Ceuta Living the Border - Master's Thesis Research

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INDEX ABSTRACT INTRODUZIONE STRUTTURA DELLA TESI

7 11 13

1. CONFINI E FRONTIERE 1.1 1.2 1.3 1.4

Nozioni geografiche Il dibattito intorno al concetto di frontiera e confine Inquadramento in Europa e trattato di Shenghen Inquadramento nel mondo e il concetto di trasnazionale

2. FRONTIERE E IMMIGRAZIONE 2.1 2.2

Flussi migratori e frontiere Storie di illegalità

16 22 24 28 33 37

3. CEUTA TRA EUROPA E AFRICA: UN CASO STUDIO EMBLEMATICO 3.1 Inquadramento geografico e politico 3.2 Storia della città 3.3 Ceuta oggi 3.4 Il commercio di frontiera: El Tarajal 3.5 Immigrazione 3.6 La frontiera 3.7 L’altra frontiera e i quartieri dell’esclusione

48 50 56 58 64 68 72


4. PROGETTO 4.1

Descrizione del progetto: MASTERPLAN

4.2

PROGETTO DI UN NUOVO SOCIAL HOUSING 4.2.1 4.2.2 4.2.3 4.2.4 4.2.5

4.3

Social housing: iter progettuale Osservazione: il sopralluogo Analisi: la casa araba Interpretazione: il progetto Riferimenti progettuali

PROGETTO DI UN NUOVO MERCATO 4.3.1 4.3.2 4.3.3 4.3.4 4.3.5

Mercato: iter progettuale Osservazione: il sopralluogo Analisi: il mercato nella tradizione araba Interpretazione: il progetto Riferimenti progettuali

81

87 89 95 103

115 118 119 121 122 125

CONCLUSIONE

137

RINGRAZIAMENTI

139

BIBLIOGRAFIA

141

CREDITI DELLE IMMAGINI

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ABSTRACT Che cos’è una frontiera? Quali sono le dinamiche urbane e sociali che si innescano in un territorio così complesso ed eterogeneo? La tesi proposta si pone come primo obiettivo quello di indagare intorno alle dinamiche urbanistiche, architettoniche e sociali, che si formano nelle città di frontiera. Partendo dall’analisi del ruolo che hanno oggi i confini e le frontiere con gli attuali processi politici, si pone l’attenzione su una città emblematica che negli ultimi decenni è stata al centro della cronaca intorno al tema dell’immigrazione e della frontiera: Ceuta. Questa città, enclave spagnola in territorio marocchino, porta tra l’Africa e l’Europa, è contenuta da 8 km di barriera che corrono lungo tutto il confine. È nell’eterogeneo tessuto di Ceuta, tappa migratoria del viaggio di migliaia di persone verso l’Europa, che si cerca di comprendere cosa accade una volta superata la frontiera. Questo concetto non è legato solo alla presenza di una barriera fisica che divide due territori appartenenti a stati diversi, ma è un fenomeno più complesso e radicato nella storia del territorio: la lettura morfologica evidenzia un altro confine, invisibile, che divide la città di Ceuta, formando un tessuto discontinuo, in cui i quartieri di origine marocchina sono segregati dalla città consolidata. Dall’analisi effettuata si riconosce come emergenza principale quella di innescare un processo di inclusione che possa riconnettere la maglia urbana frammentata al centro della città. Con questa consapevolezza, si è individuato un luogo in attesa di trasformazione dotato di potenzialità di connessione tra le due culture; un vuoto urbano che, attraverso la definizione di un nuovo quartiere, possa diventare un punto d’incontro sociale tra le culture eterogenee che vivono il territorio e risposta all’emergenza principale di mancanza di residenze e servizi. Attraverso l’analisi della cultura architettonica e sociale della popolazione che vive il territorio di Ceuta, si propone un nuovo quartiere formato da residenze sociali e da un mercato che intendono rispondere ad una possibile strategia praticabile nel complesso contesto di “frontiera”. Keywords: frontiera; immigrazione; segregazione spaziale; processo inclusivo; riconnessione urbana; social housing; mercato.

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ABSTRACT What is a border? Which are the urban and social dynamics that trigger on such a complex and diverse territory? The goal of the thesis is to investigate the urban, architectural and social dynamics that occur in border cities. The research starts from analyzing which role borders and barriers have within the current political processes. At this stage, the attention was drawn to a city that during the last decades has been the core of immigration and border chronicle: Ceuta. As a matter of fact, this city is a spanish exclave in a moroccan territory and, thus, -bridgedoor between Africa and Europe. Due to this reason Ceuta is contained within 8 km of barrier which runs across all the border. In the heterogeneous urban pattern of Ceuta, obligatory step of the migratory route of thousands of people towards Europe, stands the attempt to understand what happens once a person crosses the border. This concept is not only connected to the presence of a physical fence, which divides lands belonging to two different States, but represents a more complex and radicate phenomena. Indeed, the morphological analysis underlines a new invisible border, which separates Ceuta through the formation of a discontinuous urban fabric in which the Moroccan neighborhoods are segregated by the consolidated city. Therefore, emerged that the principal contingency is been recognized as principal emergency to activate an inclusion process which can re-connect the fragmented urban pattern to the city center. With this awareness, a site has been individuated, an urban void that, in the definition of a new neighborhood, aims on the one hand to become a social meeting point between different cultures that live in the territory and, on the other hand, an answer to the lack of housing and services. By means of the examination of the architectural and social culture in Ceuta, the project proposes a new district formed by social housing and a city market whose intention is to respond to a possible strategy that can be applied in the complex “border“ city context. Keywords: border; immigration; spatial segregation ; inclusive process ; urban reconnection; social housing ; market;

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INTRODUZIONE

La tesi nasce da una riflessione attorno alle nozioni di frontiera e di confine legate alle attuali dinamiche dei flussi immigratori e dei processi che si formano nei luoghi di confine. Ceuta e Melilla sono due città di frontiera che hanno avuto una storia travagliata negli ultimi secoli, infatti ancora oggi i rapporti diplomatici intorno alla questione di appartenenza politica, sono complicati e irrisolti. L’analisi si è incentrata sulla città di Ceuta, essendo più vicina alle coste spagnole, e tappa migratoria più utilizzata rispetto a Melilla; inoltre non è solo porta di passaggio di flussi immigratori clandestini ma anche scambio di merci tra i continenti, in quanto porto franco. Il Marocco non solo non riconosce la titolarità spagnola della città di Ceuta ma non ne accetta ufficialmente neanche il carattere commerciale della sua frontiera; ciò ne condiziona notevolmente le relazioni e gli interscambi economici tra le città e i territori circostanti. Non è il caso invece di Melilla, poiché pur non riconoscendone la titolarità spagnola del suo territorio, il Marocco ne accetta il carattere commerciale. Il non riconoscimento ufficiale del trasporto di merci e l’inesistenza di una dogana commerciale hanno dato avvio ad uno scambio di merci tra il territorio spagnolo e marocchino. Da questa analisi è partito l’iter progettuale che ha focalizzato l’attenzione sulla fascia che si trova a sud di Ceuta, dove si trova il passo di frontiera più importante, quello di Bab Sebta, dove una serie di capannoni adibiti a mercato, danno vita ogni giorno

a scambi commerciali di vario genere, da generi alimentari a elementi elettronici, tra Europa e Africa; merci che sono letteralmente portate sulle spalle di uomini e soprattutto donne denominati “porteadores”. La frontiera e l’immigrazione clandestina hanno mutato nel corso degli anni la popolazione di Ceuta, innalzando gli indici di persone di religione mussulmana e di provenienza, soprattutto, dalle regioni del Maghreb. Di importanza rilevante è stato il sopralluogo nella città, la cui lettura sul campo ha fornito una serie di considerazioni che non era possibile effettuare senza un rilievo diretto. Emerge infatti come il tessuto urbano sia più frastagliato all’avvicinarsi della zona di frontiera, sia dal punto di vista insediativo che da quello sociale. Una sorta di “altra” frontiera interna, invisibile, corre lungo la città di Ceuta, dove da una parte accoglie una classe sociale di origine spagnola, ricca di servizi, con una qualità urbana e una risposta architettonica simile alle altre città spagnole ed europee; dall’altra si trova una carenza di servizi principali, un tessuto urbano più frastagliato che si densifica in barriade, dove trovano luogo gli agglomerati abitativi di tutti coloro di religione mussulmana. Il quartiere più emblematico tra questi è appunto il cosiddetto “Barrio de El Principe”, che si innalza sopra una delle colline più alte di Ceuta, mostrando la propria natura tipicamente araba. Dalla segregazione sociale e urbana di questi quartieri rispetto alla parte centrale della

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città, scaturiscono dinamiche tipiche di fenomeni come questo, quali un sovrappopolamento delle zone residenziali, l’autocostruzione di agglomerati insediativi che sfociano nell’abusivismo, una totale assenza di qualità urbana, il proliferarsi di pensieri integralisti e criminalità. E’ dunque da queste emergenze che nascono gli spunti progettuali che hanno portato alla definizione di una nuova zona, che vuole rispondere alla mancanza di residenze sociali e alla mancanza di servizi, i quali possano innescare un processo inclusivo all’interno della città. Durante il sopralluogo si è preso atto di come anche il Piano del del Territorio di Ceuta, abbia previsto degli interventi di tipo residenziale e terziario, nella zona individuata come quella di progetto. Attraverso l’analisi del ruolo della casa nella cultura marocchina, il progetto vuole proporre un social housing in grado di rispondere alle esigenze culturali che contraddistinguono e differenziano l’abitazione tipica araba da quella invece di impronta europea, come ad esempio la casa a patio, presente in varie declinazioni lungo il territorio a maggioranza mussulmana. La risposta all’assenza di servizi trova spunto nel mercato di frontiera “el Tarajal” dove, vista la precarietà del fenomeno dello scambio di merci di frontiera, vuole proporre un mercato che trova esempio nella tradizione marocchina, dove il mercato e la piazza diventano il luogo dell’incontro sociale.

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STRUTTURA DELLA TESI

Ceuta: Living the Border è una tesi di laurea formata da tre fasi. I laureandi che hanno preso parte alla realizzazione del progetto sono quattro. Trattandosi di un progetto urbanistico e architettonico, nella prima parte di indagine, analisi e masterplan, abbiamo lavorato tutti e quattro insieme. Questo è stato utile per poter approfondire maggiormente la fase iniziale di analisi e ricerca, la quale ci ha portato nella cittò di Ceuta. Dopo il sopralluogo, decisiva fase di progetto, abbiamo collaborato insieme per definire il masterplan e le operazioni architettoniche che saremo andati a progettare nell’area da noi scelta. Ci siamo quindi divisi in due gruppi, in cui uno ha sviluppato la parte del social housing, approfondendo il tema dell’abitare, e l’altro gruppo ha elaborato il progetto del mercato. Questo metodo ha permesso un continuo confronto tra di noi, in modo che entrambi i progetti potessero comunicare tra di loro, con l’obiettivo di insediarli in una maglia urbana ampia e complessa, che potesse integrarsi nella zona di progetto. Le altra due fasi della tesi, descritte nei prossimi capitoli sono quindila progettazione di un nuovo social housing e un nuovo mercato per Ceuta.

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1 CONFINI E FRONTIERE

“Il sogno di uno spazio totalmente fluido e attraversabile è forse l’ultima utopia del Ventesimo secolo. Il carattere liscio che sarebbe proprio dello spazio contemporaneo si dissolve a uno sguardo più ravvicinato. Uno dei risultati più immediati dei movimenti e delle interconnessioni globali pare consistere piuttosto in una proliferazione di confini, sistemi di sicurezza, checkpoints, frontiere fisiche e virtuali. È un fenomeno che possiamo osservare sia al livello micro dei territori in cui ci muoviamo ogni giorno, sia al livello macro dei flussi globali: i confini, in effetti, sono tutt’intorno a noi. Sono confini convenzionali e geografici, astratti e reali, assunti come ovvi e contestati. Uno sguardo d’insieme a questa combinazione di flussi (di persone, merci, idee...) e di restrizioni su un dato territorio rivela la complessità di identità individuali e collettive che sono, al tempo stesso, costruite e fratturate dall’esperienza dell’attraversamento dei confini”.

Festival di Filosofia, Modena 2004 in Sandro Mezzadra “Confini, migrazioni, cittadinanza”


165°

150°

135°

120°

105°

90°

75°

60°

45°

30°

15°

15

75°

PEACE LINES Irlanda, Belfast cattolica - Belfast protestante 13 km 1967

60°

Ungheria - Romania Ungheria - Serbia 2015 45°

OCEANO PACIFICO settentrionale OCEANO ATLANTICO settentrionale

MURO DI TIJUANA Stati Uniti - Messico 3.200 km 1994

30°

GUANTANAMO Stati Uniti - Cuba 1959

CEUTA Spagna - Marocco 1998

GIBILTERRA MELILLA

Marocco - Algeria MURO DI SABBIA Marocco - Sahara occ. 1987

Arab 2006

Tunisia - Libia

15°

Messico - Guatemala

Brasile Guiana Francese, Sruriname, Guyana, Venezuela, Colombia,Perù, Bolivia, Paraguay, Uruguay 2007

LEGENDA

15°

Paese finanziante - Paese confinante lunghezza del muro in km anno realizzazione

Namibia - Angola

barriere dell’immigrazione

30°

BARRIERA DELLA DISCORDIA

barriere dovute ad altri fenomeni (ghetto,anti-terrorismo, conflitti,barriere economiche) barriere in fase di progetto o realizzazione

OCEANO PACIFICO meridionale

stati che hanno costruito barriere

Botswana - Zimbabwe 500 km 2003

OCEANO ATLANTICO meridionale

aree di libera circolazione

45°

aree con limitazioni alla libera circolazione

GEOMETRIA VARIABILE DELLA UE

ENCLAVE DI CEUTA

EN

1998

60°

?

MAROCCO

SPAGNA

5 km

confini legali

confini risultanti

confini reali

OCEANO ANTARTICO


30°

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60°

75°

90°

105°

120°

135°

150°

165°

180°

Adhamiya - Baghdad (Iraq) 5 km 2007 Turkmenistan - Ouzbekistan 1.700 km 2001

Russia Estonia, Lettonia, Lituania

Ouzbekistan - Afghanistan 209 km

Ucraina - Russia

Ouzbekistan - Kirghizistan 870 km

Turchia Grecia, Bulgaria 2014

LINE OF CONTROL India - Pakistan 550 km 2004 Cina - Corea del nord 2003

Turchia - Siria

Iran - Afghanistan 900 km Kuwait - Iraq 1991

ISRAELE E CIPRO

Pakistan - Iran 700 km 2010

Arabia Saudita Giordania

Corea del sud - Corea del nord 241 km 1953 India - Birmania MURO DEI ROHINGYA Birmania - Bangladesh

Arabia Saudita Emirati A.U, Qatar

India - Bangladesh

Emirati A.U - Oman

bia Saudita - Iraq 6

Arabia Saudita - Oman Oman - Yemen Arabia Saudita - Yemen 1.800 km 2013

Malesia - Tailandia 27 km 2006

Brunei - Malesia 2005

Kenya - Somalia

Zimbabwe - Zambia Sud Africa - Zimbabwe 500 km Sud Africa - Mozambico 120 km 1975

NCLAVE DI MELILLA

OCEANO INDIANO

LA LINEA VERDE

NUOVE BARRIERE N CIPRO

Ev s ro

MAROCCO

ISRAELE LIBANO

2008

EGITTO GAZA

SPAGNA

5 km

ISRAELE EGITTO

ISRAELE SIRIA

O

1967

ISRAELE GAZA, PALESTINA ISRAELE GIORDANIA

E

2001

BULGARIA

TURCHIA GRECIA in corso

S

1974

100 km

10 km

0

1000

2000

5000 km

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1.1 NOZIONI GEOGRAFICHE

“Nessun problema è più importante, in geografia, di quello delle suddivisioni”1 Lucien Febvre 1922

L’indagine attorno al termine di confine e di frontiera è molto ampio e complesso, la letteratura offre molte riflessioni, che toccano vari campi culturali. E’ utile iniziare da una riflessione di tipo geografico. La geografia si definisce precisamente come scienza della suddivisione spaziale: il compito del geografo consiste, appunto, nell’individuazione delle regioni omogenee al loro interno e diverse da ciò che le circonda. 2(Hartshorne 1959) Ciò vuol dire anche confrontarsi con i loro confini e frontiere. Il rapporto tra confine e frontiera non è semplice e si possono distinguere almeno tre posizioni differenti: 1. Confine e frontiera sono dotati di significato analogo 2. Confine e frontiera hanno significati distinti (il confine è una linea di demarcazione tra Stati, la frontiera la fascia territoriale che fronteggia il confine) 3 1  Febvre, Lucien, in Tanca, Marcello, “Frontiere, confini, limiti: e la geografia?”, Between, I.1(2011), http://www.Between-journal.it/ 2

Hartshorne, Richard in ibidem

3  Tanca, Marcello, “Frontiere, confini, limiti: e la geografia?”, Between, I.1(2011), http://www. Between-journal.it/

Il termine confine ha un significato generico, il termine frontiera è riferito alla linea che usualmente viene inteso come confine politico. Il geografo Marcello Tanca nell’articolo “Frontiere, confini, limiti: e la geografia?” spiega come in tutte le geografie confini e frontiere sono effimeri e mutevoli. La storia documenta come i confini politici siano stati soggetti a mutazioni durante il tempo (es. confini della Polonia). Ma anche i confini fisici e naturali sono soggetti a mutamento (es. confini tra Italia e Svizzera, cambiati a causa dello scioglimento dei ghiacciai). Questi due casi rientrano in una più ampia problematica riguardante i confini. I confini sono documentati dalle carte geografiche, non sono visibili ad occhio nudo, ed essa delimita una sovranità, cioè uno spazio controllato da un potere e racchiuso tra confini. “Una presunta barriera naturale può essere nello stesso tempo, alternativamente, e per gruppi umani diversi, una linea di convergenza oppure un ostacolo.” (Bergier 1989) Per esempio le Alpi, nel loro orientamento est-ovest hanno agito da barriera tra il mondo germanico e il mondo latino; ma dove il loro era orientamento tra nord-sud (Italia e Francia) non hanno agito da ostacolo. (Bergier 1989) Quando si parla di confine naturale spesso si sovrappongono e confondono due concetti diversi: quello di suddivisione e quello di confine. Il concetto di divisione rimanda al tentativo di comprendere la forma della

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terra; mentre il confine è una separazione che si fonda su un principio considerato auto evidente che non occorre né ricercare né indagare. . Nel XVIII secolo c’era una contrapposizione tra i “geografi di Stato” e i “geografi puri”. I primi offrono una visione puramente politica della Terra e della sua superficie nella quale l’ordine geografico rispecchia quello del potere gerarchico (confini politici e amministrativi dello stato). I secondi rifiutano la sottomissione a qualsiasi potere politico.4 (Farinelli 1992) L’obiettivo dei geografi naturali era quello di descrivere e suddividere la totalità della terra sulla base di elementi ricavati proprio dalla conformazione della sua superficie (in contestazione indiretta con l’ordine politico feudale e aristocratico). (Tanca 2011). La trasformazione di queste suddivisioni naturali della superficie terrestre in confini nasce dopo, sulla spinta di un’esigenza diversa: individuare dei confini politici più saldi e inattaccabili di quelli statali, così effimeri perché umani. Attualmente l’idea stessa di confine così come la intendiamo è sempre più in crisi perché è in crisi la razionalità dello spazio politico, e delle appartenenze, e questo a causa delle spinte autonomistiche che si registrano a livello locale e delle dinamiche scaturite dai flussi globali di capitali e persone, di produzione, gestione, tecnologia, comunicazione. Le frontiere dei sistemi politico-economici-spaziali non sono lineari e separate, ma indeterminate e sovrapposte. L’autore sostiene che i geografi devono fare i conti con i flussi migratori, dal 1980 100 milioni di migranti del mondo, oggi sono 200 milioni di migranti. 4  Farinelli, Franco in Tanca, Marcello, “Frontiere, confini, limiti: e la geografia?”, Between, I.1(2011), http://www.Between-journal.it/

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Il fatto è che nello spazio universale del mercato rivoluzionato dalle reti si pratica sempre meno una territorializzazione ancorata alle pratiche attraverso le quali tradizionalmente si è esercitata la sovranità. Quindi l’idea di uno spazio chiuso e delimitato da confini è messa in crisi. Si rimette in discussione quindi un mondo fatto di confini rigidi e prestabiliti in cui il binomio sicurezza/libertà mette in discussione l’esigenza di un libero attraversamento dei territori e la loro trasformazione in spazi chiusi e blindati. È quella che Ilardi definisce la territorializzazione dei desideri (Ilardi 2007): una nuova territorialità basata sui consumi, sui desideri, primo tra tutti quello della mobilità. (Tanca 2011) “Il mondo è la casa di chi non ne ha una.” (Mille e una notte) Il concetto di confine politico A partire dal XVII secolo il concetto di frontiera cambia accezione e si trasforma in una linea definita, assumendo il significato politico di limite tra Stati-Nazione. Se viene definito come separazione tra due territori, si può dire che il confine politico sia la conseguenza del confine naturale, ed è legittimato attraverso di esso. L’esistenza di una discontinuità nel territorio infatti, genera questa suddivisione del territorio in cui si confrontano due sistemi che differiscono per funzionamento politico, per sistemi organizzativi e giuridici. Il confine politico, al contrario di quello puramente naturale, è caratterizzato dalla presenza della frontiera come sistema di controllo e di difesa, che ha come obiettivo quello di proteggere ma anche di filtrare. La frontiera è quindi un sistema permeabile, gli scambi leciti si generano proprio


grazie alla presenza della stessa. Quindi una prerogativa della frontiera è la dicotomia tra separazione e intercambio, come viene approfondito nei paragrafi successivi.

confini e frontiere

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1.2 IL DIBATTITO INTORNO AL CONCETTO DI FRONTIERA E CONFINE

Gli antropologi Antonietti e Caputo, nel loro articolo “Confini e frontiere: Distinzione, relazione, sconfinamenti e ibridazioni”, pongono come primo quesito la necessità di porre una distinzione tra confini e frontiere. Confini e frontiere non sono da considerarsi come sinonimi ma piuttosto come due aspetti di un medesimo concetto e a volte anche come concetti in contrapposizione. Entrambi includono temi come la separazione e la distinzione, ma non è detto che un confine o una frontiera debba per forza escludere qualcos’altro: ci sono differenze che appaiono e scompaiono, tratti costitutivi che si ricombinano in diversi modi. Confine e frontiera appaiono, nei fatti, come due aspetti, due possibilità attualizzabili del “limite”, nel senso in cui lo intende Kant. Nei “Prolegomena ad ogni futura metafisica” Kant opera una netta distinzione fra i limiti ed i confini. Secondo la teoria Kantiana il limite è un concetto che contiene sia la possibilità della distinzione di uno spazio interno che la possibilità di un’apertura esterna, rispetto ad un concetto di confine inteso a livello di negazione. Il limite, così inteso, è pensabile come ciò che allo stesso tempo accosta e disgiunge due gruppi, le cui relazioni possono assumere differenti aspetti, secondo la funzione di distinzione, attraversamento, costituzione di connessioni o ibridazioni. Il limite è dunque scomponibile nelle figure di confine e frontiera.

Per definire questi due concetti si cerca di darne una nozione antropologica. Perché secondo Fabietti, se l’umanità appare impegnata a costruire confini, anche attraversabili, il compito dell’antropologia è quello di cercare di capire come avvenga questo processo e di capire quali siano gli effetti che i confini hanno sulla vita dei gruppi umani. 5 Possiamo considerare confine e frontiera come due categorie che sono potenzialmente destinate a confondersi nella concretezza delle situazioni. Da questo punto di vista il confine non è, se non raramente, una linea continua di separazione, così come spesso lo si intende; si può trattare di un confine materiale, architettonico, paesaggistico, cognitivo, linguistico, corporeo (abbigliamento, ornamento, habitus, gesti). Da una parte quindi l’idea di confine come linea appare limitativa, rispetto alla varietà delle sue possibili declinazioni. Allo stesso tempo, porre l’accento sull’idea di frontiera come zona di ibridazione, di sospensione delle regole, comporta il rischio che l’attenzione, nel corso delle analisi delle interazioni, sia sbilanciata, focalizzandosi sulle dinamiche di mutamento, ma trascurando quegli abituali elementi e operazioni che consentono il mantenimento di distinzioni. Quindi quando si distingue il confine biso5  Fabietti U., L’identità Etnica: Storia e critica di un concetto equivoco, Roma, Carocci, 2004, cit.p. 175

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gna considerare in sé, la possibilità dell’attraversamento. Ad esempio prendendo in considerazione i confini dello spazio, esso va analizzato come luogo agito, praticato e non solo strutturato (De Carteau). De Carteau sostiene che il confine si può tradurre nella figura narrativa del ponte o della frontiera, che, mentre oppone tra loro due spazi distinti, presuppone già in sé il passaggio o la sua possibilità. Mentre si traccia un confine si rende necessario il suo sconfinamento. Il confine tra i tanti modi, può essere definito come linea reale o immaginaria che segna i termini di una proprietà privata oppure di un territorio, di una regione, di uno Stato: una sorta di linea che separa ma che allo stesso tempo unisce. Infatti all’origine il confine è proprio la linea, da intendersi anche solo astratta, che separa la proprietà e i terreni coltivati. Deriva dal latino cum-finis, dove finis significa fine, conclusione quindi “con-fine” vuol dire che quella conclusione è in comune, ad esempio come poteva essere la fine di un terreno privato e l’inizio di un altro. (Pedani 2002) Oggi i confini non sono esclusivamente margini geografici o bordi territoriali; sono istituzioni sociali complesse, segnate dalla tensione tra pratiche di rafforzamento e pratiche di attraversamento. Da una parte sono strumenti registrati per gestire passaggi di persone denaro o merci, dall’altra, sono spazi in cui le trasformazioni del potere e della politica non vanno lasciate da parte. I confini continuano a mantenere la propria duplicità: connettono così come dividono. Schmitt nel 1950 sosteneva che i confini tracciati nell’Europa moderna sono progettati per organizzare uno spazio già globale: ordinamenti per la regolazione

dei rapporti tra l’Europa e chi sta fuori dall’Europa. I confini svolgono ancora una funzione di configurazione del mondo ma sono soggetti a cambiamenti e imprevedibili modelli di mobilità e sovrapposizione, apparendo e scomparendo, qualche volta cristallizzandosi nella forma di minacciosi muri che riordinano spazi politici un tempo unificati. I confini interrompono violentemente il passaggio di molti migranti. Muri, recinzioni e fili spinati sono le immagini abituali che vengono alla mente quando pensiamo ai confini, siamo, infatti, propensi a vedere i confini come muri fisici e metaforici. 6 (Mezzadra e Neilson 2014) La frontiera invece è una fascia territoriale che fronteggia il confine, racchiude in sé l’idea di ‘fronte’: al di là sta il nemico. Lo stesso vale per il francese frontière, l’inglese frontier e lo spagnolo frontera. Questo termine fece la sua prima comparsa nella penisola iberica: infatti nel primo testamento di Ramiro I di Aragona redatto nell’anno 1097 dell’Era di Spagna, corrispondente al 1059 d.C., si trova l’espressione «ad castros de fronteras de mauros que sunt pro facere», ad indicare che l’idea di frontiera nasce come entità essenzialmente politica e militare. (Pedani 2002) La frontiera è per definizione uno spazio aperto all’espansione, un “fronte” mobile in continua formazione. Quando si scrive di frontiera coloniale si fa riferimento alla distinzione qualitativa tra spazi europei e spazi extraeuropei. Inoltre si fa riferimento al fatto che nelle situazioni coloniali la realtà della 6  Mezzadra, Sandro, e Brelt Neilson. Confini e Frontiere: La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale. Bologna: Il Mulino, 2014.

confini e frontiere

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frontiera era sempre presente. E’ importante ricordare che la cartografia è stata uno strumento chiave della dominazione coloniale. Il mantenimento del confine e della distinzione tra il suo interno e l’esterno ha consentito il prendere forma di sistemi migratori e di una ordinata geografia delle migrazioni internazionali. Sebbene Saskia Sassen abbia definito questo periodo storico come “il corno d’ombra della storia d’Europa” descrivendo “masse di individui deportati, sradicati ed errabondi che vivono in terra straniera, in paesi che non riconoscono loro alcuna “appartenenza”; questo periodo viene storiograficamente rappresentato come pacifico ed idilliaco. 7Il testo però vuole dare un’immagine obiettiva odierna e quindi è essenziale ricordare come l’architettura ha cominciato a vacillare dove era più problematica la co-appartenenza di Stato e Territorio. (es. Prussia anni 1890). Prendendo in considerazione postcolonial studies di Carl Schimtt, si può affermare che l’architettura si fondava su quello che l’autore definisce un metaconfine: ovvero quello che divideva le terre europee prima, e “occidentali” dopo, dalle terre aperte alla conquista coloniale. Etienne Balibar afferma che “l’Europa è il punto da cui sono partite, sono state tracciate dappertutto nel mondo le linee di confine, perché essa è la terra natale del concetto stesso di confine” e che quindi il problema dei confini in Europa è sempre conciso con quello dell’organizzazione politica dello

7  Cit.Saskia Sassen in Mezzadra, Sandro, e Brelt Neilson. Confini e Frontiere: La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale. Bologna: Il Mulino, 2014.

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spazio mondiale.8 Ci sono due conseguenze importanti: - Si apre un campo di studio e di ricerca sulla funzione del confine all’interno del mondo coloniale - Interessante indagine sui movimenti migratori: si possono trovare parallelismi tra quest’ultimi e lo sviluppo dei movimenti anticoloniali nel corso del Novecento (per via della sfida che il “metaconfine” ha portato a questi movimenti; dall’altra parte si ha la possibilità che alcuni disjecta membra del colonialismo si riproducano all’interno di quelle che una volta erano le metropoli. (Mezzadra 2011). Questo argomento verrà sviluppato meglio nel capitolo successivo.

8  Etienne Balibar, “Europe as Borderland”, 2009 https://borderlandlevant.com/borderland/


1.3 INQUADRAMENTO IN EUROPA E TRATTATO DI SCHENGHEN

“Europa” è un concetto composto da di-

stinte spazialità che nel corso dei secoli ha preso forma grazie a governi ed organismi ma che da un punto di vista geografico non è un’unica entità. L’Europa prende spunto da idee politiche e culturali e mira ad un governo sovranazionale politico ed economico, è composta da molteplici e diversi interessi, culture, volontà ma l’aspetto più caratteristico è che è in continuo mutamento e in continua espansione. Al suo interno convivono una serie di entità diverse tra di loro per cultura, lingua, tradizioni ma che sono tenute insieme proprio da questo scopo comune; si può dire che per questo suo carattere ambivalente sia uno spazio complesso e viene da chiedersi quali siano i suoi confini. L’ambivalenza di questo spazio si nota anche analizzando gli intenti, ad esempio con il Trattato di Schengen del 1985 si cercò di creare una gestione dei confini che permettesse la libera circolazione dei cittadini membri dell’Unione Europea, ma allo stesso tempo si dovette aumentare la sorveglianza delle frontiere esterne allo spazio di Schengen. Così le frontiere passano dall’essere puntiformi all’essere diffuse. L’Agenzia Frontex dal 2005 ha il compito

di sorvegliare e gestire le frontiere esterne, azioni che ven gono compiute con operazioni militari congiunte soprattutto in mare, per limitare l’immigrazione illegale sia bloccandole in atto sia facendo da deterrente. Da un lato questa situazione di controllo delle acque internazionali è responsabile di molte delle morti di centinaia di persone che avvengono ogni anno in mare, poichè gli intensivi controlli costringono gli immigrati illegali a spostare le rotte verso altre più lunghe e spesso più pericolose. E’ per questo che negli ultimi anni affianco al controllo militare, le autorità europee hanno intrapreso la realizzazione di centri di detenzione per migranti, sia all’esterno che all’interno dello spazio europeo. Le frontiere europee quindi non sono invalicabili, ma hanno lo scopo di controllare e selezionare, fare da filtro verso ciò che è esterno. La convenzione di Schengen coinvolge alcuni Stati membri dell’Unione Europea e ha lo scopo di controllare il passaggio principalmente delle persone tra uno Stato e l’altro. Questa convenzione non riguarda il controllo doganale delle merci, poichè questo controllo è stato abolito nel 1993 tra gli Stati membri dell’UE con la caduta delle frontiere. Prende il nome da uno spazio ben definito all’interno dei confini europei, “spazio di Schengen”, al cui interno è garantito un alto livello di integrazione europea e anche la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali. Quest’area fa parte di un progetto di formazione di un’Europa che si può definire

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“senza frontiere”, per opera inizialmente di cinque stati: Francia, Belgio, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi, i quali hanno stipulato il trattato in Lussemburgo il 14 giugno 1985. Gli accordi di Schengen sono stati estesi nel tempo agli altri Stati membri: l’Italia ha firmato gli accordi nel 1990, la Spagna e il Portogallo nel 1991, la Grecia nel 1992, l’Austria nel 1995 e la Finlandia, la Svezia e la Danimarca (attraverso un adattamento dello statuto particolare) nel 1996. Regno Unito ed Irlanda pur essendo stati membri hanno deciso di non aderire all’area di Schengen, o meglio vi aderiscono solo parzialmente perchè mantengono i controlli delle persone alle frontiere, mentre invece a questa vi partecipano stati terzi: Islanda, Norvegia dal 1996, Svizzera per le frontiere di terra dal 2008 e Liechtenstein dal 2011, i quali hanno deciso di condividerne regole e decisioni. Ad oggi gli stati membri sono 26 ai quali si aggiungono il Principato di Monaco, San Marino e Vaticano, anche se gli ultimi due non hanno direttamente firmato il trattato, ne aderiscono in quanto privi di barriere doganali con l’Italia. Gli stati che aderiscono alla convenzione sono accumunati da vari obiettivi: in primis, abolire i controlli delle persone alle frontiere interne dello spazio di Schengen ma rafforzare i controlli alle frontiere esterne, essere uniti nella lotta alla criminalità organizzata quando assume rilevanza internazionale attraverso la collaborazione tra le forze di polizia, con la possibilità di intervento oltre i propri confini e con l’integrazione delle banche dati (SIS, Sistema di informazione Schengen). A causa del trattato di Schengen però, è stato necessario anche fornire delle regole che riguardassero l’immigrazione per evitare di

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compromettere le strutture ed i sistemi degli stati interessati al trattato. Nel 1990 infatti, viene aggiunta la “Convenzione di Applicazione”, in cui ci si è accordati su due punti: la creazione di una frontiera esterna unica e la regolamentazione dei visti, del diritto di asilo e del controllo alle frontiere esterne per tutti gli Stati. Parte dell’accordo del trattato riguarda la possibilità di ogni stato di sospenderlo per un limitato periodo di tempo e per motivi specifici; solitamente accade quando uno stato ha la necessità di rafforzare le misure di sicurezza in caso di importanti eventi, ad esempio la Francia lo ha sospeso nel 2005 in seguito agli attentati di Londra, l’Italia nel 2001 e nel 2009 durante il G8 di Genova e quello dell’Aquila, L’Austria nel 2008 e la Polonia nel 2012 durante i Campionati Europei di calcio.


fig. 2 schema trattato di shenghen

confini e frontiere

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1.4 INQUADRAMENTO NEL MONDO E IL CONCETTO DI TRASNAZIONALE

Il libro “Le linee d’ombra” (Ghosh; 1988) evoca quello che Gregory (1994) definisce ansia cartografica: da una parte il senso che le mappe siano dispositivi per creare conoscenza e intrappolare i soggetti nelle loro griglie, dall’altra la consapevolezza che si tratta di rappresentazioni con incerta capacità di riflettere i processi storici, politici e geografici. Si ha un deficit di rappresentazione che complica gli sforzi di mappare i radicali rivolgimenti spaziali che si situano al centro della globalizzazione capitalistica. L’utilizzo dell’espressione fabrica mundi 9 segnala la consapevolezza del cartografo del fatto che rappresentare il mondo su una mappa significa anche produrlo. La cartografia diviene importante anche nelle pratiche artistiche, ad esempio si ricorda l’opera intitolata world map10, dell’artista austriaca Anna Artaker, ridisegna una mappa del mondo originariamente pubblicata a Siena nel 1600. Usa una moneta d’argento per imprimere e tracciare sulla mappa le rotte marittime su cui l’argento viaggiava. La mappa getta luce sulla logistica sottesa all’astratto potere del denaro. Al centro della moderna cartografia c’è l’appropriazione dello spazio. In tutti questi 9  Mezzadra, Sandro, e Brelt Neilson. Confini e Frontiere: La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale. Bologna: Il Mulino, 2014 10  (http://issuu.com/hkwberlin/docs/guide_the_potosi_principle/11)

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gesti di appropriazione spaziale il tracciamento di linee di confine gioca un ruolo cruciale: non c’è proprietà privata senza recinzione. Il termine “transnazionale” ha attratto l’attenzione di quegli studiosi che ritenevano concetti come internazionale, globalizzazione e cosmopolitismo, troppo rigidi per definire la complessità del mondo contemporaneo. Transnazionalismo indica da un lato quelle relazioni trans-frontaliere sviluppate da comunità localizzate che viaggiano e si connettono ad altre comunità, dall’altro le modalità attraverso cui tali reti collegano geograficamente luoghi distinti. La migrazione accresce i legami trans-frontalieri. Il termine “transbordering”: viene usato per riferirsi alle “specificità culturali dei processi globali”. Diversamente da “transnazionale” (radice nello stato-nazione) e “translocale” (radice nel locale) che non colgono i molteplici confini che migranti e altre persone attraversano. Ad esempio, i migranti messicani attraversano frontiere che sono etniche, di classe, culturali, coloniali e statali. Passare attraverso le frontiere nazionali è solo un tipo di attraversamento. Dal concetto di transazionale e globale, si introduce nel prossimo capitolo il tema dell’immigrazione illegale, attraversamento di frontiera e città di frontiera.


fig. 3 frontiera tra Israele e Egitto

fig. 4 frontiera tra Ungheria e Serbia

fig. 5 frontiera tra Spagna e Marocco

fig. 6 frontiera tra Messico e California

fig. 7 frontiera tra Israele e Palestina

confini e frontiere

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2 FRONTIERE E IMMIGRAZIONE

“Mi piacciono le frontiere, Senza fuoco, senza fiamme, senza fumo e senza apparecchiature: Io mi accontenterei di fior di vilucchi Attorno alle dogane e alle loro piantagioni.”

Jean Cayrol, Citato da Michel Foucher in Fronts et frontières, Fayard, Parigi, 1991

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2.1 FLUSSI MIGRATORI E FRONTIERE

Sandro Mezzadra e Breit Nelson nel loro libro: “Confini e frontiere: La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale” pongono l’attenzione su un aspetto delle frontiere non ancora sviluppato, ossia quello del rapporto che le frontiere hanno attualmente con i flussi migratori. Il mondo racconta storie sulla creazione di linee di demarcazione tra pubblico e privato, tra il dentro e il fuori. Si parla del potere produttivo del confine, ovvero del ruolo strategico che esso gioca nella fabbricazione del mondo. Il confine si è inscritto al centro dell’esperienza contemporanea. Non siamo soltanto di fronte ad una moltiplicazione dei diversi tipi di confine, ma anche al riemergere di una profonda eterogeneità del campo semantico del confine. Il confine non va necessariamente interpretato come un muro. La formula di indagine utilizzata dal libro è quella del “confine come metodo”. Ciò conduce a focalizzare l’attenzione non solo sui tradizionali confini internazionali, ma anche su altre linee di demarcazione sociale, culturale, politica ed economica. L’interesse è rivolto alle trasformazioni dei confini e dei regimi migratori in un mondo in cui i confini nazionali non sono più gli unici o necessariamente i più rilevanti nel dividere e restringere la mobilità del lavoro. Una delle tesi centrali degli autori è che i confini, lungi dal servire semplicemente per bloccare/ostacolare i flussi globali, sono diventati dispositivi essenziali per la loro articolazione. Nel fare ciò i confini hanno proliferato e sono stati sottoposti a

profonde trasformazioni. L’immagine tradizionale dei confini è ancora inscritta nelle mappe su cui territori sovrani sono separati da linee e marcati da colori diversi. Questa immagine è stata prodotta dalla storia moderna dello stato e dobbiamo essere consapevoli della sua complessità. Oggi i confini non sono esclusivamente margini geografici o bordi territoriali; sono istituzioni sociali complesse, segnate dalla tensione tra pratiche di rafforzamento e pratiche di attraversamento. Da una parte sono strumenti registrati per gestire passaggi di persone denaro o cose. Dall’altra, sono spazi in cui le trasformazioni del potere e della politica non vanno lasciate da parte. I confini hanno sempre due lati: connettono così come dividono. Schmitt sosteneva che i confini tracciati nell’Europa moderna sono progettati per organizzare uno spazio già globale. Ordinamenti per la regolazione dei rapporti tra l’Europa ed i suoi fuori. (Mezzadra e Neilson, 2014) Oggi i confini svolgono ancora una funzione di configurazione del mondo ma sono soggetti a cambiamenti e imprevedibili modelli di mobilità e sovrapposizione, apparendo e scomparendo, qualche volta cristallizzandosi nella forma di minacciosi muri che riordinano spazi politici un tempo unificati. I confini interrompono violentemente il passaggio di molti migranti. Muri, recinzioni e fili spinati sono le immagini abituali che vengono alla mente quando si pensa ai confini, si è, infatti, propensi a ve-

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dere i confini come muri fisici e metaforici. Immagine largamente trasmessa del muro come dispositivo che serve innanzitutto ad escludere risulta fuorviante. Isolare una singola funzione del confine non ci permette di cogliere la flessibilità di questa istituzione. (Mezzadra e Neilson, 2014) Architetti e urbanisti hanno studiato uno dei muri fisicamente più spaventosi che il mondo conosca - quello che corre lungo i territori palestinesi occupati in Israele - hanno illustrato come esso produca una geografia elusiva e mobile, continuamente rimodellata dalle strategie militari israeliane. Il muro funziona come “una membrana che lascia passare alcuni flussi e ne blocca altri”, trasformando l’intero territorio palestinese in una “zona di frontiera” (Petti 2007) Se oggi la costruzione degli studi d’area caratteristica della guerra fredda è entrata in crisi, non è tanto a causa della cancellazione o del superamento dei confini, quanto invece della loro proliferazione. Per comprenderlo è necessario riconoscere come lo schema continentalità degli studi d’area abbia intersecato lo schema tricontinentalista dei tre mondi: Primo, Secondo e Terzo. (Mezzadra e Neilson, 2014) Bisogna considerare che anche le tradizioni che hanno provato a pensare il mondo come uno - le teorie del sistema-mondo - hanno concepito una tipologia di centro, periferia e semi-periferia che ha echeggiato lo schema tricontinentalista. Il concetto di deriva dei continenti è stato impiegato da molti studiosi e scrittori riguardo ai confini e alla globalizzazione. C’è, infatti, un’accezione per cui i blocchi continentali stanno cominciando a funzionare come apparati governamentali su una scala superiore a quella Stato-nazione: assemblaggi provvisori di mercati e stati.

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Questi aspetti talvolta configgenti delle regioni globali spesso si intersecano nel loro approccio con il controllo dei confini e la gestione delle migrazioni. Ecco dunque misure governamentali come l’introduzione dell’accordo di Schengen dell’Unione Europea o l’istituzione dell’agenzia Frontex (che coordina gli sforzi nel controllo dei confini da parte degli stati membri della UE) articolarsi in modo non uniforme e talora difficoltoso con i punti di vista di civiltà o le nuove forme del “razzismo senza razze” (Balibar; 1988) che duplicano e rafforzano itentativo di controllo delle migrazioni. Gli accordi regionali possono anche intensificare la sorveglianza dei confini all’interno dei blocchi economici, come accade al confine tra Messico e Stati Uniti o nei tentativi di stabilire quadri regionali di controllo nell’America centrale. Il punto è che la formazione contemporanea dei blocchi continentali non può essere compreso isolandolo dai movimenti migratori, della mobilità del lavoro, delle lotte di confine che sono centrali nell’approccio del confine come metodo. Comprendere migrazioni, confine e lotte sul lavoro come produttori di “alternative alla soggettività del blocco” non implica una romanticizzazione della migrazione. Significa lavorare attraverso le ambivalenze che caratterizzano le pratiche di mobilità: le forme di dominio, spossessamento e sfruttamento, forgiate al loro interno, così come i desideri di libertà e di uguaglianza che esprimono. Il migrante proveniente da un nuovo stato membro dell’unione europea come la Romania e che lavora senza permesso in Italia si trova a dover fare i conti con un insieme di problemi differenti rispetto a un lavoratore “clandestino” arrivato nello stesso paese dal Nord-Africa. Eppure sono tutti soggetti


Almeria Ceuta

Maghnia

Rabah Alger Las Palmas

Nouadhibou Nouakchott

Dakar

Conakri

Kidal Gao

Ouagadougou

flussi migratori espulsione | rimpatriamento tappa migratoria

fig. 8 schema flussi immigratori nord Africa

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la cui mobilità incarna desideri, comportamenti e forme di vita che riscrivono i caratteri normativi dell’appartenenza nazionale e continentale. Consideriamo l’esempio del Giappone, descritto da Borderline Japan (Morris-Suzuki), il destino di Coreani e Taiwanesi, che vengono rinchiusi nel campo di detenzione Omura, è molto diverso da quello dei migranti statunitensi. (Mezzadra e Neilson, 2014) Il confine come metodo dà vita ad un regionalismo critico che considera i tentativi di controllare la mobilità dei migranti come essenziali per il funzionamento del capitalismo, e le politiche di controllo dei confini come parte di una linea che persegue questo fine. le migrazioni di massa trasformeranno il mondo attuale in un sistema di flussi e interattività, in cui le differenze tra le nazioni spariranno” (Canclini, 1999). Canclini suggerisce che i confini sono luoghi salienti per comprendere il funzionamento della globalizzazione e che lo Stato-nazione è, in questo processo, l’unità primaria di trasformazione. I processi di “denazionalizzazione” (Sassen, 2006) sono iniziati all’interno dello Stato-nazione; il punto non è che lo Stato-nazione sia sparito, piuttosto, è stato alterato e costretto a coesistere con una varietà di trasformazioni spaziali rendendo i confini che lo attraversano cruciali. Infatti, una delle caratteristiche chiave della globalizzazione è nel continuo rimodernamento delle differenti scale geografiche, la cui stabilità non può più essere data per scontata. Categorie rigide come Occidente-Oriente, reliquia delle costruzioni spaziali eurocentriche, o Nord-Sud non sono più in grado di interpretare i processi globali complessi e frammentati. I paesi poveri, come quelli ricchi, sono diversificati

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non solo gli uni dagli altri, ma anche al proprio interno. Nelle aree metropolitane marginalizzate delle nazioni ricche spesso esistono condizioni da “Terzo mondo”. Allo stesso tempo, negli ex paesi del Terzo mondo quelle aree e settor I paesi poveri, come quelli ricchi, sono diversificati non solo gli uni dagli altri, ma anche al proprio interno. Nelle aree metropolitane marginalizzate delle nazioni ricche spesso esistono condizioni da “Terzo mondo”. Allo stesso tempo, negli ex paesi del Terzo mondo quelle aree e settori che si sono integrati nelle reti globali tendono ad esistere accanto ad aree e settori che fanno esperienza di deprivazione e spossamento. Diventa possibile ipotizzare una costituzione ibrida dello spazio economico e sociale globale.i che si sono integrati nelle reti globali tendono ad esistere accanto ad aree e settori che fanno esperienza di deprivazione e spossamento. Diventa possibile ipotizzare una costituzione ibrida dello spazio economico e sociale globale. (Mezzadra e Neilson, 2014)


2.2 STORIE DI ILLEGALITÀ

Le pratiche di detenzione e le lotte contro di esse hanno acquisito una grande rilevanza nel quadro dei processi di illegalizzazione. La temporalità della migrazione è segnata dall’emergere di varie zone ed esperienze di attesa, blocco e interruzione, che assumono molteplici forme istituzionali, tra cui quelle dei campi e delle tecniche di deportazione ed espulsione. Da quando esistono i passaporti ci sono soggetti che trasgrediscono questi sistemi. La figura del migrante “illegale”, tuttavia, emerge sulla scena mondiale sulla scia di tumultuose trasformazioni del capitalismo a partire dagli anni ’70. Se i confini si sono spostati al centro delle nostre vite politiche, nello stesso tempo la figura del migrante “illegale” è diventata il motore di continue innovazioni nel controllo dei confini e delle migrazioni. Dovunque lo spettacolo del rafforzamento dei confini si accompagni a processi di filtraggio che catturano i soggetti migranti è possibile osservare meccanismi inclusivi di sfruttamento e assoggettamento. Il migrante “illegale” diventa anche un soggetto deportabile. Il migrante deportabile finisce per essere intrappolato in una rete di dispositivi che comprendono vari attori sociali e istituzioni. Ma la deportazione non implica necessariamente il rimpatrio. Creare “zone cuscinetto” e spazi di “sicurizzazione graduata” facilita la gestione della deportazione attraverso molteplici confini. I luoghi di detenzione sono diventati oggetti di ansia politica ed esame critico, per quanto riguarda i campi per

migranti “illegali”, l’approfondimento più importante offerto da Agamben riguarda il modo in cui il campo imprigiona i sui abitanti in un ordine giuridico al fine di escluderli da quello stesso ordine. Processo di esclusione attraverso l’inclusione. Le lotte dei migranti, dentro e fuori le strutture di detenzione, occupano una posizione fondamentale in queste mutevoli condizioni. Queste lotte,11 mostrano come il campo non sia affatto un’istituzione fissa che priva i migranti della capacità di ribellarsi.12(Mezzadra e Neilson 2014) L’approccio transnazionale di questi fenomeni sembra mettere in luce le evoluzioni delle società odierne, prendendo in considerazione le differenti strategie dei migranti e l’impatto del loro passaggio e del loro insediamento nelle città europee, oltre che al loro rapporto e apporto alle istituzioni. Questo approccio, associato specificatamente alla circolazione degli uomini e delle donne, permette di comprendere me-

11  Ad esempio alcuni fatti di cronaca dove guerriglie urbane si sono scatenate tra migranti, cittadini, polizia es. Rosarno, Lampedusa 2011 12  Mezzadra e Neilson attraverso il loro libro, “La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale”, analizzano il ruolo del migrante nei processi economici e lavorativi, come si muta la figura del migrante con I migranti hanno assunto un ruolo che si può definire di “supplemento”. Erano necessari per rifornire i mercati del lavoro nazionali, ma allostesso tempo erano visti come minacciosi estranei.

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glio l’emergenza di questi nuovi processi migratori. Le questioni relative ai migranti tengono conto del luogo destinato all’ “altro” nelle città oltre alle reti sociali, quelle locali, nazionali e internazionali e che sono costituite da gruppi etnici o misti. Gli africani sub-sahariani attraversano illegalmente le frontiere e negoziano per il loro posto nelle città e per le procedure d’insediamento. Questi movimenti tipici migratori marocchini e senegalesi sono divenuti diffusi anche per le donne, per iscriversi a loro volta in un processo di autonomia e individualità. Emergono nuovi modelli famigliari dentro i quali le frontiere che separano i ruoli femminili da quelli maschili non sono più così netti. I gitani catalani che attraversano i confini e sono gli “eterni stranieri” preservano la loro comunità delle unioni matrimoniali originali su più generazioni. I fenomeni di mobilità, sono notoriamente legati a quelli nuovi di circolazione migratorie, ma anche a quelle nuove modalità di circolazione delle ricchezze. (A. Tarrius, 1993, 2007). Questi movimenti mettono in evidenza dentro il quadro della globalizzazione, l’importanza di legami di interdipendenza che esistono tra il legale e l’illegale, tra il formale e l’informale, tra il qui e l’altrove, tra l’identità e l’alterità o il locale e il globale. Queste interdipendenze si trovano costantemente negoziate e adattate alle frontiere geografiche o sociali che bisogna attraversare. Tutte queste strategie migratorie ridefiniscono i nostri quadri sociali, le identità e le figure dello straniero. La trasmigrazione mette al centro delle nostre riflessioni, reti di popolazioni spesso considerate al margine. Le figure dello straniero, che siano trasmigranti in circolazione o integrati e insediati, danno luogo a nuove definizioni

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identitarie che fanno emergere nuove figure complesse, che siano nelle città, nelle famiglie o dentro gli stati democratici. 13 Da quando l’Unione Europea ha iniziato a fermare i migranti stranieri, questi ultimi migranti migrano per tappe, modificando regolarmente il loro progetto migratorio e costruiscono la loro traiettoria socio spaziale tra irregolarità e regolarità. Per entrare in Europa, essi si basano su reti sociali che attraversano o attivano. Ma cosa succede una volta passata la frontiera? Una parte dell’aiuto per accedere è supportata dalla loro rete composta dalle loro famiglie, amici o famigliari transazionali (Qacha 2010). Questo è il modo in cui si muovono, rimangono per trovare lavoro o sono supportati economicamente per ciò che hanno bisogno. Dall’altro lato al contrario sono rapidamente sollecitati di cavarsela da soli, e il loro aiuto è limitato nel tempo, essenzialmente hanno solo un posto dove essere ospitati per pochi giorni. Perché non hanno nessuno da cui essere ospitati o che li sostenga, e non hanno il capitale sociale che consenta loro di trovare lavoro e carte necessarie, i migranti in queste condizioni sono quelli che vengono chiamati “corpo (autorità/potere) zero” Instance zero.14 Questa situazione si caratterizza come un tempo più o meno lungo di ripetizione di situazioni elementari di sopravvivenza che 13  Carnet Pauline, Alioua Mehdi, Qacha Fatima, Coulibaly Tandian Oumoul Khaïry, Majdoubi Fatiha, Missaoui Hasnia-Sonia, Arab Chadia, Missaoui Hasnia Sonia, « Circulation migratoire des transmigrants », Multitudes 2/2012 (n° 49) , p. 7688 www.cairn.info/revue-multitudes-2012-2-page-76.htm. 14  ibidem


fig. 8 Accampamenti temporanei a Calais

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autorizzano lo sfruttamento massimo del migrante. È il tempo di cercare i mezzi di evitare questa situazione o d’uscirne. L’assenza di documenti non impedisce il processo di uscita, ma, fin tanto che la regolarizzazione non è stata approvata, il rischio è di tornare alla condizione di “instance zero”. La questione è quindi di sapere quali sono i mezzi di trovare un alloggio, un lavoro e i documenti nell’assenza di risorse personali. L’andalusa Almeria, alla frontiera sud spagnola, è un luogo particolarmente pertinente per osservare le pratiche dei migranti africani nell’”instance zero”, spazio di transito, luogo d’insediamento, ma anche tappa per “avere i documenti”. Questa zona ha per reputazione di essere la più tranquilla, libera dai controlli delle autorità, e di offrire un accesso più facile, per altri luoghi della Spagna o dell’Europa, per il lavoro e per la regolarizzazione. (Martín, Castaño, Rodríguez 1999 ; Martin Diaz 2003). Dentro lo spazio delle circolazioni africane, si tratta di un vero e proprio polo che immette i migranti alla ricerca del lavoro e dei documenti. Una parte di quelli che entrano arrivano dal sud, direttamente dallo stretto di Gibilterra o dopo un passaggio per “i centri d’internamento per stranieri” delle Isole Canarie e della Penisola. Altri migranti arrivano dall’altra parte di Europa dove non sono riusciti nei loro tentativi di regolarizzazione per il lavoro o del matrimonio. Tutti sono orientati verso questa regione, dalla famiglia o amici da cui sono accolti o dalle reti che fanno circolare le informazioni relative alla reputazione di Almeria. La mobilità è sempre legata alle possibilità di regolarizzazione offerte dai differenti paesi o settori economici e i migranti controllano e gestiscono il loro errare in base a queste

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informazioni. Almeria è per loro solo una tappa e i migranti conoscono la consistenza della frontiera europea. Hanno superato delle vere e proprie prove di passaggio e di attraversamento e pensano di accedere a uno spazio di opportunità. Ma una volta passato, si sono fermati dal loro emigrare e costretti a creare da soli le condizioni del loro passaggio. Ritenuti instance zero, non sono più alla ricerca di un passaggio classico che aiuti loro a passare la frontiere geografiche, ma sono co-costruttori di un modo che gli possa permettere di costruire un universo di possibilità di attraversare le frontiere sociali. L’instance zero si presenta come un vero principio organizzatore di mobilità dentro questo errare controllato. È un altro spazio-tempo, uno di quelle eterotopie “che hanno l’aria di pure e semplici aperture, ma in cui, generalmente, si nascondo altre uscite. Tutti possono entrare dentro questi spazi eterotopici, ma veramente, non è che un’illusione: si crede di penetrare all’interno di un sistema, e così facendo si entra da esclusi. Il sogno con un solo bagaglio, di dozzine di migliaia di migranti che percorrono l’Africa per tappe, si dirigono anche verso l’Europa, attraversano il Sahara e passano per i paesi del Maghreb dove si insediano generalmente per un tempo più lungo delle tappe precedenti (Alioua, 2005). Fuggono dalla miseria, dalla guerra e dalla disoccupazione, o si sentono semplicemente ai margini di una società in cui non riescono a trovare il loro posto. Loro partono “alla ricerca della loro vita”. Migliaia di chilometri alla ricerca di soluzioni per i loro progetti personali, oltrepassando le legislazioni dei paesi attraversati e ri-aggiustando continuamente il loro itinerario migratorio. Questo fenomeno migratorio è costituito da numerose


tappe dove questi migranti si rincontrato lo stesso senza volerlo. Si devono adattare ad un modo di vivere semi-nomade per scappare ai controlli, e alle repressioni. È per imitazione e necessita che si muovono poco a poco, nella mobilità e nell’urgenza di trasmigrare. Hanno seguito traiettorie migratorie già “disegnate”, con tappe prestabilite già seguite e approvate da migranti precedenti. Questa “avventura” è un momento transitorio verso l’Europa e per certi verso il Maghreb, ma sufficientemente lungo per avere degli effetti su di loro e sulle popolazioni che li vedono passare o insediarsi. In effetti, la maggior parte dei migranti subsahariani finiscono per arrivare in Europa, altri si stabilizzano in alcune tappe africane, abbandonando così la meta finale, altri ancora ritornano a casa loro, oppure, più drammaticamente, sono espulsi o muoiono. Ma tutti i giorni, nuove persone li rimpiazzano e riprendono a poco a poco le stesse rotte, scandite dalle stesse tappe, con le stesse strategie, prolungando questo fenomeno di trasmigrazione. Questi migranti subsahariani costruiscono anche una sorta di continuità territoriale, grazie alle reti che elaborano, e trasmettono le loro proprie esperienze per indicare agli altri come fare. Si suppone che i segni basilari delle tappe siano riconoscibili per tutti, come a dire che una coscienza collettiva approccia socialmente tutti questi individui e gli permettono di interpretare le rotte che elaborano.

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3 CEUTA TRA EUROPA E AFRICA UN CASO STUDIO EMBLEMATICO

“Ceuta punta proprio sull’immagine di Europa – che si trova, però, dalla parte sbagliata dello Stretto di Gibilterra – ma miseramente si contraddice a poche centinaia di metri dal posto di controllo, dove si trova il polígono industrial, un nome che cela un inganno. Dietro alle mura che separano dalla vista dei troppo curiosi non c’è alcunché di industriale e non c’è alcuna fabbrica. Al contrario, è possibile acquistare di tutto! Decine di negozi di grande cubatura contengono davvero ogni bendidio, tutte le merci europee che si possono trovare in un grande emporio di Parigi, Londra o Atene. Stranamente non si trova neanche un europeo dalla pelle chiara, ma tantissimi marocchini che acquistano merci arrivate dall’Europa e che in Marocco hanno prezzi proibitivi. Gente che fa acquisti per la famiglia, gente che fa il carico per ritornare in Spagna piena di roba da vendere, oppure i porteadores che camminano lungo il filo di recinzione, il muro d’elettricità, e aspettano nel punto più basso qualche parente per lanciargli un borsone pieno di merce.” (Costantino 2010)

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INTRODUZIONE

Ceuta, come anche Melilla, è una città spagnola che si trova sulla costa settentrionale del continente africano. Queste due città autonome sono contraddistinte dalla loro posizione geografica. Spesso ci si riferisce erroneamente alla città come a un’enclave, cioè a un “territorio non molto esteso che sia completamente circondato da territorio appartenente a uno stato diverso da quello che ha la sovranità su di esso”1. Tecnicamente, però, sarebbe più giusto utilizzare il termine “enclave marittimo”, poiché Ceuta si affaccia sul mare ed esercita la propria sovranità sulle acque territoriali, oppure “exclave”, cioè una parte del territorio di uno Stato sovrano che giace all’esterno dei confini nazionali (visto quindi dal punto di vista dello Stato sovrano). 2(Busato 2014)

1  Treccani, s.v. “enclave” (http://www. treccani.it/vocabolario/enclave/) 2  Giorgia Busato: “Ceuta e Melilla. La questione irrisolta tra Spagna e Marocco.” Tesi di Laurea magistrale in Relazioni Internazionali Comparate – Interntional Relations. Università Ca Foscari, Venezia, AA 2013 / 2014.

Ceuta tra Europa e Africa

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fig. 10 Cartografia storica di Ceuta 1846



3.1 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO E POLITICO

Ceuta è una città spagnola autonoma in territorio africano, separata dalla Penisola Iberica da una distanza di 20 km attraverso lo Stretto di Gibilterra. Lungo il lato Est confina con il Marocco, con la regione di Tangeri-Tétouan, invece lungo il lato Ovest è bagnata dal mar Mediterraneo, definendo così la propria posizione privilegiata perchè punto di raccordo con l’Oceano Atlantico. La città ha una superficie di 18,5 km2 e comprende nella parte orientale una piccola penisola chiamata Almina costituita da un promontorio, sulla quale si trova il monte Hacho, una delle due Colonne di Ercole. A Nord di questa penisola si trova l’isola di Santa Catalina, di proprietà di Ceuta. Un istmo collega il promontorio al resto della città: qui si concentra la maggior parte della popolazione, stimata a circa 84 000 abitanti. Il nome della città deriva dalle sette colline presenti sul territorio: Septem Fratres – Septem Ceuta. La sua costa presenta due baie: una a nord verso la Penisola iberica, che ospita il porto della città e dove si trova anche la città vecchia, e una a sud verso il Marocco. Ceuta è stata annessa nella provincia di Cadice fino al 1995, anno in cui è diventata Città Autonoma dello stato spagnolo, grazie allo Statuto di Autonomia.

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fig. 11 Orografia Campo Exterior Ceuta

Ceuta tra Europa e Africa

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3.2 STORIA DELLA CITTA’

I primi cenni storici riguardanti la storia della città risalgono ai tempi dei greci con il mito delle colonne d’Ercole. Infatti secondo la mitologia, Ercole in una delle sue dodici fatiche, dovette navigare verso il lontano occidente per raggiungere l’isola di Eriteia e catturare i buoi di Gerione, gigante con tre teste, tre busti, e due gambe. Per raggiungere l’isola, Ercole, passò per lo stretto di Gibilterra, dove divise le due rocche che separavano l’Africa dall’Europa dando vita a due promontori: uno a nord dello stretto (Kalpe o Calpe) e uno a sud (Abyla o Abila), le cosiddette “colonne d’Ercole”. Le due colonne indicavano al tempo il limite del mondo conosciuto dai Greci, l’ultima frontiera per i navigatori del Mediterraneo. Non era possibile spingersi oltre tali colonne (non plus ultra, “non più avanti”), poiché lì iniziava il mondo sconosciuto, caratterizzato da pericoli che avrebbero colpito chiunque avesse osato attraversarle. A oggi la colonna settentrionale si identifica sicuramente con la Rocca di Gibilterra, mentre per quanto riguarda l’identità della colonna meridionale (Abyla) vi è una disputa tra il monte Hacho (a Ceuta) e il monte Musa in Marocco. (Busato 2014) Le origini di Ceuta sono molto antiche, ma non ben definite a causa della mancanza di dati concreti nei testi storici. I Fenici conquistarono i territori del Nordafrica tra la fine del VIII secolo e la prima metà del VII a.C. e durante questo periodo la città venne chiamata Hepta Adelphoi,

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letteralmente “Sette Fratelli”: i sette fratelli da cui prende nome si identificano con le sette punte del monte Abyla, come scrive lo storico greco Strabone nel trattato Geografia.15 A partire da questo momento Ceuta iniziò a diventare un importante polo commerciale. Nel 319 a.C. la città venne conquistata dai Cartaginesi, i quali le cambiarono il nome in Abyla, costruirono un porticciolo e riuscirono a mantenera sotto il proprio dominio fino al 201 a.C., quando venne loro sottratta dal regno di Numidia. Nel 47 a.C. passò ai berberi del regno di Mauretania e nel 40 d.C., con l’assassinio del re Tolomeo, venne annessa all’Impero Romano di Caligola. Con l’imperatore Claudio, Septem ebbe tutti i diritti e i doveri della legislazione romana, diventado così una vera e propria colonia, assumendone anche la religione cristiana. A questo punto divenne un importante centro del commercio marittimo per l’impero Romano, soprattutto per l’esportazione di sale. Nel V secolo i Vandali della Betica guidati da Genserico se ne appropriarono, insieme a tutta la Mauretania, una delle due province istituite dall’imperatore Claudio. Nel 533 i Visigoti attraversano lo Stretto di Gibilterra e ottennero Septem finchè pochi anni dopo venne riconquistata dall’Impero Bizantino con Belisario. Nel 711 venne combattuta una battaglia 15  STRABONE, Geography, XVII, 3, 6 (http:// penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/ Strabo/17C*.html)


fig. 12 El Serrallo, El principe

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che decretò la fine definitiva del regno del Visigoti e la vittoria dell’esercito musulmano, infatti Ceuta venne riconosciuta come la città dalla quale iniziò l’invasione musulmana. Nel 740 i Berberi cristiani che vivevano qui si ribellarono contro gli Arabi e Septa fu distrutta e rimasta in rovina fino al IX secolo; nonostante la ribellione gli Arabi concessero una parte di territorio ai rifugiati berberi cristiani, dove venne fondata Romula. Nel 931 il Califfato di Cordova, sotto la dinstia degli Omayyadi, iniziò a controllare Ceuta, insieme a Melilla e Tangeri. La guerra civile del 1009, portò alla disintegrazione del Califfato di Cordova e alla nascita delle taifas (regni indipendenti) di Almería, Murcia, Alpuente, Arcos, Badajoz, Carmona, Denia, Granada, Huelva, Morón, Silves, Toledo, Tortosa, Valencia e Saragozza. Septa passò inizialmente alla taifa di Malaga, la quale a sua volta, fu conquistata nel 1057 dalla taifa di Granada; tra il 1061 e il 1084 Ceuta visse un periodo di indipendenza con la prima taifa di Ceuta dopo la separazione dalla taifa di Malaga. Suqut al-Bargawati e Rizq Allah governarono fino al 1061, quando Suqut uccise il suo compagno e si proclamò re indipendente del territorio di Ceuta e dintorni, rimanendo in carica fino alla sua morte nel 1079. Con Suqut Ceuta diventò un’importante città commerciale con una vita culturale molto ricca. Nel frattempo, gli Almoravidi iniziavano a costituire un pericolo per la taifa di Ceuta. Yusuf ibn Tashfin, considerato il primo sovrano degli Almoravidi, tra il 1063 e il 1082 unificò il Marocco, nel 1070 fondò Marrakech e unificò l’Algeria occidentale, formando il regno degli Almoravidi. Nel 1079 gli Almoravidi e Suqut vennero alle armi nella

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battaglia di Tangeri, dove Suqut perse la vita. Il figlio di Suqut, Al-Hayib al-’Izz bin Suqut, riuscì a scappare e a rifuggiarsi a Ceuta, che governò fino al 1084, anno in cui la città fu conquistata dagli Almoravidi con l’appoggio della taifa di Siviglia. Fino al 1212 dominarono la Penisola Iberica finchè nella battaglia di Las Navas de Tolosa persero contro un esercito di ispanici cristiani, segnando una svolta fondamentale e il culmine dell’intero processo di Reconquista, periodo di 750 anni in cui i Cristiani cercarono di scacciare i Mori dalla penisola Iberica. Nel 1232 Ceuta passò a far parte della taifa di Murcia, ma nel 1233 fu creata la seconda taifa di Ceuta, che durò fino al 1236, quando fu invasa nuovamente dagli Almohadi. Nel 1249 Ceuta riuscì a rendersi nuovamente indipendente istituendo la terza taifa di Ceuta. L’indipendenza della città durò quasi sessant’anni: nel 1305 essa passò al regno di Granada, ultimo territorio musulmano a essere conquistato nel 1492 dai Cattolici determinando la fine della riconquista. Ceuta diventò nel corso dei secoli una città molto fiorente, grazie soprattutto all’ottima posizione geografica e iniziò ad essere oggetto di interesse anche da parte del portogallo, che nel frattempo ottenne l’indipendenza nel 1143 ed iniziò un periodo di esplorazione con fine di espansione. In particolare fu notata dal re Giovanni I, anche perché Ceuta era il punto di partenza dei pirati berberi che saccheggiavano le coste del Portogallo. Il re quindi decise di conquistare la città e accompagnato dai figli Edoardo, Enrico e Pietro di notte varcano lo Stretto di Gibilterra. Dopo una battaglia con i Mori, i Portoghesi arrivano alle porte e in un solo giorno se ne appropriano, segnando l’inizio della dominazione Porto-


ghese (1415), i quali si occuparono sia di ampliare la crescita economica e commerciale, sia di “purificare” la città dall’islam. (Busato 2014) Nel 1479 con il trattato di Alcáçovas, concluso tra i rappresentanti dei re cattolici Isabella I di Castiglia e Ferdinando II di Aragona e il re Alfonso V di Portogallo e l’infante Giovanni, la città fu riconosciuta come portoghese e rimase come tale fino al 1580. A partire da questo anno avvenne un’unione dinastica con il regno di Castiglia e Aragona, l’Unione Iberica, che durò fino al 1640 e durante la quale l’Impero Spagnolo si espanse maggiormente. Quando nel 1640 il Portogallo si dichiarò indipendente, Ceuta in contrasto con il proprio governatore filo-portoghese, decise di rimanere fedela alla corona spagnola tanto da attribuirle il titolo di “Noble Y Leal” e anche di “Fidelìsima”. Dal 1668 passò ufficialmente alla Spagna con il Trattato di Lisbona e rimane ancora come tale; nel trattato venne riconosciuta la sovranità spagnola, vennero aumentate le fortificazioni e il Monte Haco fu trasformato in fortezza con la presenza di cinque bastioni. Nel 1694 Ceuta attirò l’attenzione di Mulay Ismail, sovrano della dinastia alawide, che governava il Marocco, e ne ordinò la conquista, durante la quale rimase sotto assedio per trent’anni finchè nel 1695 l’esercito marocchino riuscì ad entrare nella città e ad appropriarsene. L’assedio marocchino durò fino al 1724, anche se fu intervallato da anni di governo spagnolo sotto i quali Ceuta si liberò della lingua e della moneta portoghesi. Un esercito spagnolo stabilitosi a Ceuta respinse vari attacchi avvenuti nel corso del secolo da parte dei Musulmani, che provarono varie volte a ristabilire l’assedio. A questo

punto della sua storia Ceuta ha subito molti attacchi e distruzioni ed è necessaria la ricostruzione di molti edifici. Il periodo tra il 1833 e il 1840 fu caratterizzato dalla Prima Guerra Carlista, una guerra civile per la successione al trono che colpì il paese nel XIX secolo. Questa guerra di successione ebbe come causa l’introduzione della Legge salica come deroga al Regolamento di successione (Reglamento de sucesión) del 1713, enunciata dal re Ferdinando VII nella Prammatica Sanzione del 1830, la quale ristabiliva il sistema di successione tradizionale secondo il quale, in assenza di fratelli maschi, una donna poteva regnare. La Prima Guerra carlista vedeva schierati da una parte i sostenitori dell’infante Carlo Maria Isidoro di Borbone-Spagna e del regime monarchico assolutista (i Carlisti) e dall’altra i sostenitori della regina Maria Cristina di Borbone-Due Sicilie e di un regime liberale (gli Isabellini). Gli scontri iniziarono dopo la morte di Ferdinando VII, avvenuta il 29 settembre 1833, e colpirono l’intera Spagna dalla parte più settentrionale a quella più meridionale, fino ad arrivare ai possedimenti nelle coste nordafricane di Ceuta e Melilla. La Prima Guerra Carlista confermò Isabella II sul trono, la quale abdicò nel 1870 in favore del figlio Alfonso XII. Nel 1840 il governo spagnolo, in seguito alla fima di un accordo con il sultano marocchino sulle città di Melilla, Alhucemas e Vélez de la Gomera, rinforza Ceuta con delle fortificazioni ma questa decisione portò alla guerra d’Africa tra Spagna e Marocco, poichè venne letta dal Marocco come un affronto. La guerra durò pochi mesi e si concluse con il trattato di Wad-Ras, che dichiarava la sconfitta marocchina facendo così iniziare il Secondo Periodo Spagnolo: la Spagna ottenne

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la cessione di alcuni territori marocchini, un’indennità di guerra da parte del Marocco e l’ampliamento della città di Ceuta. Nel 1863 Ceuta divenne porto franco, e venne confermata come tale nel 1894. (Busato 2014) “Lugar ó recinto marítimo do.nde pueden importarse toda clase de mercancías, tanto nacionales como extranjeras, para exportarlas después libremente” (Donnet 1912)16 Tra il 1893 e 1894 Marocco e Spagna furono coinvolte nella Guerra di Melilla, che si concluse dieci anni dopo con un accordo a Parigi, nel quale si divisero le zone del Nord Africa e ne stabilirono i limiti. Ceuta nel 1912 con il Trattato di Fez, con il quale la sovranità del Marocco passò alla Francia, fu riconosciuta ufficialmente come città spagnola. Quando in Spagna iniziò la Guerra Civile Spagnola, che ebbe origine con l’insurrezione in Marocco, ma che fu anche il culmine degli scioperi e delle manifestazioni spagnole in seguito alla vittoria del Fronte Popolare nel 1936 e il colpo di stato del generale Francisco Franco, Ceuta venne conquistata dalle truppe spagnole e nei giorni seguenti bombardata, lasciando così un segno da parte del regime franchista. Tra il luglio del 1936 e il gennaio del 1937 la repressione a Ceuta provocò molte vittime e colpì tutti coloro che si rifiutarono di aderire all’insurrezione. Nel 1939 si assistette al crollo della repubblica spagnola e all’inizio della dittatura di Franci-

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sco Franco. Va notato che Ceuta non ebbe un atteggiamento di opposizione contro il regime, a differenza di altre città spagnole. La popolazione di Ceuta durante questi anni subì un serie di modifiche altalenanti: ci fu tra il 1941 ed il 1950 un’alternanza di flussi emigratori ed immigratori. L’emigrazione più significativa si ebbe tra gli anni 60 e 70, in cui la città perse circa 15 000 persone. Dopo la guerra civile l’economia ebbe una lenta crescita, grazie alle esportazioni e alla particolare economia interna di cui godeva: durante la dittatura una legge del 1944 decretò che Ceuta avrebbe avuto un regime tributario particolare, con cui “percibir un arbitrio sobre la importación de mercancías, mediante la aplicación de una tarifa «ad valorem”. 17 Nel 1956 il Marocco ottenne l’indipendenza dalla Francia e dalla Spagna, così le forze armate impegnate nella difesa del Protettorato spagnolo si ritirarono nella città di Ceuta, che diventò una base per le truppe dell’Esercito spagnolo in territorio africano. Venne riconosciuta come territorio spagnolo nuovamente con il Referendum del 1978 sulla ratifica della Costituzione Spagnola, con 32.488 votanti su 62.800 abitanti. Ceuta passò a far parte della Comunità Autonoma dell’Andalusia nella provincia di Cadice nel 1981 con la legge organica. Lo Statuto di Autonomia della 17  Percepire un’mposta sull’importazione di merci, mediante l’applicazione di una tariffa «ad valorem»” trad. di Busato, Giorgia. «Ceuta e Melilla. La questione irrisolta tra Spagna e Marocco.» Tesi di Laurea, 2014.Come confermato dalla legge 8/1991 del 25 marzo, con la quale si approva l’Imposta sulla produzione e l’importazione nelle città di Ceuta e Melilla (https://www.boe.es/buscar/doc. php?id=BOE-A-1991-7645)


città di Ceuta fu approvato con la Legge organica 1/1995 del 30 marzo: “Ceuta, como parte integrante de la Nación española y dentro de su indisoluble unidad, accede a surégimen de autogobierno y goza de autonomía para la gestión de sus intereses y de plena capacidad para el cumplimiento de sus fines, de conformidad con la Constitución, en los términos del presente Estatuto y en el marco de la solidaridad entre todos los territorios de España”. 18 La sostanziale differenza fra le comunità autonome spagnole e le città autonome spagnole risiede nel fatto che quest’ultime non possono svolgere iniziativa legislativa, ma gli viene comunque loro permesso di richiedere alle Corti le iniziative legislative che ritengono opportune solo per Ceuta o per Melilla. (Busato 2014

18  “Ceuta, come parte integrante della Nazione spagnola e all’interno della sua indissolubile unità, accede al proprio regime di autogoverno e gode dell’autonomia per la gestione dei propri interessi e della piena capacità per il compimento dei propri fini, in conformità alla Costituzione, nei termini del presente Statuto e nella cornice disolidarietà tra tutti i territori della Spagna” [trad. pers.]. Testo completo della Ley Orgánica 1/1995 (https://www.boe.es/diario_boe/txt.php?id=BOE-A-1995-6358) in ibidem

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3.3 CEUTA OGGI

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All’inizio del XX secolo Ceuta era abitata da 13.269 abitanti. Ceuta oggi è una città composta da 84 000 abitanti, in cui convivono diverse popolazioni e diversi credi religiosi. Questo rapido aumento demografico è dovuto ai numerosi flussi migratori che iniziano ad intensificarsi a partire dall’inizio del secolo: grazie alla sua particolare posizione geografica è la meta prescelta dai migranti africani per arrivare in Europa, facendo in qualche modo da ponte tra le due culture e i due continenti. La densità di popolazione era di 4.226 abitanti per km2 19 , una densità di molto superiore rispetto a quella delle altre Comunità Autonome e della Spagna in generale. La conformazione geografica del territorio Ceutano influenza la densità abitativa per zone. Infatti nella zona del Monte Hacho della “Peninsula de Almina” e la zona della riserva naturale confinante con il Marocco c’è una percentuale abitativa molto bassa rispetto alla parte centrale. Ceuta è divisa in diversi quartieri, a est dell’Istmo, lembo di terra che unisce la Peninsula de Almina al continente Africano, c’è la zona del Monte Acho e il quartiere maggiormente “spagnolo” in cui hanno sede le principali autorità spagnole e ambasciate. La zona del Porto è il fulcro delle attività industriali, dovuto anche agli scambi commerciali con

gli altri porti. A ovest dell’Istmo, c’è una predominanza di quartieri residenziali. Avvicinandosi progressivamente alla frontiera, si nota come questi quartieri prendano un’impronta progressivamente di carattere più mussulmano, sia per quanto riguarda la popolazione che la conformazione architettonica degli insediamenti. Infatti a Ceuta la percentuale di abitanti spagnoli è 59%, cioè di pochissimo superiore a quella di abitanti marocchini, il 41%. Molte comunità , 50%, supera solo di un 3% quella di musulmani. 20(Sebti 2010) L’attività più praticata è la pesca, poichè la conformazione del territorio non permette l’agricoltura e l’allevamento; nemmeno l’edilizia e l’industria trovano facile appiglio, anche se negli ultimi anni si è avvertito un aumento nelle crescita edilizia. Il settore turistico è quello più sviluppato, infatti Ceuta è ricca di luoghi di interesse che comprendono bagni arabi, le molteplici mura e fortificazioni, oltre ai musei e le spiagge. L’aspetto più particolare dell’economia della città è senza dubbio il fatto che Ceuta, essendo povera di risorse, riceve gran parte di ciò di cui ha bisogno dalla Penisola Iberica, per questo il porto ha un ruolo molto attivo sul territorio e collega lo Stretto di Gibilterra, quello di Tangeri e quello di Tangeri Med. (Busato 2014) Il porto è governato da leggi che

19  http://ceutaencifras.blogspot.it/p/poblacion-y-estructura-demograca.html)

20  http://www.ossin.org/marocco/919-breve-storia-di-ceuta-e-melilla


ne controllano i traffici, nel 2004 entra in vigore la “Legge di regime economico e di prestazione di servizi dei porti di interesse generale”, per aumentare la competitività ma nel 2010 viene sostituita dalla “Ley de Puertos”, che introduceva nuove regole nel mercato e che garantiva al porto di Ceuta il principio di autosufficienza e la manteneva esclusa da qualsiasi unione doganale internazionale. Qui molti prodotti sono liberalizzati, come ad esempio la benzina, le sigarette e questo ne determina una diminuzione del costo e un relativo sviluppo del contrabbando di queste merci. Scambi commerciali avvengono anche nella parte opposta della città, anche se si tratta di scambi diversamente regolarizzati: commercio transfrontaliero.

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3.4 IL COMMERCIO DI FRONTIERA: EL TARAJAL E I PORTEADORES

“Non siamo migranti ma commessi viaggiatori o, meglio, pendolari della fatica” (Del Re 2015) Il Marocco non solo non riconosce la titolarità spagnola della città di Ceuta ma non ne accetta ufficialmente neanche il carattere commerciale della sua frontiera; ciò ne condiziona notevolmente le relazioni e gli interscambi economici tra le città e i territori circostanti. Non è il caso invece di Melilla, seconda enclave spagnola, poiché pur non riconoscendone la titolarità spagnola del suo territorio, il Marocco ne accetta il carattere commerciale, in quanto subito dopo l’indipendenza marocchina, la città di Rabat mantenne aperta la frontiera commerciale con Melilla per poter esportare minerali attraverso il suo porto, unico della regione in quel momento. Il non riconoscimento ufficiale del trasporto di merci e l’inesistenza di una dogana commerciale hanno dato avvio ad uno scambio illegale di merci tra il territorio spagnolo e marocchino. Questa attività commerciale si sviluppa nei due passi di confine: El Tarajal/Bab Sebta, e nel passo del Benzù/ Belyounech. Il primo è collocato nella parte Sud della città, dove si trova il poligono commerciale El Tarajal, un complesso di capannoni destinati alla compra vendita di merci; il secondo invece si trova nel lato opposto a Nord, e fu utilizzato principalmente come porta di uscita delle merci e il permesso di valicarlo veniva rilasciato

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solo a chi lavorava o aveva un legame familiare; attualmente è chiuso poichè la situazione era meno controllabile rispetto a El Tarajal, date le dimensioni più ridotte di questo passo. Con la crescita dell’attività transfrontaliera infatti, è cresciuta anche demograficamente ed urbanisticamente Belyounech, città marocchina vicina al passo del Benzù, cosi come anche Fnideq, città espansione di Ceuta sviluppatasi quasi ad uso commerciale, vicino al passo del Tarajal. A Benzú la situazione fu più problematica che a El Tarajal, dato che si trattava di un passo di dimensioni modeste ed era controllato da un numero ridotto di forze di polizia, tanto che appunto nel 2004 venne chiuso perchè si realizzavano attività, in primis commercio di merce e quindi congestione, ma anche l’accesso facile agli immigrati, non adatte allo scopo per cui il passo era stato realizzato e questo non permetteva di controllarlo in sicurezza. La chiusura di questo passo ha colpito la vicina Belyounech perchè con il crollo dell’attività commerciale alla città venne a mancare l’economia sulla quale si manteneva in vita. (Nufrio e Gallardo, 2010)


zone carico e scarico me

percorsi collettivi con/se

percorsi uomini con/ sen

percorsi donne con/sen controllo polizia frontiera

zone carico e scarico merci percorsi collettivi con / senza merci percorsi collettivi con/senza merci percorsi uomini uomini con/ senza merci percorsi con / senza merci percorsi donne con/senza percorsi donnemerci con / merci controllo polizia controllo polizia frontiera frontiera zone carico e scarico merci

fig. 13 schema percorsi e impianto El Tarajal

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Oltre ai problemi relativi alla cessata attività commerciale, la chiusura ha avuto ripercussioni anche sul passo di El Tarajal, perchè rimanendo l’unico aperto ha intensificato la sua attività, provocando ostruzioni e ore di coda; il commercio transfrontaliero infatti ha portato alla formazione di aree contigue congestionate e pericolose da attraversare, proprio per questo carattere di affollamento: numerose persone partecipano a questa pratica di scambio di merce. L’opportunità di ottenere un lavoro e i benefici economici hanno richiamato i cittadini delle vicine città marocchine, trasformandoli in porteadores, i quali però non lavorano per se stessi ma per conto di terzi. La loro attività giornaliera consiste nel varcare la frontiera entrando a Ceuta, acquistare tutta la merce che riescono a trasportare esclusivamente sul proprio corpo, senza l’ausilio di alcun supporto, e portarla in Marocco, dove verrà rivenduta ad un prezzo maggiore. Questo avviene perchè tra i due Paesi ci sono accordi politici per cui non è possibile trasportare merce attraverso container, camion o veicoli di alcun tipo. Il lavoro di porteadores è svolto sia da uomini che da donne, anzi la percentuale femminile è meggiore rispetto a quella maschile, come anche da persone anziane o non totalmente abili. Hanno accesso facilitato nella città perchè sono beneficiari di un diritto di entrata di 24 ore. Parte della merce raccolta a Ceuta viene venduta a Fnideq e parte invece viene trasportata verso Tetouan o altre città marocchine. Questo commercio non si può considerare contrabbando, viene definito “commercio atipico” o “commercio irregolare”, per-

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chè le autorità di entrambi i paesi tollerano questa pratica in quanto sia per Ceuta che per il Marocco apporti benefici economici. In più non sarebbe esatto definirlo contrabbando perchè per Ceuta le merci sono state vendute legalmente così come legalmente sono entrate nella città (quasi l’80% della merce che proviene da Ceuta è destinata al mercato marocchino). A luglio del 2005 fu aperto il passo di El Biutz, che essendo un passo esclusivamente di uscita permette il trasporto di merci dal poligono commerciale al Marocco. E’ controllato da orari: rimane aperto dal lunedì al giovedì dalle 8:00 a.m. alle 13:00 p.m. Viene utilizzato dai porteadores, i quali se ne servono in uscita più volte al giorno. “Porteadores e commercianti di Ceuta erano ieri costernati per la morte di due donne marocchine causata da una valanga umana. Nessuno, però, sembrava sorpreso. È “una tragedia annunciata”, ripeteva Andrés Carrera, segretario locale del Sindicato Unificado de Policía. Una massa di 200 persone, cariche di pacchi e con fretta di ritornare in Marocco attraverso il passo di frontiera di El Biutz, travolse due porteadoras, di 53 e 32 anni che morirono pestate dalla folla; è questo l’informe della Delegación del Gobierno di Ceuta”. (El País, 26-05 -2009). Sicuramente questa pratica poco umana dei porteadores è destinata via via a ridursi fino a scomparire del tutto, ma attualmente effettuare una chiusura drastica del passaggio comporterebbe la perdita del posto di lavoro per molte persone coinvolte in questa attività; per il Marocco il commercio irregolare ha svolto per anni un ruolo


fig.14 - 15 Porteadores alla frontiera

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importante nell’economia: ha prodotto posti di lavoro e l’accesso a beni che difficilmente arrivavano. Nel 1996 il governo marocchino lancia la “campagna contro il contrabbando”, decidendo la progressiva liberalizzazione doganale e apertura dei mercati, mossa tesa a porre fine ad un’attività illegale che danneggerebbe gli interessi economici, eliminando in modo graduale quindi il commercio irregolare. Prima della liberalizzazione doganale in Marocco veniva data grande importanza ai prodotti elettronici, oggi invece si concentra sui tessuti o prodotti alimentari in scatola, spezie, bevande alcoliche. Oggi Ceuta non ricopre il ruolo di fornitore di merci come in passato, potrebbe invece diventare piattaforma logistica di servizi per il Nord Africa, come vuole mostrare il progetto del porto Tanger-Med. (Nufrio, Europa. Il margine indistinto 2010)

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fig. 16 - 17 Porteadores alla frontiera

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3.5 IMMIGRAZIONE

“Ceuta ha quasi 80.000 abitanti e circa la metà lavora per lo Stato in qualità di dipendente dell’amministrazione della Città Autonoma (in strutture pubbliche come scuole, ospedali ed esercito). Chi lavora a Ceuta e Melilla guadagna il 50% in più di quelli che svolgono la stessa occupazione in Spagna e in più gode di grandissimi sgravi fiscali. Ma solo una parte della città è coinvolta in questo piccolo Eldorado. Il 90% dei posti statali sono privilegio dei cristiani, il 50% della popolazione di Ceuta. Ben poca cosa rimane ai musulmani (47%), hindù (2%), ebrei (1%). Gran parte dell’economia – sia quella emersa che quella sommersa – gira attorno all’immigrazione. Vicino alla Croce Rossa che fornisce pasti ogni giorno si vedono file di ragazzi di colore che attendono pazientemente il cibo. Solo quelli tra i disperati che ce l’hanno fatta. Hanno superato i blocchi e il “muro”. Ora l’Unione Europea deve accoglierli, utilizzando attrezzature, ospedali ecc.” (Costantino 2010) L’immigrazione a Ceuta, come a Melilla, risale agli inizi del XX secolo, durante gli anni di protettorato del Marocco; tra il 1912 e 1956 iniziano ad essere presenti popolazioni provenienti dal Maghreb ma anche dalla Penisola Spagnola. La maggioranza di quelle provenienti dal Maghreb vivevano a Ceuta non regolarmente, poichè non possedevano documenti; alcuni di loro riuscivano ad ottenere la Tarjeta de Estadìstica che però aveva solo funzione di

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registrazione della persona, non garantiva alcun diritto. Nel 1985 il Governo promulga la Legge Organica 7/1985 meglio conosciuta come la Ley de Extranjería de 1985, con cui i magrebini residenti a Ceuta e Melilla che non possedevano la nazionalità spagnola erano considerati extracomunitari. Questa legge porta a disordini e proteste finchè l’anno dopo il Governo decide di nazionalizzare i maghrebini presenti nelle due enclave. A partire dal 1989 il numero di immigrati africani aumenta, poichè inizia a muoversi una maggiore quantità di persone dal Marocco soprattutto, a causa della diffusione del pensiero islamista estremista e della decisione del governo marocchino di entrare in guerra in Iraq. Aumentano anche gli scontri tra polizia e immigrati, che alla fine spesso vengono raccolti in accampamenti informali vicino a Ceuta, la “Terra di nessuno” dove le condizioni igienico sanitarie sono basse provocando malattie varie e il cibo scarseggia. Viene rinforzata la vigilanza lungo il confine e costruita una strada lunga 8 km per il controllo; ha un sistema di supervisione e vigilanza oltre a megafoni per diffondere messaggi. Verso il 1999 le condizioni degli accampamenti informali peggiorano, a causa del costante aumento del numero degli occupanti finché il governo decide di approvare un programma teso alla formazione e all’inserimento nel mondo del lavoro, con-


ferendo un permesso di soggiorno al fine di favorire l’integrazione e liberare i campi limitrofi. Come raggiungono ceuta e melilla i migranti? I tragitti percorsi per raggiungere queste due città sono diversi: esiste un tragitto breve percorso dai Maghrebini che attraversa Algeria, Libia e Marocco spesso per vie aeree o in automobile, e uno più lungo e pericoloso percorso dai subsahariani. L’automobile resta il mezzo più usato per spostarsi, seguita dal treno e dalle imbarcazioni, però quando non è possibile servirsi di alcun mezzo il viaggio viene anche effettuato a piedi. La maggior parte di questi spostamenti avviene per mezzo di contrabbandieri, ai quali i migranti si affidano pagando ingenti somme di denaro a causa soprattutto del rafforzamento dei controlli alle frontiere. Nel corso del viaggio le tappe di sosta sono frequenti, infatti i contrabbandieri cercano di raccogliere altre persone lungo il tragitto. Alcuni cercano anche di valicare la barriera autonomamente, probabilmente perchè non possiedono denaro sufficiente per pagare un viaggio di contrabbando. Una volta giunti in Marocco avviene una fase di transito, in cui si attende il momento propizio per effettuare lo scavalcamento: questa fase può durare anche mesi, motivo per cui gli immigrati si accampano in zone vicine alla frontiera e aspettano.

Come se ne vanno da ceuta e melilla i migranti? La maggioranza degli immigrati che riesce a sfuggire ai controlli della Guardia Civil, prova a raggiungere la Penisola via mare: a volte imbarcati su lance, altre nascosti sotto canotti come quelli con cui giocano i bambini sulla spiaggia, altre ancora usando camere d’aria degli pneumatici. La regione dell’Andalusia, nel sud della Spagna, è quella maggiormente interessata dagli arrivi degli immigrati. Malaga e Almeria registrano ogni anno il più alto tasso d’immigrazione della costa spagnola. Il mare infatti è pattugliato con discrezione ma costantemente dalle lance dell’esercito e della polizia, di Spagna e del Marocco: post frontiera ci sono 44 torrette del Sistema integrale di vigilanza elettronica (Sive) installate sulla costa andalusa dotate di telecamere, radar e infrarossi capaci di individuare anche piccole barche di legno a 20 chilometri di distanza. Oltre alla posizione strategica come punto d’arrivo dell’immigrazione subsahariana, Almeria è una destinazione ambita da molti immigrati, provenienti anche da altre stati Europei, a causa dell’alta offerta di lavoro che il contesto agricolo richiede. Infatti, la provincia di Almerìa è stato fortemente segnata negli ultimi 30 anni dallo sviluppo impetuoso dell’economia agricola locale: 26.000 ettari di serre a ciclo continuo, 3.200.000 ortaggi raccolti ogni anno, 90.000 immigrati regolari o clandestini lavorano nelle serre. 21 Almeria diventa spazio di transi21  Carnet Pauline, Alioua Mehdi, Qacha Fatima, Coulibaly Tandian Oumoul Khaïry, Majdoubi Fatiha, Missaoui Hasnia-Sonia, Arab Chadia, Missaoui Hasnia Sonia, « Circulation migratoire des transmigrants », Multitudes 2/2012 (n° 49) , p. 76-88

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to, luogo d’insediamento, ma anche tappa per “avere i documenti”. Questa zona ha per reputazione di essere la più tranquilla, libera dai controlli delle autorità, e di offrire un accesso più facile, per altre città della Spagna o dell’Europa, per maggiore facilità nella ricerca del lavoro e per la regolarizzazione dei documenti. Dentro lo spazio delle rotte africane, si tratta di un vero e proprio polo che immette i migranti alla ricerca del lavoro e dei documenti e di altre possibilità di vita. (Rodríguez 1999; Diaz 2003). Circa 90.000 migranti, che vengono dai paesi del Mahgreb, dall’Africa subsahariana, dall’America Latina e dall’Europa dell’est, lavorano nella fabbrica verde. Come lavoratori fronteggiano condizioni inumane di vita e di lavoro per esempio usano pesticidi senza protezioni, vivono in baracche chiamate “chabolas” fatte di plastica e di rifiuti di legno, spesso non vengono pagati regolarmente, subiscono aggressioni razziste e forme di clandestinità. 22 I flussi migratori di clandestini provenienti da diverse parti del mondo, si sono rallentati negli ultimi anni, sia poiché scoraggiati dall’intensificarsi della barriera che separa Ceuta dal Marocco, sia per la diversa provenienza dei migranti, in quanto negli ultimi anni la maggior parte di essi proviene non solo dall’africa sub sahariana ma anche e soprattutto dall’Asia e dal medio oriente. «Dopo il picco del dicembre 2007», spiega il Dr. Valeriano Hoyos, direttore del locawww.cairn.info/revue-multitudes-2012-2-page-76. htm. 22  www.noborder.org/crossing_borders

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le CETI, centro d’accoglienza temporanea attivo dal 1999 per fornire assistenza agli stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno, «quando a rinforzare l’afflusso dalle regioni subsahariane e maghrebine si aggiunse l’immigrazione asiatica, coadiuvata dai cosiddetti trafficanti di uomini che, grazie anche alla corruzione dei militari di servizio in dogana, avevano trovato qui un facile canale di passaggio, oggi la situazione è molto più tranquilla: una severa epurazione interna della Guardia Civil e una maggiore collaborazione con il governo marocchino fanno sì che attualmente si possa parlare nell’ordine dei tre, massimo quattro nuovi clandestini alla settimana». (Valsecchi 2009)


fig. 18 immigrati che cercano di varcare la frontiera

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3.6 LA FRONTIERA

Dal 2001 inizia la campagna di dissuasione dall’immigrazione irregolare, iniziativa condivisa sia dal governo spagnolo che da quello marocchino. Questo tentativo di controllo degli ingressi irregolari viene affrontato non solo con delle leggi ma anche con la costruzione di una barriera fisica che separa i due paesi e impedisce l’accesso. La prima barriera si costruisce nel 1993: è una barriera semplice di 2 m di altezza; Nel 1995 invece si potenzia con una barriera interna e una esterna alte 2,5 m, dotate di riflettori alogeni e sensori acustici e visivi, oltre ad un poteziamento della Guardia Civil. L’anno dopo viene rinnovata perchè era facilmente scavalcabile, dotata di filo spinato e oltre alla Guardia Civil viene posizionato anche l’esercito. Nel 1999 la barriera esteriore viene elevata fino ad un’altezza di 3,1 m, invece quella interna viene potenziata con torri di guardia, allarmi e riflettori. Nel 2000 l’opera si estende per 8,3 km di lunghezza; nel 2007 viene eliminato il filo spinato e sostituito con la concertina. L’ultima modifica apportata alla barriera risale al 2013, dove si hanno effettuato un innalzamento della barriera fino a 6 m di altezza, la reinstallazione del filo spinato, e le recinzioni anti scavalcamento. Una volta superata la barriera qual è la sorte dei migranti? Le possibilità sono diverse: ci sono rari casi in cui si verificano espulsioni illegali da parte delle forze dell’ordine o marocchine

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o spagnole, la maggior parte degli immigrati viene invece trasferito nella penisola. Prima che si verifichi questo trasferimento però devono passare alcuni mesi nei CETI, strutture di accoglienza dove fare richiesta di diritto di asilo. Non tutti gli immigrati riescono ad ottenere i documenti per poter rimanere legalmente sul suolo europeo. Una volta entrato illegalmente in una delle due enclave, l’immigrato diventa immigrato irregolare, che deve essere identificato appunto nei CETI, dove potrà alloggiare. Nel frattempo inizia un processo di esplusione che se avrà finalità positiva autorizza l’internamento dell’immigrato in un CIE della penisola, altrimenti sarà condannato al pagamento di una multa. Nei CIE però, gli immigrati non godono della propria libertà, ad esempio non sono autorizzati ad entrare e uscire liberamente e la durata massima dovrebbe essere di 60 giorni. CETI Parallelamente alla costruzione della barriera inizia anche la costruzione dei CETI, che viene aperto nel 2000 a Ceuta e nel 1999 a Melilla. A Ceuta la capacità di accoglienza è di 512 persone, ma, nonostante anche il successivo ampliamento del 2004, il numero di immigrati è sempre maggiore e non viene mai rispettato. Questa struttura oltre ai problemi di sovraffollamento, scoraggia anche i migranti poichè non c’è durata massima di detenzione al CETI: secondo la legge la durata massima è di uno, due o tre mesi dopo il


fig. 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 Ceuta Border Fence, Xavier Ribas

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suo arrivo, e di cinquanta giorni se è un richiedente asilo. In realtà i criteri di uscita da questa struttura sono a discrezione del Commissariato generale per l’immigrazione della polizia nazionale a Madrid, che una volta decisa l’espulsione invia i migranti solitamente o ai centri di accoglienza delle ONG per un soggiorno molto breve, oppure nei CIE (centri di detenzione ed espulsione), ma il tempo necessario per queste pratiche arriva anche fino a due anni. Le persone richiedenti asilo dovrebbero poter circolare su tutto il territorio spagnolo, ma nelle enclave sono private di questo diritto, infatti rappresentano le uniche due eccezioni dello spazio di Schengen. Coloro che ottengono la così detta “Carta Rossa”, possono trovarsi scritte due frasi: “no autorizado a cruzar fronteras” oppure “solo valido en Ceuta/Melilla”, ad indicare che è solo possibile uscire dal CETI e rimanere all’interno della città impedendo così di ai migranti di raggiungere l’Europa, a causa della loro posizione di irregolarità. Nonostante questi divieti gli immigrati sono uomini liberi e la loro permanenza al CETI è volontaria. 23

23  http://www.meltingpot.org/Spagna-Siamo-tuttitemporeros.

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E DELLA FRONTIERA

EVOLUZIONE DELLA FRONTIERA

lunghezza 7,8 km

acciaiozincato

i sorveglianza i perimetrali

lunghezza 7,8 km

1993

1996

1993

- barriera semplice

AGGIUNTE : - doppia barriera - barriera - filo spinatosemplice

h: 2m

h: 2,5m

h: 2m

1999 1996

1999

AGGIUNTE: AGGIUNTE : - doppia - doppia recinzione barriera in acciaiozincato - torri - di filoguardia spinato - allarmi, telecamere di sorveglianza , riflettori accecanti luci perimetrali

AGGIUNTE: MODIFIC - doppia recinzione in a - sostituz - torri di guardiacon conc - allarmi, telecamere di s , riflettori accecanti luci p

h: 3,1m h: 2,5m

2006

2007

2013

MODIFICHE: - sostituzione del filo spinato con concertina

MODIFICHE: - eliminazione del filo spinato con concertina

MODIFICHE: - innalzamento barriera - reinstallazione del filo spinato - recinzioni anti scavalcamento

h: 3,1m

h: 3,1m

2006

h: 3,1m

h: 6m

fig. 25 schema dell’evoluzione della frontiera dal 1993 al 2013

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h: 3,1m


3.7 L’ALTRA FRONTIERA E I QUARTIERI DELL’ESCLUSIONE

La particolare situazione della città di Ceuta e la presenza della frontiera ne hanno caratterizzato la conformazione urbanistica e insediativa. Non si parla solo di frontiera geografica e politica che divide la Spagna dal Marocco, ma anche di una frontiera interna, non fisica, ma culturale che divide il territorio in quartieri. Come accennato nel paragrafo precedente, dall’istmo verso la frontiera si osserva come la città, la popolazione, gli insediamenti abitativi e la cultura cambino progressivamente. “Residential segregation was defined by Kemper (1998) as the spatial separation of population sub-groups within a given geographical area such as a large city. Such sub-groups can be formally defined in terms of age, occupation, income, birthplace, ethnic origin or other measures; or the sub-groups could be specified as social minorities distinguished from the dominant groups of power differentials. In another definition similar to that of Kemper, residential segregation is said to be the degree to which two or more groups live separately from one to another in different parts of the urban space (Aguilera & Ugalde, 2007).” 24 (Muhammad, Kasim e Martin 2015)

24  Muhammad, M. S.; Kasim, R.; Martin, D.A Review of Residential Segregation and Its Consequences in Nigeria, Faculty of Technology Management & Business, Universiti Tun Hussein Onn Malaysia, Mediterranean Journal of Social Sciences, MCSER Publishing, Rome 2015

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La segregazione urbana è un fenomeno diffuso nella maggior parte delle metropolis del mondo. Come spiegano gli studiosi Greenstein e Sabatini “la segregazione spaziale caraterizza le città da San Diego a Boston, da Santiago a Cape Town, da Belfast a Bengalore. ” 25 Le cause che contribuiscono alla segregazione spaziale sono molte e complesse e dipendono da luogo a luogo, ma ciò che le accomuna è un processo che può nascere dalla discriminazione raziale, etnica, economica, religiosa e sessuale. È difficile comprendere le dinamiche di questo fenomeno, e a volte è complicato riconoscerlo all’interno del territorio, poiché spesso l’origine della segregazione derivano dalle prime espansioni della città. Quindi è importante analizzare e conoscere le cause sociali e politiche che hanno generato il proliferarsi del processo. Ann Legeby nella sua tesi ““Urban segregation and urban form: From residential segregation to segregation in public space” spiega come: “Nelle città la separazione fisica tra le persone e le attività ha una diretta relazione con le proprietà spaziali, ciò che genera la segregazione è anche il campo architetto25  R. Greenstein; F., S. Sabatini, Urban Spatial Segregation: Forces, Consequences, and Policy Responses (Land Lines Article), Lincoln Institute of Land Policy, 2000 http://www.lincolninst.edu/pubs/276_Urban-Spatial-Segregation--Forces--Consequences--and-Policy-Responses


fig. 26 mura storiche del quartiere El Principe

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nico, includendo la progettazione urbanistica e architettonica.” 26 Il ruolo politico è spesso incisivo sullo sviluppo urbano, infatti come la maggior parte delle città mondiali mostrano sono le strategie politiche che influenzano la pianificazione urbana. Un esempio rilevante di una città frammentata in parti eterogenee è la Città del Cairo: il ricercatore egiziano e urbanista Mohamed Abdelbaseer nel suo articolo “Cairo’s metropolitan Landscape: Segregation extreme” descrive come: “Da urbanista e nativo del Cairo, tendo a vedere la città come una serie di piccole cellule isolate l’una dall’altra da forti barriere fisiche. Muri, autostrade, ponti, zone militari, waterfronts abbandonati, parcheggi e zone vaganti contribuiscono alla conformazione di una città caratterizzata da una mancanza di coesione. Inoltre, non c’è un settore pubblico che unisce le differenti comunità. Dunque ogni gruppo sociale è confinato da enclave separate.” 27 La conformazione geografica di Ceuta favorisce la formazione di “quartieri-isola”. Un esempio predominante è il caso del quartiere chiamato El Principe Alfonso. 3.8 El Barrio de El Principe Alfonso Il quartiere del Principe Alfonso si trova all’interno del distetto 6. Questo distretto è costituito da altri quartieri: Barriada Po26  A. Legeby, Urban segregation and urban form: From residential segregation to segregation in public space, Licentiate Thesis in Architecture, Stockholm, Sweden, 2010, p. 5 27  M. Abdelbaseer, Cairo’s metropolitan Landscape: Segregation extreme, Failed Architecture; accessed 27th February 2015 http://www.failedarchitecture.com/cairos-metropolitan-landscape-segregation-extreme/

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stigo, Benzú e Príncipe Felipe. Questa lottizzazione è stata realizzata da “El campo Exterior de Ceuta” , in seguito alla concessione da parte della regina di Spagna Isabella II , che nell’agosto del 1867 permise la colonizzazione. Il principe Alfonso sorge su una delle alture della parte ovest di Ceuta. La popolazione di questo quartiere è a maggioranza di religione musulmana, che in seguito ai flussi immigratori degli ultimi anni ha popolato il quartiere. Uno dei problemi principali di questi distretti è il sovrappopolamento della zona, la cui causa è data anche alla scarsità di terreno edificabile a disposizione, sia per la conformazione morfologica della città, sia per le zone protette, che per notevoli quantità di terreno appartenenti al Mistero della Difesa. Il risultato di questo fenomeno è l’elevato prezzo dei terreni residenziali, la pressione sulle aeree protette e la costruzione incontrollata sulle aree marginali della città, come ad esempio accade nel Principe. Il comune ha cominciato ad interessarsi alle problematiche urbanistiche e sociali presenti in questo quartiere. Infatti diversi sono i progetti di riqualificazione della zona che si stanno attuando negli ultimi anni. Uno di questi ad esempio è stato l’insediamento dell’ospedale di Ceuta nel quartiere Loma de Colmenar, a cui poi sono seguiti progetti di social housing. I problemi relativi al quartiere sono molteplici e vengono elencati di seguito: • Forte disoccupazione: 30 % per gli uomini e 12% delle donne. Tuttavia bisogna considerare che il 74,7 % delle donne del distretto 6 sono casalinghe, cioè al di fuori del mercato del lavoro. • Poca attività economica, carenza di servizi primari. Infatti le principali strutture


commerciali sono concentrate nella parte dell’Istmo, la cui popolazione del Principe rimane quasi completamente esclusa. • Alto livello di immigranti, minoranze etniche, rifugiati, che formano dei ghetti all’interno della zona. • Basso livello di istruzione, basse competenze professionali. • Si stima che il 90% della popolazione si sente in stato di abbandono e di esclusione. • Alti livelli di criminalità e tossicodipendenza, rendono il Principe uno dei quartieri più pericolosi della Spagna. • Proliferarsi di politiche e credi integralisti collegati con il terrorismo internazionale. • Notevole degrado urbano e ambientale della zona: conseguenza di una costruzione indiscriminata e disordinata. Mancanza di servizi igienici, acqua potabile, illuminazione stradale, strade pavimentate. All’interno del Barrio l’accesso è esclusivo, il territorio è controllato dai criminali della zona, che regolano e dirigono le politiche interne.

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fig. 27, 28, 29 El Principe

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4 IL PROGETTO

Dopo il processo di analisi del tessuto urbano e della situazione sociale in cui si



4.1 IL MASTERPLAN

trova il Distretto di Loma de Colmenar, descritto nel capitolo precedente, si individua la zona di progetto. Quest’area è stata delimitata anche dal Piano del Governo del Territorio di Ceuta, gestito dall’architetto Javier Arnaiz Seco, come una delle aree di attuazione più imminenti. L’architetto Seco, attraverso un piano di attuazione, suddivide l’area in zone residenziali e zone destinate a servizi terziari: viene quindi presa in considerazione anche la lottizzazione del comune. L’intento è quello di stabilire una connessione urbana, attraverso la progettazione di nuove residenze che possano sopperire al sovrappopolamento e alla mancanza abitativa in cui si trova il distretto, e attraverso l’introduzione di servizi che possano formare un processo inclusivo tra i quartieri frammentati. Inizialmente sono state fatte delle considerazioni sull’area. Essa è un vuoto urbano che partendo dalla quota stradale si innalza di circa 60 metri, distribuiti su ripide curve di livello. Nell’area sopra la collina, si trova un circuito stradale, precedentemente pianificato dal comune che delimita la zona edificabile. Gli assetti stradali si collegano con il porto e la parte nord di Ceuta. L’area di progetto delle residenze sorge in prossimità del carcere di Ceuta, che secondo i piani attutivi del comune, verrà delocalizzato in un’altra area e adibito a nuove residenze, sempre per rispondere alla mancanza di quest’ultime. La zona sovrastante la collina si collega con il piano stradale principale attraverso due ripide scale,

come mostrano le fotografie, collegate da un percorso orizzontale. Una delle prime considerazioni effettuate è stata quella di valorizzare questi due elementi di collegamento, mantenendone la struttura. È stato però cambiato il punto di partenza della risalita, infatti la scala che porta verso il mare, prima aveva un orientamento perpendicolare con l’assetto stradale nella sua parte finale ed è stato sostituito con un orientamento parallelo in modo da non dividere ulteriormente la zona di mercato, ma attraverso lo schema dei percorsi e degli spazi aperti generare uno spazio più ampio che vuole anche invitare alla risalita della scala. Nell’altro punto di risalita, posto a conclusione del percorso orizzontale è stato aggiunto un nuovo approdo, sempre parallelo alla cortina stradale, in modo da indirizzare i flussi nel parco progettato e nel mercato. Oltre a questi due interventi verticali è stata progettata una rampa che collega il complesso delle residenze al mercato; la rampa segue l’andamento del terreno con l’intento di essere un percorso più lento, con dei punti di vista sullo scenario paesaggistico. Il complesso residenziale è attraversato da un percorso pedonale che inizia dall’incrocio con la strada principale fino all’inizio della scala che porta al mercato. Questo percorso genera uno spazio aperto intercluso tra le residenze, che collega poi la scala all’accesso della rampa. Il tema della piazza è stato valutato seguendo la tradizione tipica delle città marocchine in cui gli spazi aperti sono più interclusi

Masterplan

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all’interno del tessuto urbano. Stessa considerazione è stata fatta anche per gli spazi aperti posti in prossimità del mercato. La scelta della progettazione del mercato nasce dalla difficile situazione in cui si trova il mercato di frontiera El Tarajal, come è stato descritto nel capitolo 3. Infatti, essendo un commercio non del tutto legalizzato e riconosciuto ufficialmente, il mercato nero, la criminalità e lo sfruttamento dei porteadores, sviluppano una situazione esclusiva anziché inclusiva, che dovrà terminare entro pochi anni. L’intento è dunque quello di generare un nuovo polo commerciale, che possa attrarre anche la popolazione che risiede nell’Istmo, che generalmente non si reca verso la frontiera. Il mercato progettato vuole essere quindi un punto di incontro tra il confine invisibile che divide la città di Ceuta, che possa rispondere ad alle esigenze delle popolazioni presenti. È stato quindi deciso di installare il mercato in prossimità della quota stradale, seguendo la sua cortina, collegato quindi con la rete stradale che collega il Porto, la frontiera, e l’Istmo. Il mercato si è dovuto relazionare con un’area posta tra un piccolo villaggio di pescatori e la collina, dove precedenti lavori di scavo hanno generato un’alta cortina di roccia e terra che formano quasi un muro alle spalle del mercato. Si è dunque studiato il ruolo del mercato nella cultura marocchina e nella cultura occidentale. La scelta di chiudersi lungo la cortina stradale, genera tra il progetto e la risalita orografica, delle aree esterne che suddivise per percorsi e zone di sosta, danno vita a una serie di piazze poste lungo il mercato. L’ingresso principale del mercato è stato posto in prossimità dell’asse stradale, in collegamento diretto anche con le piazze del villaggio dei pescatori. Un ingresso

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secondario invece segue il collegamento con la nuova zona residenziale progettata dallo studio spagnolo SV60, dove poi si dirama il parco e le aree verdi di progetto. Entrambe queste zone sono collegate con gli elementi verticali di risalita. Per quanto riguarda il complesso residenziale, è stata data maggior importanza ad una tipologia abitativa tipica degli insediamenti di origine islamica, poiché devono rispondere alla richiesta di residenze della popolazione immigrata a Ceuta di origine musulmana. Verranno di seguito descritte entrambe le scelte progettuali del mercato e del complesso residenziale.

Durante l’approccio alla progettazione delle residenze, è stato seguito un modus


fig. 30 area di progetto

fig. 31 area di progetto Social housing

Archivio Storico Comune di Ceuta

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4.2 PROGETTO DI UN NUOVO SOCIAL HOUSING

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4.2.1 SOCIAL HOUSING: ITER PROGETTUALE

operandi che si può riassumere in tre fasi: • L’osservazione • L’analisi • L’interpretazione: il progetto La prima fase è stata di fondamentale importanza per avere le conoscenze socio-culturali adeguate. Ceuta è un territorio eterogeneo, dove diverse religioni e nazionalità si incontrano in uno spazio complesso, sia dal punto di vista sociale che geografico. Alcuni tentativi di social housing sul territorio ceutano, probabilmente non hanno avuto il riscontro sociale adeguato, appunto perché il modello presentato, è lontano dalla cultura e dalle abitudini degli abitanti di religione mussulmana. Gli spazi della casa, come quelli esterni, sono vissuti in modo strettamente legato alle peculiarità tradizionali della loro religione. Studiarne l’origine e la sua applicazione nella cultura dell’abitare prevalentemente maghrebina, ha fornito gli strumenti necessari per comprendere il territorio. La seconda fase è stata eseguita durante il sopralluogo a Ceuta. Attraverso l’osservazione empirica e il rilievo si sono potute constatare molte peculiarità studiante in precedenza. Si è infatti osservato come alcuni principi insediativi siano mantenuti, non solo nella singola abitazione, ma nel complesso insediativo di alcuni quartieri di Ceuta, come ad esempio il Principe. Molti edifici ad esempio, privi forse di una progettazione architettonica approfondita, sorgono, in alcuni casi anche abusivamente, tramite l’autocostruzione, dove

si nota come, anche durante questo atto, sia intrinseca la cultura e il modo di abitare mussulmano. Sono stati quindi rilevati quei principi insediativi diffusi sul territorio che rispondevano alla tradizione, secondo, ovviamente, una declinazione dettata dalle caratteristiche orografiche e dalle possibilità economiche. Una campagna fotografica ha permesso poi una maggior approfondimento durante l’interpretazione progettuale. La terza fase è quella di progetto. L’approccio è stato incentrato sul valorizzare quegli elementi riscontrati sia nella tradizione che nell’osservazione sul campo, dandone la giusta interpretazione anche in uno scenario più ampio. Se nella cultura mussulmana non esiste il concetto di “social housing” esso viene declinato secondo le caratteristiche richieste, ma non del tutto denaturalizzato. Il tema del patio, ad esempio, è stato studiato anche nella sua versione europea, cercando la giusta risposta sul territorio ceutano. Oltre ai principi insediativi che sono divenuti i capisaldi della progettazione, è stato preso in considerazione anche un altro elemento, ossia la possibilità dell’autocostruzione. Questo tema è stato suddiviso in varie fasi. Ossia prevedendo delle possibili fasi di espansione che possano ampliare l’edificato in altezza. Attuali riferimenti come i progetti dell’architetto cileno Alejandro Aravena sono stati studiati per cercare una giusta interpretazione sul territorio. Vengono di seguito approfondite le varie

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fasi dell’iter progettuale.

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4.2.2 OSSERVAZIONE: IL SOPRALLUOGO

Dall’analisi dell’abitazione tipica araba sorgono interpretazioni progettuali sul ruolo che effettivamente ha oggi la tradizione nella tipologia architettonica dell’abitare nel mondo mussulmano. Questo processo di analisi nasce durante il sopralluogo a Ceuta, dove si è potuto notare come alcuni elementi sopra citati siano ampiamente diffusi, ma declinati. Vengono quindi di seguito descritti gli elementi riscontrati sul territorio, che hanno poi contraddistinto la matrice tipologica del progetto.

ne per espandersi, ma esso viene declinato sulle coperture piane, dove grandi terrazzi sono circondati da mura creando lo spazio che la tradizione richiede. Quasi tutte le abitazioni, infatti presentano questo spazio vuoto intercluso, come testimoniato dalla campagna fotografica in appendice. Durante la fase progettuale è stato data importanza prioritaria al patio, declinato anche nella sua versione a terrazzo, per permettere l’espansione verticale dei volumi.

IL PATIO

INTIMITÀ DOMESTICA E PROTEZIONE

Come si è studiato precedentemente, il ruolo del patio è probabilmente l’elemento che maggiormente caratterizza l’architettura mussulmana. È un vuoto circondato dalle mura, con lo scopo di includere, proteggere, collegare, viene riscontrato sul campo in base alle risposte che il territorio esige. Infatti l’orografia di Ceuta e le sue riserve naturali, limitano la possibilità di urbanizzare e di espandersi in larghezza all’interno del territorio, ed è quindi che si osserva come le abitazioni tendono a crescere in altezza, aggiungendo progressivamente piani all’occorrenza. Ad esempio il barrio de El Principe, luogo emblematico del proliferarsi della cultura marocchina sul territorio Ceutano, mantiene molte delle tipiche caratteristiche. Poche sono le case che mantengono il patio al piano terra, dato anche il poco spazio a disposizio-

Il ruolo della privacy nella cultura mussulmana è fondamentale. Gli spazi comuni in chiave europea non trovano risposta se insediati nel territorio mussulmano. Ad esempio le proposte di social housing che la cultura architettonica prevalentemente nord europea che la scena attuale offre, non offrirebbe lo spazio adeguato se imposto in un territorio dove questi tali spazi non sono vissuti. Si osservano infatti alcuni elementi che si sono riscontrati durante il sopralluogo. Uno di questi è ad esempio l’ingresso, esso non è mai diretto sulla strada principale, ma in molti casi, è presente un doppio ingresso, fatto in modo che il passante esterno non osservi mai all’interno delle abitazioni, nonostante esse siano lungo la cortina stradale. Le aperture inoltre al piano terra sono piccole e rare, crescono in altezza, all’allontanarsi dell’osser-

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vatore esterno. IWAN L’iwan come descritto precedentemente, è uno spazio in aggetto. Esso serve non solo a ricavare maggiore spazio allinterno delle singole stanza dell’abitazione, ma anche per creare delle zone d’ombra all’esterno. Si verifica come sul territorio di Ceuta, questa espressione architettonica sia diffusa, e come trova riscontro anche nelle operazioni post progettuali, è il caso ad esempio degli atti di autocostruzione. MASHARABIYA Questo tipo di schermature, come è stato decritto, vengono progttate non solo per una questione di privacy, ma anche per una soluzione climatica. Infatti impedendo l’irradiazione diretta, le sottili bucature permettono il passaggio dell’aria e una ventilazione naturale. Questo tipo di costruzione, ampiamente diffusa in tutta la cutura araba, trova una risposta a Ceuta solo in rari casi, ad esempio come schermatura di logge, terrazzi, dove è utilizzato anche come motivo decorativo.

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IL TEMA DEL PATIO NELLA CULTURA OCCIDENTALE Nella sfera occidentale il ruolo della corte nella residenza trova uno spazio compiuto maggiormente nelle residenze collettive, comparendo inizialmente intorno ai primi anni del 1900. La genesi della corte nell’architettura domestica, ha origini molto antiche e si declina in varie tipologie: dalle case a patio delle antiche città ellenistiche e romane, fino alla corte dei palazzi rinascimentali, lo spazio aperto racchiuso dalla casa è un elemento fisso riconoscibile, attorno al quale si organizzano gli spazi domestici e rappresentativi. Il ruolo della corte era quindi intercluso alla singola abitazione, spazio di un nucleo famigliare. È dal 900 in poi che la corte si declina come spazio comune collettivo che risale alla lettura degli impianti conventuali, che organizzavano le singole dimore dei frati intorno ad un cortile comune. Analogie si trovano anche in un altri tipi di impianti come ad esempio gli ospedali, i lazzaretti le caserme militari. Il ‘900 è stato il periodo storico in cui maggiormente il lavoro degli architetti si è incentrato sulla ricerca tipologica della residenza. A causa del rapido aumento della popolazione la questione abitativa è divenuta urgente in tutte le città europee, divenendo un dibattito a scala internazionale. “Sono molteplici i testi, le proposte, gli schemi, le realizzazioni e i dibattiti che tra il 1910 e il 1945 affrontano la riflessione sulle forme residenziali che devono corrispondere a un mondo soggetto a tali profonde trasformazioni. In un certo modo, quindi, è lecita la identificazione tra città moderna e proposte residenziali della architettura mo-


derna, poiché queste costituiscono la trama di fondo dalla quale emerge l’idea di città elaborata dalla cultura architettonica della prima metà del secolo XX” La tipologia a corte dell’inizio del ‘900 nasce quindi come soluzione di più nuclei famigliari con uno spazio comune, che attribuisce maggiore importanza alla collettività, distaccandosi dall’immagine individualista che aveva la casa unifamiliare. “Solo dopo aver tracciato il recinto l’uomo potrà riconoscere come proprio lo spazio che vi è racchiuso, solo allora tale spazio potrà essere abitato”. 28

28  Montedoro L.; Melotto B.; “Marrakech o dello spazio celato”; Maggioli Editore, Milano, 2011, cit. p. 52

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fig. 33

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fig. 38

fig. 39

fig. 40

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4.2.3 L’ANALISI: LA CASA ARABA

L’influenza principale della casa nella cutura araba è tradizionalmente sempre stata quella religiosa. La componente che caratterizza la residenza marocchina è la tipologia a corte, chiamata Dar, indice dell’idea di famiglia, delle sue regole e delle relazioni con l’esterno. Tutto ciò racconta uno specifico modo di vivere la famiglia e la collettività, i cui modi d’uso hanno radici profonde nella tradizione religiosa islamica, nel ruolo della donna nella famiglia e nella società e nelle usanze della convivenza sociale, definiti per secoli nelle città islamiche. Un’ulteriore riflessione da sviluppare intorno all’abitare islamico emerge all’aspetto climatico. “La maggior parte del mondo musulmano è in zone aride e semiaride ai confini dei grandi deserti del mondo, il Sahara, il deserto Arabo, il deserto del Gobi. È in queste zone che è nato l’Islam, ed è tradizionale e giusto pensare ai deserti di sabbia e di terra, paesaggi montagnosi sterili o tipici della steppa, vaste oasi o fiumi solitari, scarsamente alimentati d’acqua quali spazi caratteristici dell’Islam , e come spazio che ha ispirato le sue idee e la sua immaginazione”. 29 Il linguaggio morfologico dell’architettura nelle regioni arabe si traduce come una 29  Grabar O., “Le tradizioni architettoniche e urbane nel mondo islamico.”, Architettura nei Paesi Islamici, seconda Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale, Venezia 1982, cit. p. 17 - Citato in “Marrakesh o dello spazio celato” Montedoro L.; Melotto B., Maggioli Editore, Milano 2011, cit. p.51

risposta alle esigenze del luogo, con caratteristiche differenti in base alla reperibilità dei materiali locali e al contesto climatico che l’accoglierà. Le proporzioni e il numero delle aperture aumentano con l’elevarsi della costruzione, ricercando luce e aria. (Melotto e Montedoro 2014) Nonostante le varie declinazioni, la casa islamica è sempre stata associata alle case a corte. “Admittedly the courtyard house is the most common form in many parts of the Muslim world, especially in the traditional heartlands of Islam…There are those, consequently, who have maintained that it is particularly Islamic, that its design has a cosmic, or archetypal, significance in Arab Muslim environments.” 30Si riconosce il valore delle case a corte come principale tipologia abitativa, pur nelle sue numerose variazioni. Secondo la tradizione tipologica della casa araba, lo spazio vuoto a cielo aperto è al centro, attorno alla quale si dispongono tutti gli spazi dell’abitazione, ognuno dei quali ha l’accesso diretto nel

30  “Effettivamente la casa a corte è la forma più comune in molte parti del mondo musulmano, specialmente nelle roccaforti tradizionali dell’Islam...Ci sono coloro, quindi, che hanno mantenuto questa particolarità islamica; il suo design ha un significato cosmico, o archetipo, nell’ambiente musulmano arabo.” Campo, Juan Eduardo. The Other Sides of Paradise: Explorations into the Religious Meanings of Domestic Space in Islam. South Carolina: University of South Carolina Press, 1991, cit. p. 94

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Dar. Spesso al centro del patio si trovava una fonte d’acqua e della vegetazione che serviva per mantenere una certa umidità durante i periodi più aridi e asciutti e per assicurare frescura. Il patio è l’elemento connettore della casa, per accedere agli altri locali è necessario attraversarlo. Lo spazio aperto circondato da un recinto, come fulcro organizzativo, racconta uno specifico modo di abitare dei contesti islamici. Il patio diviene simbolo della morfologia architettonica araba, utilizzato anche negli spazi pubblici, come spazio privato ma collettivo, il cortile diventa simbolo anche in moschee e medersa, che si organizzano in modo simile attorno al vuoto centrale. Storicamente anche l’hammam pubblico si sviluppa intorno ad uno spazio centrale, seppur coperto, che organizza i locali adiacenti. (Melotto e Montedoro 2014) La casa a patio trova le sue declinazioni in base allo status della famiglia, le sue origini, la sua occupazione, le quali sono mostrate in base alla dimensione della casa e alla presenza di più spazi aperti, ma anche le case più umili sono organizzate dal vuoto, circondato da un recinto, vera e propria estensione all’aperto dello spazio domestico, come il centro della vita famigliare. La casa si apre sul patio, quasi a volersi chiudere dal mondo esterno, dove regna il silenzio, in contrapposizione con il caos e il rumore delle città tipiche arabe. La natura introversa dell’abitazione mussulmana è strettamente legata al ruolo della donna nella famiglia islamica. La casa stessa si identifica con la figura femminile, sia perché è riconosciuta come fautrice del funzionamento della famiglia sia perché la struttura patriarcale del sistema famigliare islamico, dettato da varie interpretazioni

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religiose, tende a identificare la casa stessa come il luogo della segregazione femminile. Tradizionalmente, ci sono delle aree della casa che sono esclusivamente delle zone riservate alle donne, come verrà descritto più nello specifico in seguito, ma ad esempio il terrazzo è sempre stato un luogo dove le donne svolgono le faccende di casa, come stendere i panni, e si formava, ad una quota superiore, un mondo esclusivamente femminile, dove le donne potevano comunicare da un terrazzo all’altro e creare uno spazio di condivisione che agli altri membri della famiglia non c’era accesso. Con il passare del tempo i muri perimetrali dei terrazzi si sono alzati, delimitando lo spazio della donna ad un isolamento maggiore, la casa così identificata come luogo del confino femminile. Le tradizioni culturali, religiose e il clima, formano i principi insediativi e tipologici dell’abitare musulmano declinato allo sviluppo socio-culturale di ogni contesto. I muri esterni hanno poche e piccole aperture. Questo permette di proteggere l’intimità domestica dall’esterno.

Alcuni esempi di principi insediativi della


casa vengono descritti di seguito. Per questa analisi sono stati presi in riferimento vari testi, tra cui principalmente la tesi del Dipartimento di Architettura della Scuola di Architettura dell’Arkansas di Hanna Ibrahim, intitolata “the Contemporary Islamic House”.

preghiera quotidiana, la meditazione, discussioni o altre attività religiose. Deve essere uno spazio inclusivo e chiuso quando una persona sta meditando, e che allo stesso tempo possa essere aperto per poter permettere ad altre persone di pregare collettivamente.

INGRESSO

DONNE E UOMINI

+

L’ingresso nella casa non deve essere diretto, ma un muro di separazione dovrebbe prevenire l’intrusione immediata negli spazi familiari.

Ci sono delle zone della casa che sono ad uso esclusivo femminile. Le donne possono accedere a tutte le zone della casa, mentre quelle destinate esclusivamente a loro non sono accessibili all’intrusione maschile.

MUSSALAH

NICCHIA “…it appears that generally in Islamic architecture the simple line of a wall or a level ceiling is too sharp an edge for Islamic taste, and the vertical edges of a building separating it from the outside world on its sides are rarely kept at 90 degrees or less, but are recessed or protruding with broken surfaces aimed at lessening the impact of the cut-off in God’s space shared by all hu+ mans.” 31

Mussallah spazio progettato per la fig. 41 - 42 - è43uno schemi esplicativi

31

Spahic Omer, Studies in the Islamic Built

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+

+

L’Iwan è un aggetto che si sporge verso l’esterno o generalmente verso la corte interna. L’Iwan crea anche delle zone d’ombra e riparo in caso di pioggia.

MASHARABIYA

Le logge e le nicchie, raccontano un modo di vivere fatto di angoli e di spazi intimi, dove ogni componente della famiglia trova il suo ruolo. Ad esempio di fronte all’entrata si trova il bohou. IWAN

Masharabiya si intende un tipo di schermatura che crea delle aperture che permettono di usufruire della ventilazione e prevenire l’irradiazione solare diretta. È inoltre utilizzato per garantire la privacy in quanto è possibile vedere dall’interno verso l’esterno ma non viceversa. 32 +

Environment. Malaysia: Research Centre, IIUM, 2004, cit. p. 179.

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32  Ibrahim H.; “The Contemporary Islamic House”; Department of Architecture in School of Architecture, University of Arkansas, 2012


Solitamente, i patii centrali sono ad una quota inferiore rispetto alla quota interna. Tradizionalmente è incavato per evitare l’infiltrazione delle acque e come simbolo di demarcazione della zona dove non devono essere indossate le scarpe. PATIO RIBASSATO

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Solitamente, i patii centrali sono ad una quota inferiore rispetto alla quota interna. Tradizionalmente è incavato per evitare l’infiltrazione delle acque e come simbolo di demarcazione della zona dove non de-vono essere indossate le scarpe.

fig. 47 schemi esplicativi

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4.2.4 INTERPRETAZIONE: IL PROGETTO

Dopo la fase 1 e la fase 2, in cui si sono studiati e analizzati i caratteri tipici della casa araba, e considerato quali di essi sono presenti nel tessuto urbano di Ceuta, ha iniziato la fase 3, ossia quella progettuale. Il concept progettuale nasce dalla definizione di cinque regole. In primis riguarda l’impianto insediativo. L’area di progetto è circondata da un circuito stradale, è stato quindi scelto di porre un percorso non carrabile di 9 metri di larghezza che collega la scala che porta al mercato con l’ingresso nord del progetto. Questo asse si incrocia con altri percorsi minori di 6 metri che portano agli ingressi delle residenze e con una piazza nella zona sud che si conclude con un collegamento alla rampa progettata che conduce al parco vicino al mercato. Gli ingressi delle residenze sono posti lungo l’asse principale, in modo da mantenere una maggiore privacy e sicurezza. La seconda regola definita riguarda il patio e l’intimità domestica: infatti considerato elemento base di ogni cellula abitativa, il patio ha dimensioni di 6x3 m. Per porre particolare attenzione anche alla protezione domestica, che come si è visto, è elemento molto importante della casa araba, si è deciso di non installare mai due patii vicini, ma farli intervallare ad ogni nucleo abitativo. Al secondo piano, i patii vengono disposti in senso ortogonale rispetto a quello del piano terra in modo tale da non avere troppa esposizione sul patio al livello inferiore, ed inoltre è stato progettato un dispositivo di sedute che,

poste vicino al lato corto che si affaccia sugli altri patii, impediscono uno sguardo diretto su di essi. Il patio al piano terra, è sempre posto ad una quota di -16 cm al di sotto della soglia stradale, sia per seguire la tradizione, che per evitare dei muri contenitivi di altezza superiore di 1.80 m, altezza predisposta per impedire ai passanti di poter osservare all’interno. Una terza regola predisposta per mantenere un legame con la tradizione e con il rispetto dell’intimità domestica è l’introduzione del masharabiya, ossia delle schermature che favoriscono la ventilazione naturale, ma impediscono l’irradiazione diretta del sole all’interno dello spazio abitativo, impedendone anche gli sguardi indiscreti dall’esterno. Il modulo base della cellula abitativa ha dimensioni base in ogni appartamento che possono modificarsi attraverso l’introduzione di aggetti e rientranze, secondo la tradizione architettonica araba della casa araba. L’ultima regola definita è quella di prevedere una futura espansione dei nuclei abitativi: infatti nelle famiglie mussulmane spesso le generazioni dei figli si stabiliscono vicino alla casa dei genitori, in un sistema di famiglia patriarcale, quindi è stata prevista una possibile espansione verticale in cui si aggiungono dei nuclei abitativi ai piani successivi. Il modulo di base è quindi di due piani, con la possibilità di autocostruzione in futuro. Si rimanda alle tavole di progetto.

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RIFERIMENTI PROGETTUALI

Di seguito vengono proposte alcuni riferimenti progettuali, che hanno suggestionato le scelte tipologiche. Sono stati presi in analisi riferimenti sia che riguardano la tipologia tipica della casa araba che la casa a patio nella cultura occidentale, soprattutto nel Mediterraneo. Attraverso le immagini selezionate dei progetti si possono contraddistinguere quegli elementi che sono stati approfonditi e considerati come delle giuste interepretazioni per il pogetto di tesi. Alcuni esempi, come quello il progetto di Siza ad Evora, sono stati molto utili anche per comprendere la realizzazioione del masterplan, in un impianto urbanistico piĂš ampio.

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Quinta Da Malageira Evora, Spain Alvaro Siza 1977 | 1992 Nel progetto di Alvaro Siza sono evidenti regole edilizie che si ripetono in tutto l’intervento: maglia dei lotti di 8x12m; altezza del muro su strada di 3,5m, altezza massima degli edifici di 6m, larghezza delle strade fino a 6m. Grande importanza in questo insediamento, rivestono i diversi tipi di linguaggi urbanistici ed architettonici sviluppati ed utilizzati sulle diverse scale di intervento, perseguendo l’obiettivo di riproporre i caratteri del paesaggio urbano. Grande importanza in questo insediamento, rivestono i diversi tipi di linguaggi urbanistici ed architettonici sviluppati ed utilizzati sulle diverse scale di intervento, perseguendo l’obiettivo di riproporre i caratteri del paesaggio urbano. Su scala architettonica mantiene un linguaggio definibile vernacolare tenendo in considerazioni molti elementi dell’architettura vernacolare della regione dell’Alentejo. Come ad esempio il grande patio interno, centro nevralgico delle attività domestiche della popolazione. fig. 1 masterplan

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fig. 2 pianta e prospetti - fig. 3 foto esterni

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Social Housing In Sa Pobla Mallorca, Spain Ripolltizon Estudio 2012 Il progetto è realizzato con un sistema di residenze raggruppate, dando molto rilievo alla scala domestica. Le unità abitative partono tutte da un modulo base, ad altezza singola o doppia, che include il soggiorno, la sala da pranzo e la cucina. A questo poi si aggiungono altri moduli minori che ospitano le stanze da letto, i bagni e gli ambienti di servizio. Le diverse possibilità di aggregazione dei moduli, dal punto di vista formale e quantitativo, determina logiche spaziali flessibili, per cui ogni casa è considerata come un’unità indipendente e allo stesso tempo parte di un gruppo.

fig. 4 attacco a terra

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fig. 5 particolare spazi esterni - fig. 6 prospetto esterno - fig-7 particolare patio privato

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A2m Social Housing Marina di Ragusa, Italia Nunzio Gabriele Sciveres 2005 | 2012 Il principio del proetto di Sciveres, è la ricerca delle migliori condizioni di comfort ambientale e qualità dello spazio domestico. Il programma costruttivo prevede un’aggregazione delle case a schiera limitando le possibilità d’intervento. Eppure il vincolo della “schiera” diventa un’opportunità se considerato in funzione delle caratteristiche fisiche dell’area: si decide di disporre le unità con il lato lungo ortogonale rispetto alla direzione nord-sud ed alla linea di massima pendenza. Questa disposizione coniuga al meglio le esigenze di soleggiamento e ventilazione naturale, di ampliamento della vista verso il mare e di maggiore privacy degli spazi esterni.

fig. 8 masterplan

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fig. 9 prospetto - fig. 10 - 11 foto esterni

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Dar Mim Hammamet, Tunisia Septembre 2014 Dar Mim è basato sui principi della tipica casa araba. Lo scopo del progetto è quello di mantenere la struttura tipica della casa a patio e di organizzare tutte le funzioni della casa attorno questo spazio, creando una moltitudine di spazi verticali e orizzontali. Rilevante importanza è stata all’utilizzo di materiali e delle tecniche costruttive locali, giocando con i pieni e vuoti e favorendo la ventilazione naturale.

fig. 12 pianta attacco a terra

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fig. 13 sezione - fig 14 prospetto esterno

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QUINTA MONROY IQUIQUE, CHILE ALEJANDRO ARAVENA 2004 La strategia progettuale che promuove l’architetto cileno Alejandro Aravena e la società Elemental è quello della tipologia abitativa aperta. Aravena sostiene che, invece di ridurre le dimensioni dell’alloggio medio al fine di contenerne il costo, Elemental progetta solo la metà essenziale ciò che gli abitanti non sono in grado di realizzare da soli con elevati standard qualitativi, ossia la struttura portante, l’involucro, la copertura, gli impianti e le stanze di servizio con acqua corrente; l’altra metà, il vuoto che rimane, lo spazio non costruito, sarà in seguito completato secondo le possibilità, le esigenze ed il gusto di ciascuno. Il progetto pilota è Quinta Monroy.

fig. 18 pianta

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fig. 19 foto prima dell’espansione

fig. 19 foto dopo espansione

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4.3 PROGETTO DI UN NUOVO MERCATO

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4.3.1 IL MERCATO: ITER PROGETTUALE

Il progetto del mercato è frutto di un processo che inizia con lo studio delle origini del mercato sia arabo che europeo, il quale è servito a cogliere le differenze tra le due culture sotto l’aspetto dei luoghi di vendita per poterle reinterpretare. Ceuta è una città di frontiera e come tale in essa convivono varie eterogeneità, il mercato è il punto di incontro per tradizione, in quanto spazio dove avvengono degli scambi, di merce ma non solo. Alcuni fenomeni della cultura magrebina, che hanno avuto riscontro anche durante l’osservazione sul luogo e che sono stati quindi identificati come comportamenti diffusi sul territorio, sono stati ripresi e integrati nel progetto come anche altri di quella europea. Ad esempio, osservando la pratica diffusa nell’attività di vendita di esporre la merce non su strutture predefinite ma più liberamente sui marciapiedi o dove la strada lo consente, si è cercato di mantenere questa caratteristica anche nel progetto fornendo spazi pavimentati adeguati. Il seguito del processo progettuale è stato lo svolgimento nel sopralluogo, grazie al quale è stato possibile ampliare le conoscenze e confermare le analisi effettuate. Si è constata la presenza di una caratteristica

commerciale particolare presente in questa città: la formazione del mercato informale nei pressi della frontiera tra Marocco e Ceuta che si sviluppa in entrambi i passi di confine, uno a Sud, El Tarajal, l’altro nel lato opposto. L’osservazione del fenomeno quindi si è limitata solo al primo passo. Infine, le caratteristiche a nostro parere più adeguate al contesto sono state interpretate per inserirsi in esso in modo armonico e fornendo alla città uno spazio sia di incontro e ritrovo, riattivando la zona e attirando non solo gli abitanti della residenza di progetto ma anche chi vive nei pressi del lungomare, sia di scambio di prodotti. Come integrazione dell’edificio commerciale è stato pensato un parco come luogo in cui poter sostare e svolgere attività all’aperto. Questo iter si può riassumere in tre fasi: - l’osservazione diretta sul campo - lo studio critico del mercato tradizionale sia arabo sia europeo - la realizzazione del progetto. Vengono di seguito approfondite le varie fasi dell’iter progettuale.

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4.3.2 OSSERVAZIONE: IL SOPRALLUOGO

Una delle fasi dell’approfondimento è stata quella del viaggio a Ceuta per avere la possibilità di osservare più da vicino la città e gli elementi studiati. Abbiamo precedentemente spiegato quanto sia importante il commercio in questa exclave, non solo per Ceuta stessa ma anche per il Marocco; abbiamo detto di come ci sia un movimento di abitanti provenienti da Tetouan, i quali hanno un permesso speciale di ingresso a Ceuta di ventiquattro ore e che grazie alla possibilità di comprare articoli a un costo minore intraprendono un fiorente commercio con i mercati e suq urbani della zona. In particolare molti dei prodotti vengono venduti a Fnideq, piccola città sviluppatasi oltre la frontiera tra Spagna e Marocco che si può definire una sorta di estensione di Ceuta. Qui abbiamo percorso il viale principale del paese, un piccolo suq, nel quale gli edifici al piano terra sono botteghe e i piani superiori sono ad uso abitativo. Questi negozi hanno una parte interna di vendita ma si estendono anche sul marciapiede rendendo più visibile la merce. Si vende qualunque tipologia di prodotto dal cibo, ai vestiti, agli oggetti elettronici.Una situazione di mercato informale è pre-

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sente anche vicino alla frontiera di Ceuta, come descritto precedentemente, nel Tarajal. Abbiamo descritto come quest’area sia molto congestionata a causa del traffico dei veicoli e del passaggio dei porteadores. Va precisato che questo mercato, data la sua peculiarità di essere informale, probabilmente non avrà vita per sempre; aver colto questo aspetto ci ha aiutato nella scelta di un mercato come elemento di progettazione, perchè abbiamo voluto provare anche a risolvere questo problema di eccessiva concentrazione alla frontiera, delocalizzando il mercato in una zona non lontana dall’ingresso in città, o perlomeno non contigua. Questo è stato fatto per spostare i flussi ma anche per avvicinarsi maggiormente al centro della città, verso la parte più ricca e per ricucire il tessuto in un punto sfrangiato e disconnesso.


4.3.3 ANALISI: IL MERCATO NELLA TRADIZIONE ARABA

Nell’Africa del Nord il mercato detiene una grande importanza; con il termine suq i popoli islamici indicano il luogo della vita commerciale e rappresenta il centro di ritrovo cittadino, un luogo di incontro e di contatti. E’ uno dei tre centri funzionali della città musulmana, gli altri sono la Moschea e il Palazzo del Potere, con la differenza che gli ultimi due si trovano al centro della città; il suq invece si sviluppa lontano da questo per non influenzarlo con rumori od odori. Può occupare una piazza, oppure estendersi lungo un gruppo di vie o anche in un intero quartiere. [E’ vitale perché sullo scambio si basa l’economia rurale berbera ma anche perché da sempre ha regolato i rapporti sociali fra nomadi e sedentari, le due categorie sociali che compongono la popolazione marocchina, che compensano così l’insufficienza dei prodotti locali. Infatti, la vita nel Marocco presahariano è particolarmente difficile a causa delle problematiche legate al terreno e alla scarsità delle piogge irregolari, che rende ardua la coltivazione del terreno e quindi provoca la carenza di alcuni prodotti alimentari che vengono integrati dalle popolazioni nomadi che si spostano con i loro bestiami alla ricerca di terreni adatti al pascolo. La vendita nei

suq dei prodotti del bestiame è una delle risorse principali dei nomadi. Il mercato nel contesto Nord-Africano risale all’epoca pre-islamica; inizialmente era il luogo in cui si portavano gli animali da vendere successivamente si è allargato anche alla vendita di altri tipi di merci. La collocazione dei suq in alcune strade della città o in un quartiere stesso, deriva dall’espansione nel corso dei secoli del concetto di mercato classico della città in epoca romana e bizantina, che vedeva l’unificazione dell’abitazione dell’artigiano con la sua officina che era anche il luogo della vendita del prodotto finale. Il suq si può vedere come una sorta di erede dell’agorà greca e del forum romano poiché conserva alcuni dei loro tratti caratteristici: le botteghe disposte una di fianco all’altra, la divisione in corporazioni e anche le strade porticate. Allo stesso tempo detiene una sostanziale differenza da questi dal momento che la componente politica, presente sia nel forum che nell’agorà, centri di attività politiche, sociali e giudiziarie, è assente e si svolge nella ğama‘a o nella dar al-imarat (casa del governatore), invece le attività sociali e giudiziarie si svolgono all’interno della Moschea.

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Esistono due tipi di suq, quello rurale e quello urbano e differiscono in alcuni punti. Innanzitutto sotto l’aspetto dell’insediamento: il suq urbano è un insediamento fisso, la vendita di merci avviene in edifici e in botteghe perciò ha carattere giornaliero ed è possibile frequentarlo da mattina a sera, rendendo la propria attività molto intensa; il suq rurale si insedia invece lontano dalla città, in campagna e avviene una volta alla settimana svolgendosi solo di mattina. Anche i prezzi presentano una differenza in quanto nei mercati di città le corporazioni hanno un funzionario, il sahib al- suq, addetto al controllo mentre in quello rurale i venditori scelgono autonomamente il prezzo da fissare liberamente. In alcuni casi un suq rurale può evolversi in un suq urbano seguendo vari stadi. Il primo di questi consiste nella costruzione di alcuni elementi amministrativi vicino a quella di botteghe, ad esempio avviene nelle regioni pastorali come i paesi di Zaïan e Molouya, per concludersi in una progressiva espansione che vede la realizzazione di costruzioni abitative formando un piccolo villaggio. L’impianto del mercato è dato dalla differenza di merci vendute: si sviluppa all’interno di mura di protezione ed ha un andamento concentrico verso l’esterno, in cui i prodotti non deteriorabili (ad esempio profumi ed oggetti d’oro) occupano una posizione centrale, quelli a impatto medio come nel caso di calzature, tessuti, alimen-

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ti aridi, si collocano nel secondo cerchio ed infine gli alimenti deteriorabili e più inquinanti, quali pesce, carne, latte, si trovano nel cerchio più esterno per agevolare la loro sostituzione quotidiana ed evitare il congestionamento dell’interno. http


Il MERCATO TRADIZIONALE EUROPEO

Il termine mercato deriva dal termine greco macellon e dal latino macellum. Le origini del mercato greco si possono ricercare in quei luoghi di vendita che in epoca arcaica sorgevano spontaneamente o lungo le strade o presso anche i luoghi di culto, delle sorte di piazze mercantili con il nome di agorai ephioriai. Inizialmente lo svolgimento del mercato era associato all’agorà, la piazza greca nella quale si convogliavano tutte le attività politicche, economiche e commerciali della polis, ma a partire dall’epoca ellenistica si può dire che ci sia stata una separazione delle attività politiche, che rimanevano nell’agorà vera e propria, da quelle commerciali, che vengono invece spostate in un’agorà chiamata empòrion. A partire da questa epoca quindi, è anche possibile identificare gli aspetti architettonici del mercato i quali si riconducono a una pianta di forma rettangolare chiusa da portici con gli elementi di vendita posizionati sotto di essi e rivolti verso la piazza. Questi elementi identificativi, così come anche il tentativo di scissione delle funzioni sono anche gli stessi del Foro romano, dove le botteghe sotto i portici sono chiamate tabernae e dove al centro della piazza sorgeva una costruzione circolare o poligonale, il tholus macelli, dotato di co-

pertura a cupola e una vasca nel mezzo. Il mercato della nostra tradizione è differente già nell’aspetto della sua posizione rispetto a quello islamico poichè occupa una posizione centrale nella città, in quanto luogo di aggregazione e di ritrovo. Deriva dall’agorà greca e dal foro romano, luoghi che erano il centro politico, economico e commerciale della polis. Nella nostra epoca il mercato non ha più funzione di centro aggregativo della vita cittadina, ma, data la vasta espansione delle metropoli e la nascita della necessità di avere più spazi di vendita, assume una specifica destinazione e viene ubicato in strutture apposite. Il mercato quindi diventa un elemento architettonico vero e proprio con funzioni, impianti uffici e tutto ciò di necessario al suo funzionamento.

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4.3.4 INTERPRETAZIONE: IL PROGETTO

La scelta progettuale del mercato deriva dalla volontà di fornire alla nuova residenza un servizio a sua disposizione ma anche a disposizione della città stessa di Ceuta. Analizzando l’area presa in considerazione infatti, si è notato come il lotto scelto si collochi in una posizione favorevole e di passaggio, facilmente raggiungibile da un punto di vista carrabile. Le due lunghe scalinate preesistenti che caratterizzano il dislivello tra il mercato e le residenze, sono state mantenute come tali in quanto elemento di collegamento fisico tra le due zone e rese più praticabili grazie all’inserimento di una piantumazione regolare che ombreggia. Inoltre questo elemento architettonico è stato rafforzato anche da una rampa di progetto, che permette una salita e una discesa più agevole e panoramica, con punti di sosta da cui è possibile godere della vista del mare. L’opzione di progettare un mercato piuttosto che un altro tipo di servizio è anche il risultato delle considerazioni svolte sull’importanza che le merci ricoprono in questa città di frontiera. E’ un elemento riconoscibile che per dimensione si differenzia dal tessuto residenziale, di dimensione notevolmente inferiore. La posizione e l’orografia hanno influito sul suo disegno e la sua forma: l’area di

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progetto è posizionata tra una parete di roccia di una altezza pari circa a 15 mt e una strada carrabile. E’ stato quindi considerato come fronte la parete di roccia e come retro la strada, da cui proviene l’idea di chiudersi sul fronte Sud della strada, anche per un discorso relativo all’irraggiamento, e di aprirsi su quello Nord, andando a formare una zona di vendita protetta ed interclusa. Il prospetto Sud è caratterizzato da una certa rigidità e chiusura ma ha la possibilità di variare aspetto durante le ore della giornata in alcuni suoi punti grazie alla presenza di listelli verticali orientabili a seconda della esigenza di schermatura interna che permettono o meno il passaggio della luce solare. Questa sua rigidità è stata espressa anche in pianta con la scelta di posizionare su questo lato delle aree di vendita chiuse all’interno di una muratura anche con funzione portante. Il prospetto Nord invece è completamente aperto, rivolto verso la montagna e non presenta murature ad eccezione di alcuni setti di sostegno che ne scandiscono anche il ritmo in facciata, per renderlo totalmente permeabile da quel lato e in connessione con il disegno di spazi aperti antistante, pensato come prolungamento del mer-


cato stesso e con aree pavimentate che all’occorrenza possono essere impiegate anch’esse per la vendita. Questo spazio che si forma tra il mercato e la roccia è il punto di approdo di una delle due scalinate, sottolineandone il collegamento diretto e l’accesso al sistema; la seconda scalinata invece termina in un parco dallo sviluppo longitudinale e che si allunga verso il mercato, per avere un filtro verde vista la vicinanza con la strada. Per distanziarsi maggiormente da essa, alcuni elementi di contenimento del verde hanno una leggera pendenza che digrada verso la strada facendo da filtro. Le scalinate sono collegate anche tra di loro tramite un percorso. In pianta il mercato è attraversato da un camminamento centrale che scandisce anche le due aree designate alla vendita, quella in muratura verso la strada che forma una fascia orizzontale in cui si inseriscono i servizi e i negozi e quella verso l’interno che invece è caratterizzata da settori di vendita disposti più liberamente che possono essere anche rimossi in caso di necessità. Da questo lato il disegno è anche spezzato da tre patii con alberature e schermature in cui poter sostare, per enfatizzare il suo carattere di apertura e per raffrescare la struttura come da tradizione. Il blocco di servizi opposto alla disposizione libera di bancarelle è stato progettato anche per differenziare i prodotti di vendita, reinterpretando la struttura del suq arabo e

la sua differenziazione: se nel mercato arabo i prodotti deteriorabili vengono venduti all’esterno, nel nostro caso gli spazi destinati a questi prodotti sono posizionati nella parte a nord in banchi appositi per facilitare il posizionamento della merce. Strutture apribili permettono invece la vendita di prodotti alimentari già cucinati, mentre invece le strutture in muratura sono adibite alla vendita di articoli che possono durare nel tempo. Una serie di percorsi laterali che si innestano su quello centrale rendono il mercato percorribile in entrambe le direzioni e ne agevolano l’attraversamento. Uno di questi attraversamenti laterali si allarga per segnalare l’accesso principale, raggiungibile sia dal lato della strada che da quello della scalinata, e divide in due volumi l’edificio permettendo una variazione di altezza in uno dei due che non sia eccessivamente impattante. Uno dei due volumi che si formano è a tripla altezza, rendendo così visibile il progetto anche da prospettive differenti e da diversi punti e allo stesso tempo permettendo un affaccio sul paesaggio alle quote superiori incorniciandolo con delle aperture. In questa parte il piano terra e il primo sono sempre adoperati per il mercato, l’ultimo piano invece accoglie un bar. Il mercato presenta una scansione orizzontale in facciata perché è rivestito nella fascia superiore da una pelle in lamiera

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metallica aggettante di 50 cm, che ricopre la funzione di facciata ventilata capace di garantire comfort bioclimatico e allo stesso tempo concede pesantezza al volume. E’ presente in tutti i prospetti e conferisce alla parte sottostante maggiore leggerezza oltre che a un gioco di ombre che da movimento alla facciata; questa bipartizione si legge con maggiore chiarezza a Nord, dove la muratura piena è assente e la presenza dei soli setti produce uno svuotamento in forte contrasto con la pelle. Nel prospetto a Sud invece, per permettere lo stesso gioco anche da questo lato, un taglio tra la fine della muratura e l’inizio della pelle accentua le due fasce e lascia entrare luce e aria. La copertura è a falde inclinate in lamiera grecata sorretta da una struttura metallica con travi reticolari, la quale ha l’unica funzione di sorreggere copertura e pelle metallica. La unitarietà dell’elemento conclusivo è spezzata dalle bucature in corrispondenza dei patii, altra fonte di ingresso di luce e aria all’interno degli ambienti di vendita. Un corretto ricircolo di aria è garantito anche grazie all’effetto camino fornito da un sistema di aperture in copertura.

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4.3.5 RIFERIMENTI PROGETTUALI

Di seguito vengono proposte alcuni riferimenti progettuali, che hanno suggestionato le scelte tipologiche del mercato. Sono stati presi in analisi diversi elementi che caratterrizzano sia il mercato tradizionale marocchino che il mercato occidentale, partendo dal tema delle coperture, fino ai elementi di vendita.

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Mercado De Abastos Y Acabado Superficial Alicante, Spain Solid Arquitectura S.l. 2016

L’edificio occupa un’area al centro della città storica, dove sorgeva il mercato antico. Lo scopo del progetto è realizzare un luogo in ombra con una pelle che lasci passare luce e aria e che abbia una relazione di permeabilità tra esterno ed interno. Riprendendo il concetto di mercato che si svolge nelle piazze pubbliche, il progetto permette pur essendo un volume chiuso l’idea di spazio pubblico.

fig. 21 pianta attacco a terra

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fig. 22 foto interni

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Mercado Municipal De Atarazanas Malaga, Spain Aranguren & Gallegos, 2013

Opera di recupero dell’antico Mercato Centrale di Abastos de Atarazanas della fine del XIX secolo, e di sostituzione degli elementi di vendita. E’ un edificio unico con la struttura in ferro, spazio commerciale al piano terra, a livello della strada e suddiviso in tre aree in base ai prodotti di vendita (frutta e verdura, pesce, carne).

fig. 22 schema attacco a terra

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fig. 23 - 24 - 25 particolari interni

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Mercado Di Santa Caterina Barcellona, Spain Enric Miralles, Benedetta Tagliabue 2004

Il progetto del mercato di Santa Caterina è la riqualificazione del vecchio mercato rionale del 1848 sui resti di un convento del 400. La caratteristica che lo rende un’icona per la città è la copertura che si estende dal perimetro del mercato fino a piazza Cambò, dove si concentrano i maggiori flussi pedonali. La progettazione degli elementi architettonici è particolare in quanto hanno una geometria irregolare e quindi realizzata su misura. La nuova struttura non è legata al resto da un punto di vista statico e questo permette una certa flessibilità in caso di variazione funzionale.

fig. 26 pianta attacco a terra

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fig. 27 sezione

fig. 28 particolare copertura

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Mercato Nuovo Celje, Slovenia Arhitektura Krušec 2010

Il muovo mercato si trova nel cuore della città; è disegnata come una sorta di piazza coperta connessa allo spazio circostante. Presenta una grande tettoia che copre sia lo spazio chiuso del mercato, sia quello dei banchi dei venditori. E’ stato scelto un colore tenue per far risaltare il colore della merce.

fig. 29 pianta attacco a terra

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fig. 30 vista esterna

fig. 31 particolare banchi di vendita

fig. 32 vista interna

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Piazza Jemaa El-Fnaa Marrakech, Marocco

Piazza di Marrakech attorno alla quale si sviluppa la Medina, a Nord di essa si trovan il quartiere dei suq, a Est la Qasba e a Sud-Ovest la Moschea della Koutoubia. Questo spazio presenta un duplice aspetto che varia durante il corso della giornata: di giorno è sede di un vasto mercato all’aperto, chiamato suq, dove e zone di vendita sono divise in modo ben preciso a seconda dei prodotti, nel tardo pomeriggio subentrano danzatori, musicanti e maghi e infine verso sera le bancarelle vengono smantellate per lasciare spazio a banchetti per consumare varietĂ di cibi. fig. 33 particolare vista interna

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fig. 30 particolare vista esterna

fig. 34 particolare vista notturna

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CONCLUSIONE

Alla fine di un percorso così importante e complesso come quello dell’elaborazione di una tesi, ci si guarda indietro e si riflette su tutte le tappe che hanno portato alla definizione del progetto. Il nostro intento iniziale è stato quello di voler indagare su un argomento attuale come quello dei flussi immigratori, delle frontiere chiedendoci quale potrebbe essere la risposta dell’architettura e dell’urbanistica a questa emergenza. Inizialmente siamo partiti da uno studio delle frontiere in Europa, anche quelle erette negli ultimi mesi, e delle conseguenze che portano sul territorio sia di frontiera che nelle città limitrofe. La scelta di approfondire il ragionamento su Ceuta, è stata suggerita dalla complessità territoriale della città, e dal fatto che fosse un contesto che da molti anni vive queste problematiche legate ai flussi immigratori. Il sopralluogo è stato decisivo nell’affrontare la fase progettuale, e probabilmente se non fossimo andati direttamente a Ceuta, non avremmo avuto lo stesso risultato. L’obiettivo iniziale che ci siamo posti, anche insieme all’aiuto della nostra relatrice prof.ssa Montedoro, è stato quello di definire una strategia progettuale che potesse essere applicabile anche ad altre città di frontiera con problematiche simili a quelle

di Ceuta. L’emergenza principale che abbiamo riscontrato è la presenza di quartieri esclusi dal tessuto cittadino in cui mancano servizi e una risposta residenziale adeguata alla domanda. L’area di progetto scelta secondo le analisi, è un vuoto urbano che si trova tra- i quartieri segregati in cui vivono prevalentemente immigrati di origine marocchina, con il tessuto urbanizzato occidentale.Il nostro intento è stato di generare un processo inclusivo, rispondendo alle emergenze in corso, attraverso la progettazione di un social housing che possa rispondere alle necessità delle persone che vivono nella zona, e di un mercato che sia punto d’incontro tra le due culture presenti. Non sappiamo se il nostro obiettivo iniziale sia stato raggiunto, però abbiamo cercato di confrontarci con un tessuto urbano molto complesso con esigenze che molte città attuali riscontrano, cercando di avere una visione legata soprattutto alle persone e al luogo.

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RINGRAZIAMENTI

A conclusione del nostro percorso vorremmo ringraziare in primis la nostra relatrice Laura e il nostro correlatore Camillo, che sono sempre stati disponibili dandoci il supporto necessario durante tutto il percorso. Ringraziamo l’architetto di Ceuta Javier Arnaiz Seco, conosciuto durante il sopralluogo, che da anni si occupa dei problemi urbanistici e insediativi a Ceuta, il quale non solo ci ha dato tutte le informazioni di cui avevamo bisogno, ma è stato molto ospitale durante tutto il soprallugo. Fernando, José Manuel e la Puntilla. Il laboratorio di modelli Moa. I miei genitori per avermi supportato in questi anni con tutto il loro affetto. Mia sorella Cristina per avermi sempre offerto un bicchiere di prosecco nel momento giusto. La mia nipotina che mi rallegra sempre. Dayal, per tutta la forza e la determinazione che mi ha trasmesso in ogni momento. Veronica Ringrazio i miei genitori e Marcella per l’amore e la pazienza. Fulvio, per aver reso tutto più bello. Le Pulcelle, per il sostegno da ogni dove. Roberta

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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Riferimenti progettuali: crediti immagini

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