processo di acquisizione di quelli britannici va troppo a rilento se rapportato alla disponibilità di ponti di volo, cioè Queen Elizabeth e Prince of Wales; prima del dispiegamento, si aveva inoltre il timore che la complessità dell’impresa — in particolare le operazioni nel Pacifico occidentale — avrebbero reso arduo garantire il necessario supporto tecnico-logistico ai velivoli, identificando nella rete logistica globale di Lockheed Martin la soluzione del problema. Infatti, una delle lezioni apprese dal personale del reparto aereo imbarcato sulla Queen Elizabeth — e da tutta la Royal Navy — nel gestire i 18 F-35B imbarcati risiede nell’aver trovato e mantenere il giusto equilibrio fra la consistenza e la specificità dei pezzi di rispetto da conservare a bordo per un’operazione di una determinata durata e quanto sia invece necessario da ripianare periodicamente, operazione quest’ultima da condurre a cura di uno o più hub logistici attrezzati allo scopo o attraverso l’impiego di un’unità ausiliaria concepita per questa funzione. Il concetto di hub logistico non è certamente nuovo per la Royal Navy e appare alquanto simile all’architettura di basi navali e stazioni di carbonamento o rifornimento combustibile esistente sin dalla fine del XIX secolo lungo la via delle Indie e oltre. E la trasposizione moderna di un siffatto concetto fa affidamento a realtà quali Gibilterra, le basi a Cipro
e in Oman, Diego Garcia e Singapore, proseguendo nel Pacifico occidentale con quanto disponibile in Giappone e a Guam.
Se Gibilterra e Cipro, assieme alle capacità logistiche comunque disponibili nelle nazioni NATO mediterranee, sono in continuità storica con un retaggio incentrato sull’asse Gibilterra-Malta-Alessandria, attenzione particolare meritano le scelte nell’ambito di una «Global Britain» che vede il deciso ritorno di Londra a est di Suez. All’amara lezione — sintetizzabile in una lunga marginalizzazione politica ed economica nell’emisfero orientale — appresa dopo la decisione del 1969 del graduale ritiro delle forze militari britanniche di stanza a est del e al contestuale abbandono delle installazioni militari, si è potuto rimediare anche grazie ai crescenti impegni assunti da Londra nella regione del Golfo Persico, e di cui la Royal Navy è rimasta protagonista. La chiusura del cerchio è infine maturata con la «sostituzione» di Aden a cura della nuova base omanita di Duqm, situata in una posizione strategicamente favorevole per le operazioni nel Mar Arabico e nel Golfo Persico: approssimativamente equidistante dal Corno d’Africa e dallo Stretto di Hormuz, Duqm è stata dotata di infrastrutture, pagate dai contribuenti britannici, per il supporto logistico e manutentivo di unità navali anche di grandi dimensioni, comprese le portaerei classe «Queen Elizabeth», ed è naturalmente a disposizione degli alleati di Londra nella regione (13).
La dipendenza dell’UKCSG dal Fort Victoria, unica unità ausiliaria per il rifornimento di carichi solidi rimasta in linea dopo il ritiro dal servizio nel 2011 della gemella e ancora valida Fort George (14), ha acuito in qualche modo l’esigenza di accelerare il programma «Fleet Solid Support» per la costruzione di tre unità, ma con la costruzione del primo esemplare prevista a partire solo dal 2023; in questo caso, non può non essere citato un esempio negativo di gestione poco «cavalleresca» del programma, dapprima orientato verso una competizione fra soggetti industriali anche non britannici e la successiva e definitiva decisione di restringere il campo della competizione a soggetti industriali del Regno Unito, mettendo definitivamente una pietra sopra il tanto sbandierato concetto del «value for money», assai di moda oltre Manica.
In virtù dell’essenza stessa del Carrier Strike Group, cioè un gruppo navale incentrato su una portaerei dotata di un reparto aereo concepito e pensato per operazioni di strike, la disponibilità operativa degli F-35B era un fattore di preoccupazione non indifferente per il commodoro Steve Moorhouse. Le operazioni di volo condotte dalla Queen Elizabeth in situazioni particolari si sono protratte quasi continuativamente nell’arco delle 24 ore, una procedura che sulle portaerei statunitensi è limitata a 15-18 ore e che su quelle britanniche — sprovviste di catapulte e cavi d’arresto — impone un carico di lavoro certamente significativo. Moorehouse ha comunque dichiarato che, a fronte del numero
Un rendering della proposta del Team Resolute per il programma «Fleet Solid Support», relativo alla costruzione di unità dedicate al rifornimento in mare di carichi solidi: si tratta della rielaborazione di un progetto spagnolo a cui si sono dedicate le società britanniche BMT e Harland & Wolff, quest’ultima nota per i cantieri di Belfast (Foto BMT).
di velivoli imbarcati e grazie all’adattamento delle missioni a essi affidate e una conseguente configurazione della loro gestione a bordo, si è potuto mantenere un rateo di disponibilità giornaliera del 75%, un risultato significativo ottenuto grazie alla presenza di una massa critica di velivoli e alla garanzia di un regolare flusso di combustibile e materiali dalle unità ausiliarie (14).
All’indomani del rientro in Gran Bretagna del CSG21, grandi aspettative sono state dunque riposte sull’acquisizione di ulteriori F-35B prodotti e da produrre per conto di Londra, anche se in tal senso «Global Britain» non aveva fornito né numeri definitivi e né tempi. Una risposta ufficiale è maturata ad aprile 2022, quando nel corso di un’interrogazione parlamentare, il già citato Ministro Jeremy Quinn ha affermato che la seconda tranche di acquisizione degli F-35B britannici riguarderà 26 velivoli, che si aggiungeranno ai 47 già consegnati e contrattualizzati (15); non è tuttavia chiaro se questa seconda tranche comprenderà anche il velivolo necessario a rimpiazzare quello perso per incidente e poi recuperato, ma inutilizzabile. A parte ciò, l’obiettivo di medio termine riguarda comunque la disponibilità di quattro squadroni, con Quinn che ha anche dichiarato che la pianificazione complessiva relativa a 138 F-35B è al momento confermata, ma rimane soggetta a valutazioni future legate a nuovi programmi aeronautici. In attesa dell’arrivo dei nuovi aeroplani, la Royal Navy dovrà perciò ricorrere — se requisiti e contingenze impreviste dovessero richiederlo — ad altre fonti di risorse, in primis i Marines statunitensi, sfruttando al contempo l’intercambiabilità e l’interoperabilità con altre Forze armate aventi in inventario l’F-35B.
Un altro problema da risolvere riguarda l’affidabilità del già citato sistema aeroportato «Crowsnest». Definito ad alto rischio già da diversi anni e avviato diversi anni per dotare la Royal Navy di un radar aeroportato di allarme avanzato, il programma «Crowsnest» si basa tuttavia sull’aggiornamento di tecnologie risalenti ad almeno vent’anni fa: nell’ambito dell’iniziativa Defence and Security Accelerator (DASA, avviata nel 2016 dal ministero della Difesa britannico), è stato reso noto che il «Crowsnest» sarà ritirato dal servizio entro la fine dell’attuale decennio e dovrebbe — il condizionale è d’obbligo — essere sostituito da un sensore radar montato su un mezzo a controllo remoto di idonee dimensioni.
Interoperabilità e interazione
Nell’analizzare risultati e lezioni apprese dal CSG 21, l’accento è stato più volte messo sia sull’interoperabilità delle unità e dei velivoli britannici con altre risorse similari, sia sui vantaggi di detta interoperabilità: ampliando il concetto, non pochi fra i comandanti delle principali unità del CSG21 hanno parlato dei riscontri positivi dell’interazione con unità navali e aeromobili di altre Marine amiche e alleate, sperimentata durante le numerose esercitazioni svoltesi all’andata e al ritorno. È pertanto doveroso ricordare le interazioni con la Marina Militare, che ha pienamente sfruttato l’opportunità fornita dalla presenza nel teatro euromediterraneo di risorse pregiate quali appunto la Queen Elizabeth, i suoi Linea di fila aperta dal cacciatorpediniere lanciamissili ANDREA DORIA e comprendente un’analoga unità classe «Daring» e la portaerei QUEEN ELIZABETH, in una foto
scattata durante l’esercitazione NATO «Steadfast Defender 2021».
Le portaerei CAVOUR e QUEEN ELIZABETH in navigazione nel Mediterraneo, in occasione delle attività congiunte effettuate a novembre 2021.
velivoli imbarcati e le altre unità del CSG21. Una prima interazione fra Marina Militare e Royal Navy si è avuta durante l’esercitazione NATO «Steadfast Defender 2021», svoltasi al largo della costa portoghese nel periodo maggio-giungo 2021: gli obiettivi dell’evento riguardavano l’addestramento e l’incremento dell’interoperabilità fra le forze militari dei paesi NATO nel contesto di operazioni di protezione delle linee di comunicazioni marittime, nonché della deterrenza e della difesa degli interessi delle nazioni alleate in Europa. Fra le 18 unità di superficie partecipanti alla «Steadfast Defender 2021» vi erano quelle del CSG21 e il cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria, rapidamente integratosi nel dispositivo alleato di difesa contraerei e antimissili alleato e valorizzando così le capacità dei sensori e dei sistemi d’arma imbarcati. Il contributo dell’Andrea Doria è stato molto apprezzato dal commodoro Moorehouse ed è stato ribadito nella successiva e più significativa interazione con la Marina Militare, avvenuta su una scala più ampia nel Mediterraneo orientale quando il CSG21 era sulla via del ritorno. Infatti, nel periodo a cavallo del 20-21 novembre 2021, il gruppo navale incentrato sulla portaerei Cavour ha condotto con successo operazioni aeronavali a cui hanno partecipato uno dei tre F-35B al momento in dotazione all’Aviazione navale italiana, gli analoghi velivoli presenti sulla portaerei Queen Elizabeth e l’F-35B dell’Aeronautica Militare; svoltosi nel Mediterraneo centrale a sud-est della Sicilia, l’evento è stato presenziato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, dal Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio di squadra Enrico Credendino e dal Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, generale Luca Goretti. Alle operazioni di cross-deck fra Cavour e Queen Elizabeth sono state associate anche eventi addestrativi finalizzati alla difesa di una task force formata da più portaerei, dove le capacità d’integrazione dell’Andrea Doria sono state nuovamente apprezzate dalla controparte britannica.
Dopo il CSG 21: prospettive, presenza e opportunità
Al rientro in patria la Queen Elizabeth ha iniziato un periodo di sosta per manutenzioni più o meno ampie, mentre il Prince of Wales è stato approntato per partecipare all’esercitazione NATO Cold Response 2022 in qualità di nave ammiraglia della NATO Maritime High Readiness Force: per l’occasione, sul Prince of Wales è stato imbarcato un reparto aereo composto esclusivamente da un numero imprecisato di elicotteri «Merlin» nelle versioni per il contrasto alle unità subacquee e le operazioni di eliassalto dal mare.
Foto aerea del cacciatorpediniere lanciamissili DIAMOND: l’inconveniente patito dal sistema propulsivo ha impedito all’unità di partecipare a tutti gli eventi previsti dall’operazione «Fortis», facendo sorgere non pochi dubbi sull’affidabilità complessiva del progetto (Royal Navy).
Un F-35B dell’Aviazione Navale italiana ripreso a bordo della portaerei QUEEN ELIZABETH in occasione delle attività addestrative condotte in Mediterraneo a novembre 2021. Le capacità delle unità della Marina Militare sono state positivamente apprezzate dal commodore Moorhouse, alla guida del Carrier Strike Group britannico.
Poi, all’improvviso (ma non tanto…), la Russia ha invaso l’Ucraina e il mondo è cambiato.
La Cold Response 2022 ha di conseguenza assunto un significato molto più ampio di quanto era stato pianificato all’epoca della sua fase preparatoria e la Royal Navy, assieme alle altre marine NATO, ha dato inizio a una lunga fase di riflessione e analisi. Restringendo il campo al concetto CSG, la programmazione per una possibile replica dell’operazione «Fortis» a breve termine è stata messa temporaneamente da parte, obbligando Londra a concentrare l’attenzione nei teatri marittimi d’immediato interesse, vale a dire il Mar di Barents, l’Atlantico settentrionale, il Mare del Nord e il Baltico. Da parte sua e in attesa delle nuove macchine, la comunità britannica degli F-35B si è focalizzata sul potenziamento delle capacità dei velivoli disponibili, per esempio accelerando l’integrazione del missile aria-superficie «Spear 3», ma lavorando anche in una prospettiva, al momento ambiziosa, di contemporaneo dispiegamento di due portaerei, seppur per un periodo di tempo limitato e con i rispetti gruppi di volo configurati in maniera da sfruttare tutte le potenzialità offerte da nuovi concetti e nuove tecnologie. In quest’ultimo settore, un’accelerazione è stata conferita allo sviluppo e alla sperimentazione di velivoli a controllo remoto per l’impiego nelle operazioni aeronavali, attività iniziata dal Prince of Wales già a settembre 2021 e necessaria per comprendere due cose: a quale futuro di medio e lungo termine andrà incontro la Fleet Air Arm della Royal Navy e come saranno configurati i futuri reparti aerei imbarcati sulle due portaerei.
Parlando di ambizioni e prospettive, soprattutto in un clima di profonda incertezza come quella attuale, non si può non ritornare sull’attuazione della dimensione militare, e in particolare aeronavale, del concetto «Global Britain». Già a luglio 2021, nel corso di una visita ufficiale in Giappone, il Segretario alla Difesa del governo britannico Ben Wallace aveva annunciato l’assegnazione permanente di due pattugliatori d’altura classe «River Batch II» — Spey e Tamar — alla regione Indo-Pacifico, unità adesso in azione in quell’area con il supporto tecnico-logistico fornito da Australia, Giappone e Singapore. Un’analoga misura ha riguardato il Mediterraneo, dove la Royal Navy ha deciso di assegnare in permanenza il Trent, gemello dei precedenti, a cui si è affiancato per breve tempo (aprile 2022), il Diamond e, forse, anche un sottomarino nucleare d’attacco classe «Astute»: Trent e Diamond sono state inserite per qualche tempo nei gruppi navali permanenti che la NATO ha rischierato nella porzione cen-
trorientale del bacino, mentre il battello opera con la massima discrezione.
Per Londra, tutto ciò sembra implicare una netta tendenza verso la concentrazione delle principali risorse aeronavali nazionali nei mari nord-europei e ad affidarsi a forme d’interoperabilità e interazione con altre marine NATO in altri teatri marittimi che rimangono comunque d’interesse per la Corona britannica ma in cui la Royal Navy non può, per carenze quantitative, esercitare forme di presenza concreta e visibile. Se nella regione Indo-Pacifico la presenza permanente di
due pattugliatori d’altura operanti in sinergia con le Marine filoccidentali dell’area e con l’US Navy potrebbe ritenersi sufficiente, così come lo sono anche i cacciamine dispiegati in permanenza nella regione del Golfo Persico, diverso è il quadro geostrategico nel Mediterraneo, la cui importanza e criticità è aumentata drammaticamente ed esponenzialmente come riflesso di quanto accade nel Mar Nero. Alla luce delle risorse complessivamente dispoAi tempi della Mediterranean Fleet, metà anni Sessanta: il cacciatorpediniere lanciamissili INTREPIDO in manovra nel Grand Harbour di Malta fra la portaerei britannica VICTORIOUS (in alto) e l’unità d’assalto anfibio statunitense CASAGRANDE. Ormai da oltre mezzo secolo, la presenza navale britannica nel bacino mediterraneo è diventata alquanto saltuaria, a corollario di decisioni politiche non sempre in sintonia con gli interessi strategici occidentali (Coll. Autore). nibili, non è azzardato affermare l’esistenza di una lezione geopolitica probabilmente appresa da Londra a valle del CSG21 e in concomitanza del conflitto russo-ucraino, lezione sintetizzabile nella necessità di colmare un ineludibile gap di presenza in tutto il Mediterraneo. E se la Royal Navy non può oggettivamente colmare questo gap, la lezione si tramuta in un’opportunità per l’Italia e la Marina Militare, che può confermare la saldezza di un rapporto duraturo con le nazioni NATO e le capacità della Forza armata non solo di riempire efficacemente quel vuoto, ma di agire contestualmente in tutto il Mediterraneo Allargato per rafforzare l’immagine della Nazione sul piano internazionale e perseguirne gli obiettivi politico-strategici. 8
NOTE
(1) Edito dal governo britannico, il titolo completo del documento è «Global Britain in a Competitive Age: the Integrated Review of Security, Defence, Development and Foreign Policy». https://www.gov.uk/ government/publications/global-britain-in-a-competitive-age-the-integrated-review-of-security-defence-development-andforeign-policy. (2) La fregata Richmond è l’unica unità del CSG basata a Devonport, e da lì salpata, anziché a Portsmouth. (3) Gli F-35B britannici appartengono al 617 Squadron, un reparto formato da personale della Royal Navy e dalla Royal Air Force. I velivoli statunitensi appartengono al Marine Fighter Attack Squadron (VMFA) 211 del Corpo dei Marines, noto come «Wake Island Avengers», in ricordo delle loro operazioni nella Seconda guerra mondiale. (4) Le «Sovereign Base Areas» (SBAs) di Akrotiri e Dhekelia, rispettivamente a ridosso di Limassol e Larnaca, sono due aree di 255 kmq su cui il Regno Unito esercita la propria sovranità tramite basi militari rimaste sotto il governo di Londra in forza del trattato che nel 1960 concesse l’indipendenza all’isola di Cipro. Ufficialmente conosciuto come British Indian Ocean Territory, l’arcipelago delle Chagos, nel mezzo dell’oceano Indiano, ha una superficie complessiva di 60 kmq, con l’isola principale — Diego Garcia — sede d’installazioni militari britanniche e statunitensi. (5) https://www.royalnavy.mod.uk/news-and-latest-activity/news/2021/december/09/091221-hms-queen-eliz abeth-returns-to-portsmouth-after-completing-globalmission. (6) https://www.bbc.com/news/world-europe-57583363. (7) L’FPDA è un accordo multilaterale in materia di cooperazione militare siglato nel 1971 da Australia, Regno Unito, Malesia, Nuova Zelanda e Singapore. (8) Gli F-35 di tutte le versioni e in servizio con numerose forze aeree e aviazioni navali sono stati consegnati in configurazioni differenti — note come Blocks — e gradualmente più prestanti, fermo restando che per i velivoli più «anziani» sono previsti programmi di ammodernamento. (9) https://www.forces.net/news/sailor-who-died-hms-kent-named. (10) https://www.theyworkforyou.com/wrans/?id=2021-12-13.91830.h&s=defence+2021-12-15.2021-12-17#g91830.q0. (11) Fra le decisioni annoverate nella SDSR 2010, da ricordare la dismissione anticipata dell’Ark Royal, ultima portaerei leggera classe «Invincible» rimasta in linea, e dei «Sea Harrier» dell’aviazione navale Britannica. (12) Il programma è noto come Power Improvement Programme, PIP, e coinvolge diverse realtà industriali britanniche, prima fra tutte Rolls Royce. A febbraio 2022, tenendo conto delle unità già ai lavori e a quelle in corso di predisposizione per essi, nessuno dei sei «Daring» era operativamente disponibile, un vuoto capacitivo assai rischioso protrattosi per qualche tempo e in corso di progressivo riempimento. (13) Janes Defence and Intelligence Review, Dr. Lee Willett, Key Indian Ocean ports bring access and influence, April 2022. (14) Un’altra decisione maturata con la SDSR 2010. (15) Flight Global, Richard Scott, How CSG21 deployment proved UK’s reborn carrier strike credentials, 14 April 2022. (16) https://ukdefencejournal.org.uk/britain-clears-funding-for-additional-tranche-of-f-35-jets/.