Formazione degli adulti

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Master professionalizzante in

Gestione della Formazione per dirigenti di istituzioni formative

Certificazione Modulo 12 Laboratorio di gestione istituzionale e aziendale Relatori: Prof. Germano Cipolletta e Prof. Massimo Balducci

Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Marco Ricci Formatore aziendale dipl. fed. Titolare della Clic, formazione e consulenza formativa di M. Ricci marco.ricci@clic-formazione.ch Walter Seghizzi Formatore aziendale dipl. fed. Responsabile del Servizio per le procedure di qualificazione degli adulti della DFP (SPQA), giĂ direttore del Centro di Formazione Formatori (CFF) della DFP walter.seghizzi@bluewin.ch


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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Indice 1.

PREMESSE

2

2.

DEFINIZIONI DI COMPETENZE

7

2.4

Dalla giornata FSEA sulla validazione delle competenze

2.2

Dal quaderno dell’Istituto Svizzero di pedagogia dedicato alle competenze

2.3

Dal dizionario VA

2.4

Le competenze di soglia, distintive e di eccellenza

3.

BASE DI CONFRONTO: PROGRAMMA MODULI FFA

3.1

Suddivisione per moduli

3.2

Suddivisione per competenze

4.

AUTOVALUTAZIONI

8 8 9 11

13 14 15

58

4.1

L’autovalutazione di Walter Seghizzi

58

4.2

L’autovalutazione di Marco Ricci: «Come possiamo fare qualcosa di impossibile? Con entusiasmo!»

82

5.

VALUTAZIONI DI COLLEGHE E COLLEGHI

5.1

Raccolte al corso CFF

5.2

Rilevamento a distanza

93 93 101

6.

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL SONDAGGIO CFF CON I FORMATORI IN AZIENDA 110

7.

VALUTAZIONE DEI RISULTATI RACCOLTI

120

8.

DEFINIZIONE DI CRITERI ED ELEMENTI DI OSSERVAZIONE

123

9.

PROPOSTE

124

10.

CONCLUSIONI

125

11.

BIBLIOGRAFIA E PAPER DI RIFERIMENTO

126

12.

ALLEGATI

127

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1. Premesse di Marco Ricci e Walter Seghizzi

L’affermazione di Huberman (Rethinking the quest for school improvement : Some findings from the DESSI study. Teachers College Record ), trattata nel Modulo 3 “Innovazione e gestione di progetti d'ingegneria della formazione”, secondo la quale a fronte di una ricca formazione pedagogica si denota un impoverimento nella qualità dell’insegnamento erogato, ci ha molto colpiti, interessati e motivati. Così come tutto il modulo 4 “Gestione e conduzione del personale” che ci ha fatto capire come esista la necessità di una classificazione delle competenze e che, apparentemente, nelle istituzioni formative del Canton Ticino questo aspetto sia ancora poco applicato. Il Modulo 5 “Evoluzione del mondo professionale e formazione” ci ha permesso di strutturare un paragone tra quello che viene attualmente proposto a livello teorico e quanto invece richiesto dal mercato, così come il Modulo 6 “Apporti della ricerca alla pratica pedagogica/didattica e gestionale” ci ha permesso di strutturare meglio il nostro lavoro di ricerca. Il Modulo 7 “La gestione della comunicazione” ci ha fornito elementi per comprendere, sia da un punto di vista interno sia da quello esterno all’organizzazione formativa, l’importanza di una corretta comunicazione e come la percezione, molte volte, sia lontana dagli intenti di chi vuole comunicare. Il Modulo 8 “Valutazione e gestione della qualità” ci ha permesso di comprendere l’importanza della gestione della qualità nei diversi processi che vengono attuati dagli Istituti formativi e di renderci conto come, a livello di percezione dei vari coinvolti, questo aspetto sia visto ancora come un “gravame burocratico” poco utile non solo al proprio lavoro ma anche per una costante evoluzione professionale. Con il modulo 9 “La gestione e la supervisione degli aspetti relazionali e didattici” siamo riusciti a meglio comprendere l’importanza della relazione all’interno dell’organizzazione e a costruire modelli di comportamenti utili nella propria realtà professionale. I nostri lavori di certificazione per i singoli Moduli che hanno attinenza con il presente lavoro finale di certificazione sono stati utilizzati quali riferimenti bibliografici e vengono allegati al documento. Ringraziamo tutte le relatrici e tutti i relatori che si sono succeduti nei vari moduli per il loro lavoro di incremento delle nostre conoscenze. Siamo convinti che anche i due Moduli mancanti potranno apportarci elementi importanti per la realizzazione del presente lavoro: sarà nostra cura rielaborare eventuali passaggi, specificando la pertinenza con i contenuti trattati dopo la prima stesura. A nostra volta attivi quali formatori nell’ambito della formazione professionale e continua, abbiamo ritenuto di compiere un’attività di verifica, di analisi e di restituzione sui contenuti dell’affermazione citata e, conseguentemente, sulla situazione che si presenta giornalmente. Il rilevamento che abbiamo cercato di realizzare in modo oggettivo dovrà, indipendentemente dai risultati, costituire un riferimento per la riflessione da parte degli enti di formazione e dei formatori stessi. Già una prima domanda si pone: cosa significa essere formatori e quali percorsi ha a disposizione chi vuole occuparsi di formazione professionale o continua? Secondo il sito www.orientamento.ch che rileva tutte le professioni riconosciute in Svizzera “il formatore e la formatrice di adulti insegnano ad un pubblico adulto a diversi livelli. I bisogni di formazione e di aggiornamento professionale sono crescenti in tutti i settori, determinati dai cambiamenti socio-economici e dalle esigenze del mercato del lavoro. La formazione oggi non si ferma ai banchi di scuola, ma continua tutta Pagina 2 di 128


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la vita, per poter affrontare cambiamenti professionali, disoccupazione o riqualificazione o semplicemente per crescere ed aggiornarsi nella propria professione. La formazione degli adulti risponde quindi all'esigenza di aggiornare e sviluppare ulteriori competenze professionali, di migliorare l'integrazione sociale e professionale, di favorire lo sviluppo delle competenze personali e sociali. L'attività dei formatori di adulti si svolge a livelli diversi, determinati dalle competenze e dalle certificazioni ottenute dello stesso formatore e dal tipo di offerta formativa. Inoltre, può indirizzarsi verso un pubblico omogeneo (all'interno di un'azienda o di un settore professionale, per esempio su una tematica particolare, sul lavoro in team, ecc.), verso un gruppo con un obiettivo comune (per esempio per acquisire nozioni linguistiche o di informatica) oppure verso un pubblico eterogeneo, con basi ed obiettivi diversi (disoccupati, persone in riqualifica, ecc.). Si distinguono diverse figure di formatori di adulti: • formatori che tengono corsi nella propria disciplina di competenza, quindi promuovono prevalentemente l'aggiornamento professionale; • formatori specializzati in corsi per lo sviluppo di competenze personali e sociali; • formatori attivi nel campo dei corsi orientati su attività del tempo libero. In generale, i formatori per adulti si occupano di: • progettare corsi sulla base di una efficace indagine dei bisogni formativi in un determinato contesto (azienda, amministrazione, associazione, centro di formazione, ecc); • organizzare percorsi di formazione con precisi obiettivi, strutturando un piano didattico; • animare e condurre efficacemente gruppi di apprendimento; • informare sulle opportunità di formazione; • valutare i risultati del corso; • riconoscere ed analizzare le dinamiche dei gruppi in formazione e intervenire adeguatamente per assistere gli allievi durante l'apprendimento.” La formazione dei formatori e delle formatrici viene così illustrata: “Formazione a più livelli, in forma modulare, parallelamente all'esercizio della professione. La Commissione svizzera formazione dei formatori è l’organo che in Svizzera e in Ticino certifica enti e scuole che rilasciano i moduli facenti parte del curriculum per l’ottenimento dell’Attestato professionale federale di formatore/trice, (elenco degli enti certificati: http://www.alice.ch). •

Livello 1: formazione di base per formatori in ambito specifico a tempo parziale; modulo "animare corsi per adulti". Durata: circa 100 ore-lezione + 165 ore di lavoro individuale. Si ottiene il Certificato di formatore/trice FSEA 1 con la certificazione del modulo e lo svolgimento di una pratica professionale della durata minima di 150 ore sull'arco di 2 anni. Livello 2: formazione che permette di assumere anche compiti di responsabilità nel lavoro di formazione: Livello 1 + 4 moduli di specializzazione nel campo della formazione. Durata: 150 ore-lezione + 300 ore di lavoro individuale. Si ottiene l'Attestato professionale federale (APF) di formatore/trice con la certificazione dei moduli e lo svolgimento della pratica professionale di almeno 300 ore sull'arco di 4 anni. (Regolamento del 3 settembre 1999). Livello 3: (non offerto nella Svizzera italiana): formazione al Diploma federale di Responsabile della formazione. Durata: 1’800 ore complessive (incluse le ore del Livello 1 e del Livello 2). Si ottiene il Diploma federale di Responsabile Pagina 3 di 128


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della formazione (EPS) dopo una pratica professionale di almeno 4 anni e almeno 2’000 ore (Regolamento dell’11 novembre 2005). •

Studi accademici: studi all'Università di Ginevra, facoltà di psicologia e scienze dell'educazione; durata: 4-5 anni; licenza con menzione Formatore/trice d'adulti; oppure, per persone con titolo accademico, certificati di formazione continua.”

I requisiti per poter accedere alla formazione per diventare formatore/formatrice sono invece così descritti: “Ammissione al livello 1 (prepara al certificato base per tenere corsi per adulti): formazione generale o professionale almeno triennale (AFC o equivalente) e competenze specifiche nella propria disciplina. Ammissione al livello 2 (preparazione all'APF di Formatore/trice): formazione generale o professionale almeno triennale (AFC o equivalente) e competenze specifiche nella propria disciplina. Ammissione al livello 3 (preparazione al Dipl. federale di responsabile della formazione): formazione generale o professionale almeno triennale (AFC o equivalente) e competenze specifiche nella propria disciplina + 4 anni di esperienza pratica nell'ambito dell'educazione degli adulti e APF di formatore/trice o equivalente.” I campi esplorabili nell’ambito di questo lavoro sono pertanto riconducibili a questi settori: • formatore/formatrice in azienda • formatore/formatrice per adulti • formatore/formatrice aziendale • formatore di formatori. La nostra prima intenzione era quella di rilevare particolarmente le competenze previste, insegnate e applicate nell’ambito della formazione professionale, con riferimento principale alle formatrici e ai formatori in azienda. Uno studio più approfondito della situazione ci ha convinti che un simile lavoro non sarebbe stato possibile in quanto si sarebbero dovuto coinvolgere un numero sproporzionato di formatori in azienda (oltre diecimila persone formate dal Centro Formazione Formatori –CFF– della Divisione per la Formazione Professionale), con il rischio che i dati raccolti non sarebbero stati confrontabili per i seguenti motivi: • il nuovo programma quadro è stato introdotto unicamente con la nuova Legge sulla formazione professionale (LFPr) del 2004 • molte formatrici e molti formatori in azienda (con la vecchia denominazioni di maestri di tirocinio e di istruttori di pratica) sono stati formati prima di questa introduzione • alcuni formatori in azienda non sono costantemente attivi in questa funzione: in ogni caso, spesso, si tratta di una funzione a tempo accessorio e non riconosciuta completamente nei loro compiti Da rilevare inoltre che l’applicazione pratica delle nostre proposte si sarebbe scontrata con una definizione “a tutta Svizzera” sulla base di un rilevamento eseguito solo nel Canton Ticino che spesso è un “Sonderfall”, poco indicativo quindi di una realtà globale nazionale. Pagina 4 di 128


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Abbiamo però studiato i risultati del sondaggio promosso dallo stesso CFF nella primavera 2008, estrapolando quei passaggi che risultano utili sia a una migliore comprensione del “sistema formazione professionale” sia per la formulazione di proposte concrete applicabili anche in altri settori della formazione. Altro settore che nostro modo di vedere poteva fornire poche indicazioni è quello dei formatori e delle formatrici aziendali per i seguenti motivi: • il diploma federale di formatore aziendale non è più erogato come tale dal 2007. A seguito di una decisione della Federazione Svizzera per la Formazione Aziendale (FSFA) e della Federazione Svizzera per l’Educazione degli Adulti (FSEA) l’Ufficio Federale per la Formazione e la Tecnologia (UFFT) ha accettato un unico diploma (EPS) di “Responsabile della formazione”. Per i detentori del vecchio diploma c’è la possibilità di ottenere il nuovo assoggettandosi unicamente a un assessment (Modulo 9 del nuovo percorso formativo, offerto in Ticino dallo IUFFP) • in Ticino si contano 46 titolari del vecchio diploma, in massima parte occupati in strutture pubbliche e non necessariamente con il compito di formatore • le attitudini richieste sono, in pratica, quelle previste per il formatore/la formatrice di adulti, così come le competenze che possono essere acquisite e messe in pratica. Abbiamo optato quindi per una ricerca dedicata alle competenze definite per le formatrici e i formatori d’adulti, al termine del percorso che li porta a ottenere l’attestato federale. Di conseguenza anche chi si occupa della formazione dei formatori è confrontato con la stessa “dotazione di competenze”. All’inizio del nostro lavoro abbiamo provveduto a formulare alcune Domande 1. Esiste la possibilità di classificare le competenze di soglia, distintive e di eccellenza nell’ambito della formazione? 2. In che misura le competenze rilevate coincidono con le competenze attese? 3. Come è possibile che, anche ricevendo la stessa formazione, i formatori e le formatrici pur erogando la stessa formazione per quanto attiene a contenuti, tempi, luoghi e modalità, non trasmettono detta formazione in modo standard, ma in modo diversificato? 4. Quali processi, nell’ambito dell’ingegneria della formazione e legati alle teorizzazioni soggettive, favoriscono questa trasformazione? 5. Quale riscontro, in un ambito definito, ha l’affermazione di Huberman sull’impoverimento dell’erogazione pedagogico/andragogico – didattica? In un primo tempo abbiamo formulato le seguenti Ipotesi 1. I formatori agiscono praticando principi teorici che loro stessi hanno coniato e collaudato nel tempo (rappresentazioni e teorie soggettive). 2. Il cambiamento nel loro modo di fare presuppone la presa di coscienza dei principi teorici che guidano/ispirano la loro azione/attività di insegnamento. 3. Il cambiamento nel loro modo di fare è frutto solo di una “reattività” alla situazione contingente (partecipanti, contenuti, tempo, luogo, ecc.). Sarà soprattutto su queste ipotesi che ci concentreremo e che svilupperemo il nostro lavoro di ricerca. Pagina 5 di 128


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Metodologia 1. Lettura e studio di testi sulla tematica (vedere bibliografia allegata) 2. Rilevamento/osservazione, tramite questionari e interviste alle formatrici e ai formatori e ad alcuni responsabili della formazione dei formatori 3. Rilevamento tramite un’autovalutazione degli autori 4. Restituzione delle risultanze ed elencazione oggettiva delle competenze e delle buone pratiche rilevate in aula, a seguito di teorizzazioni soggettive dei formatori 5. Allestimento di un modello di competenze suddivise tra competenze di soglia, distintive e di eccellenza valido per le formatrici e i formatori per adulti e aziendali 6. Strutturazione di processi comunicativi orientati alla presa di coscienza delle risultanze dello studio di approfondimento (sotto forma papers e workshop). Ricadute del progetto in rapporto a un contesto reale Siamo convinti che un rilevamento e una successiva analisi, benché parziale, possa costituire un importante tappa all’interno del percorso avente quale obiettivo il miglioramento continuo delle prestazioni formative offerte. L’aspetto innovativo del progetto attiene alla creazione di papers con le risultanze da noi ottenute, a disposizione di chi si occupa di formazione professionale. Non è esclusa, a priori, la possibilità di offrire al mercato, corsi di perfezionamento/aggiornamento con cui i formatori potranno affinare le loro capacità di gestione della formazione e di gestione d’aula. Tempi di attuazione • settembre – dicembre 2006: allestimento del progetto • gennaio – agosto 2007: elaborazione dei documenti necessari per il rilevamento, osservazioni dirette, raccolta dati • agosto – dicembre 2007: analisi ed elaborazione dei dati raccolti • da settembre 2007: redazione del documento finale, • da settembre 2008: presentazione e difesa, nei termini indicati dalla Direzione del MaGF2. Ripartizione dei compiti nell’ambito del progetto 1. Marco Ricci si occuperà particolarmente di rilevare le “buone pratiche” nell’ambito della formazione continua, con l’obiettivo di riconoscere le motivazioni dei comportamenti (rappresentazioni e teorie soggettive) 2. Walter Seghizzi analizzerà i programmi di formazione per formatori, con l’obiettivo di riconoscere le abilità cognitive, affettive e sociali previste nei programmi quadro 3. ognuno dei due partecipanti provvederà ad allestire la propria autovalutazione 4. assieme si analizzeranno i dati e si provvederà alla redazione della presentazione finale.

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2. Definizioni di competenze di Marco Ricci e Walter Seghizzi

La prima difficoltà è stata quella di riuscire a dare una definizione di competenze! Molti ricercatori hanno una visione diversa della “competenza” in quanto tale, così come il loro inserimento in una categoria (per esempio il sapere, piuttosto che il saper fare o il sapere essere). L’evoluzione avuta nel mondo professionale, con particolare riferimento alla formazione per adulti, ha fatto si che certe attitudini, approcci, modi di fare, conoscenze, ecc. facciano ormai parte di “una competenza” e non siano più scindibili da essa1. Il ragionamento dal quale siamo partiti è stato ricostruito graficamente in questo modo2: Neotemia Area psicologica dell'Istituzione

Ansie Difese da ansie psicotiche

Area culturale o antropologica

Elementi istituenti

Linguaggio

Idea aziendalistica

Area socio-economica

Area praxeologica

Rappresentazioni dell'uomo/ del cittadino

Mercato Metodologie Epistemologie

Forte correlazioni tra le singole aree: se qualcosa non funziona da una parte, si ripercuote anche dall'altra

Manifesta

Istituzione ed elementi istituenti

Latente

15.10.2006

sogno

Rappresentazione

Correlazione

Che cosa separa un'Istituzione formativa da un'altra?

Valori organizzativi (strategie/leggi) gestiti dal Manager "Anima" della regione Percorso di co-educazione e non "prodotti" Sviluppa metodologie per "mettere in forma" quello che c'è Formatore Genera competenze

Altre componenti

Ha e trasmette valori Operatori formativi

Educatore

Cura la tradizione Genera innovazione

Insegnante

Riempie "il vaso vuoto" dell'allievo...

Valori di orientamento (visione) gestiti del leader

La base di partenza è stata determinata da una discussione sui nostri percorsi rispettivi che ci hanno portato a ottenere il diploma superiore di formatore aziendale. Ci siamo così resi conto che la certificazione ottenuta viene vissuta in modo diverso dai due autori3 (confronta anche la parte “elementi costituenti dell’immagine riportata sopra): questo va a confermare l’ipotesi 1, riportata a pag. 6, con la quale

1

confronta anche Richard Sennet „L’uomo flessibile“ quando parla dell’evoluzione della panetteria oggetto della propria ricerca (pagg. 68-70) 2 confronta appunti sul modulo 4, parte Martignoni, realizzati da Marco Ricci e non rivisti dal relatore 3 confronta anche le rispettive autovalutazioni riportate al capitolo 4 Pagina 7 di 128


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si sostiene che “i formatori agiscono praticando principi teorici che loro stessi hanno coniato e collaudato nel tempo (rappresentazioni e teorie soggettive)”. Ma come possiamo definire le competenze? Di seguito riportiamo alcune definizioni che abbiamo trovato sulla base di partecipazione a progetti o giornate di studio o sulla base di documentazione consultata.

2.4

Dalla giornata FSEA sulla validazione delle competenze

Il 9 novembre 2006 la Federazione Svizzera per l’Educazione degli Adulti (FSEA) ha organizzato a Bellinzona una giornata di studio sul tema della validazione degli apprendimenti acquisiti4. Uno dei relatori5 ha portato la seguente definizione: “Attitudine a mettere in atto il sapere, il saper fare e il saper essere in una situazione di lavoro abituale o nuova. Sono definite in termini di obiettivi, d’autonomia, d’iniziativa, di responsabilità, di contesto razionale o di cooperazione, di risorse utilizzate, di prestazioni richieste.” Ritorneremo su questa definizione in quanto non legata a dei contenuti particolari ma legata in modo indissolubile a un aspetto professionale della messa in pratica.

2.2 Dal quaderno dell’Istituto Svizzero di pedagogia dedicato alle competenze6 Il sostantivo competenza deriva dal verbo competere. Quest’ultimo, di origine latina (cum-petere), sta nel complesso ad indicare un’azione di “andare insieme, far convergere in un medesimo punto”7 ; anche nell’accezione di incontrarsi, finire insieme, corrispondere, coincidere, gareggiare o di mirare ad un medesimo obiettivo. Inoltre, non è da considerare l’uso del termine anche con un secondo significato: “competente” è anche colui che ha autorità in un certo ambito; la “competenza” era infatti anche tradotta in latino con il termine merces, che significa “onorario per una prestazione professionale”. In effetti già il diritto romano contempla l’aggettivo competens quale qualità di qualcuno che è responsabile, autorizzato, qualificato, che ha facoltà di giudicare e dispone di legittima giursdizione. E’ questo il signficiato che ritroviamo ancora oggi nel diritto. Nella linguistica il termine è stato introdotto all’inizio degli anno ’60 da Chmosky (Chomsky, 1975) e definisce un principio generativo, vale a dire l’insieme delle regole e degli elementi di cui dispone ogni soggetto per comprendere ed esprimersi attraverso un numero potenzialmente infinito di significati e di frasi. In questo senso la competenza intesa come potenziale si contrappone alla performanza, l’atto cioè del comunicare concreto. Muovendo da queste prime considerazioni sull’etimologia e sull’uso della noazione, potremmo dire che la competenza è una qualità che fa convergere e mette insieme alcune proprietà in maniera adeguata e

4

per gli atti completi della giornata, confronta il sito http://www.alice.ch/ Atti della giornata di studio sulla validazione delle competenze organizzata dalla FSEA, Bellinzona 9 novembre 2006, intervento di Valerio Agustoni 6 Competenza, compétence, competence, Kompetenz. - Alcuni spunti sul concetto di competenza a partire da un approccio linguistico e visto con gli occhi di Prometeo di Elena Boldrini e Gianni Ghisla 7 http://www.etimo.it 5

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funzionale allo svolgimento di una determinata attività, di un compito o all’ottenimento di un certo obiettivo. Tale qualità comporta, quando esercitata, ad una certa auctoritas in un determinato contesto, e ha quindi la facoltà di legittimare l’azione stessa, e potendole conferire, a certe condizioni, anche un valore monetario. Alla base di questo aspetto d’autorità ci preme segnalare almeno altri due aspetti: la volontà/motivazione e la responsabilità. Al fine di mettere in atto un comportamento competente occorre che vi sia una disposizione volizionale di fondo, ovvero una motivazione: l’azione competente, quindi si identifica come non casuale, ma voluta dal soggetto, che ne è quindi responsabile8.

2.3

Dal dizionario VA9

Nel 2006 l’UFFT (Ufficio Federale per la Formazione e la Tecnologia), in collaborazione con il SECO (Segretariato per l’Economia), i Cantoni e le Associazioni professionali ha messo in circolazione un progetto per la “Validazione degli apprendimenti acquisiti”. Con questo progetto, che si fonda sulla Legge per la Formazione Professionale (LFPr) si intende riconoscere la formazione acquisita attraverso diverse vie, da una parte con offerte formative organizzate e strutturate, dall’altra individualmente nella professione, nel lavoro domestico e familiare oppure durante il tempo libero. Si parla in questo caso di formazione acquisita in modo non formale. Questa formazione sta assumendo sempre maggior importanza: gli attuali curriculum vitae non sono più caratterizzati da una successione di fasi chiaramente distinte di formazione e di attività professionale. Oggi la metà delle persone attive svolge una professione diversa da quella inizialmente appresa. Si presta maggior attenzione all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro e in questo contesto assume grande valore il computo degli apprendimenti acquisiti. La legge sulla formazione professionale (LFPr) rende possibile tutto questo grazie alla separazione fra percorso di formazione e procedura di qualificazione. Gli adulti con un’esperienza professionale di almeno cinque anni possono accedere ai titoli federali di formazione professionale. Vengono loro adeguatamente computate sia l’esperienza professionale o extraprofessionale sia la formazione specifica o di cultura generale. La procedura di riconoscimento viene descritta come segue10:

8

[(Weinert, 2001), p.45] ci conferma questa caratterizzazione del concetto: “if one considers the Latin roots and historical variations in meanings ascribed to competence, it is also understood to mean ‘cognizance’ or ‘responsibility’”. 9 tratto da http://www.bbt.admin.ch/themen/berufsbildung/00106/00404/index.html?lang=it 10 estratto dal documento praesentation_i.pdf rintracciabile al sito http://www.bbt.admin.ch/themen/berufsbildung/00106/00404/00525/index.html?lang=it Pagina 9 di 128


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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

In questo ambito è stato allestito anche un “glossario” che alla voce “competenza” recita: “Nell’ambito del presente glossario e della procedura di validazione degli apprendimenti acquisiti, indica l’attivazione e la combinazione delle risorse al fine di gestire con successo determinate situazioni, azioni e problemi.” Il glossario indica anche i seguenti termini collegati: • risorse • potenziale • sapere • saper fare • saper essere • competenze operative • competenze professionali • competenze metodologiche • competenze personali • competenze sociali • conoscenze • capacità • abilità • competenze di base • competenze chiave • competenze trasversali. Come si vede, e come indicato nel glossario VA, il termine “competenza” genera molteplici definizioni e classificazioni che si riferiscono a logiche e fondamenti teorici differenti. Pagina 10 di 128


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Nella colonna “Fonti e osservazioni” il glossario riporta: “Nella formazione professionale di base si distinguono per esempio le forme di classificazione seguenti: • Piano Quadro Maturità Professionale: atteggiamenti (saper essere) conoscenze (saperi dichiarativi, saperi) capacità (saperi procedurali, saper fare) • Manuale delle ordinanze - Fasi e passi per l’allestimento di un’ordinanza sulla formazione professionale di base: Scopo della formazione professionale di base è la trasmissione di competenze: queste ultime permettono alla persona in formazione di far fronte a situazioni operative professionali e generali. Le competenze (dette anche competenze operative) attese da professionisti formati sono descritte nel piano di formazione sotto forma di obiettivi di formazione. • Nuova Formazione Commerciale di base: competenze professionali (saperi, saperi specifici o dichiarativi) competenze metodologiche (saper fare) competenze personali e sociali (saper essere)”.

2.4

Le competenze di soglia, distintive e di eccellenza

Per la nostra ricerca ci siamo avvalsi della distinzione dataci dal prof. Massimo Balducci11: • competenze di soglia: le devo per forza avere altrimenti non posso operare sono necessarie, non minime) • competenze distintive: se ho anche quelle lo faccio meglio • competenze di eccellenza: mi permettono di fare qualcosa di più. Non va confuso con il livello di competenza: competenze da acquisire, competenze in via di acquisizione, competenze acquisite. Una volta acquisita la competenza è acquisita e le competenze di soglia devono essere completamente acquisite. Nel mestiere del docente è difficile stabilire quali sono le competenze di soglia e stabilire se uno le ha acquisite o no. Nel suo Paper “GESTIONE DELLE RISORSE UMANE E NUOVI CONTESTI ORGANIZZATIVI: L’ORIENTAMENTO ALLE COMPETENZE” il prof. Balducci spiega con questi termini cosa si intende per competenze. “Definizione del concetto di competenza Tra le numerose interpretazioni del concetto di competenza presenti in letteratura, una delle più esaurienti è quella proposta da Boyatzis il quale descrive la competenza come un “insieme di capacità, abilità e qualità che influiscono positivamente sulla performance aziendale. Esse possono riguardare capacità tecniche, innovative, commerciali, di flessibilità, di rapidità o, in senso più ampio, di capacità organizzative che rappresentano un comportamento organizzativo osservabile come casualmente collegato a prestazioni superiori”. Componenti delle competenze sono, quindi, le conoscenze professionali, le capacità e gli orientamenti gestionali richiesti dal business e dai suoi processi ed espressi dalle persone in comportamenti che determinano una prestazione efficace e competitiva. Due approcci alle competenze I numerosi approcci alle competenze possono essere sintetizzati in due filoni concettuali distinti: il filone psicologico/comportamentale ed il filone razionale/strategico/sistemico.

11

da appunti personali di Marco Ricci sulla lezione del 26 ottobre 2006 non rivisti dal relatore Pagina 11 di 128


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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Il filone psicologico si basa sui comportamenti organizzativi, sulle capacità operative e sulle attitudini personali. E’ un sistema che analizza i comportamenti che nel passato hanno conseguito prestazioni di successo e che non può quindi predire cosa accadrà nel futuro. In questo approccio il processo di definizione delle competenze si basa quindi su fatti che riguardano il passato e si focalizza sulla dimensione individuale e psicologica. Il filone razionale/strategico considera, invece, le conoscenze organizzative ed ha come obiettivo l’identificazione delle competenze distintive e necessarie a sviluppare il business. E’, quindi, un processo centrato sul cambiamento del proprio business al fine di individuarne i fattori critici di successo. Il vantaggio di questo metodo sta nell’anticipare le esigenze e le competenze necessarie per affrontarle, tuttavia, ha il suo punto debole nel non prendere a sufficienza in considerazione le capacità e gli orientamenti gestionali che influenzano il ruolo individuale. I due approcci arrivano a due diverse descrizioni del concetto di competenza: il modello psicologico, infatti, prende in considerazione le competenze individuali mentre quello razionale le competenze distintive. Competenze individuali e competenze distintive Come abbiamo visto, attorno alle competenze individuali ruota l’approccio psicologico. Le competenza individuale è una caratteristica intrinseca di un individuo che conduce ad una performance efficace o superiore nella mansione. Una competenza può essere un tratto della personalità, una motivazione, una skill, un aspetto dell’immagine di sé e del ruolo sociale, o un corpo di conoscenze. Le competenze individuali sono quindi costituite da una combinazione di conoscenze professionali, capacità e comportamenti che vanno rispettivamente a costituire il sapere, il saper fare ed il saper essere. Più precisamente: • le conoscenze costituiscono ciò che le persone sanno in seguito sia all’ apprendimento istituzionale che nell’organizzazione (il sapere); • le capacità sono ciò che un individuo ha appreso in seguito all’esperienza e all’applicazione delle conoscenze (il saper fare); • i comportamenti costituiscono il modo di agire delle persone a seconda del contesto in cui sono inserite e delle relazioni che si vengono a creare (il saper essere). In questo caso, quindi, la competenza diviene una componente profonda dell’individuo che può predirne il comportamento in una varietà di differenti situazioni”. La nostra ricerca tende quindi non solo a valutare se le competenze apprese dai formatori e dalle formatrici sono applicate nell’esplicitazione del loro compito ma anche valutare se le cosiddette competenze di soglia possono trasformarsi in competenze distintive.

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3.

Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Base di confronto: programma moduli FFA

di Marco Ricci e Walter Seghizzi

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Tra la documentazione che abbiamo potuto visionare, quella più completa e che, in fondo, fissa le competenze di soglia necessarie a una formatrice/un formatore per adulti, è il programma dei moduli per formatori/trici di adulti. Per ogni modulo, cinque in totale, vengono definiti non solo i contenuti ma anche quali competenze vengono aumentate. La suddivisione è sviluppata su sei livelli: Competenza sociale e istituzionale Competenza nella progettazione e nel management dei corsi Competenza didattica generale Competenza didattica specifica Competenza sociale Competenza personale Come vedremo nei sottocapitoli seguenti, non è detto che per ogni modulo ogni classe abbia uno sviluppo di competenza, ma la ripartizione viene mantenuta in modo da poter avere sempre elementi di confronto. A nostro modo di vedere, anche se siamo consci di anticipare una conclusione, l’acquisizione di queste competenze viene data per scontata da chi, in seguito, assume una persona in possesso dell’attestato professionale di formatore/trice per adulti e l’effettiva padronanza di queste competenze non viene verificata. Il limite emerge in quanto i requisiti di base per seguire i moduli non sono, a nostro modo di vedere, sufficientemente definiti. È abbastanza che una persona si sia dedicata alla formazione per un minimo di 160 ore (preparazione, aula, correzione, valutazione, ecc.) nei due anni precedenti al conseguimento del certificato del primo modulo per ottenere la certificazione al primo livello. Una persona, per esempio, che interviene mensilmente un’ora in un modulo di introduzione dei nuovi collaboratori per parlare del proprio tema specifico può così diventare formatore/trice per adulti.

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Marco Ricci ha realizzato le mappe mentali e scritto l’introduzione. Walter Seghizzi ha redatto la decodifica delle singole competenze Pagina 13 di 128


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3.1

Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Suddivisione per moduli Conoscere la propria istituzione di formazione e sapere informare gli allievi Competenza sociale e istituzionale

Conoscere gli strumenti di qualificazione/certificazione del corso specifico e saperne informare gli allievi

Competenza nella progettazione e nel management dei corsi Possedere nozioni di base sull'apprendimento in età adulta e saperle applicare Saper spiegare agli allievi i programmi previsti per i propri corsi Competenza didattica generale

Sapere impegare un repertorio metodologico adeguato Sapere applicare metodi semplici di valutazione sistematica per imput, svolgimento e output della propria offerta Sapere utilizzare media e supporti didattici

Modulo 1

Competenza didattica specifica

Possedere una terminologia specifica adeguata e saperla formulare in modo comprensibile per gli allievi Saper riconoscere il livello degli allievi nella propria disciplina e valutarne i progressi

Possedere nozioni di base sulla comunicazione, saper analizzare processi comunicativi e moderare discussioni con sicurezza

Competenza sociale

Conoscere modelli di dinamica di gruppo e possedere un repertorio essenziale d'interventi per guidare gruppi in formazione Essere consci dei propri modelli comportamentali e saperli modificare in modo adatto alla situazione Saper riconoscere difficoltà/conflitti e gestirli con strategie adeguate In base al proprio curricolo di discenti conoscere la propria concezione dell'apprendimento

Competenza personale Competenza sociale e istituzionale

-

Competenza nella progettazione e nel management dei corsi Competenza didattica generale Competenza didattica specifica

Competenze richieste a un formatore per adulti (suddivisione per moduli)

Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli Saper reagire in modo flessibile a cambiamenti

Saper seguire l'evoluzione di gruppi in varie fasi dell'insegnamento/apprendimento -

Possedere nozioni teoriche sulla comunicazione, saperle applicare in modo adatto a situazioni concrete di discussione e a processi comunicativi di gruppo

Modulo 2 Competenza sociale

17.08.2006

Conoscere i punti forti/deboli del proprio comportamento comunicativo Conoscere teorie della dinamica di gruppo e possedere un repertorio adeguato d'interventi per la conduzione di gruppi Saper guidare gruppi in processi collettivi complessi e prolungati Essere consci dei propri punti forti/deboli e delle proprie potenzialità evolutive, saper perfezionare i punti forti e migliorare quelli deboli o ammettere i propri limiti

Competenza personale

Competenza sociale e istituzionale

Conoscere a grabdi lineee le strutture e le condizioni quadro della formazione in Svizzera e averne una visione globale Saper consigliare gli allievi sui loro bisogni di perfezionamento e sulle possibilità di qualificazione/certificazione

Competenza nella progettazione e nel management dei corsi Competenza didattica generale

Modulo 3 Competenza didattica specifica

Competenza sociale e istituzionale

Capire l'importanza sociale della formazione e dell'apprendimento permanente, saper valutare il valore sociale della propria offerta

Competenza sociale

Riconoscere le correnti e le tendenze sociali, saper analizzare il loro influsso sulla propria attività

Competenza personale

Saper confrontare varie offerte di perfezionamento nella propria disciplina

Saper consigliare gli allievi nel loro processo di apprendimento individuale Conoscere le possibilità di qualificazione/certificazione della propria disciplina e in campi vicini e saper orientare gli allievi Saper consigliare individualmente gli allievi sui loro obiettivi realistici di formazione, sugli iter formativi adeguati e sulle possibilità di progresso

Possedere nozioni di teoria della comunicazione utili ai fini della consulenza, saperle applicare in colloqui concreti di consulenza e feedback -

Saper valutare le possibilità e l'importanza delle iniziative di perfezionamento nel processo evolutivo di un'organizzazione Saper dare un contributo costruttivo in progetti didattici complessi e in team di formazione Competenza nella progettazione e nel management dei corsi

Saper sviluppare in forma autonoma piani generali per i propri corsi tenendo conto delle condizioni quadro Conoscere fattori finanziari importanti e sapere interpretare benchmark, possedere nozioni essenziali di contabilitàper corsi, conoscere le possibilità di finanziamento della propria offerta Saper allestire, leggere e interpretare preventivi e rendiconti Saper motivare piani generali, misure, progetti

Modulo 4

Conoscere e applicare le basi per l'amministrazione di corsi Conoscere metodi per accertare i bisogni e per analizzare gruppi di allievi e condizioni-quadro Competenza didattica generale

Saper motivare scopi e obiettivi didattici di propri corsi nonché saperli formulare in modo comprensibile agli allievi Saper progettare interventi di valutazione sotto vari aspetti

Competenza didattica specifica

Competenza sociale

Competenza personale

Vagliare e aggiornare regolarmente le proprie nozioni professionali teoriche e pratiche, colmare quelle mancanti In base alle proprie conoscenze professionali saper definire obiettivi didattici in modo realistico e rilevante per i destinatari

Promuovere la propria riflessione ed evoluzione operando sul piano interdisciplinare e sovraistituzionale Saper affrontare in modo flessibile condizioni-quadro diverse

Competenza sociale e istituzionale

-

Competenza nella progettazione e nel management dei corsi

Saper descrivere competenze concrete e sviluppare offerte tenendo presenti le attese dei committenti e degli allievi

Possedere nozioni di psicologia dello sviluppo e dell'apprendimento in età adulta, saperle impiegare nel concepire i propri corsi Conoscere metodi di acertamento dei bisogni e saperli impiegare nello strutturare i propri corsi Saper definire contenuti didattici e strutturare i propri corsi in sintonia con gli obiettivi prefissati Competenza didattica generale

Conoscere le caratteristiche e le possibilità di varie forme d'insegnamento/ apprendimento, saperle impiegare in modo adatto ai destinatari e coerente con gli scopi e obiettivi didattici Saper scegliere in modo mirato materiali didattici, completarli e adattarli a gruppi speciali di destinatari Saper scegliere media ai fini del processo di apprendimento, motivando la scelta

Modulo 5

Vagliare e aggiornare regolarmente le proprie nozioni professionali teoriche e pratiche e sapersi procurare quelle mancanti

Competenza didattica specifica

In base alle proprie conoscenze professionali saper definire obiettivi didattici in modo realistico e rilevante per i destinatari Avere familiarità con forme d'insegnamento/apprendimento efficaci, adeguate alla materia insegnata e ai contenuti didattici Avere una visione globale dei supporti didattici adatti alla propria disciplina e saperli valutare

Competenza sociale

Competenza personale

Conoscere modelli della dinamica di gruppo, conoscere l'interazione fra strutture per lo svolgimento di un corso e processi della dinamica di gruppo In base a un'analisi del proprio curricolo di discenti conoscere la propria concezione dell'apprendimento e capire il suo rapporto col curricolo stesso Essere consci dei vari ruoli dei formatori, saper analizzare il proprio comportamento e allargare il proprio repertorio di ruoli

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3.2

Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Suddivisione per competenze

A. Competenza sociale e istituzionale A.1 Conoscere la propria istituzione di formazione e sapere informare gli allievi il formatore che conosce la propria istituzione si identifica con essa e la rappresenta. In ogni momento, anche se molto spesso inconsciamente, dialoga virtualmente con i propri riferimenti istituzionali e li traspone mostrando sicurezza e motivando scelte, principi e soluzioni. I discenti traggono da questo comportamento molta sicurezza e aumentano il grado di “benessere” formativo, a tutto vantaggio dell’apprendimento. A.2 Conoscere gli strumenti di qualificazione/certificazione del corso specifico e saperne informare gli allievi questa conoscenza specifica presuppone la conoscenza dell’intero sistema formativo a livello federale. L’approfondimento dell’aspetto docimologico – certificativo della formazione si esprime, anche, con un adeguato comportamento metodologico – didattico in relazione ai temi e al grado di approfondimento di quest’ultimi in funzione dell’esame o del controllo dell’apprendimento. A.3 Conoscere a grandi linee le strutture e le condizioni quadro della formazione in Svizzera e averne una visione globale vedi anche commento del pto. 1.2. Il formatore che conosce il sistema è anche in grado di conoscere ed evidenziare le alternative, nonché consigliare i discenti in modo corretto ed efficace. A.4 Saper consigliare gli allievi sui loro bisogni di perfezionamento e sulle possibilità di qualificazione/certificazione anche in questo caso, la competenza necessaria è quella relativa alla conoscenza del tessuto di riferimento e delle realtà specifiche. Una indispensabile esperienza è riferita al mondo aziendale e lavorativo; consigliare certificazioni e perfezionamenti non possono prescindere dalla loro spendibilità concreta all’interno del contesto socio – economico di riferimento. A.5 Capire l'importanza sociale della formazione e dell'apprendimento permanente, saper valutare il valore sociale della propria offerta ci riallacciamo, anche in questo caso, al punto precedente. Dal punto di vista del comportamento del formatore, è, a mio avviso, piuttosto evidente l’esperienza precedente e/o attuale del formatore in contesti economici “reali”. L’offerta formativa, da par suo, non può essere costituita che tenendo conto della trasferibilità dei contenuti e del livello certificativo proposto. Non è raro che percorsi formativi vengano confezionati in modo uniforme su tutto il territorio, senza tenere in necessaria considerazione le peculiarità regionali riferite alla lingua, alla cultura e al tessuto economico regionale. Nascono così dei corsi di formazione potenzialmente interessanti e spendibili sono in contesti specifici. A.6 Riconoscere le correnti e le tendenze sociali, saper analizzare il loro influsso sulla propria attività detto con altre parole, ci si riferisce qui alle capacità del formatore nei termini di flessibilità e capacità di reazione. L’azione formativa esercitata dal formatore non può infatti prescindere dall’attualità e dagli avvenimenti che caratterizzano il campo di riferimento (nel breve e nel medio periodo). Decisioni politiche, socio – economiche e culturali devono essere conosciute, analizzate, fatte proprie e quindi Pagina 15 di 128


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trasposte nell’attività corrente del formatore. La sterile ripetizione di lezioni preconfezionate o elaborate dal formatore nel passato non possono che vanificare l’apprendimento e quindi la possibilità, dei discenti, di approfittare di detto apprendimento.

B. Competenza nella progettazione e nel management dei corsi B.1 Saper confrontare varie offerte di perfezionamento nella propria disciplina il perfezionamento professionale è, soprattutto per i formatori, un aspetto fondamentale. Non è un “accessorio” come potrebbe essere definito in altre professioni. Per i formatori il perfezionamento è una parte integrante della formazione “di base”, soltanto che si prolunga su tutto l’arco della vita professionale. All’interno dell’offerta di perfezionamento, che è, anche nella nostra piccola realtà, immensa, è vieppiù importante saper navigare con coscienza e competenza per poter poi approdare alla meta desiderata. Questo processo è molto complesso, non solo, come detto, per la complessità e la vastità dell’offerta, bensì per la soggettiva difficoltà di analizzare e valutare le proprie necessità. “Cosa mi serve” è diverso dal “Cosa mi piacerebbe” o dal “Cosa mi interesserebbe”. Per ovviare a questo dilemma, una delle possibilità è costituita dall’auditing / shadowing, peer revew interno all’istituzione formativa. B.2 Saper valutare le possibilità e l'importanza delle iniziative di perfezionamento nel processo evolutivo di un'organizzazione valgono le stesse osservazioni del punto precedente, riferite però al contesto professionale / aziendale. L’ente che, più e meglio di altri, riuscisse a predisporre un’offerta formativa per i propri dipendenti partirebbe sicuramente avvantaggiato e godrebbe di questo vantaggio per tutto il percorso storico ed evolutivo dell’azienda. Il formatore deve avere fra le proprie competenze pure quella legata alla capacità di elaborare precise e puntuali analisi dei bisogni, formulare delle diagnosi e proporre delle soluzione (anche) formative. B.3 Saper dare un contributo costruttivo in progetti didattici complessi e in team di formazione si tratta di una competenza ambivalente perché permette di affrontare due aspetti fondamentali. Da un lato si evidenzia la componente legata al sapere individuale spendibile a livello di contributo concreto nella costruzione di un progetto. Dall’altro vi è la capacità di fornire detto contributo specialistico all’interno di un team, tenuto conto quindi del ruolo ricoperto nel gruppo e tenendo conto delle dinamiche presenti nel gruppo stesso. Non è raro osservare, purtroppo, che col crescere delle competenze individuali si evidenzi una certa reticenza nel mettere a disposizione tale sapere. L’impressione che si avverte è di una sorta di timore nel condividere le competenze, come se vi fosse un diritto acquisito di proprietà intellettuale individuale. Il formatore, invece, dovrebbe misurare il proprio sapere attraverso il confronto diretto e l’appartenenza a gruppi d’interesse. B.4 Saper sviluppare in forma autonoma piani generali per i propri corsi tenendo conto delle condizioni quadro il costrutto semantico legato all’affermazione in oggetto potrebbe apparire contraddittorio al suo interno. L’autonomia richiesta al formatore – progettista si scontra inevitabilmente con le condizioni quadro e con tutta un’altra serie di vincoli. Rappresenta però bene, a nostro avviso, la realtà con la quale il progettista si confronta sovente. A fronte di una dichiarata e promessa libertà concettuale, il formaPagina 16 di 128


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tore che, dopo l’analisi dei bisogni, dell’analisi della situazione e dei dati raccolti e della conseguente formulazione di una diagnosi formativa, volesse proporre un percorso formativo appropriato dovrebbe confrontarsi con la politica aziendale, con la disponibilità di risorse (finanziarie e temporali) e con la necessità della misurazione oggettiva delle ricadute a seguito dell’intervento. Il formatore, quindi, deve dimostrare di possedere un’ulteriore componente fondamentale, ossia quella legata alle competenze negoziali (che verranno trattate in seguito).

proposta formativa e formulazione di obiettivi generali

richiesta e 1° colloquio con il committente

negoziazione con la committenza

formulazione prima ipotesi

analisi dei dati e formulazione di diagnosi

analisi dei bisogni e raccolta dei dati

B.5 Conoscere fattori finanziari importanti e sapere interpretare benchmarking, possedere nozioni essenziali di contabilità per corsi, conoscere le possibilità di finanziamento della propria offerta l’aspetto economico nelle attività di formazione è fondamentale. Il finanziamento di queste attività ne è una parte altrettanto fondamentale. I diversi testi di legge13 di riferimento prevedono, per alcuni progetti, delle importanti possibilità di finanziamento. L’elenco di queste possibilità si limita però a progetti formativi innovativi e solo dopo che sia stato analizzato e comprovato questo aspetto. Tutte le restanti attività formative, che sono la stragrande maggioranza, devono sopperire ai fabbisogni economici attraverso l’autofinanziamento (tasse d’iscrizione) oppure attraverso il finanziamento del committente (investimento vs ricaduta misurabile sul comportamento degli attori). B.6 Saper allestire, leggere e interpretare preventivi e rendiconti si è affermato per anni (e noi continuiamo a crederci) che un minimo di formazione commerciale stia alla base di qualsiasi attività professionale, anche quella del for-

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cfr. ad esempio gli art. 54 e 55 della LFPr (2003) Pagina 17 di 128


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matore. La pura formazione pedagogico – didattica, maggiormente se considerassimo quella accademica, evidenzia, da questo punto di vista, alcune aree migliorabili. B.7 Saper motivare piani generali, misure, progetti la padronanza della lingua di riferimento (sia orale che scritta) è fondamentale. Non si può avere delle idee e poi non saperle esprimere, giustificare o motivare. Oltre a ciò è importante che la conoscenza della materia specifica sia approfondita e non frutto di sommarie letture. In altre parole: “quando non è farina del tuo sacco, si vede subito…”. In altre parole, il formatore progettista deve conoscere, al di la dei dettagli contenutistici del progetto, anche le riflessioni, i dati, i processi analitici, le negoziazioni effettuate, le risorse necessarie a sostegno del progetto nonché le ipotesi di ricaduta sui fruito a processo ultimato. In caso di necessità deve essere in grado di sostenere le proprie idee e i propri progetti di fronte a un commitment critico, esigente e, molto spesso, con relativamente scarse conoscenze specifiche. B.8 Conoscere e applicare le basi per l'amministrazione di corsi essendo una parte integrante della formazione, anche l’aspetto operativo legato all’amministrazione dei corsi riveste grande importanza. Tutte le procedure legate all’iscrizione, alla convocazione, al materiale didattico da preparare e distribuire, alla contabilità dei partecipanti, all’attestazione e alla fatturazione determinano molto (forse inaspettatamente) la percezione di qualità, l’efficacia e l’efficienza del percorso formativo. Il formatore non può quindi esimersi dal conoscere o dall’esercitare direttamente ruoli o procedure di tipo amministrativo. Anche in questo caso, come già evidenziato, le conoscenze o le formazioni commerciali pregresse, costituiscono un tangibile vantaggio. B.9 Saper descrivere competenze concrete e sviluppare offerte tenendo presenti le attese dei committenti e degli allievi dal profilo della descrizione delle competenze, credo che si pari davanti al formatore un compito di difficile svolgimento; il presente lavoro di approfondimento, proprio su questo tema, ne è una testimonianza. Nell’attività corrente del formatore è di grande aiuto la padronanza della corretta formulazione degli obiettivi e della relativa tassonomia. Porsi empaticamente la domanda sui comportamenti attesi al termine del corso rappresenta, a nostro avviso, uno dei primi passi. A questa risposta va accomunata la riflessione sulle attese del commitment e dei discenti. Il formatore deve quindi nuovamente riprendere i contenuti dell’analisi dei bisogni e trovare il giusto compromesso fra le diverse necessità. L’offerta formativa va sviluppata tenendo conto delle diverse componenti.

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analisi dei bisogni

comportamenti attesi secondo il formatore

OFFERTA FORMATIVA

attese dei partecipanti

attese del commitment

C. Competenza didattica generale C.1 Possedere nozioni di base sull'apprendimento in età adulta e saperle applicare fortunatamente, da qualche anno, abbiamo la possibilità di compiere una decisa differenziazione fra pedagogia e andragogia. Importanti testi di riferimento14 danno la possibilità di evidenziare gli approcci, le metodologie e la misurazione dei risultati, a tutto vantaggio dell’apprendimento e, quindi, dell’efficacia della formazione. L’applicazione passa forzatamente attraverso questa conoscenza. Cambiano le ipotesi di programmazione, la formulazione degli obiettivi (e relativa misurazione), le metodologie e le dinamiche da utilizzare in aula. Lo sfruttamento dell’esperienza presente nel gruppo, la trasferibilità dei concetti e la diversa leva motivazionale su cui agire, vengono maggiormente considerate e il costrutto “globale” generato e condiviso dai discenti. C.2 Saper spiegare agli allievi i programmi previsti per i propri corsi essendo, generalmente, il formatore l’artefice della stessa programmazione, non dovrebbe essere difficoltoso l’approccio esplicativo e motivazionale nei confronti dei discenti. Un corso di formazione nasce da un bisogno che è, nei casi normali, sondato e verificato dal formatore. La diagnosi che esso propone tiene conto del problema (che va discusso con la committenza) e della possibilità che possa venir risolto attraverso un corso di formazione. Nella spiegazione il formatore deve elencare i passi intrapresi e le azioni che gli permetteranno di svolgere il proprio mandato. C.3 Sapere impiegare un repertorio metodologico adeguato considero questo aspetto decisamente centrale nell’attività del formatore. Ogni attività formativa deve tener conto dei fruitori che vanno posti al centro dell’attenzione. Gli elementi che concorrono, quindi, alla scelta del repertorio me-

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cfr. ad esempio “Quando l’adulto impara”, M. Knowles, Franco Angeli Pagina 19 di 128


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todologico, passano attraverso all’analisi della soluzione voluta (in termini di obiettivo), nonché della varietà costituente il gruppo dei discenti. In questo caso le componenti importanti da considerare sono: - le teorie della PNL15 - la durata complessiva delle giornate e del corso16 - il luogo dove si tiene il corso - la provenienza17 e il livello cognitivo dei partecipanti - il materiale, gli strumenti e le apparecchiature a disposizione C.4 Sapere applicare metodi semplici di valutazione sistematica per input, svolgimento e output della propria offerta Valutazione formativa Tipo di valutazione che ha lo scopo di migliorare l'efficacia dell'intervento formativo e in particolare dei materiali didattici utilizzati. La valutazione formativa viene svolta durante l'intervento formativo e risponde alla domanda "come stiamo andando?". Valutazione sommativa Tipo di valutazione che ha lo scopo di giudicare l'efficacia dell'intervento formativo e in particolare l’apprendimento e le prestazioni dei discenti. La valutazione sommativa viene svolta alla fine dell'intervento formativo e risponde alla domanda "come siamo andati?". Valutazione confermativa Tipo di valutazione che ha lo scopo di giudicare l'efficacia nel tempo dell'intervento formativo e in particolare il trasferimento dell'apprendimento sul lavoro. La valutazione confermativa viene svolta dopo un certo periodo di tempo, ad esempio tre o sei mesi, dalla fine dell'intervento formativo. Le definizioni di valutazione18, tipicamente utilizzate in ambito formativo, che abbiamo trovato, non sono altro che un esempio di struttura cronologica di attività di monitoraggio della formazione. Ogni formatore sviluppa le proprie competenze

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La PNL (programmazione neurolinguistica, inglese “nlp”) è un’evoluzione dell’ipnosi e risale alle tecniche e insegnamenti dei ricercatori degli anni '80 R. Bandler J. Grinder che avevano ripreso ricerche precedenti abbozzando una nuova maniera di approcciarsi alle scienze umane. Ma in realtà, come ogni cosa valida, è andata molto oltre ai fondatori.. La PNL è attualmente quella che viene definita un'invenzione dell'Umanità, qualcosa che appartiene a tutti, tante sono le persone che hanno contribuito. Questa e una storia magica. È una storia di maghi e di rane che si trasformano in principi. È un’avventura, una magia che accade ogni giorno nella neuro-linguistica umana, una storia che riguarda tutti noi. La magia la possiamo sprigionare da noi stessi, e per Pnl intendiamo il modo con cui voi potete far funzionare efficacemente il vostro cervello. Per magia, intendiamo, come usare il proprio cervello efficacemente per raggiungere i nostri scopi. Sia che vogliamo diventare un abile venditore, o un buon padre, o migliorare i nostri risultati nello studio che nello sport, se usiamo una strategia adatta otterremo tutto questo. La PNL si occupa di sviluppare strategie vincenti! La PNL è il modellamento dell'eccellenza. E quando padroneggiano questi strumenti, allora si possono conoscere i segreti di questa magia. Magia? Sì, la magia di ottenere ciò che uno desidera, la magia di forgiare e costruire il proprio futuro, la magia di entrare nel rapport con altri, eliminando i conflitti, scoprendo i valori di un’ altra persona sulle cose, ecc. Usiamo il termine “magia” in Pnl per parlare di una struttura stessa ed esperienza in merito. Così quando qualcuno fa qualcosa veramente bene, in qualsiasi campo, sappiamo che quell’ esperienza ha una struttura e che possiamo imparare e replicarla. Questa è la Pnl. Letteralmente con Pnl intendiamo un sistema mente-corpo che possiamo programmare, molto simile a come possiamo programmare il software per un computer. Possiamo programmare una strategia per fare molti amici, imparare in fretta, rimanere in buona salute, fare soldi ecc. Noi rappresentiamo il mondo attraverso i nostri sensi: Visivo (occhi) — per le immagini, viste. Uditivo (orecchi) — per i suoni, disturbi, toni, volumi. Cinestesico (tatto/corpo) — per le sensazioni, tocco, la pressione, ecc. Quando pensiamo a qualcosa, mettiamo i nostri “pensieri in codice” che usano i nostri “sensi.”Qui nasce un altro concetto importante,i nostri sistemi sensoriali o modalità. Ciò rende i nostri “pensieri” molto più specifici. Da una combinazione dei nostri sistemi sensoriali, nascono le strategie. 16 In corsi brevi l’ostentazione di metodologie esasperatamente socio costruttiviste potrebbe essere vissuta dai partecipanti quale “perdita di tempo” 17 È ormai chiaro che alcune “popolazioni” hanno maggiore piacere, abitudine e dimestichezza con metodologie legate al coinvolgimento attivo dei partecipanti. Esperienze personali, per esempio con gruppi italiani, ha evidenziato che l’abitudine di costoro (anche in ambito accademico) verte maggiormente su approcci semplici e frontali. Al contrario, nella Svizzera interna, da ormai vent’anni e più, varrebbe l’esatto contrario. Il Ticino, anche per una questione di posizionamento “mediano”, predilige un approccio che definirei misto e prudentemente innovativo. 18 cfr: http://www.simulware.it/glossario/gloss_pag.htm Pagina 20 di 128


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anche in questo ambito. Molto spesso – e sempre più – gli enti di formazione e le strutture dove avviene la formazione, dispongono di un sistema per la gestione della qualità19. In questo caso il percorso valutativo è previsto, strutturato e dotato dei necessari strumenti. C.5 Sapere utilizzare media e supporti didattici I supporti didattici possono migliorare la qualità delle lezioni, se usati ponderatamente. Ne esistono di tutti i tipi, per tutti i gusti e capacità e sono particolarmente utilizzati durante i corsi di formazione dedicati agli adulti. Le nuove prospettive aprono nuovi mercati multimediali non competono più solo al docente interessato, bensì ad un intero gruppo di lavoro. Tutto ciò dimostra chiaramente che l’interesse nei confronti di supporti didattici nuovi e adatti ad ogni esigenza è in piena espansione. I docenti desiderano, in generale, di poter disporre di maggiori informazioni. La didattica dei supporti multimediali e il bisogno di formazione continua A differenza di qualche anno fa, periodo in cui le nuove tecnologie facevano capolino nei luoghi di formazione, oggi vi è senza dubbio una certa generalizzazione. Il rischio di tale situazione sfiora situazioni d’abuso delle tecnologie. C’è ancora la sensazione che di debba, per forza, utilizzare per principio le risorse tecnologiche a disposizione; sempre e in ogni caso. Molto spesso, questo porta a delle forzature. La formazione continua dei docenti e dei formatori, quindi, è assolutamente necessaria. A differenza di quanto di potrebbe pensare, tale formazione dovrebbe evidenziare l’uso in situazioni specifiche, più che spiegare il funzionamento delle apparecchiature. C.6 Saper seguire l'evoluzione di gruppi in varie fasi dell'insegnamento/ apprendimento In un’ottica di organizzazione dell’insegnamento/apprendimento che tenga conto delle differenze individuali e della valorizzazione dei talenti e delle esperienze pregresse, il ruolo dell’insegnante diventa quello di facilitatore e mentore, non più meramente di detentore di una conoscenza (contenuti) da trasmettere in modo passivo. L’insegnante è qui visto come un professionista dell’insegnamento / apprendimento, che, attraverso la creazione in classe di un adeguato ambiente di apprendimento, mette in atto strategie e tecniche per la gestione efficace degli apprendimenti nel rispetto dell’individualità di ciascun discente, visto come persona con delle risorse da sviluppare. Il suo ruolo è quello di guidarlo nel suo personale percorso di conoscenza, fornendogli gli strumenti per imparare. La responsabilità dell’apprendimento è quindi condivisa e si basa anche sul rapporto di collaborazione reciproca tra insegnante e soggetto che apprende: in classe viene creato un clima positivo, di fiducia e di valorizzazione e sviluppo dei talenti individuali e della sfera affettiva. Questo cambiamento si applica tanto più a situazioni in cui studenti provenienti da società ed ambienti educativi diversi si inseriscono nelle nostre classi: una cultura dell’accoglienza continuativa, che miri e porti esiti formativi positivi, non può infatti prescindere dal riconoscimento di tali differenze e dalla loro valorizzazione come arricchimento reciproco. In questo panorama si rende necessaria una riflessione da parte dell’insegnante sulla propria storia personale di insegnamento e soprattutto sul proprio stile di insegnamento, costruito nel corso degli anni e sui modelli di apprendimento della sua storia personale, che sugli atteggiamenti e convinzioni sviluppati e quindi impiegati nel lavoro quotidiano in classe

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P. es.: eduqua, ISO, ECFM, CAF ecc. Pagina 21 di 128


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con i propri discenti. La valorizzazione della persona nella sua interezza, il riconoscimento delle competenze cognitive ed esperienziali pregresse, che stanno alla base di qualsiasi apprendimento, è di fondamentale importanza in questo caso per lo sviluppo di un senso di appartenenza alla comunità, scolastica in primis, che sostenga l’autostima, la motivazione e il successo scolastico. L’insegnante, per promuovere in ciascun allievo un apprendimento efficace, dovrebbe offrire un menu vario ed equilibrato di compiti e attività che possano raggiungere e sviluppare le differenze individuali. Tenendo conto delle diversità negli stili cognitivi, nei canali sensoriali e nelle diverse intelligenze, la proposta di una ‘dieta bilanciata’ nelle attività in classe può offrire a ciascun soggetto che apprende la possibilità di costruire un senso personale nel proprio percorso di conoscenza, e quindi di crescere e di sentirsi accolto, non escluso, dal processo di apprendimento. Una didattica integrata pone quindi in primo piano lo sviluppo della persona, promovendone allo stesso tempo una crescita cognitiva, affettiva e relazionale, attraverso un’offerta molteplice e differenziata di attività e tecniche didattiche. C.7 Saper consigliare gli allievi nel loro processo di apprendimento individuale Occorre pensare a un sistema di formazione “aperta”, ossia un sistema di apprendimento che, a differenza di corsi erogati con modalità tradizionali, ponga il partecipante al centro del sistema e gli permetta di svolgere un ruolo attivo nella definizione del proprio percorso di apprendimento. Ciò significa introdurre una maggiore flessibilità nell’offerta formativa. Questa flessibilità può riguardare diverse dimensioni, quali i contenuti dei corsi , i luoghi dove questo è organizzato, le modalità e i tempi di erogazione, così come i ritmi di apprendimento, le forme di supporto, gli strumenti e i momenti di valutazione. Il processo di insegnamento/apprendimento costituisce una realtà complessa in cui, oltre alla interazione diretta tra docente e discente, occorre progettare una pluralità di attività. Alternando diverse situazioni didattiche in modo coerente con gli obiettivi didattici e le caratteristiche cognitive dello studente. Nell’ambito di tale processo, il sistema di monitoraggio e di controllo permette una continua e puntuale verifica dell’efficacia didattica delle scelte effettuate e permette di apportare le opportune modifiche. In un sistema tradizionale di insegnamento viene privilegiata la modalità orale nella comunicazione: il docente spiega, illustra, sintetizza e approfondisce il contenuto della sua disciplina. L’insegnamento è dunque centrato quasi esclusivamente sulla lezione e il libro di testo è spesso la principale se non unica risorsa didattica. Nella relazione didattica l’attenzione è focalizzata sul processo di insegnamento e al centro del sistema di apprendimento è il docente formatore che definisce gli obiettivi che il gruppo di studenti dovrà conseguire. Quando la modalità “trasmissione delle conoscenze” prevale sulle altre modalità possibili, grande attenzione è dedicata alla completezza dei contenuti, la possibilità di scelta degli studenti sono molto limitate e il percorso formativo è unico per tutti ed è sostanzialmente rigido. La motivazione degli studenti non è considerata elemento indispensabile e le attività applicative sono presenti quasi esclusivamente nelle discipline che prevedono attività di laboratorio. In genere, in questo contesto non vengono valorizzate, o lo sono in misura molto limitata, le precedenti esperienze educative e formative dello studente; le competenze effettivamente possedute e le sue potenzialità di apprendimento sono prese in considerazione solo nel momento della valutazione; il processo decisionale è concentrato nella figura del docente che programma, eroga e valuta il corso, mentre il partecipante svolge un ruolo sostanzialmente passivo. In un sistema di apprendimento flessibile e aperto viene superata l’idea di un unico percorso formativo strutturato disciplina per disciplina, in un’ottica sequenziale e centrata prevalentemente sulla documentazione: l’accento si sposta dal sapere, (“sapere la lezioPagina 22 di 128


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ne”), al saper fare e al saper essere. La progettazione di un sistema di formazione flessibile personalizzata, in grado di rispondere ai bisogni di una pluralità di destinatari (per esempio la progettazione e lo sviluppo di un corso destinato ad una specifica figura professionale o la ristrutturazione di uno o più curricoli esistenti o ancora progettare ed erogare segmenti formativi a sostegno dei curricoli tradizionali) implicherebbe, in primo luogo, un’analisi approfondita del contesto economico e sociale di riferimento e dei fabbisogni formativi dei gruppi di destinatari primari o potenziali, oltre che delle loro caratteristiche psicologiche culturali. L’analisi del contesto e del processo lavorativo permette di evidenziare le necessità e al tempo spesso di individuare gli elementi di professionalità base per il successivo sviluppo dei moduli di apprendimento. Tali blocchi sapere/saper fare possono essere chiamate aree tematiche. L’adozione di un approccio modulare permette di suddividere un’area tematica in unità didattiche elementari che possono essere fruite indipendentemente le une dalle altre. In un sistema di apprendimento flessibile e aperto il partecipante è in grado di costruire il proprio percorso formativo articolato in moduli che consentono di acquisire le capacità e le competenze a lui realmente necessarie e che rispondono alle sue esigenze. Il partecipante, sulla base delle competenze già acquisite e dei titolo di studio già posseduti e degli obiettivi professionale, sceglie con il supporto del tutor tra le varie possibilità e definisce il percorso formativo (sequenza dei moduli, piano di lavoro e scadenze temporali, prove di valutazione). In un sistema aperto e flessibile, la motivazione dell’utente è fondamentale per l’efficacia del processo di apprendimento: essa è connessa all’interesse personale o al bisogno di ottenere o migliorare la qualificazione professionale, così come al grado di libertà che il partecipante ha nella definizione di obiettivi didattici e percorso formativo. C.8 Conoscere metodi per accertare i bisogni e per analizzare gruppi di allievi e condizioni-quadro

Ha supporti per lo sviluppo della motivazione

Può rivolgersi a un Centro di competenza

Utilizza in autonomia i materiali didattici

È soggetto attivo della propria formazione

discente

Verifica l’apprendimento mediante l’autovalutazione

Sceglie un percorso formativo

È assistito nella formazione da un tutor

Ha la possibilità di usare media diversi

C.9 Saper motivare scopi e obiettivi didattici di propri corsi nonché saperli formulare in modo comprensibile agli allievi vedi punto C.2 Pagina 23 di 128


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C.10 Saper progettare interventi di valutazione sotto vari aspetti vedi punto C.4 C.11 Possedere nozioni di psicologia dello sviluppo e dell'apprendimento in età adulta, saperle impiegare nel concepire i propri corsi vedi punto C.1 e C.3 C.12 Conoscere metodi di accertamento dei bisogni e saperli impiegare nello strutturare i propri corsi vedi punto B.9 e C.8 C.13 Saper definire contenuti didattici e strutturare i propri corsi in sintonia con gli obiettivi prefissati vedi punto B.4 C.14 Conoscere le caratteristiche e le possibilità di varie forme d'insegnamento/ apprendimento, saperle impiegare in modo adatto ai destinatari e coerente con gli scopi e obiettivi didattici vedi punto C.3, C.5, C.6 e C.8 C.15 Saper scegliere in modo mirato materiali didattici, completarli e adattarli a gruppi speciali di destinatari vedi punto C.5 C.16 Saper scegliere media ai fini del processo di apprendimento, motivando la scelta20 vedi punto C.5 “Non puoi scegliere il campo di battaglia, ma puoi piantare una bandiera dove una bandiera non ha mai sventolato” (Stephen Crane) Le risorse multimediali possono favorire lo sviluppo di abilità specifiche e di competenze trasversali, ma in particolar modo rappresentare utili strumenti per produrre ed elaborare percorsi di studio che integrino i tradizionali metodi di insegnamento, favorendo l’interattività tra i docenti e discenti, la pervasività delle conoscenze e una maggiore accessibilità al supporto informativo, nonché la fruibilità di dati da parte di un uditorio più vasto. Senza dubbio le tecnologie didattiche offrono all’apparato culturale una disponibilità di informazioni, quali video, sonoro e animazioni, inaccessibili dalla tradizionale versione cartacea, ma non autosufficienti a sostituirla e tanto meno a privarla di valore. A questo proposito gli strumenti a sostegno dell’Informazione e della Comunicazione nella realizzazione di software a carattere didattico devono avvalersi di strumenti come i CD-ROM ed i DVD in grado di unire dati, voci e suoni in sequenze filmate.

D. Competenza didattica specifica D.1 Possedere una terminologia specifica adeguata e saperla formulare in modo comprensibile per gli allievi esiste un modo molto facile per insegnare il significato di una parola: mostrare l’oggetto cui essa riferisce. Questo è il modo in cui i bambini apprendono i nomi degli oggetti. In questo caso il canale di comunicazione è in qualche modo multi-

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ANTONIETTI e ANTOIA (2001), Imparare con il computer, Trento, Eriksson. Pagina 24 di 128


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mediale: comprende, oltre alla sequenza che va dalla bocca e dalla voce dell’insegnante all’orecchio e all’udito dell’allievo, anche la mano dell’insegnante che tiene l’oggetto, l’oggetto stesso e l’occhio dell’allievo. Può accadere poi che, invece di un oggetto, l’insegnante debba presentare, debba spiegare un’azione. Potrà allora, in certi casi, fare ‘vedere come si fa’ – per esempio ad usare uno strumento. Egli utilizzerà cioè le parole in quanto associate al ‘fare vedere’. Ma questo non è sempre possibile: o perché non si hanno a disposizione gli oggetti di cui si parla o perché certi eventi o azioni sono difficili da mostrare. In questo secondo caso risultano preziosi gli strumenti audiovisivi (documentari o ricostruzioni artificiali). Tra le diverse forme di comunicazione cui si è accennato quella affidata al linguaggio verbale resta tuttavia la più importante. E ciò sia perché la nostra cultura si serve soprattutto del linguaggio verbale, il quale traduce in simboli (parole, frasi, discorsi, libri, enciclopedie, biblioteche) l’universo del pensiero umano, sia perché questo pensiero è di per sé in gran parte astratto e richiede un linguaggio altrettanto astratto: si pensi alla filosofia, al diritto, alla letteratura, alle scienze fisico-naturali; si pensi alla matematica e al linguaggio matematico. Di qui l’importanza della competenza linguistica dell’insegnante. Competenza che deve sempre essere commisurata alle competenze linguistiche dei suoi allievi. Nel senso che la lingua dell’insegnante vale, dal punto di vista educativo, tanto quanto risulta efficace: vale cioè per quanto, di essa, gli allievi possono comprendere ed utilizzare nella costruzione della propria cultura. Si è detto della necessità per chi insegna di padroneggiare un linguaggio capace di porsi ai livelli di comprensione degli allievi. Le difficoltà in questo caso concernono il modo in cui l’insegnante codifica le idee che vuole trasmettere in parole e discorsi. Ma una volta che questa operazione abbia avuto luogo e che il messaggio sia stato emesso, nascono altre difficoltà. I teorici dell’informazione parlano di ‘rumore sul canale’ riferendosi ad un canale materiale (ad es. un cavo telefonico) e ai fenomeni fisici che possono disturbare la trasmissione (ronzii, fruscii). Lo stesso può verificarsi in una classe in conseguenza ad es. del rumore del traffico. Ma altri rumori possono qui intervenire ad ostacolare la ricezione del messaggio da parte degli allievi: mancanza di interesse, distrazione, stanchezza intellettuale, incapacità di concentrazione. Altri ‘rumori’ sono poi costituiti da difficoltà di tipo emotivo: antipatia, avversione, disistima per l’insegnante, rifiuto di accettare idee in contrasto con opinioni o credenze personali. Altre difficoltà più propriamente didattiche dipendono dalla gestione della classe da parte dell’insegnante: situazioni di indisciplina cronica, disorganizzazione del curriculum di insegnamento. Queste difficoltà devono sempre essere tenute presenti da chi tiene una lezione. Soprattutto se questa è molto lunga, se ha molti contenuti nuovi o di natura ideologica, se cade dopo molte altre lezioni ecc. L’attività di insegnamento basata su lezioni frontali soffre molto di disturbi di ricezione del genere. Tali difficoltà possono presentarsi isolatamente, riguardando solo certi alunni oppure possono interessare tutta la classe. In ogni caso essi riducono e talvolta annullano la ricezione del messaggio. A ciascun allievo basta in certi casi solo un momento di distrazione per "perdere il filo" di un discorso e compromettere la comprensione. Comunque, una volta che il messaggio è in qualche modo giunto a destinazione, l’allievo deve decodificarlo. Questo compito tocca esclusivamente a lui e nessuno può sostituirglisi: egli si trova a dovere utilizzare tutto l’insieme di nozioni e rapporti tra le nozioni di cui dispone in modo autonomo. Questo chiarisce che quando si dice che l’educazione è una trasmissione di conoscenze, si deve tenere presente che il ‘trasmetterla’ – l’educazione - non consiste nel ‘consegnarla’, così come si consegna un oggetto da una mano all’altra e che frasi come ‘ficcare in testa agli alunni qualcosa’ sono senza senso. La mente non Pagina 25 di 128


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è un recipiente da riempire: la mente riorganizza di continuo l’esperienza e facendo ciò riorganizza se stessa. Poiché, dunque, ogni allievo riorganizza la propria esperienza sulla scorta di stimoli esterni, tra i quali, nella scuola, dominano quelli costituiti dalle comunicazioni degli insegnanti, è evidente che i concetti e i nessi tra i concetti che egli riesce a costruire sulla base dei messaggi degli insegnanti sono una sua produzione personale e autonoma. E questo equivale a dire che l’insegnante non può sapere che cosa è riuscito ad ottenere con la sua comunicazione. L’insegnante deve allora trovare qualche modo per verificare gli effetti della sua comunicazione. Così è stata inventata l’interrogazione, seguita da tutti gli strumenti di valutazione del rendimento escogitati dagli esperti. Ma queste valutazioni sono condotte dal punto di vista dell’insegnante. Esiste anche il punto di vista dell’allievo, che può variare dalla convinzione di avere capito tutto a quella di non avere capito nulla, con tutte le gradazioni intermedie. Ora, in ogni caso l’allievo dovrebbe essere interessato a verificare il risultato della comunicazione ricevuta. Per lui come per l’insegnante è importante una tale verifica ed essa non può avvenire che in un modo: l’allievo a sua volta deve comunicare all’insegnante quello che ha capito, la propria ricostruzione dei singoli concetti e dei loro nessi come è riuscito a ricostruirla. In un rapporto educativo ideale – nel quale cioè educatore ed educando abbiano avuto modo di instaurare una collaborazione mirata al successo della comunicazione – l’allievo si preoccupa di rimandare all’insegnante il messaggio ricevuto nella forma in cui ha potuto ricostruirne i contenuti: instaura con lui un dialogo attraverso il quale i contenuti del messaggio, anche se ricevuti e ricostruiti in modo molto differente da come erano stati trasmessi, possono essere corretti, fino a coincidere a sufficienza con quelli originari. In questo caso insegnante e allievo si sono capiti: sono giunti a condividere quel tanto di cultura che era oggetto del messaggio. Si può parlare in questo caso di ottimizzazione della comunicazione educativa. L’operazione del capirsi non ha luogo ordinariamente solo tra l’insegnante ed un allievo: tutti gli allievi sono egualmente destinatari della comunicazione dell’insegnante, tutti possono reagire verso di lui instaurando il dialogo descritto, per riuscire a capirsi meglio. Se la classe è bene organizzata, ogni allievo, al modo stesso in cui è destinatario della comunicazione dell’insegnante, è anche destinatario di ogni comunicazione dei suoi compagni: un dialogo può intrecciarsi tra tutti loro e con l’insegnante. Sta alla didattica spiegare come si può arrivare in una classe ad un tale risultato e come quell’intreccio di messaggi, adeguatamente disciplinato, può diventare il contenuto di un lavoro di gruppo. Dal punto di vista pedagogico in questo caso non si ha soltanto una ottimizzazione dell’apprendimento dei concetti trasmessi dall’insegnante, ma si verifica qualcosa di più, dovuto a tutti i contributi di pensiero che ogni allievo mette in comune con gli altri: il ‘di più’ si può descrivere come un lavoro di costruzione comune della cultura della classe21. D.2 Saper riconoscere il livello degli allievi nella propria disciplina e valutarne i progressi Un nuovo approccio potrebbe essere costituito dall’integrazione di un tutor. Il significato della parola tutor in ambito formativo ha assunto nel tempo nuovi e diversi aspetti. Nel senso comune il tutore è colui che si prende cura di qualcun altro o è uno strumento che sostiene: in agricoltura o in ortopedia. Il tutor nella formazione è colui che si rende responsabile di un gruppo, di un aula,

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TEORIA DELL’EDUCAZIONE E DEI PROCESSI FORMATIVI, (Enza Colicchi, 2005) Pagina 26 di 128


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di un percorso formativo. È una figura professionale, distinta dal docente o dal progettista e che spesso viene individuata nei giovani che approcciano il mestiere. Questo in effetti è in contraddizione con il significato iniziale di sostegno e guida perché appare invece come un ruolo più segretariale. Oggi la figura del tutor aggiunge valore all'attività formativa. Tra gli ambiti in cui trova collocazione la professionalità del tutor ha assunto particolare centralità l'apprendimento con l'E-learning o l'apprendimento in rete. In questi campi innovativi di apprendimento il ruolo che riveste il tutor diventa centrale, poiché la formazione a distanza con la rete necessità più che mai di attenzione e cura del singolo discente, presidio dei processi e animazione della comunità in apprendimento. Questa figura, infatti, che di recente è stata inserita in una pluralità di nuovi contesti quali l’apprendistato, alcuni sistemi di formazione in alternanza o anche in alcuni servizi per l’impiego, svolge una funzione cruciale nell’affiancare giovani ed adulti nel loro percorso di crescita formativa e professionale. Il problema è che questa nuova figura è stata progressivamente data per acquisita senza che ci sia mai stata una riflessione completa ed organica sul tema. In particolare non sono mai stati analizzati e quindi resi espliciti tutti quegli aspetti necessari per uno sviluppo organico e qualificato delle varie funzioni tipiche della figura in questione. Non solo non si sono prese in esame le aree di presidio, le peculiarità del ruolo a seconda delle diverse filiere formative o le relative strategie formative, ma non ci si è nemmeno chiesto sulle motivazioni profonde che ne hanno determinato la sua diffusione proprio nel mondo odierno con questo particolare contesto economico – sociale. Riassumendo: il termine tutor è di origine latina e deriva dal sostantivo “tutor tutoris” e questo dal verbo tueri, il significato può essere così inteso: colui che cura, che sostiene, che protegge, che dà sicurezza. Il tutor, pertanto è: • un facilitatore dell’ apprendimento • una guida • un affiancatore di situazioni da vivere, comprendere, assimilare • un accompagnatore nell’ambiente di apprendimento • un garante dello svolgimento del programma di formazione concordato La funzione di tutoraggio si esplica... • nell’accoglienza e nell’integrazione degli “studenti” • nell’individuarne potenzialità e limiti • nel consigliare gli studenti sulle attività da svolgere • nel monitorare i progressi individuali • nel creare le condizioni opportune che consentano di superare difficoltà e ostacoli • nell’offrire attenzione, ascolto, guida, orientamento • nell’ascoltare e raccogliere le richieste di aiuto Il tutor, per essere efficace, deve: • possedere competenze metodologico - didattiche nella conduzione di gruppi in apprendimento • fornire cooperazione costante in funzione “facilitatrice” • gestire la collaborazione tra i corsisti • moderare i flussi comunicativi degli altri e propri • assicurare coerenza ai vari elementi del percorso di apprendimento Pagina 27 di 128


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Le funzioni e le azioni del tutor: • individuare potenzialità: facilitare nel soggetto il riconoscimento di risorse da lui utilizzabili • costruire uno scaffolding22 affettivo e motivazionale: incoraggiare, aiutare, approvare • orientare: mostrare come si fa, rendere espliciti gli obiettivi, delineare delle possibilità • comunicare e far comunicare: favorire l'interscambio e le integrazioni di conoscenze teorico-pratiche tra i diversi partner • motivazione • animazione • coordinamento • organizzazione • comunicazione • sostegno D.3 Conoscere le possibilità di qualificazione/certificazione della propria disciplina e in campi vicini e saper orientare gli allievi Le disposizioni sulle procedure di qualificazione sono le più facili da reperire. Ogni corso, ogni formazione che ne prevede l’uso, dispone di un regolamento23. Quale esempio, di seguito, quello dell’AFP FSEA (www.alice.ch) […] 4 CERTIFICAZIONI DI MODULO RICHIESTE Art. 10 Moduli I. Le certificazioni di modulo richieste per il rilascio dell'attestato professionale federale sono elencate nella guida annessa a questo regolamento. II. I contenuti dei singoli moduli vagliati dalla CRM e le relative competenze da raggiungere sono fissati rispettivamente nella guida e nei descrittivi di modulo. Art. 11 Condizioni per il rilascio dell'attestato professionale federale I. La commissione GQ verifica le certificazioni di modulo presentate e decide, in base alle condizioni suddette, se rilasciare o no l'attestato professionale. II. Essa rilascia a ogni richiedente un'attestazione di verifica, che deve contenere almeno: a. la decisione positiva o negativa sul rilascio dell'attestato professionale; b. la motivazione dell'eventuale decisione negativa; c. eventuali ragguagli sui ricorsi. Art. 12 Ripetizione I. Se il richiedente non ottiene l'attestato professionale, la commissione GQ gli comunica la prima data possibile per la prossima verifica. […]

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Il termine scaffolding, introdotto da Jerome Bruner e altri nel 1976, significa letteralmente "impalcatura" e rappresenta il tipo di sostegno che l'adulto competente offre al bambino nell'apprendimento di una determinata abilità o competenza. Le caratteristiche principali dello scaffolding sono da rintracciarsi innanzitutto nell'adeguamento continuo di tale supporto alla zona di sviluppo prossimale (teorizzata da Lev Vygotskij) che il bambino mostra di possedere in un certo momento dello sviluppo, e nella sua progressiva riduzione, fino alla sua scomparsa, quando il bambino è in grado di mettere in atto autonomamente l'abilità o la conoscenza appresa. 23 Obbligatorio per i diplomi cantonali e per le certificazioni federali Pagina 28 di 128


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D.4 Saper consigliare individualmente gli allievi sui loro obiettivi realistici di formazione, sugli iter formativi adeguati e sulle possibilità di progresso

Requisiti Competenza globale

Competenza specifica nella propria disciplina. L’esperienza nell’animazione di corsi per adulti è indispensabile. A fine modulo i partecipanti sono in grado di informare sulle possibilità di formazione continua nella propria disciplina e sanno sostenere i/le partecipanti nel loro processo di apprendimento.

Valutazione delle competenze

1.) Analisi regolare del processo personale di apprendimento. 2.) Partecipazione attiva nei gruppi con un tempo-presenza minimo dell'80%. 3.) Analisi di un esempio concreto di consulenza e elaborazione di un dossier con rappresentazione delle offerte di formazione di base e continua disponibili nella specifica disciplina. Tali lavori sono valutati dai formatori del modulo.

Livello e modulo

APFFA-M3 / Sistema modulare dell’attestato professionale federale di formatore/formatrice d’adulti.

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Obiettivi

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I/Le titolari del certificato del modulo 3: - conoscono a grandi linee le strutture di formazione e perfezionamento e le condizioni generali a livello cantonale e svizzero e, in particolare, quelle relative alla propria disciplina; - sanno classificare le offerte di formazione e di perfezionamento e distinguerne il livello e i titoli per poterne informare chiaramente i/le partecipanti; - conducono colloqui di consulenza sulla formazione basandosi su modelli di comunicazione conosciuti; - sono in grado di valutare le competenze dei/delle partecipanti rispetto alla formazione e al perfezionamento e possono informarli/le sulle offerte disponibili.

D.5 Vagliare e aggiornare regolarmente le proprie nozioni professionali teoriche e pratiche, colmare quelle mancanti La formazione dei formatori accompagna in parallelo l'evoluzione in atto nel sistema formativo. Da un lato vi è l'esigenza di una crescente formalizzazione delle "figure professionali" della formazione, delle loro competenze e della validità dei loro curricoli; si tratta di una esigenza che procede da diverse istanze, che attengono ad esempio alla necessità di maggiore riconoscimento sociale del sistema formativo e della professione di formatore, anche attraverso le forme dell'accreditamento o della certificazione professionale. Dall'altro vi è un sistema formativo che è evoluto negli ultimi anni in modo rapido, nel senso di una forte flessibilizzazione: - dei sistemi di offerta (si pensi alla fortissima evoluzione normativa avvenuta negli ultimi anni, che ha aperto in rapida successione nuovi "fronti" formativi come la formazione continua, l'apprendistato, la formazione integrata, l'alta formazione, etc.); - delle fonti di finanziamento (tema che già si propone nel ricorso a fondi strutturali a programmazione regionale e nazionale, ma anche con lo sviluppo delle iniziative europee, dei modelli "privatistici" dei fondi interprofessionali, dei voucher e in generale con lo sforzo di aumentare l'area "a mercato"; e si tratta di aspetti che dopo il 2006 non potranno che porsi in modo ancora più forte e stressato al sistema); - dei modelli organizzativi e quindi dei modelli di rapporto contrattuale con le professionalità della formazione, necessità che conseguono obbligatoriamente per reggere un mercato che si diversifica, che è più saturo, che è più incerto in prospettiva per le fonti di finanziamento. E' indubbio che queste professionalità sono andate evolvendo, complicandosi sia nel "numero" che nei sistemi di competenze posseduti e negli ambiti di attività presidiati: a fronte di un oggettivo e positivo arricchirsi dei processi formativi, si assiste, infatti, alla diffusione di figure che presidiano in modo forte aree in gran parte ancora innovative come quelle dell'orientamento, del sostegno psico-pedagogico, dell'assessment delle competenze e della valutazione, del tutorato, dei processi formativi "in situazione" e meno formalizzati (coaching, mentoring, tutorati aziendali, etc.). A fronte di questa crescente complessità è il paradigma stesso di "figura professionale" a rischiare di sfibrarsi, e gli strumenti di job description e le declaratorie finora utilizzate faticano sempre più a "fotografare" e descrivere fedelmente un range di attività e professionalità così complesso e così intrecciato con processi dirigenziali, organizzativi, progettuali, etc. Per contro, paradigmi come quello dei sistemi di competenze appaiono più "comprendenti", anche se spesso non più agevoli da utilizzare per la formalizzazione dei ruoli, il riconoscimento professionale ed economico, la certificazione ecc. In questo quadro crescono sicuramente le ePagina 30 di 128


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sigenze di formazione formatori (in riferimento sia a nuove figure che ad aggiornamento delle competenze esistenti), ma si complicano anche e rischiano di frammentarsi in una pluralità di profili professionali da formare, di ambiti di competenza da presidiare, di approcci metodologici da saper utilizzare, etc. D.6 In base alle proprie conoscenze professionali saper definire obiettivi didattici in modo realistico e rilevante per i destinatari Possiamo utilizzare alcuni suggerimenti che provengono da Quaglino e Carrozzi che hanno messo a punto alcuni strumenti e metodologie per la rilevazione dei bisogni formativi in organizzazioni complesse del mondo del lavoro24. In particolare, possiamo fare nostra una loro considerazione: " I bisogni di formazione sono contemporaneamente dell’organizzazione e degli individui, nel senso che l’attività di formazione si sviluppa all’interno di un contesto istituzionale che li comprende entrambi"; la difficoltà sta proprio nell’armonizzare i due aspetti. Gli strumenti di rilevazione proposti da questi autori ci rimandano ,da un lato ad un’analisi degli elementi strutturali dell’organizzazione, dall’altro ad una analisi dei bisogni individuali. Nell’analisi strutturale vengono raccolti dati generali utili ad una descrizione della realtà organizzativa (strategie, obiettivi, funzionamenti , processi, vincoli), con una particolare attenzione alle risorse umane , sia nelle loro caratteristiche oggettive (età, titolo di studio, iter professionale, anzianità nell’organizzazione e nella funzione) che in quelle legate al cosiddetto ‘comportamento organizzativo’ (assenteismo, dimissioni, turnover); rientrano nell’analisi dell’organizzazione anche i dati sulla formazione già effettuata. Per quanto riguarda la sfera dei bisogni individuali di formazione, che secondo i nostri autori si configura maggiormente come un’attività di ricerca vera e propria, vengono identificate alcune aree di analisi che attengono alle attività svolte, al ruolo e alle relazioni interpersonali di autorità, agli eventi critici che si presentano con una certa frequenza nello svolgimento delle attività, fino all’analisi del sistema di attese reciproche e i bisogni ad esse collegati. Non riteniamo utile in questa sede descrivere in maniera particolareggiata gli elementi di questo modello di rilevazione, ci interessa, però, sottolineare due aspetti forse già evidenziati: a. la rilevanza della struttura e delle persone nell’analisi dei bisogni , e conseguentemente nella definizione dei fabbisogni formativi; b. la circostanza che l’analisi dei bisogni di formazione si presenta come una vera e propria attività di ricerca. Quanto detto sull’analisi dei bisogni, e sul fatto che la definizione del fabbisogno formativo possa diventare essa stessa momento di formazione, porta quasi naturalmente ad una scelta metodologica sulle tecniche da utilizzare all’interno delle organizzazioni: si tratta delle cosiddette "metodologie di ricerca d’aula", descritte e spiegate con cura da Massimo Bruscaglioni in uno dei suoi testi25. Le "metodologie di ricerca d’aula" comprendono una famiglia ampia di tecniche o metodologie didattiche operative; tutti i tipi di ricerca d’aula utilizzano come materiale l’esperienza reale dei partecipanti, "riportata" da essi stessi in aula. Il termine "riportata", sottolinea Bruscaglioni, pone l’accento sul fatto che non si lavora su dati oggettivamente rilevati, ma sulla percezione che i partecipanti hanno della loro esperienza come fatto concreto. Questa metodologia si ispira alla ricerca psicosociale, la quale a sua volta si muove su un asse metodologico fondamentale che è

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Quaglino G. P., Carrozzi G.P., Il Processo di formazione. Dall'analisi dei bisogni alla valutazione dei risultati, Franco Angeli, Milano, 1998. 25 Bruscaglioni Massimo, La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli, Milano, 1997 Pagina 31 di 128


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quello dello "strutturato poco – molto"; questo significa che anche le tecniche di "metodologia di ricerca d’aula" possono risultare molto o poco strutturate rispetto al metodo di generazione e raccolta del materiale di riflessione (dal giro di tavolo a seguito di un input generico alla predisposizione di una griglia più o meno rigida), oppure rispetto al contenuto (definito, delimitato a priori o inizialmente libero), o infine rispetto alla modalità proposta per la riflessione e la elaborazione dei dati emergenti. In generale, questa famiglia di tecniche è ritenuta opportuna in ambiti e materie in cui "rilevante è la soggettività: degli individui, dei gruppi, delle aziende", ed è fortemente indicata per tematiche relative al comportamento organizzativo (relazioni interpersonali, conduzione di collaborazioni, comunicazione, problemi di ruolo, cultura organizzativa, rapporti tra gruppi e settori) e per la formazione su tematiche applicative specifiche. Fa parte di questa famiglia anche il più conosciuto "metodo degli autocasi", dove appunto si lavora in formazione su un caso effettivamente verificatosi, con il senso metodologico di ricercare il significato di ciò che è avvenuto, e nel quale l’apprendimento consiste nella possibilità di riorganizzare più efficacemente i dati del problema. L’obiettivo è "imparare dall’esperienza", imparare cioè ad utilizzare le proprie potenzialità soggettive relazionandole ai dati di realtà immediatamente meno percepibili; nel processo formativo attivato con questo metodo, si è portati ad utilizzare anche modelli di concezione della realtà meno semplicistici, meno difensivi, meno arbitrari di quelli che utilizzeremmo in prima battuta26. Il ‘metodo degli autocasi’ è ritenuto particolarmente efficace in quelle situazioni in cui "risultano cruciali gli aspetti soggettivi e in particolare quelli relazionali, i vissuti degli individui, i loro modi di organizzare mentalmente ciò che succede intorno a loro"27. D.7 Avere familiarità con forme d'insegnamento/apprendimento efficaci, adeguate alla materia insegnata e ai contenuti didattici vedi punto C.3, C.5, C.6, e C.14 D.8 Avere una visione globale dei supporti didattici adatti alla propria disciplina e saperli valutare vedi punto C.5 e C.15

5. Competenza sociale E.1 Possedere nozioni di base sulla comunicazione, saper analizzare processi comunicativi e moderare discussioni con sicurezza Paul Watzlawick e colleghi (1967) hanno introdotto una differenza di fondamentale importanza nello studio della comunicazione umana: ogni processo comunicativo tra esseri umani possiede due dimensioni distinte: da un lato il contenuto, ciò che le parole dicono, dall'altro la relazione, ovvero quello che i parlanti lasciano intendere, a livello verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che intercorre tra loro. In epoca recente, lo psicologo di Amburgo Friedemann Schulz

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Il processo di apprendimento che si realizza attraverso le metodologie di ricerca d'aula, dal punto di vista del soggetto in formazione, prevede il passaggio dalle seguenti fasi: a) si tende ad usare e a confermare i propri schemi interpretativi; b) si ricevono dagli altri partecipanti degli stimoli, delle nuove informazioni e proposte di significati che possono non essere coerenti con quelli organizzati secondo il proprio schema; c) ci si trova nella impossibilità di 'dare senso' ad informazioni e dati che l'aula ci presenta (tale situazione di 'perdita di senso' è più tollerata perché ci si trova nella situazione di formazione); d) la 'perdita di senso' stimola a produrre nuovo senso: si possono adottare nuovi schemi di interpretazione, assumere il punto di vista dell'altro, organizzare i dati del problema diversamente dall'approccio iniziale, individuare nuovi percorsi operativi, cambiare. 27 Vedi nota 14 Pagina 32 di 128


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von Thun (1981) ha proposto un modello di comunicazione interpersonale che distingue quattro dimensioni diverse, nel cosiddetto "quadrato della comunicazione": • contenuto: di che cosa si tratta? (lato blu del quadrato, in alto) • relazione: come definisce il rapporto con te, che cosa ti fa capire di pensare di te, colui che parla? (lato giallo, in basso) • rivelazione di sé: ogni volta che qualcuno si esprime rivela, consapevolmente o meno, qualcosa di sé. (lato verde, a sinistra) • appello: che effetti vuole ottenere chi parla? Ciò che il parlante chiede, esplicitamente o implicitamente, alla controparte di fare, dire, pensare, sentire. (lato rosso, a destra). Queste quattro dimensioni si possono tener presenti sia nel formulare messaggi che nell'ascolto e nell'interpretazione dei messaggi di altri. In questo secondo caso la "scuola di Amburgo" parla delle "quattro orecchie" (corrispondenti ai "quattro lati del quadrato della comunicazione") su cui ci si può sintonizzare. Ad esempio, per riuscire a "prendermela", ad offendermi nell'ascoltare la comunicazione x, dovrò assegnare ad essa significato sintonizzandomi sull'orecchio "giallo", quello che tende a vedere nella comunicazione degli altri il loro soppesarci, il segno cioè di quanto questi ci rispettino. Questo modello visualizza come noi si sia sempre liberi di assegnare a qualsiasi comunicazione un significato oppure un altro, evidenzia così il potere di chi ascolta nel contribuire a definire la qualità di una interazione. Con un poco di allenamento è possibile, ad esempio, sintonizzarci sull'orecchio verde, invece che su quello giallo, e chiederci, dentro di noi, di fronte ad una comunicazione che ci pare irritante (e lo farà solo se siamo sintonizzati sull'orecchio giallo!): "come si sente, la persona che parla, per sentire il bisogno di parlarmi in questo modo?" Generalmente si distinguono diversi elementi che concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo: • emittente: la fonte delle informazioni effettua la codifica di queste ultime in un messaggio • ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende • codice: parola parlata o scritta, immagine, tono impiegata per "formare" il messaggio • canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici) • contesto: l'"ambiente" significativo all'interno del quale si situa l'atto comunicativo • contenuto: l'oggetto della comunicazione. Come si è detto, il processo comunicativo ha una intrinseca natura bidirezionale, quindi il modello va interpretato nel senso che si ha comunicazione quando gli individui coinvolti sono a un tempo emittenti e riceventi messaggi. In realtà, anche in un monologo chi parla ottiene dalla controparte un feedback continuo, fosse'anche il messaggio non verbale "parla quanto vuoi, io non ti ascolto". Questo fenomeno è stato riassunto con l'assioma (tornando a Paul Watzlawick) secondo il quale, in una situazione in presenza di persone, "non si può non comunicare": perfino in una situazione anonima come in un vagone della metropolitana noi emettiamo per i nostri vicini continuamente segnali non verbali (che significano pressappoco "anche se sono a pochi centimetri da te, non ti minaccio e non intendo immischiarmi nella tua sfera intima"), e i nostri compagni di viaggio accolgono il messaggio, lo confermano e lo rinforzano ("bene; lo stesso vale per me nei tuoi confronti"). Pagina 33 di 128


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Già da questo semplice modello possiamo individuare diversi aspetti potenzialmente problematici del processo comunicativo: a) Il processo di comunicazione, pur essendo formalmente cosa separata dal mezzo attraverso il quale avviene, ne è altamente influenzato: se utilizzo il codice Morse, cercherò di limitare il messaggio allo stretto necessario, se utilizzo una lettera userò un tono tendenzialmente più formale rispetto ad una telefonata. Il mezzo influenza la comunicazione, ciascuno in un modo diverso, e quindi si potranno individuare dei mezzi di comunicazione particolarmente adatti a trattare un certo argomento, ma inadatti ad un altro. b) Non è detto che il gran numero di singoli messaggi, verbali e non verbali, emessi in un dato momento (vedi oltre), siano sempre congruenti tra loro. Posso dire due cose diverse con le parole e con i gesti (ad esempio dire al mio rivale in amore "lieto di conoscerti" con un'espressione del volto assai contrariata). c) Non è detto che l'interpretazione del contesto all'interno del quale avviene lo scambio comunicativo sia sempre identica o congruente. Nell'aula di una scuola, il docente potrà pensare di avere uno stile partecipativo e "democratico", mentre lo studente potrà sentirsi parte di una relazione asimmetrica e autoritaria. Da quanto appena detto emerge chiaramente che la comunicazione non sempre "funziona"; questo dato viene confermato innumerevoli volte dalla nostra esperienza quotidiana. E.2 Conoscere modelli di dinamica di gruppo e possedere un repertorio essenziale d'interventi per guidare gruppi in formazione 28 In sociologia e psicologia sociale si definisce gruppo un insieme di persone che interagiscono le une con le altre in modo ordinato sulla base di aspettative condivise riguardanti il rispettivo comportamento. È un insieme di persone i cui status e i cui ruoli sono interrelati. Dato che gli esseri umani sono fondamentalmente animali portati a cooperare, i gruppi sono una parte vitale della struttura sociale. I gruppi si formano e si trasformano costantemente; non è necessario che siano autodefiniti e spesso sono identificati dall'esterno. In base al tipo di relazione il gruppo può essere primario o secondario. • Il gruppo primario è composto da almeno tre persone che interagiscono per un periodo di tempo relativamente lungo, sulla base di rapporti intimi faccia a faccia (es: famiglia, gruppi di pari, piccole comunità). • Il gruppo secondario è composto da un numero di persone che interagiscono su basi temporanee, anonime e impersonali. I suoi membri non si conoscono personalmente o si conoscono in relazione a particolari ruoli formali anziché come persone nella loro completezza. Solitamente conseguono finalità specifiche e meno emotivamente impegnate come ad es. nelle aziende, nei partiti politici, nelle burocrazie statali. Si possono classificare i gruppi in base al numero di componenti. • La diade è un gruppo composto da due elementi, come madre-figlio, mogliemarito, due amiche del cuore. Ciò che caratterizza la relazione, nella diade, è il legame affettivo. Anche se la comunicazione si interrompe per qualche motivo e quindi non si hanno più interazioni (come nel caso della assenza di uno dei due componenti, oppure nel caso di una separazione dopo un brusco litigio) la relazione permane. Tuttavia affinché la diade continui ad esistere nella comunicazione vi è la necessità di un'attenzione reciproca la quale venendo meno

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Da www.wikipedia.com Pagina 34 di 128


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interrompe l'interazione tra i due componenti e pone fine all'atto comunicativo. Nella Diade due persone stanno insieme perché si sono scelte, perché hanno interessi in comune o per compensazione. L'una trova nell'altra quello che pensa gli manchi. Si tratta di due persone che rinnovano la loro scelta nella volontà di continuare lo scambio comunicativo. • La triade è un gruppo composto da tre membri. Un classico esempio è la classica famiglia padre - madre - figlio. La comunicazione nella triade si modifica perché, pur rimanendo nell'ambito della relazione intima, due dei tre elementi possono temporaneamente interagire tra di loro escludendo il terzo. Ad esempio il padre ama andare a pesca con il figlio e diventa per loro una possibilità di comunicazione, mentre la madre non è coinvolta da questa esperienza che riguarda solo loro; allo stesso modo il bambino può essere escluso dalla scelta dell'acquisto di una casa e in tal caso l'interazione riguarda e coinvolge solo i genitori. Possiamo quindi dedurre che l'interazione, che riguarda solo la dimensione spazio/temporale del qui e ora, nella triade si articoli sempre su due dei membri, a seconda dello spostamento del centro di interesse. Risulta ovvio che, se la comunicazione si concentra sempre nella stessa coppia, esistono dei problemi di relazione nella triade. Si deduce, quindi, che sempre per questo stesso motivo nella triade è possibile la formazione delle coalizioni. • Il Piccolo Gruppo è un gruppo costituito solitamente da 4 a 10-12 membri. È uno dei modelli di interazione sociale fondamentali, e molte attività sociali e funzionali avvengono in o attraverso gruppi di tali dimensioni. Gruppi più ampi tendono a dare luogo alla formazione spontanea di sottogruppi di questa dimensione, sia in ambito socio relazionale che operativo - lavorativo. • Il Gruppo Mediano è un gruppo costituito di solito da 10-12 a 25-30 membri. Col passaggio dal piccolo gruppo al gruppo mediano le relazioni personali divengono meno strette, ed in caso di interazione prolungata quest'ultimo tende a segmentarsi informalmente in piccoli gruppi. • Il Grande Gruppo, o Large Group, conta dai 30 membri in su. In tali tipi di gruppo le interazioni sono meno dirette e personali, e l'individuo è più soggetto alla dialettica di polarizzazione tra fenomeni di massificazione/individuazione. In linea teorica, le comunità, le organizzazioni sociali e le collettività sono forme particolari di very large group. Con l'espressione dinamica di gruppo si indica l'evolversi delle relazioni nel gruppo. Lo psicologo sociale Bruce Tuckman propose nel 1965 un modello di evoluzione della vita di gruppo che consiste in cinque fasi sequenziali: • Formazione (forming). I membri del gruppo si orientano e comprendono quale debba essere il comportamento nei riguardi del coordinatore e degli altri membri. • Conflitto (storming). Si sviluppa un clima di ostilità verso gli altri membri del gruppo e/o verso il leader, soprattutto per l'incertezza dovuta a mancanza di direttive e di sostegno psicologico, per la mancanza di strutturazione e per la resistenza alla struttura. Si sviluppa una resistenza emotiva di fronte alle esigenze del compito da svolgere come espressione alla propria indisponibilità. • Strutturazione (norming). I membri si accettano vicendevolmente, e si sviluppano delle norme di gruppo alle quali tutti si sentono impegnati. • Attività (performing). I membri del gruppo accettano il loro ruolo e lavorano per raggiungere i fini preposti. • Aggiornamento (adjourning). I membri del gruppo decidono una sospensione delle attività al fine di valutare il modus operandi e i risultati eventualmente ottenuti. Pagina 35 di 128


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La coesione di gruppo definisce il livello di solidarietà fra i membri, ma anche la condivisione di norme e il relativo senso di appartenenza. Questa coesione è determinata anche da fattori emotivi. E.3 Essere consci dei propri modelli comportamentali e saperli modificare in modo adatto alla situazione Il comportamentismo nasce agli inizi del XX secolo, dalla tradizione scientifica della psicologia sperimentale. Si propose di costruire una scienza psicologica che si avvalesse delle caratteristiche di esattezza e obiettività tipiche delle scienze più avanzate, come la biologia e la fisica. A tal fine operò un radicale capovolgimento nell'assunzione dell'oggetto di studio della psicologia, spostando l'attenzione sul comportamento ossia sul complesso delle manifestazioni esteriori, direttamente osservabili, di un individuo e quindi valutabili. Il comportamentismo è interessato a stabilire le associazioni tra gli stimoli recepiti dal soggetto e le sue risposte, considerate le unità di base del comportamento umano, mettendo tra parentesi tutto ciò che intercorre tra i due elementi sia che si tratti di processi mentali che fisiologici. L'apprendimento avviene in base all'esperienza di tali associazioni, l'uomo vien visto come un animale che reagisce agli stimoli ambientali, ed il suo comportamento si riduce ad un insieme di processi biochimici ed attività sistemiche. Sulla scia degli esperimenti, condotti in laboratorio da Pavlov, numerosi studiosi elaborarono modelli d'apprendimento e condizionamento fondati su tale associazionismo pensando fosse possibile studiare così anche i comportamenti più complessi. Lo psicologo americano Watson elaborò uno degli assunti base dell'approccio comportamentista, il "condizionamento classico", in base al quale l'associazione ripetuta di uno stimolo, detto stimolo neutro, con una risposta non ad esso direttamente correlata, farà si che, a tale stimolo corrisponda una risposta condizionata. Successivamente Skinner fornì nuovi spunti al modello comportamentista passando dal più semplice modello del condizionamento classico a quello operante introducendo il concetto di rinforzo. Osservò che una risposta seguita da rinforzo si presentava con maggiore frequenza, in questo modo fornì una nuova chiave di lettura in grado di spiegare ogni forma di apprendimento, soprattutto quello più complesso. Il comportamento assertivo, ad esempio, si riconosce da alcune espressioni corporali particolarmente aperte, cordiali e coerenti nei vari livelli della comunicazione. Presupposto fondamentale dell'assertività è il saper ascoltare ovvero prestare attenzione non solo al contenuto razionale ma anche a quello emotivo della comunicazione, riassumere e dare feedback e chiedere chiarimenti. La riduzione dell'ansia e l'emergere delle convinzioni positive conseguenti al comportamento assertivo permettono lo sviluppo e la crescita della fiducia in sé stessi. La componente cognitiva comprende tutti i pensieri che condizionano il nostro comportamento. Esistono persone talmente esigenti nei propri confronti da negarsi una possibilità di essere assertivi o che rinunciano a farsi valere per mancanza di fiducia in se stessi sconfinando in atteggiamenti rinunciatari. Sarebbe invece utile l'atteggiamento opposto: credere nella propria capacità di affermarsi e di immaginarsi nell'atto di riuscire. La componente emotiva comprende il livello di emotività e il tono e il volume della voce. È importante trasmettere il proprio messaggio al livello emotivo più adatto alla situazione, perché il tono di voce ha un ruolo decisivo nell'opera di persuasione. La componente non verbale è estremamente importante. Gran parte della comunicazione avviene infatti non verbalmente, e la comunicazione non verbale ha un forte impatto sull'interlocutore. Un'analisi dei vari comportamenti non verbali può essere basata sul contatto visivo, sulle espressioni del volPagina 36 di 128


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to, sul silenzio, sul tono, volume e inflessione della voce, sui gesti e sul linguaggio del corpo. E.4 Saper riconoscere difficoltà/conflitti e gestirli con strategie adeguate Vivere all'interno dell'organizzazione implica la necessità, da parte del formatore, di confrontarsi efficacemente con la moltitudine di conflitti che covano al suo interno. Può trattarsi di conflitti riguardanti gli stessi obiettivi del percorso da lui condotto, attriti interpersonali, incapacità di competere seguendo le regole ecc. In ognuno di questi casi, il formatore dovrà giocarsi al meglio facendo ricorso alle abilità suindicate, con particolare riferimento alla comunicazione e al controllo delle emozioni negative. A ciò dovrà aggiungersi una conoscenza, la più approfondita possibile, sugli stadi attraverso i quali si sviluppa il conflitto e sulle tecniche utili a trasformare il conflitto in confronto. Il primo di questi ha quasi sempre effetti devastanti, basandosi sulla logica "Io vinco, tu perdi"; il secondo, al contrario, effetti altamente motivanti, basandosi sulla logica "Io vinco, tu vinci". E' questo il cuore della negoziazione, strumento quanto mai utile in situazioni conflittuali.

Saper comunicare in modo assertivo, significa instaurare e mantenere un rapporto interpersonale, che ne massimizza gli aspetti positivi, quali il rispetto reciproco, un'interazione aperta, la prevenzione di eventuali conflitti interpersonali ecc. A ciò si aggiunge l'assenza di trappole manipolative e di critiche distruttive, il cui vero scopo è quello di esercitare sull'altro un potere moralmente criticabile e alla lunga privo d'efficacia. I dati (Burley - Ann, 1989) dimostrano che la comunicazione assertiva, quando viene usata dal formatore, presenta molti più vantaggi che costi. Anzi, di costi in realtà sembra essercene solo uno, vale a dire lo sforzo ad assimilare un nuovo stile interpersonale che può cozzare con quelli già presenti nella persona. Inoltre, saper controllare le emozioni negative, ossia quelle emozioni che producono inutile sofferenza alla persona e a quelle che con essa interagiscono. La conseguenza organizzativa? Quella di minare il clima sociale del team o del gruppo e di abbassare lo standard qualitativo del prodotto o del servizio erogato. Delle numerose emozioni negative che possono gravare sul formatore, ve ne sono due che hanno attirato l'attenzione dei ricercatori e dei formatori aziendali: lo stress e Pagina 37 di 128


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la collera. Il primo in quanto produttore, nel lungo periodo, di uno stato di sofferenza che tende ad aprire le porte a numerosi disturbi psicosomatici; la seconda, in quanto causa in grado di produrre sofferenza in chi la culla e la manifesta e contro-aggressività in chi la subisce. Quest'ultima, a sua volta, si può manifestare mediante conflitti aperti o subdoli, come il pettegolezzo che può pervenire fino alla calunnia e infine il boicottaggio. E.5 Possedere nozioni teoriche sulla comunicazione, saperle applicare in modo adatto a situazioni concrete di discussione e a processi comunicativi di gruppo vedi punto E.1 E.6 Conoscere i punti forti/deboli del proprio comportamento comunicativo Nonostante viviamo in piena era tecnologica e nonostante la ormai acquisita consapevolezza della valenza comunicativa del linguaggio non verbale e dell’importanza del linguaggio scritto, è ancora il linguaggio verbale al centro del con-vivere ovvero del co-municare. Per questo motivo su di esso e non su altre forme di linguaggio si incentra lo studio di Ivana Padoan29 nel suo Agire comunicativo: da sempre infatti il linguaggio verbale si presenta come il linguaggio più frequentato nel mondo comunicativo così come nel mondo formativo. E proprio questa duplice applicazione del linguaggio verbale è al centro del lavoro con cui l’autrice si propone di "coniugare alcuni appunti di riflessione epistemologica del campo comunicativo con la realtà complessa della formazione e dell’educazione". Comunicazione e formazione, dunque. Ma in che modo sono connessi i due concetti? La Padoan parte da alcune definizioni di comunicazione che, pur non avendo la pretesa di essere esaustive di una nozione di tale portata, pure ci introducono alla sua natura, facendocene intravedere tutta la complessità. La comunicazione è un accadimento inerente alla vita. Se da un lato infatti è comunicazione quella tra le cellule umane mediante il linguaggio del DNA, in termini più allargati si può affermare che "la vita è un fatto comunicativo, continuo, ininterrotto, vivo e inarrestabile, soggetto a continuo adattamento e apprendimento. La comunicazione si situa dunque come elemento costitutivo di un tutto ben più complesso e globale, essa ha le sue radici nell’essenza stessa della vita e costituisce il fondamento stesso della cultura e del sistema di vita della società umana, dall’infanzia alla morte". C’è di più. Oggi ci si stupisce molto sentendo parlare di crescita esponenziale delle possibilità comunicative. La costante pressione della quantità, del tempo, del grado di velocità e di efficienza richiedono infatti all’uomo comune un continuo processo di "attualizzazione", mettendo a dura prova la sua capacità di adattamento ai ritmi e ai cambiamenti richiesti dalla complessità del mondo moderno. La Padoan interviene su questo aspetto della riflessione riscontrando in realtà "solo uno spostamento epistemologico graduale dell’essere umano, dalla presenza costante a sé, propria della civiltà antica, verso una identità, sempre più altro, tipica del mondo della parcellizzazione e della crescente complessità dei giorni nostri". Le linee di tendenza del mondo attuale sono cioè quelle di una "modalità comunicativa esasperata, proiettata sempre oltre, al di là, una dimensione temporale da ora a infinito", in una "concezione della durata da meno a più dove il più non ha limite e tutto, pur essendo dentro, parla e comunica verso l’esterno". Per capire il mondo in cui viviamo dunque non si può prescindere dalla comunicazione: qualsiasi agire è un agire comunicativo come qualsiasi sapere è un sapere comunica-

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Da Laura Marinelli sul testo di Ivana Padoan, L'agire comunicativo, Roma, Armando (2000) Pagina 38 di 128


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tivo. E partendo da questa considerazione assieme a quella, ad essa correlata, che il fatto comunicativo si estrinseca come comprensione di…, la Padoan fa un rapido ma pregnante excursus della storia della cultura per meglio comprendere gli elementi che caratterizzano la nostra società attuale. E lo fa a partire da un’idea centrale: che la comunicazione, come fondamento della cultura, è un atteggiamento creativo e dinamico verso il mondo, operante nel continuum della tradizione. Ripercorrere le tappe salienti della civiltà umana la porta a enucleare concetti ognuno dei quali spalanca veri e propri universi di possibili interrogazioni riguardanti il rapporto con l’idea di comunicazione. Uno su tutti: la teoria dei quanti e l’investigazione sperimentale degli atomi rivelano come a livello subatomico la materia non esiste con certezza in posti definiti, ma tende ad esistere come probabilità di interconnessioni. Per cui non si ha a che fare con cose ma con relazioni; e di conseguenza l’universo non può mai essere scomposto in unità minime indipendenti, apparendo invece come un tessuto di eventi in cui i rapporti di diverso tipo si alternano e combinano determinando la struttura del tutto. Uno spostamento da oggetti a rapporti che ha fatto dire a Bateson che "i rapporti dovrebbero essere usati come base per tutte le definizioni e questa nozione dovrebbe essere insegnata ai nostri bambini nelle scuole elementari" e sottolineare alla Padoan che la teoria della relatività rivela il carattere intrinsecamente dinamico della materia la cui attività ed essenza finiscono per coincidere. Parafrasando Cartesio: comunico dunque sono? Una visione dunque, questa della fisica moderna, sistemica, in accordo con gli approcci sistemici nati frattanto in altri campi. Dalla medicina, in cui l’orientamento olistico analizza il sintomo patologico come risultante dell’interazione mente - corpo - ambiente; al mondo della produzione dove l’insoddisfazione professionale di chi finisce per fare delle attività ricreative il centro d’interesse della propria vita, richiama l’urgenza di un superamento del rapporto meccanicistico prestazione-salario per vedere recuperata la centralità della persona all’interno del mondo del lavoro e il proprio posto nell’ordine armonico dell’ecosistema. Occorrerà allora una nuova teoria che integri principi teorici costitutivi della biologia, filosofia, psicologia, politica con l’economia. Si chiarisce così un po’ di più quanto dicevamo all’inizio circa il rapporto comunicazione-formazione: ricondurre il tutto disperso nel probabile o possibile educando, unificando, aiutando e formando potrebbe essere il ruolo di una società educativa. Prospettiva che presuppone una visione globale che leghi il tutto entro una rete di significati, connessioni, interessi, sinergie: quindi una visione sistemica della realtà, la sola che non blocchi il pensiero in un universo chiuso. "La concezione sistemica è essenzialmente un fatto di relazione tra energie e quindi essenzialmente a base comunicativa". E in campo umano la comunicazione è un processo fondativo della comprensione della realtà. Per comprendere occorre cioè comunicare. Ancora: comunicazione è passaggio di informazione. Ma l’informazione non è qualcosa che si trova nel mondo esterno ed è successivamente elaborata dal sistema vivente nella cognizione; ma il sistema vivente è autonomo e, specificando quali cambiamenti provenienti dall’ambiente innescano i propri cambiamenti, genera un mondo. Il fatto comunicativo è dunque parte costitutiva della creazione del mondo. Esistiamo in un dominio semantico creato dal nostro operare nel linguaggio, tessiamo continuamente la rete linguistica di cui facciamo parte. In altri termini essere uomini è esistere nel linguaggio: è nel linguaggio che coordiniamo i comportamenti e generiamo insieme il nostro mondo. La sfida è dunque una società pedagogica, formativa e comunicativa, intesa come ipotesi di auto-regolazione e auto-sviluppo e giustificata a livello cognitivo. La Padoan prende in prestito questa definizione traducendo alla lettera Beillerot che ha dato questo titolo a un suo studio, ultimato nel1982, in cui si interroga Pagina 39 di 128


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sulla proliferazione della "cosa pedagogica". E lo integra commentando come quest’ultima si genera e si accompagna storicamente con un’inflazione comunicativa. Ella osserva infatti come le nuove pratiche formative siano "ad alto tasso comunicativo, sì che in rapporto al tempo esse sono permanenti, iniziali e continue, mentre in rapporto allo spazio sono evolutive, professionali, adulte, istituzionali, organizzate e libere". Ora, si tratta solo di una moda o di un cambiamento profondamente rivoluzionario nel modo di pensare la pedagogia? In realtà questa fase di così grande interesse per la pedagogia non può spiegarsi esclusivamente con la diffusione della comunicazione e della conoscenza né come effetto del ruolo sociale della scuola. Tanto più che la formazione è diventata molto più frequentata fuori dalla scuola, frazionata in quella miriade di atti educativi che costituiscono la maggior parte delle situazioni della vita: dalla sessualità, al cibo, al lavoro, allo stare con gli altri, la maggior parte delle azioni si riveste di frequenze formative. Fino al punto che la scuola non rappresenta più la cultura né ricopre il ruolo o esaurisce il senso della formazione. Questo processo quasi totalizzante obbliga a una riflessione. Beillerot ha individuato, e la Padoan le riprende in blocco, tre "tematiche moderne che permettono di comprendere come i processi di conoscenza e di azione contribuiscono al processo di pedagogizzazione". Esse sono: • l’alternanza • l’intervento dinamico • la telematica. La prima unisce all’apprendimento tradizionale la pratica sul campo e si presenta come luogo privilegiato per la creazione di nuovi processi di apprendimento e di insegnamento. L’intervento dinamico agisce sulla natura stessa di questi processi e sulla loro organizzazione didattica: al processo di "far fare" viene privilegiata la soggettivizzazione; e dunque i vari processi di interpretazione, che nell’insegnamento tradizionale risultavano fissi e appannaggio solo di un polo della relazione, diventano dinamiche interattive coinvolgenti anche l’apprendente. Affermatasi come la tecnologia più importante del nostro secolo per la produzione e diffusione dei segni, la telematica infine rivoluziona, con l’introduzione della macchina, il rapporto insegnante allievo. "Con essa si hanno processi di maggiore individualizzazione (auto-responsabilità), di metodologia di apprendimento (distanza e non faccia a faccia), di apprendimento collaborativo in rete, che modificano il sistema binario dell’ apprendimento come pure il ruolo, le funzioni e la didattica del processo di insegnamento. Se in precedenza l’apprendimento era governato prevalentemente dal processo duale e il sapere faceva da terzo escluso, con la telematica il sapere si disancora dall’insegnante in quanto fonte di informazione, per tradursi secondo altri modelli comunicativi: significazione, riflessione, feedback". Diminuisce dunque la funzione educativa tradizionale legata alla relazione diretta con l’altro, emergendo, in tutta la sua valorialità, il rapporto al sapere, che diventa prioritario far emergere affinché ogni membro si definisca nella sua soggettività euristica: anche l’insegnante, che deve dimostrare in quale rapporto rispetto al sapere si situa, per poter interagire con il rapporto al sapere da parte dell’allievo. L’unità di misura diventa cioè il rapporto al sapere. Infine anche il campo di influenza della formazione muta: • non è più il "principe" che ammaestra ma l’utenza che fa richiesta di una comunicazione reciprocante; • l’educazione non accompagna più soltanto il momento della crescita dell’individuo ma lo segue per l’intero arco della vita, rispondendo non più a finalità ma a processi di continuità, discontinuità, rotture e ricorsività; • il senso di formazione si fa più complesso. Pagina 40 di 128


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Su questo terzo punto la sfida sembra farsi più difficile: è qui che si incontrano i campi d’azione di discipline tradizionali come l’educazione, l’istruzione e quelli di altre discipline come la sociologia, la psicologia, la filosofia. Al centro della formazione si pongono continuamente problematiche basiche riguardanti, paradossalmente, le condizioni stesse della comunicazione. E se nel sistema del dominio umano la comunicazione è la forza base, è comunque la formazione che permette all’uomo di reggere verso il cambiamento e la complessità. Allora la prova è andare oltre il semplice incontro formazione-comunicazione, mettendole in relazione vera, in quanto una formazione pensata esclusivamente in termini di informazione – insegnamento - istruzione non ha colto il senso della formatività. Quando si tratta di persone, cioè, la dinamica comunicativa dà senso all’informazione, all’istruzione e all’insegnamento. In altri termini non si ha formazione al di fuori degli orizzonti della comunicazione. Nel comunicare, infatti, i soggetti rendono comune lo scambio: in quello spazio di interazione che è la relazione tra i due membri del rapporto, il discorso di ognuno prende vita. Non in senso astratto, ma fisicamente, è come se i discorsi dei soggetti prendessero corpo diventando elementi costituenti il processo di riconoscimento dei soggetti stessi e della loro evoluzione. Pensato in questi termini il processo diventa il punto di partenza fondativo su cui programmare i dispositivi delle competenze di istruzione, educazione e formazione. Competenze non semplicemente di linguaggi ma di una dimensione comunicativa comprendente la pluralità e la diversità dei linguaggi umani, tecnici e naturali. E allora la Padoan dedica tutta la seconda parte del suo lavoro ad alcune riflessioni sulle competenze formative della comunicazione e nello specifico, come si diceva all’inizio, della comunicazione verbale. La comunicazione verbale, cioè, può essere educativa. Il nucleo del discorso diventa allora metterne a punto, evidenziandole, le caratteristiche specifiche, quelle che determinano una relazione docente-allievo differente e rivoluzionaria rispetto a quella costitutiva dell’insegnamento tradizionale. Si arriva così al culmine della questione, quella che, da insegnanti, ci riguarda di più. La riflessione della Padoan si fa stringente e pratica snodandosi attraverso quattro punti, ognuno analizzato nei suoi elementi costitutivi. La prima nota è propedeutica a tutte le altre e riguarda il formatore. Questo dovrebbe essere quasi un terapeuta per l’allievo, assicurandogli una presenza costante e condividendo il suo vissuto quotidiano. L’obiettivo sta nel partire dal reciproco sentire, anche se asimmetrico, per favorire lo sviluppo dell’autonomia del soggetto e la risoluzione dei problemi. Questa relazione di reciprocazione, come la definisce la Padoan, autentica e efficace in ordine al progetto formativo comune, è lo strumento principe e come tale richiede la messa a punto di alcuni dispositivi di fondo. Essi sono in primo luogo l’ascolto e l’empatia: due concetti vicini eppure distinti. L’uno si riconosce in quanto disponibilità per i messaggi o le azioni dei soggetti apprendenti, con lo scopo di trasmettergli in primis la certezza del proprio valore e subito dopo risposte interagenti che riformulino il problema, decodificando eventuali latenze. L’altra si definisce più precisamente come capacità di accogliere l’altro condividendone l’emozione e si concretizza in agevolazione dello sviluppo personale e in aiuto affinché l’altro tragga profitto dalle proprie esperienze. Ascoltare, accogliere, dunque accettare senza condizioni date a priori. Il soggetto in formazione non deve cioè guadagnarsi la simpatia del formatore ma registrare uno spazio aperto nel quale esprimersi e da cui partire per creare un rapporto di reciprocazione pur nell’asimmetria dell’azione. Per ovviare a un rapporto statico con gli allievi che sterilizzi le aspettative dell’insegnante, questo deve inoltre individuare strategie comunicative e didattiche di trasformazione al fine di scoprire le risorse dell’altro, anche le più nascoste. Obiettivo che presuppoPagina 41 di 128


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ne la consapevolezza dell’evoluzione del soggetto apprendente e necessita della capacità di mantenere una lucidità percettiva della situazione. Nella stessa prospettiva, un adulto sufficientemente sicuro, empatico e distanziato emotivamente e cognitivamente può affiancare l’allievo nel processo d’apprendimento dando nome ai problemi, senso ai messaggi diversi e indicibili, contenendo così in maniera produttiva il suo universo in fieri. Tutti i dispositivi visti finora, tesi, per così dire, a "lanciare" lo studente non possono comunque essere disgiunti dalla necessità di delimitare uno spazio nel quale la cose permesse o non siano definite in modo chiaro, cosicché i soggetti possano prenderne coscienza anticipatamente. In altri termini il formatore deve poter affermare la legge fissando il limite; dato in sé frustrante ma non castrante: proprio sul limite infatti si sviluppa l’attività onirica, il gioco del come se, le realizzazioni simboliche che potranno sviluppare potenzialità creative. Diversamente, l’assunzione del ruolo del lasciar fare in nome di una neutralità o deresponsabilizzazione istituzionale, consente in realtà all’allievo lo spazio di mantenimento del suo status. Altro elemento indispensabile al formatore è la capacità di assumere un doppio sguardo: uno rivolto al problema, l’altro a se stesso, distanziandosi rispetto al problema e contemporaneamente facendosi attraversare da questo filtro per non cadere in trappole proiettive, portatrici di riduzionismi, spostamenti, transfert. Il controllo del proprio atteggiamento da parte del formatore è prioritario soprattutto in quanto elemento del sistema. L’allievo infatti non è mai l’unico attore nei processi di sviluppo ma la sua recita si dispiega in un contesto interpretabile come potenziale dinamico. Il formatore ha la funzione di attivatore (medium) del sistema finché l’allievo non assume un ruolo completamente autonomo diventando medium di se stesso. Questa prospettiva sistemica ci introduce alla seconda riflessione riguardante le funzioni dell’educatore inteso come elemento del sistema formativo. La funzione di accompagnamento si situa nella mediazione tra il soggetto, il contesto ambientale e il sapere e corrisponde a un’implicazione da parte del formatore nella situazione continuamente interagita, deliberata e contrattata. Ma ancora prima, proprio all’inizio del processo formativo, risulta fondamentale la funzione di aiuto al farsi dell’identità dei soggetti. L’autrice dà forza al suo discorso richiamando a questo proposito i lavori di Propp sui racconti di magia e quelli di Greimas e Derrault sulla semiotica e psicosemiotica sottolineando come anche questi autori avessero individuato come fondamentale la presenza di sostegni nei momenti di crisi, cambiamento, ristrutturazione delle identità dei soggetti. In formazione la strategia di orientamento verso attività rassicuranti, accompagnata da un intenso sostegno emotivo e intellettuale, aiuta la ricomposizione delle distintività di soggettività e di ruolo. Nell’insegnamento tradizionale formazione equivale a valutazione nel senso di valutazione quantitativa. L’alternativa proposta parte dall’ascolto, da un’osservazione attenta e dall’esplicitazione delle problematiche, per arrivare all’identificazione dei criteri che permettano di padroneggiare una funzione valutativa senza cadere nelle trappole della misurazione. Stante l’enorme distanza dell’ambiente educativo dal vissuto di base dei soggetti, il formatore dovrebbe essere inoltre "lo specchio di un processo di continuità, di impegno personale, di autenticità sul piano dell’effettiva esperienza dei soggetti" per giungere così a lavorare sui comportamenti degli stessi. La funzione di modificazione del comportamento si presta in realtà a diverse riserve ideologiche e psicologiche. Lungi dal voler esercitare una forma di condizionamento, l’educatore dovrà concorrere alla modifica delle relazioni persona-ambiente con l’obiettivo di un adattamento inteso come processo cognitivo pensato, autorizzato dal soggetto e reversibile. Non solo: il piano di adattamento va continuamente rilanciato mediante la funzione organizzativa che non si esprime semplicemente Pagina 42 di 128


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nella strutturazione di materiali e di spazi o di regole e norme, ma va intesa come costruzione temporale di situazioni comunicativo - relazionali complesse e pertinenti, capaci di rinforzare la partecipazione e l’organizzazione del soggetto al piano di realtà. Soggetto dunque da tenere sempre, per così dire, in movimento; nel senso di mobilitarlo alla ricerca dell’auto-organizzazione di sé come sistema capace di interagire con l’ambiente esterno. Il suggerimento per il formatore è di farsi medium (la cui radice è appunto movimento), individuando le condizioni migliori perché il soggetto possa trarre vantaggio dalle molteplici occasioni della vita quotidiana. Allora il presupposto è che le condizioni ci siano già, ma – come dice Pirsig - siano ostruite dai pensieri resi stantii dal quotidiano. Bachelard sottolinea come i cambiamenti riescano difficilmente a rompere la "corazza" dell’individuo, perché i saperi precedenti, le credenze e le attitudini premono contro le innovazioni, determinando una situazione di disagio. La Padoan conclude allora la carrellata delle funzioni educative sottolineando la necessità da parte del formatore di non sottovalutare malesseri e difficoltà comunicative nei soggetti, cercando invece di fargli individuare le aree deboli del loro sistema per porvi rimedio. La terza riflessione prende in esame la situazione "classe". E’ il luogo idealmente rappresentativo della complessità, del gruppo e ospita status, ruoli e comportamenti condivisi e non. Abitudini semplici di pronuncia, intercalari, fraseologie, idiosincrasie, modi di interazione e strategie comunicative vengono in essa più o meno consapevolmente trasmesse: una sorta di "curricolo nascosto" di modelli e criteri di comportamento implicito destinati all’allievo, in cui i fatti verbali hanno il peso maggiore. Su questi indici verbali di interazione si concentra allora l’indagine. Obiettivo: dare al formatore uno strumento di analisi del proprio comportamento in vista della realizzazione di una comunicazione più efficace. L’interazione verbale di una classe tradizionale è solitamente rigida e rivelante una fissità di ruoli. Vi sono azioni linguistiche, come l’attribuzione dei turni, quasi solo permesse all’insegnante (asimmetria) così come fenomeni di sedimentazione e irrigidimento che fanno sì che uno studente sia fissato in un giudizio che permane fino alla fine ("ha un carattere difficile", "è intelligente ma non si applica"). Inoltre la maggior parte degli atti linguistici si sviluppa prevedendo già domande e risposte (comunicazione artificiosa) col risultato di una riduzione delle funzioni comunicative, in particolare di quella fatica, fondamentale all’elaborazione dell’identità e della socialità dei soggetti comunicanti. Pensiamo ai due momenti tipo in classe: la spiegazione dell’insegnante, cui deve corrispondere automaticamente un ascolto meccanico, e l’interrogazione, strutturata secondo catene elocutorie in cui si presume già una risposta speculare alla domanda. Altra espressione di scollamento rispetto all’interazione verbale fuori della classe è l’uso di azioni comunicative con un valore diverso, se non addirittura antitetico, rispetto all’uso quotidiano sociale. E’ il caso del silenzio: il comportamento che nella vita sociale crea disagio è quello maggiormente auspicato in classe. Per l’allievo tradizionale infatti la maggior parte delle interazioni è affidata alla scrittura (silenziosa) e ciò in disarmonia con l’insegnante, il soggetto "parlante". La Padoan approfondisce questo punto individuando ulteriori asimmetrie: il linguaggio orale, confinato quasi esclusivamente alle comunicazioni interpersonali spontanee, difficilmente assume qualità di linguaggio esperto e resta atrofizzato; lo stesso vale per il linguaggio interpersonale e sociale, lasciato solo ai momenti di pausa. Nella formazione tradizionale l’applicazione, ossia l’esplicitazione dell’insegnante o del testo, supera di gran lunga l’apprendimento per ricerca, col risultato che si persegue il conformarsi al modello piuttosto che lo sviluppo di un linguaggio personalizzato. La differenza è che il linguaggio dell’applicazione è prevalentemente descrittivo e a sistema chiuso, mentre l’altro è un linguaggio aperto, problematico, inPagina 43 di 128


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terpersonale e meta-cognitivo. La prevalenza di una verbalizzazione elaborata da parte dell’insegnante, oltre a marcare la distinzione tra il suo ruolo e quello degli allievi, inibisce nei medesimi la capacità di costruzione di un linguaggio esperto: il divario asimmetrico si allarga, sviluppando un alto grado di dipendenza e sottoelaborazione formale. L’alternativa sarebbe che lessico e verbalizzazione, indipendenti dal processo informativo, si costruissero progressivamente nell’interazione, dato che il significato non è mera opera dell’informazione ma della comunicazione di essa: il linguaggio strutturato sarebbe allora il risultato di un processo comunicativo e non un modello da riprodurre. La cura e la vigilanza del linguaggio verbale sono gli elementi della quarta riflessione. La duplice valenza del linguaggio verbale che ne fa il veicolo non solo del processo di interazione ma anche di istruzione e sviluppo dell’identità personale e sociale degli individui, lo colloca in una posizione di enorme rilevanza. Per questo è necessario tenerlo sotto controllo, per cercare di limitare i danni provocati da errori nel suo impiego, errori di comunicazione che possono lasciare il segno. Sempre più numerosi infatti sono i riferimenti che spiegano l’insuccesso scolastico con la scarsa preparazione cognitiva e linguistica che gli allievi ricevono. E la formazione, anziché compensare eventuali deficit dell’esperienza sociale familiare, li aggrava quando si dimostra inadeguata nell’organizzazione ristretta degli ambienti comunicazionali. Il concetto di codice ristretto la Padoan lo mutua da uno studio di B. Bernstein degli anni Settanta in cui si sostiene che è la struttura sociale a determinare diverse forme di uso del linguaggio. Quando in una situazione viene data più importanza sul piano verbale agli aspetti comuni e concreti piuttosto che individuali e astratti; e a quelli immediati piuttosto che all’individuazione delle cause e delle intenzioni, il contesto orienta verso un codice ristretto anziché elaborato: è la situazione scolastica tradizionale, caratterizzata da una prevalenza di condizioni posizionali, vale a dire, secondo M. Ippolito, che la formazione educativa ha una struttura simile a quella militare. E’ necessario adeguarsi ad un unico modello; difficilmente è promossa una comunicazione personalizzata; la facoltà di esprimere giudizi dipende dallo status dei membri e le decisioni non sono suscettibili di aperta discussione. La formazione tradizionale agisce allora in modo profondamente contraddittorio: esige l’uso di un linguaggio ristretto mentre si dà come finalità l’insegnamento di un linguaggio personalizzato e plurale; e impone una divisione rigida dei ruoli prescindendo dalla possibilità che gli allievi assumano invece ruoli autonomi. In un simile contesto un soggetto già fragile sul piano comunicativo lo diventerà maggiormente, tanto più se tale è il modello familiare e sociale di appartenenza. Date queste premesse, si fa urgente la necessità di analizzare i comportamenti espressivi e comunicativi, prendendo coscienza degli errori e degli atteggiamenti devianti, primo passo per promuovere lo sviluppo delle competenze comunicative degli allievi, spendibili dentro e fuori la formazione. Strumento principe dell’analisi: l’osservazione sistematica, da parte del docente, delle dinamiche nel "suo ambiente", per attuare poi una ristrutturazione del sistema comunicativo. Osservazione che non può che essere partecipante: l’osservatore osserva il contesto comunicazionale osservando se stesso, in quanto parte integrante dei rapporti che vi intercorrono. E’ obbligato alla percezione della globalità della situazione: punti di vista diversi, contraddizioni, problemi. Esperito nella sua globalità, l’evento può essere schematizzato nei suoi componenti elementari, poi contestualizzato mediante la storicizzazione di precedenti, per giungere ad una prima sintesi del problema e a un’ipotesi di ristrutturazione del modello formativo. Ma queste strategie osservative risulterebbero invalidate qualora non si tenesse conto di alcuni indici molto potenti e molto ambigui utilizzati frequentemente nei processi di comunicazione. Sono indici prevalentemente Pagina 44 di 128


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inconsci, che si sono costruiti lungo tutta la storia di vita delle persone e dunque probabilmente molto radicati. Vanno tenuti sotto controllo perché sono la principale causa delle cattive comunicazioni. La Padoan riporta i principali: •

"Sii spontaneo!" In frasi come questa la meta-comunicazione toglie valore denotante alla comunicazione informando che in realtà non denota ciò che dovrebbe denotare: in questo caso la spontaneità. "Meriterebbe otto ma meglio dargli sette così impara a comportarsi". Spesso si confonde il contenuto con la relazione: i due ordini di significazione sono in reciprocazione ma non possono essere alibi per l’uno o l’altro comportamento osservativo. "Sono certa che sei stanco, tesoro, e che hai voglia di andare a letto non è vero?" La mistificazione è un modo per far fare all’altro quanto si desidera senza dargliene l’impressione, attribuendogli un pensiero o un sentimento che non sono i propri. Si controlla così il comportamento comunicativo altrui. La maestra al bambino che le mostra una lumaca appena raccolta: "Corri a lavarti la mani!" oppure "Disegnala subito sull’album!" La risposta tangenziale dimostra una difficoltà di trasparenza e assertività comunicativa da parte dell’insegnante che accentua un aspetto marginale della situazione anziché concentrarsi sull’esperienza centrale della comunicazione accettando o rifiutando.

E.7 Conoscere teorie della dinamica di gruppo e possedere un repertorio adeguato d'interventi per la conduzione di gruppi vedi punti E.2 ed E.3 E.8 Saper guidare gruppi in processi collettivi complessi e prolungati

Alfine di agevolare la comprensione di questa competenza, i proponiamo due distinte piste interpretative: • La prima attiene, ma è nella testa e nella memoria di tutti, alla similitudine con l’allenatore di una nazionale di calcio. A fronte di un obiettivo conosciuto e condiviso, il Mister deve condurre un intero gruppo, attraverso un lungo e duro percorso di preparazione, alla prestazione in un contesto predefinito. • La seconda, più vicina al mondo della formazione, verrà descritta a mezzo del seguente schema.

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Valutare il percorso formativo nella sua interezza

Fissare obiettivi SMART Generali e specifici

Programmare ed elaborare un piano di formazione generale

Verificare obiettivi generali

Verificare il raggiungimento di obiettivi parziali

Elaborare piani lezione specifici

Produrre la necessaria documentazione

E.9 Possedere nozioni di teoria della comunicazione utili ai fini della consulenza, saperle applicare in colloqui concreti di consulenza e feedback vedi punto E.1 E.10 Conoscere modelli della dinamica di gruppo, conoscere l'interazione fra strutture per lo svolgimento di un corso e processi della dinamica di gruppo vedi punti E.2 e E.3

F. Competenza personale F.1 In base al proprio curricolo di discenti conoscere la propria concezione dell'apprendimento

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Lo schema che M. Polito30 propone e che personalmente ho utilizzato molto frequentemente in aula, è, a mio avviso, eloquente, semplice e completo. Ciò costituisce la base e va trasposta, di volta in volta, nonché messa in relazione con i profili dei discenti. Un aiuto, che può rivelarsi anche piuttosto divertente e stimolante, è costituito dai test, strumenti semplici e facilmente reperibili. Qui siamo di fronte a un vero e proprio universo; le librerie reali e quelle virtuali, sono colme d’esempi. Per una questione di opportunità, conoscenza e condivisione, utilizzo spesso i test raccolti da R. Provana in una specifica pubblicazione.31

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M. Polito, Guida allo studio: la memoria, Ed. riuniti (2002) Van Rhopa, Nuovi test psicologici, Lupetti (1998) Pagina 47 di 128


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F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli Diffondere apprendimenti è un mestiere antico ed affascinante, generativo e complesso. Da tempi lontani è diffuso il corretto convincimento che divulgare e trasferire efficacemente conoscenze, abilità ed atteggiamenti necessiti del correlato possesso di specifiche ed articolate competenze. Il processo di facilitazione degli apprendimenti non può comunque ridursi alla semplice acquisizione di pur importanti metodi, tecniche e strumenti, ma richiede, per essere vissuto e percepito come un’azione congruente ed integrata, un chiaro riconoscimento valoriale che rappresenti la manifestazione della propria identità di formatore. Per trasferire e sviluppare competenze occorre pertanto anche una adeguata integrazione ed introiezione dei Saperi che sono oggetto dell’apprendere. Saperi che hanno visto negli ultimi anni un’evoluzione generativa ed un costante arricchimento interpretativo. Ai Saperi e alle Competenze acquisite nei contesti professionali si assimilano, senza soluzione di continuità, quelli vissuti ed integrati nella vita e nell’esperienza soggettiva quotidiana. Secondo un’accezione, per la quale NON SI INSEGNA CIÒ CHE SI SA MA SI INSEGNA CIÒ CHE SI È, il Formatore, ai fini del rispetto della congruenza del processo di trasferimento degli apprendimenti, deve lavorare per l’integrazione e la condivisione valoriale degli apprendimenti diffusi, ferma restando ovviamente la possibilità di descrivere e trasferire, da una terza posizione percettiva, altre e diversificate dottrine, teorie e discipline. Il ruolo del Formatore è quindi sempre più caratterizzato dalla gestione di criticità che spaziano attraverso tutte le dimensioni del percorso formativo: dall’analisi alla valutazione delle attività di apprendimento. La consapevolezza dell’identità del Formatore, composta e rappresentata dalle differenti identità di ruolo agite nei diversi contesti personal-professionali, costituisce quindi il presupposto per la diffusione di una conoscenza pertinente nonché il propulsore e l’amalgama per la manifestazione ed il trasferimento delle proprie competenze. Il presente modulo sarà quindi finalizzato ad analizzare i Saperi, le Competenze e i Ruoli agiti dal Formatore nelle organizzazioni, con particolare riferimento alla congruenza e alla certificazione di coloro che svolgono professionalmente un’attività connessa ai processi di apprendimento32. Per altri versi, la definizione completa potrebbe essere: Nella nuova cultura organizzativa del sistema formativo il formatore è un docente che opera in ambiti pluralistici (agenzie formative, strutture aziendali, società di consulenza e di formazione). In altri termini, il ruolo del Formatore è di costruire e/o consolidare i legami tra formazione e lavoro, nel qualificare, riqualificare e aggiornare le forze di lavoro. Il Formatore può assumere funzioni più o meno ampie o specializzate a seconda della richiesta, delle sue competenze e dell'ampiezza e differenziazione funzionale presente nell'équipe in cui opera. In ragione della organizzazione necessaria al perseguimento degli obiettivi formativi può cioè, occuparsi solo della gestione didattica oppure dell'analisi dei fabbisogni, della progettazione, della selezione dei candidati, della valutazione, del monitoraggio, ecc. Un Formatore può trovarsi a realizzare iniziative di formazione anche molto diverse tra di loro (quanto a contenuti, destinatari, etc.) e deve essere in grado di individuare le metodologie e gli strumenti più adeguati per fronteggiare le necessità della committenza e dell'utenza. Il Formatore deve essere in grado di riconoscere e

32 ‘Il Ruolo del Formatore intervento di Pier Sergio Caltabiano, in occasione della Giornata inaugurale Corso Formazione Formatori AIF Lazio Roma, 22 marzo 2006 Pagina 48 di 128


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individuare modalità formative finalizzate a mettere in relazione le dinamiche qualitative della domanda e dell'offerta di lavoro. Questa figura professionale elabora, realizza e controlla le azioni formative individuando e attuando obiettivi, contenuti, metodologie, procedure, strumenti e forme di verifica delle attività di formazione, collegandole all'evoluzione del panorama professionale e del mercato del lavoro. Può curare direttamente il progetto formativo (assumendo le funzioni e i compiti del progettista di formazione), il coordinamento tecnico e pedagogico del progetto (assumendo i compiti e le funzioni del coordinatore della formazione), la gestione delle azioni formative (lezioni, esercitazioni, etc.) e la valutazione dei risultati. Partecipa, inoltre, in collaborazione con lo staff di gestione, progettazione ed analisi alla elaborazione di progetti formativi nonché alla gestione delle attività formative in aula relativamente all'erogazione di competenze trasversali e di base previste nel progetto formativo. Qualora tali funzioni e compiti siano distinte, il Formatore (cui spetta il compito specifico della gestione didattica degli interventi) deve essere in grado di entrare in relazione con gli altri esperti e specialisti della formazione. I compiti del Formatore - qualora non intervengano altri specialisti nelle diverse fasi del processo di programmazione, gestione e valutazione degli interventi - consistono nel: • comprendere e interpretare le esigenze della committenza ed effettuare una analisi dei bisogni formativi dei destinatari; • predisporre un progetto formativo coerente con le finalità, i tempi e le risorse disponibili; • identificare e contattare le persone necessarie per realizzare il progetto, discutere e decidere con i formatori e gli esperti i tipi e le modalità degli interventi, i sussidi didattici, gli strumenti di valutazione e deve predisporre quanto necessario in termini di articolazione didattica e di valutazione dei risultati. Egli interviene, in situazione reale, in qualità di formatore o esperto di un particolare settore. Inoltre ha il compito di: • verificare la coerenza delle risorse e predisporre, se necessario, un rendiconto amministrativo; • stendere una relazione pedagogico - didattica sull'andamento e i risultati dell'intervento formativo; • utilizzare, a scopo di autoformazione e come sussidi per la professione, reti di informazione nazionali ed internazionali, selezionare documenti e bibliografie, utilizzare riviste specializzate; • curare i rapporti interpersonali con i responsabili e i singoli componenti dell'équipe o del Centro di formazione. Il Formatore può operare come libero professionista (in maniera del tutto autonoma oppure all'interno di una società di consulenza e di formazione o, ancora, collaborando con enti e istituti pubblici di formazione) oppure alle dipendenze (di un'impresa, di un'agenzia formativa, di una società - anche a carattere cooperativo specializzata): attualmente, circa metà dei formatori lavora all'interno di una organizzazione mentre l'altra metà opera come consulente, cioè come libero professionista. I dipendenti di imprese private sono spesso inquadrati a livelli elevati (anche nelle fasce dirigenziali) a cui corrisponde una retribuzione piuttosto consistente. Per quanto riguarda i liberi professionisti, i livelli retributivi dipendono dal volume d'affari e dalla quotazione individuale di mercato. In ogni caso, l'attività svolta dal Formatore richiede uno stretto contatto con gli altri componenti dell'équipe di lavoro, i committenti e, ovviamente, i destinatari finali della propria azione (gli utenti). Il carico e gli orari di lavoro dipendono dal tipo di impegno. Il Formatore deve possedere una buona cultura metodologico-didattica e competenze ed abilità spePagina 49 di 128


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cifiche di carattere sociale, economico e pedagogico. Questo richiede il possesso di competenze disciplinari (in pedagogia, andragogia, elementi di psicologia) e multidisciplinari (in scienze organizzative, discipline "mercatolavoristiche"). In generale, il Formatore ha padronanza degli strumenti di progettazione formativa, conoscenza del quadro normativo - locale, nazionale e comunitario - in materia di formazione professionale, capacità di svolgere ricerca scientifica e capacità relazionali (con gli altri esperti di formazione, con gli utenti, con la committenza, con i soggetti istituzionali ecc.). Egli deve inoltre: • saper leggere la realtà economica e sociale del territorio in cui opera; possedere elementi di conoscenza dell'organizzazione aziendale e del lavoro; possedere strumenti di analisi della professionalità; • conoscere le procedure e gli strumenti di analisi dei bisogni di formazione; • essere a conoscenza delle metodologie di progettazione formativa, della didattica e della valutazione; • conoscere le caratteristiche essenziali del processo formativo. Se incaricato della progettazione, deve essere in grado di definire degli obiettivi formativi, tradurli in un progetto coerente con le finalità, i tempi e le risorse disponibili; deve conoscere il sistema di formazione professionale a livello regionale, nazionale e comunitario (ad esempio, deve conoscere gli strumenti di finanziamento e gestione degli interventi formativi). In particolare il Formatore impegnato in attività diretta possiede, oltre le competenze sopra descritte, conoscenze : • professionali, relative al proprio ambito, e ne cura l'aggiornamento sullo sviluppo storico ed epistemologico, ne pianifica e programma i contenuti e le auspicabili articolazioni modulari, con responsabilità e deontologia professionale, con dinamica capacità di presa di decisioni e soluzioni di problemi; • operative, concorrendo alla pianificazione, programmazione, organizzazione, realizzazione e valutazione del processo formativo con capacità metodologica didattica, con disponibilità al rinforzo rispetto ai bisogni ed ai tempi di apprendimento, collaborando per la realizzazione e utilizzazione dei supporti didattici e applicando adeguate valutazioni ex ante, in itinere ed ex post del processo di apprendimento; • procedurali, aggiornando le proprie conoscenze in ordine all'esecuzione di normative e procedure rispondenti alla specificità dei singoli progetti di orientamento e formazione. In relazione alla centralità del soggetto in formazione e mediante processi di formazione personale permanente e di aggiornamento, il formatore esercita la propria attività: 1. nell'ambito della formazione iniziale con iniziative rivolte ai giovani in uscita dalla scuola dell'obbligo o destinatari di progetti di interazione ai diversi gradi del curriculum della scuola secondaria superiore; 2. nell'ambito della formazione superiore, con azioni, con azioni rivolte a giovani diplomati, laureati o con titoli equipollenti; 3. nell'ambito della formazione continua, con azioni relative alla formazione ricorrente per il mantenimento delle conoscenze ed il perfezionamento in accompagnamento dei processi produttivi e lavorativi, anche al fine di prevenire l'espulsione dal mercato del lavoro33.

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Tratto da www.isfol.it Pagina 50 di 128


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F.3 Saper reagire in modo flessibile a cambiamenti Breve decalogo per affrontare il cambiamento: Scoprite le ragioni della vostra resistenza al cambiamento - le cose che temete di perdere. Le persone oppongono resistenza al cambiamento quando che questo, come risultato, produrrà delle perdite per loro. Le cose che più tipicamente si ha paura di perdere sono il controllo, la sicurezza, il prestigio, l'auto-stima, l'amor proprio, i privilegi, la posizione, le relazioni interpersonali, la libertà, la comodità, la prevedibilità, il benessere e il denaro. Quali di queste cose elencate nella newsletter del mese scorso costituisce il nucleo della vostra resistenza? Definite quanto, di queste temute perdite, possa essere immaginario o esagerato. Scrivete su un foglio di carta tutte le indicazioni che possono effettivamente far pensare che la perdita da voi temuta si verificherà. Che livello di probabilità avete stabilito? Parlatene con qualcun altro per essere sicuri di avere un punto di vista obiettivo. Vi è mai capitato prima di reagire in modo esagerato? Determinate quanto tali perdite, pur essendo reali, possano essere attutite per rendere il cambiamento a voi tollerabile. Sempre sullo stesso foglio di carta, scrivete tutte le cose che potreste fare per ridurre la probabilità che si verifichi una qualche perdita per voi o per ridurne l'impatto. Provate a vedere se e quanto le perdite che temete potrebbero rivelarsi vantaggiose per voi. Scrivete per ognuna delle perdite che temete le potenzialità che essa possiede di trasformarsi in un vantaggio - qualcosa cioè che un giorno voi potrete valutare, o almeno tollerare, senza difficoltà. Ripensate a quei cambiamenti che avete temuto in passato e che poi hanno invece dato ottimi risultati. Parlatene con altre persone per cogliere altri tipi di vantaggi che forse voi non avete preso in considerazione. Identificate le possibili tristi conseguenze del non effettuare il cambiamento. Dopo aver identificato i vantaggi potenziali che il cambiamento può portare, provate a pensare quali svantaggi comporterebbe il non effettuare il cambiamento in questione. Siete disposti a pagare un prezzo molto alto per opporre resistenza al cambiamento che avete identificato? Non compromettete i vostri valori. Dopo aver completato questa analisi dovreste essere in grado di cooperare con il cambiamento che vi si è reso necessario. Se è così, comunque, assicuratevi che tale cooperazione non agisca a scapito dei vostri valori fondamentali e delle cose in cui credete. Agite. Non abbiate paura di affermare pubblicamente che avete cambiato idea circa questo cambiamento e che lo sosterrete. Il comportamento proattivo34: La proattività è, secondo Covey35, la prima "buona abitudine" dell'indipendenza, in quanto consente di uscire dalla consueta logica di dipendenza dagli eventi e dagli altri tipicamente identificata da frasi come: "Non mi ha lasciato scelta… E' colpa sua se mi sono comportato così!… Con questa sfortuna, che altro posso fare?… Sono fatto così"… Il modello reattivo risponde alla classica logica deterministica. Che si rifaccia all'idea che siamo quel che siamo per colpa dei geni, o dei genitori e della loro educazione, o ancora dell'ambiente (famiglia, amici, lavoro, ecc), comunque ci condanna ad essere il cane di Pavlov. Ad uno stimolo, una risposta. Nessuna scelta.

34 35

http://www.ipfor.it/proattivita/corpo.htm Dr. Stephen R. Covey, from The 8th Habit: From Effectiveness to Greatness Pagina 51 di 128


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Ma l'uomo può fare di meglio. La frase di Eleanor Roosevelt ("Nessuno può farvi del male senza il vostro consenso") è affascinante, provocatoria, innovativa: significa che possiamo scegliere se vivere una vita emotiva positiva o rassegnarci ad essere in balia di emozioni negative. E' proprio per non perdere mille importanti occasioni che vale la pena di imparare e tentare di fare propria l'abitudine della proattività. Quando abbiamo una reazione negativa rispetto ad un evento o ad una persona, ovvero una sensazione spiacevole o comunque fastidiosa, nel senso che non ci piace come ci sentiamo, o come - se volete - quell'evento o persona ci fa sentire - allora ci scatta un campanello. Capita più o meno a tutti. La grande differenza tra chi è reattivo e chi invece è proattivo, sta nella domanda che automaticamente ci si pone allo squillo del campanello. Il reattivo si chiede il "perché accade", e trova immediatamente mille risposte che non fanno che confermare ed accrescere il senso di negatività già in essere. Il meccanismo della dissonanza cognitiva gli viene in aiuto, cosicché tutto diventa coerente, logico, evidente, ovvio: non esistono altre reazioni possibili ad un evento o ad una persona così oggettivamente spiacevole se non quella di crogiolarsi nella sensazione di "aver ragione" a fare così. Vediamo invece il proattivo. Egli si chiede immediatamente "cosa altro potrebbe accadere", automatizzando il processo verso strade alternative, verso stati d'animo più ecologici, lasciandosi ampia varietà di scelta sulle possibili azioni. In sintesi, trasforma la reazione automatica in "responsabilità dell'azione" (letteralmente "abilità di risposta"), riappropriandosi della capacità di scegliere la reazione più adeguata. Effettuando, quindi, un'immediata ristrutturazione in senso positivo.

La natura proattiva o meno di un individuo è facilmente individuabile dal suo linguaggio: quello dei reattivi tipicamente esplicita la loro assoluzione da ogni responsabilità. Il problema è che il linguaggio reattivo "diventa una predizione che tende ad auto realizzarsi" (Covey), per il meccanismo della dissonanza cognitiva, per cui il reattivo tenderà a trovare infinite prove a sostegno della sua convinzione di dipendere dagli altri o dagli eventi, perdendo sempre di più il controllo sulla propria vita e sul proprio destino. Molto spesso a rivelarci la natura reattiva ci sono degli operatori modali di necessità, dei rapporti di causa-effetto, o anche delle nominalizzazioni. Diciamo: "C'è astio fra noi", come se esistesse obiettivamente ed indipendentemente dalla nostra volontà un'entità (= sentimento) dotata di vita autonoma, e non fossimo noi a crearlo ed alimentarlo (anche semplicemente percePagina 52 di 128


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pendolo): la nominalizzazione fa dimenticare che alla base c'è un verbo, e quindi un nostro agire più o meno consapevole che determina una situazione di astio. Solo riappropriandoci del verbo, e quindi dell'azione e della responsabilità relativa, possiamo decidere di fare altrimenti. Come tutti le "abitudini" di Covey, non si impara da un giorno all'altro. E' necessario un grande allenamento, che addestri la mente a svincolarsi dalla reazione automatica, operata senza responsabilità. Un buon metodo è quello di "uscire da se stessi", balzando fuori e guardandosi come in un film (la dissociazione visivo - cenestesica della PNL): come osservatori esterni, ci è più facile farci domande alternative, cercare di capire l'intenzione positiva dell'altro o decidere di trovare del buono in una data situazione spiacevole, magari addirittura immedesimandosi nell'interlocutore. La proattività implica autoconsapevolezza (una delle abilità fondamentali dell'intelligenza emotiva di Goleman) e capacità di iniziativa. L'autoconsapevolezza ci consente di riflettere sul nostro stesso processo di pensiero, di esaminare dal di fuori il modo in cui noi percepiamo noi stessi, indipendentemente da come ci vedono gli altri. L'iniziativa presuppone immaginazione, volontà autonoma e coscienza. Grazie all'immaginazione, possiamo imparare da esperienze mai vissute e creare nuovi programmi d'azione e circostanze, se lo vogliamo. Grazie alla volontà autonoma ed alla coscienza, possiamo decidere in modo indipendente e secondo i nostri valori il nostro comportamento, e non condizionarlo agli eventi, all'ambiente o alle sensazioni degli altri. In altri termini, possiamo far sì che i nostri valori (profondi ed interiorizzati) prevalgano sempre e comunque sulle circostanze. La proattività consente non soltanto di recuperare risorse a livello personale, ma anche di gestire al meglio le situazioni di relazione. Dimostrarsi responsabili delle proprie azioni, in grado di controllare le nostre reazioni emotive e la qualità delle nostre interazioni, si riflette sulla nostra stessa comunicazione e quindi sulle nostre relazioni. Agli occhi degli altri, un proattivo è una fonte di risorse e soluzioni, mentre il reattivo genera solo problemi; il primo prende l'iniziativa per far sì che le cose accadano, il secondo attende che gli crollino addosso, positive o negative che siano. La proattività, nel senso di volontà di agire, è il presupposto per la crescita di qualunque individuo. E' diversa dal pensiero positivo, in quanto questo, per definizione, segue una certa direzione, che può talvolta far allontanare dalla realtà impedendo di affrontare i problemi. La proattività invece ci rende consapevoli del nostro potere di scegliere la risposta più adeguata ad una data situazione. Un modo per capire se la nostra natura è reattiva o proattiva, oltre all'analisi del linguaggio, è quello di diventare consapevoli su dove focalizziamo prevalentemente la nostra attenzione. Tutto ciò che ha un interesse per noi, sia sul piano mentale che emotivo - dalla fame nel mondo al capo despota - rientra nella nostra sfera di coinvolgimento: all'interno di questa, possiamo ipotizzare un'altra sfera, detta di influenza, che racchiude tutto ciò su cui possiamo intervenire. Nella sfera d'influenza troviamo ciò che ricade sotto il nostro controllo sia direttamente, ovvero i nostri comportamenti - che possiamo modificare agendo su noi stessi e sulle nostre abitudini - sia indirettamente, ovvero i comportamenti degli altri: su questi possiamo comunque agire con i vari metodi di influenza, tenendo conto che ne esistono moltissimi tutti da imparare (dato che ognuno di noi purtroppo ne utilizza solo alcuni, e non sempre adeguati alle circostanze). I proattivi investono la maggior parte del loro tempo e delle loro energie su ciò che è possibile modificare con la loro iniziativa, estendendo in tal modo sempre più la loro sfera d'influenza. I reattivi, invece, consumano tempo ed energie nella sfera di coinvolgimento, immersi in sentimenti negativi di frustrazione ed impotenza, indifferenti e confusi rispetto a ciò che potrebbero invece cambiare, se lo volessero. In realtà, anche gli eventi incontrollabili possono essere gestiti positiPagina 53 di 128


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vamente da un proattivo, modificando il suo modo di vederli e percepirli, quindi convivendoci serenamente, evitando così di esserne a sua volta controllato. E' difficile e faticoso assumersi la responsabilità di trovarsi in un ambiente e in circostanze sfavorevoli per propria scelta, capire che il problema non esiste di per sé, al di fuori, ma sta proprio in questa percezione di "impossibilità di controllo". Chi vive per l'avere, e non per l'essere, dipenderà sempre da circostanze esterne. Solo essendo diversi, si potranno operare dei cambiamenti positivi in ciò che sta all'esterno. "Scegliendo la nostra reazione di fronte ad una circostanza noi esercitiamo un influsso potente sulla circostanza stessa". Anche la felicità e l'ottimismo sono scelte proattive. Scegliere le proprie azioni comporta in automatico scegliere anche le conseguenze del proprio operato. Quando le conseguenze non ci piacciono, nel senso che se potessimo tornare indietro faremmo di tutto per evitarle, le chiamiamo errori. Il proattivo sa che gli errori passati ricadono nella sfera di coinvolgimento, e non in quella di influenza: non può annullare ciò che è accaduto, ma può imparare da essi, può agire per correggerli. Non a caso, T. J. Watson, fondatore dell'IBM, considerava il successo l'altra faccia del fallimento. Ancora una volta è la risposta che conta, anche quella che diamo ai nostri errori. E' questa che influisce sulla qualità dei momenti successivi. Una caratteristica tipica dei proattivi è quella di prendersi degli impegni e di mantenerli. Gli impegni con gli altri si chiameranno promesse; quelli con se stessi, obiettivi. Gli effetti sono gli stessi, poiché entrambi sono utili sistemi per realizzare il controllo sulla nostra vita, in quanto attivano un processo di miglioramento delle aree deboli ed una crescita interiore, basandosi sull'autoconsapevolezza, l'immaginazione e la volontà. F.4 Essere consci dei propri punti forti/deboli e delle proprie potenzialità evolutive, saper perfezionare i punti forti e migliorare quelli deboli o ammettere i propri limiti Per affrontare questo punto ritengo basilare approfondire la teoria delle intelligenze multiple di H. Gardner36 Il punto di partenza della concezione di Gardner è la convinzione che la teoria classica dell'intelligenza, basata sul presupposto che esista un fattore unitario, misurabile tramite il QI, sia errata. Dopo aver effettuato indagini sull'intelligenza dei bambini e su adulti colpiti da ictus, egli giunse alla conclusione che gli esseri umani non sono dotati di un determinato grado di intelligenza generale, che si esprime in certe forme piuttosto che in altre, quanto piuttosto che esiste un numero variabile di facoltà relativamente indipendente tra loro, Gardner arriva a identificare almeno sette differenti tipologie di intelligenza: 1. Intelligenza logico-matematica, abilità implicata nel confronto e nella valutazione di oggetti concreti o astratti, nell'individuare relazioni e principi. 2. Intelligenza linguistica, abilità che si esprime nell'uso del linguaggio e delle parole, nella padronanza dei termini linguistici e nella capacità di adattarli alla natura del compito.

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Howard Gardner, psicologo americano nato nel 1943, è considerato il principale rappresentante della teoria delle intelligenze multiple. Entrò all'Università di Harvard nel 1961, conseguendo il dottorato, specializzandosi successivamente in psicologia dell'età evolutiva e in neuropsicologia. Nel 1986 ha cominciato ad insegnare alla Facoltà di Scienze a Harvard, collaborando contemporaneamente al Progetto Zero, un gruppo di ricerca sulla formazione della conoscenza, che riconosce grande importanza alle arti. Nel corso degli anni, Gardner, oltre ad elaborare la teoria delle intelligenze multiple, si è occupato dello sviluppo delle capacità artistiche nei bambini e dell'ideazione di strumenti per migliorare l'apprendimento e la creatività attraverso forme di insegnamento e di valutazione maggiormente personalizzati. Gardner ha ricevuto molti riconoscimenti, tra i quali alcune lauree ad honorem, tra cui quella dell'Università di Tel Aviv. Nel 1990, per le sue ricerche, è stato insignito del prestigioso premio Grawemayer dell'Università di Louisville. Pagina 54 di 128


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3. Intelligenza spaziale, abilità nel percepire e rappresentare gli oggetti visivi, manipolandoli idealmente, anche in loro assenza. 4. Intelligenza musicale, abilità che si rivela nella composizione e nell'analisi di brani musicali, nonché nella capacità di discriminare con precisione altezza dei suoni, timbri e ritmi. 5. Intelligenza cinestesica, abilità che si rivela nel controllo e nel coordinamento dei movimenti del corpo e nella manipolazione degli oggetti per fini funzionali o espressivi. 6. Intelligenza interpersonale, abilità di interpretare le emozioni, le motivazioni e gli stati d'animo degli altri. 7. Intelligenza intrapersonale, abilità di comprendere le proprie emozioni e di incanalarle in forme socialmente accettabili. A questi tipi di intelligenza, Gardner ha aggiunto successivamente un'ottava intelligenza, quella naturalistica, relativa al riconoscimento e la classificazione di oggetti naturali; ipotizzando inoltre la possibilità dell'esistenza di una nona intelligenza, l'intelligenza esistenziale, che riguarderebbe la capacità di riflettere sulle questioni fondamentali concernenti l'esistenza e più in generale nell'attitudine al ragionamento astratto per categorie concettuali universali. La teoria delle intelligenze multiple comporta che i diversi tipi di intelligenza siano presenti in tutti gli esseri umani e che la differenza tra le relative caratteristiche intellettive e prestazioni vada ricercata unicamente nelle rispettive combinazioni. In pratica, non esistono due persone che abbiano esattamente la stessa combinazione di intelligenze: qualcuno è più forte nell'intelligenza linguistica, qualcuno in quella spaziale e così via. Ovviamente lo sviluppo di queste abilità dipende moltissimo dal tipo di educazione che si è ricevuta e dagli stimoli offerti dall’ambiente in cui si vive. Tutti, secondo Gardner, possono sviluppare le diverse intelligenze di cui sono dotati, se messi nelle condizioni adatte (possibilità di ricevere una formazione adeguata, incoraggiamento ecc. La cosa più importante di questa teoria delle intelligenze multiple è che ogni individuo ha la possibilità, se messo nelle condizioni adatte, di brillare in certo tipo di intelligenza e ciò vale anche per i soggetti tradizionalmente considerati poco portati per le materie scolastiche insegnate a scuola. Per questo, secondo Gardner, l’educazione va individualizzata, anche attraverso l’uso delle tecnologie, in primis il computer e soprattutto Internet, il cui utilizzo insegna alle persone la conoscenza attualmente più importante: procurarsi il maggior numero di informazioni possibile. Ogni occasione in cui, in aula, si utilizza e si propone questa teoria appare chiaramente che ogni partecipante sa riflettere e auto valutare il proprio potenziale. Ciò permette di dire che tale consapevolezza possa aiutare, anche il formatore, nell’adeguarsi e nel recuperare abilità, conoscenze e, non da ultimo, sfruttare appieno le proprie potenzialità.

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F.5 Promuovere la propria riflessione ed evoluzione operando sul piano interdisciplinare e sovra – istituzionale Metodo di analisi e di approccio scientifico o sociologico che vede il coinvolgimento e la collaborazione di più discipline per l'analisi di un fenomeno; metodo adottato principalmente per studiare i fenomeni e complessi sistemi complessi con un approccio interdisciplinare e globale; tale approccio è (in parte) in antitesi con la metodologia tradizionale analitica (che si propone di studiare separatamente le varie componenti dei fenomeni). Sviluppo del personale: non solo un fattore di costo37 Dalla valutazione della prestazione possono essere ricavati anche i provvedimenti nell’ambito dello sviluppo del personale. Quest’ultimo costituisce un importante fattore di successo che nessun'impresa può trascurare e comprende tutte le misure volte ad incrementare le qualifiche dei collaboratori. Mediante uno sviluppo del personale conseguente si migliora la competitività dell’impresa nonché la flessibilità del team, che grazie a conoscenze più ampie e approfondite può essere impiegato in maniera più mirata. Naturalmente aumenta anche la motivazione del personale, cosa che inoltre può portare a una fluttuazione minore. Pertanto, lo sviluppo del personale non dovrebbe essere considerato solo come un fattore di costo ma come un investimento proficuo nel capitale umano della propria impresa. Un elemento centrale è costituito dalle possibilità di formazione e formazione continua. Si può iniziare con la frequentazione di corsi di formazione continua e seminari fino all’orientamento a una nuova attività attraverso una formazione corrispondente. Se i processi di produzione lo permettono, è possibile introdurre un sistema di rotazione del personale e supplenze, così che i collaboratori possono essere impiegati anche in altri reparti. Pianificazione mirata Prima di offrire possibilità di formazione continua, il datore di lavoro deve valutare in maniera mirata la necessità di formazione confrontando la situazione attuale con le presunte esigenze future. Le lacune che ne emergono dovrebbero essere colmate attraverso provvedimenti di formazione continua. Prima però conviene ve-

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rificare se i collaboratori dispongono del potenziale di sviluppo corrispondente. Infatti, non tutti gli ingegneri sono adatti per i colloqui di vendita. Controllare il successo Lo sviluppo del personale costa. Pertanto si consiglia di verificare se il collaboratore in questione abbia realmente raggiunto gli obiettivi stabiliti e se i ricavi abbiano legittimato le spese. Il successo d’apprendimento può essere controllato per mezzo di test concreti o mediante feedback che dimostrino che le conoscenze acquisite siano realmente impiegate nella pratica. Il successo dei provvedimenti di formazione continua, però, può essere espresso anche in altro modo che non solo in numeri: ad esempio a cosa può essere ricondotto il successo di un’entrata sul mercato di successo - al training di vendita o alla qualità del prodotto? Inoltre, il tema della formazione e della formazione continua non riguarda esclusivamente i collaboratori ma anche l’imprenditore. Anche i responsabili necessitano di formazione continua. Maggiore sicurezza in sé e nelle proprie abilità Crescita personale

Aumento del proprio benessere e di chi ci sta attorno Evoluzione personale

Aumento della motivazione

Leadership e autostima

Maggiore efficienza personale e professionale

F.6 Saper affrontare in modo flessibile condizioni quadro diverse vedi punto 6.3 F.7 In base a un'analisi del proprio curricolo di discenti conoscere la propria concezione dell'apprendimento e capire il suo rapporto col curricolo stesso vedi punto 6.1 F.8 Essere consci dei vari ruoli dei formatori, saper analizzare il proprio comportamento e allargare il proprio repertorio di ruoli vedi punto F.2

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4.

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Autovalutazioni

Nella nostra attività comune di elaborazione del presente documento abbiamo più volte discusso di valutazione e di autovalutazione. I molteplici riferimenti durante l’intero percorso del MaGF2 – citiamo, a esempio su tutti, il modello CAF – ci hanno indotti a cimentarci autonomamente nell’attività di autovalutazione. Dapprima in modo del tutto naturale, ci siamo dati unicamente degli obiettivi temporali: “va preparata entro il …”. Pronti? Via! Il foglio bianco ha subito suscitato in noi reazioni molto diverse e, sempre molto naturalmente, abbiamo avvertito l’esigenza di riconfrontarci sul tema. “Tu come fai?” Fu la domanda che reciprocamente ci siamo posti. Discutiamo, accordiamoci per un modello comune, prepariamo una traccia… Ben presto siamo giunti a qualche interessante conclusione: • siamo diversi sia nell’approccio sia nell’argomentazione • apparteniamo a percorsi professionali antecedenti molto lontani • non abbiamo la stessa età • ci riferiamo, solitamente, a pubblici differenti • non affrontiamo le stesse materie, le stesse lezioni • abbiamo obiettivi dissimili A fronte di ciò abbiamo deciso di sperimentare due distinte modalità autovalutative: • Walter Seghizzi, che ha maggiormente bisogno (in generale) di struttura affronta l’autovalutazione per items e per definizioni precise e condivise, alfine di creare un costrutto frutto di un percorso costituito da un complesso di elementi. • Marco Ricci, che ha maggiormente evidenziato l’attitudine e la passione per l’approccio narrativo e autobiografico, affronta l’autovalutazione ripercorrendo gli eventi, le tappe e i cambiamenti che hanno caratterizzato e reso significativa la vita professionale (ma non solo) del formatore. Già, perché siamo entrambi formatori, ma proprio perché così legati da questo “marchio” professionale, abbiamo “intelaiature e impianti” personali, molto personali... Questa conclusione, peraltro molto aderente alle ipotesi che svilupperemo nel continuum del documento, ci ha fatto capire che l’approccio personale non avrebbe costituito un problema, bensì una risorsa e un arricchimento notevole. Piena libertà, quindi! Al termine del capitolo e/o del documento nella sua interezza, la rilettura ci darà ragione, o meno, delle nostre convinzioni. E anche dalle nostre storie possono emergere “competenze distintive”…

4.1

L’autovalutazione di Walter Seghizzi

Uno dei requisiti del lavoro di Diploma (MaGF2), che la ricerca sperimentale ha inteso verificare, consiste, in premessa, nella sua idoneità a “formare” i formatori alla capacità di “auto-accertamento obiettivo e responsabile delle competenze acquisite”. L’azione di monitoraggio intende pertanto porre l’accento iniziale sulla verifica del livello e delle modalità della maturazione della competenza trasversale della “autovalutazione” . Obiettivo questo non facile a raggiungersi, in quanto non assimilabile a quello di un mero accrescimento delle competenze, ma proprio per tale motivo meritevole di essere perseguito ai fini dell’obiettivo generale. Pagina 58 di 128


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Imparare ad autovalutarsi implica, da parte del formatore, la capacità di comprendere come egli stesso apprende, e precisamente: • i livelli di competenza da cui parte; • i traguardi a cui mira; • le tappe superate e quelle da superare; • le proprie potenzialità, i propri ritmi e stili di apprendimento; • le difficoltà incontrate ed i mezzi esperiti per farvi fronte; • i risultati raggiunti e quelli da perseguire ulteriormente; • le dimensioni e le caratteristiche di un percorso continuo, sempre superabile, sempre diverso, quantitativamente e qualitativamente sempre più elevato. Riflettere sui tempi e sui modi, sulle potenzialità e sulle difficoltà del proprio apprendere equivale, in buona sostanza, ad acquisire un’attitudine alla metacognizione. La competenza metacognitiva si forma progressivamente, in forme e con ritmi diversi da soggetto a soggetto, e tanto maggiormente si rafforza in quanto la si esperisce in età (intesa professionalmente) precoce, prima che prenda forma e sostanza quell’atteggiamento di acquiescenza che il formatore tende non di rado ad acquisire nei confronti della valutazione formale: una valutazione che soggiace a regole, criteri, presupposti nei confronti dei quali l’ente di formazione non sempre sollecita la condivisione e la partecipazione del soggetto. Il concetto d’autovalutazione è stato usato per molto tempo all’interno del sistema educativo. Recentemente, tuttavia, è sempre più usato nell’istruzione universitaria, specialmente in relazione alla valutazione e all’apprendimento, nell’ambito di modelli per creare un insegnamento orientato ad una partecipazione più attiva dello studente. Innanzi tutto stabiliamo il significato del termine. Il Collins-Birmingham University International Language Database definisce la parola “valutazione” nel modo seguente: Valutare una situazione, un problema ecc., significa prendere in esame tutti i suoi aspetti, esprimere su questi un’opinione, un giudizio, ed esprimere un parere su quel che è probabile accada Perciò autovalutazione significa prendere in esame qualcosa che si è prodotto ed esprimere un giudizio su questo. Nella formazione questo concetto si riferisce all’autovalutazione, da parte degli studenti, dei differenti tipi di apprendimento e dei processi di apprendimento. Secondo Boud la ricerca che si occupa d’autovalutazione si può dividere in quantitativa, pragmaticamente qualitativa e concettuale. Ricerca quantitativa La ricerca quantitativa che si occupa d’autovalutazione appartiene soprattutto alla tradizione americana. I primi studi, dagli anni trenta ai più tardi anni sessanta, si focalizzano principalmente sul mettere a confronto la valutazione del profitto fatta dagli studenti e quella fatta dagli insegnanti. E’ questo il tipo di ricerca prevalente in questo campo. Gli studiosi calcolano quanti sono i giudizi che concordano e analizzano le eventuali valutazioni superiori o inPagina 59 di 128


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feriori. I risultati non sono interamente chiari e possono essere non facilmente comparati tra loro, poiché variano piani di studio e prerequisiti. Nondimeno, molti studi mostrano che gli studenti esprimono per sé valutazioni inferiori rispetto a quelle che danno gli insegnanti. A questo riguardo, sappiamo anche che gli insegnanti tendono a giudicare gli studenti in modo globale, il che implica che tutte le variabili soggette a valutazione sono state prese in considerazione quasi nella stessa misura. Gli studenti, dal canto loro, tendono a giudicare se stessi in modo più settoriale, variabile per variabile. Tutto considerato, quindi, quel che si può ricavare da questo tipo di ricerca è il fatto che le previsioni degli studenti, circa i voti che riceveranno dagli insegnanti, si avvicinano abbastanza ai voti che gli insegnanti realmente assegneranno. Dagli anni settanta l'autovalutazione (e la possibilità di inserirla a livello d’istruzione universitaria) è andata incontro ad un interesse crescente e tuttavia direzione e scopi della ricerca sono alquanto cambiati, come vedremo. Ricerca concettuale L'autovalutazione è considerata parte del processo in cui i formatori in formazione sono condotti a pensare, agire e vedersi come professionisti. E' stato detto anche che la disposizione ad apprendere lungo tutto l'arco della vita è essenziale per lo sviluppo professionale di una persona. In questo, inoltre è stata messa in rilievo la competenza metacognitiva. La metacognizione è definita come l’atto del pensiero il cui oggetto è l'apprendere, il pensare, la percezione della persona stessa. Quindi, la capacità metacognitiva implica che il pensiero possa essere oggetto di riflessione. Le capacità metacognitive possono essere descritte come capacità di pianificare in modo attivo, monitorare e valutare l'apprendimento. Più la capacità metacognitiva per la riflessione si sviluppa, maggiore sarà la probabilità che il formatore sviluppi un'attitudine riflessiva verso i contenuti che va apprendendo. Ricerca pragmaticamente qualitativa La ricerca pragmaticamente qualitativa si occupa prevalentemente dei processi e dell'introduzione della pratica dell'autovalutazione nella formazione. Affinché l'introduzione dell'autovalutazione abbia l'effetto desiderato sull'apprendimento dei formatori, si è evidenziato come sia necessario che essi abbiano un ruolo attivo nello sviluppo dei criteri da applicare alla valutazione. Alcune osservazioni mostrano anche che è importante tenere separata la valutazione dello sviluppo personale dalla valutazione delle competenze professionali e tecniche. Per valutare queste ultime dovrebbero essere usati criteri derivati dal tipo di conoscenza delle tecniche e dei valori legati alla professione in questione. Autovalutazione- esempi pratici Formule di autovalutazione Una formula di autovalutazione è un documento in cui si indica il proprio obiettivo e che cosa si è raggiunto in un certo campo, insieme con un giudizio su questo. E' una dichiarazione che deve contenere un numero d’informazioni sufficienti per permettere, ad un esperto della materia in questione, di valutare a quali attività d’apprendimento si è partecipato e che cosa si è letto. Quindi presentare l'autovalutazione nel modo che sembra più opportuno ma che comunque deve contenere i seguenti punti: • specificare gli obiettivi perseguiti Pagina 60 di 128


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• definire criteri da utilizzare per valutare fino a che punto si sono raggiunti gli obiettivi prefissati, per esempio lo standard usato per l’autovalutazione in quanto tale • per ogni singolo risultato e criterio, definire il modo di procedere che deve essere utilizzato per ottenere risultati positivi • calibrare la propria valutazione su come ci si ripromette di ottenere ciò che si è scelto. Tale valutazione deve essere di tipo qualitativo e basata su criteri propri, non sui voti che si potrebbe aver ricevuto o su qualsiasi altro tipo di giudizio • se ci si rende conto che gli obiettivi fissati all’inizio non sono stati raggiunti in modo soddisfacente, si deve individuare quali sono gli ulteriori bisogni d’apprendimento e come fare per raggiungerli. Continua necessità di sviluppo Basandoci sulle conoscenze che abbiamo è possibile stabilire in che modo l’autovalutazione si caratterizza in modelli di buona e di cattiva pratica nell’istruzione. La tabella seguente mostra i due modelli. Al momento, vi sono pochi esempi di autovalutazione che rispecchiano tutte le caratteristiche di una buona pratica, e questi esempi, per di più, possono essere considerati l’indicazione della necessità che esiste di sviluppare questo campo della ricerca. Aspetti che identificano le buone pratiche e le pratiche meno buone nell’autovalutazione dell’apprendimento e dei processi di apprendimento (Boud, 1995) (fonte: Internet) Buona pratica l’apprendimento degli studenti è al centro della valutazione esiste un obbiettivo ben definito, per introdurre l’autovalutazione, discusso con gli studenti l’idea che gli studenti hanno del processo viene presa in considerazione prima di introdurre l’autovalutazione gli studenti vengono coinvolti nel definire i criteri di valutazione

Cattiva pratica la valutazione viene influenzata da richieste esterne o di tipo istituzionale l’autovalutazione è considerata una risposta alle esigenze legate al corso

gli studenti possono influenzare il processo di valutazione il modo di procedere viene elaborato in ogni fase del processo di valutazione gli studenti valutano il loro apprendimento in relazione ad un settore specifico della disciplina in questione gli studenti esprimono l’autovalutazione in termini qualitativi

il processo di valutazione viene imposto agli studenti l’autovalutazione è condotta in modo impressionistico l’autovalutazione viene usata unicamente per valutare capacità generali come per esempio le capacità comunicative l’autovalutazione viene condotta in base a scale di valutazione le cui tappe non sono esplicitamente definite

si dà per scontato che i metodi usati altrove possano essere introdotti nel proprio programma senza alcuna modifica gli studenti usano i criteri stabiliti unicamente dagli altri

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Buona pratica si usano giudizi specifici e ben fondati

Cattiva pratica vengono accettati giudizi generici e non motivati i risultati della valutazione sono usati per de- i dati della valutazione non vengono usati terminare certi tipi di processi decisionali l’autovalutazione è una delle molte strategie l’autovalutazione è legata ad un ambito specomplementari per stimolare all’apprendicifico senza connessioni con altre strategie mento e alla pianificazione autonomi l’autovalutazione investe l’intero corso l’autovalutazione resta confinata a discipline considerate secondarie gli insegnanti sono disposti a condividere il gli insegnanti controllano tutti gli aspetti delcontrollo con gli studenti la valutazione il feedback qualitativo degli altri studenti è l’autovalutazione è subordinata ad una valuuna parte della valutazione tazione di tipo quantitativo l’autovalutazione è parte di un processo la valutazione è fatta dall’esterno e non tiecreativo in cui gli studenti sono attivi ne in alcuna considerazione le valutazioni espresse dagli studenti l’autovalutazione viene introdotta graduall’autovalutazione è un caso isolato e non è mente insieme a una migliorata capacità stata preparata in alcun modo negli studenti di apprendere in modo autonomo sono prese in considerazione le differenze si presume che la strategia scelta abbia gli di sesso e di modo di lavorare degli studenti stessi effetti su tutti si presume che il processo possa guidare al la strategia scelta è relativa solo al soggetto miglioramento delle capacità di autovaluta- che viene valutato zione i dati della valutazione vengono raccolti per i risultati dell’autovalutazione rimangono inumigliorare e monitorare l’apprendimento de- tilizzati gli studenti Prendendo spunto da quanto precede, tenuto conto del preciso indirizzo autovalutativo da parte degli studenti, trasponiamo il concetto nella prospettiva del formatore, del docente, dell’insegnante, approfondendo la distinzione fra autoanalisi e autopercezione. L’autovalutazione può definirsi quindi una misurazione di percorso, anche riferita alle prestazioni professionali in campo didattico, speculare rispetto all'iter che l’ente di formazione realizza. Un altro concetto di autovalutazione è quello dell'autopercezione - non abbiamo parlato di autoanalisi ma di autopercezione - su tutto quello che attiene al proprio operato, sul modo di percepirsi come professionista nella formazione. È da considerarsi autovalutazione la capacità di prendere delle decisioni e anche di mantenerle in un determinato contesto formativo Ancora: autovalutazione significa consapevolezza da parte del formatore dell'incidenza della propria capacità relazionale su quelli che sono i risultati, non solo in termini di apprendimento ma di comportamento dei discenti. Non si agisce solo sul fronte didattico per cambiare gli apprendimenti, ma anche i comportamenti di vita e gli atteggiamenti. Bisogna prendere consapevolezza di questa incidenza.

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In definitiva il gruppo ha concordato che comunque il concetto di autovalutazione nasce sempre da un confronto interazionale ed è quindi un prodotto della collettività. Il concetto di competenza McClelland (1973) e Boyatzis (1982) sono gli autori a cui si deve la nuova concezione di gestione delle risorse umane basata sulle competenze. Nella loro visione la centralità è del soggetto piuttosto che dell'oggetto (job). Quindi l'attore principale è l'individuo che possiede e utilizza un sistema di competenze caratterizzato da conoscenze e capacità, motivazioni e valori e immagine di sé che gli consentono di esprimere comportamenti professionali competenti. White (1959) considera la competenza come una generale capacità dell'organismo di interagire efficacemente con l'ambiente. Quindi competenza è anche abilità, possibilità, capacità, efficienza, skill. La motivazione alla competenza consente agli individui di sviluppare la generale capacità per interagire efficacemente con l'ambiente. Gli individui sviluppano un desiderio innato ed universale verso tale capacità attraverso l'esplorazione e la sperimentazione per rendere se stessi capaci di produrre eventi desiderati e prevenire quelli indesiderati. Un altro presupposto fondamentale è la considerazione che la competenza non sia una proprietà fissa, infatti implica una capacità generativa nella quale le abilità cognitive, sociali e comportamentali potrebbero essere organizzate per raggiungere più scopi. Boyatzis (1982) definisce la competenza come una caratteristica intrinseca di un individuo causalmente collegata a una performance eccellente in una mansione e che si compone di motivazioni, tratti, immagine di sé, ruoli sociali, conoscenze e abilità. Battistelli (1995) puntualizza quanto la competenza professionale sia il risultato di una complessa dinamica articolazione di conoscenze, abilità, atteggiamenti, immagini di sé, motivazioni e caratteristiche di personalità che permette all'individuo di comprendere le richieste e mettere in atto comportamenti professionali adeguati per rispondere alle esigenze lavorative nel contesto organizzativo. Favretto (1996) sottolinea come un'accurata conoscenza di sé, con valutazioni scrupolose delle proprie abilità, abbia un considerevole valore adattativo; essa è in grado di mettere in condizioni gli individui di regolare il proprio comportamento secondo le richieste dell'ambiente e permette di evitare le situazioni nelle quali essi potrebbero sentirsi inadeguati. Si apre qui il campo al concetto di autovalutazione delle proprie performance nel campo professionale che si possono considerare come una componente psicologica della competenza . La valutazione soggettiva della propria abilità è correlata alla capacità di svolgere un'attività diretta al raggiungimento di un obiettivo e all'efficacia del comportamento.

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• Il concetto di competenza riguarda

La competenza professionale •

Un sistema di comportamenti potenziali La capacità "trasformativa" di utilizzare conoscenze e abilità modificando i pattern comportamentali elaborati così come gli stili cognitivi È una caratteristica intrinseca di una persona...un motivo, tratto, abilità, aspetto dell'immagine di sé o ruolo sociale, o corpo di conoscenze che la persona usa... collegata ad una performance efficace e superiore in una mansione o situazione e che è misurata in base ad un criterio prestabilito (Boyatzis 1982) Il soggetto può non essere consapevole di essere "competente", cioè non essere in grado di renderla esplicita a sé e agli altri e quindi di descriverla La competenza professionale e relativa a ciò che un soggetto può fare, ma non necessariamente a cosa è in grado di fare o farà

Il concetto di competenza professionale è ampio e articolato e in letteratura numerosi sono gli approcci teorici e operativi di cui oggi disponiamo. Tuttavia si può rintracciare un elemento comune: il punto di osservazione è il soggetto che percepisce la sua competenza intesa nella sua espressione contestuale o contingente.

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Chiave delle competenze

Riprendendo la “chiave delle competenze” che ha ispirato dall’inizio il progetto, ho creduto di elaborare il documento di autovalutazione fornendo, per ogni caratteristica evidenziata, dapprima un approccio teorico e testimonianze raccolte e, solo in un secondo tempo le mie considerazioni al livello personale (autovalutazione e commento). Competenze personali Motivazione (anche volontà e interesse) Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze Etimologicamente il termine “motivazione” (dal latino motus) indica un movimento, quindi il dirigersi di un soggetto verso un oggetto desiderato, verso uno scopo: la dinamica del desiderio implica una spinta, che può essere interpretata come bisogno o pulsione da soddisfare, oppure in un senso più profondo, come tensione sostenuta da aspettative, obiettivi, emozioni. Per quanto riguarda in maniera specifica la motivazione all'apprendimento, tale tensione appare da un lato connessa alle modalità per cui un soggetto decide che cosa per lui ha senso e che cosa non lo ha, e dall’altro legata alle attribuzioni di valore dominanti in un determinato contesto (gruppo classe, comunità scolastica, ambiente culturale) Autovalutazione Considero alta, in generale, la mia motivazione. A fronte dei molteplici impegni professionali, famigliari, di formazione continua e aggiornamento personale (cfr. MaGF) e impegni musicali (orchestra ed ensembles di musica da camera), trovo poco tempo per pormi la domanda: “chi me lo fa fare?” oppure ancora “dove trovo la forza per stare dappertutto?”. In realtà la motivazione mia, ma credo che molti Pagina 65 di 128


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altri miei conoscenti funzionino come me, deriva da questioni legate (anche) all’educazione ricevuta. In questo senso sia i miei genitori, sia i genitori di mia moglie, fanno senz’altro parte della generazione che ha sfiorato la seconda guerra mondiale nella prima infanzia e che ha poi dovuto, fra mille difficoltà, costruirsi una posizione sociale accettabile. Essere stato cresciuto ed educato in questo contesto, a mio avviso, “alza la soglia”. Diversamente immagino la crescita, soprattutto motivazionale, dei miei tre figli; finora (e qui mi metto sicuramente spontaneamente in causa) ho fatto si, assieme a mia moglie, che i pargoli non dovessero chiedere o desiderare troppo a lungo. Si sono venuti a creare degli automatismi relazionali e comportamentali dettati dal benessere e dalla (più o meno) recondita volontà di rappresentare in modo diverso il chiedere, l’impegnarsi e ottenere, infine, dei risultati. Non rientra nel tema e non rientra nemmeno nelle mie competente specifiche, ma sono quasi convinto che il periodo sociale che contraddistingue il comportamento dei giovani scolari in questi anni (e di cui si fa un gran parlare, senza troppo intervenire) attenga a tutto ciò. E queste erano le riflessioni di base. Nello specifico professionale il discorso può essere affrontato differentemente. Lavorare, mantenere una famiglia, guadagnare status e credibilità sono aspetti che ci accomunano. Fortunato è chi riesce a trovare la propria strada, da un lato, e chi, all’interno del contesto che è riuscito a costruirsi, riesce a farselo piacere, dall’altro. In fondo, un’altra volta, le questioni legate alla motivazione attengono, anche in questo caso alle competenze e alle capacità (trattate in seguito). Provo a spiegarmi meglio; l’aumento del grado di motivazione è direttamente proporzionale alla riuscita professionale del contesto di riferimento. Quanto più è alta la valutazione del risultato prodotto, tanto più è facile che da ciò scaturisca motivazione. Visto che ogni soggetto è diverso (e mi vengono in mente i modelli di Maaslow e di Herzberg), a diversi livelli gli aspetti motivazionali acquistano valore soggettivo e rappresentano a pieno titolo il motus, il movimento, il motore delle azioni quotidiane esercitate dai soggetti considerati. Autonomia Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze Indica la libertà e l’indipendenza di un soggetto da qualsiasi altro nell’esercizio di determinate attività. Di autonomia si parla con riferimento alla capacità politica, normativa, organizzativa, contabile, finanziaria o gestionale di un soggetto Autovalutazione Autonomia; che bel concetto! Libertà e indipendenza sono i termini contenuti nella definizione che più mi è piaciuta e che, quindi, ho scelto di inserire in questa parte del documento. In realtà l’autonomia “pura” non esiste. Penso alla vita, quella privata. Forse a eccezione di qualche eremita, dove però la sensazione che vi sia in gioco una sorta di fuga dalla realtà è piuttosto presente, ognuno di noi, dalla nascita, intreccia relazioni affettive, scolastiche, professionali e private che forzatamente collocano l’individuo in una costellazione di palese eteronomia. Ci si illude di decidere e di operare scelte autonome che però sono sempre dettate da situazioni contestuali (dirette e indirette, consce e inconsce). Sono pure dell’idea che il termine di autonomia venga spesso confuso con un altro interessante paradigma, ossia quello attinente alle scelte discrezionali. In caso di vacatio legis, piuttosto che in occasione di momenti d’urgenza (dove la reattività del soggetto è messa a confronto con la responsabilità) si tende a decidere in modo spontaneo (e ci si illude che sia così). Sono convinto, invece, che quella che forse erroneamente definiamo come “autonomia decisionale”, ad esempio, sia frutto di teorizzazioni sogPagina 66 di 128


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gettive, di buone pratiche consolidate dall’esperienza, attuabili in forza e grazie alla dimostrazione di competenze precise (distintive). A fronte di questa premessa, la mia autovalutazione sul grado soggettivo di autonomia è difficile, per non dire, dovessi concretizzarla, bassa. Opero giornalmente scelte e decido, certo, pur sempre tenendo conto dell’ambiente, del campo, del contesto e soprattutto delle conseguenze che tale comportamento potrebbe evidenziare. La mia autonomia personale e professionale è quindi relativa alla posizione che rivesto e alla realtà in cui detta autonomia verrà posta in essere quale espressione individuale. Cambiamento (anche flessibilità, attitudine al cambiamento) Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze Termine usato per sostituire espressioni come progresso, sviluppo, evoluzione o rivoluzione, in quanto "neutro" rispetto a concetti che implicano giudizi di valore o analogie biologiche e fisiologiche. Si distingue fra cambiamenti nel sistema umano, nei sistemi gestionali, strategico - strutturali, tecnologico-organizzativi, socioculturali. Autovalutazione Anche questa definizione non è stata scelta a caso. Mi piace molto l’accezione, in essa contenuta, relativa alla positività che caratterizza il cambiamento. In particolare i termini progresso, sviluppo ed evoluzione, la dicono lunga sulla mia interpretazione del cambiamento. Considero, e lo dico subito, il cambiamento sempre legato al comportamento degli individui. Troppo spesso, anche recentemente, ho dovuto “combattere” con persone che la pensano decisamente in modo contrario. Ogni cambiamento destabilizza, crea incertezza e, soprattutto, impone che l’individuo interessato si dia da fare, ci metta del suo, si impegni. Le persone pigre, affaticate da anni di immobilismo (per carità, non è colpa loro, …glielo hanno permesso!...) sono spesso terrorizzate da ogni, benché minuscolo, cambiamento. Rimettersi in discussione e “fare” qualcosa in più o in modo diverso, scompiglia e destabilizza. Il cambiamento, però, non significa forzatamente fare cose nuove. Gia Nicolò Macchiavelli38 evidenziò il semplice concetto: “cambiare non significa fare cose nuove, bensì fare le stesse cose in modo diverso”. Da qui un’altra grande scoperta personale, ossia quella legata alla, a volte, semplicità del cambiamento. Non è necessario stravolgere per travolgere. Piccoli accorgimenti comportamentali portano a cambiamenti proficui, determinati, misurabili e duraturi. Personalmente credo di poter narrare e giustificare il cambiamento; basti scorrere il mio percorso personale, professionale e, perché no, musicale per rendersi conto delle piccole / grandi tappe percorse a piccoli passi (non vorrei annoiare raccontando i dettagli…). Sarà il mio carattere ma, credetemi, non sono ancora “fermo” e mia lascio a mia volta sorprendere dai cambiamenti che vorrò intraprendere. Efficienza (anche orientamento alla qualità) Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze Rapporto tra i risultati ottenuti e le risorse utilizzate per ottenerli. Processo: Insieme di attività correlate o interagenti che trasformano elementi in entrata in elementi in uscita. Gli elementi trasformati possono essere anche informazioni. Indica il

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“Donde nacque che Annibale con diverso modo di procedere da Scipione, fece quelli medesimi effetti in Italia che quello in Ispagna” Pagina 67 di 128


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grado di vicinanza del bene/servizio offerto rispetto alle aspettative e alla percezione dei bisogni dell’utente/cliente. Autovalutazione Ammetto, in questo caso, di sentirmi debole; cerco di spiegarmi. Da molti anni la mia posizione lavorativa prevede raramente compiti operativi. Anche quando lo sono, cioè quando entro in un’aula come formatore, ho qualche difficoltà a misurare il grado di efficienza del mio intervento pedagogico – didattico. Anche se è vero, senza falsa modestia, che le valutazioni formative espresse dai partecipanti al termine della lezione sono perlopiù ottime, non ho (e non abbiamo purtroppo) un riscontro concreto sull’apprendimento e sulla trasposizione di detto apprendimento nelle singole realtà professionali dei frequentatori del corso stesso. Questa è una problematica reale, condivisa da chi fa il mio mestiere, alla quale, per diversi motivi, non si è riusciti a porre rimedio. Bisognerebbe investire tempo e risorse economiche per “ritrovare” in azienda i comportamenti attesi, visitando i singoli a medio, lungo termine dopo la fine del corso. Se già in questo contesto ho dei problemi di rappresentazione e di proiezione efficiente, figuriamoci quando mi viene chiesto di semplicemente partecipare a riunioni, ad assemblee e a congressi. C’è chi sostiene (e per carità non lo voglio certo contraddire) che anche semplici azioni di consulenza e di rappresentanza abbiano una grande ricaduta sulla percezione e quindi sul comportamento delle persone alle quali vengono indirizzate. Anche costoro, però, messi di fronte al problema della misurazione dei risultati, evidenziano qualche titubanza. Sono quindi, da questo punto di vista, una persona concreta e vivo, a dipendenza degli stati d’animo, dei momenti di sconcerto. Mi trovo, ogni tanto, a intimamente invidiare i muratori, i falegnami e tutte quelle figure professionali che, a diverso titolo e forma, possono, al termine della giornata, misurare il risultato del proprio impegno, anche nei termini dell’efficienza. Sarebbe quindi bello poter stilare giornalmente o settimanalmente un bilancio, quantificando e paragonando al risultato ottenuto (output) le risorse impiegate (input). Nei momenti di sconforto mi rincuorano il numero dei partecipanti iscritti ai corsi (in costante aumento da 4 anni), il numero dei corsi erogati ogni anno (idem) e, come detto in precedenza, “il grado di vicinanza del bene / servizio offerto rispetto alle aspettative e alla percezione dei bisogni dell’utente / cliente” Identificazione con l’”azienda” Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze E' l'elemento attraverso il quale una persona, un gruppo o un’organizzazione riconoscono sé stessi e si vedono riconosciuti dagli altri, all’interno di un contesto aziendale. Ha un diretto legame con i concetti di motivazione, autonomia e efficienza (descritti precedentemente) perché il vicendevole riconoscimento (anche dal punto di vista gerarchico) consente di gestire nel miglior modo possibile gli spazi operativi scelti / accordati, con lo scopo e la finalità di operare con i migliori risultati personali e quindi aziendali. Autovalutazione Bastasse contare le ore passate in ufficio per misurare l’identificazione con l’azienda, sarei a posto. Forse però commetterei l’errore di confondere l’identificazione con l’azienda con l’attaccamento (senza poi credere che chi passa troppo tempo a lavorare di fatto ha di fatto dei problemi sia relazionali sia di gestione della delega…). L’identificazione ha più attinenza con la rappresentazione soggettiva e personale nel contesto professionale in termine di riconoscimento vicendevole top – down e Bottom – up. Ci risiamo (!); il vero cruccio è di nuovo Pagina 68 di 128


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quello della concreta misurazione di quanto, senza ciò, resterebbe al livello della percezione soggettiva. Come detto, dal 1° gennaio 2003, mi occupo di formazione di soggetti adulti nel contesto della formazione professionale. In questo mondo, legato quindi in qualche modo all’apprendistato dei giovani, ho scoperto delle ricchezze incredibili e mi sono ritrovato in diversi momenti a difendere tali ricchezze. Sono infatti convinto: • che la mentalità sia ancora votata al considerare di basso profilo la scelta professionale dei giovani al termine della scuola media • che non sia del tutto nota la profonda trasformazione, avvenuta negli ultimi vent’anni, relativa alle innumerevoli possibilità di perfezionamento e di sviluppo formativo, al termine del percorso formativo professionale • che non vi siano apprendistati facili o banali • che in presenza di soli accademici il sistema crollerebbe su se stesso • che la formazione professionale va sostenuta e resa nota nella sua “Vielfalt” Quando queste mie convinzioni (e succede!) vengono messe in discussione, nasce in me lo stimolo e la motivazione per convincere, argomentando compiutamente e oggettivamente. Credo quindi che la misurazione del mio personale grado di identificazione possa manifestarsi in questo modo. Competenze sociali Lavorare in gruppo (capacità di…) Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze Attività collegiale avente per obiettivo il massimo utilizzo delle competenze di ogni membro per raggiungere un obiettivo comune. Il lavoro di squadra è il concetto secondo cui si lavora insieme, cooperativamente, come in una compagine sportiva. “[…] Si ricercano attitudini al lavoro in team con capacità di leadership nella gestione di progetti in ambiente complesso […]”. Quasi ogni annuncio per la selezione di un candidato alla posizione xy contiene il testo di cui sopra. Sembra quindi essere indispensabile per chiunque potersi “mettere in rete”, dal punto di vista relazionale e cognitivo. Autovalutazione Lavoro bene con il gruppo, se il gruppo lavora bene con me. È un’affermazione forte che, forse per pudore, difficilmente verrà condivisa da altri. L’aspettativa, infatti, rivolta a ogni soggetto e per ogni ruolo rivestito all’interno del gruppo, è quella di “mettere giù la testa”, malgrado tutto. Tutti però sanno che non funziona così. Le dinamiche di gruppo, tanto volentieri trattate in corsi di formazioni e seminari di teambuilding e di teambonding, producono, per definizione, dei movimenti, delle forze e delle tensioni interni al gruppo stesso. Queste energie sono (possono essere): • positive (e tutto va bene) • negative • conosciute e condivise • nascoste È quindi chiaro che, in modo fortemente dipendente dai componenti del gruppo, della loro motivazione e onestà “collaborativa”, il gruppo funziona o meno, spesso indipendentemente dalla coscienza e dalla volontà del singolo, rispettivamente dal ruolo che questi riveste all’interno del team. Potrei citare gruppi (anche non in ambito prettamente professionale) dove il risultato (buono) è indipendente dalla Pagina 69 di 128


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scarsa capacità di conduzione da parte del “capo” (in questo caso c’è chi riesce a sopperire a mancanze /debolezze), oppure di gruppi gestiti e condotti da perone straordinariamente capaci che non riescono a produrre quando da loro atteso e richiesto (in questo caso c’è chi più o meno volontariamente riesce a vanificare le competenze, gli sforzi e la motivazione del singolo. Ambientali (anche protezione dell’ambiente) Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze Sistema di competenze complesso in cui i rapporti sono concatenati ed intrecciati in modo dinamico. Per comprenderne il funzionamento occorre considerare le connessioni, i rapporti, gli insiemi. Ogni insieme costituisce un sottosistema di un insieme più vasto. L'ambiente non è costituito da fenomeni naturali soltanto fisici o chimici o biologici: quando è implicato l'uomo è necessario analizzare e valutare anche, ad esempio, gli aspetti psicologici, filosofici e sociali. Autovalutazione Il concetto di protezione dell’ambiente (“preservazione dell'ambiente da danni inaccettabili provocati da prodotti, processi o servizi”, fonte ISO EN45020: 1998), in relazione alla mia attività specifica, è difficilmente valutabile. La produzione di rifiuti in aula, la loro eliminazione strutturata e l’utilizzo di prodotti confacenti sembrano essere le uniche variabili. Vero è che, comunque, quale formatore (oltre che responsabile di un Centro di formazione) un atteggiamento orientato alla salvaguardia dell’ambiente non può che sensibilizzare e creare consenso sulla problematica. Confesso di non avere ancora (sufficientemente) coscienza sul contributo del singolo. Sicurezza del e sul lavoro Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze Devono essere attuate da parte dell’azienda tutte quelle misure, previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti, necessarie per tutelare la salute e l’integrità fisica del lavoratore. Ciò significa, per esempio, prevenire possibili incidenti causati dall’uso degli impianti o da metodi di lavoro pericolosi; oppure prendere dei provvedimenti di "igiene del lavoro", tenendo sotto controllo i fattori fisici e chimici che possono essere dannosi per la salute dei lavoratori. Autovalutazione Vale quanto affermato al punto precedente. Solo in parte, in effetti. Anche in questo caso, soprattutto dal punto di vista legale e disciplinare, è precisa responsabilità del superiore operare in modo da garantire i previsti risultati, anche dal punto di vista della salute fisica e mentale del collaboratore e del partecipante ai corsi di formazione. Mi attengo in ogni caso alle disposizioni in materia e la mia autovalutazione è senz’altro almeno sufficiente. Competenze metodiche Creatività Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze L'idea di creatività come atteggiamento mentale proprio (ma non esclusivo) degli esseri umani nasce nel Novecento. I primi studi sul fenomeno risalgono agli anni '20. Mentre in alcuni campi (la matematica, per esempio) la creatività sembra sviPagina 70 di 128


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lupparsi meglio in giovane età, in altri (letteratura, musica, arti figurative) continua per tutto l'arco della vita. L'atto del creare è stato a lungo percepito come attributo esclusivo della divinità: Catullo, Dante, Leonardo, infatti, non avrebbero mai definito sé stessi dei creativi. Propri dell'uomo erano invenzione, genio e, dal 1700, progresso e innovazione. La parola creatività entra nel lessico italiano solo negli anni '50. Tra le moltissime definizioni di creatività che sono state coniate si segnala per semplicità e precisione quella fornita dal matematico Henri Poincaré nel 1929: "Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili". Le categorie di "nuovo" e "utile" radicano l'attività creativa nella società e nella storia. Il "nuovo" è relativo al periodo storico in cui viene concepito; l'"utile" è connesso con la comprensione e il riconoscimento sociale. Nuovo e utile illustrano adeguatamente l'essenza dell'atto creativo: un superamento delle regole esistenti (il nuovo) che istituisca una ulteriore regola condivisa (l'utile). Si individuano anche le due dimensioni del processo creativo che unisce disordine e ordine, paradosso e metodo. Infine, le categorie di nuovo e utile ampliano la sfera delle attività creative a tutto l'agire umano a cui sia riconosciuta un'utilità economica (estetica o etica) e che sviluppi uno dei tre possibili gradi di novità: applicazione nuova di una "regola" esistente, estensione di una regola esistente a un campo nuovo, istituzione di una regola del tutto nuova. Poiché si fonda sulla profonda conoscenza delle regole da superare, la creatività non può svilupparsi in assenza di competenze preliminari. Caratteristiche della personalità creativa sono curiosità, bisogno d'ordine e di successo (ma non inteso in termini economici), indipendenza, spirito critico, insoddisfazione, autodisciplina. La creatività è espressione tipicamente umana perché si fonda anche sul possesso di un linguaggio a volte astratto (fatto però di parole, numeri, note musicali) e atto a compiere discriminazioni sottili. […]39. Autovalutazione Come musicista dilettante, non avrei potuto scegliere definizione più appropriata. Quella fornita dal matematico H. Poincaré nel 1929: "Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili", mi sembra davvero confacente al mio modo di pensare. In altri termini, avendo a disposizione l’intera tessitura dello strumento, riproduco la realtà creando interconnessioni nuove e ogni volta diverse. Mi riallaccio pure a una questione linguistica che è stata, tra l’altro, trattata anche in occasione del modulo animato dal Prof. G. Martignoni. Il verbo italiano “fare” ha due radici distinte che sono del greco antico. Si divide infatti in prattein, da cui deriva il sostantivo “pratica”, ossia la riproduzione fedele della realtà, e in poiein da cui deriva il sostantivo “poesia”, ossia la rappresentazione creativa della realtà. Per definizione un formatore attivo con un pubblico di adulti “forma” e quindi prende dei pezzi di materia, di conoscenza e li assembla, ogni volta in modo diverso, alfine di facilitare l’apprendimento dei discenti. Mi trovo spesso confrontato con la domanda sul miglior metodo e sul miglior approccio da utilizzare in aula. Se, da un lato, il concetto e il relativo obiettivo didattico restano prescritti in ugual modo, è pur vero, dall’altro, che i soggetti (fruitori dell’apprendimento) mutano in continuazione. La reattività del gruppo a fronte di dinamiche interattive può variare sensibilmente; non è per nulla assodato che l’utilizzo “forzato” di costruttivismo sia sempre ben percepito. Scuole di pensiero e, perché no, pure un po’ di moda, fanno si che il formatore esasperi spesso modalità d’approccio a fronte di gruppi di al-

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tratto da it.wikipedia.org/wiki/Creatività Pagina 71 di 128


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tro tipo. Tento di riformulare. Credo abbastanza nella teoria secondo la quale i canali comunicativi soggettivi (quindi legati anche all’apprendimento) siano almeno tre40 e che questa affermazione trovi riscontro, in parti statisticamente uguali, nella misura del 33.33% dei discenti. Fatta questa considerazione, all’interno di essa, cerco di muovermi, in modo “creativo” affinché ognuno, probabilmente appartenente a una delle tre categorie, abbia ad approfittare (leggasi, con profitto!) dell’intervento formativo. Metodologia lavorativa Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze (gr. mèthodos "strada attraverso", "via"): messi a punto e affinati gli strumenti che permettono di entrare e di procedere […], il metodo è la traccia, il sentiero che va prescelto e seguito in modo preciso, dando conto delle difficoltà e degli ostacoli che si trovano nel percorso. […]. Autovalutazione Credo di avere già risposto nei precedenti punti. La metodologia lavorativa non è che l’insieme delle considerazioni già espresse in termini di motivazione, autonomia, efficienza e creatività. Non ne ho di fissi o standard e cerco di adattarmi, utilizzandoli, al contesto e all’interlocutore. Quanto alla definizione che ho scelto, contrariamente a prima, rappresenta, in parte, proprio la negazione del concetto. Infatti, l’affermazione secondo la quale il metodo “va prescelto e quindi seguito in modo preciso” non mi consente di reagire e di operare scelte alternative nella misura in cui la scelta dovesse, in itinere, rivelarsi poco appropriata rispetto alle aspettative dei fruitori. Capacità d’apprendimento Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze L’apprendimento e il processo di acquisizione di conoscenza o di una particolare capacità attraverso lo studio, l’esperienza o l’insegnamento. Si tratta di un processo basato sull’esperienza che comporta un cambiamento sul lungo termine del potenziale comportamentale (che descrive e possibilità del comportamento di un individuo, a livello appunto potenziale, in una data situazione, ai fini del raggiungimento di un determinato obiettivo). Le strategie d’apprendimento sono le operazioni, i passi, le azioni specifiche e concrete messe in atto da uno studente per facilitare l'acquisizione, la memorizzazione, il recupero e l'uso delle informazioni, e per rendere così l'apprendimento più facile, veloce, piacevole, autodiretto, efficace e trasferibile a nuove situazioni: ad esempio, utilizzare le illustrazioni di un libro per comprendere meglio il testo, fare "mente locale" sull'argomento prima di ascoltare o leggere qualcosa, sfruttare le occasioni di pratica ... La capacità (stile) d’apprendimento è costituita dall'approccio generale e preferito all'apprendimento da parte di una persona, il suo modo tipico e stabile di percepire, elaborare, immagazzinare e recuperare le informazioni. Lo stile è relativamente indipendente dal contesto e dal contenuto trattato e condiziona la scelta e l'uso di strategie di apprendimento.

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secondo la PNL, cfr. Bandler & Grinder; visivo, uditivo e cinestetico Pagina 72 di 128


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Autovalutazione Con lo schema di Therer – Willemart, che uso abbastanza frequentemente nei miei interventi in aula, ci si presenta una semplice quanto efficace rappresentazione dei principali stili di apprendimento e delle relative metodologie di studio / di insegnamento. Se, da un lato potrebbe sembrare scontato preferire (visto il migliore rapporto fra interesse per chi apprende vs. l’interesse per la materia) lo stile incitativi, passando attraverso a metodologie dinamiche e di interlocuzione, dall’altro, in realtà, il tema va riportato sempre alla situazione, agli obiettivi e alla materia. Il rapporto più basso (1:1), rappresentato dallo stile permissivo, potrebbe quindi essere interpretato quale approccio di basso profilo. Dalla mia esperienza e in considerazione di una mia autovalutazione, ritengo che, al contrario, vi siano nell’apprendimento autonomo parecchi punti a favore. In più di un’occasione ho potuto sperimentare che la libertà concessa dall’autonomia (relativa a spazi, tempi e modalità) abbia arricchito me personalmente e pure, se gestita coscienziosamente, pure i discenti in aula. Trovo quindi, in conclusione, molto limitante ogni tentativo di catalogazione e di assegnazione di valore in relazione agli apprendimenti soggettivi e ai soggettivi comportamenti ad essi legati.

A I P T

= = = =

Associativo Incitativo Permissivo Trasmissivo

(es. lavori di gruppo) (es. domande e risposte) (es. apprendimento autonomo) (es. metodo dimostrativo)

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Competenze di negoziazione e di azione Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze Potremmo definire la negoziazione come un “sistema per prendere decisioni” che si concretizza in un processo che, se ha successo, sfocia in una decisione congiunta, presa da più attori contemporaneamente. Fondamentalmente, in tutta la nostra vita privata e professionale la negoziazione è un’attività molto frequente e dispendiosa, anche se non sempre siamo in grado di riconoscerla come tale. Se volessimo identificare della variabili, potremmo dire che in una situazione negoziale sono sempre presenti delle controparti con interessi e obiettivi diversi, ma che agiscono per concludere qualcosa insieme. La negoziazione potrebbe essere comunemente definita come l'insieme dei comportamenti tattici che vengono attivati sia dal compratore che dal venditore. Nella realtà, la negoziazione non può essere limitata a quella commerciale: sono comportamenti che pervadono la nostra vita quotidiana in tutti i suoi ambiti. Esiste anche una negoziazione organizzativa, nei casi per esempio in cui in azienda si debba negoziare un budget tra diverse funzioni e posizioni. Oppure una negoziazione molto più soft legata ai rapporti tra colleghi. Se volessimo trovare l’elemento accomunante queste diverse forme, potremmo identificarlo nel fatto che esiste una forma di trattativa in cui le parti si scambiano risorse sia a livello materiale sia a livello dialettico. Anche nel caso della relazione soft tra capo e collaboratore esiste infatti uno scambio: quando il capo chiede al collaboratore di fare qualcosa, ci troviamo in una situazione negoziale, in cui il capo appunto deve cercare di convincere e motivare la propria risorsa ad agire secondo quanto richiesto. Due tipi di Strategie: Distributiva e Integrativa Quando ci troviamo in una situazione negoziale, le strategie che possono essere attivate sono di due tipi: strategia negoziale distributiva o integrativa. Nel primo caso, l’attività di negoziazione è simile a un gioco competitivo, in cui le controparti sostanzialmente “si fanno la guerra” attraverso un continuo gioco di difesa e attacco. Si pone la questione come se si dovesse vincere o perdere (win lose) per massimizzare la soddisfazione. Queste situazioni negoziali sono presenti nelle relazioni occasionali, meno nelle situazioni ripetute nel tempo o con clienti consolidati. Sono situazioni negoziali distributive, per esempio, le trattative sul prezzo di una compravendita in cui i prezzi non sono definiti a priori”. Strategie negoziali di tipo distributivo possono essere riconosciute anche nella vita quotidiana delle organizzazioni, quando due colleghi adottano delle strategie negoziali con il proprio capo al fine di poter ottenere l’assegnazione della posizione vacante. In questo caso, la posizione è unica, non può essere suddivisa ma può essere attribuita a una sola persona: per questo le risorse potrebbe “lottare” fra loro al fine di ottenere l’assegnazione della posizione tanto ambita. Un elemento caratterizzante che ci permette di differenziare la strategia distributiva dall’integrativa è il fatto che essa venga utilizzata quando l’oggetto della negoziazione o “la posta in gioco” non può essere suddivisa, ma necessariamente deve essere assegnata a una sola parte, creando appunto vinti e vincitori. A differenza della strategia distributiva, la strategia integrativa viene utilizzata per i rapporti duraturi e più oggettivi. Questi casi sono basati sulla collaborazione, in cui alla fine della negoziazione non ci sarà un vincitore e un vinto, ma due vincitori. È una strategia basata sulla comunicazione e sulla trasparenza: più le persone si espongono nei loro interessi e nei loro obiettivi, più si comunica, più si evidenziano i risultati che ciascuno vuole ottenere. Pagina 74 di 128


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“Le controparti si rendono conto che è possibile trovare un accordo integrativo, in cui si può aumentare il valore dell’accordo stesso prima di dividerlo. Sono situazioni che a differenza delle strategie distributive, non hanno un unico oggetto del contendere e in cui la relazione deve essere protratta nel tempo: pensiamo, ad esempio, alle partnership tra cliente/fornitore, le riunioni sindacali, le grandi commesse di lavoro, le fusioni e le acquisizioni, le alleanze strategiche tra aziende gli accordi diplomatici tra stati. In ognuna di queste situazioni, gli oggetti della trattativa sono diversi (tempi, costi, modalità di pagamento, specifiche di progetto, impatti economici, politici e sociali a breve e lungo termine) e quindi è possibile trovare almeno un elemento di scambio che permetta a ciascuna della controparti di trovare soddisfazione nella relazione. Oggi è molto diffusa una tendenza a interpretare la trattativa in un’ottica competitiva, ritenendo che per poter ottenere risultati da uno scambio sia fondamentale “farsi le scarpe”: “Così situazioni tendenzialmente integrative come per esempio la discussione di un budget aziendale diventano trattative distributive. Oppure nel rapporto tra clienti e fornitori, si cerca di “strozzare” con le richieste il fornitore, al fine di ottenere migliori condizioni di pagamento. È un atteggiamento molto pericoloso, perché alla fine alimenta rancori e chi ha subito, cercherà appena si presenta l’occasione di vendicarsi o di compensare in qualche modo le perdite percepite. Il rischio intrinseco di una strategia distributiva è l’escalation della competizione che porta inevitabilmente al conflitto e alla rottura dei rapporti. Autovalutazione Grazie alla mia esperienza e alla mia maturità professionale, nonché ai ruoli che nel corso di questi anni sono stato chiamato a sostenere, ritengo di aver acquisito buone capacità negoziali. Per iniziare a redigere questa autovalutazione (per questo specifico punto) ho riflettuto parecchio sulle informazioni teoriche che ho potuto ricevere in occasione di passati corsi di formazione. Non ho difficoltà a citare le differenze fra le negoziazioni integrative e distributive e, da questo punto di vista, sono potenzialmente un buon negoziatore. Non basta. Ho allora cercato di elencare le occasioni importanti nelle quali questa competenza ha dovuto essere posta in essere. Benissimo, mi sono detto, ce ne sono state molte. Se è vero che le medaglie si appuntano solo dopo la battaglia, da questa angolatura posso scorgere quasi solo dei successi; quando ho dovuto negoziare l’ho fatto principalmente in forma distributiva non immediata. Non voglio certo coniare dei nuovi termini o creare dei corollari azzardati alle teorie conosciute, in uso e quindi riconosciute. Mi sono accorto, però, di aver potuto stilare un bilancio delle negoziazioni solo parecchio tempo dopo la “trattativa”. In effetti il famoso concetto di win – win si è spesso confermato solo in negoziazioni successive, relativamente molto lontane nel tempo fra di loro. Intendo dire che prese singolarmente due diverse negoziazioni avrebbero potuto essere confuse con altrettanti win – lose, in modo alternativo fra i negoziatori. Visto però che il risultato della negoziazione è spesso frutto di compromessi e di do ut des, alla fine del processo, fatti i dovuti investimenti, si tende a voler bilanciare il rapporto negoziale.

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Competenze tecniche Qualità del lavoro Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze E’ lavoro di qualità il lavoro regolare, sicuro e prestato in aziende che vogliono aggiungere altro “valore” a questi parametri, nell’ottica di un miglioramento continuo. Promuovere la qualità del lavoro può significare introdurre meccanismi di misurazione, rendicontazione e certificazione della responsabilità sociale dell’impresa, valorizzare le esperienze di eccellenza, promuovere la formazione e la diffusione di una cultura d’impresa socialmente responsabile. Autovalutazione Le definizioni di qualità, lo sanno tutti, si sprecano, anche nei contesti più disparati. Non è per nulla facile, quindi, scegliere una definizione che possa caratterizzare la mia personale accezione del concetto. Ho scelto questa perché si fa riferimento in modo preciso alla questione del valore “aggiunto” e alla produzione di valore per i fruitori. Il campo si presta molto alle percezioni soggettive ma questo, in fondo, è proprio il vero spirito e la vera unità di misura utilizzabile. Lasciamo perdere per il momento i sistemi di gestione della qualità e le relative certificazioni e facciamo un esempio: come si misura la qualità di un’orchestra sinfonica che si produce in un concerto pubblico? Ho posto la domanda a diverse persone e provo a sintetizzare le risposte: • se sono intonati • se le sezioni sono coordinate (in gergo “vanno assieme”) • se ci sono o si sentono errori (note sbagliate) • e così via Quasi sempre le risposte, fornitemi da persone con scarse competenze musicali, fondano sull’errore o sulla non conformità. Posta la stessa domanda a persone competenti (anche a dei musicisti) le risposte che arrivano sono diverse: • se provo sensazioni • se vi è adeguata presenza scenica • se emerge l’interpretazione innovativa e la personalità del direttore • e così via Trovo interessantissimo, a questo punto, insinuare una correlazione fra competenza del “valutatore” e qualità misurata (parametri e criteri di misurazione). Di questo argomento riparlerò in un capitolo specifico all’interno del documento. Capacità specifiche Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze Questo concetto è tanto centrale, nella formazione, quanto ancora oscuro e impreciso. Si verifica intorno alle "capacità” qualcosa di simile a quanto si è verificato in fisica per gli atomi, in chimica per le molecole, in biologia per le cellule. Per i secoli si è parlato e si è lavorato intorno a oggetti che solo verso la metà dell'Ottocento hanno trovato una definizione e descrizione precise. Gli atomi e le cellule sono entità complesse, a loro volta composte da elementi più piccoli, che fungono da mattoni aspecifici della natura. Ogni oggetto naturale è tuttavia costruito da particolari insiemi di atomi e cellule, detti molecole, che assumono il ruolo di mattoni Pagina 76 di 128


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specifici. Atomi di idrogeno e ossigeno composti a caso non danno origine a nulla: ma una molecola fatta di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, legati in modo particolare fra di loro, costituisce la unità base dell'acqua. Circa le capacità, abbiamo problemi simili, ma siamo ancora al livello pre - scientifico. In particolare: 1. non esiste una definizione accreditata del concetto; 2. non conosciamo gli elementi che compongono le capacità; 3. non conosciamo quali sono le capacità basiche. La cosa interessante è che, malgrado queste oscurità, facciamo formazione e spesso riusciamo a ottenere visibili incrementi di capacità. È interessante la disamina della lingua inglese che dispone del termine "hability" o "skill". Il primo indica "potere sufficiente, capacità di fare qualcosa, abilitazione, destrezza, talento, potere mentale". Il secondo sta per "esperienza, abilità pratica, facilità nell'azione, abilità, tatto". Le habilities sarebbero le capacità ad ampio raggio come quella verbale, spaziale, matematica, ecc. Le skills sarebbero componenti attualizzate delle habilities, che possono essere oggetto di addestramento. Per analogia potremmo paragonare le habilities agli atomi e le skills alle molecole. In direzione simile può essere letto il contributo di I.Matte Blanco41 che enfatizza l'accezione di capacità come "capienza". In questo senso le capacità sarebbero contenitori aspecifici che si riempiono, con l'esperienza e la formazione, di "poteri operativi" cioè skills. Autovalutazione Anche questo tema sarà oggetto di approfondimento nel documento principale, in un capitolo dedicato. In particolare verranno evidenziate le nostre idee, rilevazioni e conclusioni sulle differenze fra capacità, intese come competenze, di soglia, distintive e d’eccellenza. Ognuno di noi ha seguito formazioni specifiche e abilitanti, al termine delle quali ha pure conseguito attestati e diplomi (cfr. concetto di competenze di soglia). Grazie all’esperienza e alle teorizzazioni soggettive, vengono poi sviluppate altre competenze individuali (distintive) che, opportunamente curate, sviluppate ed esercitate si trasformano, crescendo sia di livello che di intensità, in competenze d’eccellenza (all’interno del settore distintivo del soggetto). La mia autovalutazione, a questo soggetto, attiene alle seguenti riflessioni:

41

Matte Blanco I. "L'INCONSCIO COME INSIEMI INFINITI" Einaudi, Torino, 81 Pagina 77 di 128


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Competenze di soglia Scuola dell’obbligo Scuola media Scuola superiore Apprendistato Corsi di abilitazione e di perfezionamento aziendali Formatore aziendale con Diploma federale Formatore con Attestato professionale federale Competenze distintive Applicazione pratica dei saperi Approfondimento personale Opportunità di sviluppo Competenze d’eccellenza Studi e pubblicazioni sui temi specifici Ulteriori approfondimenti Riconoscimento professionale e personale in relazione ai temi

Schematicamente, come riportato alla pagina successiva:

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pubblicazioni articoli seminari auto - formazione docenza

Eccellenza

scarto

distanza

Distintive

Soglia

pedagogia andragogia docimologia relazione apprendimento

tecniche di ricerca impiego autoimprenditorialità ricerca e selezione placement coaching

DIPLOMA x VISSUTO y

Obiettivi generali Aree tematiche Obiettivi specifici Piano di formazione Erogazione formativa Valutazione certificativa

VISSUTO z

Prestazioni Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze Dal latino PRE = avanti e STANTEM = stare; stare quindi davanti agli altri, qualora la prestazione fosse, come in realtà è pensata nel nostro contesto, riferita a un individuo prestante (ossia in grado di produrre prestazioni). La definizione appare quindi interpretabile e non si può fare a meno di riferirsi ai concetti di: • confronto prestazionale rispetto ad altri soggetti (competizione) • confronto prestazionale rispetto alla formulazione di precisi obiettivi • difficoltà di misurazione delle prestazioni • difficoltà di rapport dei risultati delle misurazioni Non è, inoltre, del tutto casuale e/o sbagliato riferirsi alle prestazioni nei termini di efficienza e di efficacia dei comportamenti soggettivi; termini questi peraltro già trattati in questa autovalutazione. Pagina 79 di 128


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Autovalutazione Stare davanti agli altri, sempre che inteso come riconoscimento, credo sia il motore di ognuno di noi. L’aspetto competitivo invece, come normalmente inteso dal punto di vista prestazionale, non mi interessa molto. Preferisco il confronto e la prestazione con me stesso e con gli aspetti che mi danno l’impressione di essere “a posto”. J.J. Rousseau, quasi 300 anni fa ebbe ad esprimere il seguente concetto: “Val molto di più avere la costante attenzione degli uomini che la loro occasionale ammirazione.” In questo senso l’aspetto delle prestazioni, del rendimento e del relativo impegno, deve a mio avviso essere costante. Il livello delle prestazioni è soggettivo ed è frutto / conseguenza (anche) delle competenze che l’individuo vuole mettere in campo. Deciso ciò, va salvaguardato detto livello, pensando alla costante tendenza verso l’alto e evitando cali. Conoscenze Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze La conoscenza è la consapevolezza e la comprensione di fatti, verità o informazioni ottenuti attraverso l'esperienza o l'apprendimento (a posteriori), ovvero tramite l'introspezione (a priori). La conoscenza è l'autocoscienza del possesso di informazioni connesse tra di loro, le quali, prese singolarmente, hanno un valore e un'utilità inferiori. "Conoscenza" è un termine che ha significati diversi a seconda del contesto, ma che ha in qualche modo ha a che fare comunque con i concetti di significato, informazione, istruzione, comunicazione, rappresentazione, apprendimento e stimolo mentale. L'aspetto sostanziale della conoscenza è che, mentre l'informazione può esistere indipendentemente da chi la possa utilizzare, e quindi può in qualche modo essere preservata su un qualche tipo di supporto (cartaceo, informatico, ecc...), la conoscenza esiste solo in quanto esiste una mente in grado di contenerla. In effetti, quando si afferma di aver esplicitato una conoscenza, si sta in realtà preservando le informazioni che la compongono e parte delle correlazioni fra loro, ma la conoscenza vera e propria torna a esser tale solo a fronte di un utilizzatore che riassoci tali informazioni alla propria esperienza personale. Fondamentalmente la conoscenza esiste solo in quanto esiste un'intelligenza che possa utilizzarla. La conoscenza è qualcosa di diverso dalla semplice informazione. Entrambe si nutrono di affermazioni vere, ma la conoscenza è una particolare informazione, dotata di una sua utilità. Autovalutazione La definizione mi permette di distinguere i termini di sapere o di informazione e conoscenza. Se è vero che la conoscenza si manifesta solo se vi è la contemporanea presenza di utilità (scopo) e del veicolo (rappresentato dall’intelligenza), la differenza con il semplice sapere diventa importante perché costituisce a pieno titolo uno degli elementi fondamentali della competenza e dell’analisi che, in questo contesto e con parte di questo documento si vuole compiere. Rimando quindi più compiutamente al relativo passaggio dedicato.

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Competenze distintive

+ Attive

Competenze individuali

Latenti

Ridondanza

Integrazione sinergica

Irrilevanza

Sviluppo del potenziale

_ _

Marginali

Rilevanti Competenze contestuali

+

L’organizzazione delle relazioni di lavoro

Strumenti Analisi organizzativa delle competenze distintive formalizzate, quantitative e qualitative (ad esempio, i programmi di qualità, il reengineering) orientate al controllo dei risultati. Analisi delle competenze relazionali progettate nella prospettiva dell’equità organizzativa (trasparenza, controllo del cliente interno, reciprocità).

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4.2 L’autovalutazione di Marco Ricci: «Come possiamo fare qualcosa di impossibile? Con entusiasmo!»42 Un po’ di storia e qualche considerazione… La mia “passione” per l’insegnamento è nata piuttosto, o relativamente, tardi: e pensare che i miei nonni avevano messo su un libretto di risparmio i soldi per farmi studiare da maestro… Tutto è incominciato frequentando il corso che portava agli esami per il conseguimento del diploma federale in materia bancaria. Diversi formatori e docenti incontrati in questo ambito mi hanno portato a formulare un’idea molto decisa: “qualora un giorno decidessi di insegnare, non farò certamente come loro!”. Qualche esempio, che ancora mi porto dentro, di cosa facevano e che, secondo me, non si doveva fare: leggere unicamente quanto c’è sul libro di testo utilizzato ed evitare ogni complemento non rispondere alle domande dei partecipanti “perdersi” nella costruzione di esempi utilizzare documentazione non più aggiornata usare termini non conosciuti al grande pubblico, senza spiegarli non avere rispetto dei partecipanti: e questo vale per le battute e i commenti “ironici”, ma anche non considerando che avevano davanti, innanzitutto delle PERSONE, ma poi gente che in banca ricopriva anche funzioni di responsabilità e che, in ogni caso, potevano saperne di più in altri settori “improvvisare” la lezione. All’ottenimento del diploma (1989), mi è stato chiesto dal presidente della Commissione, se fossi stato interessato a insegnare i crediti documentari. Si trattava di 10 ore, con una valutazione finale, che dovevano servire a rendere più comprensibile questo argomento. Sono stato subito attratto da questa sfida e, dato che avevo circa un anno a disposizione per prepararmi, ho allestito un “piano d’azione” che più o meno prevedeva i seguenti passaggi: analisi dei testi a disposizione elaborazione della documentazione alternativa, se necessaria suddivisione della materia e preparazione delle lezioni preparazione del test finale. Con l’analisi dei testi a disposizione mi sono trovato subito davanti a una situazione che nessuno finora aveva considerato: i testi erano scritti o per chi doveva operare all’interno di una banca con i crediti documentari o per i clienti che dovevano avere le conoscenze sufficienti per preparare e gestire un credito documentario. Nessuna delle due categorie corrispondeva però a quella con la quale mi sarei dovuto confrontare. Da qui, il passaggio al secondo “step” è stato molto breve: avrei dovuto scrivere un libro sui crediti documentari a carattere divulgativo (il mio primo e, finora, unico libro e procurandomi una tendinite al braccio sinistro!).

42

Paulo Coelho, Monte cinque Pagina 82 di 128


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Trovandomi per la prima volta davanti a una classe e non più dentro una classe, nel preparare le mie lezioni ho tenuto conto di tutti gli aspetti citati prima e che non mi erano piaciuti frequentando il corso precedente. Mi sono messo a costruire tabelle su tabelle, con ripartizioni dei temi e dei tempi e costruendo una quantità di lucidi (unico sussidio tecnico riconosciuto a quel momento…). Al momento della tenuta del modulo sui crediti documentari, mi sono accorto però che avevo esagerato con i contenuti o, visto dall’altra parte, ero stato troppo stretto con i tempi! Questo comportamento l’ho riscontrato anche in altri colleghi: fin quando non hai acquisito sufficiente esperienza, non solo risulta difficile ripartire i contenuti sui tempi, ma si ha sempre paura non di aver materiale abbastanza da presentare ai partecipanti. Di regola succede il contrario: hai troppo materiale e non riesci a sviluppare il tutto… L’approccio avuto con questi primi partecipanti è stato molto razionale: dovevo spiegare, spiegare e spiegare in quanto si trattava di una materia sterile, che doveva essere imparata così, senza fronzoli. Non ho mai saputo se a quella sessione d’esame i miei partecipanti hanno incontrato domande sui crediti documentari: a distanza di anni, mi rendo conto che avrei potuto comportarmi in modo molto diverso. Mi ha aiutato, in quel periodo, partecipare a una giornata di tecniche di presentazione organizzata dalla Commissione con Mario Acierno. Grazie al suo aiuto e alle sue spiegazioni, ho cominciato a rendermi conto che dovevo tenere molto in più in considerazioni i partecipanti e meno la materia. Ma eravamo molto distanti ancora da quello che ho imparato dopo, dalla pratica… Non è che il mio corso non abbia avuto successo: sono cambiate le modalità. Finalmente, perché di questo me n’ero già accorto preparandomi agli esami. Si è passati da un approccio al tema a un approccio al sistema. Questo capita ancora sovente in certi ordini di scuola: si parla non di “aree tematiche” ma di temi, così che ti ritrovi a parlare della stessa cosa in più momenti e non ti rendi conto che l’oggetto è sempre quello ma visto sotto angolazioni diverse. Per circa tre anni sono rimasto “disoccupato” in qualità di formatore. Nel 1992 mi è stato chiesto se fossi stato interessato a insegnare organizzazione contabile ai partecipanti al corso di preparazione all’esame per l’attestato professionale federale di contabile. Qui la situazione di partenza era ancora peggiore: non esistevano disposizioni e obiettivi d’esame! La materia d’insegnamento veniva “dedotta” dagli esami degli anni precedenti, ma nessuno poteva garantire che sarebbe servita per quelli successivi. Questa offerta è comunque arrivata in un momento molto particolare della mia vita: stavo uscendo, dopo un ricovero di un mese in una clinica specializzata, da una depressione durata circa un anno e mezzo. Questo obiettivo è stata la migliore medicina che potessi trovare per riconquistare autostima e motivazione, risultati che la medicina tradizionale e l’analisi non erano riusciti a raggiungere. Da questa malattia nasce anche un percorso evolutivo che mi ha portato a scoprire nuove “cose” su di me: dal potenziale ai comportamenti, dagli interessi ai valori, dai miei rapporti con il lavoro e con gli altri alla ricerca di una vita più “spirituale”, nel senso più ampio del termine. Ma di questo parlerò più avanti, al momento di estrapolare le mie competenze distintive. Pagina 83 di 128


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Per tornare al corso di organizzazione contabile, posso dire che sono stato facilitato da una serie di eventi: in primis, il mio interesse per la materia organizzazione e la mia adesione all’ASIO (Associazione della Svizzera Italiana di Organizzazione) poi, il fatto che avevo dal giugno 1990 cambiato lavoro ed ero responsabile del gruppo di contabilità finanziaria della succursale di Lugano dell’UBS (l’allora Unione di Banche Svizzere) inoltre potevo avere a disposizione un nuovo testo di organizzazione non ancora pubblicato ma già utilizzato in corsi analoghi in pratica non c’era concorrenza (anche se non sono mai riuscito a conoscere chi altri in Ticino insegnasse questa materia, perché qualcuno c’era…) La collaborazione con l’ACF è durata circa sei anni, dal 1993, e mi ha dato la possibilità di realizzare altri corsi e di occuparmi della certificazione EduQua per la stessa Associazione. Per non perdermi in descrizioni di corsi, voglio evidenziare quali sono stati i passaggi che mi hanno portato ad evolvere come formatore: una delle mie “fisime” è sempre stata, per un lungo periodo, quella di ritenere che il docente doveva “essere attivo” in aula. Non potevo concepire che si potesse rimanere in silenzio a guardare i partecipanti mentre svolgevano un esercizio. Il mio approccio non permetteva però ai partecipanti di apprendere: tutti (o quasi…) si limitavano a riportare la soluzione da me prospettata e non facevano niente per appropriarsi dei metodi di risoluzione dei problemi. Il problema era, ed è, che all’esame ci devono andare loro… i partecipanti a questo genere di corso sono, prevalentemente, persone con una forte dominante razionale (altrimenti come farebbero ad appassionarsi della contabilità?!?!). Una delle caratteristiche di queste persone è che non si può rispondere con un “dipende…” alle loro domande: vogliono avere una risposta precisa, razionale, appunto. La scienza dell’organizzazione, anche se riferita alla contabilità, non può avere, che raramente, un’unica risposta: solitamente tutte quelle soluzioni che si avvicinano molto agli obiettivi definiti, è da considerare valida l’organizzazione richiede anche uno studio nozionistico dei termini: se da una parte, come detto prima, i partecipanti non si accontentavano di non ricevere “la soluzione”, dall’altra facevano fatica a memorizzare i termini e i concetti organizzativi. Per l’ACF ho anche una tenuto una giornata di corso su didattica e pedagogia: questo mi è servito per conoscere a livello teorico, quegli aspetti che, fino a quel momento o quasi, avevo potuto sperimentare sul piano pratico. La svolta e qualche considerazione… L’8 dicembre 1997 venne annunciata la fusione tra le due più grandi banche svizzere: l’Unione di Banche Svizzere (UBS) e la Società di Banca Svizzera (SBS) diedero vita alla UBS SA. Tra le tre offerte di lavoro che mi sono state sottoposte la più stuzzicante è stata quella di diventare formatore a tempo pieno presso il centro di formazione della Regione Ticino. La Banca aveva bisogno di un “senior” (un vecchio…) che riequilibrasse il gruppo dei nuovi formatori provenienti, non solo dalle due banche, ma anche da altre esperienze. Infatti il responsabile e quasi tutti i vecchi formatori avevano “scelto” di non proseguire nell’ambito della formazione. Mi ricordo che quando mi sottoposero l’offerta, risposi “Io insegno perché mi Pagina 84 di 128


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diverto: se mi pagate per divertirmi, ancora meglio…”. È questo un aspetto molto importante della mia dedizione all’insegnamento e ci ritornerò. In un primo momento fui designato responsabile della formazione professionale, grazie anche al diploma conseguito. Fortunatamente, molti corsi erogati dovevano essere condotti da due formatori, così che con il collega Matteo, lavoravamo al 50% nell’ambito della formazione professionale e al 50% nell’ambito della conduzione e della comunicazione, con lui responsabile per quest’ultimo settore e io per il primo. Questo modo di operare mi ha permesso si acquisire una grossa esperienza non solo nei settori specifici ma anche nella concezione dei corsi: pur ricevendo i corsi direttamente da Zurigo, non abbiamo mai erogato un corso che non portasse la nostra firma… Con UBS ho potuto seguire molti corsi interni e anche qualche esterno di perfezionamento: quello che però mi sono reso conto dopo che mi mancava, era una preparazione teorica di base che mi permettesse di avere un sostegno a quanto sviluppavo in pratica. Tra i corsi che più mi sono serviti cito: trainer del metodo Stuttogramma, metodo che permette con poca formazione di riconoscere gli stili di comunicazione e le dominanti e i deficit delle persone practitioner di PNL, che mi ha permesso e mi permette di usare il linguaggio in modo più responsabile e orientato all’ottenimento degli obiettivi corso per quadri intermedi, con il quale ho potuto misurarmi non solo con i vari stili di leadership e di scegliere il mio, ma anche di avvicinarmi alla formazione esperienziale grazie alle modalità presentate dalla società esterna che gestiva il corso. L’esperienza come responsabile del gruppo di formazione in Ticino mi ha poi permesso di occuparmi anche di molti aspetti amministrati e negoziali che, in altre strutture o situazioni non avrei potuto sperimentare. Il mio rapporto di lavoro era quindi al 50% come responsabile del gruppo e al 50% come formatore (e in questa veste riuscivo a tenere oltre 100 giornate d’aula all’anno quando a Zurigo i colleghi che lavoravano al 100% come formatori ne tenevano 80/90). Ma si sa, le aspettative delle aziende mon sempre collimano con quelle dei singoli collaboratori: quando mi proposero un rapporto di lavoro al 70% come responsabile e al 30% come formatore ho valutato e deciso che era arrivato il momento di separarci e di mettermi in proprio. Nel periodo a cavallo tra l’esperienza di formatore UBS e la mia esperienza da freelance ho assunto anche la funzione di responsabile della formazione dell’ASIO, l’Associazione per la Svizzera Italiana di Organizzazione e management. In questo ambito ho curato la realizzazione dei corsi base di organizzazione e ho gettato le basi per portare in Ticino il corso che porta al conseguimento dell’attestato federale professionale di organizzatore. La svolta 2 e qualche considerazione… Dal 1° luglio 2001 mi sono reso indipendente, e non solo dal profilo professionale. Al momento della presa di decisione non avevo che una promessa verbale da parte di uno dei direttori di UBS SA che la banca mi avrebbe dato da tenere i corsi per la divisione Private Banking, corsi che già erogavo in qualità di interno, sui temi della comunicazione e della vendita. Pur ammettendo che questa promessa è staPagina 85 di 128


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ta, almeno in parte, mantenuta, mi sono subito reso conto che non mi sarebbe stato possibile vivere unicamente con questo cliente e con questi corsi. Mi sono trovato subito davanti a una scelta: quali corsi dare? che settori coprire? cosa mi interessava veramente? Per una questione di credibilità sul mercato, non potevo, e non posso, essere bravo in tutto! Qui mi ha aiutato il nome “di battaglia” che mi ero scelto: clic e più precisamente c – comunicazione l – leadership i – innovazione c – creatività. Questo voleva dire mettere da parte, almeno parzialmente, la formazione professionale ma, anche, garantirsi un mercato sufficientemente ampio, facendo leva sull’innovazione e sulla creatività. Mi sono messo a concepire corsi, ma senza veramente mettermi sul mercato aperto: non potevo e non posso permettermi di entrare in concorrenza con Istituti e Agenzie formative. Quello che posso fare è lavorare direttamente con le aziende, costruendo per loro, e solo per loro, i corsi che possono soddisfare i loro bisogni nell’ambito della comunicazione, della vendita, della leadership e dell’evoluzione personale. Altro problema che mi si è presentato subito è stato quello di non possedere una certificazione. Se all’interno di UBS il posto che occupavo mi riconosceva una certificazione, sul mercato aperto, a seguito anche dell’introduzione di EduQuà, dovevo, e al più presto, essere certificato. L’occasione mi si è presentata conoscendo e collaborando con Nicola Giambonini: la Labor Transfer iniziava un corso FFA1 nel mese di gennaio e sarebbe durato solo 4 mesi. Purtroppo (?) le iscrizioni non furono sufficienti e, all’inizio di dicembre 2001 ricevetti la conferma che il corso non sarebbe iniziato. Una rapida indagine sul mercato mi portò a scoprire che l’ISPFP aveva appena iniziato questo corso e, grazie all’interessamento della responsabile, Elena Mock, venni ammesso recuperando da privatista i due incontri persi. Questa esperienza formativa mi dette buona parte di quelle basi teoriche che solo “il mio buonsenso” – nel senso di mettermi in discussione quando non ero soddisfatto io della mia prestazione o non lo erano i partecipanti – mi avevano permesso di intuire e di applicare. Ma questo corso è stato anche l’inizio di una serie di incontri e di opportunità di lavoro che mai mi sarei aspettato. Il primo gradino è stato il corso di formatore nella nuova formazione commerciale, che mi ha permesso di conoscere Nadia Fioroni, Claudia Sassi, Alberto Traversari, Fabrizio Masella e Remo Colombini, oltre ad avermi fatto conoscere altre persone interessanti e ritrovare ex-colleghe ed expartecipanti ai miei corsi. Con Nadia Fioroni non solo sono stato coinvolto nella formazione dei maestri di Tirocinio, ma mi ha permesso di entrare in contatto con il CFF, centro di formazione per formatori della DFP (e con il collega ed amico Walter Seghizzi).

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Claudia Sassi ha marcato la mia vita con un duplice intervento: da una parte assegnandomi corsi interaziendali con gli apprendisti del commercio e dall’altra mettendomi in contatto con ECAP-SEI (ora ECAP Ticino – Unia) che cercava formatori per tenere i corsi di tecniche di ricerca d’impiego e sostegno al collocamento (TRIS), per conto dell’ufficio misure attive (UMA) della Sezione cantonale del lavoro. A maturare l’esperienza necessaria per poter iniziare questo lavoro mi ha aiutato Alberto Traversari e la sua assistente Sabrina Martini. Con loro ho gestito le simulazioni dei colloqui di selezione presso l’APC Prêt-à-porter di Locarno e ho iniziato a costruire un corso TRIS, progetto poi abbandonato per gli impegni assunti con ECAP e anche per le scelte politiche adottate dall’UMA (due soli enti erogatori in Ticino: Labor Transfer per il Sopraceneri e Ecap-Sei per il Sottoceneri). Fabrizio Masella e Remo Colombini mi hanno invece trascinato nell’avventura AFASI, di cui faccio parte del comitato direttivo per la seconda volta. Questa appartenenza mi ha portato si anche qualche mandato remunerato, ma, soprattutto, la possibilità di presentarmi all’esame per l’ottenimento del diploma federale di formatore aziendale. Ottenendo questa certificazione sono passato direttamente dal livello 1 di formatore di adulti al 3 del diploma professionale superiore, e questo mi ha permesso di essere ammesso al MaGF su presentazione del dossier. L’esperienza con ECAP Ticino – Unia (durata dal marzo 2003 a giugno 2006) mi ha permesso di accumulare una grande esperienza non solo nelle relazioni d’aiuto con le persone, ma anche nel rimanere a contatto con i partecipanti per 20 incontri sull’arco di 6 settimane. In pratica il corso TRIS non può (e sono fermamente convinto di quello che dico al punto di rompere ipso facto il rapporto di mandato) essere considerato “unicamente” un corso di formazione che insegna ai partecipanti a scrivere le lettere di ricerca d’impiego e di allestire Curriculum Vitae rappresentativi! È, soprattutto, un “laboratorio” dove i partecipanti possono, assistiti, mettersi in discussione, analizzare la propria vita e le proprie aspettative. Molte volte sono stato confrontato con situazioni personali quasi drammatiche che sarebbero peggiorate se il o la partecipante avessero trovato lavoro: da qui la “consulenza” a chiarire prima di tutto la propria situazione e poi cercare un lavoro che ti desse soddisfazione e il necessario per vivere. Il “bene” della persona, il ritrovare una sana autostima e una motivazione ad accettare il cambiamento e a ricominciare, per me, vengono messi al primo posto. Con questo approccio al corso vengono messi in discussione, ne sono ben conscio, certe teorie: per esempio la tassonomia di Blum, gli obbiettivi quantitativi in opposizione a quelli qualitativi, la misurabilità del raggiungimento degli obiettivi (SMART), che viene a cadere sia perché non si ottenevano le informazioni necessarie sia perché il trovare un posto di lavoro non dipende solo dalla formazione ricevuta su come effettuare la ricerca. Lo cito solo adesso, ma per scelta: quando incominciai a lavorare come formatore in UBS, mi capitò tra le mani una copia della rivista dell’AIF, Associazione Italiana Formatori. In quel numero c’era un bellissimo (e il superlativo è ancora poco…) articolo che parlava di come il benessere dei partecipanti ai corsi venisse regolarmente negletto: da qui la mia “scelta di vita” di occuparmi prima del benessere dei Pagina 87 di 128


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partecipanti piuttosto che del raggiungimento (di regola automatico perché aumenta la motivazione) degli obiettivi del corso. La svolta 3 e qualche considerazione… Da luglio 2006 si riparte! Se prima potevo contare su un rinnovo costante dei mandati, il fatto di non collaborare più con Ecap mi apre nuove opportunità che, finora, proprio a causa degli impegni con questo ente, non avevo potuto considerare. La ripartizione in modo irregolare delle 20 lezioni del corso TRIS su sei settimane faceva si che diverse volte non potevo accettare altri mandanti in quanto la settimana era già occupata con una o due giornate a Lamone. Questo vuol dire aprirsi al mercato, offrire corsi interaziendali e non più solo aziendali, ricercare e valutare collaborazioni e/o ampliamenti di rete (network). Questo vuol dire anche che, in previsione, ci saranno più corsi personalizzati e meno corsi ripetitivi, più argomenti da sviluppare e più competenze da affinare. Quali? Per il momento è prematuro rispondere. Solo qualche considerazione… Prima di entrare nel merito dell’autovalutazione delle mie competenze quale formatore, voglio riportare una digressione sulla «percezione», tolta da un articolo di Doriano Fasoli, intitolato “Riflessioni in forma di conversazioni - Il mestiere di capire. Conversazione con Emilio Garroni” trovato sul sito www.riflessioni.it. Questo articolo mi è servito per rimanere, per quanto possibile, obbiettivo nella mia ricerca. «Percezione, termine usato da Cartesio, Locke, Leibniz e altri pensatori moderni per designare ogni atto di conoscenza. In questo significato più ampio è oggi però usato solo il verbo corrispondente (per esempio: «percepire» la verità di una proposizione). Assai più diffuso è invece il senso più ristretto del termine, introdotto dagli stoici e poi conservatosi nel corso di tutta la storia della filosofia: quello di atto o funzione di conoscenza che si riferisce immediatamente a un oggetto reale, sia esso mentale o fisico. Quando il termine viene usato in questo secondo significato si distingue generalmente percezione da sensazione: la percezione è un processo conoscitivo complesso che comprende, unificandole, una molteplicità di sensazioni (intese come fatti o dati elementari della coscienza sensibile) e le riferisce a un oggetto distinto dal percipiente e dagli altri oggetti. È questo il concetto di percezione esterna, da cui si suole distinguere la percezione dei propri stati interiori (sebbene l'uso dell'espressione «percezione interiore» sia oggi piuttosto raro). Della conoscenza percettiva si hanno sostanzialmente due interpretazioni: quella empiristico-associazionistica, che considera la percezione un prodotto dei meccanismi dell'associazione psicologica (Hume, J.S. Mill); e quella trascendentalistica, che vede invece nella percezione un prodotto della spontaneità spirituale del soggetto giudicante: l'oggetto della percezione è una elaborazione dei dati sensoriali operata dalla coscienza secondo forme a priori. Estensione di questa interpretazione kantiana è quella idealistica che, abbandonato ogni riferimento al materiale sensibile esterno, concepisce il rapporto tra sensazione e percezione come la tappa iniziale dello sviluppo dello spirito da forme di conoscenza astratte e povere a forme sempre più ricche e concrete (così in Hegel e nella tradizione neohegeliana). Contro l'interpretazione associazionistica si pronunciarono, alla fine del secolo scorso e all'inizio del nostro, varie scuole che peraltro non condividevano neppure l'interpretazione idealistica: in particolare Il pragmatismo (Peirce e James), il neoPagina 88 di 128


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realismo (Whitehead), lo spiritualismo evoluzionistico (Bergson), la fenomenologia (Husserl). Questi indirizzi, e soprattutto la corrente fenomenologica, prepararono in tal modo il terreno alla Gestaltpsychologie, o psicologia della forma (Wertheimer, Kohler, Koffka), che condusse un attacco a fondo contro l'associazionismo largamente diffusosi nell'ambiente positivistico e recepito dai primi manuali di psicologia. Gli psicologi della forma sostengono che nella percezione si ha coscienza immediata di un tutto strutturato, il cui comportamento non è determinato dai suoi supposti elementi, ma da leggi strutturali interne al tutto (Wertheimer, Sulla teoria della forma, 1925). La percezione non si sviluppa dunque per una sintesi di elementi atomici o di sensazioni particolari, che risultano essere pure entità immaginarie, astrazioni artificiali e teoriche costruite dall'intelletto filosofico. La psicologia della forma confortò queste sue critiche con una serie imponente di prove sperimentali, in base alle quali cercò anche di determinare le condizioni dell'apparire delle forme o totalità e le leggi delle loro trasformazioni. Il limite della Gestalt, più volte rilevato, sembra però essere quello di intendere la percezione come qualcosa di autosufficiente, senza tenere conto delle «prestazioni» del soggetto percipiente in cui occorre reintegrarla; è questo il punto di vista del «funzionalismo percettivo» sviluppatosi verso la metà del nostro secolo (Bruner, Postman, Allport). Pur facendo propria la critica gestaltistica dell'associazionismo, esso sottolinea particolarmente le disposizioni soggettive, i bisogni, i fini ecc., come fattori codeterminanti l'atto percettivo. In questo quadro si è poi molto insistito sul carattere ipotetico della percezione: le percezioni sono punti di vista, ipotesi, sull'oggetto, suscettibili di modificazioni, approfondimenti, correzioni. Su questa scuola ebbe larga influenza il pragmatismo americano per la sua interpretazione della vita psichica come «transazione» tra organismo e ambiente. L'atteggiamento oggi prevalente tende a sviluppare questi punti di vista sul piano strettamente sperimentale e in ambiti rigorosamente delimitati che non pretendono di pervenire a visioni d'insieme ed esaustive. In questo quadro vanno anche ricordate le recenti applicazioni della cibernetica alla comprensione del processi conoscitivi. Le mie competenze distintive sono veramente tali o sono unicamente il frutto della mia percezione? Un test basato sulla teoria junghiana proposto da www.altamira.it mi descrive così: «Tipo psicologico: ENF OrientaFunzione Funzione Funzione Funzione in- Tendenza mento dominante d'appoggio terza feriore EstroIntuizione Sentimento Pensiero Sensazione Percettiva verso Questo tipo è motivato dalle novità e dalle possibilità che la sua intuizione riesce a cogliere. È curioso, entusiasta e pieno di interessi. Ha molti amici che lo apprezzano per le sue doti. È empatico, spesso divertente, capace di capire le motivazioni delle persone. È anche sensibile ai bisogni e ai sentimenti degli altri che spesso riesce a captare o a anticipare. Generalmente ama circondarsi di persone piuttosto che rimanere da solo. Attribuisce molta importanza al calore dei sentimenti ed è molto leale nei confronti dei suoi amici. È una persona sensibile che rischia a volte di prendere le cose in maniera troppo personale. È sensibile agli elogi di cui ha occasionalmente bisogno. Cerca di evitare le situazioni che comportano delle tensioni: fa fatica a sopportarle, a meno che non riesca a vederle come un problema interessante da risolvere. Ama infatti, come tutti i tipi intuitivi, affrontare e Pagina 89 di 128


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risolvere i problemi. Ai suoi occhi non c'è niente che non abbia una qualche soluzione! È dotato di molta fantasia e immaginazione e riesce spesso a trovare delle soluzioni brillanti e originali. È indipendente e non è un conformista. Difficilmente si lascia impressionare dall'autorità e dalle regole. Anzi, spesso usa la sua creatività per aggirare le regole se le considera inutili o superflue! La sua funzione inferiore è la sensazione. Questa situazione lo espone al pericolo di non avere i piedi per terra. Ha una gran quantità di idee ma può non essere in grado di valutare se sono realistiche e realizzabili. La sua incuranza nei confronti dei dettagli e dei fatti concreti può portarlo a essere disordinato e a non trovare quello che cerca. Non è generalmente una persona precisa. Detesta la routine e le procedure complicate. Appena una cosa diventa ripetitiva, ha tendenza ad annoiarsi. Ha quindi bisogno di variare le sue attività. Appoggiandosi più al sentimento che non al pensiero, questo tipo rischia di non dedicare tempo sufficiente all’analisi dei problemi, saltando troppo rapidamente alle conclusioni e andando incontro a degli errori. Sul piano del lavoro è più adatto ad avviare dei progetti che a stabilizzarli o consolidarli. È comunque spesso una persona molto dotata, in grado di fare bene quello che le interessa. Sul piano delle relazioni di lavoro non incontra particolari difficoltà. È un entusiasta, è interessato ai rapporti interpersonali e sa trattare con le persone.» Mi ci riconosco e molto. Forse non completamente dove parla del tempo da dedicare all’analisi, ma tutto dipende molto dal tempo che ho a disposizione. Quello che manca è invece l’indicazione sul fatto che sono un “generalista a oltranza”, particolarità emersa anche dal test Struktogramm, che fa si che, in fondo, tutto mi interessi e tutto mi possa affascinare. È anche interessante descrivere quali sono gli elementi che intervengono, in maniera conscia o inconscia (perché me ne sto rendendo conto adesso), nel momento in cui mi accingo a preparare o a ridare un corso. Non è necessariamente il contenuto, il tema oggetto del mio corso a “condizionare” il mio approccio. E (forse…) neanche tanto gli obiettivi che mi vengono definiti dai committenti o il luogo (che in ogni caso preferisco scegliere io…). Il mio primo interrogativo che mi pongo è sicuramente: “come posso far si che i miei partecipanti vivano bene questi momenti che passeremo assieme e approfittino di questo corso per la loro evoluzione personale e professionale?”. Un elemento di valutazione al quale do particolare importanza è infatti proprio quello che si riferisce a come il gruppo si è trovato assieme e come hanno potuto interagire, anche se questo, solitamente, è un obiettivo non condiviso con i partecipanti e quasi sempre non è dichiarato, se non a corso concluso. È chiaro che la durata del corso condiziona, e di molto, la costruzione e la compattezza del gruppo. Ma anche solo un paio d’ore d’aula per spiegare come funziona una banca dati in Internet, mi “impongono” questo obiettivo. Ogni partecipante “deve” uscire con l’impressione che non sia stato tempo perso e che quanto ha potuto apprendere, anche se dovrà essere approfondito, gli è servito perché in ogni caso si è trovato bene e potuto esprimersi e ottenere non solo risposte ma, soprattutto, considerazione. La metodologia da utilizzare va quindi ricercata, secondo la mia visione, in due direzioni: 1. che il “messaggio formativo” possa essere traslato con le minori difficoltà possibili o, visto dall’altra parte, possa essere appreso in modo non pesante Pagina 90 di 128


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2. che tutto concorra a “far uscire dai soliti schemi” i partecipanti e dar loro la possibilità di acquisire al più presto nuovi schemi di comportamento (anche se non necessariamente quelli richiesti dal committente…) Una considerazione sulla partecipazione ai corsi, la prendo a prestito da “L’arte di ascoltare” di Plutarco43: “14. Altri pensano che chi parla abbia dei doveri da assolvere e chi ascolta, invece, nessuno; pretendono che quello si presenti dopo aver meditato ed essersi preparato con cura, mentre loro invadono la sala liberi da ogni pensiero e riflessione, e prendono posto esattamente come se andassero a un banchetto, a spassarsela, mentre altri faticano. Eppure, se perfino un bravo convitato ha dei doveri da assolvere, molti di più ne ha chi ascolta, perché è coinvolto nel discorso ed è chiamato a cooperare con chi parla, e non è giusto che stia a esaminarne con severità le stonature e a vagliarne criticamente ogni parola e ogni gesto, mentre lui, senza doverne rispondere, s’abbandona per tutta la durata dell’ascolto a un contegno scomposto e variamente scorretto. …”. Molti partecipanti non hanno mai letto Plutarco… Autoanalisi… Prendo come base quanto richiesto ai colleghi che hanno avuto la bontà di rispondere al nostro questionario. 1. Reputo siano fondamentali per la riuscita di un mio corso le seguenti competenze: Mi sono reso conto, più volte, che la componente razionale, contenutistica dei miei corsi, passa in secondo piano rispetto all’approccio che io ho con il gruppo. I partecipanti, di regola, danno per scontato che il formatore conosce i contenuti che va a insegnare: in pochissimi casi mi sono trovato a dover gestire delle obiezioni da parte di partecipanti che ritenevano “sbagliato” quanto io andavo dicendo. È pur vero che la costruzione del corso da me eseguita mi permette di richiamare e approfondire i contenuti previsti: diverso è il caso in cui devo dare un corso concepito da qualcun altro, anche se, alla fine, riesco sempre a inserire qualcosa di mio… Le competenze (attitudini, modalità, comportamenti, ecc.) che metto in atto sono principalmente le seguenti: grande motivazione nell’affrontare l’attività pieno rispetto dei partecipanti “sfruttamento” dell’energia emessa dal gruppo adattamento ai ritmi e agli interessi dei partecipanti (quale formatore ho un “fil rouge” da seguire ma i tempi e gli approfondimenti sono lasciati al gruppo) condivisione, di conseguenza, di quanto viene costruito in aula, con l’inserimento di elementi teorici utilizzo di modalità esperienziali (giochi di ruolo, giochi attivi, attività outdoor, casi pratici, modalità interattive tra gruppi di partecipanti, ecc.) per marcare i momenti salienti del nostro incontro responsabilizzazione dei partecipanti 2. In un/una collega ammiro le seguenti competenze: Contrariamente a quanto sostenuto da diversi formatori44, non necessariamente ricerco nelle e nei colleghi, quanto utilizzo nei miei corsi. In una/un collega ricerco

43 44

Plutarco, L’arte di ascoltare, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori Per esempio da Mario Polito in un corso tenuto sulla gestione d’aula il 20 aprile 2007 presso lo IUFFP Pagina 91 di 128


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spesso delle conferme sui contenuti, delle nuove modalità d’aula da poter elaborare e “personalizzare” per una proposta sempre più attiva dell’apprendimento (e non dell’insegnamento…). La mia spiegazione a questo approccio l’ho trovata nel fatto che lavorando spesso solo e non potendomi confrontare con altri membri di una struttura, ho bisogno di capire se le mie modalità di approccio, se i miei contenuti, se quanto propongo, in poche parole, è valido o meno. Non sempre il feedback dei partecipanti e/o del committente sono utili per un potenziale miglioramento. È infatti confermato che molto dipende dalle persone che compongono il gruppo, dal momento che stanno vivendo, da molteplici “cose” che possono modificare il feedback tra un gruppo e l’altro. Se torno agli inizi del mio percorso quale formatore, la mia principale preoccupazione era quella di essere sempre attivo in aula. Mi sembrava di non guadagnarmi l’onorario quando facevo svolgere degli esercizi ai partecipanti durante le lezioni. Questo primo approccio si è rivelato subito non adatto a un insegnamento a degli adulti (ma ancora non avevo frequentato tutti i corsi per formatori che ho frequentato in seguito…): in particolare le persone “razionali”, come per esempio i partecipanti ai corsi per il conseguimento dell’attestato federale di contabile, erano poche propense a lavorare metodologicamente ma esigevano delle risposte univoche. questo approccio non li aiutava nella loro preparazione: agli esami si sarebbero magari trovati gli stessi contenuti, ma non sicuramente con le medesime correlazioni viste durante le varie lezioni. Modificando il mio approccio all’insegnamento, che in questo periodo era piuttosto di carattere tecnico/professionale, mi sono accorto che tutte le competenze acquisite al di fuori del campo tecnico erano quelle che più mi aiutavano a trasmettere il mio messaggio. Forte di questa esperienza e degli interessi sempre più marcati nel settore della comunicazione, ho incrementato le mie conoscenze e le mie competenze nelle relazioni umane. Il fatto che da oltre sette anni riesca a vivere di quello che produco e che ho un ritorno di clientela costante, mi sostiene nell’idea che la scelta si è rivelata pagante.

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5.

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Valutazioni di colleghe e colleghi

di Marco Ricci

5.1

Raccolte al corso CFF

Su richiesta del responsabile del Centro Formazione Formatori (CFF) della Divisione per la Formazione Professionale (DFP), il collega e co-autore Walter Seghizzi, Marco Ricci è stato incaricato di preparare un corso45 per le formatrici e i formatori che intervengono nell’erogazione regolare di corsi promossi in ambito professionale da questo centro. Questo corso doveva servire, da una parte a raccogliere le impressioni delle e dei colleghi e dall’altra a condividere modalità d’aula che non fossero quelle utilizzate in modo più frequente e che non necessariamente risultano essere quelle più efficaci. Di seguito la rappresentazione grafica della giornata proposta: Risorse

Obiettivi del corso: - al termine i partecipanti dispongono di alcuni elementi che possono loro permettere di diventare consapevoli dei loro "Fattori critici di successo" nella formazione di giovani e adulti - durante il corso i partecipanti possono condividere metodi e modalità esercitati

Potenziale Sapere

Cosa sono le competenze (attivazione e combinazione di risorse al fine di gestire con successo determinate situazioni, azioni e problemi)

Saper fare Saper essere Competenze operative Competenze professionali Competenze sociali Competenze personali Conoscenze Capacità

La realtà e l'illusione Il gioco dell'oca

L'aspetto ludico

Il labirinto

Abilità

Le competenze distintive dei formatori (argomenti)

Competenze di base Competenze chiave Competenze trasversali

Il pro e il contro La sua costruzione La sua utilizzazione

La mappa mentale

Quando usarli Come usarli

La narrazione

Contenuti

Le modalità d'aula alternative alla lezione frontale

La ricerca

La lezione come "progetto"

Come usarli Quando usarli

La costruzione

I giochi di ruolo

Contenuti La realizzazione

Compiti del formatore

Modalità Supporti

Come usarli Quando usarli

Modalità Supporti

Compiti del formatore

I lavori di gruppo

Compiti del formatore

Nella prima parte del corso, dopo una spiegazione di obiettivi e programma, nonché di una messa in comune dell’idea di competenze, si è provveduto a raccogliere le indicazioni delle e dei partecipanti. La nostra intenzione era di quella di sottoporre delle competenze di soglia (confronta la raccolta delle competenze previste dal piano di formazione per formatori di adulti riportato da pag. 15 a pag. 58) secondo lo schema riportato di seguito, chiedendo alle e ai colleghi di valutare se a loro modo di vedere queste competenze fossero utili o meno nella tenuta di un corso, erano da considerarsi di soglia, distintive o d’eccel-lenza e se potevano essere apprese durante i corsi di formazione o in modo informale/non formale46. La nostra visione era pertanto riproducibile nella tabella sottostante47 (in giallo le nostre scelte):

45

Questo corso è stato oggetto del lavoro di certificazione del Modulo 4 che il relatore Prof. Dott. Graziano Martignoni ha valutato con il commento “Questo lavoro mostra un’eccellente interiorizzazione delle categorie teoriche trattate nel Modulo e si presenta con una buona e adeguata bibliografia di riferimento. Anche sul piano metodologico è buono. Risultati convincenti. Acquisito.“ e che viene allegato integralmente al termine del presente lavoro quale allegato 46 Riportiamo le definizioni ufficiali dell’Unione Europea (ISFOL 2003) dei diversi tipi di apprendimento. Apprendimento formale: è l’apprendimento erogato tradizionalmente da un’istituzione di istruzione o formazione, strutturato (in termini di obiettivi di apprendimento e tempi o risorse per l’apprendimento) e sfociante in una certificazione. L’apprendimento formale è intenzionale dal punto di vista del discente. Apprendimento informale: apprendimento risultante dalle attività della vita quotidiana legate al lavoro, alla famiglia o al tempo libero. Non è strutturato (in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse) e di norma non sfocia in una certificazione. L’apprendimento informale può essere intenzionale, ma nella maggior parte dei casi non lo è (ovvero è “fortuito” o casuale). Apprendimento non formale: Un apprendimento che non è eroPagina 93 di 128


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Competenza individuale

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Utili

Non utili

Indifferenti

Competenze di soglia

Competenze distintive

Competenze di eccellenza

Acquisite con la formazione

Acquisite in modo informale/ non formale

Creatività Metodologia lavorativa variata Capacità di apprendimento personale Volontà, interesse personale Autonomia d’azione Flessibilità, attitudine al cambiamento Orientamento alla qualità, efficienza Orientamento al raggiungimento degli obiettivi Identificazione con l’azienda Capacità di lavorare in gruppo Protezione dell’ambiente Sicurezza del lavoro Capacità di negoziare e agire Capacità tecniche specifiche Prestazioni misurabili Conoscenze generali e culturali Tecniche di presentazione Organizzazione del tempo e del lavoro Empatia Applicazione del potere del ruolo Orientamento alla valutazione Capacità di gestire gli spazi

Questa “convinzione” deriva dal fatto che, pur avendo adoperato delle parole chiave, le espressioni utilizzate sono riconducibili a delle competenze che un formatore ha (o dovrebbe) aver acquisito frequentando i vari moduli FFA, secondo la tabella seguente (che non vuole essere esaustiva):

gato da un’istituzione d’istruzione o formazione e che non sfocia di norma in una certificazione. Esso è peraltro strutturato (in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse per l’apprendimento). L’apprendi-mento non formale è intenzionale dal punto di vista del discente. 47 parzialmente tratto da Maurizio Castagna, La lezione nella formazione degli adulti, AIF-FrancoAngeli Pagina 94 di 128


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Competenze

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Obiettivi FFA

Creatività

C.3 Sapere impiegare un repertorio metodologico adeguato C.15 Saper scegliere in modo mirato materiali didattici, completarli e adattarli a gruppi speciali di destinatari C.16 Saper scegliere media ai fini del processo di apprendimento, motivando la scelta F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli

Metodologia lavorativa variata

C.3 Sapere impiegare un repertorio metodologico adeguato C.5 Sapere utilizzare media e supporti didattici C.14 Conoscere le caratteristiche e le possibilità di varie forme d'insegnamento/ apprendimento, saperle impiegare in modo adatto ai destinatari e coerente con gli scopi e obiettivi didattici C.15 Saper scegliere in modo mirato materiali didattici, completarli e adattarli a gruppi speciali di destinatari C.16 Saper scegliere media ai fini del processo di apprendimento, motivando la scelta F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli

Capacità di apprendimento personale

C.1 Possedere nozioni di base sull'apprendimento in età adulta e saperle applicare D.5 Vagliare e aggiornare regolarmente le proprie nozioni professionali teoriche e pratiche, colmare quelle mancanti F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli F.7 In base a un'analisi del proprio curricolo di discenti conoscere la propria concezione dell'apprendimento e capire il suo rapporto col curricolo stesso

Volontà, interesse personale

D.5 Vagliare e aggiornare regolarmente le proprie nozioni professionali teoriche e pratiche, colmare quelle mancanti E.3 Essere consci dei propri modelli comportamentali e saperli modificare in modo adatto alla situazione F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli F.4 Essere consci dei propri punti forti/deboli e delle proprie potenzialità evolutive, saper perfezionare i punti forti e migliorare quelli deboli o ammettere i propri limiti F.5 Promuovere la propria riflessione ed evoluzione operando sul piano interdisciplinare e sovra - istituzionale

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Competenze

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Obiettivi FFA

Autonomia d'azione

B.4 Saper sviluppare in forma autonoma piani generali per i propri corsi tenendo conto delle condizioni quadro F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli

Flessibilità, attitudine al cambiamento

E.3 Essere consci dei propri modelli comportamentali e saperli modificare in modo adatto alla situazione F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli F.3 Saper reagire in modo flessibile a cambiamenti F.6 Saper affrontare in modo flessibile condizioni quadro diverse

Orientamento alla qualità, efficienza

B.5 Conoscere fattori finanziari importanti e sapere interpretare benchmarking, possedere nozioni essenziali di contabilità per corsi, conoscere le possibilità di finanziamento della propria offerta B.6 Saper allestire, leggere e interpretare preventivi e rendiconti B.8 Conoscere e applicare le basi per l'amministrazione di corsi

Orientamento al raggiungimento degli obiettivi

B.5 Conoscere fattori finanziari importanti e sapere interpretare benchmarking, possedere nozioni essenziali di contabilità per corsi, conoscere le possibilità di finanziamento della propria offerta B.6 Saper allestire, leggere e interpretare preventivi e rendiconti B.8 Conoscere e applicare le basi per l'amministrazione di corsi C.13 Saper definire contenuti didattici e strutturare i propri corsi in sintonia con gli obiettivi prefissati

Identificazione con l'azienda

A.1 Conoscere la propria istituzione di formazione e sapere informare gli allievi

Capacità di lavorare in gruppo

C.6 Saper seguire l'evoluzione di gruppi in varie fasi dell'insegnamento/apprendimento E.7 Conoscere teorie della dinamica di gruppo e possedere un repertorio adeguato d'interventi per la conduzione di gruppi

Protezione dell'ambiente

A.6 Riconoscere le correnti e le tendenze sociali, saper analizzare il loro influsso sulla propria attività

Sicurezza del lavoro

A.6 Riconoscere le correnti e le tendenze sociali, saper analizzare il loro influsso sulla propria attività

Capacità di negoziare e agire

E.1 Possedere nozioni di base sulla comunicazione, saper analizzare processi comunicativi e moderare discussioni con sicurezza E.2 Conoscere modelli di dinamica di gruppo e possedere un repertorio essenziale d'interventi per guidare gruppi in formazione

Capacità tecniche specifiche

D.1 Possedere una terminologia specifica adeguata e saperla formulare in modo comprensibile per gli allievi

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Competenze

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Obiettivi FFA

Prestazioni misurabili

A.2 Conoscere gli strumenti di qualificazione / certificazione del corso specifico e saperne informare gli allievi

Conoscenze generali e culturali

A.3 Conoscere a grandi linee le strutture e le condizioni quadro della formazione in Svizzera e averne una visione globale A.5 Capire l'importanza sociale della formazione e dell'apprendimento permanente, saper valutare il valore sociale della propria offerta

Tecniche di presentazione

C.3 Sapere impiegare un repertorio metodologico adeguato C.5 Sapere utilizzare media e supporti didattici

Organizzazione del tempo e del lavoro

B.4 Saper sviluppare in forma autonoma piani generali per i propri corsi tenendo conto delle condizioni quadro C.13 Saper definire contenuti didattici e strutturare i propri corsi in sintonia con gli obiettivi prefissati

Empatia

C.1 Possedere nozioni di base sull'apprendimento in etĂ adulta e saperle applicare F.7 In base a un'analisi del proprio curricolo di discenti conoscere la propria concezione dell'apprendimento e capire il suo rapporto col curricolo stesso

Applicazione del potere del ruolo

C.2 Saper spiegare agli allievi i programmi previsti per i propri corsi E.2 Conoscere modelli di dinamica di gruppo e possedere un repertorio essenziale d'interventi per guidare gruppi in formazione E.8 Saper guidare gruppi in processi collettivi complessi e prolungati E.10 Conoscere modelli della dinamica di gruppo, conoscere l'interazione fra strutture per lo svolgimento di un corso e processi della dinamica di gruppo F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli F.8 Essere consci dei vari ruoli dei formatori, saper analizzare il proprio comportamento e allargare il proprio repertorio di ruoli

Orientamento alla valutazione

A.4 Saper consigliare gli allievi sui loro bisogni di perfezionamento e sulle possibili-tĂ di qualificazione/certificazione C.4 Sapere applicare metodi semplici di valutazione sistematica per input, svolgimento e output della propria offerta C.6 Saper seguire l'evoluzione di gruppi in varie fasi dell'insegnamento/apprendimento C.10 Saper progettare interventi di valutazione sotto vari aspetti D.2 Saper riconoscere il livello degli allievi nella propria disciplina e valutarne i progressi

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Competenze Capacità di gestire gli spazi

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Obiettivi FFA C.14 Conoscere le caratteristiche e le possibilità di varie forme d'insegnamento/ apprendimento, saperle impiegare in modo adatto ai destinatari e coerente con gli scopi e obiettivi didattici

Abbiamo dato anche per scontato, ma la realtà non ce ne da la dimostrazione, che almeno i formatori siano consci non è più possibile scindere la formazione tra quella formale e quella informale/non formale. Va pur detto che la nostra prima valutazione non tiene conto delle particolarità operative di un formatore o di una formatrice d’adulti per esempio un insegnamento della religione non richiederà, presumibilmente, una grande capacità di gestire gli spazi o di avere un grande orientamento alla valutazione. Così come, anche per la particolarità sopradescritta, che certe competenze di soglia possano trasformarsi in competenze distintive o addirittura d’eccellenza (per esempio la grande capacità di gestire gruppi difficili e demotivati, compito demandato a un formatore “esperto”). Come introduzione è stato richiesto alle e ai colleghi di indicare delle risposte alle seguenti domande: Reputo siano fondamentali per la riuscita di un mio corso le seguenti competenze In un/una collega ammiro le seguenti competenze Per motivi di discrezione i formulari erano anonimi; veniva unicamente chiesto di indicare l’età e il sesso. Qualora si fosse impegnati nei due ambiti della formazione professionale e nella formazione continua è stato richiesto di allestire un formulario per ogni settore. Di seguito le indicazioni raccolte in risposta alla prima domanda: Partecipante A (età 41 anni, sesso F, FP48): Conoscenza approfondita della materia. Capacità di mettere in relazione vari ambiti, portare esempi da altre realtà (per esempio psicologia per parlare di motivazione). Conoscenza di quanto accade in altri contesti (per esempio ai Maestri di tirocinio saper spiegare quanto accade con gli apprendisti e viceversa). Partecipante B (età 41 anni, sesso F, FA): Conoscenza approfondita della materia. Dialettica. Impostazione di base: pacatezza ma comunque dimostrazione di know-how. Capacità di concentrazione per capire le sfumature (obiezioni, dinamiche di gruppo) in modo da portare il giusto esempio (quello che convince e non annoia). Rispetto del discente (per es. chiamandolo per nome). Didattica uso di strumenti diversi per non annoiare (aneddoti, giochi di ruolo, riflessioni, ecc.). Cura del materiale distribuito. Partecipante C (età non indicata, sesso F, FP): Conoscenze di vita e professionali anteriori. poter/saper spaziare in ematiche che possono uscire dai contenuti specifici del corso ma che hanno un’importanza e un senso a un preciso momento/contesto del corso. Saper ridere con i partecipanti. La “teatralità” dei miei corsi. La passione che trasmetto.

48

FP = formazione professionale, FA = formazione per adulti Pagina 98 di 128


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Partecipante D (età 44 anni, sesso F, FP): Oltre alla buona conoscenza della materia, ritengo indispensabile saper adattare l’approccio in relazione al pubblico presente (apprendisti o adulti). La gestione dell’aula, la relazione con i partecipanti, è un aspetto a cui tengo molto perché ritengo sia molto importante per la buona riuscita di un corso. Professionalità, ma anche una buona dose di spontaneità e istintività. Spazio per tutti, ascolto attivo. Partecipante E (età 44 anni, sesso M, FP): Capacità di mantenere vivi attenzione e interesse. Porre domande adeguate e finalizzare a incentivare la partecipazione della platea. L’alternanza “pertinente” di metodologie didattiche che permettano ai partecipanti di confrontarsi, stimolati da “angolazioni” differenti. Partecipante F (età non indicata, sesso F, settore non indicato): Rispetto. saper creare un clima positivo. Favorire interventi spontanei. Ascolto attivo. Creare collegamenti tra pratica e teoria. Flessibilità nel passare da un argomento all’altro. Passione. Valorizzazione delle esperienze. Partecipante G (età 43 anni, sesso F, settore FP): Sicuramente oltre a quelle specifiche, reputo fondamentali quelle competenze che mi permettono di creare una relazione con i discenti per il raggiungimento degli obiettivi. Partecipante H (età 48 anni, sesso M, settore FP): Sicuramente una solida conoscenza della materia erogata, teorica e pratica e il saper dimostrare praticamente. Un programma definito con obiettivi definiti. Ciò mi consente di eventualmente improvvisare o di adattarmi a esigenze impreviste. La pazienza e un certo rigore devono permettermi di verificare ciò che il discente ha appreso (lavori pratici, scritti): osservando il suo modo di operare mi consente di effettuare interventi mirati. Do molta importanza alla formulazione delle frasi, dei concetti, affinché non vi siano interpretazioni distorte. Per me è molto importante portare motivazione ed entusiasmo, energia, anche se non sempre è facile. Devo causare apprendimento, in modo diretto o indiretto. Partecipante I (età 43 anni, sesso M, settore FP): padronanza della materia principale che tratterò. Capacità di dimostrare i concetti con modelli teorici e riferimenti etimologici. Prevedere le aspettative e saper reagire a stimoli “diversi”. Saper contestualizzare i concetti con esempi, situazioni e aneddoti (esperienza/vissuto). Cogliere le differenze e adattare il livello dell’erogazione al pubblico di riferimento. Lasciare il mondo e i condizionamenti personali fuori dall’aula.

Queste, invece, le indicazioni ricevute alla seconda domanda (abbiamo ritenuto utile riportare le indicazioni riferite a età, sesso e settore di formazione): Partecipante A (età 41 anni, sesso F, FP): Usare il gioco per insegnare materie “ostiche”. Es: quale gioco usare per far allestire un programma di formazione? Si può fare? Partecipante B (età 41 anni, sesso F, FP): Capacità di giocare Partecipante C (età non indicata, sesso F, FP): l’equilibrio tra conoscenze mirate e contesto formativo adattabilità. Capacità di sintesi e linearità del pensiero. La capacità di essere professionali senza “prendersi sul serio”. Partecipante D (età 44 anni, sesso F, FP): Seguire i colleghi in aula mi permette sempre di apprendere cose nuove o trovare conferme e/o smentite. Ognuno di loro ha le proprie modalità con le quali è sempre utile mettersi a confronto Pagina 99 di 128


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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Partecipante E (età 44 anni, sesso M, FP): A quelle indicate prima, aggiungo: Capacità di “valorizzare” i contributi fortemente critici dei partecipanti. Capacità di “mostrare” disponibilità sincera all’ascolto. Capacità di utilizzare “Case History” adeguate (metafore analogiche) anche per stimolare riflessioni e identificazione. Partecipante F (età non indicata, sesso F, settore non indicato): Abilità nel creare immagini che facilitano la comprensione. Creare situazioni/giochi di ruolo che aiutino a riflettere. Sintesi dei contenuti. Teatralità. Valorizzazione degli utenti. Partecipante G (età 43 anni, sesso F, settore FP): Capacità di porsi nei confronti del gruppo. Abilità nel saper affrontare gruppi prevenuti e poco motivati. Partecipante H (età 48 anni, sesso M, settore FP): La preparazione sull’argomento, la capacità di motivare i giovani e di ascoltarli, di entrare in comunicazione con loro. Però anche un certo rigore e la capacità di portare loro dei valori. Partecipante I (età 43 anni, sesso M, settore FP): Non lasciarsi coinvolgere dalle provocazioni. Mantenere un alto grado di motivazione anche in situazioni difficili (con gruppi difficili e demotivati). Saper esercitare (quando è necessario) il giusto equilibrio tra “potere istituzionale” del formatore e classe demotivata/problematica/ostile.

Questi i risultati del rilevamento effettuato con il contributo delle e dei colleghi (la differenza dei titoli è data dal fatto che non tutte le posizioni sono state valutate secondo le disposizioni impartite):

Competenza individuale

Utili

Non utili

Indifferenti

Competenze di soglia

Competenze distintive

Competenze di eccellenza

Acquisite con la formazione

Acquisite in modo informale/ non formale

1

5

5

1

2

7

1

7

1

5

Creatività

7

7

Metodologia lavorativa variata

7

4

2

Capacità di apprendimento personale

5

3

2

Volontà, interesse personale

7

5

2

Autonomia d’azione

6

4

2

Flessibilità, attitudine al cambiamento

7

2

4

3

1

5

Orientamento alla qualità, efficienza

4

2

3

1

4

2

Orientamento al raggiungimento degli obiettivi

7

5

1

6

2

Identificazione con l’azienda

5

1

1

2

2

1

Capacità di lavorare in gruppo

5

1

3

3

5

5

Protezione dell’ambiente

2

4

1

2

2

Sicurezza del lavoro

2

4

1

1

1

Capacità di negoziare e agire

7

6

6

Capacità tecniche specifiche

6

6

2

1 1 1

1 1

1

1

1 2

1 1

1

4

4

2

3

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Marco Ricci e Walter Seghizzi MaGF 2 - Modulo 12 Competenza individuale

Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino Utili

Non utili

Prestazioni misurabili

4

2

Conoscenze generali e culturali

7

Tecniche di presentazione

Indifferenti

Competenze di soglia

1 1

Competenze distintive

Competenze di eccellenza

2

Acquisite con la formazione

Acquisite in modo informale/ non formale

3

1

4

2

1

5

5

7

4

3

1

6

3

Organizzazione del tempo e del lavoro

7

4

3

4

6

Empatia

5

4

7

Applicazione del potere del ruolo

4

Orientamento alla valutazione

3

Capacità di gestire gli spazi

6

6 2

3 2

2

1 1

2

4

2

2 1

4 4

Questo primo rilevamento, pur di per se già indicativo, è stato da noi ampliato per il fatto che si sarebbe potuto opinare che sette formatrici e formatori sono poco rappresentativi del settore. Abbiamo provveduto quindi a coinvolgere colleghe e colleghi via e-mail per raccogliere ulteriori dati.

5.2

Rilevamento a distanza

In un primo tempo ci siamo rivolti direttamente a colleghi con i quali esistono contatti frequenti. Una decina ha dato seguito al nostro invito: ancora una volta, a nostro giudizio, troppo pochi per essere indicativi. Abbiamo richiesto la collaborazione agli enti erogatori di formazione per formatori d’adulti (IUFFP, Labor Transfer SA, Scuola Club Migros ed ECAP Ticino – Unia) e alla Direzione operativa del MaGF2 per raggiungere un numero sufficiente alto di formatori. Non essendo a conoscenza di quanti esattamente sono stati contattati, possiamo però stimare che circa 250 persone hanno ricevuto il nostro mail che, volutamente, abbiamo allestito in questa forma: “Gentile Collega, Egregio Collega, siamo due formatori che frequentano il Master professionalizzante in gestione della formazione (MaGF). Per il lavoro finale di certificazione abbiamo scelto di effettuare uno studio sulle competenze dei formatori. Per questo motivo e per il tramite del (ente erogatore), siamo a chiedere la sua collaborazione nell’allestire l’allegato questionario e ritornarcelo via e-mail a uno dei seguenti indirizzi, possibilmente entro la fine di aprile 2008: walter.seghizzi@ti.ch oppure marco.ricci@clic-formazione.ch L’elaborazione dei risultati avverrà in forma anonima: la distinzione per sesso e per età ci serve solo per verificare se questi elementi possono determinare una diversa visione della tematica. Le siamo già sin d’ora molto grati per la sua collaborazione e, in attesa della sua risposta, la salutiamo cordialmente Walter Seghizzi Marco Ricci” Pagina 101 di 128

4


Marco Ricci e Walter Seghizzi MaGF 2 - Modulo 12

Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Appositamente non abbiamo indicato istruzioni speciali, con l’intenzione di verificare • se i formatori e le formatrici sono consci di aver ricevuto una specifica formazione “in competenze” frequentando i 5 Moduli FFA • se l’applicazione di queste competenze può rientrare nell’operatività quotidiana di questi formatori. E qualcuno ci ha fatto notare che l’uso di un questionario deve essere assistito da una presenza o da istruzioni dettagliate. Senza entrare ancora nel merito del rilevamento, ma solo per riportarlo come dato da analizzare, ci è capitato di incontrare colleghe e colleghi ci hanno dichiarato di non aver allestito e ritornato il questionario per il fatto che “non avevano capito di cosa stessimo parlando e cosa avrebbero dovuto fare…” “Le istruzioni” erano contenute nella frase riportata all’inizio della tabella: “reputo le seguenti competenze, rispettivamente, utili, non utili, indifferenti per la tenuta di un corso e le ho maturate o meno in un corso di formazione formatori49”. Ex post ci viene da dire che, molto probabilmente, sarebbe stato più indicato scrivere un manuale di istruzione. In totale abbiamo ricevuto 65 questionari, di cui 3 in bianco, con la spiegazione che i colleghi oramai non esercitano più l’attività di formatore. Di seguito riportiamo le suddivisioni emerse dal primo rilevamento statistico: la ripartizione tra i sessi e tra la formazione per adulti e quella professionale, nonché la scala dell’età dei partecipanti

Ripartizione percentuale tra uomini e donne

40%

60%

Uomini

49

Donne

parzialmente tratto da Maurizio Castagna, La lezione nella formazione degli adulti, AIF-FrancoAngeli Pagina 102 di 128


Marco Ricci e Walter Seghizzi MaGF 2 - Modulo 12

Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Ripartizione percentuale secondo settori di occupazione

46%

54%

Formazione per adulti

Formazione professionale

Ripartizione dell'età dei partecipanti 70 60

Età

50 40 30 20 10 0 1

3

5

7

9

11

13

15

17

19

21

23

25

27

29

31

33

35

37

Numero Uomini

Donne

Tra le donne abbiamo un range compreso tra 29 e 58 anni, mentre tra gli uomini il più giovane ha 35 anni e il più vecchio 55, con una media d’età di quasi 40 anni per le donne e 45 per gli uomini.

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Marco Ricci e Walter Seghizzi MaGF 2 - Modulo 12

Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Presentiamo il rilevamento nella duplice forma: i valori espressi e raggruppati sotto forma di grafici. Sull’utilità di queste competenze, i partecipanti hanno così risposto: Competenza individuale

Utili

Non utili

Indifferenti

Creatività

28

Metodologia lavorativa variata

28

Capacità di apprendimento personale

24

Volontà, interesse personale

25

Autonomia d’azione

24

Flessibilità, attitudine al cambiamento

26

Orientamento alla qualità, efficienza

22

Orientamento al raggiungimento degli obiettivi

25

1

1

Identificazione con l’azienda

26

1

8

Capacità di lavorare in gruppo

24

Protezione dell’ambiente

21

4

11

Sicurezza del lavoro

21

3

10

Capacità di negoziare e agire

24

2

Capacità tecniche specifiche

21

3

Prestazioni misurabili

22

Conoscenze generali e culturali

23

Tecniche di presentazione

22

Organizzazione del tempo e del lavoro

24

2

Empatia

23

4

Applicazione del potere del ruolo

16

10

10

Orientamento alla valutazione

23

2

4

Capacità di gestire gli spazi

23

4

1

3

4

6

4

4 2

5

Pagina 104 di 128


o i ta le li li e ità ne i re ne oro at ia ol o one az za ivi da po nte vor he to bi iv aria ra al ag ific ura ru na on azi o en cien iet t zi en rup bie at tu azio lav mp zi sp la l v l o a c i e l i g l s l re u ’ m t e r a is E m de c d rs ff ob de alut e g C ia l’a re in de m en tiv e sp l’a pe ia mb à, e gli pe re v ir on are del zza ozi a he ni rali ra es o e e e m t o e r c a t st t i s o o l la i o d v g a z ic e e or ne i p mp re al i ge po en res ton al c o e n n u la a v n t u d l t c o n o q c e a n im a te Au ge he te de ent tà d zi es zio Si il lt di ne l a ime gi nd , in Pr nze nic di al lo de ica it à d rote tà cit à ne am aci re g à i f u o i t t o o c e c p n t t e i t n c ti P p u a od ap pa lo Te ion en pa sc at az en en C a gi et ap Ca i Id a lic Ori Vo no à, tam rag M àd C az t p C o i z l i z n it C al Ap ni sib ac rie to ga O n es r ap l e O C F am nt e ri O

0

5

10

15

20

25

30

Valutazione della competenza

Utili Non utili Indifferenti

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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Sulla ripartizione delle competenze abbiamo avuto le seguenti indicazioni: Competenza individuale

Competenze di soglia

Competenze distintive

Competenze di eccellenza

Creatività

8

13

9

Metodologia lavorativa variata

6

17

9

Capacità di apprendimento personale

13

14

8

Volontà, interesse personale

11

8

14

Autonomia d’azione

11

15

5

Flessibilità, attitudine al cambiamento

7

17

10

Orientamento alla qualità, efficienza

6

7

17

Orientamento al raggiungimento degli obiettivi

11

10

12

Identificazione con l’azienda

8

14

9

Capacità di lavorare in gruppo

13

13

8

Protezione dell’ambiente

8

8

7

Sicurezza del lavoro

11

10

6

Capacità di negoziare e agire

6

9

17

Capacità tecniche specifiche

5

12

11

Prestazioni misurabili

12

10

10

Conoscenze generali e culturali

7

8

17

Tecniche di presentazione

12

13

10

Organizzazione del tempo e del lavoro

13

14

9

Empatia

4

14

17

Applicazione del potere del ruolo

8

13

7

Orientamento alla valutazione

9

16

7

Capacità di gestire gli spazi

17

11

6

Pagina 106 di 128


o e o a e e zi e ro e a e i li ia lo e ità ta ili iv aria ale nal ion nto enz t tiv end upp ient vo agir fich ab ura ion vor pat ruo ion pa t n r a a v z s ie zi gr b u ult taz l la m el o so ’az me ici ci ll e re t a li E d C tiva ers per a d bia eff li ob l’a in l’am de re spe mis e c en de lu e g a e p a i , n v tir ra o e om am lità eg co are del zza ozi he ioni rali res o e er r d p c ot alla ges c vo nt ss p e p la me ere ton al qua nto one avo one cur neg cni taz ene di em l i o i i Si di l t Au ne a ia di de ent tà d te res e g he el t i all ime icaz di tez c e à i og ren à, in i d P à l z t d i c à n m o n e u to ng tif o p nt cit ac en c i o t a pa tit cit Pr od p at en giu den pa pa ap sc Te zion az rien Ca et di a Volo a c o , I a m ag C li O à M à C C on za ilit nt a al r pp it C iz b A c i e n i s a r o a es O e nt ap rg C Fl O am nt ir e O

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

Ripartizione delle competenze

Competenze distintive Competenze di eccellenza

Competenze di soglia

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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Per quanto riguarda le modalità di acquisizione delle competenze, abbiamo invece i seguenti valori: Competenza individuale

Acquisite con la formazione

Acquisite in modo informale/ non formale

Creatività

11

20

Metodologia lavorativa variata

26

11

Capacità di apprendimento personale

14

19

Volontà, interesse personale

10

17

Autonomia d’azione

10

16

Flessibilità, attitudine al cambiamento

13

15

Orientamento alla qualità, efficienza

17

13

Orientamento al raggiungimento degli obiettivi

20

6

Identificazione con l’azienda

9

12

Capacità di lavorare in gruppo

14

16

Protezione dell’ambiente

6

14

Sicurezza del lavoro

12

7

Capacità di negoziare e agire

16

15

Capacità tecniche specifiche

21

9

Prestazioni misurabili

18

4

Conoscenze generali e culturali

18

16

Tecniche di presentazione

24

10

Organizzazione del tempo e del lavoro

19

13

Empatia

18

18

Applicazione del potere del ruolo

13

9

Orientamento alla valutazione

17

8

Capacità di gestire gli spazi

17

11

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Marco Ricci e Walter Seghizzi MaGF 2 - Modulo 12

Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Acquisizione delle competenze Capacità di gestire gli spazi Orientamento alla valutazione Applicazione del potere del ruolo Empatia Organizzazione del tempo e del lavoro Tecniche di presentazione Conoscenze generali e culturali Prestazioni misurabili Capacità tecniche specifiche Capacità di negoziare e agire Sicurezza del lavoro Protezione dell’ambiente Capacità di lavorare in gruppo Identificazione con l’azienda Orientamento al raggiungimento degli obiettivi Orientamento alla qualità, efficienza Flessibilità, attitudine al cambiamento Autonomia d’azione Volontà, interesse personale Capacità di apprendimento personale Metodologia lavorativa variata Creatività

0 Acquisite con la formazione

5

10

15

20

25

30

35

Acquisite in modo informale/non formale

Per riassumere gli elementi evidenziati dal rilevamento possiamo dire: 1. il questionario, così come allestito, non ha permesso a tutti i formatori di comprendere esattamente cosa si volesse rilevare 2. non è possibile sapere esattamente il valore del campione al quale il questionario è stato sottoposto 3. non abbiamo voluto richiedere, espressamente, la qualifica professionale dei colleghi, in quanto l’attestato professionale di formatore/formatrice di adulti ti autorizza a “formare” in qualunque campo.

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40


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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

6. Alcune considerazioni sul sondaggio CFF con i formatori in azienda di Walter Seghizzi

50

Il sistema scolastico elvetico prevede, dopo le scuole medie, accanto ai percorsi formativi classici (licei, magistrali, ecc.) un percorso formativo professionalizzante, altamente riconosciuto, della durata media di tre anni51 durante i quali i giovani, una volta scelta la professione nella quale specializzarsi, alternano momenti d’istruzione teorica a scuola ad un vero e proprio “lavoro pratico” nell’azienda del ramo prescelto. Per poter essere accompagnati ed istruiti nel tempo di lavoro i giovani vengono seguiti da quello che viene definito un formatore di apprendista che oltre ad essere specializzato nella sua professione, ha seguito una formazione obbligatoria, erogata dal Centro di Formazione per Formatori (CCF). La valutazione dei corsisti e l’autovalutazione dei relatori sono state la base per un’analisi più attenta e metodologicamente più appropriata per valutare i bisogni emergenti in tale ambito. Il presente studio è quindi nato da due esigenze: una esterna e di più ampio respiro e una interna, più specifica. La prima si riferisce alla necessità valutare quali siano i reali bisogni dei formatori di apprendisti in azienda, area mai esplorata sperimentalmente nella regione, almeno in una forma così sistematizzata. La seconda, relativa ad aspetti attinenti il Centro, di valutare se la formazione rivolta al formatore di apprendisti in azienda risponda realmente alle esigenze di un ruolo così complesso. Tyler (1971), che è tra i primi precursori dell’analisi dei bisogni, afferma che una tale indagine sia sempre utile in quanto, anche la sola presentazione di questioni di interesse per l’utente, aiutino il processo di apprendimento; indagare i bisogni dei destinatari quindi, avrebbe quale conseguenza, un’autoanalisi e un’autovalutazione. Questa visione però non è condivisa da tutti e a tal proposito Grant (2002) afferma che l’analisi dei bisogni è insufficiente se unico strumento sul quale basarsi e dovrebbe essere parte di un progetto più ampio. Effettuare un’analisi dei bisogni certamente permette un processo di autoanalisi e autovalutazione ma dovrebbe essere anche svolta perché l’istituzione erogatrice di servizi ha il dovere di porsi in relazione con il cliente (Rossett, 1993). Le ragioni sono diverse, e tra queste, le più importanti sono: 1. aiutare a comprendere il vero bisogno; 2. comprendere e servire i clienti e le aziende; 3. migliorare il servizio offerto; 4. coinvolgere gli utenti e raccogliere informazioni. L’analisi dei bisogni, soprattutto in ambito formativo, non è una pratica ricorrente e Sork e Caffarella (1989, p. 237-238) rispondono in modo molto chiaro a chi la definisce “un effetto boomerang creatrice di bisogni”:

50

Articolo scritto in collaborazione con E. Faggiano e F. Doga (coautori del sondaggio) e proposto per la pubblicazione sulla rivista FOR 51 In Svizzera la durata dell’apprendistato obbligatorio è regolamentato a livello nazionale e regionale per ogni categoria professionale. Pagina 110 di 128


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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

«Gli esperti sostengono che raramente hanno il tempo di effettuare l’analisi dei bisogni. Spesso, giustificandosi sull’offrire programmi basati sulla domanda potenziale o sulla base della disponibilità delle risorse a disposizione. Un’analisi di solito può produrre più bisogno di quello che può essere affrontato con le risorse esistenti. Quando ciò accade, ci deve essere una qualche tecnica per determinare le priorità… lo scopo di fissare delle priorità è quella di fornire una razionale allocazione di base delle risorse, che sarà ritenuta accettabile dal responsabile». Edwards, Ranson e Strain (2002) affermano che, mentre ampio risalto sia stato dato alla natura, alla portata ed al significato di apprendimento permanente, vi sia stato ancora poco dibattito teorico sul tipo di richiesta di apprendimento e quindi su quanto essa si debba adeguare ai cambiamenti in corso. La formazione continua e un’analisi dei bisogni dei formatori fa parte di quel processo a cui ogni paese, prima o poi, verrà chiamato a dare delle risposte (Schuller e Field, 1998). La Commissione Europea (2002) ha definito un insieme di indicatori per una formazione permanente di qualità e alcuni paesi hanno attuato delle indagini specifiche per verificarne la situazione territoriale. L’Italia, in collaborazione con l’Area Politiche e Offerte Formazione Iniziale e Permanente dell’ISFOL, ha condotto un’indagine nazionale sui percorsi e le aspettative della popolazione adulta, attraverso interviste telefoniche ad un campione italiano di 4.000 individui (ISFOL 2003 a); 2003 b), 2005). Brooks e Everett (2008) si sono invece dedicati all’approfondimento dei bisogni formativi dei laureati come gruppo specifico e, in particolare, hanno messo in evidenza come l’esperienza di un’istruzione superiore (ad esempio l’acquisizione di un titolo di laurea) influenzi l’atteggiamento verso l’apprendimento negli anni a venire. In questo caso il metodo adottato è stato quello di una serie di colloqui approfonditi con 90 laureati provenienti da sei diversi istituti di istruzione superiore del Regno Unito. Witkin (1984) afferma che, per fare un’analisi dei bisogni, occorra considerare diverse caratteristiche tra le quali: (a) esaminare le priorità delle azioni future, (c) ascoltare diverse fonti e (d) utilizzare un approccio sistemico. L’autore prende ispirazione dalla teoria della complessità che permette di avere un quadro più completo della situazione, o “sistema”, ma allo stesso tempo ha quale punto debole il fatto che tanto più complesso è un sistema, maggiori variabili sono necessarie per la sua parametrizzazione e descrizione. La teoria è da anni usata anche nelle organizzazioni, considerate oramai come sistemi complessi (Usai, 2002). La complessità di un sistema non è considerata una proprietà intrinseca, ma si riferisce sempre ad una sua rappresentazione; dipende quindi dal modello utilizzato nella descrizione e dalle variabili prese in considerazione. Dalle riflessioni fatte, il presente studio non ha voluto considerare solamente l’analisi dei bisogni formativi, ma proprio seguendo un approccio più sistemico e complesso, ha cercato di aprire una finestra più ampia sul mondo dei formatori di apprendisti in azienda. Questa scelta non vuole avere la pretesa di dare una descrizione ultima della tematica ma, dal punto di vista esplorativo, vorrebbe fornirne una visione più ampia, attraverso la valutazione di altre variabili connesse al mondo del formatore di apprendisti. I formatori di apprendisti in azienda vivono, il più delle volte, nella micro-realtà della loro piccola e media azienda, partecipano ai dibattiti politici e hanno un’idea specifica della situazione generale. Questa microrealtà è foriera di voci sommerse e di bisogni poco conosciuti che con la presente ricerca si è cercato di esprimere.

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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

La ricerca In Svizzera sono presenti 372'546 aziende (USTAT, 2005); di queste 20.7% sono attive nel settore secondario e il 79.3% nel settore terziario. In quest’ultimo una grande porzione è attiva nel commercio e nelle attività immobiliari, mentre il 4% nell’istruzione. Nel Canton Ticino operano 19’118 aziende (USTAT, 2005); di queste il 99.8% sono PMI - piccole e medie imprese e solo lo 0.2% sono grandi imprese. Nell’istruzione operano il 3.4% delle aziende attive nel settore terziario. Nel 2006 nelle aziende ticinesi sono stati occupati circa 6'700 apprendisti (DFP, 2006), dei quali il 65% nel settore commerciale, il 20% in quello industriale, agrario e artigianale e il rimanente 15% nel sanitario e nel sociale. Partendo da questo scenario sono state identificate alcune ipotesi di partenza, sottoposte a prova nella presente ricerca, svoltasi nella primavera del 2008. La ricerca si è svolta attraverso una prima fase in cui sono state analizzate le osservazioni espresse dai partecipanti nella valutazione del corso di base di formatori di apprendisti. Una seconda fase ha permesso di identificare diverse aree sensibili e correlate. L’ipotesi che è alla base dell’intera ricerca è che il bisogno di formazione potrebbe essere solo la punta dell’iceberg di altri bisogni, come ad esempio un mancato dialogo con gli organi direttivi, o ancora, una difficoltà nella gestione di casi difficili. L’area formativa è stata così affiancata da altre come, a titolo di esempio, quella finanziaria: un’azienda forma al proprio interno o invia i propri formatori a formarsi se ha le capacità finanziarie, o ancora, se ha la possibilità di organizzarsi per la sostituzione del dipendente assente per formazione. L’aula di formazione diventerebbe quindi più che un luogo di scambio di opinioni e di conoscenze, un contenitore in cui si esprimerebbero questi altri bisogni, tra i quali: -

il bisogno di incontro e scambio di opinioni tra formatori (che potrebbe concretizzarsi anche solamente attraverso forum di discussione on-line); questo bisogno nasce dal fatto di non avere a disposizione momenti di incontro formali e riconosciuti come tempo di lavoro. Il ricercare l’appoggio o lo scambio di opinioni potrebbe, ad un’analisi più approfondita, essere dovuto anche ad altre necessità quali:

il non riconoscimento della figura professionale del formatore di apprendisti a livello sociale e lavorativo;

il mancato dialogo con gli organi direttivi, soprattutto in situazioni di difficoltà con l’apprendista;

-

il bisogno di un supporto diverso da quello dell’ispettore di tirocinio. La figura del docente sarebbe investita, secondo la nostra ipotesi, da un ruolo non prettamente formativo, ma più attinente alla figura professionale dello psicologo o del pedagogista, cui richiedere pareri d’intervento personale;

-

il bisogno di maggiore dialogo tra formatore e famiglia del giovane apprendista; questo bisogno sarebbe dovuto alla mancanza di una direttrice educativo formativa comune. L’impostazione educativa familiare si scontra quindi con quella formativa aziendale, avendo come conseguenza un rimpallo di responsabilità, soprattutto quando si ha a che fare con apprendisti minorenni. I formaPagina 112 di 128


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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

tori potrebbero sentire il bisogno di un maggior contatto con la famiglia, per definire alcune linee guida comuni. Finora i bisogni evidenziati sono soprattutto nel contesto lavorativo e la formazione è stata considerata solo la punta dell’iceberg di altre necessità. Queste prime ipotesi hanno quindi cercato di rispondere a quella che è stata definita un’esigenze esterna e di più ampio respiro, mentre per quanto riguarda l’esigenza interna e più specifica al settore formativo, sono state identificate e definite altre ipotesi. Vediamole nel dettaglio: -

gli uomini richiedono più formazione didattica e meno formazione psicologica, al contrario delle donne che invece sarebbero più attente al lato relazionale;

-

i giovani formatori di apprendisti esprimerebbero maggiormente il bisogno di investire in una formazione continua rispetto ai colleghi più anziani;

-

ci sarebbe il bisogno emergente di richieste formative specifiche legate a tematiche di attualità come ad esempio:

il consumo di sostanze psicotrope;

i comportamenti a rischio;

i disturbi alimentari quali, ad esempio, anoressia e bulimia;

-

i formatori delle aziende operanti nel settore sanitario e sociale, proprio perché già in possesso di una buona preparazione di base rispetto alle problematiche psicologiche, sarebbero più centrati su un tipo di formazione più approfondita oppure ancora più centrata su aspetti tecnici o di regolamentazione giuridico– legale;

-

il bisogno di formazione è sentito soprattutto da formatori con un livello di scolarizzazione inferiore, a causa, probabilmente, della minore formazione svolta e ai minori strumenti a disposizione;

-

i formatori che hanno già conseguito l’attestato di formatore di apprendisti, visto il bagaglio formativo già ricevuto, richiederebbero corsi di perfezionamento più attinenti a nuovi modelli d’insegnamento, per migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’apprendista in azienda.

Come anticipato attraverso le osservazioni fatte da coloro che hanno concluso il corso di base di formatore di apprendista e la letteratura sull’argomento, si sono individuate dieci aree di indagine. Accanto a ogni area è stato inserito un breve esempio degli aspetti toccati. Le aree sono così suddivise: 1. Area finanziaria (ad es. sussidi alle famiglie, sgravi all’azienda, ecc…) 2. Area dell’innovazione (piattaforme on-line, creazione di siti ad hoc, ecc…) 3. Area organizzativa (ad es. organizzazione di eventi sociali e professionali) 4. Area giuridico - legale (ad es. l’aumento della durata dell’apprendistato) 5. Area della formazione (psicologica, pedagogica, didattica, ecc…) 6. Area della verifica istituzionale (ad es. promozione di maggiori visite ispettive) 7. Area del supporto (ad es. affiancamento di figure diverse dagli ispettori, come psicologi, pedagogisti, coach, ecc…)

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8. Area dell’integrazione e della multiculturalità (ad es. integrazione degli apprendisti stranieri) 9. Area del confronto e del dialogo (ad es. maggior dialogo con gli organi direttivi) 10. Area del rapporto tra famiglia e apprendistato (ad es. modalità di educazione/formazione dell’apprendista). Materiali e metodi Per attuare un’analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda si è cercato di interrogare la letteratura scientifica che non annovera modelli e metodi accettati all’unanimità. Ogni tecnica di rilevazione e metodo accluso, sono relativi a singoli studi di settore. In letteratura sono state utilizzate diverse tecniche per raccogliere i dati (Brooks e Everett, 2008; Goodwin J. e O'connor H., 2007; Walker C., 2007; Barbazette, 2006; Ascenzi e Corsi, 2005; ISFOL, 2005; ISFOL 2003 a); ISFOL, 2003 b); Baldassarre, 2001; McArdle, 2000; Yves Clot, 1999; Peterson, 1998; Geay, 1985), tra cui: questionari, interviste, focus group, valutazione delle necessità sul posto di lavoro, riflessione sulle azioni, autovalutazione, peer review, osservazione diretta, recensione critica, analisi del divario (gap) o della discrepanza. La metodologia scelta nella presente ricerca è stata quella del questionario online costruito su scala Likert a sette punti (1=per niente d’accordo; 7=completamente d’accordo). Il campione, costituito da 343 formatori di apprendisti, ha un’età media di circa 40 anni ed è costituito da 131 femmine e 212 maschi, di nazionalità soprattutto svizzera (86%) e italiana (12%); il rimanente 2% – di nazionalità differenti – è stato raggruppato in «altra» nazionalità. Per quanto riguarda il titolo di studio la distribuzione è la seguente: il 56.6% ha ottenuto un diploma di Scuola professionale, il 29.2% quello di Scuola media superiore, il 12% ha un titolo universitario ed un 2.3% ha solamente un titolo di Scuola media. Campione dei formatori di apprendisti in azienda Numero

Età media

Età min.

Età max

Dev. St.

Femmine

131

37,37

20

58

9,05

Maschi

212

42,13

21

65

8,90

Totale

343

40,31

20

65

9,24

Il genere dei formatori è distribuito in modo relativamente equo nei vari livelli di scolarizzazione, soprattutto tra coloro che hanno ottenuto un diploma di Scuola professionale. La differenza rilevata è nel numero di formatori maschi laureati (14.2%) rispetto alle femmine (8.4%), con una leggera controtendenza in coloro che hanno un diploma di Scuola media superiore. La maggior parte del campione è composto da responsabili di reparti, uffici ecc., un formatore su tre è un dipendente senza responsabilità manageriali, mentre il 22% dei rispondenti sono direttori e un 4% vicedirettori. Di coloro che hanno risposto al sondaggio, il 70% segue apprendisti in azienda contro un 30% che momentaneamente non segue alcun apprendista.

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Coloro che hanno già seguito e ottenuto l’attestato di formatore di apprendista in azienda (82%) sono soprattutto donne con diploma di Scuola media superiore o diploma di Scuola professionale. Risultati I risultati verranno presentati seguendo lo schema delle aree di indagine summenzionate. Per quanto riguarda l’area finanziaria si è valutato sia il bisogno di sgravio lavorativo per i formatori di apprendisti ed agevolazioni finanziarie per le aziende, sia il bisogno di sussidi alla famiglia dell’apprendista. Il presupposto di tale scelta era di verificare se il formatore percepisse che sostenere la famiglia, soprattutto con reddito modesto, potrebbe permettere al ragazzo di scegliere un apprendistato più consono alle proprie potenzialità e non legato solo al ritorno finanziario, avendo come conseguenza un giovane maggiormente motivato sul posto di lavoro. Per quanto riguarda il fornire più sgravi a coloro che seguono apprendisti in azienda e in particolare a chi spetti erogarli, emerge che quasi un formatore su tre si trova completamente d’accordo (29%) su questo tipo di provvedimento, e che lo stesso sia da attuare a livello istituzionale. Per quel che concerne il fornire finanziamenti alle aziende, otto formatori su dieci (80%) sentono in modo preponderante questo bisogno; pur non riscontrando una grande differenza, i rispondenti affermano che sono d’accordo soprattutto sul fatto che tali finanziamenti vengano erogati a livello nazionale (82%), il 79% ritiene che vengano erogati a livello regionale. Due formatori su tre sono d’accordo sul fornire alle famiglie con reddito modesto dei sussidi e in particolare due su dieci di loro si definiscono completamente d’accordo con questa iniziativa, mentre altri due non hanno un opinione in merito; solo un formatore su dieci afferma di non essere per niente d’accordo con questo tipo di intervento. Si può quindi concludere che è sentita una generale necessità di sgravio per il formatore che segue apprendisti, ma, ancor di più è avvertita la necessita di un’agevolazione finanziaria dell’azienda formatrice. Dall’altro lato, seppur in minor misura, i formatori si sono trovati tutti d’accordo nel prevedere sussidi alle famiglie di apprendisti con un reddito modesto. Nell’area dell’innovazione si è voluto indagare l’interesse per lo scambio di informazioni o di opinioni attraverso piattaforme on-line istituzionali, quali siti internet, blog o forum di discussione. Il web negli ultimi anni è diventato un mezzo di comunicazione molto diffuso sia in ambito professionale sia sociale e diverse associazioni di categoria hanno un loro sito con informazioni più o meno generiche sulla professione; poche, al contrario, offrono forum di discussione in cui poter interagire confrontandosi e scambiando opinioni. Dai risultati su tale area emerge che un formatore su quattro (27%) è completamente d’accodo sull’implementazione di una piattaforma on-line. Questo conferma l’ipotesi secondo cui il formatore sente la necessità di scambio di opinioni con i colleghi sull’attività formativa di cui è responsabile; una piattaforma on-line è ben vista come “ambiente” di comunicazione. Nell’area organizzativa sono state incluse domande relative all’impegno da parte delle istituzioni nel curare determinati aspetti organizzativi, sociali e professionali del formatore di apprendisti. Le ipotesi erano basate sul non riconoscimento del lavoro svolto dal formatore, considerato di facile gestione e quindi senza necessità di riconoscimenti formali. Rilevare un bisogno di eventi sociali e professionali,esprimerebbe, secondo le nostre ipotesi, un bisogno di riconoscimento ricercato nella collettività e tra i colleghi. Le risposte alle domande si sono concentrate soPagina 115 di 128


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prattutto sui punteggi centrali della scala mettendo in evidenza come tale tema non sia certamente prioritario o, al contrario, il formatore senta di essere già riconosciuto a livello sociale e professionale. L’area giuridico–legale include alcuni aspetti attinenti alla regolamentazione dell’apprendistato e alle sue possibili modifiche. Tale area è fortemente legata all’attività quotidiana del formatore, in quanto identifica i suoi diritti e i suoi doveri, senza prescindere da una responsabilità formativa sull’apprendista. Tali aspetti sono imprescindibili dalla relazione che si instaura tra formatore e apprendista, come ad esempio la regolamentazione della presenza/assenza in azienda dell’apprendista, che ha come conseguenza diretta un maggior/ minor tempo di relazione per una conoscenza reciproca, sia in ambito professionale sia personale. Dai risultati è emerso che relativamente all’aumento obbligatorio dell’apprendistato i formatori sono d’accordo nel non aumentarne la durata (60%). Solo due formatori su dieci sarebbero d’accordo su questo provvedimento. Un altro aspetto emerso è che quasi la metà dei formatori (47%) è d’accordo nel modificare la direttiva concernente il permettere all’allievo che è all’inizio del suo apprendistato, maggiore presenza a scuola e solo in seguito maggiore presenza sul posto di lavoro. È solo un formatore su tre che non si è dichiarato d’accordo su questa possibilità. L’area della formazione raccoglie una serie di domande relative alla formazione necessaria o auspicata per il formatore di apprendisti. Le domande hanno cercato di sondare soprattutto quale specifica tematica fosse più richiesta, quante dovrebbero essere, secondo i formatori, le ore di formazione annuali, la loro obbligatorietà, ecc. Dai dati emerge che il 70% dei rispondenti dichiara che dovrebbero essere aumentate le ore di formazione per i formatori di apprendisti, ma sono soprattutto quelli più giovani che avvertono maggiormente il bisogno di una formazione continua. Un’altra differenza importante è stata riscontrata anche riguardo ad una richiesta di maggiore formazione relativa al consumo di sostanze psicotrope (69%) da parte dei giovani, soprattutto da parte di coloro che non seguono ancora apprendisti in azienda, mentre per i formatori che hanno già conseguito l’attestato di formatore di apprendisti si registra un bisogno più attinente a seguire corsi che forniscano nuovi modelli di insegnamento volti a migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’apprendista in azienda. Relativamente a quest’ultimo punto, il bisogno di formazione è sentito soprattutto da formatori con un livello di scolarizzazione inferiore. Riguardo alle tematiche di approfondimento della formazione psicologica, risultano particolarmente importanti quelle sui comportamenti antisociali o a rischio (76%), soprattutto per quei formatori con un diploma di formazione professionale. L’area della verifica istituzionale raggruppa quelle domande volte a identificare la presenza dello Stato, che in questo caso è rappresentato dagli ispettori del tirocinio. La visita ispettiva è sia un momento di confronto sia di scambio di informazioni istituzionali, come ad esempio novità legali o formative. L’ispettore del tirocinio interviene anche quando l’azienda o l’apprendista non adempiono alle esigenze prescritte. Dai dati emerge che i formatori di apprendisti non avvertono la necessità di aumentare le visite in azienda da parte degli ispettori del tirocinio. Infatti è solo un 13% che afferma di essere completamente d’accordo con l’aumento, evidenziando che tale presenza è abbastanza sentita, oltre al fatto che sanno di poter fare richieste specifiche quando lo ritengono opportuno. Nell’area del supporto sono state inserite domande che sondassero le relazioni tra apprendista, formatore e azienda. Il supporto è stato investigato soprattutto chiedendo se i formatori sentano la necessità di figure specialistiche, come ad esempio psicologi e pedagogisti. Dai risultati è emersa, in tal senso, una richiesta di Pagina 116 di 128


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supporto quale sostegno soprattutto in momenti di difficoltà. Il 60% circa dei formatori avverte questa esigenza come un bisogno importante; questo indica che l’affiancamento di altre tipologie di professionisti, oltre quella già presente dell’ispettore, è un bisogno alquanto sentito, soprattutto se si considera che quasi la stessa percentuale di formatori (57%) riferisce di essere d’accordo nel trovare, per quegli allievi difficili o con problemi di comportamento, un collocamento diverso dall’apprendistato (ad esempio: comunità protette), e, in particolare, più di due formatori su dieci, risponde di essere completamente d’accordo su questo tipo di intervento da parte dell’autorità. Con un’analisi più approfondita si è constatato che non sono identificabili differenze di sesso, età e nazionalità nelle risposte fornite. L’area dell’integrazione e della multiculturalità raggruppa una serie di domande relative all’apprendista straniero, cercando di rilevare quanto le differenze culturali possano avere un peso nell’integrazione professionale e aziendale, soprattutto perché nel Cantone Ticino, già nel 2006/07, si registravano nelle scuole professionali, quasi un quarto di allievi stranieri. La presenza dell’apprendista straniero in azienda è quindi un aspetto molto vicino alla realtà territoriale. In generale si può affermare che quasi la metà dei formatori sono d’accordo (39%) di far seguire corsi speciali agli apprendisti stranieri, contro quasi un’altra metà che è in disaccordo (41%). La metà dei formatori (51%) ha anche affermato di non essere per niente d’accordo sul collocare gli apprendisti stranieri in aziende con formatori di apprendisti della stessa nazionalità, dimostrando un’apertura alla multiculturalità. Si può quindi affermare che l’apprendista straniero è vissuto come una risorsa, ma a priori occorre che questa risorsa sia maggiormente a conoscenza del territorio in cui opera, seguendo corsi speciali (ad esempio corsi di lingua). È una tematica controversa e, a volte, foriera di molte sfaccettature, che apre un piccolo spiraglio e che dovrebbe permettere in futuro uno studio più specifico. Nell’area del confronto e del dialogo, si è cercato di identificare le relazioni esistenti tra formatori e direzione, per valutare l’esistenza di un bisogno di maggior dialogo o se il formatore si trova a dover gestire da solo l’apprendista e quello che ne consegue. Dalle analisi effettuate emerge la necessità che l’azienda li faccia più partecipi della scelta (selezione/assunzione) del proprio apprendista (70%), così come ritengono che l’azienda debba imporre un periodo obbligatorio di stage prima della scelta (73.5%), per valutarne le conoscenze e le capacità sociali. Altro aspetto importante è che quasi nove formatori su dieci vorrebbero che l’azienda fornisse al formatore più sostegno quando si trova a gestire apprendisti difficili (ad esempio con problemi di comportamento). Tale necessità nasce certamente dalla constatazione che il formatore si trova, il più delle volte, da solo nel gestire questi casi. Questo dato è un’ulteriore conferma delle risposte fornite alle domande sui corsi in ambito psicologico, in cui è emersa la necessità di approfondire tematiche sui comportamenti antisociali o a rischio. Un’aspettativa presente tra i formatori è legata soprattutto alla richiesta di organizzare momenti formativi riconosciuti durante l’orario lavorativo (75.5%). In sintesi si può rilevare un’importante bisogno di maggior dialogo con gli organi direttivi dell’azienda formatrice, richiesto soprattutto durante la gestione di situazioni difficili, nonché di momenti istituzionali riconosciuti. L’ultima area è quella relativa al rapporto tra famiglia e apprendistato, in cui si è cercato di approfondire come il formatore viva la presenza/assenza della famiglia dell’apprendista. Le domande di quest’area hanno cercato di identificare sia il lato duale della relazione formatore-genitore che il lato più sistemico formatorePagina 117 di 128


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apprendista-famiglia. Dai risultati emerge che il formatore ha la visione di una famiglia poco attenta all’apprendistato del figlio. Quasi quattro formatori su dieci sono completamente d’accordo che la famiglia dovrebbe investire più tempo nella conoscenza del mondo dell’apprendistato. Altro aspetto è che l’80% dei formatori dichiara che la famiglia dovrebbe aiutare maggiormente il proprio figlio ad inserirsi nel mondo del lavoro, delegandogli non più solo responsabilità educative, ma anche professionali. Ancora maggiore è il numero di formatori (90%) che asserisce che la famiglia non vigili abbastanza sul giovane quando non è sul posto di lavoro, compromettendone il rendimento in azienda. Questo dato fa trasparire come i formatori avvertano la famiglia distante dalla crescita professionale del giovane attribuendole anche ruoli non prettamente educativi. Discussione Le aree considerate fanno emergere bisogni tra loro collegati che, se letti nella prospettiva della teoria della complessità, permettono di fornire una visione più completa e sfaccettata. Nell’area formativa, i bisogni dei formatori di apprendisti in azienda sono condizionati dal livello di istruzione e dall’età: minor livello scolastico e minor età determinano maggiore richiesta di formazione soprattutto in ambiti specifici come l’uso di sostanze psicotrope e comportamenti antisociali o a rischio. La sola lettura di questa informazione dovrebbe avere, come conseguenza, un aumento di corsi di formazione continua rivolta soprattutto a questo target di formatori, ma la correlazione di altri bisogni quali: -

avere la possibilità di essere supportati da specialisti, quali psicologi o pedagogisti,

-

sentire l’esigenza di piattaforme on-line in cui scambiare opinioni,

-

essere coinvolti maggiormente nella scelta dell’apprendista,

-

avere maggiore sostegno da parte degli organi direttivi nei momenti di difficoltà con l’apprendista,

-

avvertire il bisogno di far svolgere all’apprendista un periodo obbligatorio di stage per valutarne le conoscenze e le capacità sociali,

non fanno che confermare la nostra ipotesi, secondo cui la maggior richiesta di formazione continua è solo la punta dell’iceberg di altre esigenze più profonde. La formazione diviene quindi il ricettacolo di bisogni che andrebbero gestiti su più livelli, ma nello stesso tempo unico e solo momento istituzionale in cui potersi incontrare con colleghi e specialisti del settore. La tematica della gestione degli apprendisti difficili o con problemi di comportamento, affiora spesso nei momenti formativi, tant’è che metà dei rispondenti si dice – in generale – d’accordo nel far svolgere attività diverse dall’apprendistato a questa tipologia di apprendisti, rilevando una difficoltà gestionale e relazionale. Tali difficoltà si sono manifestate in maniera indipendente dal sesso, dall’età e dalla nazionalità evidenziando una difficoltà generale nel gestire questi apprendisti. La conseguenza di questi vissuti da parte del formatore determina una visione della famiglia dell’apprendista poco vicina al giovane e al suo mondo lavorativo, delegandole compiti non solamente educativi ma anche lavorativi, come vigilare di più sul ragazzo per non compromettere il suo rendimento in azienda. Se a questo si aggiunge anche il fatto che i formatori riferiscono di non volere però maggior contatto con la famiglia del giovane in apprendistato, si può desumere che la stessa Pagina 118 di 128


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venga solo usata come causa dei problemi lavorativi e relazionali vissuti con il ragazzo. Tra le tematiche di approfondimento invece è emersa quella collegata agli apprendisti stranieri; metà dei formatori sarebbero d’accordo nel far seguire loro corsi speciali, mentre l’altra metà non lo è. Questa tematica rimane un ambito di approfondimento per il futuro, soprattutto perché metà dei formatori hanno anche affermato di non essere per niente d’accordo sul collocare gli apprendisti stranieri in aziende con formatori di apprendisti della stessa nazionalità, dimostrando che l’incontro di culture diverse sia un processo positivo e arricchente, seppur a certe condizioni.

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7. Valutazione dei risultati raccolti di Marco Ricci e Walter Seghizzi

Prima di passare alla valutazione dei risultati, vogliamo riprendere lo schema della formazione in Svizzera52, dal quale si evince (confronta anche la premessa iniziale a pagina 5) che si arriva al primo livello di formatore per adulti (FFA1) dopo aver maturato una formazione professionale.

52

tratta dal sito http://www.edk.ch/dyn/16237.php Pagina 120 di 128


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Detto altrimenti, non esiste un periodo di apprendistato con la possibilità di certificazione ufficiale a livello di attestato federale di capacità (AFC) ma la “specializzazione” di formatore, se non avviene attraverso un curriculum accademico, è possibile solo dopo aver svolto un’altra professione. Questo aspetto spiega il fatto che l’età media dei formatori è piuttosto alta (40 per le donne, 45 per gli uomini). I rilevamenti effettuati devono essere confrontati con le ipotesi formulate a pag. 6 e più precisamente: • I formatori agiscono praticando principi teorici che loro stessi hanno coniato e collaudato nel tempo (rappresentazioni e teorie soggettive). • Il cambiamento nel loro modo di fare presuppone la presa di coscienza dei principi teorici che guidano/ispirano la loro azione/attività di insegnamento. • Il cambiamento nel loro modo di fare è frutto solo di una “reattività” alla situazione contingente (partecipanti, contenuti, tempo, luogo ecc.).

7.1

I formatori agiscono praticando principi teorici che loro stessi hanno coniato e collaudato nel tempo (rappresentazioni e teorie soggettive)

Da quanto abbiamo rilevato, le competenze apprese durante i corsi di formazione non sono recepite dai formatori se non in minima parte. Le persone rimangono piuttosto sulle loro modalità didattiche e di gestione d’aula senza essere consapevoli di averle adottate e del perché le hanno adottate. A questo punto nascono tre ipotesi subordinate: • durante la formazione non vengono espressamente definite le competenze ottenibili seguendo il curriculum scelto; pertanto non sono riconosciute dai partecipanti • l’acquisizione di competenze viene data per scontata da parte degli enti erogatori di formazione per formatori e, spesso, non viene verificata alla fine del percorso formativo stesso • un sistema di gestione della qualità non è implementato o non sostiene i formatori impiegati nel miglioramento delle proprie modalità formative (per esempio l’applicazione sistematica dell’autovalutazione)

7.2

Il cambiamento nel loro modo di fare presuppone la presa di coscienza dei principi teorici che guidano/ispirano la loro azione/attività di insegnamento

Il concetto può essere altrimenti detto con la seguente espressione inglese:

know-how vs know-why che in italiano potrebbe suonare più o meno così:

so come farlo / so perché lo faccio Un esempio per rendere meglio questo concetto è dato dallo sviluppo artistico di Picasso: per arrivare a scegliere consapevolmente lo stile che lo ha contraddistinto negli ultimi anni della sua carriera, non ha potuto esimersi dallo sperimentare, Pagina 121 di 128


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esercitare, perfezionare e personalizzare la tavolozza delle possibilità artistiche dell’arte figurativa classica, impressionista e descrittiva.

Desnudo reclinado (1932), Pablo Picasso Paul vestito da Arlecchino (1924), Pablo Picasso

Ipotesi subordinata: l’acquisizione di competenze non sempre riflette questo costrutto. La teoria spiegata può anche essere messa in pratica ma non necessariamente il formatore sa perché lo ha fatto.

7.2

Il cambiamento nel loro modo di fare è frutto solo di una “reattività” alla situazione contingente (partecipanti, contenuti, tempo, luogo ecc.)

Dai dati rilevati emerge come diverse formatrici e diversi formatori indichino certe competenze come non attinenti all’attività svolta. A nostro giudizio questo approccio porta a una situazione di “fossilizzazione” delle modalità adottate. Il limite della situazione sta nel fatto che la qualifica di “formatore/formatrice” abilita all’insegnamento di qualsiasi materia. In altre parole ancora, i formatori non adottano un modello comportamentale proattivo bensì si limitano alla reazione, vivendo, il più delle volte tale costrizione in modo negativo, frustrante, complicato e non condiviso. Ipotesi subordinata: fino al momento in cui non si modifica la situazione contingente non si applicano altre modalità didattiche, con il rischio di perdere competenze importanti per il mantenimento della professionalità.

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8. Definizione di criteri ed elementi di osservazione di Walter Seghizzi

Come indicato, nei lavori di certificazione dei Moduli 4, 8 e 9, da Walter Seghizzi le modalità d’osservazione dei comportamenti e delle prestazioni dei formatori attivi in attività didattiche, passa attraverso a procedure e a modelli strutturati. Nei citati lavori di approfondimento, si è infatti proposto un percorso – a tutto tondo – che tenesse in considerazione: • una peer – review (modulo 4 – prof. M. Balducci) • un’autovalutazione del formatore (modulo 8 – prof. A. Claude) • uno scambio di pratiche condivise fra professionisti sperimentati (modulo 9 – prof. V. Cesari Lusso) Per completezza d’informazione, i testi dei relativi lavori compongono la documentazione visionabile nel capitolo “Allegati”.

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9. Proposte di Marco Ricci e Walter Seghizzi

Sulla base del lavoro di ricerca effettuato, senza giudizio di valore su quanto realizzato e adottato finora, ma nell’ottica del miglioramento continuo, possiamo formulare le seguenti proposte: Alle organizzazioni del mondo del lavoro Definire in modo più pragmatico le competenze, le definizioni e le modalità di osservazione

Agli enti erogatori di formazione Attenersi alla definizione di competenze attese, formulate dalle OdL53 Verificare l’acquisizione effettiva delle competenze previste nei singoli moduli (controllo dell’apprendimento) Definire un sistema di gestione della qualità adeguato all’attività e alla struttura

Ai colleghi e alle colleghe impegnate nella formazione Autovalutazione Formazione continua Scambio di pratiche Peer Review

Definire il profilo del formatore, valutando anche la possibilità di creare sottocategorie operative

Collaborare con la OdL nella definizione dei profili dei formatori

Scegliere con coscienza le aree nelle quali si intende operare

Monitorare i bisogni effettivi del mercato in merito alle caratteristiche richieste a un formatore

Collaborare con la OdL nella definizione dei profili dei formatori

Segnalare agli enti formativi e alle OdL le carenze e/o le nuove necessità

Valutare la possibilità di implementare un sistema di “mantenimento della certificazione” (come per esempio il pilota aereonautico). Domande esemplificative: • eserciti ancora? • in che ambiti? • con quali risultati? • hai acquisito altre certificazioni? • hai seguito corsi di formazione continua? • hai pubblicato testi o sviluppato concetti che potrebbero rappresentare l’interesse dei colleghi?

Offrire corsi di perfezionamento professionale e aggiornamento in parallelo con la formazione di base

Formazione continua (anche oltre ai minimi richiesti, che oggi non esistono)

53

OdL = Organizzazione del mondo Del Lavoro Pagina 124 di 128


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10. Conclusioni di Marco Ricci e Walter Seghizzi

Il lavoro da noi compiuto ha portato, a nostro modo di vedere, elementi nuovi nel campo della formazione dei formatori. Formatori ai quali, pur se impiegati nel ruolo di “magister”, non viene sempre riconosciuto lo statuto di docente. Nella diversità lavorativa svizzera sono molteplici e diverse le figure che operano nel settore della formazione: come abbiamo visto dal formatore di apprendisti in azienda al formatore per formatori, passando dal formatore aziendale al formatore per adulti. In generale non viene richiesto un titolo di studio, salvo nei casi previsti dalla certificazione eduQua. Altra particolarità: lo stesso titolo abilità a coprire più settori, dal corso professionale al corso hobbistico. Abbiamo potuto appurare che le “competenze distintive” da noi ricercate dipendono molto dalla visione che ogni singolo formatore o formatrice ha del proprio compito, così come dal settore nel quale esso/essa viene impiegato/a. Ringraziamo tutti coloro che ci hanno aiutati, sostenuti, stimolati e difesi nel processo d’elaborazione del presente documento, in particolare i prof. Massimo Balducci e Germano Cipolletta, relatori e attenti valutatori dei nostri sforzi. L’intero Master ha rappresentato per noi una sfida avvincente e arricchente: ci auguriamo che questa nostra ricerca possa essere utile a chi, non solo in Ticino, si occupa di formazione.

Marco Ricci Walter Seghizzi

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11. Bibliografia e paper di riferimento

Il modello costruttivista nella formazione, analisi del modello Dougiamas e sperimentazione di Moodle, Arcolin e Gomirato, ECIPA, Venezia 2002 (http://formatori.net/materiali/Modello_costruttivista.pdf) Programmi quadro d’insegnamento per responsabili della formazione professionale, BBT maggio 2006 (http://www.bbt.admin.ch/index.html?lang=it) L' arte della formazione. Metafore della formazione esperienziale, Emilio Rago, FrancoAngeli Editore, 2006 L’approccio psicosocioanalitico allo sviluppo delle organizzazioni, Forti D. e Varchetta G., FrancoAngeli Editore, Insegnare e apprendere la Leadership, a cura di Claudia Piccardo, Edizioni Guerini e associati Image. Le metafore dell`organizzazione, Morgan G., a cura di M. Balducci, Franco Angeli Leadership riflessive. La ricerca di anima nelle organizzazioni, Vitullo A., Apogeo L’uomo flessibile, Sennett R., Saggi Universale Economica Feltrinelli Psicologia del lavoro, Guido Sarchielli, il Mulino - Manuali

Voglia di fare, Gian Piero Quaglino, Edizioni Guerini e associati

La foresta delle decisioni, Alberto Gandolfi, Edizioni Casagrande La lezione nella formazione degli adulti, Maurizio Castagna, FrancoAngeli Editore tutti i testi citati nei vari lavori di certificazione allegati tutti i testi citati nelle note a piè di pagina

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12. Allegati Marco Ricci Lavoro di certificazione del Modulo 4 MaGF2 Gestione e conduzione del personale (Relatore Prof. Dott. Graziano Martignoni) Le competenze di soglia, distintive e d’eccellenza dei formatori: come rilevarle? Walter Seghizzi Lavoro di certificazione del Modulo 4 MaGF2 Gestione e conduzione del personale (Relatore Prof. Massimo Balducci) Auditing interno delle attività pedagogiche - Approfondimento in forma di presentazione e documento di lavoro Walter Seghizzi Lavoro di certificazione del Modulo 5 MaGF2 Evoluzione del mondo professionale e formazione (Relatore Prof. Dott. Guido Sarchielli) Il contratto psicologico: la percezione degli obblighi reciproci. Marco Ricci Lavoro di certificazione del Modulo 7 MaGF2 La gestione della comunicazione (Relatore Prof. Francesco Lurati) Le aspettative degli stakeholders dei corsi interaziendali nella Nuova Formazione Commerciale: un’analisi empirica e una proposta concreta di nuova comunicazione per un aumento della percezione positiva. Marco Ricci Lavoro di certificazione del Modulo 8 MaGF2 Valutazione e gestione della qualità (Relatore Prof. Armand Claude) Lavoro di certificazione: il Sistema di Gestione della Qualità nel nuovo corso TRIS Walter Seghizzi Lavoro di certificazione del Modulo 8 MaGF2 Valutazione e gestione della qualità (Relatore Prof. Armand Claude) Auditing interno delle attività pedagogiche - 2 L’auto - valutazione formativa espressa dai relatori - Approfondimento in forma di presentazione e documento di lavoro Marco Ricci Lavoro di certificazione del Modulo 9 MaGF2 La supervisione dell’insegnamento nell’ambito della gestione della formazione (Relatrice Prof.sa Vittoria Cesari Lusso) Creazione e sperimentazione di un modello applicabile nel rilevamento di situazioni relazionali in ambito di consulenza formativa e aziendale Walter Seghizzi Lavoro di certificazione del Modulo 9 MaGF2 La supervisione dell’insegnamento nell’ambito della gestione della formazione (Relatrice Prof.sa Vittoria Cesari Lusso) Scambio di pratiche fra professionisti sperimentati Quadro metodologico di comunicazione e proposta d’intervento Approfondimento in forma di presentazione e documento di lavoro

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Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino

Enrico Faggiano, Walter Seghizzi e Ferruccio Doga Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda – Rapporto Interno

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Master professionalizzante in

Gestione della Formazione per dirigenti di istituzioni formative

Certificazione Modulo 4 Gestione e conduzione del personale Relatore Prof. Dott. Graziano Martignoni

Le competenze di soglia, distintive e d’eccellenza dei formatori: come rilevarle? Marco Ricci Formatore aziendale diplomato. Titolare della Clic, formazione e consulenza formativa di M. Ricci marco.ricci@clic-formazione.ch


Marco Ricci, 6825 Capolago

MaGF 2

Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale

1. Premesse 1.1 Lavoro utile per il Modulo 12 Il presente lavoro di certificazione del Modulo 4 rientra nel concetto presentato alla Direzione Scientifica del MaGF 2 quale lavoro di certificazione dell’intero percorso formativo. Ho ritenuto che, non essendo impiegato presso un centro di formazione pubblico o privato ma svolgendo solo saltuariamente collaborazioni con enti formativi, fosse per me più rilevante occuparmi di un aspetto trattato nel Modulo 4 che potesse essere utilizzato nell’ambito del lavoro di certificazione finale.

1.2 Gruppo di lavoro "Validation des Acquis" Contemporaneamente alla frequenza del Modulo 4, ho avuto l’opportunità di poter espletare un mandato che prevedeva uno studio di fattibilità dell’implementazione in Ticino della procedura per la validazione degli apprendimenti acquisiti, ai sensi della LFPr e della OFPr1. Questo compito mi è servito, da una parte a conoscere le procedure che sono già state implementate (per esempio Qualification+ a Ginevra o ValForm in Vallese), ma anche per capire come agire per meglio rilevare gli apprendimenti, formulandoli in un concetto di competenza. Anche la FSEA (Federazione Svizzera per l’educazione degli adulti) ha lanciato un progetto pilota per il rilevamento e la convalida delle competenze acquisite e ha tenuto, lo scorso 9 novembre, un convegno sul tema a Bellinzona (per gli atti della giornata, confronta il sito http://www.alice.ch/).

1.3 Corso CFF Dal responsabile del Centro Formazioni Formatori, ufficio della Divisione per la Formazione Professionale che si occupa della formazione dei formatori e delle formatrici in azienda, ho ricevuto il mandato di organizzare una giornata di studio che potesse aiutare i formatori che operano nella formazione di maestri di tirocinio e istruttori di pratica, a mettersi in discussione e a ricercare nuove modalità d’insegnamento. Questo corso, di cui più avanti evidenzierò il programma e gli obiettivi didattici, servirà anche quale base di rilevamento per il lavoro di certificazione di cui in entrata.

2. Definizioni 2.1 Formatore quale leader dell'aula Come discusso nel corso del Modulo 4, il “Magister”, sia esso docente o formatore in ambito professionale, si trova ad essere leader dell’aula. Mi piace la definizione che definisce leader “… chi è in grado di svolgere una funzione genitoriale; chi sa lavorare sul metabolismo dell’energia riuscendo ad esempio a fare uscire una persona da un colloquio con più carica; chi ha un’attitudine positiva ed è capace di organizzare la speranza (“il capo di buona speranza” come suggerisce di chiamarlo Gino Pagliarani, 1985 e 1990); chi sa contenere le paure, i dubbi, le ansie; alimentare, rielaborare, far cambiare prospettiva; fare riconoscere che “si, la vita è dura, ma ce la si può fare”. Il leader che viene descritto non è tanto un leader eccezionale quanto un leader capace di rischiare e costruire qualcosa assieme agli altri, una persona della quale ci si può fidare, alla quale si possono portare i problemi e le ansie, capace di cura e di far crescere, in grado di riconoscere le identificazioni, elaborare le ambivalenze e l’invidia distruttiva.”2. In altre parole un/a consulente che riesce ad “… aiutare le persone ad aiutare se stesse, ad acquisire un metodo di lavoro riflessivo con e su se stesse, in grado di emanciparle dal consulente in un arco di tempo

1

2

Legge federale sulla formazione professionale (LFPr, 13.12.2002) e Ordinanza federale sulla formazione professionale (OFPr, 19.11.2003) Insegnare e apprendere la Leadership, a cura di Claudia Piccardo, Edizioni Guerini e associati, pag. 77

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Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale definito (…).”3. E avrà cura che “… un problema, la cui soluzione non è affidata al consulente, il quale, da un lato, avrà l’accortezza di fare in modo che il problema rimanga nelle mani del cliente e, dall’altro, lo sosterrà nel processo di ricerca di soluzioni alternative. Il lavoro del consulente è teso a trasferire un metodo di interrogazione della situazione, nell’ottica di rendere visibili al soggetto le componenti di una decisione consapevole per il soggetto, quali elementi per allargare le possibilità, scoprire nuove risorse e alternative a partire dagli elementi che sono stati resi visibili.”4.

2.2 Competenze Attitudine a mettere in atto il sapere, il saper fare e il saper essere in una situazione di lavoro abituale o nuova. Sono definite in termini di obiettivi, d’autonomia, d’iniziativa, di responsabilità, di contesto razionale o di cooperazione, di risorse utilizzate, di prestazioni richieste5. Competenze di soglia (le devo per forza avere altrimenti non posso operare Î sono necessarie, non minime), distintive (se ho anche quelle lo faccio meglio), di eccellenza (mi permettono di fare qualcosa di più). Non va confuso con il livello di competenza: competenze da acquisire, competenze in via di acquisizione, competenze acquisite. Una volta acquisita la competenza è acquisita e le competenze di soglia devono essere completamente acquisite. Nel mestiere del docente è difficile stabilire quali sono le competenze di soglia e stabilire se uno le ha acquisite o no6.

3. Approccio tramite un corso di formazione formatori 3.1 L'approccio psicosocioanalitico è applicabile anche a un rilevamento delle competenze? Considerato come non esiste un “competences detector”7, rilevare quali possono essere le competenze distintive di un/una formatore/trice in ambito professionale non risulta facile. A mio modo di vedere, entrano in gioco tutte le componenti legate alla persona, come ben illustrato nella finestra di Pagliarani che riporto di seguito.

La misurazione delle competenze dei formatori e delle formatrici non è rilevabile che in modo approssimativo in entrata e alla fine di un percorso formativo quali formatori in ambito professionale: non è detto che il/la docente applichi nella sua pratica, tutto quanto ha appreso e così

3

Ibidem, pag. 139 Ibidem, pag. 139 5 Atti della giornata di studio sulla validazione delle competenze organizzata dalla FSEA, Bellinzona 9 novembre 2006, intervento di Valerio Agustoni 6 Confronta appunti personali sul Modulo 4 con il Prof. Balducci in data 27.10.2006, non rivisti dal relatore 7 Confronta appunti personali sul Modulo 4 con il Prof. Balducci in data 27.10.2006, non rivisti dal relatore 4

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Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale come è stato appreso. Solitamente intervengono, al momento dell’erogazione, visioni e teorizzazioni soggettive, l'ingegneria, anche personale, della formazione e le interazioni non formalizzate di questi aspetti sulle dinamiche di campo, legate al loro ruolo, ai partecipanti e al luogo d'erogazione formativa.

3.2 Rilevamento e valorizzazione delle esperienze Da quanto ho potuto rilevare con il progetto di validazione degli apprendimenti acquisiti del quale ho fatto parte, la parte principale del rilevamento si basa sulle esperienze personali acquisite non necessariamente in modo formale, ma, soprattutto, in modo non formale e informale. Molte volte le difficoltà sorgono al momento di trasformare le esperienze in competenze.

3.3 Rilevamento e valorizzazione delle competenze La persona può essere aiutata a trasformare le esperienze avute in competenze, per esempio, confrontandosi con una lista di obiettivi di prestazioni e di comportamenti definiti (confronta processo ValForm sulla certificazione delle competenze commerciali al sito www.validacquis.ch). Per questo motivo, d’accordo con il collega Seghizzi, ho preparato un formulario che viene proposto al prossimo capitolo.

4. Modalità di rilevamento Grazie all’opportunità offertami dal collega direttore del Centro di Formazione Formatori (CFF) della Divisione per la Formazione Professionale (DFP), ho concepito un corso tramite il quale rilevare queste competenze. La mappa mentale concettuale del corso figura allegata al presente lavoro. A mio modo di vedere, anche se non rappresentativo, il rilevamento empirico dell’opinione dei colleghi ci può dare una base di partenza per sviluppare la nostra ricerca. Il lavoro di certificazione sarà completato da un’autovalutazione degli autori, da osservazioni sul campo di formatori/trici in aula e da incontri già definiti con altre realtà organizzative impegnate nella formazione professionale.

4.1 Formulario individuale8 Il formulario prevede, dopo la raccolta dei dati personali e del settore principale d’impiego (formatore professionale o per adulti), una prima parte libera dove ai colleghi partecipanti la loro opinione su ¾ quali competenze da loro detenute reputino fondamentali per la riuscita di un loro corso ¾ quali competenze ammirino in un/una collega. Sulla base della descrizione dei colleghi, ci aspettiamo di ricevere indicazioni più orientate alle competenze distintive e di eccellenza che non a quelle di soglia. Per questo motivo il formulario sarà completato dalla tabella riportata nella pagina seguente:

8

già preparato nell’ottica del lavoro di certificazione del Modulo 12

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Competenza individuale

Utili

Non utili

Indifferenti

Competenze di soglia

Competenze distintive

Competenze di eccellenza

Acquisite con la formazione

Acquisite in modo informale/ non formale

Creatività Metodologia lavorativa variata Capacità di apprendimento personale Volontà, interesse personale Autonomia d’azione Flessibilità, attitudine al cambiamento Orientamento alla qualità, efficienza Orientamento al raggiungimento degli obiettivi Identificazione con l’azienda Capacità di lavorare in gruppo Protezione dell’ambiente Sicurezza del lavoro Capacità di negoziare e agire Capacità tecniche specifiche Prestazioni misurabili Conoscenze generali e culturali Tecniche di presentazione Organizzazione del tempo e del lavoro Empatia Applicazione del potere del ruolo Orientamento alla valutazione Capacità di gestire gli spazi

4.1.1 Competenze di soglia È già oggi ipotizzabile che tra le competenze di soglia bisognerà inserire le “competenze professionali” riferite non solo al saper fare ma alle conoscenze tecniche della materia insegnata. Competenze di soglia potranno inoltre essere: ¾ organizzazione del tempo e del lavoro ¾ tecniche di presentazione ¾ capacità di lavorare in gruppo ¾ capacità di gestire gli spazi ¾ orientamento alla valutazione ¾ ecc. Molto probabilmente (al momento è solo un’ipotesi) emergerà che il fatto di lavorare con dei giovani apprendisti piuttosto che con un gruppo di maestri di tirocinio modifichi il “basket” delle competenze di soglia e che, pertanto, anche i disposti giuridici applicabili nella formazione professionale (per esempio i “Programmi quadro d’insegnamento per responsabili della formazione professionale”) potrebbero richiedere una “rivisitazione” delle competenze proposte.

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Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale 4.1.2 Competenze distintive Più difficile appare, al momento, una netta distinzione tra competenze distintive e competenze d’eccellenza. Sulla base dell’esperienza personale posso già stilare una proposta che potrebbe emergere: ¾ capacità di negoziare e agire ¾ empatia ¾ autonomia d’azione ¾ metodologia lavorativa variata ¾ ecc. 4.1.3 Competenze di eccellenza Personalmente, in questa categoria, metto piuttosto competenze e comportamenti che vanno oltre quanto riguarda l’aspetto professionale e di contenuto professionale ma che entrano nella sfera motivazionale dell’individuo e nella sua filosofia di vita. Sarà comunque interessante vedere quali competenze evidenzieranno i colleghi e le colleghe come competenze di eccellenza.

5. Continuazione del corso: proposta di condivisione per modelli di gestione d’aula e d’utilizzo di artefatti Nella pianificazione dell’incontro abbiamo ritenuto che fosse anche interessante parlare di modalità di gestione d’aula e dell’utilizzo d’artefatti, sia per, in qualche modo, ringraziare i colleghi e le colleghe per il loro contributo sia per condividere informazioni e modalità che possono servire a rafforzare lo spirito di gruppo dei formatori e delle formatrici CFF. 5.1 Modelli di gestione d'aula In particolare, si è pensato di proporre delle alternative alle lezioni frontali che troppo spesso vengono utilizzate nei corsi professionali. Come indicato nella mappa mentale allegata, i parlerà in particolare di ¾ lavori di gruppo ¾ formazione esperienziale ¾ narrazione ¾ ecc. 5.2 Modalità d'utilizzo di artefatti Abbiamo richiesto ai partecipanti che interverranno alla giornata di portare “artefatti” da loro utilizzati nell’ambito formativo. Da parte mia metterò a disposizioni strumenti quali: ¾ le carte della vita, per le presentazioni all’inizio dei corsi ¾ carte e cartoline per la costituzione dei gruppi ¾ il “gioco dell’oca” per le ripetizioni ¾ il labirinto ¾ ecc.

6. Conclusioni Il collega Walter Seghizzi e io siamo fermamente convinti che l’approccio all’appren-dimento finora utilizzato (e insegnato nella maggior parte dei corsi per formatori della formazione professionale) tenga conto solo in parte delle competenze distintive della formatrice/del formatore chiamato a erogare la formazione. Detto altrimenti, aver frequentato il miglior corso di formazione per formatori non significa automaticamente diventare un ottimo formatore.

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Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale La nostra convinzione parte sia dall’esperienza diretta, sia dall’osservazione di colleghe e colleghi che, pur erogando la stessa formazione per quanto attiene a contenuti, tempi, luoghi e modalità non trasmettono detta formazione in modo standard, ma fanno passare la conoscenza della materia in modo diversificato. Quali sono allora le competenze che, al di là di quelle professionali, riescono a “far passare il messaggio” in modo efficace? Con il nostro lavoro di certificazione del Master vogliamo dare una risposta a questo interrogativo e suggerire metodologie innovative per il riconoscimento e l’acquisizione di queste competenze. Ringrazio già sin d’ora il Prof. Dott. Martignoni per i suggerimenti che mi vorrà dare in merito a questo argomento.

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Bibliografia: •

Il modello costruttivista nella formazione, analisi del modello Dougiamas e sperimentazione di Moodle, Arcolin e Gomirato, ECIPA, Venezia 2002 (http://formatori.net/materiali/Modello_costruttivista.pdf)

Programmi quadro d’insegnamento per responsabili della formazione professionale, BBT maggio 2006 (http://www.bbt.admin.ch/index.html?lang=it)

L' arte della formazione. Metafore della formazione esperienziale, Emilio Rago, FrancoAngeli Editore, 2006

L’approccio psicosocioanalitico allo sviluppo delle organizzazioni, Forti D. e Varchetta G., FrancoAngeli Editore,

Insegnare e apprendere la Leadership, a cura di Claudia Piccardo, Edizioni Guerini e associati

Image. Le metafore dell`organizzazione, Morgan G., a cura di M. Balducci, Franco Angeli

Leadership riflessive. La ricerca di anima nelle organizzazioni, Vitullo A., Apogeo

L’uomo flessibile, Sennett R., Saggi Universale Economica Feltrinelli

Allegato: • Schema corso per formatori CFF

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Obiettivi del corso: - al termine i partecipanti dispongono di alcuni elementi che possono loro permettere di diventare consapevoli dei loro "Fattori critici di successo" nella formazione di giovani e adulti - durante il corso i partecipanti possono condividere metodi e modalità esercitati

La realtà e l'illusione Il gioco dell'oca Il labirinto Il pro e il contro La sua costruzione La sua utilizzazione Quando usarli Come usarli Compiti del formatore Come usarli Quando usarli Compiti del formatore Come usarli Quando usarli Compiti del formatore

Cosa sono le competenze (attivazione e combinazione di risorse al fine di gestire con successo determinate situazioni, azioni e problemi)

Le competenze distintive dei formatori (argomenti)

L'aspetto ludico

Risorse Potenziale Sapere Saper fare Saper essere Competenze operative Competenze professionali Competenze sociali Competenze personali Conoscenze Capacità Abilità Competenze di base Competenze chiave Competenze trasversali

La mappa mentale La narrazione

Le modalità d'aula alternative alla lezione frontale

I giochi di ruolo

La ricerca

La lezione come "progetto"

Contenuti Modalità Supporti

La costruzione La realizzazione

I lavori di gruppo

Le competenze distintive dei formatori (argomenti).mmp - 02.10.2006 - Marco Ricci - info@clic-formazione.ch

Contenuti Modalità Supporti


Master professionalizzante in

Gestione della Formazione per dirigenti di istituzioni formative

Certificazione Modulo 4

Gestione e conduzione del personale Relatore Prof. Massimo Balducci

Auditing interno delle attivitĂ pedagogiche Approfondimento in forma di presentazione e documento di lavoro

Walter Seghizzi – Formatore aziendale dipl. fed. Responsabile del Centro di formazione per formatori (CFF) della DFP e dei corsi federali per periti d’esame (ISPFP) walter.seghizzi@bluewin.ch

1


Sommario ABSTRACT........................................................................................................................................ 3 BREVE PRESENTAZIONE DEL CENTRO....................................................................................... 4 ASSICURAZIONE E SVILUPPO DELLA QUALITÀ......................................................................... 8 Come viene fornita l’immagine della qualità .............................................................................. 8 Persone responsabili della qualità e persone che controllano la qualità................................... 8 Definizione degli obiettivi ........................................................................................................... 8 Provvedimenti adottati per soddisfare i criteri............................................................................ 8 Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità .............................................................. 9 MAPPATURA SEMPLIFICATA DEI PROFILI .................................................................................. 9 PROFILO DELLE QUALIFICHE, DIPLOMI ...................................................................................... 9 ASSICURAZIONE, MANTENIMENTO E SVILUPPO DELLA QUALITÀ DELLE ATTIVITÀ (EROGAZIONE) FORMATIVE PRESSO IL CFF ............................................................................ 10 CONCETTO E PROCEDURA PER LO SVOLGIMENTO DI AUDITS INTERNI ................................................. 10 IL CORSO DI BASE PER FORMATORI DI APPRENDISTI IN AZIENDA .............................. 10 Introduzione....................................................................................................................................... 10 Vantaggi e svantaggi del concetto proposto ...................................................................................... 10 Procedura .......................................................................................................................................... 11

GESTIONE DELLE EVIDENZE A SEGUITO DELL’AUDIT .......................................................................... 12 Obiettivi formativi ..................................................................................................................... 14 PROGRAMMA (tipo) AUDITS ........................................................................................................... 15

SCELTA DEI CRITERI DA VALUTARE.......................................................................................... 16 ANALISI E SCOMPOSIZIONE DEL FORMULARIO DI VALUTAZIONE ....................................... 17 CONCLUSIONI ................................................................................................................................ 17 SCHEDA AUDIT INTERNO QUALITÀ - ATTIVITÀ PEDAGOGICHE........................................... 18 ALLEGATO 2................................................................................................................................... 31 METODO DI VALUTAZIONE INTERNA .................................................................................................. 31

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Abstract Il seguente approfondimento dal titolo “Auditing interno delle attività pedagogiche”, in forma di presentazione e di documento di lavoro, è stato elaborato per il duplice scopo di consolidare la certificazione EduQua del Centro di formazione per formatori della Divisione della formazione professionale (CFF della DFP) ottenuta il 26 settembre 2005 e di poter quindi implementare definitivamente l’auditing interno attraverso un percorso formativo e certificativo in seno al MaGF2. Per quest’ultimo motivo il presente viene sottoposto al Prof. Massimo Balducci. L’attività di auditing interno, detta anche di shadowing oppure conosciuta come presenza di un “amico critico”, viene considerata dalla norma (cfr. www.eduqua.ch) come indispensabile. A fronte di questa “affermazione istituzionale” ne è seguita una personale e operativa; quali sarebbero stati gli ostacoli nell’introduzione di tale modalità? Quali i pericoli e quali e vantaggi? Come sarebbe stata vissuta dai colleghi la vicendevole osservazione delle attività didattiche all’interno della sacralità dell’aula? Ci si è ben presto resi conto che introdurre il sistema in modo semplificato e destrutturato non avrebbe risposto alle domande e che il clima, a fronte della scarsa soggettiva volontà di comprensione, avrebbe evidenziato unicamente le criticità del sistema. Sono personalmente convinto, al contrario, che la condivisione dei momenti formativi possa aggiungere valore alle “prestazioni” dei singoli attori, evidenziare competenze distintive dei formatori e inferire qualità e trasparenza alle attività del CFF. Per sperimentare l’auditing interno è stato scelto il gruppo dei formatori attivi nell’erogazione del corso di base interprofessionale per formatori di apprendisti in azienda.

3


Breve presentazione del Centro Il centro di formazione per formatori (CFF) è un servizio della Divisione della formazione professionale (DFP) del DECS – Cantone Ticino. Dal 1978, anno d'introduzione della Legge federale sulla formazione professionale (LFP) che lo prescriveva, si occupa dell'organizzazione della formazione degli, allora, denominati "Maestri di Tirocinio". È del 1980, inoltre, l'emanazione federale di una specifica ordinanza che, oltre a ribadirne l'obbligatorietà, fissa precisi parametri sulle durate e sui contenuti minimi, imposti agli enti di formazione cantonali incaricati. Dal 1° gennaio 2004, data dell'entrata in vigore della nuova LFPr, tale figura è stata rinominata in "Formatori di apprendisti in azienda", mantenendo altresì l'obbligatorietà di frequenza al corso per tutti coloro i quali intendono assumere e formare un tirocinante. I partecipanti al corso di base per formatori sono progressivamente aumentati nel corso degli anni (vedi grafico sottostante), passando in 10 anni da 290 a 400 all'anno. Una massa critica importante quindi, anche quale significativo indicatore della soddisfazione sui contenuti e sulle modalità d'erogazione. Partecipanti 450 419 386 357

350 314

318

292 250

399 379

301

303

298

1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004

Partecipanti 292

314

318

301

303 298

357

386

419

379 399

In adeguata considerazione, alfine di affinare i dettagli ma restando nei parametri dell'ordinanza precedentemente citata, vengono tenute le valutazioni espresse dai partecipanti alla fine di ogni corso. Queste vengono statisticate, analizzate e prese in considerazione in modo puntuale. In occasioni di specifiche riunioni vengono rese note al plenum dei formatori. Oltre a ciò vengono condotti dal responsabile colloqui personali con ogni formatore, aventi lo scopo di approfondire gli aspetti valutativi legati allo specifico docente. Riportiamo a mo' di esempio la statistica1 relativa all'anno scolastico 2005/2006

1

espressione del valore in base alle note scolastiche (da 1 a 6)

4


Valutazione e aree di miglioramento o Interesse per l’argomento trattato o Utilità dell’argomento trattato o Competenza specifica del formatore o Capacità d’animazione del formatore

5,23 5,26 5,45 5,12 5,27

o Valutazione media

Solidità e trasferibilità delle conoscenze e competenze acquisite dai partecipanti Non solo attraverso le valutazioni, già citate, espresse dai partecipanti, bensì anche da frequenti feedbacks rilevati e riportatici dagli Ispettori di tirocinio della DFP, siamo in grado di affermare che le modalità esercitate durante l'erogazione formativa, facilitano e permettono un'acquisizione di competenze solide ed applicabili immediatamente nella pratica professionale quotidiana. Oltre a ciò la documentazione consegnata in aula ha proprio lo scopo, per cui così assemblata, di permettere un'efficace consultazione anche dopo la frequenza del corso. Ogni tema, ogni lezione è supportata in modo chiaramente intelleggibile da supporti cartacei suddivisi per capitolo (area d'intervento) e tema. A partire dallo scorso mese di settembre 2006, viene consegnato in aula anche il nuovo Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda (http://hb.dbk.ch/it/index.php) edito dalla DBK (www.dbk.ch) in collaborazione con la CSFP (www.csfp.ch) e con i Cantoni. Presentazione trasparente delle offerte di formazione e delle opzioni pedagogiche Già con la pubblicazione dell'offerta del CFF per l'anno 2005 è stato deciso di optare per una crasi dei precedenti opuscoli. Fino al 2004, infatti, l'offerta formativa del CFF era suddivisa distintamente in 3 parti: o corsi di base per Maestri di tirocinio o corsi di perfezionamento per Maestri di tirocinio o corsi di base per periti d'esame Questa operazione ha evidenziato vicendevolmente alle diverse figure professionali gli indirizzi specifici, creando grande interesse. Sia alla fine di gennaio 2005 sia alla fine dello stesso mese del 2006, più del 50% delle offerte formative proposte risultava già completa. Molte richieste d'iscrizione hanno dovuto essere dirottate su altri corsi. Prestazioni orientate al cliente, economiche, efficaci ed efficienti Un primo indicatore di leggibilità delle attività del CFF in funzione dell'orientamento al cliente risulta essere, a nostro avviso, già stato citato in relazione al gradimento espresso, al termine del corso, dai partecipanti stessi. Un secondo è costituito dalle frequenti e importanti rivisitazioni del contenuto dei vari interventi (programma di formazione), dall'offerta di molteplici possibilità d'iscrizione ai corsi (diurni, serali, e in diverse località del Cantone).

5


Per quanto attiene all'economicità dell'offerta, rileviamo che la tassa (CHF 300.fino al 2004, CHF 320.- dal 01.01.05 e ulteriormente modificata in CHF. 350.- dal 1° gennaio 2007) risulta essere un prezzo politico, assolutamente conveniente e che non copre i costi vivi di progettazione, programmazione ed erogazione del corso. Vista l'obbligatorietà secondo la LFPr, di cui abbiamo già riferito, il Cantone, responsabile per l'organizzazione dei corsi, si assume la parte non coperta dal contributo finanziario degli iscritti. Il costo orario di CHF 5.33 / UD2, per corsi di breve durata, non ha paragoni e non necessita di ulteriori commenti. Il parametro legato all'efficacia è misurabile nel seguente modo: o crescente numero di partecipanti o feedback ricevuti dagli ispettori del tirocinio o feedback ricevuti dagli stessi partecipanti, dopo qualche tempo, in occasione della loro partecipazione a corsi di perfezionamento o per periti d'esame Quello dell'efficienza è evincibile dalla tabella e dal grafico sottostanti. A fronte di un numero relativamente esiguo di collaboratori che si occupano, a vario titolo, della progettazione, programmazione ed erogazione del corso, rileviamo che, per esempio, nel 20043 a fronte di 2.85 collaboratori impiegati, hanno frequentato i corsi 399 partecipanti, versato CHF 269'000.- il che corrisponderebbe ad un incasso per singolo collaboratore di ben CHF 94'386.Anno

Preventivo Tasse CMT

Consuntivo Tasse CMT

Differenza

Unità RU

Partecipanti

1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004

CHF 60'000 CHF 50'000 CHF 50'000 CHF 60'000 CHF 60'000 CHF 60'000 CHF 70'000 CHF 100'000 CHF 110'000 CHF 120'000 CHF 200'000

CHF 60'000 CHF 65'133 CHF 61'040 CHF 70'350 CHF 100'350 CHF 90'000 CHF 104'380 CHF 110'637 CHF 230'000 CHF 224'745 CHF 269'000

CHF CHF 15'133 CHF 11'040 CHF 10'350 CHF 40'350 CHF 30'000 CHF 34'380 CHF 10'637 CHF 120'000 CHF 104'745 CHF 69'000

2.00 1.67 1.67 1.67 2.25 2.87 2.10 3.60 3.20 3.35 2.85

292 314 318 301 303 298 357 386 419 379 399

2

Tassa CMT/Unità RU 30000 39002 36551 42126 44600 31359 49705 30732 71875 67088 94386

UD: unità didattica di 45 minuti i dati statistici relativi al tutto il 2005 e a parte del 2006 saranno disponibili ufficialmente nel corso del mese di febbraio / marzo 2007. 3

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Evoluzione del contributo tassa CMT per untià lavorativa impiegata dal 1990 al 2004 100000 80000 60000 40000 20000 0 1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

Tassa CMT/Unità RU

Formatori impegnati e aggiornati sui più recenti sviluppi metodologici, didattici e nel loro specifico campo d'insegnamento I formatori attivi vengono invitati ad un corso di aggiornamento ogni anno. Viene offerta loro una giornata di formazione specifica. Ad esempio: o anno 2003: Giochi pedagogici per l'aula o anno 2004: PNL e comunicazione pedagogica o anno 2005: Atteggiamento e linguaggio durante l'insegnamento o anno 2006: Il riflesso dell'adulto sul disagio adolescenziale o anno 2007: La definizione delle competenze distintive4 Alfine di permettere all'intero Team la restituzione e la messa in comune dei risultati in itinere e finali, viene convocata almeno una riunione serale. La quasi totalità dei docenti del CFF è, inoltre, attiva professionalmente nel proprio campo d'attività o lo è stata fino a pochi mesi fa. Questo garantisce l'approvvigionamento delle competenze in modo certificabile, automatico ed economicamente conveniente. Impegno di garantire e sviluppare la qualità Abbiamo dimostrato, nel corso degli anni, che il modello attuato in Ticino è di riferimento a molti altri Cantoni. La nostra appartenenza a diversi gruppi di lavoro e commissioni a livello federale lo dimostra. Per questo motivo un nostro rappresentante non è richiesto unicamente per questioni linguistiche, anzi. L'apprezzamento in questo ambito travalica gli aspetti formali e la rete di relazioni che si è costituita a livello intercantonale, permette un ulteriore sviluppo dell'approccio ai sistemi, alla gestione e al consolidamento dei processi qualitativi.

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progetto: la data è stata preventivamente fissata per il 13 febbraio 2007 e il tema sarà riferito allo sviluppo delle competenze distintive dei formatori. Relatore: Marco Ricci

7


Assicurazione e sviluppo della qualità Come viene fornita l’immagine della qualità Il CFF organizza e sviluppa durante l’anno diverse riunioni e conferenze per verificare se la qualità proposta ai corsisti professionisti ha raggiunto un buon livello. Durante queste riunioni vengono espresse critiche, idee, proposte onde migliorare costantemente la qualità formativa.

Persone responsabili della qualità e persone che controllano la qualità Il Direttore del CFF ed i suoi collaboratori stabili, sono responsabili del processo di assicurazione della qualità e sono pure le persone che controllano la qualità tramite regolari verifiche verbalizzate le quali vengono riassunte in un rapporto annuale e sottoposte alla Direzione della DFP, nonché agli interlocutori privilegiati dell'ISPFP. I contenuti della qualità vengono definiti come segue5: • • • • • •

L’istituzione considera chiari i seguenti punti per la qualità Raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi per ogni corso Valutazione dell’efficacia del corso tramite un formulario di valutazione Mantenimento di uno standard di qualità adeguato, per rapporto all’evoluzione nel campo della formazione di base e continua Continua verifica e adattamento ai bisogni riscontrati o alle difficoltà espresse nelle valutazioni dei partecipanti NUOVO: auditing interno delle attività pedagogiche6

Definizione degli obiettivi L’istituzione si impone quale valore di qualità che almeno il 75% dei partecipanti ai vari corsi abbiano a conseguire il successo. La frequenza al corso da parte dei partecipanti non può essere inferiore all’85%, di conseguenza maggiori assenze non danno diritto a conseguire una certificazione del corso.

Provvedimenti adottati per soddisfare i criteri Se dalle verifiche eseguite tramite questionari sottoposti ai corsisti risultasse che la qualità di formazione non è stata raggiunta, i responsabili attiverebbero dei corsi d’aggiornamento specifici per i formatori mirati a migliorare la qualità di formazione. Ulteriori interventi vengono confrontati e discussi con i responsabili dello stes-

5 6

Cfr. Allegato 2 al presente documento oggetto di questo lavoro di approfondimento

8


so settore a livello federale nelle diverse commissioni (CRFP, CORTEXIA, DBK, SBBK ecc.).

Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità L’istituzione, per il tramite dei collaboratori del CFF all’inizio di ogni anno, attiva le necessarie verifiche e fissa nuovi obiettivi tendenti ad ottenere un sempre miglior grado di qualità.

Mappatura semplificata dei profili Centro di formazione per formatori della DFP Profilo delle qualifiche, diplomi Il profilo ideale, richiesto ai nostri formatori, è il seguente: •

Licenza universitaria conseguita nell'ambito della psicologia rispettivamente nell'ambito della pedagogia / scienze dell'educazione

Diploma federale di formatore aziendale

Certificato quale formatore di adulti (FSEA 1)

Altre formazioni equivalenti

Comprovata esperienza nel campo della formazione di adulti in ambiti attinenti agli obiettivi del corso / dei singolo modulo / dei singoli interventi formativi

Esperienza diretta nel mondo economico – aziendale o in settori specifici di riferimento, precedente e/o attuale

Disponibilità all'aggiornamento ed alla formazione continua

Buone conoscenze sull'uso dei moderni mezzi interattivi a scopo didattico

Attitudine al lavoro in Team e spiccata volontà di tendere al continuo miglioramento dell'offerta formativa

Deve essere presente, nelle competenze personali, l'impegno per l'assicurazione e lo sviluppo della qualità

Il profilo ideale, richiesto al responsabile della formazione continua del CFF, è il seguente:

Licenza universitaria conseguita nell'ambito della psicologia rispettivamente nell'ambito della pedagogia / scienze dell'educazione MaGF, Master professionalizzante in gestione della formazione

Diploma federale di formatore aziendale

Altre formazioni equivalenti

Comprovata esperienza nel campo della formazione di adulti in ambiti attinenti agli obiettivi del corso / dei singolo modulo / dei singoli interventi formativi

Esperienza diretta nel mondo economico – aziendale o in settori specifici di riferimento, precedente e/o attuale

9


Esperienza comprovata nella progettazione di curricula formativi diversificati nella forma e nei contenuti, sia di breve sia di lunga durata.

Disponibilità all'aggiornamento ed alla formazione continua

Buone conoscenze sull'uso dei moderni mezzi interattivi a scopo didattico

Attitudine al lavoro in Team e spiccata volontà di tendere al continuo miglioramento dell'offerta formativa

Buone conoscenze delle lingue ufficiali, parlate e scritte

Deve essere presente, nelle competenze personali, l'impegno per l'assicurazione e lo sviluppo della qualità

Assicurazione, mantenimento e sviluppo della qualità delle attività (erogazione) formative presso il CFF Concetto e procedura per lo svolgimento di audits interni IL CORSO DI BASE PER FORMATORI DI APPRENDISTI IN AZIENDA Introduzione Alfine di assicurare, mantenere e sviluppare la qualità delle attività formative (erogazione) presso il CFF, si rende necessaria l'applicazione di uno strumento valutativo sotto forma di audit interno, facendo capo alle soggettive competenze dei formatori. Con un sistema pianificato di vicendevoli supervisioni (audit), infatti, siamo in grado di sfruttare le risorse interne senza dover far capo ad ulteriori e costosi contributi esterni. Vantaggi e svantaggi del concetto proposto VANTAGGI Ogni relatore si sente seguito e supportato nella propria attività didattica

SVANTAGGI La conoscenza approfondita e il possibile grado di confidenza fra formatore e auditore potrebbero influenzare negativamente la valutazione (preconcetti positivi o negativi) La pianificazione degli audits risulta difficile vista la mole di lavoro riconosciuta ai formatori attivi nei corsi di formazione considerati

La qualità degli interventi e quindi anche la percezione dei fruitori delle attività formative aumenta, grazie al contributo di colleghi con le competenze necessarie Aumenta la sensibilità verso gli aspetti legati all'assicurazione, al mantenimento e allo sviluppo della qualità

La mole di lavoro aumenta sia per il personale del CFF (lettura e gestione dei feedbacks) sia per gli auditori, a loro volta già impegnati in attività formative.

Aumenta il grado di interscambiabilità dei ruoli attraverso la conoscenza reciproca dei contenuti e dei metodi utilizzati dai colleghi formatori, in aula

10


A seguito della lettura dei feedback redatti e presentati dai formatori è più facilmente interpretabile la necessità di adattare temi, tempi e metodi È possibile confrontare il risultato degli audits con il risultato derivante dall'espressione valutativa dei partecipanti È rafforzato lo spirito del Team dei formatori Il costo della valutazione è (probabilmente) inferiore facendo capo a risorse interne È possibile una lettura dei risultati in modo funzionale a uno sviluppo professionale dell’interessato, nell’ottica di una ripresa dei contenuti della discussione a livello di direzione della DFP onde permettere la stesura di precisi piani di carriera I risultati dell’audit e la conseguente e prevista discussione diventano uno strumento prioritario per la definizione precisa e puntuale dei temi e degli obiettivi didattici da formulare in occasione delle sessioni di aggiornamento / formazione continua organizzate annualmente all’indirizzo del team dei formatori del CFF

Procedura CHI Formatore

QUANDO Entro fine 7 novembre

COSA Pianifica gli impegni nella propria agenda

Formatore

Entro il 15 di dicembre

Responsabile del CFF

Entro il 20 dicembre

Sceglie fra gli interventi pianificati 2 date (una nel primo e una nel secondo semestre) durante le quali verrà svolto l'audit Pubblica l'elenco delle date degli audits

Team dei formatori

Entro il 31 dicembre

Ogni formatore rende nota la propria disponibilità ad effettuare almeno 2 audits (non allo stesso collega)

7

COME Alla ricezione dell'opuscolo con l'offerta dei corsi CFF per l'anno successivo Comunica le date al responsabile del CFF

OSSERVAZIONI

Redige una tabella riassuntiva con l'elenco dei formatori attivi e con l'indicazione delle date scelte e la espone all'albo Apponendo il proprio nome sulla tabella riassuntiva

inteso il mese di ogni anno, la prima volta novembre 2006 (la procedura potrebbe comunque, la prima volta, essere posticipata di un mese)

11


Responsabile del CFF

Entro il 10 gennaio

Ufficializza la pianificazione degli audits

Formatore auditato

7 giorni prima dell'intervento previsto

Auditato e auditore

Data prevista

Si accerta della disponibilità del collega a svolgere l'audit e si definiscono gli ultimi dettagli Viene svolto l'audit

Responsabile CFF

Correntemente a seguito degli audits

Responsabile CFF

Entro fine anno corrente

Discute con l'interessato (auditato e/o auditore) i contenuti ritenuti vicendevolmente interessanti Restituzione dei risultati globali

Redige la versione definitiva della tabella e la consegna a tutti gli interessati Prende contatto con il collega che si è messo a disposizione

IMPORTANTE: la responsabilità dell'audit è dell'auditato e NON dell'auditore

Presenza simultanea in aula, osservazione e compilazione degli strumenti valutativi previsti, a disposizione degli auditori Colloquio personale

Al termine dell'audit viene discusso brevemente fra i due che, apponendo entrambi la propria firma sulla scheda, confermano l'avvenuto colloquio conclusivo. se ritenuto necessario

Riunione conclusiva CFF

Organizzazione delle sessioni formative e di aggiornamento pedagogico – didattico per il team dei formatori del CFF

Gestione delle evidenze a seguito dell’audit Come precedentemente affermato, obiettivo precipuo del sistema intervisionale è attinente alla garanzia, alla gestione e al costante miglioramento qualitativo pedagogico – andragogico – didattico. Il trattamento delle evidenze e delle risultanze, come si potrà evincere dal formulario, sarà gestito dal responsabile della qualità del CFF (nel caso concreto dal sottoscritto). Fra le domande più frequenti che mi sono posto vi è senz’altro quella relativa alla strumentazione necessaria. Uno spunto interessante è stato evidenziato in occasione del MaGF, quando ci venne presentato il modello EMTEL (resource package8), scaricabile dal sito www.crogef.it.

8

esercitato e utilizzato parzialmente in occasione di un lavoro di gruppo (con relativa restituzione plenaria) il 27 ottobre 2006.

12


Fra i modelli (le macchinette come io amo definirle, ndr) che potrebbero entrare in linea di conto, evidenzio i seguenti: TABELLA n°1 Performance Inadeguata

Conoscenze Implicate

Gruppo Profess- ionale

Abilità Implicate

Gruppo Profess- ionale

Atteggiamenti Implicati

Gruppo Professionale

[…] MATRICE INVENTARIO "A" CONOSCENZE DA MIGLIORARE TABELLA N° 2 Conoscenze da migliorare

Gruppi professionali interessati

[…] MATRICE INVENTARIO "B" ABILITÀ DA MIGLIORARE TABELLA N° 3 Abilità da migliorare

Gruppi professionali implicati

[…] MATRICE INVENTARIO "C" ATTEGGIAMENTI DA MODIFICARE TABELLA N° 4 Atteggiamenti da modificare

Gruppi professionali implicati

[…]

13


MATRICE INVENTARIO "D" I BISOGNI FORMATIVI DEI VARI GRUPPI PROFESSIONALI - TABELLA N° 5 Conoscenze da migliorare

Gruppo professionale interessato

Abilità da miglio- Atteggiamenti da rare modificare

[…]

TABELLA n° 6: BISOGNI FORMATIVI STRATEGICI Performance Inadeguata

Gruppi Professionali coinvolti

Bisogni formativi Conoscenze Abilità da mida migliorare gliorare

Atteggiamenti da modificare

[…] TABELLA n° 7: OBIETTIVI FORMATIVI STRATEGICI Cambiamento performance

Gruppo professionale coinvolto

Obiettivi formativi Cambiamento di conoscenze

Cambiamento abilità

Cambiamento di atteggiamenti

[…] con conseguente e, perché no, anche preventiva osservanza dello schema seguente:

SCHEMA n° 1: VANTAGGI E SVANTAGGI Metodologia didattica

vantaggi

svantaggi

Lettura

Non costosa, permette di meditare a lungo

Non è interattiva

CBT

Un po' più costoso, parzialmente interattivo

Non completamente interattivo, non completamente flessibile

Autoistruzione

Seminari autogestiti

Carichi di potenziale mo- Non sempre la competenza necessaria

14


è disponibile

tivazionale, non costosi Si risparmia sui costi (eCorsi, conferenze organizzati conomia di scala), si posda terzi. sono avere i migliori esperti

Non perfettamente sintonizzati sui fabbisogni dell'organizzazione

Corsi, conferenze organizzate all'interno

Sintonizzati sui bisogni dell'organizzazione

Molto costosi

Formazione a distanza

Interattiva e non costosa

Difficoltà tecniche e psicologiche

Affiancamento

Completo

Richiede molto tempo

Simulazioni

Risparmia tempo

Gli mancherà sempre il senso del reale

Presentazioni generalistiche / azioni di indottrinamento

Dà una prospettiva alla routine quotidiana

Non si mette a fuoco esattamente quello che va cambiato nel proprio comportamento

Molto efficaci

I partecipanti corrono il rischio di credere che la formazione non ha niente a che vedere con la loro situazione concreta

Attività formative di tipo socio-psicologico

completando il tutto con la tabella riassuntiva che segue TABELLA RIASSUNTIVA: TABELLA N°10 Modulo Scade- Gruppo Cambiano Strumento Cambiano Strumento Cambiano Strumento formanza professio- D di co- didattico D di abili- didattico D di didattico tivo nale (a) noscen- scelto (c) tà (d) scelto (e) compor- scelto (g) ze (b) tamenti (f)

[…] PROGRAMMA (tipo) AUDITS

DOCENTE

Data

A

xx.xx.2007

B

xx.xx.2007

C

xx.xx.2007

Orario

No. del Corso

Sede

AUDITORE

Il profilo del mio apprendista

xx-2007

Rivera

B

2000-

Insegnare in azienda: gli stru-

xx-2007

2200

menti

Bellinzona

C

Bellinzona

D

18452200

13301645

Argomento /

L’adolescente oggi 2 La promozione della salute sul posto di lavoro

15

xx-2007


D

xx.xx.2007

15151645

xx-2007 Integrare e motivare

Bellinzona

A

Scelta dei criteri da valutare La scelta dei criteri da valutare è stata operata sulla scorta di riflessioni personali e attraverso il coinvolgimento dei colleghi e dei relatori occupati a tempo pieno presso il CFF. Si è voluto, in altre parole, evidenziare e valutare quelle che sono le competenze di soglia e distintive dei formatori operanti nell’erogazione del corso in oggetto. I criteri considerati sono:

9

Approccio / entrata in materia o contestualizzare l’intervento in funzione del pubblico (eterogeneità dei partecipanti) e tecniche “rompighiaccio” adottate Metodologia pedagogica in relazione ai temi o la sfida è quella di rendere sfidante e attrattiva anche la materia più ostica, quale ad esempio la relazione sugli aspetti legali e contrattuali Utilizzo della documentazione cartacea o abbiamo da poco introdotto un nuovo strumento di supporto didattico9 e i formatori hanno ricevuto il mandato di utilizzarlo opportunamente e parallelamente alla documentazione personale prodotta e distribuita dal relatore Utilizzo dei supporti didattici a disposizione (lucidi, beamer, ecc.) o apparentemente banale, la questione dell’uso dei supporti didattici è ritenuta importante dai partecipanti e percepita soggettivamente in modo diverso. Tenere in debita considerazione l’alternanze di supporti uditivi, visivi e sensoriali costituisce un importante competenza professionale Reattività del formatore agli stimoli e alle domande dei partecipanti o da questo parametro si evince la motivazione, la preparazione specifica e la competenza distintiva del formatore flessibile e attento alle esigenze dei partecipanti Credibilità del formatore (anche in relazione al suo atteggiamento non verbale) - Carisma o tipicamente soggettiva, la percezione dei partecipanti su questo parametro determina in larga misura il successo dell’intero intervento. Questo non si impara e rientra nell’insieme delle competenze distintive e d’eccellenza. Rispetto dei tempi e ritmo dell'intervento o tecnicamente importante, questo criterio determina e riassume i concetti di presidio dell’attività da svolgere e delle reazioni proposte dall’auditorium Valutazione complessiva dell'intervento o rappresentata dalla percezione soggettiva dell’auditore

Manuale per i formatori di apprendisti in azienda (cfr. http://hb.dbk.ch/it/index.php )

16


Analisi e scomposizione del formulario di valutazione10 A seguito della descrizione dei criteri selezionati, oggetto della valutazione, sono convinto che l’insieme dei punti contenuti nel formulario sia di facile interpretazione. Mi voglio soffermare però sulla questione “docimologica” e “semiotica” relativa alla scelta della scala di valutazione. Il formulario ne prevede 2: • una che si riferisce alla scala delle note (da 1 a 6) riconosciuta e usata in Svizzera in tutti gli ordini si scuola • l’altra, semplificata e rappresentata simbolicamente, che fa riferimento alla pure molto conosciuta scala di Likert11, liberamente e arbitrariamente limitata a 3 parametri. Quali sia la migliore scala, rispettivamente quale sarà meglio percepita e valorizzata sia dall’auditore, sia dall’auditato non ci è dato, per il momento di sapere. Intendo lasciarmi guidare dalle prime esperienze in occasione delle quali chiederò all’auditore di utilizzarle entrambe; solo in seguito mi sarà possibile decidere.

Conclusioni Sottopongo al Prof. Balducci il lavoro di approfondimento alfine di poter ricevere importanti feedback sull’applicazione concreta del concetto, nonché di poter acquisire la certificazione del Modulo 4 del MaGF2. Ringrazio e saluto cordialmente

Walter Seghizzi

10

Cfr. Allegato 1 al presente documento La scala Likert prevede che una lista di affermazioni (items), semanticamente collegate agli atteggiamenti su cui si vuole indagare, venga sottoposta ad un gruppo di individui assieme a cinque possibili alternative di risposta: completamente d’accordo, d’accordo, incerto, in disaccordo, in completo disaccordo (che, nella versione originale utilizzata da Likert vengono così definite: strongly agree, agree, uncertain, disagree, strongly disagree). 11

17


Allegato 1 Divisione della formazione professionale - Corsi per formatori di apprendisti in azienda

SCHEDA AUDIT INTERNO QUALITÀ - ATTIVITÀ PEDAGOGICHE

Auditore

Auditato Auditato

Argomento / Criterio

No. corso

Reazione aula osserosser- Valutazione vata

data

Valutazione semplificata

da 1 a 6

Approccio / entrata in materia

Osservazioni supplementari:: ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________

18


________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________

19


Argomento / Criterio

Reazione aula osserosser- Valutazione vata

Valutazione semplificata

da 1 a 6

â˜ş

Metodologia pedagogica in relazione ai temi

Osservazioni supplementari:: ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________

20


________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________

Argomento / Criterio

Reazione aula osserosser- Valutazione vata

Valutazione semplificata

da 1 a 6

â˜ş

Utilizzo della documentazione cartacea

Osservazioni supplementari:: ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________

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________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________

22


Argomento / Criterio

Reazione aula osserosser- Valutazione vata

Valutazione semplificata

da 1 a 6

â˜ş

Utilizzo dei supporti didattici a disposizione (lucidi, beamer, ecc.)

Osservazioni supplementari:: ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________

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________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________

Argomento / Criterio

Reazione aula osserosser- Valutazione vata

Valutazione semplificata

da 1 a 6

â˜ş

ReattivitĂ del formatore agli stimoli ed alle domande dei partecipanti

Osservazioni supplementari:: ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________

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________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________

Argomento / Criterio

Reazione aula osserosser- Valutazione vata

Valutazione semplificata

da 1 a 6

â˜ş

CredibilitĂ del formatore (anche in relazione al suo atteggiamento non verbale) - Carisma

Osservazioni supplementari:: ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________

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________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________

Argomento / Criterio

Reazione aula osserosser- Valutazione vata

Valutazione semplificata

da 1 a 6

26

â˜ş


Rispetto dei tempi e ritmo dell'intervento

Osservazioni supplementari:: ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________

27


________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________

Argomento / Criterio

Reazione aula osserosser- Valutazione vata

Valutazione semplificata

da 1 a 6

â˜ş

Valutazione complessiva dell'intervento

Osservazioni supplementari:: ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________

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________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________

Suggerimenti al formatore auditato

Suggerimenti al responsabile del CFF

Firma dell'auditore

Firma dell'auditato

Ăˆ necessario / richiesto un colloquio alla presenza del responsabile CFF

29


A seguito della valutazione non è necessario discutere dei risultati dell'audit

Spazio riservato al responsabile del CFF (lasciare in bianco) Scheda ricevuta il

Colloquio con

Colloquio con

Classificazione /

l'aud l'auditore

l'audi l'auditore

trat trattamento

Data – ora - luogo

Data – ora - luogo

30


Allegato 2 Metodo di valutazione interna

Tipo di corso

Corso per Formatori di Apprendisti (base) base)

Criteri

Obiettivi e inindica dicatori

Pertinenza e compatibilità

Mantenimento della capacità dell’intervento formativo di rispondere ai bisogni reali dell’utenza.

80% dei formatori con esperienza

Breve descrizione del metodo e degli strumenti utilizzati

In sede di pianificazione ed organizzazione annuale (giugno /luglio), il responsabile del CFF, d’intesa con il responsabile dei corsi e tenuto conto dei risultati valutativi (formulari audits interni e formulari di valutazione dei partecipanti), riseleziona il team di formatori che animerà i corsi della stagione seguente (il calendario segue l’anno civile).

pluriennale a contatto con la FP in Ticino

Valutazioni finali mediamente u-

31


guali o superiori al 5 (interesse/utilità)

Corrispondenza tra obiettivi didattici del corso e risultati concreti in azienda

Valutazioni finali mediamente u-

Efficacia

guali o superiori

al 5 (interes-

Le modalità di verifica del “transfer” sul posto sono ancora da definire; si profila la possibilità di somministrazione di un ulteriore formulario che sarà studiato entro la fine del 2005

se/utilità)

Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti

80 % “follow up sul posto” positivo del transfer a tre mesi

Efficienza

Conformità e coerenza

Mantenere un rapporto Tassa/RU superiore ad 80.000 Conciliare i vincoli legali con la trasferibilità delle competenze acquisite

Valutazioni finali

Gestione risorse umane in e out sourcing da parte del responsabile del CFF (assegnazione incarichi interni e mandati esterni) e pianificazione numero di corsi e contingente di partecipanti (risorse logistiche e approccio didattico)

Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti

Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti

mediamente uguali o superiori al 5 (interesse/utilità)

Accettabilità

Mantenere un elevato

32


grado di soddisfazione generale dell’utenza

Valutazioni finali mediamente uguali o superiori al 5

Garantire la rapidità d’intervento necessa-

Sincronismo

ria a risolvere i problemi (sia didattici, sia

Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti (segnatamente delle osservazioni “aperte” e della valutazione relativa al tempo dedicato)

organizzativi) riscontrati

33


Master professionalizzante in

Gestione della Formazione per dirigenti di istituzioni formative

Certificazione Modulo 7 La gestione della comunicazione Relatore Prof. Francesco Lurati

Le aspettative degli stakeholders dei corsi interaziendali nella Nuova Formazione Commerciale: un’analisi empirica e una proposta concreta di nuova comunicazione per un aumento della percezione positiva. Marco Ricci Formatore aziendale diplomato. Titolare della Clic, formazione e consulenza formativa di M. Ricci marco.ricci@clic-formazione.ch


Marco Ricci, 6825 Capolago

MaGF 2

Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione

Indice 0

Abstract ...................................................................................... 3

1

UtilitĂ del presente lavoro .............................................................. 4

2

La formazione nel commercio in Svizzera ......................................... 4

3

Gli Stakeholders della Nuova Formazione Commerciale ...................... 5

4

La percezione dei corsi interaziendali............................................... 5

5

Issues......................................................................................... 6

6

Ripercussioni sui CI ...................................................................... 7

7

Scopi e obiettivi del piano di comunicazione ..................................... 7

8

Misure ........................................................................................ 8

9

Messaggi ..................................................................................... 9

10

Pubblico e mezzi di comunicazione utilizzabili ................................... 9

11

Il percorso cognitivo ..................................................................... 9

12

Piano di comunicazione e media ................................................... 10

13

Marketing.................................................................................. 11

14

Conclusioni ................................................................................ 11

15

Bibliografia ................................................................................ 12

Certificazione modulo 7 - Ricci Marco.doc

Pagina 2 di 12


Marco Ricci, 6825 Capolago

MaGF 2

Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione

0

Abstract

Il presente lavoro nasce sia dalla necessità di certificazione del Modulo 7 del MaGF ma anche dal mandato ricevuto dalla Commissione Cantonale Per la Formazione nel Commercio (CCPFC) di tenere un workshop per le formatrici e i formatori dei corsi interaziendali (CI) con l’obiettivo di definire delle “linee guida” che saranno adottate da tutto il gruppo dei formatori per migliorare l’immagine che i Ci hanno presso gli stakeholders e l’opinione pubblica. In questa sede rinuncio a illustrare i contenuti e le modalità di questo workshop in quanto troppo particolare per il discorso globale richiesto dal lavoro di certificazione. Dopo un’introduzione alla nuova formazione commerciale in vigore dal settembre 2003, ho evidenziato quali sono i portatori d’interesse della CCPFC, con particolare riferimento a questi quattro pubblici: ¾ le apprendiste e gli apprendisti ¾ le aziende e i datori di lavoro ¾ la Divisione per la Formazione Professionale (DFP) ¾ le formatrici e i formatori dei CI. Una ricerca, se pur empirica, dimostra che i CI non godono di molta considerazione. Parte integrante della formazione professionale, nell’apprendistato di commercio non sono ancora riusciti a ritagliarsi un’immagine positiva: anzi sono visti come una perdita di tempo o una giornata di vacanza supplementare. Da qui la necessità di definire un piano di comunicazione che abbia lo scopo di migliorare l’immagine dei CI, tramite un miglioramento della comunicazione interna e con le aziende, ma anche con misure di coinvolgimento degli stakeholders maggiormente toccati. Le misure sono state definite per ogni singolo pubblico, coinvolgendo anche i mass-media al fine di trasmettere un messaggio positivo all’opinione pubblica sull’importanza dei CI nell’ambito della formazione commerciale di base. Grazie ai diversi interventi del Modulo 7, mi stato più facile definire anche alcuni aspetti del marketing e prevedere argomentazioni da portare sottoforma di “slogan” facilmente applicabili nella realtà. La partecipazione al Modulo 7 del MaGF e l’elaborazione del presente lavoro mi hanno permesso di analizzare in modo più strutturato la situazione dei corsi aziendali della nuova formazione commerciale, formazione che mi vede coinvolto nel duplice ruolo di formatore degli apprendisti, così come in quello di formatore dei formatori in azienda. La mia vuole essere un’analisi critica della situazione attuale per quanto attiene alle professioni del commercio e portare un contributo a un possibile cambiamento; non vuole essere, certamente, una valutazione dell’attuale modo di gestire la formazione degli apprendisti.

Certificazione modulo 7 - Ricci Marco.doc

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Marco Ricci, 6825 Capolago

MaGF 2

Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione

1

Utilità del presente lavoro

Premetto che il mio statuto di formatore freelance non mi permette di elaborare un documento che possa essere adottato dal mio istituto formativo. Il presente lavoro, al di la del fatto che serve quale certificazione del Modulo 7, vuole essere un’analisi, se pur empirica, della visione che i vari stakeholders hanno dei corsi interaziendali (CI), attività formativa alla quale collaboro, su mandato della Commissione Cantonale Per la Formazione nel Commercio (CCPFC). Questa ricerca è empirica per il fatto che i dati raccolti sono puramente casuali, nel senso che non erano destinati a un lavoro specifico, ma unicamente il frutto di osservazioni e di colloqui avuti con apprendisti, maestri di tirocinio, rappresentanti di aziende, colleghe e colleghi formatori. Solo la concomitanza con il mandato ricevuto dalla CCPFC e il Modulo 7 ha fatto si di poter utilizzare i dati raccolti per una riflessione sul tema proposto. I risultati del presente studio, che non ha la pretesa di essere esaustivo a causa, soprattutto, delle risorse attribuite, potranno essere messi a disposizione di chi si occupa sia dell’organizzazione sia dell’erogazione della formazione aziendale.

2

La formazione nel commercio in Svizzera

Dal settembre 2003, dopo una sperimentazione durata quasi 10 anni, in Svizzera è stata introdotta una nuova formazione commerciale, che ha come particolarità principale quella di attribuire una maggiore responsabilità alle Aziende, non solo per quanto riguarda la formazione, ma anche per la valutazione degli apprendisti.

In questo loro lavoro le Aziende sono sostenute dalla Commissione Cantonale per la formazione nel commercio (www.ccpfc.ch) che ha anche il compito di organizzare i corsi interaziendali. Questi corsi servono sia quale complemento di informazione per il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento fissati, sia per la preparazione degli apprendisti ad affrontare gli esami. Se altre professioni già prevedono, da diversi anni, i CI, nel commercio questa modalità di erogare formazione professionale in un ambito che non è riconducibile direttamente alla scuola (CPC) o all’azienda stessa non è ancora riconosciuto quale componente a pieno titolo di tutto il percorso di formazione da tutte le parti interessate.

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Gli Stakeholders della Nuova Formazione Commerciale

Per motivi di tempo e per il fatto che il mandato ricevuto riguarda innanzitutto la formazione delle formatrici e dei formatori che intervengono ai CI, sono stati evidenziati quattro stakeholders di riferimento: ¾ le formatrici e i formatori ¾ l’autorità di vigilanza (la Divisione per la formazione professionale con i servizi a lei subordinati) ¾ le persone in formazione ¾ le aziende, nel duplice ruolo di datori di lavoro e formatrici professionali.

4

La percezione dei corsi interaziendali

Pur conscio di non aver provveduto a una ricerca con criteri scientifici, la percezione dei corsi interaziendali può essere così riprodotta:

Da queste percezioni vengono estrapolate le issues che necessitano, soprattutto, di un intervento a livello di comunicazione.

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Issues

Se la issue principale può essere riferita al fatto che i CI non sono ancora accettati quale parte integrante della formazione duale del percorso d’apprendistato, a dipendenza degli attori emergono altre issues che possono essere così riassunte:

A livello organizzativo bisogna inoltre tener conto che sussistono i seguenti aspetti pratici che la rendono molto più simile a una formazione scolastica che non a una formazione aziendale: ¾ non esiste un laboratorio, come in altri professioni, che riproduca il lavoro d’ufficio ¾ già il fatto che gli apprendisti non devono “indossare una tuta di lavoro” al momento in cui frequentano un CI fa si che l’identificazione nella professione non sia alta o, in molti casi, non ci sia del tutto ¾ per ovvi motivi, l’erogazione della formazione è legata a degli aspetti “scolastici”: o “la stanza” ricorda molto un’aula scolastica anche per i supporti fissi utilizzati (lavagna, flipchart, beamer, retroproiettore, ecc.) o il gruppo è, solitamente, composto da 12 a 16 partecipanti con obiettivi e compiti uguali, al contrario di quanto avviene nella loro realtà o il lavoro in comune è, necessariamente, composto anche da parti teoriche di sostegno o la figura del formatore è confusa con quella del o della docente della scuola (e alcuni sono contenti di farsi chiamare “sore” o “soressa”…) ¾ la presenza del “burbero” custode dell’immobile richiama molto la figura del bidello scolastico ¾ i formatori e le formatrici non hanno la possibilità di rilasciare una valutazione riconosciuta sull’operato dei partecipanti (viene unicamente allestita una valutazione sulla puntualità, sulla motivazione dimostrata, ecc.). Sarà soprattutto su questi aspetti che il workshop che sono stato chiamato a preparare e ad animare dovrà discutere. Da rilevare, tra i successi, il feedback positivo ottenuto con l’organizzazione del primo campionato regionale per impiegati di commercio. In particolare ¾ per gli apprendisti: in generale maggiore motivazione e coinvolgimento ¾ per i datori di lavoro: riconoscimento dello sforzo compiuto per avvicinare di più la formazione al mondo del lavoro ¾ per la DFP: sostegno a un’attività finora pilota nel campo della formazione commerciale ¾ per i formatori: più possibilità di uscire dal ruolo del “docente” per entrare in quello di “direttore d’azienda” Da rilevare anche l’interesse dei media, giornali, radio e televisioni, con copertura completa dell’avvenimento.

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Ripercussioni sui CI1

La situazione oggi può essere letta, oltre che nell’issue identificata, anche per il fatto che sono visti come una “giornata di vacanza” da parte degli apprendisti e “una perdita di tempo” da parte di alcune aziende che, a volte, rinunciano a mandare il proprio apprendista per non meglio precisati “motivi di lavoro” senza che possano essere sanzionati. Solo da parte delle formatrici e dei formatori la tenuta di questi corsi viene vista per quello che dovrebbe essere: un’opportunità di sostegno nel percorso di apprendistato.

7

Scopi e obiettivi del piano di comunicazione

Conscio che la comunicazione si traduce in questi elementi2

lo sforzo principale sta nell’adattare al contesto dei CI le attività e le variabili comunicative così come rappresentate graficamente negli appunti del prof. Lurati

Scopo di questa azione di comunicazione sarà quello di migliorare l’immagine dei CI, tramite un miglioramento della comunicazione interna e con le aziende, ma anche con misure di coinvolgimento degli stakeholders maggiormente toccati. Gli obiettivi dovranno essere pertanto riferiti ai singoli aspetti della comunicazione ma anche ai singoli pubblici, come meglio appare nella tabella riportata di seguito:

1

e di conseguenza anche sull’immagine della CCPFC quale responsabile dell’erogazione dei corsi

2

tratto dagli appunti personali presi durante la relazione del prof. Eddo Rigotti e non verificati dal relatore

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Pubblico destinatario

Obiettivi

Apprendisti

¾

¾

aumentare la consapevolezza presso almeno il 90 % degli apprendisti che i Ci sono utili per la loro formazione entro la fine del loro apprendistato aumentare la disponibilità di almeno il 90 % degli apprendisti a svolgere un’opera di divulgazione positiva sull’importanza dei CI entro giugno 2008

Aziende e datori di lavoro

¾

aumentare del 60% i pareri positivi delle aziende formatrici e dei datori di lavoro in generale in merito alla validità dei CI quale strumento di formazione integrata entro i prossimi tre anni

DFP

¾

assicurarsi entro giugno 2008 che il messaggio sulla validità dei CI sia diffuso in modo positivo da tutti gli operatori DFP coinvolti

Formatrici/tori

¾

aumentare nel gruppo dei formatori CI la consapevolezza dell’importanza di identificarsi nel ruolo di formatori più che di docenti entro la fine del 2008 aumentare lo scambio di esperienze tra formatrici e formatori CI entro fine 2008 aumentare la proattività delle formatrici e dei formatori nell’ottica di ottenere nuove modalità di insegnamento nei CI entro giugno 2008

¾ ¾

8

Misure

Sulla base degli obiettivi enunciati sopra, si possono prevedere le seguenti misure3: ¾ organizzare workshop e attività di “coesione” nel gruppo dei formatori CI per ottenere o un maggiore scambio di esperienze o un coinvolgimento e un’identificazione maggiori o delle linee guida adottate da tutti ¾ pubblicizzare presso le aziende, la DFP, gli apprendisti e l’opinione pubblica tramite Newsletters e i mass-media le attività dei CI e ribadire la loro importanza nell’ambito della formazione commerciale ¾ incrementare la “sponsorizzazione” delle aziende tramite la messa a disposizione di strutture o di casi pratici per rendere più vicina alla realtà la formazione CI ¾ creare nuove modalità di formazione più vicina alla realtà operativa degli apprendisti (laboratori, casi pratici, concorsi, ecc.) ¾ appoggiarsi su gruppi di progetto composti da maestri di tirocinio e formatori per la creazione di “corsi di sostegno” sia inseriti nei CI sia come offerta complementare ¾ istituire incontri regolari tra i formatori CI e i docenti CPC al fine di coordinare meglio l’insegna-mento delle diverse aree tematiche in ottica più professionale (per esempio con l’erogazione della teoria a scuola e l’elaborazione pratica nei CI)

3 per il momento si rinuncia a definire più in dettaglio l’adozione di queste misure per motivi di tempo e di risorse, nonché conscio dell’importanza di una condivisione delle idee di base con il gruppo dei formatori CI e con la CCPFC.

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Messaggi

I messaggi possono essere così formulati e abbinati ai singoli destinatari: Messaggio

Apprendisti

Aziende

Un sostegno sicuro

X

X

Un’opportunità di crescita professionale

X

Un nuovo modo di vedere il mondo professionale Per un futuro professionale più gratificante

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DFP

Formatori

X

X

X

X

X

X

X

X

X

X

X

Pubblico e mezzi di comunicazione utilizzabili

Sulla base degli appunti redatti durante le lezioni del prof. Lurati, posso allestire un rapporto tra i diversi pubblici destinatari e i mezzi di comunicazione come segue, evidenziando anche l’impatto che la mia comunicazione può avere su detti pubblici

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Il percorso cognitivo Consapevolezza

Interesse

Valutazione

Prova

Adozione

Apprendisti Aziende DFP Formatori CI Media/Opinione pubblica

Percorso primario Percorso secondario

Con questo percorso cognitivo si vuole arrivare a toccare prevalentemente i pubblici degli apprendisti e dei formatori, passando dalle aziende. Il sostegno dei media verrà richiesto quando si sarà arrivati ad avere un buon grado di consapevolezza a livello dei due pubblici primari, così

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Piano di comunicazione e media

Una proposta di piano di comunicazione diretta e tramite i media può essere rappresentata come segue: Apprendisti

Flyer di presentazione dei corsi Richiamo al momento della convocazione ai corsi

Incontri trimestrali di presentazione delle attività

Aziende

Contatti diretti per ottenere collaborazioni/sponsorizzazioni mirate Newsletter Incontro con gli operatori interessati per presentare le misure di comunicazione

DFP

Creazione di una commissione di coordinamento con rappresentanti DFP, della scuola e dei CI Workshop di condivisione e di costruzione comune per

Formatori

Modalità Contenuti

Incontri prima dei CI per la preparazione di linee guida comuni Incontri dopo le finestre dei CI per un feedback

Piano di comunicazione e media

Comunicato stampa di presentazione (entro fine novembre) Generico

Conferenza stampa dopo i primi risultati positivi Editoriali o interviste con le figure di riferimento Corriere del Ticino La Regione Giornale del Popolo Ticino Management

Giornali e riviste

Illustrazione Ticinese Ticino Business Azione Cooperazione Interviste con le figure di riferimento

RSI

Partecipazione a "tipi" o "modem" o "generazioni" o altri spazi utili

Massmedia

Interviste con le figure di riferimento Radio Fiume Ticino Radio

Partecipazione a trasmissioni ad hoc Promozione di uno spazio "apprendista di commercio"

Interviste con le figure di riferimento Radio iii

Partecipazione a trasmissioni ad hoc Promozione di uno spazio "apprendista di commercio" Interviste con le figure di riferimento

TSI

Partecipazione a "Buonasera" o ad altro spazio utile

Televisione

Interviste con le figure di riferimento Teleticino

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Partecipazione a "Piazza del Corriere" o ad altro spazio utile

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Marketing

Grazie all’intervento del prof. Snehota ho potuto farmi un’idea più precisa di cosa si può intendere come marketing dei servizi. In particolare prendo a prestito questa immagine Passaparola (referenze)

Aspettative

Esperienza (il vissuto)

Interazione (erogazione)

che ben rappresenta quanto sia importante il fatto che il progetto comunicativo può avere successo solo se esiste un coinvolgimento che porti all’acquisizione di una esperienza, a una interazione positiva che soddisfi le aspettative e, di conseguenza, a un passaparola positivo. Il fatto poi che l’apprendista, in particolare, ma anche le aziende si trovino in una situazione come quella rappresentata di seguito, il più delle volte in modo inconsapevole, ci deve portare a preparare non solo un piano di misure di miglioramento dell’erogazione e della comunicazione ma fare in modo che la consapevolezza del bisogno raggiunga i destinatari.

La maggior parte degli apprendisti non riesce, infatti, a vedersi come una persona in formazione che ha dei bisogni che l’azienda, la scuola e i CI possono colmare (le soluzioni) ma come un “operatore” già introdotto nel mondo del lavoro e pertanto già “autosufficiente” per le mansioni che deve svolgere.

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Conclusioni

La partecipazione al modulo 7 del MaGF e l’elaborazione del presente lavoro mi hanno permesso di analizzare in modo più strutturato la situazione dei corsi aziendali della nuova formazione commerciale, formazione che mi vede coinvolto nel duplice ruolo di formatore degli apprendisti, così come in quello di formatore dei formatori in azienda. La mia vuole essere un’analisi critica della situazione attuale per quanto attiene alle professioni del commercio e portare un contributo a un possibile cambiamento; non vuole essere, certamente, una valutazione dell’attuale modo di gestire la formazione degli apprendisti. Ringrazio già sin d’ora il Prof. Lurati per la sua valutazione e per i suggerimenti che mi vorrà dare in merito a questo argomento. Lugano, 10 novembre 2007

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Bibliografia •

Psicologia del lavoro, Guido Sarchielli, Il Mulino

Management e marketing dei servizi, Groonroos C., ISEDI

L’approccio psicosocioanalitico allo sviluppo delle organizzazioni, Forti D. e Varchetta G., FrancoAngeli Editore,

Image. Le metafore dell’organizzazione, Morgan G., a cura di M. Balducci, Franco Angeli

Leadership riflessive. La ricerca di anima nelle organizzazioni, Vitullo A., Apogeo

Le strategie della comunicazione umana, Mastronardi Vincenzo, FrancoAngeli Editore

Appunti personali e documentazione ricevuta dai singoli relatori durante il modulo 7 La gestione della comunicazione, Francesco Lurati, Eddo Rigotti, Jvan Snehota

Lavoro di certificazione del Modulo 5 “Le aspettative dei futuri impiegati di commercio vs le esigenze del mercato del lavoro: un’analisi empirica partendo dal modello di Leplat e Cuny”, Marco Ricci, relatore prof. Guido Sarchielli

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Master professionalizzante in

Gestione della Formazione per dirigenti di istituzioni formative

Certificazione Modulo 8 Relatore Prof. Armand Claude

Lavoro di certificazione: il Sistema di Gestione della Qualità nel nuovo corso TRIS Marco Ricci – Formatore aziendale diplomato. Titolare della Clic, formazione e consulenza formativa di M. Ricci e-mail: marco.ricci@clic-formazione.ch


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0 Mandato ¾

¾

parte obbligatoria: breve analisi della gestione della qualità nella propria sede: Cosa esiste già? Quali sono le esperienze fatte finora nella valutazione dell'apprendimento, dell'insegnamento, di aspetti strutturali o culturali della scuola? Esiste un'organizzazione specifica all'interno della sede per la gestione e lo sviluppo della qualità? Ci sono delle competenze particolari nel collegio docenti in questa materia? Quali sono le sfide maggiori, nei prossimi tempi, per uno sviluppo sistematico della qualità della scuola e dell'insegnamento? una parte a scelta, ad esempio: - una bozza di valutazione interna progettata al livello della sede - un piano per introdurre, nella scuola, il feedback periodico in relazione con l'insegnamento - l'inserimento di un progetto di sede già iniziato in un concetto più globale di gestione della qualità della stessa sede - l'inserimento di standards (p. es. della formazione professionale o di HarmoS) in un concetto globale di qualità.

1 Considerazioni generali La mia posizione di formatore e consulente aziendale freelance, titolare di una ditta individuale di formazione e di consulenza formativa, non mi permette di sviluppare, in modo completo e basato sulla realtà di un istituto scolastico, la prima parte del mandato. Pur collaborando con istituzioni formative, in particolare con la Sic Ticino nei corsi interaziendali per apprendisti di commercio, con il centro di formazione formatori (CFF) della Divisione per la formazione Professionale e con altri enti formativi, non ho mai avuto l’occasione di discutere con i responsabili del centro degli aspetti concernenti la gestione della qualità. Come già annunciato al prof. Claude, rinuncio all’elaborazione di questa prima parte. La mia esperienza professionale antecedente alla scelta di seguire la carriera di formatore è stata però maturata prevalentemente in grandi aziende, in particolare presso l’Unione di Banche Svizzere, poi diventata UBS SA. Nelle varie funzioni ricoperte ho sempre imparato ad applicare il sistema di gestione della qualità, in particolare il TQM, sia nell’operatività bancaria sia nella mia qualità di formatore e di responsabile della formazione in Ticino. Altre esperienze, più personali che professionali, mi hanno avvicinato ad altre forme di gestione della qualità quali l’EFQM e il New Public Management. A garanzia della qualità per i miei clienti ho comunque pubblicato sul mio sito internet (www.clic-formazione.ch) la seguente "carta dei principi": 1. Vogliamo offrire ai nostri clienti una consulenza globale nell'ambito della formazione. 2. Vogliamo erogare formazione unicamente nei campi definiti 3. Ci avvaliamo di partner riconosciuti per i campi in cui non possediamo le competenze necessarie 4. Ci impegniamo ad agire in modo trasparente e corretto con tutti i nostri partner 5. Crediamo nel valore della formazione continua: per questo motivo anche noi ci formiamo regolarmente

2 Il percorso TRIS 2.1 Il percorso TRIS Il percorso TRIS, Tecniche di Ricerca d’Impiego e Sostegno al collocamento, è una formazione istituita dall’Ufficio Misure Attive della Sezione del lavoro, destinata alle persone che fanno capo all’assicurazione contro la disoccupazione. Consta di una serie di incontri teorici, durante i quali vengono spiegati i vari aspetti legati al mondo del lavoro e le modalità da adottare per entrare in contatto con un possibile datore di lavoro, e di una parte pratica dedicata all’allestimento di Curriculum Vitae, lettere di candidature, allestimenti di strategie, ecc. Il TRIS nella modalità attuale Pagina 2 di 9


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andrà avanti fino alla fine dell’estate: dal 1° settembre 2008 i due enti erogatori, Fondazione Ecap Ticino – Unia e Labor Transfer SA, dovranno adottare un cambiamento radicale sia per quanto riguarda i contenuti, ma anche per quanto attiene a modalità e profili di formatori richiesti1. Nella pagina seguente rappresento graficamente gli stakeholders di questo percorso formativo.

Contrariamente ai corsi per i quali una persona decide volontariamente di partecipare, il percorso TRIS è una misura solitamente imposta dall’Ufficio di Collocamento Regionale (URC). Questo aspetto risulta essere fondamentale se paragonato con “I 6 criteri di eduQua” pubblicati sul sito www.eduQua.ch a beneficio dei consumatori 1. Offerte che, in materia di formazione soddisfano i bisogni generali e i bisogni particolari dei clienti; 2. Solidità e trasferibilità delle conoscenze e competenze acquisite dai partecipanti; 3. Presentazione trasparente delle offerte di formazione e delle opzioni pedagogiche; 4. Presentazioni orientate alla clientela, economiche, efficaci, efficienti; 5. Formatori impegnati e aggiornati sui più recenti sviluppi metodologici, didattici nel loro specifico campo d’insegnamento; 6. Impegno a garantire e sviluppare la qualità. Non entro nel merito dei punti che riguardano espressamente elementi di pertinenza dell’ente erogatore, in particolare i punti 3, 4 e 6, è però interessante osservare come nel caso di una formazione imposta la misura della qualità erogata può variare sulla base di situazioni contingenti.

2.2 Elementi difficilmente controllabili all’interno del percorso TRIS Il principale beneficiario, ma nel contempo anche il principale “interprete” di questa misura attiva, è sicuramente il/la partecipante2. E richiamo in questa sede i principi illustrati dal prof. Snehota durante il modulo sulla gestione della comunicazione al MaGF2 secondo i quali la riuscita di un servizio, costruito alla continua e costante presenza del beneficiario dello stesso, dipende in gran parte dalla partecipazione del beneficiario stesso. Quali sensazioni/emozioni può vivere il partecipante che si trova iscritto d’ufficio a un simile percorso? È ipotizzabile pensare che: ¾ non si senta motivato “a tornare a scuola” ¾ non si reputi bisognoso di tale formazione ¾ non sia disposto a condividere la propria esperienza con gli altri ¾ non sia disposto a riconoscere “il fallimento” della propria vita ¾ non sia una sua priorità rientrare nel mondo del lavoro3 ¾ ecc.

1

confronta capitolo 2.2 per praticità di lettura si userà solo la terminologia al maschile intendo però anche la versione al femminile 3 Ho conosciuto delle signore che se avessero trovato un nuovo posto di lavoro si sarebbero trovate veramente in grosse difficoltà a gestire il privato 2

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Possono esserci però anche dei riscontri positivi: ¾ riavere dei ritmi più regolari ¾ poter condividere la propria esperienza con gli altri ¾ avere grandi aspettative di vero sostegno ¾ ecc.

Altri elementi difficilmente controllabili sono invece da ricondurre alla personalità del formatore che interviene nel percorso. Già il profilo richiesto non è realizzabile sulla base di una formazione specifica: necessitano infatti si competenze di gestione d’aula a livello di formatore per adulti, ma, e soprattutto, conoscenze sulla comunicazione scritta e parlata, conoscenze sulla psicologia umana e, non da ultimo, una approfondita conoscenza del territorio e della sua situazione economica. Il punto 5 dei criteri di qualità di eduQua prevede che siano impiegati “Formatori impegnati e aggiornati sui più recenti sviluppi metodologici, didattici nel loro specifico campo d’insegnamento”: se questo è facilmente realizzabile in un contesto “classico” di insegnamento, sia in percorsi formativi sia in corsi estemporanei, risulta più difficile realizzarlo nel contesto TRIS. Per esempio ¾ è sufficiente un attestato professionale federale di formatore per adulti per poter svolgere questo compito? ¾ come vengono certificate e/o valutate le altre competenze richieste, siano esse emozionali (empatia, capacità di ascolto, piacere di lavorare in gruppo, ecc.) siano esse più razionali (conoscenza della LADI4, conoscenza del mercato del lavoro, conoscenza delle dinamiche interne ai singoli settori, ecc.)? ¾ quali offerte di formazione continua, intesa anche come scambio di esperienze tra formatori, possono essere realizzate? ¾ quanto può essere “impegnato” un formatore in un simile contesto? Ha senso un monte ore di presenza in sede di 1800 ore annue? ¾ ecc.

2.3 La definizione degli obiettivi Come ogni percorso formativo che si rispetti, anche nel percorso TRIS devono essere definiti, condivisi e accettati degli obiettivi5, espressi in un contratto psicologico di formazione. È fuori di dubbio che l’obiettivo principale del percorso è quello di portare il partecipante a rientrare, al più presto, nel mondo del lavoro, obiettivo che implica però anche “la buona volontà” di un datore di lavoro di assumere il partecipante. Orbene, finora, gli obiettivi erano puramente quantitativi, del genere ¾ realizzare un tot numero di CV ¾ allestire un certi numero di elenchi di possibili datori di lavoro ¾ effettuare un tot di ricerche mensili ¾ ecc. Risultati del genere ¾ aumento dell’autostima, ¾ maggior visione delle proprie possibilità e dei propri desideri, ¾ recupero della voglia di vivere una vista sociale, ¾ ecc. sembravano interessare solo la persona coinvolta e alcuni tra i formatori più “impegnati”. I risultati dimostrano invece che i migliori risultati si sono ottenuti quando la persona è riuscita a uscire dal “tunnel” della condizione demotivante, a trovare più soluzioni applicabili alla propria situazione, e in non pochi casi, a prendere in mano la propria vita e ad assumersi le proprie responsabilità.

4

legge federale sull’assicurazione contro la disoccupazione si rimanda in particolare a Massimo Bruscaglioni, La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli Editore, cap. 6 “La sessione di apertura di un corso e la stipulaione del contratto psicologico di formazione.” 5

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A questo punto viene da dire che “una soluzione standard” mal si coniuga con quanto enunciato dal punto 1 dei 6 principi eduQua, nel senso che l’ente erogatore deve proporre “offerte che, in materia di formazione soddisfano i bisogni generali e i bisogni particolari dei clienti”.

2.4 I cambiamenti che interverranno nel nuovo percorso TRIS Schematicamente possono essere riassunti in questa immagine (ho usato volontariamente la foto della schematizzazione uscita in una riunione di valutazione della nuova proposta):

Le figure di riferimento che già avevamo nella precedente soluzione (consulente URC e formatore) vengono affiancate da un coach che aiuterà il partecipante a migliorare, seguito dal formatore, le proprie conoscenze “tecniche” (allestimento di un CV personale, creazione di modelli di lettere, ricerca di possibili datori di lavoro, ecc.), ma altresì a “prendere in mano la propria vita” e a decidere “cosa vuole fare da grande”, indipendentemente dall’età. Durante i colloqui d’entrata nel percorso citavo sempre al partecipante la seguente frase: “Ognuno di noi è sicuramente un grande professionista nel proprio settore! Il problema è che continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto (ottenendo sempre gli stessi risultati…) credendo che l’essere in disoccupazione sia una professione. Ma non lo è…”

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3 La gestione della qualità nel nuovo percorso TRIS Anche in questo caso voglio commentare i punti salienti del Sistema di Gestione della Qualità con l’ausilio dell’immagine precedente

Per la prima fase del Sistema di Gestione della Qualità (SCQ) è, a mio parere, necessario allestire un documento tipo quello presentato dal signor Marco Quattropani6 durante il modulo, con il titolo “itinerario di progetto” (vedi allegato). Su questo documento potranno essere indicati sia i passi proposti, sia gli obiettivi qualitativi e quantitativi che dovranno essere raggiunti (contratto psicologico formativo). Sarà pertanto da considerare un documento “a più mani”: il partecipante, il collocatore, il coach ed eventuali altre persone se le misure proposte dovranno essere autorizzate da istanze speciali (per esempio il poter seguire uno stage). Alla fine del percorso si dovranno adottare due tipologie di valutazioni: la prima da parte del partecipante, la seconda da parte del coach e dei formatori intervenuti nel percorso formativo. Per il partecipante sarà più facile, partendo dal primo formulario “itinerario di progetto”, valutare con uno strumento tipo la “valutazione dell’attività di formazione continua” (vedi allegato) sia il raggiungimento degli obiettivi, sia gli stati d’animo provati durante il periodo in cui ha seguito il corso. Per il coach e i formatori è indispensabile allestire un documento tipo “il rapporto del docente” (vedi allegato) nella forma di autovalutazione della prestazione, da condividere con gli altri intervenuti. Risulta così, quasi naturalmente, applicato il principio della supervisione d’aula tra colleghi.

6

tutti i formulari citati e allegati sono stati presentati durante il modulo dal sig. Quattropani. Trattandosi per il momento di una proposta ho rinunciato a personalizzare i documenti. Pagina 6 di 9


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Fondamentale per l’applicazione “integrale” del SCQ che questa operazione sia vissuta non tanto come una formalità richiesta dalla certificazione eduQua, quanto come una vera opportunità di mettersi in discussione applicando il seguente principio definito da W. Edwards Deming

Lo stesso principio deve essere applicato anche dall’ente responsabile dell’erogazione della formazione che deve gestire aspetti quali ¾ la qualità dei contenuti proposti ¾ la valutazione dei coach e dei formatori, sia per quanto riguarda le competenze sia per le modalità che vengono adottato nella gestione d’aula e nell’elaborazione dei contenuti ¾ la formazione continua dei coach e dei formatori oltre, naturalmente, a tutti gli aspetti gestionali che riguardano la struttura. Diversi sono i documenti che possono essere utilizzati: l’importante è comunque definire in modo il più preciso possibile gli obiettivi che si vogliono conseguire come ente e misurare il loro raggiungimento. Uno strumento utile è sicuramente il “sinottico indicatori” (vedi allegato). Altra modalità utile per la gestione della qualità è la seguente

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Personalmente utilizzo questo strumento ogni qualvolta mi trovo confrontato con l’analisi dei bisogni di un committente e con il controllo finale con lo stesso mandante del raggiungimento degli obiettivi definiti.

4 Conclusioni La partecipazione al modulo 8 del MaGF e l’elaborazione del presente lavoro mi hanno permesso di analizzare in modo più strutturato la situazione del percorso TRIS, formazione che mi vede coinvolto nel duplice ruolo di consulente per la versione di base e di formatore per la versione riservata ai quadri medi e superiori. La mia vuole essere una proposta per l’introduzione di SGQ che possa portare ai seguenti risultati: ¾ maggior sensibilizzazione di tutte le parti alla qualità ¾ maggior considerazione degli aspetti relativi alla relazione, intendendo con questo più la relazione d’aiuto che un semplice rapporto tra docente e discente ¾ una evoluzione personale positiva dei futuri coach e degli attuali formatori del percorso TRIS. Ringrazio già sin d’ora il Prof. Armand Claude per la sua valutazione e, soprattutto, per i suggerimenti che mi vorrà dare in merito a questo argomento nell’ottica di un’applicazione pratica. Lugano, 27 marzo 2008

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5 Bibliografia Massimo Bruscaglioni La gestione dei processi nella formazione degli adulti Franco Angeli Editore Emilio Rago L’arte della formazione – Metafore della formazione esperienziale Franco Angeli Editore Bernard Froman, edizione italiana a cura di Maurizio Pincetti Nervi Il Manuale della qualità Franco Angeli Editore James L. Lamprecht L’applicazione delle norme Uni En ISO 9000 nelle piccole aziende Franco Angeli Editore Michael Pearn – Rajvinder Kandola L’analisi delle mansioni, dei compiti e dei ruoli Franco Angeli Editore A. Castiello D’Antonio Interviste e colloqui in azienda Raffaello Cortina Editore Gareth Morgan Images – Metafore dell’organizzazione Franco Angeli Editore Karl Albrecht Il servizio interno Franco Angeli Editore

6 Allegati Itinerario di progetto (esempio DFP) Rapporto del docente (esempio DFP) Valutazione attività formativa (esempio DFP) Sinottico indicatori (esempio DFP)

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Edizione

Modulo di lavoro

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Itinerario di progetto

Denominazione del progetto: ………………………………………………………………….. ………………………………………………………………….. No. di progetto:

……………………

Capo progetto:

…………………………………………………


Edizione

Modulo di lavoro

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: 31.05.07 : 2 di 2

Itinerario di progetto Fase n.

Denominazione

Commenti

1 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 2 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 2.9 2.10 2.11 2.12 2.13 2.14 2.15 2.16 3 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 3.9 4 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7 4.8

Fase introduttiva Nascita idea, o esigenza Prima valutazione Decisione (requisiti, possibilità) Designazione Capo progetto (CP) Preparazione strumenti gestione Fase concettuale Raccolta dati e informazioni Analisi situazione iniziale Impostazione obiettivi Costituzione team di progetto Sviluppo soluzioni (varianti) Valutazione varianti Scelta variante ottimale Pianificazione risorse finanziarie Pianificazione infrastrutture Considerazione aspetti giuridici (ev.) Definizione timing di progetto Allestimento rapporto Presentazione all’istanza competente Valutazione Decisione (fattibilità) Eventuali modifiche Fase di realizzazione Assegnazione risorse necessarie Attività di informazione Attività di formazione Coinvolgimento Attuazione della soluzione scelta Documentazione dei risultati Valutazione da parte del CP Decisione Eventuali modifiche Fase conclusiva Raccolta dati di progetto Chiusura aspetti contabili (rapporti) Sviluppo rapporto di riesame progetto Presentazione risultati al committente Accettazione / Validazione Eventuali modifiche Scioglimento del team di progetto Archiviazione dossier di progetto

Data

Resp.

Elenco, Itinerario

Il capo progetto allestisce per ogni progetto un itinerario, che può non includere alcune delle attività sopra descritte. Devono comunque sempre essere presenti: • La definizione degli obiettivi del progetto • L’analisi di fattibilità • La pianificazione • Lo sviluppo della fase concettuale • Le verifiche della progettazione • Le eventuali modifiche • Il riesame e la validazione

Data

Nome del Capo progetto

Visto


Edizione : 12.07 Pagina : 1 di 2

Modulo di lavoro

RAPPORTO DEL DOCENTE

Nome e Cognome del docente Materie di insegnamento Grado di occupazione nell’istituto Anni di insegnamento Luogo e data Significato delle valutazioni 1 2 3 4

insufficiente, no, non soddisfatto sufficiente, abbastanza, abbastanza soddisfatto buono, sì, soddisfatto eccellente, assolutamente sì, molto soddisfatto 1

Aspetti relativi alla didattica Sono soddisfatto delle prestazioni e della qualità dell’insegnamento fornito Il clima generale delle classi è favorevole all’apprendimento nelle mie materie Alla fine del ciclo formativo ritengo di aver conseguito gli obiettivi pianificati I programmi di insegnamento sono adeguati alle attuali esigenze La documentazione didattica soddisfa le esigenze Le attrezzature didattiche soddisfano le esigenze Il comportamento delle classi è soddisfacente dal punto di vista della disciplina Commenti (se necessario)

Aspetti relazionali Le relazioni personali con le persone in formazione sono ottime Le relazioni personali con i rappresentanti legali delle PIF sono ottime Le relazioni personali con i colleghi sono ottime Le relazioni personali con la direzione sono ottime Le relazioni personali con il personale amministrativo sono ottime Commenti (se necessario)

2

3

4


Edizione : 12.07 Pagina : 2 di 2

Modulo di lavoro

RAPPORTO DEL DOCENTE

1 Aspetti organizzativi La politica e gli obiettivi generali dell’istituto sono assolutamente chiari L’impostazione organizzativa dell’istituto mi soddisfa pienamente La struttura logistica dell’istituto soddisfa le esigenze (spazi e infrastrutture) L’impostazione della griglia oraria è ottima Le misure di sicurezza sono adeguate (pianificazione, prevenzione, informazione) Commenti (se necessario)

Servizi La Segreteria assicura un servizio accurato La portineria assicura un servizio accurato Il servizio di pulizia assicura un servizio accurato La Biblioteca risponde alle esigenze dell’istituto Il servizio informatico risponde alle esigenze dell’utenza Commenti (se necessario)

Aspetti personali Mi identifico con l’istituto Mi sento considerato dalla direzione e dai colleghi Il carico di lavoro è adeguatamente dimensionato Commenti (se necessario)

2

3

4


Edizione : 07.04 Pagina : 1 di 2

Modulo di lavoro

Valutazione attività di formazione continua

Con il presente questionario le chiediamo di aiutarci a capire in che misura il seminario / corso al quale lei ha partecipato ha risposto alle sue aspettative. Il documento costituirà un importante feedback per la pianificazione, rispettivamente il miglioramento, delle future offerte formative del TQ. Denominazione del seminario / corso .......................................................................................................................................................... Data, o periodo di svolgimento .......................................................................................................................................................... Significato delle valutazioni 1 2 3 4

insufficiente, no sufficiente, abbastanza buono, sì eccellente, assolutamente sì 1

Valutazione generale del seminario / corso Obiettivi Gli obiettivi del seminario / corso le erano noti e chiari sin dall’inizio Il tema del seminario / corso era coerente con la sua attuale funzione o attività Contenuti e argomenti trattati I contenuti corrispondevano alle sue aspettative La scelta dei contenuti del seminario / corso era coerente con gli obiettivi Quali argomenti aggiungere Quali argomenti ampliare Quali argomenti ridurre Quali argomenti sopprimere Svolgimento La discussione dei casi e/o le esercitazioni sono state utili Le discussioni di gruppo e/o in plenum sono state utili I supporti audio e/o video sono risultati efficaci La quantità della documentazione era adeguata allo scopo La qualità della documentazione era ottima Gli argomenti sono stati trattati con chiarezza dal relatore ….. Gli argomenti sono stati trattati con chiarezza dal relatore ….. Gli argomenti sono stati trattati con chiarezza dal relatore ….. Gli argomenti sono stati trattati con chiarezza dal relatore ….. Il contributo degli altri partecipanti è stato importante Durante i lavori, i punti di vista dei partecipanti sono stati presi in considerazione Il tempo previsto per gli esercizi e le esemplificazioni era adeguato alla necessità La sede del corso è risultata efficace

2

3

4


Modulo di lavoro

Edizione : 07.04 Pagina : 2 di 2

Valutazione attività di formazione continua

Impatto sull’attività Le conoscenze acquisite sono immediatamente trasferibili nella mia attività Le conoscenze acquisite saranno trasferibili a medio-lungo termine nella mia attività Conclusioni La durata del seminario / corso era adeguata alla necessità Il seminario / corso ha fatto nascere in lei nuove esigenze Se sì, quali Se no, perché Ulteriori commenti al presente seminario / corso

Suggerimenti relativi ad ev. approfondimenti, oppure proposte per ulteriori attività formative


Edizione : 11.07 Pagina : 1 di 1

Modulo di lavoro

SINOTTICO INDICATORI

Anno scolastico

2005 / 2006

Processo

Indicatore

Fonte dati

Valore ideale

Valore misurato

MP1

Livello di aggiornamento dei docenti

ML1-..

50 h/anno

MP2

Livello di successo agli esami MPx

ML2-..

MP3

Livello minimo di soddisfazione partecipanti corsi FC

MP4

Intensità attività di progetto

MP5

Attività della biblioteca

Data

15 settembre 2006

Indice conseguimento

Provvedimenti

Respopnsabile

35 h/anno

Migliore pianificazione Sensibilizzazione docenti

D

90%

100%

Temi più impegnativi Maggior rigore nella val.

RMP

ML3-..

75%

50%

Analisi di dettaglio feedback → Azioni

RFC

ML4-..

5 prog./anno

7 prog./anno

ML5-..

800 pr./anno

450 pr./anno

Il Gestore della Qualità (GQ)

25%

50%

75%

100%

Migliorare l’informazione Incrementare att. ricerca Alessandro Bianchi

RBIB Docenti


Master professionalizzante in

Gestione della Formazione per dirigenti di istituzioni formative

Certificazione Modulo 8

Valutazione e gestione della qualità Relatore Prof. Armand Claude (claude-degen@tic.ch)

Auditing interno delle attività pedagogiche - 2 L’auto - valutazione formativa espressa dai relatori Approfondimento in forma di presentazione e documento di lavoro

Walter Seghizzi – Formatore aziendale dipl. fed., Direttore del Centro di formazione per formatori (CFF) della DFP e dei corsi federali per periti d’esame (IUFFP) walter.seghizzi@bluewin.ch

1


Sommario ABSTRACT ........................................................................................................................................................3 BREVE PRESENTAZIONE DEL CENTRO .......................................................................................................3 ASSICURAZIONE E SVILUPPO DELLA QUALITÀ.........................................................................................7 Come viene fornita l’immagine della qualità ..............................................................................................7 Persone responsabili della qualità e persone che controllano la qualità...................................................7 Definizione degli obiettivi ...........................................................................................................................7 Provvedimenti adottati per soddisfare i criteri............................................................................................8 Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità ..............................................................................8 Valutazione e autovalutazione...................................................................................................................8 MAPPATURA SEMPLIFICATA DEI PROFILI.................................................................................................10 PROFILO DELLE QUALIFICHE, DIPLOMI.....................................................................................................10 ASSICURAZIONE, MANTENIMENTO E SVILUPPO DELLA QUALITÀ DELLE ATTIVITÀ (EROGAZIONE) FORMATIVE PRESSO IL CFF ........................................................................................................................11 CONCETTO E PROCEDURA PER L’ALLESTIMENTO DI UN’AUTOVALUTAZIONE DEI RELATORI ....................................11 Il corso di base per formatori di apprendisti in azienda ...........................................................................11 Introduzione ........................................................................................................................................................11 Vantaggi e svantaggi del concetto proposto........................................................................................................11 Procedura............................................................................................................................................................11

GESTIONE DELLE EVIDENZE A SEGUITO DELLE AUTOVALUTAZIONI ......................................................................12 SCELTA DEI CRITERI DA VALUTARE..........................................................................................................12 ANALISI E SCOMPOSIZIONE DEL FORMULARIO DI VALUTAZIONE .......................................................12 CONCLUSIONI ................................................................................................................................................13 ALLEGATO 1 ...................................................................................................................................................14 ALLEGATO 2 ...................................................................................................................................................15 METODO DI VALUTAZIONE INTERNA ..................................................................................................................15 ALLEGATO 3 ...................................................................................................................................................17 TABELLA SINOTTICA TEMI E ARGOMENTI / RISPOSTE (PROF. A. CLAUDE FOGLIO LAVORO D’ESAME DEL 25 GENNAIO

2007) ............................................................................................................................................................17 ALLEGATO 4 ...................................................................................................................................................18 DIAGRAMMA DI FLUSSO- PROCESSO DI REDAZIONE DELL’AUTOVALUTAZIONE ......................................................18

2


Abstract Il seguente approfondimento dal titolo “Auditing interno delle attività pedagogiche - 2”, in forma di presentazione e di documento di lavoro, è stato elaborato per il duplice scopo di conseguire la ricertificazione EduQua del Centro di formazione per formatori della Divisione della formazione professionale (CFF della DFP) ottenuta, la prima volta, il 26 settembre 2005 e di poter quindi implementare definitivamente l’auditing interno attraverso un percorso formativo e certificativo in seno al MaGF2. Per quest’ultimo motivo il presente documento viene sottoposto al Prof. Armand Claude. L’attività di auditing interno, detta anche di shadowing , peer review, oppure conosciuta come presenza di un “amico critico”, viene considerata dalla norma (cfr. www.eduqua.ch) come indispensabile. A fronte di questa “affermazione istituzionale” ne è seguita una personale e operativa; quali sarebbero stati gli ostacoli nell’introduzione di tale modalità? Quali i pericoli e quali e vantaggi? Come sarebbe stata vissuta dai colleghi la vicendevole osservazione delle attività didattiche all’interno della sacralità dell’aula? Ci si è ben presto resi conto che introdurre il sistema in modo semplificato e destrutturato non avrebbe risposto alle domande e che il clima, a fronte della scarsa soggettiva volontà di comprensione, avrebbe evidenziato unicamente le criticità del sistema. Sono personalmente convinto, al contrario, che la condivisione dei momenti formativi possa aggiungere valore alle “prestazioni” dei singoli attori, evidenziare competenze distintive dei formatori e inferire qualità e trasparenza alle attività del CFF. L’Auditing interno è stato implementato ed è stato oggetto del lavoro d’approfondimento del modulo 4 del MaGF (rel. Prof. M. Balducci). Il processo funziona e la raccolta dei dati è costante. I risultati vengono discussi con i singoli relatori e complessivamente riportati nel rapporto di direzione annuale. Per poter completare il discorso legato all’auditing interno - da qui il titolo Auditing interno delle attività pedagogiche - 2 , sto elaborando un sistema di controllo e di autovalutazione dei relatori del corso di base interprofessionale per formatori di apprendisti in azienda. Si tratta, in altre parole, di un nuovo strumento di (auto)-valutazione formativa da utilizzare nel confronto delle espressioni di valutazione che i partecipanti forniscono al termine del corso. Lo strumento è volto, quindi, a permettere la raccolta di dati qualitativi per il miglioramento continuo dell’erogazione formativa.

Breve presentazione del Centro Il centro di formazione per formatori (CFF) è un servizio della Divisione della formazione professionale (DFP) del DECS – Cantone Ticino. Dal 1978, anno d'introduzione della Legge federale sulla formazione professionale (LFP) che lo prescriveva, si occupa dell'organizzazione della formazione degli, allora, denominati "Maestri di Tirocinio". È del 1980, inoltre, l'emanazione federale di una specifica ordinanza che, oltre a ribadirne l'obbligatorietà, fissa precisi parametri sulle durate e sui contenuti minimi, imposti agli enti di formazione cantonali incaricati. Dal 1° gennaio 2004, data dell'entrata in vigore della nuova LFPr, tale figura è stata rinominata in "Formatori di apprendisti in azienda", mantenendo altresì l'obbligatorietà di frequenza al corso per tutti coloro i quali intendono assumere e formare un tirocinante.

3


I partecipanti al corso di base per formatori sono progressivamente aumentati nel corso degli anni (vedi grafico sottostante), passando in 10 anni da 290 a 480 all'anno (con il miglior risultato di 520 nel 2006). Una massa critica importante quindi, anche quale significativo indicatore della soddisfazione sui contenuti e sulle modalità d'erogazione. Partecipanti 600 500

480

400 292 314 318 301 303 298

300

419

357 386

520 480

379 399

200 100 0

1994

1995

1996 1997

1998

1999

2000

2001 2002

2003

2004

2005 2006

2007

Partecipanti 292

314

318

303

298

357

386

379

399

480

480

301

419

520

In adeguata considerazione, alfine di affinare i dettagli ma restando nei parametri dell'ordinanza precedentemente citata, vengono tenute le valutazioni espresse dai partecipanti alla fine di ogni corso. Queste vengono statisticate, analizzate e prese in considerazione in modo puntuale. In occasioni di specifiche riunioni vengono rese note al plenum dei formatori. Oltre a ciò vengono condotti dal responsabile colloqui personali con ogni formatore, aventi lo scopo di approfondire gli aspetti valutativi legati allo specifico docente. Riportiamo a mo' di esempio la statistica1 relativa all'anno scolastico 2006/2007

Valutazione e aree di miglioramento o Interesse per l’argomento trattato o Utilità dell’argomento trattato o Competenza specifica del formatore o Capacità d’animazione del formatore

5,20 5,20 5,19 5,29 5,21

o Valutazione media

Solidità e trasferibilità delle conoscenze e competenze acquisite dai partecipanti Non solo attraverso le valutazioni, già citate, espresse dai partecipanti, bensì anche da feedback rilevati e riportatici dagli Ispettori di tirocinio della DFP, siamo in grado di affermare che le modalità esercitate durante l'erogazione formativa, facilitano e permettono un'acquisizione di competenze solide ed applicabili immediatamente nella pratica professionale quotidiana. Oltre a ciò la documentazione consegnata in aula ha proprio lo scopo, per cui così assemblata, di permettere un'efficace consultazione anche dopo la frequenza del

1

espressione del valore in base alle note scolastiche (da 1 a 6)

4


corso. Ogni tema, ogni lezione è supportata in modo chiaramente intelleggibile da supporti cartacei suddivisi per capitolo (area d'intervento) e tema. A partire dallo scorso mese di settembre 2006, viene consegnato in aula anche il nuovo Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda (http://hb.dbk.ch/it/index.php) edito dalla DBK (www.dbk.ch) in collaborazione con la CSFP (www.csfp.ch) e con i Cantoni. Presentazione trasparente delle offerte di formazione e delle opzioni pedagogiche Già con la pubblicazione dell'offerta del CFF per l'anno 2005 è stato deciso di optare per una crasi dei precedenti opuscoli. Fino al 2004, infatti, l'offerta formativa del CFF era suddivisa distintamente in 3 parti: o corsi di base per Maestri di tirocinio o corsi di perfezionamento per Maestri di tirocinio o corsi di base per periti d'esame Questa operazione ha evidenziato vicendevolmente alle diverse figure professionali gli indirizzi specifici, creando grande interesse. Sia alla fine di gennaio 2007 sia alla fine dello stesso mese del 2008, più del 60% delle offerte formative proposte risultava già completa. Molte richieste d'iscrizione hanno dovuto essere dirottate su altri corsi. Prestazioni orientate al cliente, economiche, efficaci ed efficienti Un primo indicatore di leggibilità delle attività del CFF in funzione dell'orientamento al cliente risulta essere, a nostro avviso, già stato citato in relazione al gradimento espresso, al termine del corso, dai partecipanti stessi. Un secondo è costituito dalle frequenti e importanti rivisitazioni del contenuto dei vari interventi (programma di formazione), dall'offerta di molteplici possibilità d'iscrizione ai corsi (diurni, serali, e in diverse località del Cantone). Per quanto attiene all'economicità dell'offerta, rileviamo che la tassa (CHF 300.- fino al 2004, CHF 320.- dal 01.01.05 e ulteriormente modificata in CHF. 350.- dal 1° gennaio 2007) risulta essere un prezzo politico, assolutamente conveniente e che non copre i costi vivi di progettazione, programmazione ed erogazione del corso. Vista l'obbligatorietà secondo la LFPr, di cui abbiamo già riferito, il Cantone, responsabile per l'organizzazione dei corsi, si assume la parte non coperta dal contributo finanziario degli iscritti. Il costo orario ammonta a CHF 8.75/UD2. Il parametro legato all'efficacia è misurabile nel seguente modo: o crescente numero di partecipanti o feedback ricevuti dagli ispettori del tirocinio o feedback ricevuti dagli stessi partecipanti, dopo qualche tempo, in occasione della loro partecipazione a corsi di perfezionamento o per periti d'esame o iscrizione alla procedura di qualificazione per l’ottenimento del Diploma di formatore di apprendisti, riconosciuto dalla confederazione Quello dell'efficienza è evincibile dalla tabella e dal grafico sottostanti. A fronte di un numero relativamente esiguo di collaboratori che si occupano, a vario titolo, della progettazione, programmazione ed erogazione del corso, rileviamo che, per esempio, nel 2007 a

2

UD: unità didattica di 45 minuti

5


fronte di 4.45 collaboratori impiegati, sono stati incassati CHF 402'980.-, il che corrisponderebbe ad un incasso per singolo collaboratore di ben CHF 90'557.30 Anno 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Consuntivo entrate CFF CHF 60'000 CHF 65'133 CHF 61'040 CHF 70'350 CHF 100'350 CHF 90'000 CHF 104'380 CHF 110'637 CHF 230'000 CHF 224'745 CHF 269'000 CHF 442’392 CHF 348’342 CHF 402’980

Unità RU

Partecipanti

Tassa /Unità RU

2.00 1.67 1.67 1.67 2.25 2.87 2.10 3.60 3.20 3.35 2.85 3.85 3.85 4.45

292 314 318 301 303 298 357 386 419 379 399 480 520 480

30000 39002 36551 42126 44600 31359 49705 30732 71875 67088 94386 114907 90478 90557

Formatori impegnati e aggiornati sui più recenti sviluppi metodologici, didattici e nel loro specifico campo d'insegnamento I formatori attivi vengono invitati ad un corso di aggiornamento ogni anno. Viene offerta loro una giornata di formazione specifica. Ad esempio: o anno 2003: Giochi pedagogici per l'aula o anno 2004: PNL e comunicazione pedagogica o anno 2005: Atteggiamento e linguaggio durante l'insegnamento o anno 2006: Il riflesso dell'adulto sul disagio adolescenziale o anno 2007: La definizione delle competenze distintive o anno 2008: L’importanza del feedback nelle attività di formazione3 Alfine di permettere all'intero Team la restituzione e la messa in comune dei risultati, in itinere e finali, viene convocata almeno una riunione annuale. La quasi totalità dei docenti del CFF è, inoltre, attiva professionalmente nel proprio campo d'attività o lo è stata fino a pochi mesi fa. Questo garantisce l'approvvigionamento delle competenze in modo certificabile, automatico ed economicamente conveniente. Impegno di garantire e sviluppare la qualità Abbiamo dimostrato, nel corso degli anni, che il modello attuato in Ticino è stato un riferimento importante per altri Cantoni. La nostra appartenenza a diversi gruppi di lavoro e commissioni a livello federale lo dimostra. Per questo motivo un nostro rappresentante non è richiesto unicamente per questioni linguistiche, anzi. L'apprezzamento in questo

3

progetto: il corso dovrebbe tenersi entro la metà del mese di giugno 2008. La data non è ancora stata definita.

6


ambito travalica gli aspetti formali e la rete di relazioni che si è costituita a livello intercantonale, permette un ulteriore sviluppo dell'approccio ai sistemi, alla gestione e al consolidamento dei processi qualitativi.

Assicurazione e sviluppo della qualità Come viene fornita l’immagine della qualità Il CFF organizza e sviluppa durante l’anno diverse riunioni e conferenze per verificare se la qualità proposta ai corsisti professionisti ha raggiunto il livello voluto. Durante queste riunioni vengono espresse critiche, idee, proposte onde migliorare costantemente la qualità formativa.

Persone responsabili della qualità e persone che controllano la qualità Il Direttore del CFF ed i suoi collaboratori stabili, sono responsabili del processo di assicurazione della qualità e sono pure le persone che controllano la qualità tramite regolari verifiche verbalizzate le quali vengono riassunte in un rapporto annuale e sottoposte alla Direzione della DFP, nonché agli interlocutori privilegiati dell’Istituto universitario federale per la formazione professionale (EHB / IFFP / IUFFP). I contenuti della qualità vengono definiti come segue4: •

L’istituzione considera chiari i seguenti punti per la qualità o Raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi per ogni corso o Valutazione dell’efficacia del corso tramite un formulario di valutazione o Mantenimento di uno standard di qualità adeguato, per rapporto all’evoluzione nel campo della formazione di base e continua o Continua verifica e adattamento ai bisogni riscontrati o alle difficoltà espresse nelle valutazioni dei partecipanti o NUOVO: autovalutazione dei relatori ai corsi di base per formatori di apprendisti in azienda5

Definizione degli obiettivi L’istituzione si impone quale valore di qualità che almeno l’80% dei partecipanti ai vari corsi abbiano a conseguire il successo. La frequenza al corso da parte dei partecipanti non può essere inferiore all’85%, di conseguenza maggiori assenze non danno diritto a conseguire una certificazione del corso.

4 5

Cfr. Allegato 2 al presente documento oggetto di questo lavoro di approfondimento

7


Provvedimenti adottati per soddisfare i criteri Se dalle verifiche eseguite tramite questionari sottoposti ai corsisti risultasse che la qualità di formazione non è stata raggiunta, i responsabili attiverebbero dei corsi d’aggiornamento specifici per i formatori mirati a migliorare la qualità di formazione. Ulteriori interventi vengono confrontati e discussi con i responsabili dello stesso settore a livello federale nelle diverse commissioni (SDBB, SBBK ecc.).

Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità L’istituzione, per il tramite dei collaboratori del CFF all’inizio di ogni anno, attiva le necessarie verifiche e fissa nuovi obiettivi tendenti ad ottenere un sempre miglior grado di qualità.

Valutazione e autovalutazione6 Entrambe sono costituite da un insieme di attività conoscitive, finalizzate all’apprendimento e al miglioramento, le quali: consentono di esprimere un giudizio valutativo sono strutturate nell’ambito di una procedura di ricerca e di analisi rigorosa possono essere un’utile lezione per coloro che affrontano la gestione e il controllo dei processi dell’istituzione formativa sono finalizzate al miglioramento continuo dei risultati (dapprima) e dei processi (dopo) [PDCA]. La valutazione e l’autovalutazione devono essere inseriti in una struttura e una procedura di ricerca per poter avere un risultato utilizzabile. Questo richiede un apprendimento da parte di tutti i coinvolti. L’autovalutazione è comunque un ottimo strumento per la crescita degli attori. Dopo il processo di valutazione deve aver seguito il piano di miglioramento, altrimenti non c’è scopo di effettuare una valutazione. Valutazione

Autovalutazione

È condotta da soggetti esterni (coinvolgimento emotivo minore…) Spesso è garantita completa autonomia / indipendenza a chi valuta

È messa in pratica dagli attori coinvolti nei processi (certi particolari possono sfuggire per “abitudine”) Non sempre è garantita completa autonomia / indipendenza a chi valuta (per es. la paura di perdere il posto…) Talvolta è difficile essere oggettivi (manca p.es. la competenza nel valutare oppure il confronto con altre realtà) Talvolta la conoscenza dei processi è approfondita e diretta

Talvolta è possibile un buon grado di oggettività

Spesso la conoscenza dei processi è superficiale e indiretta (l’organizzazione può fargli vedere solo quello che vuole…) È “estranea” all’organizzazione (che però paga la valutazione…)

6

“Appartiene” all’organizzazione

dagli appunti del Modulo 8 / MaGF2

8


A fronte delle considerazioni citate, nonché riflettendo ex - post sulle discussioni e sullo scambio di esperienze avvenute in aula a Lugano, durante l’intero Modulo, ho optato per un processo di autovalutazione 1. decidere come organizzare e pianificare l’autovalutazione (AV) far si che la decisione del management sia consapevole e fondata sulla consultazione dei portatori di interesse definire ambito e approccio dell’AV scegliere ilo sistema di punteggio nominare un responsabile di progetto

2. Comunicare il progetto di autovalutazione definire e avviare un piano di comunicazione stimolare il coinvolgimento del personale nell’AV comunicare con i portatori di interesse durante le varie fasi

3. Formare uno o più gruppi di autovalutazione decidere il numero dei gruppi di autovalutazione creare un gruppo di autovalutazione rappresentativo dell’organizzazione in tutti isuoi aspetti attenendosi a criteri predefiniti scegliere il moderatore del gruppo (i) decidere se i dirigenti devono essere parte del gruppo

4. Organizzare la formazione informare e curare la formazione del management (secondo le esigenze) informare e curare la formazione del gruppo di AV il responsabile del progetto fornisce un elenco di tutti i documenti ritenuti significativi definire i principali portatori di interesse, i prodotti e servizi erogati e i processi chiave

5. Condurre l’autovalutazione condurre la valutazione individuale raggiungere il consenso nel gruppo assegnare il punteggio

6. Stendere un report descrittivo dei risultati dell’autovalutazione 7. Delineare un piano di miglioramento basato sui contenuti del rapporto di AV identificare le priorità di azione collocare le azioni secondo un piano di sviluppo temporale realistico integrare il piano nel normale processo di pianificazione strategica

8. Comunicare il piano di miglioramento 9. Attuare il piano di miglioramento definire un approccio coerente del monitoraggio e valutazione delle azioni di miglioramento basato sul ciclo PDCA nominare un responsabile per ciascuna delle azioni previste inserire nell’attività ordinaria le nuove modalità di gestione risultate appropriate

10.Pianificare la successiva autovalutazione valutare l’esito delle azioni di miglioramento attraverso una nuova autovalutazione

9


Mappatura semplificata dei profili Centro di formazione per formatori della DFP Profilo delle qualifiche, diplomi Il profilo ideale, richiesto ai nostri formatori, è il seguente: •

Licenza universitaria conseguita nell'ambito della psicologia rispettivamente nell'ambito della pedagogia / scienze dell'educazione

Diploma federale di formatore aziendale

Certificato quale formatore di adulti (FSEA 1)

Altre formazioni equivalenti

Comprovata esperienza nel campo della formazione di adulti in ambiti attinenti agli obiettivi del corso / dei singolo modulo / dei singoli interventi formativi

Esperienza diretta nel mondo economico – aziendale o in settori specifici di riferimento, precedente e/o attuale

Disponibilità all'aggiornamento ed alla formazione continua

Buone conoscenze sull'uso dei moderni mezzi interattivi a scopo didattico

Attitudine al lavoro in Team e spiccata volontà di tendere al continuo miglioramento dell'offerta formativa

Deve essere presente, nelle competenze personali, l'impegno per l'assicurazione e lo sviluppo della qualità

Il profilo ideale, richiesto al responsabile della formazione continua del CFF, è il seguente: • •

Licenza universitaria conseguita nell'ambito della psicologia rispettivamente nell'ambito della pedagogia / scienze dell'educazione MaGF, Master professionalizzante in gestione della formazione

Diploma federale di formatore aziendale

Altre formazioni equivalenti

Comprovata esperienza nel campo della formazione di adulti in ambiti attinenti agli obiettivi del corso / dei singolo modulo / dei singoli interventi formativi

Esperienza diretta nel mondo economico – aziendale o in settori specifici di riferimento, precedente e/o attuale

Esperienza comprovata nella progettazione di curricula formativi diversificati nella forma e nei contenuti, sia di breve sia di lunga durata.

Disponibilità all'aggiornamento ed alla formazione continua

Buone conoscenze sull'uso dei moderni mezzi interattivi a scopo didattico

Attitudine al lavoro in Team e spiccata volontà di tendere al continuo miglioramento dell'offerta formativa

Buone conoscenze delle lingue ufficiali, parlate e scritte

Deve essere presente, nelle competenze personali, l'impegno per l'assicurazione e lo sviluppo della qualità

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Assicurazione, mantenimento e sviluppo della qualità delle attività (erogazione) formative presso il CFF Concetto e procedura per l’allestimento di un’autovalutazione dei relatori Il corso di base per formatori di apprendisti in azienda Introduzione Alfine di assicurare, mantenere e sviluppare la qualità delle attività formative (erogazione) presso il CFF, si rende necessaria l'applicazione di uno strumento autovalutativo, facendo capo alle soggettive competenze e percezioni dei formatori. Con un sistema pianificato di autovalutazioni, al termine di ogni intervento, il formatore esprime la propria percezione sulla lezione che ha appena animato. Questi dati qualitativi, analizzati e messi a confronto con quelli espressi dai partecipanti al termine di ogni corso (come finora), ci consentono di arricchire il quadro valutativo e di maggiormente intervenire dove necessario. Vantaggi e svantaggi del concetto proposto VANTAGGI

SVANTAGGI

Ogni relatore si sente responsabile della prestazione e della relativa valutazione (autovalutazione) La qualità degli interventi e quindi anche la percezione dei fruitori delle attività formative aumenta, grazie al contributo e alle autovalutazione dei colleghi Aumenta la sensibilità verso gli aspetti legati all'assicurazione, al mantenimento e allo sviluppo della qualità

Il relatore deve restare molto distante dagli aspetti emozionali ed esprimere quindi un’autovalutazione corretta Il formatore, a meno di eventi particolarmente rilevanti, tenderà a redigere “uniformemente” lo strumento di autovalutazione (appiattimento) La mole di lavoro aumenta sia per il personale del CFF (lettura e gestione dei feedback) sia per i relatori, a loro volta già impegnati in attività formative.

A seguito della lettura dei feedback redatti e presentati dai formatori è più facilmente interpretabile la necessità di adattare temi, tempi, metodi, nonché aspetti logistici È possibile confrontare il risultato delle autovalutazioni con il risultato derivante dall'espressione valutativa dei partecipanti

Procedura CHI

QUANDO

COSA

COME

Direttore del CFF

alla fine di ogni periodo

redige lo strumento di autovalutazione misura e riassume la valutazione nelle apposite tabelle (statistica) verifica e analizza i dati

strumento previsto

Segretariato dei corsi

alla fine dell’intervento alla ricezione del formulario

Direttore del CFF

correntemente a seguito delle autovalutazioni

Direttore del CFF

entro fine anno corrente

Formatore

Discute con il formatore interessato i contenuti ritenuti vicendevolmente interessanti Restituzione dei risultati globali

11

OSSERVAZIONI

tabelle e grafici

redige una ricapitolazione (che è contenuta nel rapporto di revisione della direzione del CFF) Colloquio personale

Riunione conclusiva CFF

se ritenuto necessario

Organizzazione delle sessioni formative e di aggiornamento pedagogico – didattico per il team dei


formatori del CFF

Gestione delle evidenze a seguito delle autovalutazioni Come precedentemente affermato, obiettivo precipuo del sistema autovalutativo è attinente alla garanzia, alla gestione e al costante miglioramento qualitativo pedagogico – andragogico – didattico. Il trattamento delle evidenze e delle risultanze, come si potrà evincere dal formulario, sarà gestito dal responsabile della qualità del CFF (nel caso concreto dal sottoscritto).

Scelta dei criteri da valutare La scelta dei criteri da valutare è stata operata sulla scorta di riflessioni personali e attraverso il coinvolgimento dei colleghi e dei relatori occupati a tempo pieno presso il CFF. Si è voluto, in altre parole, evidenziare e valutare quelli che sono i parametri distintivi nell’erogazione del corso in oggetto. I criteri considerati sono: Logistica Adeguatezza dell’aula Sede (posteggi, spazi pause, ecc.) Materiale didattico Il materiale didattico è stato preparato (dal segretariato)

Istituzione Materiale di consumo Il materiale di consumo era presente e funzionante Mezzi ausiliari Le apparecchiature erano a disposizione e funzionanti Clima, ordine e disciplina del gruppo Motivazione e partecipazione del gruppo

Gruppo

Livello di comprensione percepito I partecipanti hanno compreso i temi trattati Autovalutazione Chiarezza e precisione nell’esporre i concetti Capacità di coinvolgere i partecipanti I temi previsti sono stati trattati, gli obiettivi raggiunti Gestione delle dinamiche di gruppo

Docente

Valutazione globale del corso

Analisi e scomposizione del formulario di valutazione7 A seguito della descrizione dei criteri selezionati, oggetto della valutazione, sono convinto che l’insieme dei punti contenuti nel formulario sia di facile interpretazione. Mi voglio soffermare però sulla “semiotica” relativa alla scelta della scala di valutazione. Il formulario ne prevede, per estensione del concetto, due:

7

Cfr. Allegato 1 al presente documento

12


• •

una che si riferisce alla lunghezza del tratto (ossia 10 cm) che il formatore interrompe, tenuto conto del differenziale semantico, evidenziato dai simboli e ☺. Il riferimento alla teoria di Osgood8 è una mia libera interpretazione. l’altra, semplificata e non rappresentata in modo strutturato, si presenta come uno spazio libero e aperto per le indicazioni, le suggestioni e i suggerimenti che il formatore dovesse o volesse comunicare a mezzo del verso del formulario di autovalutazione.

Conclusioni Sottopongo al Prof. Armand Claude il lavoro di approfondimento alfine di poter ricevere importanti feedback sull’applicazione concreta del concetto, nonché di poter acquisire la certificazione del Modulo 8 del MaGF2. Ringrazio e saluto cordialmente

Walter Seghizzi

8

Il differenziale semantico è una tecnica di valutazione psicologica, ideata da Osgood, Suci e Tannenbaum nel 1957, per operazionalizzare la misura del "significato implicito" dei termini linguistici. (fonte: wikipedia)

13


Allegato 1 AUTO - VALUTAZIONE RELATORE DEL CORSO DI BASE Nome e Cognome: Data del corso: Numero del corso:

Luogo:

Caro/a collega, oggi si è concluso il tuo intervento nel corso in oggetto; ci servirebbe molto conoscere la tua opinione sull'andamento del corso e sulla sua qualità. Di seguito, apponendo una lineetta (si tratta di interrompere la linea orizzontale nel punto voluto in base alla propria valutazione, v.a. esempio) per ogni tema elencato, ci darai la possibilità di ottimizzare i processi formativi futuri. Un sentito grazie per la collaborazione!

Interrompete la linea al punto

ESEMPIO

Istituzione

Logistica Adeguatezza dell’aula

Sede (posteggi, spazi pause, ecc.)

Materiale didattico ☺

Il materiale didattico è stato preparato

Materiale di consumo ☺

Il materiale di consumo era presente e funzionante

Mezzi ausiliari ☺

Le apparecchiature erano a disposizione e funzionanti

Clima, ordine e disciplina del gruppo Gruppo

☺ Motivazione e partecipazione del gruppo ☺ Livello di comprensione percepito ☺

I partecipanti hanno compreso i temi trattati

Docente

Autovalutazione Chiarezza e precisione nell’esporre i concetti

Capacità di coinvolgere i partecipanti

I temi previsti sono stati trattati, gli obiettivi raggiunti

Gestione delle dinamiche di gruppo

☺ ☺

Valutazione globale del corso Per problemi di spazio, utilizza p.f. il verso di questo formulario per le tue osservazioni; grazie!

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Allegato 2 Metodo di valutazione interna

Tipo di corso

Corso per Formatori di Apprendisti (base)

Criteri

Pertinenza e compatibilità

Efficacia

Obiettivi e indicatori

Breve descrizione del metodo e degli strumenti utilizzati

Mantenimento della capacità dell’intervento formativo di rispondere ai bisogni reali dell’utenza. 80% dei formatori con esperienza pluriennale a contatto con la FP in Ticino Valutazioni finali mediamente uguali o superiori al 5 (interesse/utilità)

In sede di pianificazione ed organizzazione annuale (giugno /luglio), il responsabile del CFF, d’intesa con il responsabile dei corsi e tenuto conto dei risultati valutativi (formulari audits interni e formulari di valutazione dei partecipanti), ri-seleziona il team di formatori che animerà i corsi della stagione seguente (il calendario segue l’anno civile).

Corrispondenza tra obiettivi didattici del corso e risultati concreti in azienda Valutazioni finali mediamente uguali

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o superiori al 5 (interesse/utilità) 80 % “follow up sul posto” positivo del transfer a tre mesi

Efficienza

Conformità e coerenza

Accettabilità

Sincronismo

Mantenere un rapporto Tassa/RU superiore ad 80.000 Conciliare i vincoli legali con la trasferibilità delle competenze acquisite Valutazioni finali mediamente uguali o superiori al 5 (interesse/utilità)

Mantenere un elevato grado di soddisfazione generale dell’utenza Valutazioni finali mediamente uguali o superiori al 5

Garantire la rapidità d’intervento necessaria a risolvere i problemi (sia didattici, sia organizzativi) riscontrati

Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti Analisi delle autovalutazione dei relatori Le modalità di verifica del “transfer” sul posto sono ancora da definire; si profila la possibilità di somministrazione di un ulteriore formulario che sarà studiato entro la fine del 2005

Gestione risorse umane in e outsourcing da parte del responsabile del CFF (assegnazione incarichi interni e mandati esterni) e pianificazione numero di corsi e contingente di partecipanti (risorse logistiche e approccio didattico)

Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti Analisi delle autovalutazione dei relatori

Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti Analisi delle autovalutazione dei relatori

Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti (segnatamente delle osservazioni “aperte” e della valutazione relativa al tempo dedicato) Analisi delle autovalutazione dei relatori

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Allegato 3 tabella sinottica temi e argomenti / risposte (prof. A. Claude foglio lavoro d’esame del 25 gennaio 2007) Domanda

Risposta succinta

elemento ripreso e sviluppato nel documento a pagina

Il CFF è stato certificato EduQua il 26 settembre 2005 (SCEF047) e, entro la fine di maggio 2008, deve presentare il dossier completo per la prima ricertificazione. Oltre a ciò, essendo un istituto scolastico, parificato a una scuola superiore, rientra nel concetto globale di certificazione ISO 9000 della Divisione della formazione professionale, ottenuta il 1 gennaio 2007, di cui fa parte. L’esperienza condotta e l’applicazione della norma hanno permesso al CFF di ampliare la visione, aumentare la qualità del servizio erogato e di implementare nuovi strumenti per la gestione corrente della qualità. Ne sia un esempio concreto l’introduzione del sistema di auditing interno fra i formatori, oggetto pure del lavoro di approfondimento del Modulo 4 MaGF2, rel. Prof. M. Balducci. Il CFF è composto da un piccolo Team di formatori (440%), all’interno del quale i ruoli e le funzioni sono definiti. Il Direttore del CFF è responsabile della gestione e dello sviluppo della qualità e riferisce sui risultati. Ogni componente del Team, inoltre, è responsabile, a sua volta, di un prodotto / corso e opera nella gestione parziale e specifica di queste attività. Due collaboratori del CFF, fra cui il sottoscritto Direttore, hanno conseguito un diploma esterno quale “Auditore interno”. Questa formazione supplementare, unitamente a esperienze condotte precedentemente in altre realtà aziendali, permettono una gestione più orientata e favoriscono le procedure di mantenimento e di sviluppo del SGQ. Nel corso dei prossimi anni una delle principali sfide cui saranno confrontati i sistemi di formazione, sarà il miglioramento formazione professionale degli insegnanti e dei formatori, per far sì che le loro conoscenze e capacità corrispondano sia all’evoluzione sia alle aspettative della società, nonché alla composizione diversificata dei gruppi interessati. Gli insegnanti e formatori svolgono un importante ruolo per motivare i discenti e per determinarne il successo. È essenziale che la formazione sia orientata al futuro; la maggior parte degli insegnanti si è formata 25 anni fa o anche prima e l’aggiornamento delle loro capacità in molti casi non è andato di pari passo con l’evoluzione naturale. Grazie ai sistemi di gestione della qualità - che sempre prevedono il monitoraggio dell’aggiornamento dei docenti - sono convinto che anche gli istituti scolastici più conservatori e meno votati / sensibili all’autonomia possano, se non vincere la sfida, quantomeno parteciparvi con strumenti adeguati e al passo con i tempi.

8, 9 e 10

Parte obbligatoria Cosa esiste già? Quali sono le esperienze fatte finora nella valutazione dell’apprendimento, dell’insegnamento, di aspetti strutturali o culturali della scuola?

Esiste un’organizzazione specifica all’interno della sede per la gestione e lo sviluppo della qualità? Ci sono delle competenze particolari nel collegio docenti in questa materia?

Quali sono le sfide maggiori, nei prossimi tempi, per uno sviluppo sistematico della qualità della scuola e dell’insegnamento?

9 e 10

6e7

l’intero documento in oggetto (in particolare da 9 a 11)

Parte a scelta l’inserimento di un progetto di sede già iniziato, in un concetto più globale di gestione della qualità della stessa sede

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Allegato 4 Diagramma di flusso- processo di redazione dell’autovalutazione

inizio

Il segretariato prepara il formulario di autovalutazione

Al termine della lezione il formatore redige il formulario di autovalutazione sull’attività formativa in aula

Il segretariato rileva i dati risultanti dal formulario

Banca dati:”Valutazioni del CFF”

Estrazione statistiche

Redazione del rapporto annuale della Direzione

fine

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Il SQM analizza e sintetizza i dati nel rapporto annuale della Direzione


Master professionalizzante in

Gestione della Formazione per dirigenti di istituzioni formative

Certificazione Modulo 9: La supervisione dell’insegnamento nell’ambito della gestione della formazione Relatrice Prof.sa Vittoria Cesari Lusso

Creazione e sperimentazione di un modello applicabile nel rilevamento di situazioni relazionali in ambito di consulenza formativa e aziendale Marco Ricci – Formatore aziendale diplomato. Titolare della Clic, formazione e consulenza formativa di M. Ricci, 6825 Capolago e-mail: marco.ricci@clic-formazione.ch


Marco Ricci

Certificazione Modulo 9 – MaGF 2

Indice 0

Abstract..................................................................................................................... 3

1

Premesse e contestualizzazioni.............................................................................. 4

2

Presentazione del modello ...................................................................................... 4

3

Sperimentazione pratica .......................................................................................... 7

4

Valutazione della sperimentazione ......................................................................... 8

5

Valutazione su possibili impieghi ........................................................................... 8

6

Considerazioni finali ................................................................................................ 9

7

Bibliografia.............................................................................................................. 10

8

Allegati .................................................................................................................... 10

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Certificazione Modulo 9 – MaGF 2

0 Abstract La mia posizione di formatore aziendale freelance, titolare di una ditta di formazione e di consulenza formativa, non mi permette di sviluppare, in modo completo e basato sulla realtà di un istituto scolastico, il mandato orientato, per esempio, a una situazione relazionale all’interno di un collegio di docenti o con allievi. Dopo averne parlato con la Prof.sa Cesari, ho optato per la definizione e la sperimentazione di un modello di rilevamento applicabile in situazioni di consulenza. Il modello nasce dal presupposto che il compito principale di un consulente sia quello di riuscire a far emergere dal cliente i suoi bisogni. L’uso dell’intervista di esplicitazione, dall’esperienza diretta che ho potuto ricavarne utilizzandola nelle (troppo) poche volte che l’ho potuto fare, mi porta a ritenerne la validità più rivolta a un ambito operativo che “evolutivo”, nel senso che al termine dell’intervista l’attore era più consapevole non solo del processo lavorativo ma anche delle proprie competenze, mentre gli aspetti emozionali non venivano quasi mai presi in considerazione. La mia sfida è quella di abbinare il modello proposto da Andrea Fiorenza e Giorgio Nardone nel libro L’intervento strategico nei contesti educativi al modello QUASSP per utilizzarlo nelle situazioni di rilevamento dei bisogni in ambito di consulenza formativa e aziendale. La sperimentazione pratica è avvenuta il 17 giugno 2008. In tale data ho incontrato il gruppo delle Risorse Umane della BPS (SUISSE) SA composto da un responsabile, la sostituta e 3 collaboratrici, di cui una assente. Dopo aver formulato alcune premesse sul gruppo come dispositivo e aver richiamato Kant, nel senso che la partecipazione a questo momento era da intendere un’azione disinteressata rivolta alla ricerca del “bene comune” e non doveva essere orientata a un interesse particolare ed egoistico, ho cominciato a presentare il processo con il documento “Istruzioni per l’uso” e lo “Schema del processo di evoluzione con supervisione”; successivamente ho distribuito ai presenti il “Formulario di rilevamento (a uso dell’Attore)”. Dopo l’esposizione del caso da parte di una persona e le domande chiarificatrici da parte del gruppo, con l’ausilio del formulario “Formulario di rilevamento (a uso del Gruppo)”, siamo arrivati alla definizione di nuove piste d’azione. Tutti i suggerimenti tenevano conto di questi aspetti: le strategie e le tecniche devono adattarsi al problema presentato e alla persona che manifesta la difficoltà davanti a scarsi risultati si deve cambiare strategia la scelta dell’intervento deve mirare a piccoli cambiamenti. L’incontro si è concluso con un veloce feedback orale, dopo oltre due ore di lavoro in comune. Da parte mia ho provveduto a posteriori ad allestire il “Formulario di rilevamento (a uso del Supervisore)”. Il gruppo ha richiesto il mio intervento anche per i temi non elaborati, interventi che avranno luogo a scadenze mensili a partire da luglio 2008. Sulla base di quanto sperimentato, sicuramente anche grazie alla grande disponibilità dei partecipanti, posso affermare che l’applicazione di un simile modello può essere effettuata in ottica di ottenere risultati non scontati sulle visioni e sui comportamenti dei coinvolti. È pure possibile impiegare questo modello in situazioni formative differenti, così come anche in ambito di consulenza e coaching aziendale; a livello preventivo quindi, ma anche in itinere con interventi di supervisione. Da rilevare che questa applicazione richiede un impiego di tempo che non sempre il committente è disposto a concederti per un intervento di consulenza o formativo: personalmente sono convinto che il rischio di non osare ti porta a ottenere quello che hai sempre ottenuto, proprio perché continui a fare quello che hai sempre fatto.

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1 Premesse e contestualizzazioni La mia posizione di formatore aziendale freelance, titolare di una ditta di formazione e di consulenza, non mi permette di sviluppare, in modo completo e basato sulla realtà di un istituto scolastico, la strutturazione di casi che riguardano l’ambiente scolastico. La mia esperienza, da sette anni a questa parte, si basa sulla realizzazione di giornate formative, solitamente non collegate tra di loro e con partecipanti diversi, e sull’accompagnamento del management aziendale nell’introduzione di cambiamenti all’interno dell’organizzazione. L’esercizio condotto in classe durante l’incontro del 9 maggio 2008 con la collega Monica Caldelari, pur non avendo potuto seguirlo integralmente, ha sollevato in me molta curiosità. In effetti mi sono accorto che, nella mia realtà professionale, sia i partecipanti ai corsi sia i rappresentanti della committenza, sono portati facilmente ad avere un’unica rappresentazione di una situazione o di un problema, visione limitata da: ¾ credenze personali ¾ limiti conoscitivi ¾ esperienze personali (background) ¾ mancanza di tempo per gli approfondimenti ¾ ecc. Enzo Spaltro1, riportando un brano di Philip Slater, scrive: “Gli esseri umani vivono un tempo troppo corto per rendersi conto dei cambiamenti culturali. Noi siamo come dei piccoli insetti che vivono solo poche ore. La metà di loro crede che non esista la notte e l’altra metà è certa che non esista qualcosa come il giorno. … Come possiamo afferrare istantaneamente (qui e ora)2 il significato della nostra posizione?” Questa realtà è quella con la quale sono prevalentemente confrontato: chi ha raggiunto posti da manager crede che solo quanto abbia attinenza con la “parte professionale” dei collaboratori sia da tenere in considerazione ed, eventualmente, da sviluppare. Questa visione è descritta anche da Andrea Vitullo3: “Possono davvero le organizzazioni d’oggi, per come sono vissute e rappresentate, dialogare con nuovi valori e accogliere l’anima?” Tra le tante risposte, tutte positive che l’Autore da, ho scelto questa: “la figura del coach –interno o esterno all’azienda- è al servizio del manager, della sua crescita sia professionale sia personale4”. E precisa: “La persona non deve sviluppare solo competenze tecniche, per loro natura trasferibili, ma talenti e «visioni del mondo» che, per loro natura, non si possono insegnare, ma solo ritrovare e sperimentare, coltivare ed esercitare5”. La sfida di questo lavoro di certificazione per il Modulo 9 del MaGF è quella di realizzare un modello applicabile nella formazione aziendale, applicarlo in modo sperimentale, valutarlo e, se risulterà valido, applicarlo nella quotidianità di consulenza e formazione.

2 Presentazione del modello Il modello nasce dal presupposto che il compito principale di un consulente sia quello di riuscire a far emergere dal cliente i suoi bisogni. In molti casi i bisogni non sono esplicitati a sufficienza o il consulente cade nello stesso errore del cliente di “ritenere d’aver capito” qual è il bisogno del proprio cliente. Di conseguenza l’offerta formulata non è corretta e i risultati non sono quelli che il committente e il consulente/formatore si attendevano. L’uso dell’intervista di esplicitazione, intesa come “un insieme di comportamenti di interazione verbale e di ascolto, basati su alcune griglie di riferimento applicabili a quanto viene detto, e di determinate tecniche di formulazione dei rilanci (domande, riformulazioni, silenzi) destinate a fa-

1

Enzo Spaltro, IL GRUPPO, Sintesi e schemi di psichica plurale, Edizioni Pendragon, pag. 11 il concetto del “qui e ora” già sviluppato dai filosofi stoici nel 300 a. C. (confronta Luc Ferry, Vivere con filosofia, Garzanti Libri, pag. 17) ancora oggi è spesso ritenuto un concetto non attinente con l’operatività professionale ma unicamente legato alla sfera spirituale dell’uomo 3 Andrea Vitullo, LEADERSHIP RIFLESSIVE, Edizioni Apogeo, pag. I dell’introduzione 4 ibidem, pag.101 5 ibidem, pag. 53 2

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cilitare e ad accompagnare la verbalizzazione di un particolare campo dell’esperienza, in relazione a diversi obiettivi personali e istituzionali”6, dall’esperienza diretta che ho potuto ricavarne utilizzando nelle (troppo) poche volte che l’ho potuto fare7, mi porta a ritenerne la validità più rivolta a un ambito operativo che “evolutivo”, nel senso che al termine dell’intervista l’attore era più consapevole non solo del processo lavorativo ma anche delle proprie competenze, mentre gli aspetti emozionali non venivano presi in considerazione. Esemplifico: una persona sapeva come svolgere un certo compito, quali competenze utilizzava, ma non prendeva in considerazione le emozioni che viveva durante la realizzazione dell’attività. La situazione di partenza sulla quale baso il nuovo modello è quella presentataci sin dal primo giorno dalla professoressa Cesari Lusso:

Come dimostrato durante il Modulo 98 è possibile, a lato del supervisore, posizionare il gruppo, nel senso che tutto il gruppo coinvolto nell’esperienza interviene ad aiutare l’attore9 a trovare delle vie alternative, altre piste d’azione, alla sua posizione di partenza. Reputo fondamentale il sostegno del gruppo: per questo ho voluto rappresentare in forma di flow chart il documento QUASSP e riportarlo alla pagina seguente. Altro elemento che mi ha colpito durante la frequenza del Modulo 9, anche se non espressamente trattato, è l’approccio alle situazioni definito dalla Scuola di Palo Alto10. In molti casi, infatti, assistiamo a situazioni come quella del mulo che si trova la strada barrata da un albero e incomincia a dare testate all’albero fino a morirne piuttosto che cambiare idea11: soprattutto se confrontate a grossi cambiamenti le persone rimangono “della propria idea” e continuano a “farsi male” piuttosto che cambiare visione di quanto sta succedendo.

6

Pierre Vermersch, DESCRIVERE IL LAVORO, Carocci Faber, pag.17 nei corsi TRIS (Tecniche di Ricerca d’Impiego e Sostegno al collocamento con persone in cerca di lavoro) 8 confronta documento QUASSP e appunti personali non rivisti dalla Relatrice 9 per facilità di lettura è stata adottata unicamente la formulazione al maschile ma è da intendersi anche la forma al femminile 10 Confronta Andrea Fiorenza e Giorgio Nardone, L’INTERVENTO STATEGICO NEI CONTESTI EDUCATIVI, Giuffè Editore, pagg. 129-141 11 ibidem, pag. 24 7

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Le fasi dell’intervento proposte da Fiorenza e Nardone sono le seguenti: 1. definizione del problema come viene identificato il problema? con quali modalità comportamentali osservabili il problema si manifesta? quando si manifesta di solito, con chi si manifesta e con chi non si manifesta? dove e in quali situazioni appare? con quale frequenza e intensità si manifesta? 2. definizione degli obiettivi 3. definizione delle soluzioni tentate 4. definizione delle strategie le strategie e le tecniche devono adattarsi al problema presentato e alla persona che manifesta la difficoltà davanti a scarsi risultati si deve cambiare strategia la scelta dell’intervento deve mirare a piccoli cambiamenti La mia sfida è quella di costruire un nuovo operativo che abbini quello proposto da Andrea Fiorenza e Giorgio Nardone al modello QUASSP. La mia ipotesi, tutta da verificare, è che unendo i due modelli ne otteniamo uno che non solo aiuta a uscire dalla situazione che emozionalmente procura dolore ma permette di sviluppare altri approcci che vanno al di là delle soluzione tentate.

3 Sperimentazione pratica Il data 17 giugno ho incontrato il gruppo delle Risorse Umane della BPS (SUISSE) SA composto da un responsabile, la sostituta e 3 collaboratrici, di cui una assente. Dopo aver formulato alcune premesse sul gruppo come dispositivo12 e aver richiamato Kant, nel senso che la partecipazione a questo momento era da intendere un’azione disinteressata rivolta alla ricerca del “bene comune” e non doveva essere orientata a un interesse particolare ed egoistico13, ho cominciato a presentare il processo con il documento “Istruzioni per l’uso” (Allegato A) e lo “Schema del processo di evoluzione con supervisione” (Allegato B); ho quindi distribuito ai presenti il “Formulario di rilevamento (a uso dell’Attore)” (Allegato C). Ho successivamente chiesto di voler pensare a situazioni con cui fossero stati confrontati e che avessero lasciato strascichi emozionali. Sono usciti questi temi: 1) Danza: non integrazione nel gruppo e comportamento non professionale della docente 2) Immobilismo: difficoltà a far passare il messaggio di un cambiamento a certi collaboratori 3) Sostegno e supporto ai collaboratori da parte dei consulenti RU 4) Pregiudizi e stereotipi in ambito sportivo Queste tematiche possono essere utili sia su un piano professionale sia su un piano personale e sono collegabili tra di loro. Soprattutto per questo aspetto mi è stato chiesto di sviluppare un tema in questo incontro e di programmare altri incontri per elaborare anche gli altri temi proposti; la signora che non ha potuto partecipare a questo incontro presenterà pure una sua situazione. I partecipanti hanno deciso di parlare del tema legato all’immobilismo delle persone contro i cambiamenti richiesti dalla struttura e la persona che lo ha proposto ha cominciato a illustrare la situazione. Il processo è stato rispettato punto per punto e i miei interventi si sono limitati a verbalizzare il racconto, lasciando completa libertà d’espressione all’Attore. Ho quindi aiutato i tre partecipanti rimasti in sala a formulare correttamente le domande chiarificatrici, sulla base di quanto indicato nel “Formulario di rilevamento (a uso del Gruppo)” (Allegato D). Al rientro dell’Attore il gruppo ha proceduto a porre le domande preparate e, successivamente, a suggerire altri punti di vista e comportamenti in ottica di modificare i “tentativi di soluzione”, per dirla con Fiorenza e Nardone, finora adottati.

12 13

confronta G. Contessa, Psicologia di gruppo, capitolo 6, Edizioni La scuola confronta Luc Ferry, Vivere con filosofia, Garzanti Libri, pag. 116 Pagina 7 di 16


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In particolare tutti i suggerimenti tenevano conto di questi aspetti: le strategie e le tecniche devono adattarsi al problema presentato e alla persona che manifesta la difficoltà davanti a scarsi risultati si deve cambiare strategia la scelta dell’intervento deve mirare a piccoli cambiamenti. L’incontro si è concluso con un veloce feedback orale, dopo oltre due ore di lavoro in comune. Da parte mia ho provveduto a posteriori ad allestire il “Formulario di rilevamento (a uso del Supervisore)” (allegato E)

4 Valutazione della sperimentazione Sulla base di quanto sperimentato, sicuramente anche grazie alla grande disponibilità dei partecipanti, posso affermare che l’applicazione di un simile modello può essere effettuata in ottica di ottenere risultati non scontati sulle visioni e sui comportamenti dei coinvolti. Va rilevato che: il processo si è svolto così come pianificato i supporti preparati sono stati utilizzati nei tempi previsti e si sono dimostrati validi per strutturare sia il racconto iniziale sia le fasi successive i partecipanti hanno dimostrato un grande interesse e una grande motivazione nel mettersi in discussione dapprima, ma anche nel guardare la situazione presentata con “occhi diversi” tralasciando completamente quelli che erano stati gli approcci precedenti. La sperimentazione mi è servita, oltre che a testare il modello in se stesso, a rafforzare i rapporti personali, d’altronde già molto buoni, con il gruppo delle Risorse Umane della BPS (SUISSE).

5 Valutazione su possibili impieghi Sulla base di quanto sperimentato ritengo che sia possibile impiegare questo modello in momenti formativi quali: corsi di team building corsi di “orientamento al cliente” compresi i corsi di tecniche di vendita e di comunicazione corsi di evoluzione personale quali la ricerca di autostima e automotivazione. Ritengo sia possibile utilizzare questo supporto anche in ambito di consulenza e coaching aziendale: ex ante, quindi, ma anche in itinere con interventi di supervisione. Da rilevare che questa applicazione richiede un impiego di tempo che non sempre il committente è disposto a concederti per un intervento di consulenza o formativo: personalmente sono convinto che il rischio di non osare ti porta a ottenere quello che hai sempre ottenuto, proprio perché continui a fare quello che hai sempre fatto.

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6 Considerazioni finali La partecipazione al modulo 9 del MaGF e l’elaborazione del presente lavoro mi hanno permesso di analizzare in un modo nuovo e più strutturato gli aspetti comportamentali e relazionali che toccano le persone. Anche la bibliografia che mi è stata suggerita, unitamente a quella che per stimoli ricevuti sono andato a ricercare, mi hanno permesso di ampliare sia le conoscenze sia le competenze nell’ambito formativo e professionale che ho scelto. Ringrazio già sin d’ora la Prof.sa Vittoria Cesari Lusso per la sua valutazione e, soprattutto, per i suggerimenti che mi vorrà dare in merito a questo argomento, a livello teorico ma, anche e soprattutto, per la sua applicazione pratica. Lugano, 21 giugno 2008

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7 Bibliografia Vittoria Cesari Lusso Dinamiche e ostacoli della comunicazione interpersonale Erickson Vittoria Cesari Lusso Quadro metodologico di Accompagnamento alla Supervisione collettiva di Situazioni Professionali QUASSP – Appunti di lavoro per la giornata del 9 maggio 2008 al MaGF Pierre Vermersch, edizione italiana a cura di Vittoria Cesari Lusso e Antonio Iannaccone Descrivere il lavoro – Nuovi strumenti per la formazione e la ricerca: l’intervista di esplicitazione Carocci Faber Andrea Fiorenza - Giorgio Nardone L’intervento strategico nei contesti educativi – Comunicazione e problem-solving per i problemi scolastici Giuffrè Editore Enzo Spaltro IL GRUPPO - Sintesi e schemi di psichica plurale Edizioni Pendragon Contessa G. Psicologia di gruppo - Cap.6. Il gruppo come dispositivo (estratto) Ed.La Scuola Luc Ferry Vivere con filosofia Garzanti Libri Andrea Vitullo Leadership riflessive - La ricerca dell'anima nelle organizzazioni Edizioni Apogeo Appunti personali sul Modulo 9, non rivisti dalla Relatrice

8 Allegati A. B. C. D. E.

Istruzioni per l’uso Schema del processo di evoluzione con supervisione Formulario di rilevamento (a uso dell’Attore) Formulario di rilevamento (a uso del Gruppo) Formulario di rilevamento (a uso del Supervisore)

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Istruzioni per l’uso

Certificazione Modulo 9 – MaGF 2

Allegato A

Indicazioni di base Attore volontario le parole dell’Attore sono accolte senza giudicare la persona ha fatto il meglio che poteva accettazione del dispositivo (Modello QUASSP) possibilità dell’Attore di non rispondere fiducia confidenzialità presenza: non uscire nel corso dell’esercizio; se si esce e si rientra si assumerà la funzione di osservatore Svolgimento vedere diagramma di flusso allegato Come il gruppo si può rivolgere all’Attore non devono essere formulate domande che possano mettere l’Attore in una situazione di doversi giustificare (p.es. “perché hai fatto così?” non è una domanda ammessa) non devono essere espresse considerazioni o poste domande che contengano dei giudizi nella formulazione di elementi di interpretazione e suggerimenti per (nuove) piste d’azione alternative, il Gruppo può esprimere considerazioni personali Come l’Attore si rivolge al Gruppo - primo tempo (narrazione) racconta liberamente la situazione e i provvedimenti adottati per risolverla o perlomeno attenuarne gli effetti negativi - secondo tempo (risposte) al rientro risponde alle domande di precisazione che gli vengono poste: può non rispondere se ritiene che questo sia il comportamento più indicato al momento - terzo tempo (formulazione di proposte) a questo punto l’Attore rimane in silenzio: non deve reagire a ogni proposta che gli viene formulata ma unicamente prenderne atto e in un secondo tempo valutare se è applicabile nella sua situazione - quarto tempo (presa di posizione dell’Attore) comunica al Gruppo le idee e le piste che appaiono, ai suoi occhi, praticabili nella sua situazione

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Marco Ricci

Certificazione Modulo 9 – MaGF 2

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Marco Ricci

Certificazione Modulo 9 – MaGF 2

Schema del processo di evoluzione con supervisione

Allegato B

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Marco Ricci

Certificazione Modulo 9 – MaGF 2

Formulario di rilevamento (a uso dell’Attore)

Allegato C

Breve descrizione della situazione/problema ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... A che livello mi tocca (personale, a livello di funzione ecc.) ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... Quali provvedimenti ho messo in atto per risolvere il problema ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ...............................................................................................................................

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Marco Ricci

Certificazione Modulo 9 – MaGF 2

Formulario di rilevamento (a uso del Gruppo)

Allegato D

Come ho compreso la situazione/problema che ho udito ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... Quali informazioni mi mancano ancora per avere un’idea più precisa ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... Quali suggerimenti mi sento di dare per aiutare l’Attore ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ...............................................................................................................................

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Marco Ricci

Certificazione Modulo 9 – MaGF 2

Formulario di rilevamento (a uso del Supervisore)

Allegato E

Come ho compreso la situazione/problema che ho udito ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... Quali interventi ho dovuto compiere per correggere le domande ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... Quali indicazioni posso/devo dare al momento del debriefing ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ...............................................................................................................................

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Master professionalizzante in

Gestione della Formazione per dirigenti di istituzioni formative

Certificazione Modulo 9

La gestione e la supervisione degli aspetti relazionali e didattici Relatrice Prof. ssa Vittoria Cesari Lusso (vcesari@worldcom.ch)

Scambio di pratiche fra professionisti sperimentati Quadro metodologico di comunicazione e proposta d’intervento Approfondimento in forma di presentazione e documento di lavoro

Walter Seghizzi – Formatore aziendale dipl. fed., Esperto della formazione degli adulti e Responsabile del “Servizio per le procedure di qualificazione degli adulti” (SPQA) della DFP. walter.seghizzi@bluewin.ch 1


Sommario ABSTRACT ........................................................................................................................................................3 BREVE PRESENTAZIONE DEL CENTRO .......................................................................................................4 ASSICURAZIONE E SVILUPPO DELLA QUALITÀ ......................................................................................................5 Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità ..............................................................................5 Valutazione e autovalutazione...................................................................................................................5 CONCETTO E PROCEDURA PER L’ALLESTIMENTO DI UNO SCAMBIO DI PRATICHE ....................................................8 Il corso di base per formatori di apprendisti in azienda .............................................................................8 Vantaggi e svantaggi del concetto proposto..............................................................................................8 Procedura del sistema globale di valutazione ...........................................................................................9 Lo strumento per il colloquio......................................................................................................................9 SCELTA DEI CRITERI DA RICORDARE........................................................................................................10 POSSIBILI PISTE PER L’INTERVISTA E LA DISCUSSIONE DI SCAMBIO .....................................................................10 SPERIMENTAZIONE .......................................................................................................................................11 CONCLUSIONI SUL CASO.............................................................................................................................13 CONCLUSIONI SUL LAVORO DI CERTIFICAZIONE....................................................................................13 BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................................14 ALLEGATO 1(RIASSUNTO DEL FORMULARIO PREVISTO IN FORMATO A3) .............................................................15

Indice delle figure Figura 1, dall’opuscolo di presentazione del Master (MaGF) .............................................. 3 Figura 2, fonte: appunti personali ........................................................................................ 6 Figura 3, fonte internet ........................................................................................................ 6

2


Abstract La supervisione dell’insegnamento nell’ambito della gestione della formazione Tematica Responsabili

Preparazione e realizzazione dell’innovazione Vittoria Cesari, Università della Svizzera italiana, Lugano Maria Luisa Schubauer-Leoni, Università della Svizzera italiana, Lugano - Università di Ginevra

Obiettivi

Offrire l’opportunità di conoscere le potenzialità, e anche i limiti, di alcuni strumenti e di alcune modalità che consentono di situare e di valutare l’operato didattico dei docenti.

Contenuti

Si presenteranno, in forma teorica e applicata (vedi situazioni di insegnamento), alcuni strumenti – ad esempio griglie e criteri di osservazione – per una “lettura” e interpretazione dell’attività didattica. Sarà data particolare rilevanza all’interpretazione delle osservazioni, ponendo l’accento sulle componenti essenziali, quali: l’analisi del contesto, il colloquio con l’insegnante, le dinamiche sociali e cognitive, l’organizzazione e la strumentazione didattica, la creazione delle condizioni dello studio in classe e a casa, ecc. Inoltre si approfondirà la nozione di monitoraggio e di accompagnamento dei nuovi insegnanti e, attraverso l’analisi di casi, si esamineranno alcune strategie di gestione dell’attività dei docenti in rapporto ai principali partner della scuola: genitori, autorità ecc.

Figura 1, dall’opuscolo di presentazione del Master (MaGF)

Il seguente approfondimento dal titolo “Scambio di pratiche fra professionisti sperimentati” - Quadro metodologico di comunicazione e proposta d’intervento -, in forma di presentazione e di documento di lavoro, è stato elaborato con lo scopo di conseguire la certificazione del Modulo 9 in seno al MaGF2, riassumere e ristrutturare gli appunti, le riflessioni, i pensieri e gli apprendimenti personali di tutto il percorso con la relatrice principale e i suoi collaboratori, nonché per sperimentare l’approccio che andrò a descrivere. Per questi motivi il presente documento viene sottoposto alla Professoressa Vittoria Cesari Lusso. Dopo aver presentato con le stesse modalità (per le certificazioni dei moduli 4 e 8) e dopo aver avuto, soprattutto, la possibilità di sperimentare concretamente due strumenti1 di gestione nella supervisione delle attività didattiche, mi è grata l’occasione per “chiudere il cerchio” nel descrivere, approfondire e proporre un terzo elemento di supervisione gestionale, ossia un evento strutturato di scambio di pratiche professionali. Il centro di formazione, che descriverò in un prossimo capitolo, avrà quindi la possibilità di sperimentare un ulteriore strumento di metodo, di valutazione e d’analisi. Oltre a ciò, nel quadro della preparazione e della redazione del dossier di certificazione finale del MaGF2, questo tema avrà un’attinenza molto importante. Assieme al collega Marco Ricci affronterò infatti il tema delle “Competenze distintive dei formatori e delle buone pratiche nella formazione degli adulti e nella formazione professionale nel Cantone Ticino”. Il numero dei formatori coinvolti (8) è stato definito quale ottimale e le peculiarità professionali nonché le competenze personali si prestano perfettamente alla sperimentazione. Per questioni di tempo e di “spazio” a disposizione, verrà descritta la sperimentazione riferita all’intervista di un solo collega, ritenuta da me quale rappresentativa dell’esperienza.

1

auditing interno delle attività pedagogiche (Prof. M. Balducci) e Auditing interno delle attività pedagogiche – 2, L’auto - valutazione formativa espressa dai relatori (Prof. Armand Claude)

3


Breve presentazione del Centro Il centro di formazione per formatori (CFF) è un servizio della Divisione della formazione professionale (DFP) del DECS – Cantone Ticino. Dal 1978, anno d'introduzione della Legge federale sulla formazione professionale (LFP) che lo prescriveva, si occupa dell'organizzazione della formazione degli, allora, denominati "Maestri di Tirocinio". È del 1980, inoltre, l'emanazione federale di una specifica ordinanza che, oltre a ribadirne l'obbligatorietà, fissa precisi parametri sulle durate e sui contenuti minimi, imposti agli enti di formazione cantonali incaricati. Dal 1° gennaio 2004, data dell'entrata in vigore della nuova LFPr, tale figura è stata rinominata in "Formatori di apprendisti in azienda", mantenendo altresì l'obbligatorietà di frequenza al corso per tutti coloro i quali intendono assumere e formare un tirocinante. I partecipanti al corso di base per formatori sono progressivamente aumentati nel corso degli anni, passando in 10 anni da 290 a 480 all'anno (con il miglior risultato di 520 nel 2006). Una massa critica importante quindi, anche quale significativo indicatore della soddisfazione sui contenuti e sulle modalità d'erogazione. In adeguata considerazione, alfine di affinare i dettagli ma restando nei parametri dell'ordinanza precedentemente citata, vengono tenute le valutazioni espresse dai partecipanti alla fine di ogni corso. Queste vengono statisticate, analizzate e prese in considerazione in modo puntuale. In occasioni di specifiche riunioni vengono rese note al plenum dei formatori. Oltre a ciò vengono condotti dal responsabile colloqui personali con ogni formatore, aventi lo scopo di approfondire gli aspetti valutativi legati allo specifico docente. Solidità e trasferibilità delle conoscenze e competenze acquisite dai partecipanti Non solo attraverso le valutazioni, già citate, espresse dai partecipanti, bensì anche da feedback rilevati e riportatici dagli Ispettori di tirocinio della DFP, siamo in grado di affermare che le modalità esercitate durante l'erogazione formativa, facilitano e permettono un'acquisizione di competenze solide ed applicabili immediatamente nella pratica professionale quotidiana. Oltre a ciò la documentazione consegnata in aula ha proprio lo scopo, così assemblata, di permettere un'efficace consultazione anche dopo la frequenza del corso. Ogni tema, ogni lezione è supportata in modo chiaramente intellegibile da supporti cartacei suddivisi per capitolo (area d'intervento) e tema. A partire dal mese di settembre 2006, viene consegnato in aula anche il nuovo Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda (http://hb.dbk.ch/it/index.php) edito dalla DBK (www.dbk.ch) in collaborazione con la CSFP (www.csfp.ch) e con i Cantoni. Formatori impegnati e aggiornati sui più recenti sviluppi metodologici, didattici e nel loro specifico campo d'insegnamento Ai formatori attivi presso il CFF viene proposto un corso di aggiornamento ogni anno. Una giornata di formazione specifica, ad esempio: o anno 2003: Giochi pedagogici per l'aula o anno 2004: PNL e comunicazione pedagogica o anno 2005: Atteggiamento e linguaggio durante l'insegnamento o anno 2006: Il riflesso dell'adulto sul disagio adolescenziale o anno 2007: La definizione delle competenze distintive

4


o anno 2008: L’importanza del feedback nelle attività di formazione2 Alfine di permettere all'intero Team la restituzione e la messa in comune dei risultati, in itinere e finali, viene convocata almeno una riunione annuale. La quasi totalità dei docenti del CFF è, inoltre, attiva professionalmente nel proprio campo d'attività o lo è stata fino a pochi mesi fa. Questo garantisce l'approvvigionamento delle competenze in modo certificabile, automatico ed economicamente conveniente.

Assicurazione e sviluppo della qualità I contenuti della qualità vengono definiti come segue: •

L’istituzione considera chiari i seguenti punti per la qualità o Raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi per ogni corso o Valutazione dell’efficacia del corso tramite un formulario di valutazione o Mantenimento di uno standard di qualità adeguato, per rapporto all’evoluzione nel campo della formazione di base e continua o Continua verifica e adattamento ai bisogni riscontrati o alle difficoltà espresse nelle valutazioni dei partecipanti o Autovalutazione dei relatori ai corsi di base per formatori di apprendisti in azienda3 o NUOVO: scambio di pratiche fra professionisti sperimentati4

Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità L’istituzione, per il tramite dei collaboratori del CFF, all’inizio di ogni anno attiva le necessarie verifiche e fissa nuovi obiettivi tendenti ad ottenere un sempre miglior grado di qualità.

Valutazione e autovalutazione5 Entrambe sono costituite da un insieme di attività conoscitive, finalizzate all’apprendimento e al miglioramento, e: consentono di esprimere un giudizio valutativo sono strutturate nell’ambito di una procedura di ricerca e di analisi rigorosa possono essere un’utile lezione per coloro che affrontano la gestione e il controllo dei processi dell’istituzione formativa sono finalizzate al miglioramento continuo dei risultati (dapprima) e dei processi (dopo). La valutazione e l’autovalutazione devono essere inseriti in una struttura e una procedura di ricerca per poter avere un risultato utilizzabile. Questo richiede un apprendimento da parte di tutti i coinvolti. L’autovalutazione è comunque un ottimo strumento per la crescita degli attori. A fronte delle considerazioni citate, nonché riflettendo ex post sulle discussioni e sullo scambio di esperienze avvenute in aula a Lugano, durante l’intero Modu-

2

progetto: il corso dovrebbe tenersi entro la metà del mese di settembre 2008. La data non è ancora stata definita. 3 oggetto del lavoro di approfondimento per la certificazione del modulo 8 4 oggetto di questo lavoro di approfondimento 5 dagli appunti del Modulo 8 / MaGF2

5


lo, ho optato per l’integrazione di un nuovo e ulteriore modello di gestione / supervisione pedagogico – didattica, ossia un momento di scambio di pratiche fra “colleghi”. Ulteriore fonte di ispirazione sono stati gli schemi seguenti

Figura 2, fonte: appunti personali

Figura 3, fonte internet

6


Come pure i seguenti appunti personali del Modulo 9: Tappe per lo sviluppo concettuale del tema: • preparazione • esposizione • tempo per le domande • apporti complementari sulle pratiche • momento di scambio sulle pratiche • momento per la formalizzazione individuale o

riutilizzabilità, elementi da approfondire ulteriormente, …

nonché le considerazioni di Perrenoud6: Nuove competenze professionali per insegnare. Per raggiungere questo obiettivo ho sviluppato l’idea ed elaborato la seguente traccia operativa: 1. decidere come organizzare e pianificare il momento di scambio delle pratiche (SP)

far si che la decisione della direzione sia consapevole e fondata sulla consultazione definire ambito e approccio dello scambio scegliere e elaborare lo strumento identificare un responsabile di progetto

2. Comunicare il progetto sullo scambio delle pratiche

definire e avviare un piano di comunicazione stimolare il coinvolgimento di collaboratori nello SP comunicare con i portatori di interesse durante le varie fasi

3. Formare uno o più gruppi di SP

decidere il numero dei gruppi di SP creare un gruppo di SP rappresentativo dell’organizzazione in tutti i suoi aspetti attenendosi a criteri predefiniti scegliere il moderatore del gruppo (i)

4. Organizzare la formazione

informare e curare la formazione del gruppo di SP il responsabile del progetto fornisce un elenco di tutti i documenti ritenuti significativi definire i principali portatori di interesse, i prodotti e servizi erogati e i processi chiave

5. Condurre lo SP

raggiungere il consenso nel gruppo (condivisione) condurre lo SP (individuale o di gruppo)

6. Stendere un report descrittivo dei risultati dello SP 7. Delineare un piano d’azione, basato sui contenuti del rapporto di SP, se necessario

identificare le priorità di azione collocare le azioni secondo un piano di sviluppo temporale realistico integrare il piano nel normale processo di pianificazione strategica

8. Comunicare il piano d’azione 9. Attuazione

definire un approccio coerente dello SP e valutazione delle azioni di miglioramento nominare un responsabile per ciascuna delle azioni previste inserire nell’attività ordinaria le nuove modalità di gestione risultate appropriate

10.Pianificare la successiva sessione di SP

6

valutare l’esito delle azioni di miglioramento attraverso un nuovo SP

Philippe Perrenoud, cfr Bibliografia

7


Concetto e procedura per l’allestimento di uno scambio di pratiche Il corso di base per formatori di apprendisti in azienda Alfine di assicurare, mantenere e sviluppare la qualità delle attività formative (erogazione) presso il CFF, si rende necessaria l'applicazione, oltre che di uno strumento “auto valutativo” – che fa capo alle soggettive competenze e percezioni dei formatori – di uno scambio di pratiche fra professionisti con un sistema pianificato. Questi dati qualitativi, analizzati e messi a confronto con quelli espressi dai partecipanti al termine di ogni corso (come finora), ci consentono di ulteriormente arricchire il quadro valutativo e di maggiormente intervenire dove necessario. Il sistema operativo che si vuole applicare è stato ispirato dalla seguente definizione: “l’intervista di esplicitazione è definibile come un insieme di comportamenti di interazione verbale e di ascolto, basati su alcune griglie di riferimento applicabili a quanto viene detto, e di determinate tecniche di formulazione dei rilanci (domande, riformulazioni, silenzi) destinate a facilitare e ad accompagnare la verbalizzazione di un particolare campo dell’esperienza, in relazione a diversi obiettivi personali ed istituzionali”7. Inoltre “La fenomenologia di Husserl8 ha molto indagato sul fatto che la persona possa avere coscienza del mondo senza per questo aver consapevolezza di esserlo (aver coscienza di essere coscienti)”.

Vantaggi e svantaggi del concetto proposto VANTAGGI

SVANTAGGI

Ogni relatore si sente responsabile della prestazione e della relativa valutazione (autovalutazione) La qualità degli interventi e quindi anche la percezione dei fruitori delle attività formative aumenta, grazie al contributo e alle autovalutazione dei colleghi Aumenta la sensibilità verso gli aspetti legati all'assicurazione, al mantenimento e allo sviluppo della qualità

Il relatore deve restare molto distante dagli aspetti emozionali ed esprimere quindi un’autovalutazione corretta Il formatore, a meno di eventi particolarmente rilevanti, tenderà a rapportarsi “uniformemente” (appiattimento) La mole di lavoro aumenta sia per il personale del CFF (lettura e gestione dei feedback) sia per i relatori, a loro volta già impegnati in attività formative.

A seguito della lettura dei feedback redatti e presentati dai formatori è più facilmente interpretabile la necessità di adattare temi, tempi, metodi, nonché aspetti logistici È possibile confrontare il risultato dello SP con il risultato derivante dall'espressione valutativa dei partecipanti e dell’autovalutazione espressa dai formatori

7 8

Vermersch, P. (1994, 2005). Descrivere il lavoro. L’intervista di esplicitazione. Pagina 17. filosofo e matematico austriaco 1859-1938

8


Procedura del sistema globale di valutazione CHI

QUANDO

COSA

Segretariato dei corsi

alla fine dell’intervento alla fine dell’intervento alla ricezione del formulario

Direttore del CFF

alla fine di ogni periodo

redige lo strumento di valutazione redige lo strumento di autovalutazione misura e riassume la valutazione nelle apposite tabelle (statistica) verifica e analizza i dati

Direttore del CFF

correntemente a seguito delle autovalutazioni

Direttore del CFF

entro fine anno corrente

Direttore del CFF

Secondo la necessità

Partecipanti Formatore

COME

Discute con il formatore interessato i contenuti ritenuti vicendevolmente interessanti Restituzione dei risultati globali

Propone a uno o più formatori uno scambio di pratiche

OSSERVAZIONI

strumento previsto strumento previsto tabelle e grafici

redige una ricapitolazione (che è contenuta nel rapporto di revisione della direzione del CFF) Colloquio personale

Riunione conclusiva CFF

se ritenuto necessario

Organizzazione delle sessioni formative e di aggiornamento pedagogico – didattico per il team dei formatori del CFF

Colloquio / intervista (strutturata)

Lo strumento per il colloquio Per poter approfittare appieno della possibilità di trarre elementi costruttivi da uno SP - soprattutto a fronte dell’inesistente esperienza – nei primi momenti d’incontro è necessario, a mio avviso, disporre di una “stampella” operativa. Questa mia convinzione è stata sottolineata dall’affermazione del Prof. Iannaccone, ovvero: • “In tutte le attività che implicano la realizzazione di compiti (a scuola o nella vita professionale) è importante conoscere in dettaglio le modalità di esecuzione del compito stesso, per analizzarne le difficoltà sul piano dell’apprendimento, le eventuali cause di errore e di disfunzione o le ragioni che ne determinano il successo. La sola conoscenza del risultato finale risulta insufficiente per diagnosticare la natura e la causa di una difficoltà o di un particolare successo.” Anche lo svolgimento di un colloquio / scambio presuppone la conoscenza delle modalità attraverso le quali sarà possibile approfittare delle esperienze altrui, come pure, fondamentale, sarà l’aiuto, dato dalla scheda, alfine di evitare il più possibile errori comunicativi o interpretativi. A questo proposito ho elaborato una semplice traccia, sotto forma di “verbale” ma anche di checklist9.

9

Cfr Allegato 1 al presente documento

9


Scelta dei criteri da ricordare La scelta dei criteri da inserire nella scheda è stata operata sulla scorta di riflessioni personali e attraverso il coinvolgimento dei colleghi partecipanti al MaGF2. I criteri considerati sono:

Entrata in materia e esplicitazione del tema (vissuto dell’azione) Adeguatezza della sede dell’incontro (aspetti logistici) Affermare e condividere il “contratto comunicativo” Proporre il tema, la situazione, invitando alla verbalizzazione dell’azione

introduzione

Materiale esperienziale di supporto Il materiale necessario è stato preparato, visionato oppure descritto Attitudine all’osservazione e all’ascolto L’interlocutore viene osservato e ascoltato attentamente alfine di: 10 o Determinare il raggiungimento delle posizioni di parola o Associare i movimenti oculari dell’interlocutore alla modifica dell’attività cognitiva legata all’azione di costruzione della rappresentazione. 11 o Verificare la canalizzazione verso l’esperienza interna svolgimento o Rallentamento del flusso verbale Domande, risposte e rilanci L’interlocutore viene sollecitato con domande precise, riferite all’azione; in nessun caso verrà chiesto di giustificare (Perché…? Come mai …?), esempio: o D: “Ti propongo di prendere tempo per evocare un momento in cui hai realizzato una pratica d’insegnamento che ti ha veramente coinvolto, sia da un punto di vista professionale che personale”. o R: “Sì, penso a come è stato bello quando ho cominciato a parlare liberamente del tema, senza soppesare ogni parola…” o D: “Potresti individuare un momento preciso di questa conquista?” o R: “Ce ne sono stati tanti…” o D: “Va bene, scegline però uno in particolare.” o R: “Sai, tra tanti momenti non è facile…Ecco, ogni volta che mi veniva chiesto di esplicitare gli obiettivi della lezione…” o D: “E fra le tante volte, cerca di ricordarne una, in particolare.” o […]

conclusioni

Autovalutazione e valutazione dello scambio

Possibili piste per l’intervista e la discussione di scambio Un’intervista di esplicitazione, avente quale obiettivo lo scambio di pratiche, presenta qualche difficoltà oggettiva, soprattutto in relazione ai ruoli dei due (in questo caso) interlocutori. Da un lato è importante che qualcuno si ponga nella posizione di guida e dall’altro, affinché davvero possa avvenire lo scambio, vi sia la possibilità di una parziale inversione

10

Formale, coinvolta o incarnata L’atto di distogliere lo sguardo è l’indicatore privilegiato del fatto che il soggetto rivolge la propria attenzione verso la sua esperienza interiore. 11

10


dei ruoli. Lo scopo di questa alternanza è, evidentemente, quello di poter mettere in condizione l’interlocutore di approfittare, a sua volta, del racconto e dell’esperienza condivisa. La pista d’intervento più plausibile – dopo l’attenta riflessione che ha portato a scartarne delle altre – è rappresentata dalla ciclicità delle fasi (fra D e R12). In particolare:

Fase 1

D

Fase 2

Introduce il tema, evidenzia le regole e le dinamiche e istaura il contratto comunicativo

R

Risponde alle domande poste da D, verbalizzando l’azione

Stabiliti i punti d’interesse comune, R si pone nel ruolo di guida e chiede, a sua volta a D la verbalizzazione dell’azione. Pone l’accento su aspetti ritenuti centrali e approfondisce ponendo, se necessario, domande di precisazione / formulando gli opportuni rilanci. Osserva e tiene conto del raggiungimento della posizione di parola incarnata

D

Pone l’accento su aspetti ritenuti centrali e approfondisce ponendo, se necessario, domande di precisazione / formulando gli opportuni rilanci. Osserva e tiene conto del raggiungimento della posizione di parola incarnata

Risponde alle domande poste da R, verbalizzando l’azione

R

Risponde alle domande poste da D, verbalizzando l’azione

Valutazione

Conclusione

Riprende il ruolo di guida e propone il riassunto dello scambio (tiene nota). Invita, in seguito, R a una valutazione sulla riuscita dello scambio. Fornisce a sua volta la propria.

I risultati vengono trasposti in un documento per la condivisione

Allestisce la valutazione

Sperimentazione Ai fini della sperimentazione, ho concordato, con un collega, un caso interessante che ci ha coinvolti entrambi, in momenti diversi. In un corso di formazione serale, articolato su dieci serate sull’arco di quasi due mesi, un partecipante “particolare” ha creato qualche problema di gestione delle dinamiche del gruppo. Il soggetto, con formazione accademica

12

D = colui che pone le domande (Guida), R = colui che risponde (interlocutore)

11


completa, non è riuscito a condividere l’esperienza formativa con il resto della classe (di provenienza scolastica e professionale decisamente molto più modesta). Il suo atteggiamento, anziché mettere a disposizione la sua esperienza e il suo sapere, si è focalizzato sulla conferma dello status formativo, professionale e sociale. Una situazione decisamente pesante e, fortunatamente, non frequente (un caso analogo fu riscontrato circa sette anni fa), ma che comunque ha messo a dura prova l’abilità dei docenti intervenuti. Con lo scopo di sperimentare il modello e lo strumento, è stato scelto questo caso, adottando il processo così come presentato. Di seguito il riassunto delle varie fasi: • Io, in qualità di D, ho sottoposto dapprima il contratto comunicativo che R ha accettato. • Ho poi esposto il caso, invitando R e raccontare la sua esperienza. • R ha molto presto raggiunto la posizione di parola incarnata. Il suo flusso verbale è rallentato molto presto nel tentativo di rappresentazione del ricordo / del vissuto. I suoi movimenti oculari si sono indirizzati soprattutto in basso a dx (canalizzazione verso l’esperienza interna, area affettiva). • Ho lasciato il tempo necessario per il racconto e l’approfondimento della situazione vissuta. • R ha colto l’opportunità per fornire molti dettagli sul comportamento del corsista e sulle sue reazioni (avute in qualità di docente di quella lezione serale). • Per aiutarlo ulteriormente ho posto domande relative alle sue sensazioni emotive, provate dovendo relazionare con il soggetto definito “difficile”. Per esempio: o “Puoi descrivermi quello che hai sentito dentro di te?” o “In che modo sei riuscito a gestire l’emozione e il nervosismo nei confronti degli altri, incolpevoli partecipanti?” • Alla precisa domanda “Quali elementi fattuali ritieni importanti per capire il comportamento del partecipante?”, R mi ha dichiarato di non ricordare elementi precisi, salvo una posizione preconcetta del partecipante verso il formatore (non accettazione dei ruoli in aula) • […] • R mi ha raccontato di ricordarsi di aver chiesto l’intervento del gruppo in suo sostegno, usando la frase: “cosa fareste voi al mio posto?” . Questo fatto ha generato una sostenuta reazione dei partecipanti, stanchi di questo fronteggiarsi tra il collega e il docente. Alcuni erano propensi ad abbandonare l’aula. • …dal momento che il gruppo ha potuto esprimersi liberamente sulla situazione ha preso coscienza del proprio ruolo e della difficoltà di approfittare dell’apprendimento proposto, ha sostenuto indirettamente il docente opponendosi all’invadenza del partecipante “difficile” (R: il gruppo mi ha aiutato parecchio…!) • […] • D: “sei d’accordo di ascoltare ora la mia esperienza con lo stesso gruppo…?” • A seguito della risposta positiva di R, ho raccontato di come il partecipante abbia tenuto lo stesso comportamento, anche nei miei confronti. La mia reazione al primo insorgere della non accettazione del ruolo di docenza è stata quella di chiarire i ruoli, le modalità e gli obiettivi del corso, richiedendo nel contempo, a ogni partecipante, di preparare degli esempi che avrebbero potuto essere discussi in un momento determinato della serata di formazione. • […]

12


In conclusione D e R hanno allestito una propria valutazione e una auto – valutazione, che sono state confrontate.

Attraverso questo scambio di pratiche, esplicitato e condiviso, è stato possibile evidenziare alcune nuove piste d’azione con, o senza, il coinvolgimento degli altri partecipanti (compagni di classe). Il risultato di detto incontro verrà messo a disposizione dei colleghi interessati, perché ritenuto rappresentativo per casi simili.

Conclusioni sul caso Grazie alla sperimentazione e all’analisi condivisa del caso in oggetto, lo scambio di pratiche ha permesso un importante sviluppo di competenze distintive13 per la gestione di casi particolari o problematici, come pure un nuovo approccio all’auto – valutazione alla valutazione, da parte dei colleghi. Un possibile impiego regolare del modello (su tempestiva segnalazione della persona coinvolta / interessata) può portare alla risoluzione di situazioni potenzialmente conflittuali, già dal loro insorgere.

Conclusioni sul lavoro di certificazione Poter progettare e sperimentare il modello sviluppato è stato straordinariamente interessante, motivante e arricchente. Ringrazio nuovamente la Professoressa Vittoria Cesari Lusso e le sottopongo il lavoro di approfondimento alfine di poter ricevere importanti feedback, nonché di poter acquisire la certificazione del Modulo 9 del MaGF2. Ringrazio e saluto cordialmente

Walter Seghizzi

13

Si apprende e si istaura la soggettiva abitudine a osservare e rilevare maggiormente gli elementi fattuali anziché, mettendole quindi in secondo piano, unicamente le reazioni puramente emozionali.

13


Bibliografia  Cesari Lusso V. (2005), Dinamiche e ostacoli della comunicazione interpersonale. Trento : Erickson.  Vermersch, P. (1994, 2005). Descrivere il lavoro. L’intervista di esplicitazione. Versione italiana a cura di V. Cesari Lusso & Antonio Iannaccone. Roma : Carocci Introduzione a cura di V. Cesari Lusso & A. Iannaccone.  Philippe Perrenoud. Dieci Nuove Competenze per Insegnare. Invito al viaggio Roma, Anicia, 2002.  appunti personali, non verificati dai relatori, raccolti in occasione delle giornate di Master MaGF2  documentazione didattica distribuita in aula e/o messa a disposizione sulla piattaforma dai Prof.ri V. Cesari – Lusso e M. Lamy

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Allegato 1(riassunto del formulario previsto in formato A3) SCHEDA DI SUPPORTO (PER LO SCAMBIO DI PRATICHE FRA PROFESSIONISTI)

D

R

Nome e cognome

Nome e cognome

Argomento / Criterio

Corso, caso, tema, situazione

Posizione di Reazione osser parola: vata e ritmo di Formale (F) flusso verbale Coinvolta (C) Incarnata (I)

Data del colloquio di scambio

Movimenti oculari

Approccio / entrata in materia / contratto comunicativo

Domanda D 1 Risposta R 1 Domanda D 2 Risposta R 2

Domanda D N ‌

Osservazioni supplementari:

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RAPPORTO INTERNO Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda a cura di Enrico Faggiano, Walter Seghizzi e Ferruccio Doga

Centro di formazione per formatori Divisione della formazione professionale


Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Ringraziamenti: Un ringraziamento speciale a tutti i formatori di apprendisti in azienda che hanno risposto al questionario, senza i quali il presente sondaggio non si sarebbe potuto effettuare. Si ringraziano anche tutti coloro che, in vari modi, hanno contribuito alla realizzazione del presente progetto con suggerimenti, commenti e critiche.

giovedĂŹ, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Introduzione ..................................................................................................4 Analisi dei bisogni .........................................................................................9 L’analisi dei bisogni come strumento per il miglioramento costante dell’offerta di corsi di perfezionamento del CFF ................................................................... 11

Il sondaggio.................................................................................................14 Obiettivi .................................................................................................................... 14 Materiale e metodi.................................................................................................... 14 Il campione .................................................................................................................15

Risultati .................................................................................................................... 23 Interventi formativi in ambito istituzionale....................................................................23 Bisogni istituzionali .....................................................................................................27 Bisogni d’integrazione.................................................................................................33 Bisogni in ambito familiare ..........................................................................................36 Bisogni aziendali e di categoria...................................................................................39

Conclusioni .................................................................................................43 10° Congresso Nazionale sull’Orientamento alla scelta: ricerche, Formazione Applicazioni - Firenze..........................................................46 Bibliografia ..................................................................................................47

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Introduzione Il presente studio è nato da due esigenze: una esterna e di più ampio respiro ed una interna e più specifica. La prima è quella di voler valutare in Canton Ticino quali siano i reali bisogni dei formatori di apprendisti in azienda; esplorazione mai fatta nella regione almeno in una forma così sistematizzata. La seconda, relativa ad aspetti attinenti il Centro di formazione per formatori che l’ha promosso e realizzato, è stata quella di valutare se la formazione rivolta al formatore di apprendisti in azienda rispecchia l’offerta fornita in tale ambito, in particolare riguardo i corsi di perfezionamento. Questo studio non vuole avere la presunzione di essere esplicativo di tutte le variabili e sfaccettature che l’argomento meriterebbe, ma vuole essere solo una piccola finestra verso un mondo – quello del formatore di apprendisti – che proprio perché molto variegato è di difficile interpretazione. I formatori che operano in Canton Ticino hanno diverse formazioni: impiegati di commercio, impiegati di vendita, muratori, addetti ai pneumatici, ecc… ma in comune hanno il loro essere formatori o ancora prima maestri. Quest’ultimo termine è ormai superato, ma continua ad avere tutta la forza che si porta dietro dal punto di vista etimologico. Il termine deriva dal latino e ancor più nello specifico dall’ “acc. di MAGISTER, […] onde varrebbe il più grande, il maggiore.” (Dizionario etimologico, 2004). Il centro di formazione per formatori (CFF) è un servizio della Divisione della for-mazione professionale (DFP) del DECS – Cantone Ticino. Dal 1978, anno d'intro-duzione della Legge federale sulla formazione professionale (LFP) che lo prescri-veva, si occupa dell'organizzazione della formazione degli, allora, denominati "Maestri di Tirocinio". È del 1980, inoltre, l'emanazione federale di una specifica ordinanza che, oltre a ribadirne l'obbligatorietà, fissa precisi parametri sulle durate e sui contenuti minimi, imposti agli enti di formazione cantonali incaricati. Dal 1° gennaio 2004, data dell'entrata in vigore della nuova LFPr, tale figura è stata rino-minata in "Formatori di apprendisti in azienda", mantenendo altresì l'obbligatorietà di frequenza al corso per tutti coloro i quali intendono assumere e formare un tiro-cinante. I partecipanti al corso di base per formatori sono progressivamente aumentati nel corso degli anni (vedi grafico sottostante), passando in 10 anni da 290 a 480 all'anno (con il miglior risultato di 520 nel 2006). Una massa critica importante quindi, anche quale significativo indicatore della soddisfazione sui contenuti e sulle modalità d'erogazione.

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

In adeguata considerazione, alfine di affinare i dettagli ma restando nei parametri dell'ordinanza precedentemente citata, vengono tenute le valutazioni espresse dai partecipanti alla fine di ogni corso. Queste vengono statisticate, analizzate e prese in considerazione in modo puntuale. In occasioni di specifiche riunioni vengono rese note al plenum dei formatori. Oltre a ciò vengono condotti dal responsabile colloqui personali con ogni formatore, aventi lo scopo di approfondire gli aspetti valutativi legati allo specifico docente. Riportiamo a mo' di esempio la statistica relativa all'anno scolastico 2006/2007

Valutazione e aree di miglioramento • Interesse per l’argomento trattato • Utilità dell’argomento trattato • Competenza specifica del formatore • Capacità d’animazione del formatore •

5,20 5,20 5,19 5,29

Valutazione media

5,21

Non solo attraverso le valutazioni, già citate, espresse dai partecipanti, bensì anche da feedback rilevati e riportatici dagli Ispettori di tirocinio della DFP, siamo in grado di affermare che le modalità esercitate durante l'erogazione formativa, facilitano e permettono un'acquisizione di competenze solide ed applicabili immediatamente nella pratica professionale quotidiana. Oltre a ciò la documentazione consegnata in aula ha proprio lo scopo, per cui così assemblata, di permettere un'efficace consultazione anche dopo la frequenza del corso. Ogni tema, ogni lezione è supportata in modo chiaramente intellegibile da supporti cartacei suddivisi per capitolo (area d'intervento) e tema. A partire dallo scorso mese di settembre 2006, viene consegnato in aula anche il nuovo Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda (http://hb.dbk.ch/it/index.php) edito dalla DBK (www.dbk.ch) in collaborazione con la CSFP (www.csfp.ch) e con i Cantoni.

giovedì, 24. luglio 2008

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Già con la pubblicazione dell'offerta del CFF per l'anno 2005 è stato deciso di optare per una crasi dei precedenti opuscoli. Fino al 2004, infatti, l'offerta formativa del CFF era suddivisa distintamente in 3 parti: 1. corsi di base per Maestri di tirocinio 2. corsi di perfezionamento per Maestri di tirocinio 3. corsi di base per periti d'esame Questa operazione ha evidenziato vicendevolmente alle diverse figure professionali gli indirizzi specifici, creando grande interesse. Sia alla fine di gennaio 2007 sia alla fine dello stesso mese del 2008, più del 60% delle offerte formative proposte risultava già completa. Molte richieste d'iscrizione hanno dovuto essere dirottate su altri corsi. Un primo indicatore di leggibilità delle attività del CFF in funzione dell'orientamento al cliente risulta essere, a nostro avviso, già stato citato in relazione al gradimento espresso, al termine del corso, dai partecipanti stessi. Un secondo è costituito dalle frequenti e importanti rivisitazioni del contenuto dei vari interventi (programma di formazione), dall'offerta di molteplici possibilità d'iscrizione ai corsi (diurni, serali, e in diverse località del Cantone). Per quanto attiene all'economicità dell'offerta, rileviamo che la tassa (CHF 300.- fino al 2004, CHF 320.- dal 01.01.05 e ulteriormente modificata in CHF. 350.- dal 1° gennaio 2007) risulta essere un prezzo politico, assolutamente conveniente e che non copre i costi vivi di progettazione, programmazione ed erogazione del corso. Vista l'obbligatorietà secondo la LFPr, di cui abbiamo già riferito, il Cantone, responsabile per l'organizzazione dei corsi, si assume la parte non coperta dal contributo finanziario degli iscritti. Il costo orario ammonta a CHF 8.75/UD. Il parametro legato all'efficacia è misurabile nel seguente modo: •

crescente numero di partecipanti

feedback ricevuti dagli ispettori del tirocinio

feedback ricevuti dagli stessi partecipanti, dopo qualche tempo, in occasione della loro partecipazione a corsi di perfezionamento o per periti d'esame

iscrizione alla procedura di qualificazione per l’ottenimento del Diploma di formatore di apprendisti, riconosciuto dalla confederazione Abbiamo dimostrato, nel corso degli anni, che il modello attuato in Ticino è stato un riferimento importante per altri Cantoni. La nostra appartenenza a diversi gruppi di lavoro e commissioni a livello federale lo dimostra. Per questo motivo un nostro rappresentante non è richiesto unicamente per questioni linguistiche, anzi. L'apprezzamento in questo ambito travalica gli aspetti formali e la rete di relazioni che si è costituita a livello intercantonale, permette un ulteriore sviluppo dell'approccio ai sistemi, alla gestione e al consolidamento dei processi qualitativi. Il CFF organizza e sviluppa durante l’anno diverse riunioni e conferenze per verificare se la qualità proposta ai corsisti professionisti ha raggiunto il livello voluto. Durante queste riunioni vengono espresse critiche, idee, proposte onde migliorare costantemente la qualità formativa. giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Il Direttore del CFF ed i suoi collaboratori stabili, sono responsabili del processo di assicurazione della qualità e sono pure le persone che controllano la qualità tramite regolari verifiche verbalizzate le quali vengono riassunte in un rapporto annuale e sottoposte alla Direzione della DFP, nonché agli interlocutori privilegiati dell’Istituto universitario federale per la formazione professionale (EHB / IFFP / IUFFP). I contenuti della qualità vengono definiti come segue: L’istituzione considera chiari i seguenti punti per la qualità •

Raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi per ogni corso

Valutazione dell’efficacia del corso tramite un formulario di valutazione

Mantenimento di uno standard di qualità adeguato, per rapporto all’evoluzione nel campo della formazione di base e continua

Continua verifica e adattamento ai bisogni riscontrati o alle difficoltà espresse nelle valutazioni dei partecipanti

Autovalutazione dei relatori ai corsi di base per formatori di apprendisti in azienda

L’istituzione si impone quale valore di qualità che almeno l’80% dei partecipanti ai vari corsi abbiano a conseguire il successo. La frequenza al corso da parte dei partecipanti non può essere inferiore all’85%, di conseguenza maggiori assenze non danno diritto a conseguire una certificazione del corso. Se dalle verifiche eseguite tramite questionari sottoposti ai corsisti risultasse che la qualità di formazione non è stata raggiunta, i responsabili attiverebbero dei corsi d’aggiornamento specifici per i formatori mirati a migliorare la qualità di formazione. Ulteriori interventi vengono confrontati e discussi con i responsabili dello stesso settore a livello federale nelle diverse commissioni (SDBB, SBBK ecc.). L’istituzione, per il tramite dei collaboratori del CFF all’inizio di ogni anno, attiva le necessarie verifiche e fissa nuovi obiettivi tendenti ad ottenere un sempre miglior grado di qualità. La valutazione e l’autovalutazione sono costituite da un insieme di attività conoscitive, finalizzate all’apprendimento e al miglioramento, le quali: •

consentono di esprimere un giudizio valutativo

sono strutturate nell’ambito di una procedura di ricerca e di analisi rigorosa

possono essere un’utile lezione per coloro che affrontano la gestione e il controllo dei processi dell’istituzione formativa

sono finalizzate al miglioramento continuo dei risultati (dapprima) e dei processi (dopo) [PDCA].

La valutazione e l’autovalutazione devono essere inseriti in una struttura e una procedura di ricerca per poter avere un risultato utilizzabile. Questo richiede un apprendimento da parte di tutti i coinvolti. L’autovalutazione è comunque un ottimo strumento per la crescita degli attori. Dopo giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

il processo di valutazione deve aver seguito il piano di miglioramento, altrimenti non c’è scopo di effettuare una valutazione. Proprio in quest’ottica è stato deciso di sviluppare un ulteriore strumento di valutazione e di analisi dei bisogni. Il presente sondaggio, infatti, ha avuto sin dall’inizio l’intendimento di rappresentare un ulteriore utensile nella “cassetta degli attrezzi” che il CFF ha da tempo in uso. I partecipanti lasciano l’aula, dopo l’ultima lezione e dopo aver restituito in varie forme, descritte in precedenza, la loro valutazione. È fortuito che vi sia un ulteriore incontro con loro; in ogni caso non è previsto. Da molto tempo, ai fini di un completamento del quadro di riferimento, che travalica quindi gli aspetti meramente formativi dell’erogazione didattica, il CFF si è trovato più volte a dover rispondere alla domanda relativa al reale apprendimento dei corsisti, nonché al fabbisogno non espresso di ulteriore completamento andragogico. Un follow – up, di tipo personalizzato, richiederebbe una visita in azienda da parte del team dei formatori, cosa che, per tempo e risorse finanziarie a disposizione, non è mai stato possibile. Ci si potrebbe basare, allora, su altri indicatori, quali ad esempio, la riuscita degli apprendisti, il loro andamento, il superamento delle procedure di qualificazione, ma, anche in questo caso si aprirebbero molte questioni sulle reali indicazioni fornite (non è detto che un buon formatore abbia un buon apprendista e viceversa), nonché, ancora una volta, sull’investimento necessario alla raccolta dei dati e alla loro analisi. Il sistema è complesso e, ci sia permesso affermarlo, imperfetto. I numeri, anche in un Cantone di piccole dimensioni come il Ticino, sono importanti. Ad ogni modo qualcosa andava fatto e il sondaggio, che vi invito a leggere, pur con tutti i limiti insiti nello strumento stesso, rileva abbastanza chiaramente il potenziale di sviluppo formativo, ma anche il senso di responsabilità, del dovere e della passione con la quale il campione dei formatori al fronte affronta giornalmente il non certo semplice compito di accompagnamento dei nostri giovani in formazione. Buona lettura!

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Analisi dei bisogni L’educazione è definita da Tyler (1971) come “un processo per cambiare i modelli di comportamento delle persone”. Riferendosi al comportamento in senso ampio, si include il pensare, il sentimento e l’azione. Se forniamo al termine educazione questa accezione, gli obbiettivi da perseguire per il cambiamento del comportamento possono essere ritrovati negli educatori e nelle istituzioni educative che dovrebbero cercare di sviluppare programmi efficaci. L’analisi dei bisogni rappresenta un mezzo primario per le inferenze di questi obbiettivi. Boone (1985, p. 113) ha dichiarato che lo sforzo collaborativo di analizzare i bisogni è “uno degli mandati primari per pianificare i bisogni educativi1”. Berger (1991, p. 2), ha inoltre sottolineato l’importanza di valutare i bisogni dei destinatari dei programmi educativi e ha suggerito come il “primo passo logico” sia definire un programma di pianificazione, attraverso un programma educativo quale “curriculum integrato di risposta alle esigenze di formazione”. Rossett (1993) affermava che ci sono quattro ragioni per avviare un’analisi dei bisogni: 1. aiutare a comprendere il vero bisogno prima di influenzare con raccomandazioni di sorta; 2. è un metodo per comprendere e servire i clienti e le aziende; 3. è una forma di consultazione in cui c’è un miglioramento del servizio e dei destinatari; 4. è metodo che alle organizzazioni educative e professionali è utile per garantire, coinvolgere e raccogliere informazioni. Vi è inoltre una notevole mancanza di prove del fatto che l’analisi dei bisogni, soprattutto formativi, da sola possa fornire tutte le informazioni stimolando di conseguenza nel rispondere un’autoanalisi; piuttosto, dovrebbe essere una parte di un progetto di apprendimento pertinente e più ampio (Grant, 2002). Rossett (1993) suggerisce di iniziare il processo di valutazione dei bisogni attraverso quello che lui definisce situazione “ottimale”. Per Rossett il concetto di “ottimale” è definito dall’insieme di alcuni concetti, quali le capacità desiderate, le conoscenze e le prospettive a cui aspirano gli individui, i dirigenti e l’organizzazione. Altri, come Tyler (1971, p. 6), e Tennant (1991) suggeriscono che occorre puntare sul bisogno accettabile “acceptable norms”, in quanto la valutazione “ottimale” può essere difficile da identificare. Sork e Caffarella (1989, p. 237) sottolineano che “non ci sono equivalenti serie di strumenti concreti che possano essere utilizzati per la costruzione di una descrizione della condizione desiderata”. Uno strumento per la determinazione della situazione “ottimale” è l’uso di esperti o relazioni di esperti.

1

Libera traduzione dall’inglese.

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Rossett (1993), guardando agli sforzi per uno sviluppo personale, categorizza in tre possibili situazioni i problemi che possono essere legati alla definizione di “ottimale”. Possono esistere situazioni in cui non è possibile determinare quello che è definito come ottimale, come ad esempio una complessa situazione in cui fattori sconosciuti influenzano il comportamento. Per esempio, può essere difficile stimare un livello ottimale di abilità quando è stato appena adottato, quindi è in uso da poco, un nuovo sistema informatico. Un’altra situazione potrebbe far nascere problemi quando si vuole trovare una soluzione “ottimale” per ogni individuo implicato in un conflitto. Un esempio di questo è il conflitto tra il tempo di apprendimento per la produzione e la produzione stessa. Ad alcuni dipendenti di uno stabilimento automobilistico potrebbe venir chiesto di aumentare la produzione di automobili, mentre stanno imparando le nuove procedure ed i nuovi strumenti per l’empowerment 2 . Il tempo a disposizione può rendere difficile definire l’aspetto ottimale di una situazione, in quanto richiederebbe un esame delle priorità. La terza situazione è citata da Rossett (1991) definendo che non è possibile definire ottimale una situazione se non è definita sufficientemente nella sua specificità. Sork e Caffarella (1989, p. 237), hanno dichiarato che “una volta che i bisogni sono specificati, dovrebbero essere presentati in un formato che metta in evidenza sia l’aspetto del presente che quello di una condizione desiderabile possibile”. Tyler (1971, p.13) afferma che l’indagine è utile solo “per ottenere informazioni che l’utente non ha alcuna esitazione nel fornire *”. Tyler (1971) ha suggerito che con la presentazione di questioni di interesse per l’utente, anche noi li incoraggiamo a partecipare al processo di apprendimento. Riguardo al fatto che l’analisi dei bisogni aumenti la richiesta, e quindi non venga quasi mai effettuata Sork e Caffarella (1989) criticano questo metodo affermando che: “Gli esperti sostengono che raramente hanno il tempo di effettuare l’analisi dei bisogni. Spesso, giustificandosi sull’offrire programmi basati sulla domanda potenziale o sulla base della disponibilità delle risorse a disposizione. Un’analisi di solito produce più bisogno di quello che può essere affrontato con le risorse esistenti. Quando ciò accade, ci deve essere una qualche tecnica utilizzata per determinare le priorità.... lo scopo di fissare delle priorità è quella di fornire una razionale allocazione di base delle risorse, che sarà ritenuta accettabile dal responsabile *”.

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L’empowerment è un processo che dal punto di vista di chi lo esperisce, significa “sentire di avere potere” o “sentire di essere in grado di fare”. * Libera traduzione dall’inglese giovedì, 24. luglio 2008

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L’analisi dei bisogni come strumento per il miglioramento costante dell’offerta di corsi di perfezionamento del CFF Una delle questioni centrali nell’attività di progettazione di una qualsivoglia offerta formativa, ruota intorno alla sua capacità di soddisfare i bisogni del target di utenti finali. La creazioni di itinerari formativi più o meno consistenti o ambiziosi, in termini di obiettivi d’apprendimento e di durata, non dovrebbe mai prescindere da questa tappa fondamentale del processo formativo; e questo sia per quel che riguarda corsi ”nuovi”, sia per quel che riguarda la necessità di rivisitare sistematicamente impianti formativi già esistenti e “consolidati” attraverso un monitoraggio costante dei bisogni stessi che, in talune circostanze più che in altre, possono modificarsi in maniera anche rapida. Nel ciclo della qualità della formazione, l’analisi dei bisogni non andrebbe quindi interpretata solo come un (più o meno) necessaria tappa da “start up” del cursus in questione ma, piuttosto come oggetto di rivisitazione e riprogettazione sistematica da condurre sulla base dei risultati provenienti dai consuntivi periodici da stilare alla fine di ogni sessione formativa completa. Il contesto specifico, cioè quello relativo ai formatori di apprendisti nelle aziende non fa quindi eccezione anche se l’offerta di momenti formativi di perfezionamento rivolti a questo gruppo obiettivo, deve comunque restare all’interno di alcuni vincoli istituzionali piuttosto precisi e limitanti. La grande eterogeneità del gruppo di destinatari, sia dal punto di vista della formazione specifica o disciplinare, sia per ciò che attiene al contesto in cui operano i diversi formatori d’apprendisti, sia per quel che riguarda le competenze che ciascuno di essi è chiamato a trasmettere svolgendo il proprio ruolo, sono solo alcuni dei “problemi” che si presentano a chi deve tentare di allestire una paletta di corsi di perfezionamento adatta alle esigenze di un tale pubblico e quindi può essere interessante definire una strategia di indagine sulle esigenze formative, che permetta di conseguire una serie d’informazioni, più o meno scientificamente statisticabili e codificabili, tali da consentire una riflessione ponderata sulla pertinenza, efficacia ed efficienza degli interventi formativi da progettare. In questo senso e nell’ottica di miglioramento continuo che deve essere al centro dell’attenzione di un’istituzione che intende proporre formazione di qualità, gli itinerari da percorrere possono e, per certi versi a nostro avviso, devono essere diversi. La somministrazione di un questionario cartaceo o elettronico strutturato con i crismi necessari per garantirne la facile interpretazione da parte dei destinatari e la decodificabilità da parte di chi poi sarà chiamato a interpretarlo, è senza dubbio un’iniziativa utile e interessante. Resta tuttavia la “vessata questio” legata a quanto, anche in presenza di domande ben formulate, non “manipolatorie” ecc. ecc., l’interlocutore sia in grado di condurre un’auto analisi (che diventa quasi un’auto diagnosi) relativa alle proprie esigenze formative generali e, ancor di più, specifiche, cioè correlate alla realtà di riferimento dove lui stesso è e sarà poi chiamato a trasferire giovedì, 24. luglio 2008

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materialmente queste capacità auspicabilmente derivanti da interventi formativi mirati a colmare i bisogni auto rilevati. Questo perché è abbastanza evidente e frequente che la percezione delle proprie lacune in termini di competenze “necessarie” possa essere distorta da gusti, preferenze, idiosincrasie, concetti di urgenza e importanza nel possedere determinate “skills” e quindi magari lontana dalla “reale” necessità operativa. In questo senso, nella prospettiva di avere una visione anche da un altro osservatorio, è necessario muoversi per “indagare” anche i beneficiari finali della prestazione professionale erogata dai formatori nell’adempimento del loro ruolo in azienda, cioè gli apprendisti. L’opinione di questi ultimi può offrire un contraltare importante all’indagine rivolta ai formatori, poiché, se ben strutturata, può permettere una mappatura piuttosto interessante della percezione che questa categoria di “attori” (gli apprendisti) del processo formativo ha delle capacità dei formatori stessi, segnatamente e con tutta probabilità di quelle relativa alla sfera delle cosiddette “competenze sociali”. Per giungere a una diagnosi ancora più completa, si può altresì identificare un’ulteriore categoria di soggetti implicati nella complessa relazione che si instaura tra formatore, apprendista nel contesto del tirocino: quella dell’ispettore. L’Ispettore del tirocinio è una figura istituzionale che, nel tempo, ha modificato il suo ruolo tendendo sempre di più ad assumere quello di “accompagnatore” dei formatori nella gestione di alcuni aspetti del processo di formazione degli apprendisti. In questo senso, è innegabile, anche se difficilmente misurabile, che l’opinione di questa categoria possa fornire ulteriori spunti di riflessioni utili al progettista del CFF per individuare meglio le aree da presidiare per meglio calibrare la strategia in termini di offerta. In ultimo alcune considerazioni di carattere generale. La messa in opera di un sistema che permetta di implementare in maniera adeguata un metodo così complesso di rilevazione dei bisogni, comporta un investimento di risorse importante, sia in fattore assoluto, a maggior ragione se relativizzato al contesto specifico (il CFF) all’interno del quale dovrebbe funzionare. Di qui l’interrogativo che ci si può porre sull’efficienza (intesa come rapporto tra costi e risultati) dell’operazione, finalizzata alla strutturazione di (magari) non più di venti o trenta giorni di formazione all’anno. L’unica risposta in questo senso sta nell’interpretazione che ciascuno da al concetto di “qualità” nella formazione, riferita non solo ai differenti dispositivi formativi che un istituzione propone, ma anche alla “politica” della formazione che quest’ultima persegue. Per quel che riguarda la nostra visione, siamo propensi a credere che la strada giusta sia quella di sviluppare un’offerta che, anche grazie al coinvolgimento più attivo di tutti i suoi attori anche nella fase di analisi dei bisogni, possa aumentare il numero di interessati e alimentare ulteriormente la loro sensibilità verso la formazione continua, in particolare quella correlata alle competenze sociali. giovedì, 24. luglio 2008

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Senza illuderci che anche il rilievo piĂš scientifico e statisticamente codificabile dei bisogni formativi di qualsivoglia pubblico obiettivo, possa in qualche modo sostituirsi alla sensibilitĂ e capacitĂ del progettista, ancora oggi (per fortuna) componenti fondamentali e insostituibili per sviluppare soluzioni formative efficaci, coerenti e pertinenti.

giovedĂŹ, 24. luglio 2008

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Il sondaggio Obiettivi Il presente studio, come anticipato nell’introduzione, non ha voluto considerare solamente l’analisi dei bisogni formativi – vale a dire un’esigenza interna – ma ha voluto aprire anche una finestra più ampia sull’analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda, riflettendo anche su aspetti non propriamente attinenti alla formazione. Quest’obiettivo non vuole avere la pretesa di risolvere problematiche istituzionali o politiche, ma dal punto di vista esplorativo vuole solo fornire una visione più ampia della tematica trattata, valutando anche altre tematiche gravitanti intorno al mondo del formatore. I formatori di apprendisti in azienda vivono, il più delle volte, nella microrealtà della loro piccola e media azienda, ma partecipano ai dibattiti politici ed hanno un’idea specifica della situazione generale. Questa situazione è foriera di voci sommerse, che lasciano la loro espressione ai loro rappresentanti; in questo sondaggio si è voluto dare voce a quanti vivono la loro esperienza quotidiana in questa realtà. In Canton Ticino nel 2005 operano circa 163'065 aziende (USTAT, 2005); di queste 146'547 sono PMI - piccole e medie imprese (vale a dire il 90%), e solo 16'518 sono grandi imprese (10.1%).

Dimensione aziende Micro-imprese (fino a 9) Piccole (10-49) Medie (50-249) Grandi (250 e più) Totale

N 55'120 49'901 41'526 16'518 163'065

% 33.8 30.6 25.5 10.1 100

Nel 2006 nelle aziende ticinesi sono occupati circa 6'700 apprendisti (Rendiconto annuale DFP, 2006), di questi circa il 65% sono nel commerciale, il 20% nell’industriale, agrario e artigianale ed il rimanente 15% nel sanitario e sociale.

Materiale e metodi Per attuare un’analisi dei bisogni nei formatori di apprendisti in azienda si è cercato di interrogare la letteratura scientifica che non annovera modelli accettati all’unanimità. Ogni tecnica di rilevazione e metodo accluso sono relativi ad ogni singolo studio di settore, lo stesso Witkin (1984) afferma che per fare un’analisi dei bisogni occorre considerare diverse caratteristiche: (a) esaminare le priorità delle azioni future; (c) ascoltare diverse fonti, il tutto attraverso un (d) approccio sistematico. Quello che lo studio si propone di fare è offrire uno squarcio della situazione giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

attuale, considerando diverse variabili, per valutare l’impatto che possano rivestire in un’analisi globale e multi sfaccettata quale quella presente nel Canton Ticino. In letteratura sono state utilizzate diverse tecniche per attuare un’analisi dei bisogni, tra cui: ●

questionari

interviste

focus group

valutazione delle necessità sul posto di lavoro

riflessione sulle azioni

autovalutazione

peer review

osservazione diretta

recensione critica

analisi del divario (gap) o della discrepanza

La metodologia usata per la raccolta dei dati è stata quella del questionario on-line e pur riconoscendo il limite intrinseco per questo tipo di scelta si è deciso comunque di utilizzarlo per due motivi: il primo legato alla velocità di raccolta dei dati (considerando che oramai molte aziende hanno un collegamento internet), mentre il secondo relativo alle risorse finanziarie ed umane a disposizione per il seguente sondaggio. È stato inviato un email a circa diecimila formatori con un link al sito del sondaggio on-line, e di questi hanno risposto in 343.

Il campione I formatori di apprendisti Il campione, pur non essendo rappresentativo della popolazione di riferimento, permette di trarre comunque alcune conclusioni, che sono solo il punto di partenza di un eventuale approfondimento teorico. Il campione ha un età media di circa 40 anni ed è costituito da 131 femmine e 212 maschi, di nazionalità soprattutto svizzera (86%) e italiana (12%); il rimanente 2% – di nazionalità differenti – è stato raggruppato in “altra” nazionalità. Per quanto riguarda il titolo di studio la distribuzione è la seguente: il 56.6% un diploma di scuola professionale, il 29.2% un titolo di Scuola media superiore, il 12% una laurea ed un 2.3% ha un titolo di scuola media.

Femmine Maschi Totale

giovedì, 24. luglio 2008

Numero 131 212 343

Formatori di apprendisti Età media Età min. 37,37 20 42,13 21 40,31 20

15

Età max 58 65 65

Dev. St. 9,05 8,90 9,24


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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Formatori per livello scolastico e sesso 70,0 57,5

60,0

55,0

Frequenza formatori

50,0

40,0 34,4 25,9

30,0

20,0 14,2 8,4

10,0 2,3 2,4 0,0

Diploma di scuola media (Sme)

Diploma di scuola media superiore (SMS)

Diploma di scuola professionale

Laurea

% Femmine

% Maschi

Il genere dei formatori è distribuito abbastanza equamente nei vari livelli di scolarizzazione, soprattutto in coloro che posseggono un diploma di scuola professionale. Una differenza rilevata è nel numero di formatori maschi laureati (14.2%) rispetto alle femmine (8.4%). Una leggera inversione si registra invece in coloro che hanno un diploma di scuola media superiore. Funzione dei formatori di apprendisti all'interno della loro azienda

1% 22% 31% 4%

42%

Direttore

Vicedirettore

Responsabile (di reparto, di un ufficio, ecc..)

Dipendente

Altro

La maggior parte del campione è composto da responsabili di reparti, uffici, ecc… Un formatore su tre è un dipendente dell’istituzione, mentre il 22% dei rispondenti sono direttori e un 4% vicedirettori. giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Apprendisti seguiti per funzione all'interno dell'azienda 100.0 86.7

90.0

75.0

80.0 71.8

65.7

70.0 60.8 60.0

No Si

50.0 40.0

39.2 34.3 25.0

28.2

30.0 20.0

13.3

10.0 0.0

Direttore

Vicedirettore

Responsabile (di reparto, di un ufficio, ecc..)

Dipendente

Altro*

* Quelli inseriti nella funzione “Altro”, pur avendo un’alta percentuale, sono solo 4

Di coloro che hanno risposto al sondaggio il 70% segue apprendisti in azienda contro un 30% che non segue alcun apprendista. Il grafico sopra differenzia la percentuale degli apprendisti secondo la funzione svolta all’interno dell’azienda dal formatore. Si può evidenziare che sono soprattutto i vicedirettori che seguono l’apprendista, dopo seguono i responsabili con uffici, reparti, ecc… e i dipendenti 3 . I direttori sono gli ultimi che si incaricano direttamente di seguire un apprendista (61%), preferendo demandare ad altri tale compito.

3

Coloro che sono raggruppati nella funzione “Altra” sono un piccolo numero ecco perché non sono stati considerati nel commento. giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Hai già seguito il corso di formatori di apprendisti?

81,1

% Maschi

18,9

84,0

% Femmine

16,0

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

No

60,0

70,0

80,0

90,0

Si

Hai già seguito il corso di formatore di apprendista?

78,0

Laurea (n=41)

22,0

Diploma di scuola professionale (n=194)

81,4

18,6

Diploma di scuola media superiore (n=100)

87,0 13,0

62,5

Diploma di scuola media (n=8)

37,5

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

No

50,0

60,0

70,0

80,0

90,0

Si

La distribuzione di coloro che hanno già seguito il corso di formazione di apprendisti in azienda è equamente rappresentata nel genere del formatore, così come per il titolo di studio. In generale si può affermare che sono più donne che uomini, con diploma di scuola media superiore o diploma di scuola professionale. giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Le aziende Questo paragrafo è stato dedicato all’azienda formatrice, per fornire un’indicazione del contesto in cui opera il formatore di apprendista che ha risposto al questionario. La prima suddivisione contestuale che è stata fatta è relativa al distretto in cui è situata l’azienda. Distretto dove opera l'azienda formatrice

4%

0%

13%

26%

1% 3% 36%

Bellinzonese

Blenio

17%

Leventina

Locarnese

Luganese

Mendrisiotto

Riviera

Vallemaggia

Si può notare che un terzo delle aziende che hanno risposto al questionario sono del distretto di Lugano (36%) seguite da quelle con sede nel distretto di Bellinzona (26%), Locarno (17%), Mendrisio (13%), Riviera (4%), Leventina (3%) e Blenio (1%). Nessuna azienda della Vallemaggia ha risposto al questionario. Di queste l’80% è una sede centrale contro il 20% che invece è una succursale di sede.

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Ramo della formazione aziendale

14% 39%

47%

Formazione commerciale e dei servizi Formazione industriale, agraria, artigianale e artistica Formazione sanitaria e sociale

Le aziende sono state suddivise secondo le tre principali formazioni professionali differenziate a livello cantonale: formazione commerciale e dei servizi; formazione industriale, agraria, artigianale e artistica; formazione sanitaria e sociale. Quasi la metà delle aziende fa parte della formazione industriale, agraria, artigianale e artistica, circa un 40% di quella commerciale e un 14% di quella sanitaria e sociale.

Numero di formatori nelle aziende

11%

19%

48%

22%

1 formatore

2 formatori

da 3 a 5 formatori

6 e più formatori

Il grafico sopra mette in evidenza il numero di formatori a disposizione dell’azienda e si può osservare che quasi la metà di esse (48%) ha solo un formatore, contro il 22% che ne possiede

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

due ed il 19% che è dotato da 3 a 5 formatori di apprendisti. Solo un un’azienda su dieci (11%) ha al suo interno più di 5 formatori di apprendista.

Numero di dipendenti in azienda

2%

9% 15%

35%

12% 12%

da 1 a 2

da 3 a 5

da 6 a 10

15%

da 11 a 20

da 21 a 40

più di 40

Nessun dipendente

Le aziende rispondenti sono equamente rappresentate riguardo il numero di dipendenti. Il 35% sono aziende con più di 40 dipendenti, contro il rimanente 65% che si distribuisce tra piccole e medie imprese.

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Aziende divise per PMI e Grandi imprese

9% 37% 24%

30%

Micro-imprese (fino a 9)

Piccole (10-49)

Medie (50-249)

Grandi (250 e più)

In questo grafico la distribuzione delle aziende è illustrata seguendo l’indicazione dell’Ufficio di statistica (USTAT, 2005), vale a dire che le aziende sono state suddivise in: microimprese, piccole imprese, medie imprese e grandi imprese. In questo caso la distribuzione è così composta: 37% di micro-imprese, 30% di piccole imprese, 24% di medie imprese ed il 9% di grandi imprese. Le PMI sono il 90% rispetto alle grandi imprese, aspetto che ricalca la popolazione di riferimento (USTAT, 2005). Percentuale di apprendisti in azienda

10% 33%

57%

Nessun apprendista

Da 1 a 2 apprendisti

Da 3 a 10 apprendisti

In questo grafico si può evidenziare che il 57% delle aziende ha da 1 a 2 apprendisti, contro un’azienda su dieci che ne segue da 3 a 10. Le imprese che hanno risposto al questionario e che non hanno nessun apprendista sono circa un terzo del campione. Di coloro che seguono gli apprendisti più dell’80% ha già frequentato il corso di base per formatori di apprendisti in azienda. giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Risultati

Interventi formativi in ambito istituzionale Questa sezione è dedicata alla formazione del formatore di apprendisti ed in particolare a determinate domande che sono state poste ai formatori riguardo il tipo di formazione, le ore di formazione, ecc…

Ore di formazione continua che dovrebbe seguire durante l'anno il formatore di apprendisti

16,6

superiori a 40 ore 14,0

da 31 a 40 ore da 21 a 30 ore

9,6

da 11 a 20 ore

25,7

fino a 10 ore

34,1 0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

Il grafico riporta le ore annue di formazione continua richieste dai formatori di apprendisti. Un terzo risponde che le ore di formazione continua da effettuare durante un anno dovrebbero essere dieci, contro un quarto di formatori che invece si situa tra le undici e le venti ore di formazioni annue. Segue un 16% che afferma che le ore di formazione dovrebbero superare le 40. Quest’ultimo dato potrebbe essere letto più che come formazione continua, come vero e proprio percorso di apprendimento, infatti a riprova di questo è il fatto che alcuni formatori hanno riferito che occorrerebbe effettuare fino a 600 ore annue, tipiche di un percorso formativo professionale.

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Offrire più corsi di formazione 30,0 27,1 24,8

25,0

24,5 23,0

22,2

23,0

19,5

20,0 16,3 15,0

10,0 6,4 5,0

5,0 2,0 1,7

2,6

1,7

0,0 1 Per niente d'accordo

2

3

4

A livello federale

5

6

7 Completamente d'accordo

A livello cantonale

Il grafico sopra distingue se l’erogazione dei corsi deve avvenire a livello cantonale o federale. Si può vedere che non c’è una grande differenza nelle risposte: la differenza tra preferire corsi federali e cantonali è di solo quattro punti percentuali (considerando la somma delle risposte nella scala da 5 a 7). I formatori non fanno una grande differenza in chi deve erogare i corsi, ma tutti sono d’accordo sul fatto che devono essere erogati.

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Offrire più corsi di formazione psicologica (ad es. come relazionarsi meglio con l'apprendista) 30,0

23,6

25,0

25,7

24,2

21,3

20,7

18,4

20,0

19,5

17,8

15,0

10,0

7,9 7,6 4,7

5,0

3,8

2,9

2,0 0,0

1

2

3

4

5

6

Per niente d'accordo

7

Completamente d'accordo A livello federale

A livello cantonale

Offrire più corsi di formazione pedagogica a livello federale (ad es. come educare meglio l'apprendista) 30,0

25,4 25,0

22,4

21,6 20,0

23,0 23,0 20,4

19,0

18,1

15,0

10,0

7,0 7,6 4,4 5,0

5,0

2,0

1,2 0,0

1

2

3

4

5

Per niente d'accordo A livello federale

6

7

Completamente d'accordo

A livello cantonale

Alcune domande più specifiche riguardo il tipo di formazione, volevano sondare se ci fosse almeno una differenza negli argomenti dei corsi che dovrebbero essere erogati a livello cantonale o a livello federale. Nei grafici sopra si nota che anche in questo caso per i rispondenti non c’è una differenza nei corsi di psicologia o pedagogia. Circa il 70% dei rispondenti afferma che è d’accordo che questo tipo di corsi vengano erogati da entrambi.

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Offrire più corsi di formazione didattica (ad es. modelli di insegnamento per migliorare l'efficacia e l'efficienza dell'apprendista) 30,0

23,9

25,0

25,4

23,3

21,9 20,7

19,2 20,1

20,0

20,4

15,0

8,5

10,0

7,0 3,8

5,0

3,2 1,2 1,5

0,0

1

2

3

4

5

6

7

Per niente d'accordo

Completamente d'accordo A livello federale

A livello cantonale

Si è cercato di verificare se una differenza di erogazione poteva essere fatta con la formazione di tipo didattico, come ad esempio l’apprendimento di modelli di insegnamento per migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’apprendista, senza però differenze, ma sette formatori su dieci hanno affermato si essere d’accordo di erogare questo tipo di corsi. Offrire più corsi di formazione nelle tematiche attinenti a: comunicazione, comportamenti antisociali o a rischio, dipendenze 30,0

28,3 25,7

25,1 25,0 21,3

21,9 21,3

24,2

23,0

20,0

18,4

17,2

18,4

15,0 12,0 9,3

10,0

3,5

5,0

4,7 4,1 5,2

5,8 6,1

2,3 2,3 0,0 1

2

3

4

Per niente d'accordo

5

6

7

Completamente d'accordo Comunicazione

Comportamenti antisociali

Dipendenze

Nel grafico sopra sono state raggruppare tre categorie di corsi di formazione: (1) comunicazione; (2) comportamenti antisociali o a rischio; (3) dipendenze. Quello che emerge è che il bisogno più sentito riguarda i corsi cantonali sui comportamenti antisociali o a rischio. Infatti si sono definiti completamente d’accordo sull’erogazione di questo tipo di formazione il 28% dei rispondenti, contro il 24% circa sulle dipendenze ed il 18% circa sui corsi sulla comunicazione. giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Bisogni istituzionali Questa sezione è relativa agli interventi che il Cantone o la Confederazione dovrebbero attuare riguardo l’apprendistato. Queste sono solo alcune indicazioni di massima riguardo questa dimensione, ma si sono volute fare comunque alcune domande per sondare alcune macro categorie.

Offrire (più) sgravi lavorativi per formatori di apprendisti in azienda che seguono un apprendista in azienda 28,6

30,0 25,9

23,6

25,0

23,3 20,7 18,7

20,0 16,6

16,3

15,0

10,0

5,0

3,5

3,8

4,7

3,5

5,2 5,5

0,0 1

Per niente d'accordo

2

3

4

5

6

7 Completamente d'accordo

A livello federale

A livello cantonale

Ai formatori di apprendisti è stato chiesto se occorre offrire più sgravi a coloro che seguono apprendisti in azienda ed in particolare se tali sgravi devono essere erogati a livello federale o cantonale. Un quarto dei rispondenti si trova completamente d’accordo nel ritenere erogabili questi sgravi a livello federale, che salgono a più del 60% se si considerano le risposte dal 5 al 7. C’è una leggera differenza, non significativa, nel fatto che gli sgravi vengano erogati dal Cantone.

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Offrire (più) finanziamenti alle aziende che formano apprendisti

40,0

37,6

36,4

35,0 30,0 23,3

25,0

21,9

21,6 21,0 20,0 15,0 10,2 8,7

10,0 5,0

3,5 1,7 2,6

2,6

5,8

2,9

0,0 1

2

Per niente d'accordo

3

4

5

A livello federale

6

7 Completamente d'accordo

A livello cantonale

Per quel che concerne fornire finanziamenti alle aziende, 8 formatori su 10 sentono molto questo bisogno di finanziamento. Pur non riscontrando una grande differenza i rispondenti affermano che sono d’accordo soprattutto che tali finanziamenti vengano forniti dalla Confederazione (82%) contro il 79% che ritiene che vengano erogati a livello cantonale. Le famiglie dovrebbero ricevere (più) sussidi soprattutto se ha un reddito modesto 25.0

22.4 19.0

20.0

18.1

Percentuali

16.0 15.0

9.0 10.0

8.5 7.0

5.0

0.0 1

2

3

4

5

Per niente d'accordo

6

7

Completamente d'accordo

In questo grafico si nota che due formatori su tre sono d’accordo sul fornire alle famiglie (soprattutto con un reddito modesto) dei sussidi. In particolare due su dieci di loro si definiscono completamente d’accordo con questa iniziativa, mentre altri due non hanno un opinione in merito. Solo un formatore su dieci afferma di non essere per niente d’accordo con questo tipo di intervento. Questa domanda non ha trovato, come in altri casi, una quasi unanimità di risposte positive, per quanto potesse essere attesa, visto invece il bisogno dimostrato sui finanziamenti alle aziende e sugli sgravi lavorativi ai formatori che seguono un apprendista. giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Mettere a disposizione una piattaforma on-line per confronti, opinioni, forum, ecc…

28,6

30,0

26,5 24,2

25,0 19,0 19,5

20,0

19,5 17,8

16,9

15,0

10,0

5,0

7,9 6,1

5,0 5,2 2,3

1,5

0,0 1

Per niente d'accordo

2

3

4

A livello federale

5

6

7 Completamente d'accordo

A livello cantonale

La domanda del grafico sopra è stata posta per valutare l’interesse di scambiarsi informazioni o opinioni attraverso piattaforme on-line, quali siti internet per la condivisione di opinioni o forum di discussione. In questo caso pur rilevando che un formatore su cinque non ha un’idea specifica in merito (19%), si può comunque affermare che quasi un formatore su tre è completamente d’accodo su questa innovazione.

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Impegnarsi maggiormente nel curare determinati aspetti (organizzativi, sociali, professionali, ecc…)

35,0 31,5 28,9

30,0 24,8

25,0

24,2

20,0

17,5 15,2

15,0

12,2 9,6

10,0

13,7 10,8

4,4 4,1

5,0 1,7 1,5 0,0 1

2

Per niente d'accordo

3

4

A livello federale

5

6

A livello cantonale

7 Completamente d'accordo

Il grafico su riportato è relativo all’impegno da parte delle istituzioni cantonali e federali riguardo il curare determinati aspetti: organizzativi, sociali e professionali del formatore di apprendista. Si può notare che la distribuzione delle risposte è concentrata soprattutto nei punteggi centrali della scala4 dimostrando che seppur d’accordo sulla problematica sollevata risulta essere un tema non molto sentito o non prioritario.

Aumentare la durata obbligatoria dell'apprendistato

30,0 25,9

25,1

25,0 20,7

20,4

19,2

20,0

15,2

17,5

16,3

15,0

10,0

7,9 7,6

6,4 6,4

6,4 5,0

5,0

0,0 1

Per niente d'accordo

4

2

3

4

A livello federale

Punteggi 4 e 5 della scala

giovedì, 24. luglio 2008

30

5

A livello cantonale

6

7 Completamente d'accordo


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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Alla domanda relativa all’aumento obbligatorio dell’apprendistato i formatori sono d’accordo nel non aumentarne la durata (60%). Solo due formatori su dieci sarebbero d’accordo su questo provvedimento. Altri interventi 30.0 24.5

25.0 21.3

21.6 19.5

20.0

18.7

19.2 16.6

15.0

13.1

12.8

10.8

10.0

7.9 6.1

5.5

5.0 2.3

0.0 1

2

3

4

5

6

7

Completamente d'accordo

Per niente d'accordo Più visite da parte degli ispettori Più strumenti di (auto)valutazione

In questo grafico sono rappresentati altre tipologie di bisogni, come ad esempio più visite da parte degli ispettori di tirocinio, avere a disposizione più strumenti di (auto)valutazione, come ad esempio la Qualicarte. In generale si può vedere che sono aspetti sentititi dai formatori, ma non prioritari, in quanto c’è un’equa distribuzione delle risposte nei punteggi dal 4 al 7 della scala. Sei formatori su dieci hanno fornito risposte da 5 a 7 punti, ma sono solo due formatori su dieci ad essere completamente d’accordo su un offerta più sostanziosa di questa tipologia di interventi.

giovedì, 24. luglio 2008

31


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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Il Cantone dovrebbe fornire figure professionali diverse dagli ispettori di tirocinio a cui riferirsi nei momenti di crisi con l'apprendista (psicologi, pedagogisti, ecc…) 30.0 24.2

25.0

20.4

20.0

19.5

18.1

15.0

10.0

5.0

7.6 4.7

5.5

0.0 1

2

3

4

Per niente d'accordo

5

6

7 Completamente d'accordo

Nel grafico sopra si mette in evidenza il bisogno di avere figure diverse dagli ispettori di tirocinio come ad esempio specialisti in psicologia o pedagogia. Si può evidenziare che quasi un 60% dei formatori di apprendisti afferma che sarebbe d’accordo nell’accettare tale provvedimento, contro un 17% che invece ritiene di non essere d’accordo. Un formatore su quattro non ha un’opinione in merito (24%). L’aspetto di confronto con professionisti che non siano solo ispettori di tirocinio, emerge anche dal tipo di formazione richiesta5, vale a dire che quasi sette formatori su dieci chiede una formazione più centrata sugli aspetti relazionali e meno su quelli più strettamente legati alla didattica. Un altro collegamento riguardo il chiedere un contatto più stretto con psicologi e pedagogisti può essere fatto anche riguardo un’altra domanda, rivolta però più strettamente all’azienda6, che ha messo in evidenza che l’ 85% di loro chiede più sostegno nei momenti di difficoltà con l’apprendista.

5

La domanda era la seguente: “Il cantone dovrebbe offrire più corsi di formazione psicologica (ad es. come relazionarsi meglio con l'apprendista)” 6 La domanda era la seguente: “L’azienda dovrebbe dare al formatore di apprendisti più sostegno quando si trova a gestire apprendisti difficili (ad esempio con problemi di comportamento)” giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Bisogni d’integrazione Questa sezione è dedicata a domande attinenti l’integrazione lavorativa degli apprendisti stranieri e di quegli apprendisti più difficili (ad esempio con disturbi del comportamento). Alcune domande servivano a sondare la difficoltà di gestire questa tipologia di allievi, valutando allo stesso tempo possibili interventi da effettuare da parte dell’istituzione. Apprendisti stranieri 60,0 50,7 50,0

40,0

30,0 19,8

20,0 14,9 12,2

14,6

14,0

14,0

11,7

11,4

16,0

9,0

10,0

5,0

3,5

3,2

0,0 1

2

3

4

5

6

7 Completamente d'accordo

Per niente d'accordo Far seguire corsi speciali, prima dell'apprendistato, agli apprendisti stranieri

Collocare gli apprendisti di altra nazionalità in aziende con formatori di apprendisti della stessa nazionalità

Ai formatori sono state poste anche domande per sondare se sentono il bisogno di provvedimenti riguardo gli apprendisti stranieri e questo grafico ne riassume due: (1) far seguire corsi speciali agli apprendisti stranieri prima dell’apprendistato e (2) collocare gli apprendisti non autoctoni in aziende con formatori della stessa nazionalità. Le risposte fornite alla prima domanda si distribuiscono su tutta la scala, dimostrando di non avere un opinione unanime in merito. In generale si può affermare che quasi la metà dei formatori “sono d’accordo” (39%) di far seguire corsi speciali agli apprendisti stranieri, contro un’altra metà che è in disaccordo (41%). La seconda domanda voleva esaminare quanto è sentita la differenza di nazionalità, per valutare quanto questa sia di ostacolo a lavorare insieme, ma soprattutto a seguire e formare un apprendista straniero. La metà dei formatori (51%) ha affermato di non essere per niente d’accordo sul collocare gli apprendisti di altra nazionalità in aziende con formatori di apprendisti della stessa nazionalità. In generale il 77% dei formatori non sono d’accordo 7 , però è anche risultato che un formatore su dieci (11%) è d’accordo su questo tipo di intervento.

7

Somma dei punteggi dal 1 al 3.

giovedì, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Il Cantone dovrebbe trovare, per quegli allievi difficili o con problemi di comportamento, un collocamento diverso dall'apprendistato (ad esempio: comunità protette) 25,0 20,7

20,4 20,0 17,8

Percentuali

15,7 15,0 10,8 8,5

10,0 6,1 5,0

0,0 1

2

3

4

Per niente d'accordo

5

6

7

Completamente d'accordo

Questa domanda voleva sondare la problematica spesso sollevata nei corsi di formazione professionale, vale a dire se non sarebbe meglio trovare, per quegli allievi difficili o con problemi di comportamento, un collocamento diverso dall’apprendistato (ad esempio: comunità protette). In generale il 57% si dice d’accordo di optare per questa soluzione, ed più in particolare più di due formatori su dieci risponde di essere completamente d’accordo su questo intervento. Solo un formatore su cinque non è d’accordo su questo tipo di provvedimento, mentre circa due formatori su dieci (18%) non hanno un’opinione in merito. Ad un’analisi più approfondita si è potuto osservare che nel fornire queste risposte, non ci sono differenze di sesso, di età e di nazionalità, evidenziando una generale difficoltà, da parte di tutti i formatori, di gestire questa tipologia di apprendisti, facendo emergere un bisogno sentito da tutti i formatori.

giovedì, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Scuola - Lavoro 30,0 23,9 25,0

20,0

22,4 19,0

18,4

17,5 15,5

14,0

15,0

12,5

11,7

9,3

8,2

10,0

13,7

7,6

6,4 5,0

0,0 1 Per niente d'accordo

2

3

4

5

6

7 Completamente d'accordo

Far rimanere l'apprendista più sul posto di lavoro e meno a scuola Permettere all'allievo all'inizio del suo apprendistato, maggiore presenza a scuola ed in seguito maggiore presenza sul posto di lavoro

Le due domande poste ai formatori evidenziano che per quasi la metà di loro (47%) è più importante permettere all’allievo all’inizio del suo apprendistato maggiore presenza a scuola, ed in seguito maggiore presenza sul posto di lavoro. È solo un formatore su tre che non è d’accordo su questa opzione.

giovedì, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Bisogni in ambito familiare Questa sezione è dedicata alla famiglia dell’apprendista vista dalla prospettiva del formatore. È risaputo quanto il contesto familiare sia sempre chiamato in causa per spiegare o interpretare alcuni aspetti della vita relazionale, sociale e professionale dell’apprendista. Le domande poste ai formatori sono essenzialmente di carattere generale, ma possono fornire alcune informazioni utili per una lettura sistemica del mondo dell’apprendistato. Le domande hanno cercato di identificare sia il lato duale della relazione formatore-genitore che il lato più sistemico formatore-apprendista-famiglia.

La famiglia non dovrebbe interferire con l'apprendistato del figlio (ad esempio telefonando o presentandosi in azienda) 25,0 21,0 18,1

20,0

Percentuali

14,6 15,0

13,4

12,8 11,4 8,7

10,0

5,0

0,0 1

2

3

4

Per niente d'accordo

5

6

7

Completamente d'accordo

Nel grafico sopra sono riportate le risposte fornite dai formatori alla domanda se la famiglia dell’apprendista dovrebbe interferire meno con l’apprendistato del figlio. Si può notare che c’è una equa distribuzione nelle risposte ed in generale metà di loro (48%) dichiarano che questa non è una necessità. Solo un formatore su tre (33%) ritiene che occorrerebbe intervenire in questo senso.

giovedì, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

La famiglia dovrebbe essere più presente durante l'apprendistato del giovane (informandosi presso il formatore) 45,0 38,2

40,0 35,0 28,9

Percentuali

30,0 25,0 20,0

15,2 13,4

15,0 10,0 2,6

5,0

1,7

0,0 1

2

3

4

5

6

Per niente d'accordo

Completamente d'accordo

In questo grafico si evidenza come per il formatore la famiglia sia poco interessata all’apprendistato del proprio figlio, con anche poche richieste di informazioni. Quasi quattro formatori su dieci è completamente d’accordo a che la famiglia dovrebbe investire più tempo nell’interesse dell’apprendista. La famiglia dovrebbe aiutare il giovane ad inserirsi nel mondo lavorativo

40,0 35,9 35,0 30,0 24,8 Percentuali

25,0 20,0

16,3

17,8

4

5

15,0 10,0 5,0 0,0

1,5

3,5

0,3 1

2

3

Per niente d'accordo

6

7

Completamente d'accordo

Aspetto interessante che emerge dal presente grafico è la responsabilità che il formatore di apprendisti affibbi alla famiglia nell’inserimento del giovane nel mondo del lavoro (80%).

giovedì, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

La famiglia dovrebbe vigilare di più sul giovane quando non è sul posto di lavoro per non compromettere il suo rendimento in azienda (ad esempio evitando che frequenti cattive compagnie o faccia tardi la sera) 50,0

47,2

45,0 40,0

Percentuali

35,0 30,0

25,7

25,0 20,0 15,0

9,6

12,5

10,0 5,0 0,0

2,0

2,6

2

3

0,3 1

Per niente d'accordo

4

5

6

7

Completamente d'accordo

Nel grafico si evidenzia come, riguardo la domanda sulla maggiore vigilanza che la famiglia dovrebbe adottare nei confronti del giovane, quasi la metà dei formatori (47%) è completamente d’accordo che questo controllo del giovane non avvenga. Percentuale che sale quasi al 90% se si considerano i punteggi dal 5 al 7 nella scala. Questo dato potrebbe essere interpretato alla luce anche della altre risposte fornite dai formatori sulla famiglia, facendo trasparire una distanza tra le due figure che sono maggiormente implicate nella crescita socio-professionale del giovane apprendista.

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Bisogni aziendali e di categoria Queste domande volevano identificare alcuni bisogni in ambito aziendale e bisogni collegati all’associazione di categoria. L'azienda dovrebbe ...

45,0

38,2 37,9

40,0 35,0

Percentuali

30,0 25,0 18,4 20,4 20,0 13,7 15,0

14,0

15,2

11,7

10,0

6,4 5,5

5,2 5,0

2,3

7,0 4,1

0,0 1

Per niente d'accordo

2

3

4

5

6

7

Completamente d'accordo

Permettere al formatore di scegliere il proprio apprendista Imporre per ogni apprendista uno stage obbligatorio, per valutare le conoscenze e le capacità sociali dell'apprendista

Dal grafico emerge che i formatori sentono il bisogno che l’azienda li faccia più partecipi della scelta del proprio apprendista (70%), così come ritengono che l’azienda debba imporre un periodo obbligatorio di stage prima di sceglierlo (73.5%), per valutarne le conoscenze e le capacità sociali.

giovedì, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

L'azienda dovrebbe ...

45,0

40,5 40,0 35,0

Percentuali

30,0

29,7

29,4 23,9

25,0 20,0

14,9

15,0

12,5

11,4

12,5

11,4

10,0 5,8

5,5 5,0 0,9

0,9

0,6

0,0 1

2

3

4

5

6

7

Permettere al formatore di apprendisti di trasmette al giovane solo le conoscenze tecniche, senza preoccuparsi dei suoi problemi sociali o familiari Dovrebbe dare al formatore di apprendisti più sostegno quando si trova a gestire apprendisti difficili (ad esempio con problemi di comportamento)

Dal punto di vista formativo i formatori rispondenti ritengono che loro siano i primi implicati nell’educazione dell’apprendista sia sul piano relazionale che su quello sociale. Altro aspetto che emerge è che quasi nove formatori su dieci vorrebbero che l’azienda fornisse al formatore più sostegno quando si trova a gestire apprendisti difficili (ad esempio con problemi di comportamento). Questo bisogno si potrebbe ricollegare al fatto che il formatore si trova, il più delle volte, da solo nel gestire questi casi ed inoltre questo dato è un ulteriore conferma delle risposte fornite alle domande sui corsi di approfondimento formativo, in cui è emersa la necessità di approfondire tematiche collegate alla gestione di apprendisti con comportamenti antisociali o a rischio.

giovedì, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

L'associazione di categoria dovrebbe ... 28,6

30,0

23,9

25,0

22,7 21,3 19,5

Percentuali

20,0

21,3 19,5

17,2 13,7

13,1

15,0

13,7 8,2 9,3

10,0

5,0

17,5

17,2

7,6 5,0

6,1 5,8

6,1

2,6

0,0 1

2

3

4

5

6

7

lottare perchè l'apprendista abbia un salario maggiore promuovere in azienda momenti di confronto tra i formatori di apprendisti e la direzione munirsi di figure professionali specifiche per problemi con l'apprendista (ad esempio: ispettori, educatori, ecc...)

Tra i bisogni legati all’associazione di categoria professionale, nel grafico sopra, non emergono informazioni rilevanti; in generale i formatori si distribuiscono abbastanza equamente su tutta la scala dimostrando che non ci sono bisogni primari riconosciuti da tutti. Una tendenza può essere rilevata nel richiedere anche all’associazione di categoria di munirsi di figure professionali specifiche che possano intervenire in momenti di crisi con l’apprendista (60%), nonché promuovere in azienda momenti di confronto tra i formatori di apprendisti e la direzione (60%).

giovedì, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

L'associazione di categoria dovrebbe ... 40,0 35,0 30,6 30,0 23,3

Percentuali

25,0

21,9

21,6 18,4

20,0

19,2

18,4

13,7 15,0 8,7

10,0 5,8 5,0

3,8

7,6 4,7

2,3

0,0 1

2

3

4

5

6

7

organizzare incontri formativi per i formatori di apprendisti, riconosciuti come orario lavorativo fornire assistenza finanziaria se si volessero assumere altri apprendisti

Dal grafico sopra si può notare che il bisogno maggiore è legato soprattutto alla richiesta di organizzare momenti formativi riconosciuti come orario lavorativo (75.5%), nonchĂŠ fornire finanziamenti all’azienda che volesse assumere altri apprendisti (60%) oltre quelli permessi secondo la legge.

giovedĂŹ, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Conclusioni Alcune conclusioni possono essere tratte sia nell’area prettamente formativa che in altre macro aree di bisogno considerate nel presente studio. Queste macro aree sono servite solo per fornire alcune possibili interpretazioni di una realtà multi sfaccettata quale quella dell’apprendistato, ma si è voluto comunque considerarle nel presente lavoro per provare a dare una visione più ampia dei bisogni dei formatori di apprendisti, per eventuali spunti e riflessioni che potranno essere vagliati o verificati in altri momenti. Per quanto riguarda l’area formativa non è stata riscontrata nessuna differenza relativa al genere di formatore riguardo nessun tipo di tematica proposta per la formazione o l’approfondimento; dai risultati emerge invece che i formatori di apprendisti più giovani sentono maggiormente il bisogno di formazione rispetto ai colleghi più adulti ed in particolare è emersa l’esigenza di una formazione come momento di scambio e di discussione con gli stessi organi direttivi, da parte soprattutto di quei formatori che all’interno dell’azienda rivestono ruoli non dirigenziali. Un’altra differenza importante è stata riscontrata anche riguardo ad una richiesta di maggiore formazione relativa al consumo di sostanze psicotrope da parte dei giovani, soprattutto da parte di coloro che non seguono ancora apprendisti in azienda, mentre per i formatori che hanno già conseguito l’attestato di formatore di apprendisti si registra un bisogno più attinente a seguire corsi che forniscano nuovi modelli di insegnamento, per migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’allievo in azienda. Relativamente a quest’ultimo punto, il bisogno di formazione è sentito soprattutto da formatori con un livello di scolarizzazione inferiore rispetto a coloro che hanno un titolo più elevato, ponendo l’accento sull’utilità del corso base di formatori di apprendisti e in particolar modo per i formatori con un diploma di scuola professionale o diploma di scuola media superiore. Riguardo le tematiche di approfondimento della formazione psicologica, risultano particolarmente importanti quelle sui comportamenti antisociali o a rischio, soprattutto per quei formatori che hanno un diploma di formazione professionale. In conclusione si può affermare che i bisogni dei formatori di apprendisti in azienda è condizionato dal livello di istruzione e dall’età; minore livello scolastico ed una minore età determinano maggiore richiesta di formazione soprattutto in ambiti specifici come l’uso di sostanze psicotrope e comportamenti antisociali o a rischio. C’è anche una richiesta di nuovi modelli di insegnamento, ma soprattutto una formazione impostata come un momento di discussione con gli organi direttivi. Rispetto alle altre aree di bisogno si può identificare quella più legata all’ambito aziendale, in cui si svolge il ruolo di formatore, che evidenzia la necessità di fornire sgravi lavorativi a chi segue un apprendista in azienda così come più finanziamenti alle aziende che hanno apprendisti, sia a livello federale che a livello cantonale. Si sono dimostrati meno d’accordo a che le istituzioni eroghino sussidi alle famiglie degli apprendisti con reddito modesto. Altro aspetto che può rientrare giovedì, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

nell’ambito aziendale è il bisogno di aumentare l’apprendistato obbligatorio, per verificare se il formatore sente il bisogno di una formazione più lunga per il proprio apprendista e quindi se c’è troppa lontananza tra apprendimento e tempo dedicato ad esso. In generale è emerso che non sono d’accordo nell’aumentarne la durata, ed in particolare per quasi la metà di essi è più importante permettere all’allievo – all’inizio del suo apprendistato – maggiore presenza a scuola e solo in seguito maggiore presenza sul posto di lavoro. Sempre nella sfera lavorativa i formatori di apprendisti sentono il bisogno che l’azienda gli permetta di partecipare maggiormente alla scelta del proprio apprendista, così come sono molto sentiti il bisogno di far svolgere all’apprendista un periodo obbligatorio di stage per valutarne le conoscenze e le capacità sociali, ed il bisogno di avere più sostegno nella gestione di apprendisti difficili (ad esempio con problemi di comportamento). La tematica della gestione degli apprendisti difficili o con problemi di comportamento, affiora spesso in ambito formativo tant’è che metà dei rispondenti si dice – in generale – d’accordo nel far svolgere attività diverse dall’apprendistato a questa tipologia di allievi, pur rilevando che sono solo due formatori su dieci che avvertono come veramente importante questo intervento. Tra i formatori che hanno manifestato questo tipo di bisogno non è stato riscontrata però alcuna differenza di sesso, di età e di nazionalità, mettendo in evidenzia una generale difficoltà da parte di tutti i formatori di gestire questa tipologia di apprendisti. Un’altra area nell’analisi dei bisogni è stata quella collegata all’associazione di categoria professionale, senza rilevare però informazioni rimarchevoli, se non per una tendenza nel richiedere all’associazione di categoria di munirsi di figure professionali specifiche che possano intervenire in momenti di crisi o emergenza con l’apprendista, come pure di promuovere momenti formativi. Nella sfera familiare alcune risposte hanno fatto trasparire il bisogno di una presenza più massiccia della famiglia. In particolare quasi metà dei formatori afferma che la famiglia dovrebbe motivare di più il giovane, facendogli capire l’importanza dell’apprendistato e quasi due formatori su tre affermano che la famiglia dovrebbe vigilare di più sul giovane quando non è sul posto di lavoro per non compromettere il suo rendimento in azienda (ad esempio evitando che frequenti cattive compagnie o faccia tardi la sera). La domanda relativa al fatto che la famiglia dovrebbe ricercare maggiormente il dialogo con il formatore, voleva valutare quanta distanza relazionale e comunicativa c’era tra i due attori. Dai risultati emerge che i formatori sono d’accordo in generale di cercare il dialogo, dimostrando che pur potendo migliorare la comunicazione tra i due questo non è un bisogno prioritario o sentito. Oltre ai bisogni più rilevanti o prioritari, sono emersi anche quelli meno sentiti o secondari come ad esempio quello di avere più visite da parte degli ispettori di tirocinio, così come è poco sentito il bisogno di avere un maggior contatto con la famiglia dell’apprendista; pur trovando l’accordo di molti formatori di apprendisti nel migliorare queste aree, non ritenuti prioritari.

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Tra le tematiche di approfondimento invece è emersa quella collegata agli apprendisti stranieri; metà dei formatori sarebbero d’accordo nel far seguire corsi speciali agli apprendisti stranieri, mentre un’altra metà è in disaccordo. Questa tematica rimane un ambito controverso e di approfondimento futuro, soprattutto perché la metà dei formatori ha anche affermato di non essere per niente d’accordo sul collocare gli apprendisti di altra nazionalità in aziende con formatori di apprendisti della stessa nazionalità, dimostrando che l’integrazione debba comunque avvenire con formatori ed aziende del luogo.

giovedì, 24. luglio 2008

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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

10° Congresso Nazionale sull’Orientamento alla scelta: ricerche, Formazione Applicazioni - Firenze Il 15, 16 e 17 maggio 2008 si è tenuto un Congresso a Firenze dal titolo: 10° Congresso Nazionale. Orientamento alla scelta: Ricerche Formazione Applicazioni, patrocinato da Unione Europea, Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Regione Toscana, Provincia di Firenze, Centri per l’impiego, Sistema Integrato di Orientamento, Università degli studi di Firenze, Università degli studi di Padova e Società italiana dell’Orientamento. In tale occasione il CFF ha presentato, in seguito accettato, un lavoro tratto dall’analisi dei dati del rapporto sull’analisi dei bisogni. La presentazione del lavoro ha riscosso molto interesse in sede di presentazione, avvenuta nella Sessione parallela dal titolo: FORMAZIONE E COMPETENZE DELL’ORIENTATORE E DI ALTRI PROFESSIONISTI (vedere programma allegato). Il Congresso è stata una grossa opportunità che ha permesso sia di confrontarsi con colleghi del settore della formazione professionale, che presentare i corsi svolti presso il Centro di Formazione dei Formatori.

giovedì, 24. luglio 2008

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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.

Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda

Bibliografia Berger, S. L. (1991). Developing Programs for Students of High Ability. Educational Resource Information Center Digest: Office of Educational Research and Improvement, U.S. Department of Education. Boone, E. (1985). Developing Programs in Adult Education. Prospect Heights, Illinois: Waveland Press. Grant J. (2002). Learning needs assessment: assessing the need. BMJ;324:156–9. DFP – Divisione della formazione professionae (2006). Rendiconto annuale. Site: http://www.ti.ch/decs/dfp/rendiconto.asp [10 aprile 2008]. Dizionario etimologico online (2004). Site: http://www.etimo.it/ [26 marzo 2008]. Rossett, A. (1993). Needs Assessment is Like Nailing Jelly. Paper presented at the 1993 Ziff "On the Job" meeting, Boston Mass. Sork, T. J. & Caffarella, R. S. (1989). Planning Programs for Adults. In S.B. Merriam & P.M. Cunningham (Ed.), Handbook of Adult and Continuing Education (pp. 233- 245). San Francisco: Jossey-Bass. Tennant, M. (1991). The Psychology of Adult Teaching and Learning. In John M. Peters, Peter Jarvis, & Associates (Ed.), Adult Education (pp. 217-258). San Francisco: Jossey-Bass. Tyler (1971). Basic Principles of Curriculum and Instruction. (pp. 1-62) Chicago: University of Chicago Press. Ufficio di statistica del Canton Ticino (2005). Dati “à la carte”. Site: http://www.ti.ch/DFE/USTAT/DATI/superweb/ca.asp [26 marzo 2008]. Witkin, B.R. (1984). Assessing Needs in Educational and Social Programs. San Francisco: Jossey-Bass.

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