stanley kubrick
A cura di : Roberto Rejamand
Indice • Filmografia • Introduzione • Biografia • 2001 odissea nello spazio • Arancia Meccanica • Barry Lyndon • Shining • Full Metal Jacket
Filmografia Paura e desiderio (1953) Il bacio dell’assassino (1955) Rapina a mano armata (1956) Orizzonti di gloria (1957) Spartacus (1960) Lolita (1962) Il Dottor Stranamore (1964) 2001: Odissea nello spazio (1968) Arancia meccanica (1971) Barry Lyndon (1975) Shining (1980) Full Metal Jacket (1987) Eyes Wide Shut (1999)
Stanley Kubrick (New York, 26 luglio 1928 – St Albans, 7 marzo 1999)
Introduzione Nel panorama del cinema americano, o meglio del cinema mondiale, dalla fine degli Anni Cinquanta agli Anni Novanta, il posto che occupa Stanley Kubrick è certamente primario, anzi, per molti aspetti, costituisce un punto di riferimento costante per meglio comprendere le tendenze stilistiche e le complessità tematiche che negli ultimi decenni si sono manifestate in America, in Europa e in altri continenti. Stanley è stato un regista, sceneggiatore, produttore cinematografico, direttore della fotografia, montatore, scenografo, creatore di effetti speciali e fotografo statunitense naturalizzato britannico, considerato tra i maggiori cineasti della storia del cinema. Kubrick è conosciuto soprattutto per aver affrontato con grande abilità quasi tutti i generi cinematografici: il noir con Il bacio dell’assassino, il thriller con Rapina a mano armata, il peplum (sword and sandal) con Spartacus, la satira politica con Il dottor Stranamore, la commedia “nera” con Lolita, la fantascienza in 2001: Odissea nello spazio, la fantascienza sociologica in Arancia meccanica, il genere storico in Barry Lyndon, l’horror con Shining, il genere guerra con Paura e desiderio, Full Metal Jacket e Orizzonti di gloria, il dramma psicologico in Eyes Wide Shut. Ha diretto in totale 13 lungometraggi, ed è stato candidato per 13 volte al Premio Oscar, vincendolo solo nel 1969 per gli effetti speciali di 2001: Odissea nello spazio. Nel 1997 ha vinto il Leone d’oro alla carriera al Festival del cinema di Venezia.
Biografia 1928-1950 KUBRICK E LOOK
LA MORTE
Stanley Kubrick nasce il 26 luglio 1928 a New York, nel Bronx. Suo padre era medico. Studia alla Tft Hight School dove diventa il fotografo ufficiale della scuola. Si diploma con un punteggio troppo basso per andare all’università, gli unici voti alti sono in fisica. Il giovane Stanley coltiva comunque le sue passioni: il cinema, la fotografia, gli scacchi (in cui eccelle, ha imparato a giocare a 10 anni dal padre, giocherà a scacchi anche per soldi al Marshall e Manhattan clubs e in Washington Square park in Greenwich Village), e il jazz (adolescente sogna di suonare professionista la batteria). Dai 17 ai 21 anni lavora come fotoreporter per la rivista “Look” alla quale vende nell’aprile 1945 la sua prima fotografia raffigurante il volto di un edicolante davanti alla morte di Roosvelt. A 19 anni trascorre cinque sere a settimana nella sala di proiezione del museo d’arte moderna di New York a vedere vecchi film; il libro che legge e rilegge e’ “La tecnica del film” di Pudovkin. Nel 1949 il primo cortometraggio Day of the Fight (Il giorno del combattimento) finanziato esclusivamente dal Regista. Breve documentario di 16 minuti che racconta la giornata del boxer Walter Cartier (già soggetto in una sua foto per “Look”) e del suo “doppio” infatti il pugile ha un fratello identico che lo segue tutta la giornata in ogni suo spostamento fino al ring. Kubrick oltre che regista e produttore fa da operatore cinematografico, tecnico del montaggio e del sonoro. Fu acquistato dalla RKO per la sua serie “This is America” e venne rappresentato al Paramount Theatre in New York, rendendo al giovane Kubrick uno scarso profitto. Nello stesso anno il primo matrimonio, con Toba Metz, che lascerà qualche anno dopo per sposarsi con l’attrice Ruth Sobotka che recita una parte in Killer’s kiss (Il bacio dell’assassino)1954. In seguito al suo primo cortometraggio Kubrick decide di abbandonare il lavoro alla rivista “Look” e di iniziare la cariera di regista a pieno tempo.
Kubrick muore durante il sonno, stroncato da un infarto, nella sua casa di campagna il 7 marzo 1999, all’età di 70 anni. I funerali avvengono in forma riservatissima e laica, conformi a quella ritrosia dal mondo esterno che aveva caratterizzato l’ultima parte della sua vita e al suo noto agnosticismo. Il corpo è sepolto nell’immenso giardino della casa stessa.
1951-1960 KUBRICK-HARRYS RKO gli offri dei soldi per girare un nuovo documentario per la serie Screenliner. Il nuovo cortometraggio di 9 minuti prese il nome di Flying Padre e racconta le vicende di Father Fred Stadtmueller, un prete che vola nelle 400 miglia di parrocchia in New Mexico su un Piper. Anche qui Kubrick svolge il ruolo di regista, operatore cinematografico, tecnico del montaggio e del sonoro. Nel 1953 venne commissionato da “Atlanti and Gulf Coast District of The Seafarers International Union” per dirigere un documentario industriale di 30 minuti chiamato The Seafarers. Fu il primo film a colori di Kubrick. Nel 1953 riusci’ a raccoglire la cifra di $13.000 per finanziare il suo primo lungometraggio Fear and Desire (Paura e Desiderio). Nel 1955 raccolse dagli amici e parenti $40.000 e giro’ il suo secondo film Killer’s Kiss (Il Bacio dell’assassino). Nel 1956 Kubrick si mise in società con il produttore James B. Harris e sbarcati ad Hollywood diedero vita a The Killing (Rapina a mano armata), il primo film di Kubrick girato in uno studio cinematografico. Il budget era di $320.000 con un cast di attori Hollywoodiani noti. Dopo The Killing, Kubrick/Harris furono ingaggiati da Dore Shore, il numero uno della MGM, e insieme al novellista Calder Willingham prepararono uno script basato su una novella di Stefan Zweig chiamata The Burning Secret. Ma il progetto non fu mai realizzato. In seguito Kubrick e Willington con Jim Thompson adattarono una novella di Humpherey Cobb “Paths of Glory” (Orizzonti di Gloria). Tutti gli studi si rifiutarono però di produrla fino quando Kirk Douglas accettò. Il film che ne risultò fu il primo classico, oltre che essere uno dei film riguardanti la guerra più belli mai realizzati. Fortemente antimilitarista, vietato in Francia fino pochissimi anni fa. Insieme al film nacque anche una forte amicizia tra il regista e Douglas. Kubrick nei due anni seguenti scrisse alcuni copioni mai realizzati, uno di questi era per Douglas chiamato “ I Stole 16 Million Dollars” riguardante la storia di uno scassinatore di cassaforti, Herbert Emmerson Wilson. Un altro riguarda Mosby’s Ranger, storia di guerriglieri del sud durante la Guerra civile Americana. Kubrick lavorò anche per sei mesi a “One Eyed Jacks” con Marlon Brando, dopo di che Kubrick abbandonò. In seguito Kubrick/
Herris passarono alle lavorazione di Lolita, film basato sulla controversa novella di Vladimir Nabokov. Comprarono i diritti d’autore nel 1958 pagandoli $150.000. Per motivi legali e finanziari il film fu girato in Inghilterra. Alla fine del 1960 Kubrick si trasferì definitivamente in Inghilterra. Dopo Lolita, James B. Harrys e Kubrick smisero di lavorare insieme, cosi Kubrick iniziò a produrre i suoi film oltre che dirigerli.
1961-1975 I CAPOLAVORI Il clima di guerra fredda degli anni 60 condusse Kubrick ad adattare la novella Red Alert in una commedia, satirica e allucinante allo stesso tempo, Dr. Strangelove. Quest’ultimo provocò grande attenzione e ammirazione da parte dei critici di tutto il mondo, che gli valse tre nomination all’Oscar come: miglior regia, miglior produttore e co-autore. In seguito ai successi di Dr. Srtrangelove, Kubrick diede vita a uno straordinario film di fantascienza, dove l’uomo viene a contatto con un intelligenza superiore, che lo consacrò definitivamente nella storia 2001: A Space Odyssey (1968). Alla realizzazione del film partecipò anche il famoso scrittore Arthur C. Clarke. Kubrick ricevette svariate nomination all’Oscar ma il film vinse solamente quella riguardante gli effetti speciali (prime immagini psichedeliche nella storia del cinema). Il seguente progetto riguardava un film su Napoleone che per eccessivi costi di produzione non fu mai realizzato. Nel 1971 Kubrick scrisse, diresse e produsse A Clockwork Orange, tratto dall’omonimo romanzo di Anthony Burgess.
Nonostante le iniziali censure americane e di altri paesi europei il film ebbe enorme successo infatti non tardarono le tre nomination all’Oscar per la sceneggiatura, la regia e la produzione. In questo periodo, dopo gli ultimi film strepitosi, Kubrick e’ spesso oggetto di articoli su numerose riviste in tutto il mondo. Alcune lo raccontano come un eccentrico eremita della cui vita privata si sa poco o niente. Lontano da Holliwood, Kubrick vive in una grande casa di campagna situata nei dintorni di Londra con la sua terza moglie Christiane Harlan e le sue tre figlie. Harlan, pittrice e attrice tedesca , ha recitato in Paths of Glory nella parte dell’unica donna. La sua grande casa in Inghilterra conteneva anche il suo ufficio e quello che riguardava la post-produzione. Dopo due film futuristici Kubrick cambio’ direzione con Barry Lyndon (1975) basato su una storia del diciottesimo secolo tratto da una novella del ‘900 di William Makepeace Thackery. Il film non fece un grandissimo incasso ma arrivarono 7 nomination tra le quali le usuali: regia, sceneggiatura, produzione.
1980-1999 IL CONTROLLO Nel 1980 Kubrick dirige il suo primo film horror: Shining, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King con un magistrale Jack Nicholson. La storia si svolge interamente all’interno di un grande albergo isolato (l’Overlook Hotel), nel quale Jack e la sua famiglia restano come custodi durante l’inverno. Ben presto, la clausura, mescolata all’odio represso di Jack verso la sua famiglia, lo porteranno alla follia omicida; il film è stavolta una profonda analisi da parte di Kubrick della cosiddetta “famiglia americana”, immersa in un contesto onirico ed inquietante, inquadrato perfettamente nell’ambientazione dell’hotel isolato dal resto del mondo: lì, la reale personalità dei protagonisti, nel caso principale quella del personaggio interpretato da Jack Nicholson, viene alla luce con conseguenze irreparabili e mostruose. Sebbene subito dopo l’uscita non venga stranamente acclamato dalla critica come i precedenti, riscuote un enorme successo di pubblico e le sue scene visionarie, ambientate in spazi deserti e vuoti sono entrate nella storia del cinema: il corridoio invaso da un’onda di sangue, l’inseguimento attraverso il labirinto di siepi durante la tempesta di neve ed il misterioso finale. Il film ebbe successo ma i critici in quegli anni non lo acclamarono come i precedenti, non arrivo’ nessuna nomination. Passarono altri 7 anni prima di Full Metal Jacket (1987). Fu un successo sia per gli incassi che per la critica. Arrivò una nomination come miglior sceneggiatura. E’ di questo periodo un’intervista alla rivista Rolling Stones dove nego’ le impersistenti voci riguardo la sua eccentricita’. Kubrick supervisionò con cura tutti i trasferimenti dei suoi precedenti film in videocassetta e creo’ un nuovo negativo di Dr. Strangelove dato che l’originale era andato perso. Nel maggio 1990 Kubrick incontro’ registi come Martin Scorsese, Woody Allen, Francis Coppola, Steven Spielberg, Sydney Pollack e George Lucas per promuovere la “Film Foundation” che si accupasse della preservazione e restaurazione dei film. Nel 1991 Kubrick inizia un altro progetto AI (Artificial Intelligence), ma gli effetti speciali del momento non permettono di realizzarlo come avrebbe voluto. Scrive una sceneggiatura chiamata Aryane Papers, basata sulla novella “Wartime Lies” di Louis Begley che racconta la storia di un ragazzo ebreo e di sua zia che cercano di sopravvivere durante l’occupazione nazista in Polonia nella seconda gurra mondiale facendosi scambiare per ariani. Il film era in pre produzione quando gli spettacolari effetti speciali e le nuove tecnologie digitali in Jurassic Park, convinsero Kubrick a continuare il progetto AI. A metà dicembre 1995 la Warner Bros dichiara che Kubrick era ancora in pre produzione con AI ma che prima voleva realizzare un’altro film chiamato Eyes Wide Shut basato sulla novella Traumnovelle (titolo italiano: Doppio Sogno) di Arthur Schnitzler con Tom Cruise e Nicole Kidman. Il film inizio’ ad essere girato alla fine del 1996. Pochissime sono le indiscrezioni sul film, per contratto gli attori avevano l’obbligo di silenzio fino a lavoro finito e inoltre il film venne girato a mosaico in modo che solo Kubrick e pochi altri potessero ricostruire il film dalle scene evitando cosi eventuali anticipazioni. L’8 marzo 1997 “The Director’s Guild of America” premia Stanley Kubrick con il piu’ alto premio il “D.W. Griffith”. In settembre Kubrick viene anche premiato con il “Golden Lion Award” al 54esimo Festival Inter-
nazionale di Venezia. Stanley Kubrick muore domenica 7 marzo 1999 in Inghilterra nella sua villa nell’ Hertfordshire dove risiedeva dalla fine del 1960. 2001: Odissea nello spazio vede la luce dopo quattro anni di lavorazione e una spesa di 10 milioni di dollari, 6 milioni e mezzo solo per gli effetti speciali. Il film, oltre ad essere uno dei picchi più alti raggiunti dalla cinematografia mondiale, è una profonda riflessione filosofica sulla natura dell’uomo, sulla sua evoluzione e sul suo futuro in rapporto con l’universo. Il film riceve svariate nomination agli Oscar, ma vince solo quello per gli effetti speciali. Numerosissime le scene da antologia, dalla più ampia ellissi della storia del cinema, dall’osso della scimmia all’astronave oblunga che “danza” sulle note di Sul bel Danubio blu di Johann Strauß, alla sequenza delle stelle, fino all’enigmatico finale con l’embrione che, dallo spazio, concede uno sguardo in macchina che buca lo schermo cinematografico fino allo spettatore. Il progetto successivo avrebbe dovuto riguardare un film su Napoleone, che avrebbe dovuto essere interpretato da Jack Nicholson, ma a causa di un film uscito nel 1970, Waterloo di Sergej Bondarčuk, che fu un autentico fiasco, non venne mai realizzato. Nel 1971 Kubrick scrive, dirige e produce il suo film più violento e visionario, satirico e ironicamente crudele, destinato a causare controversie in gran parte dei paesi dove uscirà; Arancia meccanica, tratto dall’omonimo romanzo di Anthony Burgess, miscuglio uniforme di diversi generi cinematografici, ed uno dei film di maggiore influenza sul cinema mondiale tra quelli realizzati dagli anni settanta ad oggi. Kubrick avrebbe anche chiesto ai Pink Floyd di usare la loro suite Atom Heart Mother come colonna sonora del film (composta principalmente da musiche classiche di Beethoven e di Rossini), ma la band rifiutò perché Kubrick non aveva ancora idea di come inserirla nel film e ne voleva tutti i diritti. Nonostante le forti censure negli Stati Uniti e in altri paesi europei, il film ha un enorme successo, tanto che non tardano le quattro nomination all’Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura e montaggio). Il film crea comunque scandalo, a causa principalmente della violenza esplicita, specialmente nella iniziale sequenza dello stupro nella casa dello scrittore Alexander, e subito dopo la sua uscita, in Inghilterra, numerosi teppisti dichiarano di prendere spunto dal film per i crimini che compiono. Il film diventa un caso e molti familiari delle vittime minacciano Kubrick e la sua famiglia, costringendolo a ritirare il film dalle sale inglesi, da cui resterà bandito per molti anni. Per altro questa azione del regista mette in evidenza l’enorme potere nei confronti dei produttori date le conseguenze economiche del ritiro. Dopo due film che potrebbero essere definiti futuristici, Kubrick cambia direzione con Barry Lyndon (1975), basato su una storia del XVIII secolo tratto dal romanzo Le memorie di Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray scritto nel XIX secolo. Il film non ha un grande successo di cassetta ma frutta sette nomination (tra le quali ancora regia, sceneggiatura, produzione). Ciò che maggiormente colpisce ancora oggi è l’enorme capacità tecnico-fotografica, che permette a Kubrick di girare in interni con la sola luce delle candele, anche grazie all’utilizzo di un par-
ticolare obiettivo Zeiss Planar originariamente prodotto per la NASA, ottenendo in questo modo la particolare atmosfera che caratterizza il film. Inoltre la quasi totale assenza di profondità di campo ottenuta con teleobiettivi molto potenti e diaframmi apertissimi permette a Kubrick di ottenere inquadrature del tutto paragonabili ai quadri dell’epoca in cui è ambientato. Nel 1987 dirige il suo quarto e ultimo film sulla guerra, questa volta su quella del Vietnam: Full Metal Jacket, il suo film più violento dopo Arancia Meccanica, affresco cinico e crudele sulla guerra che distrugge e disumanizza, assoluto capolavoro di sceneggiatura e regia dove emerge ancora una volta il grande sarcasmo di fondo antimilitarista e antibellico del regista, nonché la profonda indagine psicologica sulla dualità dell’essere umano riferita ad una teoria di Jung e accennata anche dal protagonista, il soldato Joker, durante il film.
ETICA ED ESTETICA NEI FILM DI KUBRICK
Dopo Full Metal Jacket, Kubrick si dedicò ad un progetto sognato da anni: portare sullo schermo l’inumanità della Shoah. La moglie di Kubrick racconta nel documentario Stanley Kubrick: A Life in Pictures: «Trasformò un libro di Louis Begley, Wartime Lies, in una sceneggiatura: Aryan Papers, la storia di una famiglia di ebrei che cerca di scappare dai nazisti. Quando fu pronto a iniziare la produzione, Spielberg aveva però già cominciato a girare il suo personale film sull’Olocausto, nonché uno dei più noti e realistici sull’argomento: Schindler’s List. Intuendo che le similitudini erano troppe, Kubrick mise malvolentieri da parte Aryan Papers. Inoltre pensava fosse una storia irraccontabile. “Se davvero voglio mostrare ciò che ho letto e che è successo – e aveva letto tutto – come posso filmarlo? Come si può far finta?” Era molto depresso durante la preparazione e fui contenta quando ci rinunciò, perché stava davvero soffrendo».
La passione per la fotografia è uno dei fili rossi della sua carriera:Kubrick poteva passare ore intere a studiare un’inquadratura, fino al punto da assillare gli attori che comunque lo hanno sempre trattato con un mistico rispetto (“è così modesto e sempre pronto a scusarsi che è impossibile essere offesi da lui” disse al riguardo George C. Scott). Ne viene fuori una cura ossessiva per i particolari dell’immagine, per la prospettiva e l’illuminazione, per la posizione degli attori e degli oggetti di scena, tanto che ogni suo film è studiabile in ogni fotogramma come “album di inquadrature”.
Kubrick diresse quindi la sua attenzione su un altro vecchio progetto: A.I., basato su un racconto di Brian Aldiss e decise di chiedere a Steven Spielberg di dirigerlo, mentre lui si sarebbe occupato della produzione. I due registi discussero per molto tempo sul film, ma il progetto, per ammissione dello stesso Spielberg, fu rinviato per motivi tecnici: «La tecnologia digitale stava per esplodere e Kubrick pensò che avrebbe avuto enormi benefici aspettando qualche anno». L’ultimo film di Kubrick risale al 1999: si intitola Eyes Wide Shut ed è tratto dal romanzo Doppio sogno di Arthur Schnitzler. Kubrick muore prima dell’uscita nelle sale stroncato da un infarto, dopo anni di lavorazione, due dei quali di sole riprese. Nonostante voci affermino che Kubrick non sia riuscito a terminare il film per quanto riguarda il montaggio, sembra ormai chiaro che anche quest’ultima fase fosse giunta praticamente a conclusione quando sopraggiunse la morte.Steven Spielberg, intervenuto per concludere il lavoro interrotto, si sarebbe infatti limitato a realizzare il solo montaggio della colonna sonora.
Stanley Kubrick è considerato tutt’oggi uno dei più importanti registi del XX secolo, specie per la sua espressività lontana dai canoni hollywoodiani e la sua capacità unica di esplorare la gran parte dello spettro dei generi, senza farsi dominare dalle convenzioni, ma anzi trasfigurandole. Malgrado i costi anche elevati che richiedevano i suoi film, ebbe in breve tempo carta bianca per tutte le fasi di lavorazione delle sue opere.Esplicativo a questo proposito l’episodio di Arancia meccanica: l’unica volta nella storia del cinema in cui un film, che pur stava avendo notevole successo di pubblico, viene ritirato dalle sale da una grande casa di produzione cinematografica, la Warner Bros., per ordine del regista.
Il senso estetico dei suoi film è però il risultato di un lavoro di integrazione fra diversi canali comunicativi: il contesto reale delle sue storie è infatti un tessuto d’immagine e musica, elemento fondamentale per veicolare emozioni nello spettatore. Nelle pellicole il regista prende ispirazioni dalla storia dell’arte di ogni secolo: da Jack Torrance abbandonato sulla sedia di lavoro che richiama Il sonno della ragione genera mostri, un’acquaforte e acquatinta di Goya, ai magistrali piani sequenza di Barry Lyndon, continue citazioni dei quadri inglesi tra il Seicento e il Settecento. Inoltre la musica, elemento fondamentale, sottolinea momenti particolari dei suoi film. Dal “Ludovico Van” di Alex che celebra la sua ultraviolenza, al candido swing della chiusura de Il dottor Stranamore che accompagna con leggerezza la fine dell’essere umano, imputabile alla sua stessa stupidità. Ogni momento costruito tra immagine e suono è una risata a denti stretti sulla convenzionalità, è un rasoio che seziona i comportamenti degli astanti svelando come, dietro le grandi ideologie, ci sia solo la bassa animalità dell’essere umano.
Anche il tempo dell’azione è utilizzato da Kubrick come veicolo espressivo e fa parte di quel tessuto comunicativo che ha sperimentato in ogni suo film: le inquadrature sono spesso prolungate, esitanti, gli attori recitano in uno stato quasi ipnoide (evidenti gli esempi di 2001: Odissea nello spazio, Lolita, Shining, Eyes Wide Shut e, per certi versi, anche Arancia meccanica), lasciando lo spettatore libero d’indugiare sulle singole componenti dell’immagine. Più che alla parola, Kubrick era interessato all’organizzazione spazio-temporale della narrazione, facendo perdere lo spettatore in una meta-comunicazione continua. La curiosità suscitata da uno dei suoi massimi capolavori, 2001: Odissea nello spazio, è proprio dovuta al lavoro di sottrazione che Kubrick vi dedicò: inizialmente il progetto originale prevedeva molti più dialoghi e scene decisamente più “didascaliche” (come la sequenza finale, in cui il feto astrale avrebbe dovuto distruggere un anello di bombe atomiche che circondavano la Terra), ma il regista lo “spolpò” gradualmente, creando un flusso di apparente non-comunicazione (l’Universo silenzioso e spettrale) nel quale lo spettatore potesse perdersi. Malgrado i suoi continui sforzi di smussamento del senso di realtà, Kubrick appare ancorato ad un realismo oggettivo, a volte freddo, figlio maturo della sua carriera di fotoreporter: è nota la sua curiosità tecnica, che lo portò a innovare il cinema stesso; riguardo a ciò, ricordiamo i sorprendenti effetti speciali di 2001, le ottiche superluminose della NASA e della Zeiss di Barry Lyndon, la steady-cam di Shining. Inoltre, grazie al suo estremo eclettismo, Kubrick riuscì a muoversi agilmente in tutti i generi, portando nella maggior parte di essi progresso e innovazione: 2001: Odissea nello spazio è considerato uno “spartiacque” nel campo dello SciFi (oltreché uno dei più bei film della storia del cinema); Shining fu pioniere del horror metafisico; Full Metal Jacket ha sconvolto i temi del film di guerra, sottolineando come il soldato sia, essenzialmente, un assassino e affrontando così uno dei temi principali dell’etica kubrickiana, vale a dire la scelta fra il bene ed il male. Qui il protagonista impara infatti a vivere secondo la propria natura, accettando l’omicidio e la normalità della vita. In Lolita è analizzata la perversione di un uomo che perde la testa per una ragazzina, innamorandosene realmente e mandando all’aria il suo matrimonio per poi perdere ogni cosa. Il dottor Stranamore indaga sornione sull’ambivalenza dell’istinto di conservazione dell’Uomo, perfettamente a suo agio fra sopravvivenza propria e sterminio degli altri. Arancia mec-
canica capovolge questo schema mostrando quanto anche nell’insanabile buonismo di una distopica società moderna è necessario per un uomo riuscire ad esprimere la sua libera scelta tra il bene e il male, dovendo scegliere talvolta anche il male per istinto di autoconservazione. Nel film questa possibilità è infatti negata ad Alex che, subìto il “trattamento Ludovico”, è incapace di scegliere il male, per proteggersi, e subisce le angherìe di una società oppressiva, di amici convertiti al “giusto” e di genitori indifferenti. Naturalmente, il cinema di Kubrick sposa l’idea della perfetta integrazione fra etica ed estetica, sfuggendo così alla facile tentazione di esprimere una morale. Così le immagini e il messaggio si fondono e la valutazione di ciò cui si assiste è lasciata totalmente allo spettatore, grazie anche alla “circolarità” delle sceneggiature (quasi tutte adattate da libri), che prevedono un finale che si avvolge sull’incipit. Alcuni esempi: in Arancia meccanica il protagonista torna esattamente allo stato psicologico di partenza, come se non fosse successo nulla, salvo essere diventato ancora più malvagio e adesso persino cosciente del fatto che la violenza ha un ruolo fondante nella società, purché esercitata “secondo le regole” dettate da quest’ultima; in Shining l’edipico Jack Torrance appare, dopo la sua morte, nella galleria fotografica dell’Overlook Hotel, come il guardiano che era lì “da sempre”; Eyes Wide Shut sembra terminare con un risveglio, che incoraggia l’immaginazione a tornare al punto di partenza; l’esempio eccellente di questa ciclicità è poi 2001: Odissea nello spazio, che procede interamente in una mimesi del ciclo della vita (nascita, crescita, morte ed evoluzione in nuova nascita). Sembra fare eccezione Il dottor Stranamore, ma probabilmente si tratta di una fedeltà allo stile comico adottato: qui il film si auto-distrugge, così come era stato preannunciato. A ben vedere, però, anche in questo film vi è, nell’epilogo, uno stretto legame con l’inizio delle vicende: Russia e Stati Uniti, i “blocchi” contrapposti della Guerra Fredda, dopo un apparente avvicinamento (solo di convenienza reciproca, comunque), tornano nella conclusione alla loro normale “attività”, se così si può chiamare. L’ambasciatore russo scatta di nascosto foto alla “War Room”, e gli americani sono intenti a studiare un piano per non perdere il loro ostentato potere sul resto del mondo. Insomma, anche di fronte alla più grande disgrazia, l’uomo non fa mai tesoro dei propri errori e continua, imperterrito, il suo cammino verso l’oblio, o in questo caso, è più giusto dire, auto-distruzione.
2001 ODISSEA NELLO SPAZIO Il film racconta una favola apocalittica sul destino dell’umanità e dello sviluppo della tecnologia, raccontato come se fosse un documentario in quello che è stato considerato come una svolta del genere della fantascienza. L’approccio con questo film non deve essere come quello con un qualsiasi altro film di fantascienza. Per questo motivo, chi lo guarda aspettandosi una struttura narrativa e un racconto abituali, lineari, e chiari, lo trova terribilmente noioso. “2001” è da guardare non come una storia raccontata, ma come una parabola che occupa millenni interrogandosi sulle ragioni dell’esistenza. Questo film rivoluziona l’utilizzo dell’inquadratura, che qui non è più un semplice strumento per narrare, ma assume un significato a sé stante, riuscendo ad esprimere senso da sé. Le immagini devono “parlare”: è per questo motivo che i tempi di questo film sono dilatati, e le inquadrature durano più del previsto. In quest’opera, infatti, Kubrick crea con lo spettatore una comunicazione che supera il piano verbale, riducendo i dialoghi ad una quantità minima. Musica e immagini diventano più forti di qualsiasi parola, e questa è proprio una capacità che il cinema ha, cioè quella di colpire l’inconscio senza bisogno di parole, e lo stesso regista lo ha affermato. Passiamo al significato. Il monolito a forma di parallelepipedo è un’entità divina ed aliena, un modo per rappresentare in maniera “anonima” Dio, l’inconoscibile. Esso simboleggia anche la ragione e la coscienza, all’arrivo delle quali corrisponde la nascita della violenza. Nella preistoria, così come nel futuro, in una circolarità inesauribile: ogni volta che il monolito appare, sconvolge l’esistenza degli esseri viventi, che siano uomini o primati, che si battono violentemente per raggiungere il sapere, appunto, rappresentato dal monolito. Appena la scimmia diventa uomo, soggetto pensante e cosciente, diventa violenta (la scena in cui il primato colpisce con l’osso i resti degli altri animali). E’ presente, inoltre, il concetto dell’eterno ritorno di Nietzsche: la scena finale ritrae il protagonista prima giovane, poi vecchio, poi moribondo, e poi sotto forma di feto, per rinascere, in una circolarità eterna. C’è, quindi, un ritorno continuo al punto di partenza, al bambino, che conosce il male diventando uomo, e che rinasce dopo essere diventato vecchio. Questa continuità vitale è metafora dell’esistenza, che ruota sempre intorno alla figura del monolito, centro di tutte le nostre domande senza risposta. Nella vita non ci imbattiamo forse in “monoliti”, domande scure, la cui risposta, sulla motivazione della nostra esistenza, vorremmo toccare con mano, come cercano di fare i personaggi di questo film? Un senso all’esistenza della vita non si può dare, perciò il finale è aperto a qualsiasi interpretazione. Il bambino astrale, nel finale, guarda verso la macchina da presa e quindi verso noi, come per invitarci a proseguire il viaggio. Guardando “2001” dovremmo capire che quello che non conosciamo è qualcosa di gigantesco, come l’universo, e che il mistero del cosmo non è separabile da quello della vita terrena. Sono un unico grande mistero. E’ questa l’importante riflessione che Kubrick ci spinge a fare, in un capolavoro inarrivabile, sia dal punto di vista registico, che da quello contenutistico.
Il monolito Se c’è un regista per cui ogni film è una “partita a scacchi” con lo spettatore, un gioco di intelligenze, una sfida di interpretazioni, una ricerca-svelamento di significati, questo è Stanley Kubrick. Uno dei pochissimi autori venerato indistintamente da pubblico e critica (sebbene oggi Cronenberg si sia scagliato contro Shining, ma tant’è…) per Kubrick ogni pellicola deve essere costruita come uno spettacolare enigma. 2001: Odissea nello spazio rientra ovviamente in questa prospettiva: kolossal fantascientifico edificato come un saggio di filosofia, è un’opera in grado di affascinare ed emozionare lo spettatore e al contempo stimolarlo con quesiti e inviti alla decifrazione di simboli. Ad esempio: cosa rappresenta il fatidico monolito che per ben 4 volte, muto e maestoso, compare nella storia? Ovviamente, trattandosi di interpretazioni, una risposta definitiva non esiste ma proviamo a scardinare il mistero. Kubrick è un “poeta dell’invisibile”: un autore che realizza film di guerra senza mostrare il nemico, e film di fantascienza senza mostrare gli alieni. L’aspetto più affascinante e rivoluzionario delle pellicole belliche del regista americano naturalizzato inglese, da Fear and Desire a Orizzonti di gloria, è che non visualizzano quasi mai scontri frontali, battaglie corpo a corpo con l’avversario. Il nemico è così nominato, insultato, evocato quanto invisibile (Full Metal Jacket è l’estremizzazione di quest’idea); paradossalmente, quelli di Kubrick sono “film di guerra senza la guerra”. E così, nella stessa prospettiva, 2001: Odissea nello spazio è un film di fantascienza senza fantascienza dove quelle presenze di vita extraterrestre sono tanto ricercate quanto invisibili, ma percepibili nella forma nel monolito. Il monolito è la materializzazione-simbolo della natura aliena ed è stato lo stesso Kubrick in una delle sue rarissime interviste (J. Gelmis, The film Director as Superstar, Doubleday, New York, 1970) a confermare questa ipotesi: «si discuteva sui mezzi per tradurre fotograficamente una creatura extraterrestre in modo che fosse sconvolgente come lo sarebbe stata realmente. Presto fu chiaro che non si può immaginare l’inimmaginabile. Il massimo che si può fare è cercare di rappresentarlo in qualche modo artistico che comunichi qualcuna delle sue qualità. Così decidemmo per il monolito nero». Ma il monolito può rappresentare anche molto altro. In tanti vi hanno visto la presenza di Dio, il suo “primo mattone” dell’universo oppure la “porta delle stelle” (una sorta di Stargate) attraverso cui viaggiare nel tempo e raggiungere l’ “altro mondo” che si vede nel finale. O ancora l’oscurità della non-conoscenza, le domande sull’esistenza, sulla vita e sulla morte, che non possono trovare risposta ma che ciclicamente si ripropongono all’uomo. Un aspetto è indiscutibile su questa pellicola ispirata a The Sentinel di Arthur C. Clarke (il quale collaborò alla sceneggiatura e scrisse parallelamente un romanzo dallo stesso titolo 2001: Odissea nello spazio): il monolito è l’unico vero protagonista della non-storia del film. È l’unico a comparire nelle 4 parti di cui è composto il racconto con lo scopo di sottolinearne i passaggi più oscuri. Emblematica è in questo senso è la parte iniziale dove la presenza ingombrante, pura, così concreta-astratta di quest’enorme parallelepipedo nero innesca (o è testimone?) del salto evolutivo dalla scimmia all’uomo. Salto che avviene facendo scoprire all’animale l’utilizzo di un osso come arma. La nascita dell’intelligenza coincide con la violenza. Il progresso è ineluttabilmente collegato alla morte, e il computer dotato di intelligenza artificiale Hal 9000 che arriverà a uccidere ne è solo uno degli esempi. In questo film di oltre 2 ore in cui si contano neanche 40 minuti di dialogo, in questo film che è puro shock visivo (e sonoro), il monolito può anche essere visto come lo schermo nero su cui proiettare le nostre storie, le nostre vite esattamente come accade con il cinema, la tv, ma anche gli smartphone. In questo senso è interessante e affascinante l’interpretazione data da Marcello Walter Bruno nel libro Kubrick (ed. Greemese): «il film di Kubrick
sembra essere un viaggio nella storia del cinema che comincia con il muto (la parte preistorica-africana), prosegue con il musical (le astronavi che danzano i valzer di Strauss), arriva al parlato (la parte dialogata che ha per protagonista lo scienziato Floyd), “fantascientificizza” vari generi (il duello David/Hal non è forse il brano biblico della sfida Davide/Golia?) e si conclude con un brano lisergico di puro cinema underground». 2001 è un viaggio, anzi un’odissea nel cinema e il monolito ne è il simbolo, lo schermo nero di cui il cinema non può fare a meno. 2001: odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey) è un film di fantascienza di Stanley Kubrick del 1968 basato su un soggetto di Arthur Clarke, il quale ha poi tratto dalla sceneggiatura un romanzo dal titolo omonimo. 2001 è rimasto uno dei più celebri film di fantascienza che, grazie alla sceneggiatura, alla recitazione e alla tecnica di ripresa, riproduce con fedeltà l’ambiente spaziale: tutti gli avvenimenti in ambienti senz’aria si svolgono in silenzio o con un valzer di Strauss come puro riempimento sonoro, l’astronave ha una gravità artificiale per rotazione che è correttamente rappresentata, i movimenti in assenza di gravità sono lenti come dovrebbero essere. Anche la scena in cui un astronauta rientra nell’astronave passando alcuni secondi in un ambiente di vuoto è stata approvata dagli esperti come verosimile, dimostrando che è possibile fare un film di fantascienza rispettando la realtà e senza introdurre elementi artificiosi. Tale film suscita nello spettatore un forte impatto emotivo; lo stesso Kubrick affermò: «ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio». Il film cerca di spiegare l’indissolubile legame che unisce l’uomo al tempo e allo spazio, l’intelligenza artificiale, l’utilizzo della scienza. A questo proposito è di notevole effetto il raccordo tra le due scene iniziali del film, l’utilizzo di un oggetto, un osso, come strumento di offesa e di dominio (e comunque di conquista) da parte di un ominide e le astronavi orbitanti attorno alla Terra. In questa maniera il regista compie un salto logico di millenni conservando la trama narrativa del film, con un’operazione mirabile che trova pochi riscontri nella storia del cinema. Kubrick rimase per due mesi chiuso nella sua villa nelle campagne inglesi a rivedere e tagliare il suo mastodontico lavoro; questa operazione è considerata il momento più decisivo nella produzione del cinema kubrickiano. Nel 1991 la pellicola è stata giudicata di rilevante significato estetico, culturale e storico, e selezionata nella lista di film preservati nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Curiosità Le inquadrature all’inizio del film non sono altro che diapositive ad alta risoluzione proiettate con il sistema rivoluzionario (per l’epoca) del “front projection”, inventato dallo scrittore di fantascienza Murray Leinster. Questa tecnica innovativa, dopo essere stata brevettata il 20 dicembre 1955 da Leinster, venne impiegata per la prima volta proprio in 2001: odissea nello spazio. Alla fine della prima scena del film in cui Guarda-la-Luna lancia un osso in aria, è presente una svista: l’ominide tiene in mano un femore, ma a roteare in aria è invece una tibia. In realtà l’errore non fu di Kubrick ma di un operatore al quale il regista, al termine di una giornata di riprese, aveva chiesto di riprendere un osso lanciato in aria nel cortile dei teatri di posa. Non prevista dal copione, quest’inquadratura farà parte di quel brillante match cut, divenuto uno delle scene più note del film, che collega due epoche estremamente distanti. Gli ominidi nella parte iniziale del film sono dei mimi e dei ballerini, accompagnati da vere scimmie nel ruolo dei cuccioli. La specie in questione doveva essere glabra e priva di indumenti, impensabile per la moralità dell’epoca, così si è optato per una anteriore totalmente irsuta. Gli animali cacciati sono dei tapiri, specie sudamericana assente nel Pleistocene, scelti in alternativa ai selvaggi e aggressivi facoceri riportati nel romanzo. I satelliti, le colonie orbitanti, la nave spaziale e la grande stazione spaziale ruotante che appaiono all’inizio della seconda parte del film, sono riproduzioni di progetti della NASA mai realizzati. L’elaborazione dei vari modelli di astronavi è stata affidata a ingegneri aerospaziali e non ad artisti.
Il tema dell’intelligenza artificiale « A me piace lavorare con la gente. Ho rapporti diretti e interessanti con il dottor Poole e con il dottor Bowman. Le mie responsabilità coprono tutte le operazioni dell’astronave, quindi sono perennemente occupato. Utilizzo le mie capacità nel modo più completo; il che, io credo, è il massimo che qualsiasi entità cosciente possa mai sperare di fare. » (Il computer HAL 9000) Uno dei temi fantascientifici di 2001 che maggiormente colpirono pubblico e critica è quello del supercomputer HAL 9000 e della sua ribellione. Nel film HAL appare dotato di una vera intelligenza artificiale: ha un occhio che gli permette di vedere e addirittura di leggere le parole sulle labbra degli uomini, parla con una voce del tutto naturale, e sembra in grado di provare sentimenti umani. Naturalmente sa giocare benissimo a scacchi e sconfiggere gli esseri umani in questo gioco. E sa anche uccidere quando si rende conto della possibilità di essere “disattivato”. Su questo tema Clarke e Kubrick erano stati troppo ottimisti. Il 2001 è passato e i computer di oggi sono ancora ben lontani dal traguardo dell’intelligenza artificiale; unica previsione realizzatasi alla lettera è quella che i computer sono oggi capaci di vincere gli uomini nel gioco degli scacchi, cosa che avviene ormai da diversi anni. È curioso tuttavia considerare che nel film non era stata prevista l’evoluzione dei sistemi di salvataggio dei dati: HAL, difatti, dietro richiesta degli astronauti, salva il resoconto di alcune operazioni addirittura su scheda perforata. Tuttavia, se si intende la “supremazia” del computer come una oscura prevalenza della tecnologia ovunque diffusa (imprevedibile nelle sue conseguenze e nei suoi condizionamenti sulla cultura umana), è indubitabile l’attualità della visione del regista. Su ciò Kubrick avrebbe degli illustri e molto dibattuti antesignani: il filosofo Martin Heidegger, con la sua “questione della tecnica”[17], e il sociologo Günther Anders, con la sua definizione di “uomo antiquato”[18] (ovvero: l’uomo che, dopo la bomba atomica, produce tecnologia ben oltre le sue capacità di valutarne appieno le conseguenze; per millenni abbiamo immaginato più di quanto non potessimo realizzare, mentre oggi realizziamo più di quanto non siamo poi in grado di controllare, nemmeno con l’immaginazione). Andando ancora a ritroso, lo possiamo trovare negli antichi testi sacri ebraici, dove si parla di un gigante costruito per la difesa del popolo ebraico, chiamato Golem[19], fatto di argilla, incapace di sentimenti, ma che poi sfugge al controllo del suo creatore, distruggendo ogni cosa sul suo cammino, e guarda caso proprio quando gli viene scritto “morte” sulla testa per renderlo inoperativo. Va ricordato che Kubrick voleva realizzare un altro film sull’intelligenza artificiale, ma la morte lo colse prima di aver completato questo progetto. Il film fu invece realizzato con il titolo di A.I. - Intelligenza artificiale da Steven Spielberg che sostiene di aver seguito in buona parte le indicazioni di Kubrick.
Colonna sonora Musica nella versione definitiva La colonna sonora, rimasta una delle più famose nella storia del cinema, è composta da celebri brani di musica classica di autori classici e contemporanei, tra cui: Johann Strauss jr: “Sul bel Danubio blu” (“An der schönen, blauen Donau”) Richard Strauss: “Così parlò Zarathustra” (“Also sprach Zarathustra”) György Ligeti: “Atmosfere” (“Atmospheres”), “Luce eterna” (“Lux Aeterna”) “Avventure” (“Adventures”) Kyrie dal “Requiem” Aram Kachaturian: “Gayane”, suite dal balletto Il tema principale, “Così parlò Zarathustra”, sottolinea i punti di svolta della storia, come il momento in cui Guarda-la-Luna inizia a mettere a frutto gli insegnamenti del Monolito, impugnando un osso e comprendendo di avere tra le mani un’arma per procurarsi da mangiare e per sopraffare i nemici, oppure quando David Bowman, sempre per mezzo del Monolito, si trasfigura in un essere nuovo, il Bambino delle Stelle. La scelta di questo brano probabilmente non è casuale, in quanto il poema sinfonico di Richard Strauss è ispirato all’omonima opera di Friedrich Nietzsche, nella quale si narra la discesa del profeta Zarathustra tra gli uomini per insegnare loro a divenire esseri liberi dai propri limiti (il concetto nietzschano di Oltreuomo). È quindi probabile che Kubrick e Clarke abbiano voluto evocare un’analogia tra Zarathustra e il monolito, e tra l’Oltreuomo e il Bambino delle Stelle. Ligeti fu entusiasta dell’impiego delle sue opere, come il Requiem e l’alieno Atmospheres, ma altrettanto duro verso il regista. « Meraviglioso è il modo in cui la mia musica è utilizzata nel film, lo è meno che nessuno mi abbia mai consultato e che [io] non sia stato pagato. Ammiro l’arte di Kubrick ma non il suo egoismo e il suo disprezzo per la gente.» Il contatto tra gli ominidi e il monolito extraterrestre richiama la Teoria degli antichi astronauti che ipotizza antichi contatti alieni con gli uomini.
ARANCIA MECCANICA Arancia meccanica (A Clockwork Orange) è un film del 1971 diretto da Stanley Kubrick. Tratto dall’omonimo romanzo distopico scritto da Anthony Burgess nel 1962, prefigura, appoggiandosi a uno stile fantascientifico - sociologico - politico, una società votata a un’esasperata violenza giovanile, ma non solo, e a un condizionamento del pensiero sistematico. Forte di quattro candidature agli Oscar del 1972 come miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior montaggio, presentato lo stesso anno alla Mostra di Venezia, Arancia meccanica è rimasto nella storia del cinema, oltreché come fonte di citazioni letterarie e iconografiche, anche grazie al contributo, nella parte non originale, della colonna sonora. Essa recuperava, fra le altre, musiche classiche molto conosciute di Rossini e Beethoven, accentuando la chiave visionaria e onirica del film. Decisivo per la riuscita del film, anche l’apporto di Malcolm McDowell nel ruolo di Alex, pronto e disponibile a tutto, al punto che s’incrinò una costola e subì l’abrasione delle cornee durante le riprese del film. Quando fu distribuita sul circuito cinematografico, all’inizio degli anni settanta, la pellicola destò scalpore, con una schiera di ammiratori pronti a gridare al capolavoro ma anche con una forte corrente di parere contrario, per il taglio originale e visionario adottato nella narrazione, che faceva ricorso in maniera iperrealistica, ma anche senza indugi speculativi, a scene di violenza.
Vita da Drugo In Inghilterra, nella zona della Grande Londra, nel vicino futuro preconizzato dall’autore negli anni sessanta vive Alexander DeLarge (o Alexander Burgess come appare in effetti nei titoli di un quotidiano verso la fine del film). Alex è un giovane, di famiglia operaia, eccentrico, antisociale e capo della banda criminale dei Drughi . I Drughi trascorrono il tempo dedicandosi a sesso, furti e ultraviolenza, termine con il quale Alex indica le estreme violenze gratuite perpetrate dalla sua banda, e, nella scena iniziale, Alex ne presenta i componenti: Pete, Dim e Georgie, mentre si trovano seduti al Korova Milk Bar sorseggiando lattepiù, ossia latte migliorato con anfetamina (mescalina nel doppiaggio italiano) e altre sostanze. Il sottopasso, sito nel distretto di Wandsworth a Londra, dove Alex, insieme ai suoi Drughi, aggredisce l’anziano senzatetto La stessa notte la banda commette molti atti criminosi quali aggredire un barbone ubriaco a calci e a bastonate, affrontare in una rissa una banda rivale, vestita con uniformi da SS, comandata da un certo Billy Boy, scorrazzare per le strade di campagna a bordo di una fiammante Durango 95, provocando caos e incidenti, e infine praticando quello che Alex DeLarge definisce
il numero “visita a sorpresa”, che consiste nel recarsi in una casa, in questa occasione nella villa dello scrittore Frank Alexander, per rapinare e, nel caso, aggredirne gli abitanti; Alex, aiutato dai Drughi, prima malmena lo scrittore, cantando Singin’ in the Rain e poi ne violenta la moglie. Soddisfatti della serata, i Drughi si ritirano di nuovo al Korova Milk Bar. Alex è un acceso appassionato di musica classica e soprattutto di quello che definisce affettuosamente Ludovico Van (Beethoven); nel locale Korova, frequentato da artisti e personaggi televisivi, una donna improvvisa un bel canto, precisamente un brano della nona sinfonia. Al termine Dim, uno dei Drughi, sbeffeggia la cantante e Alex si indigna per il gesto incivile colpendogli violentemente le gambe con il suo bastone. Il Drugo non accetta il richiamo e sfida Alex lasciandogli la scelta delle armi ma, quando questi si mostra tutt’altro che impaurito e gli propone una sfida al coltello, Dim si scusa dicendo di essere stanco, suggerendo al gruppo di terminare la serata e di andare a dormire, trovandone il consenso. Giunto a casa, Alex nasconde il bottino delle scorrerie in un cassetto, e, ascoltando la Nona di Beethoven, si addormenta immaginando epiche scene catastrofiche, come esecuzioni, esplosioni, ed eruzioni vulcaniche.
La mattina seguente la madre sprona Alex ad andare a scuola, ricordandogli che non ci è andato mai durante la settimana, ma Alex le risponde che soffre di un terribile mal di testa (qui indicata come “Gulliver”) e non andrà per non danneggiare la sua educazione; ella accetta passivamente le motivazioni del figlio riferendole al marito, chiedendosi quale lavoro notturno svolga il figlio, ma, non potendo o non volendo approfondire la questione, i genitori si dimostrano completamente impotenti. Alzatosi da letto, Alex scopre che la madre ha fatto entrare in casa il signor Deltoid, suo ispettore giudiziario minorile: Deltoid gli ricorda che è già stato condannato una volta, e un’altra eventuale condanna lo porterebbe non più al minorile ma in carcere e questo per lui rappresenterebbe un fallimento che non intende accettare; gli riferisce che è a conoscenza della rissa con la banda di Billy Boy, che sono stati fatti i loro nomi ma mancano le prove per incriminarli. Alex spudoratamente tranquillizza Deltoid, affermando di essersi tenuto lontano dai guai e che la polizia non è sulle sue tracce. In seguito Alex esce e si reca in un negozio di dischi per ritirare una sua ordinazione e al bancone vede due belle ragazze che decide di invitare a casa “per ascoltare la musica” e, giunti a destinazione, i tre hanno un rapporto sessuale col sottofondo del Guglielmo Tell di Gioachino Rossini. Scorcio del Southmere Lake, nel distretto di Thamesmead a Londra, dove Alex aggredisce i suoi Drughi. Più tardi, scendendo le scale del suo condominio, Alex trova i Drughi ad aspettarlo: Dim si mostra sarcastico e Alex non accetta il suo atteggiamento, ricambiando minaccioso le sue battute ma Georgie, un altro Drugo, lo blocca dicendogli che ci saranno delle novità; la prima è quella che Alex non dovrà più sfottere Dim, la seconda è il dissenso sulla spartizione del bottino delle scorrerie della banda, che finisce per la maggior parte nelle mani di Alex, e infine accenna a un piano per un furto da consumarsi quella stessa notte. Usciti dal palazzo Alex riflette, pensando che da quel momento Georgie sarebbe stato il capo della banda e lui avrebbe preso le decisioni con l’appoggio di Dim e perciò decide di ristabilire le posizioni: mentre il gruppo sta camminando accanto a un lago artificiale, Alex assale selvaggiamente i due e li getta in acqua, ferendo Dim a una mano, e, dopo la rissa, il gruppo si ritrova in un pub, dove Alex ribadisce la sua leadership e convince Georgie a illustrargli il piano che aveva in mente. L’idea è quella di rapinare, con le stesse modalità della “visita a sorpresa”, una casa, adibita a clinica per dimagrire, dove vive l’attempata proprietaria, sola in compagnia di un grande numero di gatti; la sera stessa i quattro si presentano alla porta ma la donna, allarmata dal precedente episodio di violenza appreso dai giornali, decide di non aprire e di chiamare la polizia. Alex nel frattempo è già entrato da una finestra e, dopo uno scambio di feroci battute, i due accennano a una rissa: lei armata di un soprammobile e lui con una scultura a forma di fallo, con la quale la colpisce. Una volta uscito, udendo le sirene della polizia, suggerisce ai Drughi di fuggire ma i tre lo stanno aspettando e Dim lo colpisce con una bottiglia di latte in faccia, lasciandolo ferito in balia della polizia. Arrestato, viene dapprima picchiato dai poliziotti che mal sopportano la sua strafottenza e poi, appresa la notizia da Deltoid, nel frattempo sopraggiunto, della morte della donna, riceve da questi uno sputo in faccia, dovuto alla rabbia per il suo fallimento. Dopo un breve processo viene condannato a 14 anni di carcere per omicidio.
La cura Ludovico L’ edificio della Brunel University ad Uxbridge, sede del trattamento Ludovico Alex in carcere si sente come una preda tra predatori, tra uomini violenti e perversi quanto e più di lui, e così decide di mantenere una buona condotta accattivandosi le simpatie del cappellano, imparando a memoria versi della Bibbia, naturalmente prediligendo le parti che gli richiamano episodi di violenza che evidentemente gli mancano. Durante la detenzione viene a conoscenza dell’iniziativa del nuovo Governo in carica, che promette la scarcerazione immediata, a patto che ci si sottoponga a un innovativo programma di “rieducazione”, il trattamento Ludovico. Dopo essersi fatto notare dal ministro degli interni durante la sua visita in carcere Alex viene scelto per il trattamento e, con il pensiero rivolto alla scarcerazione, accetta tutte le condizioni, venendo trasferito in un centro medico dove inizia la cura, la quale consiste nella somministrazione di farmaci, unita alla visione di lungometraggi dove sono contenute scene di violenza. La visione delle pellicole è “obbligata” dalla posizione di Alex, posto legato a breve distanza dallo schermo e con delle pinze che lo costringono a tenere gli occhi aperti e questa, insieme all’effetto dei farmaci, inizia a provocare in lui delle sensazioni di dolore e di nausea che tendono ad aumentare a mano a mano che il trattamento prosegue fino a coinvolgere, oltre alle immagini di violenza e di sesso, anche la musica di sottofondo della proiezione che, durante la visione di un documentario su Hitler, è la nona Sinfonia di Beethoven. Al termine della cura Alex viene portato in una sala e sottoposto ad alcune prove a cui assistono, oltre al ministro degli Interni, alcune importanti autorità. Lo scopo è mostrar loro il buon risultato del condizionamento: nella prima prova Alex subisce i maltrattamenti e le umiliazioni da parte di un attore ai quali il ragazzo non riesce a reagire poiché, appena cerca di farlo, viene assalito dalla fortissima sensazione di nausea; nella seconda parte del test entra in sala una bellissima ragazza in topless ma Alex, appena allunga le mani verso i suoi seni con l’idea di violentarla seduta stante, viene nuovamente colto dalla nausea e si accascia a terra dolorante. Il Ministro osserva compiaciuto il successo del trattamento Ludovico, nonostante l’obiezione del cappellano del carcere che contesta l’annullamento del libero arbitrio nei confronti del soggetto rendendolo incapace di difendersi, e decide di farlo entrare immediatamente in vigore come soluzione ai problemi della criminalità violenta e del conseguente affollamento delle prigioni.
Il rientro nella società Alex viene scarcerato, ma il suo rientro nella società è tragico: i genitori hanno affittato la sua stanza a un ragazzo e, quando questi si mostra ostile nei suoi confronti, egli vorrebbe aggredirlo, ma viene bloccato dalla nausea; quindi si allontana dalla casa senza essere trattenuto dai familiari. Vagando per la città incontra casualmente il barbone, aggredito in precedenza da lui e dagli altri Drughi, il quale, dopo averlo riconosciuto, si vendica picchiandolo insieme ad altri anziani nullatenenti. Alex non riesce a reagire e viene salvato da due poliziotti ma, una volta riavutosi, si accorge che i due agenti sono Dim e Georgie i quali, divenuti agenti e memori delle sue prepotenze, lo portano fuori città ammanettato e lo torturano immergendogli la testa in una vasca e percuotendolo con il manganello.
Ferito e disperato Alex raggiunge una casa per chiedere aiuto, ma la casa è quella dello scrittore Alexander, ora invalido e vedovo dopo la morte della moglie, dovuta a suo avviso allo shock che la donna ha subito durante lo stupro. Egli riconosce Alex come la vittima del trattamento Ludovico e promette di aiutarlo ma, mentre il giovane è nel bagno cantando Singin’ in the rain, egli riconosce la voce dell’autore della violenza subita. A quel punto egli convoca a casa sua dei cospiratori politici allo scopo di screditare il governo e la sua terapia, compiendo nel contempo la propria vendetta: fa ascoltare ad Alex la nona Sinfonia di Beethoven, il cui effetto lo convince a cercare nella morte la liberazione dalla sua sofferenza, gettandosi dalla finestra.
Epilogo Alex si risveglia molto tempo dopo in un letto d’ospedale dove, raggiunto dai genitori, li respinge, memore del loro comportamento durante e dopo la permanenza in carcere; nel periodo della convalescenza, una psichiatra gli fa un test nel quale egli deve aggiungere la battuta mancante in alcune vignette ed egli risponde con spacconeria e strafottenza, realizzando presto di non provare più il malessere che accompagnava la propria aggressività, mutamento dovuto probabilmente allo shock intervenuto a seguito del tentato suicidio e alle cure ricevute durante il coma, mentre giornali e riviste, venuti a conoscenza dell’accaduto, attaccano duramente il governo per i metodi coercitivi usati su di lui. Un giorno Alex riceve la visita del ministro degli Interni, preoccupato per lo scandalo causato dalla vicenda, il quale, con atteggiamento remissivo e concilian-
te, gli offre il proprio appoggio e quello del governo in cambio della sua benevolenza e collaborazione, al fine di assicurare la buona fede e soprattutto la tenuta del governo, rassicurandolo sul fatto che lo scrittore è stato messo, insieme ai suoi colleghi, in condizione di non nuocergli più. Alex accetta, assicurandosi prima che la sua vita potrà proseguire con un buon lavoro, una buona posizione e una retribuzione adeguata. La macchina della propaganda si mette immediatamente in moto e un grande numero di giornalisti e di fotografi entra nella stanza dove i due, stringendosi la mano, rassicurano l’opinione pubblica in merito alla loro nuova collaborazione e amicizia, dando inizio alla nuova vita di Alex, il quale, in un attimo, la immagina fatta di sesso, musica e libera dalle angosce dovute alla legge, poiché egli ora lavora per essa.
da guardare: una grande tessitura visiva iniziata in esterni, nella profondità di campi lunghissimi e nella fredda luce del nord, dove le figure si stagliano nette sugli orizzonti sconfinati, e chiusa nel fondo nero di una carrozza. Questa scelta implicò l’utilizzo di lenti rivoluzionarie, studiate dalla Zeiss per la NASA, oltre a nuove macchine da presa messe a punto dalla Panavision. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti uscì il 18 dicembre 1975, mentre in Italia il 1º gennaio 1976. William Makepeace Thackeray Dopo Arancia meccanica, Kubrick decise di dirigere un film a cui lavorava da tempo, Napoleon, biopic su Napoleone Bonaparte, con Jack Nicholson nel ruolo del protagonista. Ma dopo il flop di un film simile, Waterloo di Sergej Fëdorovič Bondarčuk, Kubrick abbandonò il progetto, senza discostarsi però dal film storico. In questo periodo gli passò sottomano il romanzo di William Makepeace Thackeray, Le memorie di Barry Lyndon, e dunque decise di approfondirlo, iniziando a stendere una prima sceneggiatura. « Mi ha sempre attirato un film in cui il destino del protagonista è già inciso sul primo fotogramma, e non ne avevo ancora fatti, quindi questa fu l’occasione migliore» (Stanley Kubrick)
BARRY LYNDON Barry Lyndon è un film storico-drammatico del 1975, diretto da Stanley Kubrick e tratto dal romanzo di William Makepeace Thackeray, Le memorie di Barry Lyndon. Nonostante all’uscita nelle sale non abbia prodotto incassi cospicui, Barry Lyndon è oggi considerato uno dei migliori film di Kubrick e una delle più grandi opere cinematografiche mai realizzate Per creare un’opera il più possibile realistica, Kubrick trasse ispirazione dai più famosi paesaggisti del XVIII secolo per scegliere le ambientazioni dei set. Le riprese vennero effettuate nei luoghi in cui è stato ambientato il film: Inghilterra, Irlanda e Germania. Le scene e i costumi vennero ricavati da quadri, stampe e disegni d’epoca; grazie a questa attenzione ai dettagli il film ottenne i premi Oscar alla migliore scenografia e ai migliori costumi (entrambi assegnati nel 1976). Le riprese vennero invece girate con l’ausilio della luce naturale o, tutt’al più, delle candele e delle lampade a olio per le riprese notturne. Barry Lyndon è un film che assume un ruolo particolarmente importante nella filmografia di Kubrick perché costituisce il momento di maggiore libertà e distanza dai temi sociali, filosofici e politici che a Kubrick sono sempre stati attribuiti: violenza, politica, sesso. È un film fortemente visivo, talmente ricco di immagini e riferimenti estetici (dovute alle vastissime ricerche condotte dall’autore) da farne la più ampia e rigorosa rappresentazione del Settecento che il cinema abbia mai prodotto. La storia viene continuamente ridotta a quadro, a immagine da mostrare,
Kubrick riferì di non avere scelto Le memorie di Barry Lyndon, tra i romanzi di Thackeray, a caso: « Ho avuto l’intera collezione delle opere di Thackeray sulla libreria, a casa, per anni. Dovetti leggere i libri svariate volte prima di arrivare a Barry Lyndon. Prima, ad esempio, mi interessava La fiera della vanità, ma la storia era troppo intricata per essere spiegata solo in un film. Oggi ci sarebbero le miniserie televisive, ma non avevo assolutamente l’intenzione di girarne una». (Stanley Kubrick) Il regista asserì di amare i personaggi e di aver trovato un modo per non fare perdere l’impatto del libro nel passaggio dalla carta alla pellicola.
Regia Per il film, Kubrick cercò di essere quanto più realistico possibile, utilizzando sul set solamente candele o lumi a olio. Tutto ciò per ricreare l’atmosfera tipica del XVIII secolo. A ricreare quest’atmosfera collaborarono anche i quadri di autori come Hayez (Il bacio è riproposto in una scena d’amore tra Barry Lyndon e una sua amante), William Hogarth, Joshua Reynolds, Chardin, Antoine Watteau, Zoffany e altri, come ha rivelato lo scenografo Ken Adam. Kubrick rivelò di non avere usato quasi nessuno storyboard, per la realizzazione del film, asserendo che sono poche le riprese provenienti da idee lampanti, aggiungendo che anzi il preparare una scena prima di essere sul set può soltanto danneggiarla: «L’ispirazione giusta viene in un momento e basta. Non c’è alcuna alchimia alle spalle, la si riconosce e ci si ispira a essa». L’imbarco per Citera servì come ispirazione per alcuni esterni del film Le riprese durarono 300 giorni, in un arco complessivo di due anni: con un budget di circa 11 milioni di dollari, iniziarono nel giugno 1973 e finirono nel settembre 1975. Per ispirare gli attori, Kubrick faceva ascoltare sul set le musiche che avrebbero fatto da sottofondo, nel montaggio finale, alla scena, come fece Sergio Leone con il cast di C’era una volta il West.
La pellicola venne girata alla Powerscourt Estate, una famosa tenuta del XVIII secolo nella contea di Wicklow, in Irlanda. La casa venne distrutta in un incendio diversi mesi dopo l’inizio delle riprese (nel novembre 1974): per questo il film viene considerato, oltretutto, una sorta di documentario sull’aspetto della dimora prima della sua distruzione. Tra le altre location, il castello di Howard, in Inghilterra (in cui vennero girati gli esterni della tenuta Lyndon), il castello di Dublino, in Irlanda, dimora dello Chevalier e alcuni edifici governativi a Potsdam, vicino Berlino. Alcune tecniche di ripresa ricollegano direttamente ad altri lavori precedenti del regista: lo zoom e il grandangolo, elementi-chiave in 2001 e Arancia meccanica. Inoltre, alcuni elementi riportavano direttamente al cinema muto: «Penso che il cinema muto avesse molte più qualità del cinema sonoro», asserì Kubrick. Poi, aggiungendo, disse: «[La scena nel terrazzo tra Lady Lyndon e Barry] è tutta molto romantica, però nello stesso tempo credo che suggerisca quell’attrazione vuota che sentono l’uno per l’altra e che scomparirà con la stessa rapidità. Prepara cioè il terreno a tutto quello che seguirà nel loro rapporto». Con questo film, Kubrick si aggiudicò un BAFTA al miglior regista 1976.
Fotografia Alla fotografia lavorarono John Alcott e Stanley Kubrick: Kubrick aveva già lavorato con Alcott per 2001: Odissea nello spazio e Arancia meccanica e avrebbe continuato in Shining. Alcott venne premiato per il lavoro svolto su Barry Lyndon con un premio Oscar 1976. L’intento di Kubrick era quello di girare il film senza alcun ausilio di luci artificiali, così da donare alla pellicola un aspetto realistico, «quello di un dipinto o un affresco». Per questo, durante la fase di pre-produzione del film, il regista girò in lungo e in largo alla ricerca di obiettivi molto luminosi. Il compito non fu difficilissimo per Kubrick, che aveva lavorato per diverso tempo alla rivista statunitense Look. Ed DiGiulio, presidente della Cinema Products Corp., rivela che Kubrick giunse un giorno con una proposta quasi “assurda”: «Mi chiamò per chiedermi se [...] era possibile adattare per la BNC l’obiettivo Carl Zeiss Planar 50mm f/0.7 che si era appena procurato e che aveva una focale da 50 millimetri e un’apertura massima di f/0.7. Quando lessi le specifiche delle dimensioni, conclusi che sarebbe stato impossibile collegarlo alla sua BNC a causa del diametro e anche perché la parte posteriore sarebbe arrivata a soli 4 mm dal piano della pellicola». Nonostante questo Kubrick insistette sino a quando DiGiulio non accettò di approfondire la questione.
Colonna sonora Per Barry Lyndon, Kubrick abbandonò pezzi di colonna sonora originale, preferendo autori come Händel o Bach. «Per quanto i compositori di colonne sonore possano essere bravi, non saranno mai un Beethoven, un Mozart o un Brahms. Perché usare una colonna sonora discreta quando c’è dell’ottima musica disponibile dal nostro passato più recente?». «Quando completai il montaggio di “2001”, avevo fatto registrare alcune musiche originali che volevo usare nel film. Lo stesso compositore, però, davanti al ‘Bel Danubio blu’ rimase esterrefatto e allora cambiò idea e inserì queste tracce nelle scene. Con “Barry Lyndon” non ricaddi nell’errore e usai direttamente musiche non originali». Molte delle tracce, nonostante siano tratte da composizioni di Bach, Schubert e altri, sono state riscritte e riorchestrate da Leonard Rosenman, che collaborò con Kubrick nella scelta dei brani. «La musica del XVIII secolo non è molto drammatica. Sentii il tema di Handel, che fa da sottofondo a molte scene del film, suonato con una chitarra, e stranamente, mi
faceva pensare a Ennio Morricone. Allora aggiungemmo i bassi e la musica si adattò perfettamente alla drammaticità della pellicola». Il tema di Handel è la Sarabanda dalla Suite num. 4 in re minore HWV 437 tratta da Nove suite per clavicembalo, scritta per clavicembalo e che Leonard Rosenman arrangiò per orchestra. La colonna sonora comprende diversi brani composti in epoche posteriori alle vicende narrate, come quelli di Franz Schubert (tra i quali il più famoso è l’Andante con moto dal Trio n. 2 in mi bemolle maggiore per violino, violoncello e pianoforte D. 929). La cavatina del Barbiere di Siviglia di Paisiello viene sfruttata per due distinte scene di gioco d’azzardo. Una prima volta, senza accompagnamento vocale, nella scena in cui Barry aiuta lo Chevalier a truffare il principe di Tubingen; una seconda, con accompagnamento vocale, poche scene dopo, al tavolo da gioco di Spa in cui Barry e lo Chevalier, tenendo banco, vincono contro Lord Ludd.
SHINING Shining è un film del 1980 diretto da Stanley Kubrick, basato sul romanzo omonimo di Stephen King. Shining (The Shining, tradotto fedelmente suonerebbe come “Il luccichìo” o “La luccicanza”, quest’ultima traduzione è quella scelta per il doppiaggio italiano) rappresenta una tappa dell’itinerario di attraversamento-appropriazione-sfondamento dei generi cinematografici attuata da Kubrick nel corso della sua carriera. Nel romanzo omonimo da cui il film è tratto, Stephen King rielabora in chiave thriller il topos caro alla letteratura della casa infestata da fantasmi, trasformandola in albergo e mettendola in rapporto con gli avvenimenti soprannaturali che vi accadono e che hanno per protagonisti un nucleo familiare composto da una coppia e dal loro unico figlio dotato di poteri paranormali. Shining è presto diventato un cult movie, entrato nell’immaginario collettivo ed è stato classificato alcune volte come il miglior film horror in assoluto. Shining è stato eletto al 2º posto tra i migliori film horror della storia del cinema, dopo L’esorcista, in una classifica stilata dalla rivista londinese Time Out.
Il tempo Il film si compone di varie unità narrative temporalmente distinte, ciascuna individuata da un titolo: Il colloquio, Chiusura invernale, Un mese dopo, Martedì, Sabato, Lunedì, Mercoledì, ore 16; nella versione americana si aggiungono anche Giovedì (tra Martedì e Sabato) e ore 8 (posto invece fra Mercoledì e ore 16). Seppure l’impianto di Shining sia tradizionale nel rispetto di una costruzione cronologica degli avvenimenti, come ci informano le varie didascalie che scandiscono temporalmente lo svolgersi di ciò che accade, esso opta per una presentazione in cui è il concetto stesso di tempo (cronologico, cronometrico) che viene messo in discussione. Sono proprio le didascalie, che procedendo per salti improvvisi, dai mesi ai giorni, dai giorni alle ore, orientano il tempo verso quella progressiva riduzione che lo conduce al collasso, rappresentato dalla fotografia in bianco e nero di un ballo del 1921, tra i cui partecipanti c’è anche, Jack Torrance. Tale immagine è un tradizionale fotomontaggio per apposizione del viso di Nicholson su un’immagine originale d’epoca. È il finale sorprendente del film che introduce un ulteriore elemento di distorsione della realtà: una sorta di circolarità temporale senza fine e senza principio, già in qualche modo sperimentata da Kubrick in 2001: Odissea nello spazio, attraverso la quale viene retrospettivamente sgretolata quella struttura teleologica della narrazione che le didascalie si erano già incaricate di minare. Lo spettatore si viene così a trovare inevitabilmente spossessato della meta cui l’inizio avrebbe dovuto condurlo. chi guarda shining si sente “Smarrito nel non-luogo kubrickiano, lo spettatore si scopre incapace di tracciare una mappa coerente e attendibile, in grado di accogliere e armonizzare tutti i dati raccolti nel tragitto filmico: troppe le dissonanze cognitive, i polisensi, le tessere logiche mancanti, i paradossi (ir) razionali”. L’unico legame tra le scene che risulta palesemente sottolineato è la presenza del colore rosso, che sembra occupare quasi ogni inquadratura.
Lo spazio, la luce e i colori La rappresentazione dello spazio in Shining è di particolare interesse: ogni qualvolta l’azione si svolge internamente all’hotel, lo spazio è labirintico, prospetticamente concluso, definito da precisi limiti geometrici, mentre nelle rare riprese in esterni gli unici confini sono quelli dell’orizzonte e delle vicine montagne. In entrambi gli ambienti l’uomo si perde, diventa cosa piccola e insignificante a confronto con la maestosità del paesaggio o con l’imponenza dell’albergo, ed è come dominato, soggiogato dallo spazio. Questo aspetto viene abilmente sottolineato da Kubrick mediante la ripresa dall’alto con veduta panoramica volta a rendere il carattere estremamente selvaggio dei luoghi che circondano l’albergo. Del resto l’immagine del labirinto di siepi dell’albergo, inquadrato anche dall’alto, la stessa struttura interna dell’albergo che richiama l’idea di un labirinto, rimandano, come dichiarò lo stesso Kubrick, al labirinto mentale nel quale progressivamente si perde il protagonista. La simmetria, l’eco, il doppio, lo specchio ritornano continuamente nel film: per esempio la parola REDRUM che Danny scrive sulla porta in uno stato di trance significa al contempo MURDER, cioè “omicidio” scritto alla rovescia, ma anche “Red Room”, cioè la stanza con il sangue. Se facciamo eccezione per le poche scene che si svolgono in esterno, la maggior parte del film è girato in interni o di notte, quindi con luce artificiale, fredda e impersonale. Ne deriva una continua sensazione di disagio, di claustrofobia, di nostalgia del sole.[senza fonte] Oltre a ciò frequenti sono le scene in cui la luce illumina i soggetti o dal di sotto o da dietro, di volta in volta accentuando gli aspetti diabolici del volto di Jack Nicholson, o semplicemente accecando, disorientando lo spettatore. Anche i colori hanno nel film un ruolo ben preciso; l’effetto prodotto è sempre quello di una sgradevolezza di fondo, di una sostanziale inaccoglienza dello spazio, che a volte si esprime con una sensazione di malessere e di inadeguatezza. Vi è un frequente uso del bianco in taluni ambienti per accentuare il senso di vuoto e di solitudine; altre volte, come nel caso del bagno rosso. nell’impressione che l’ambiente sia come in grado di esercitare un pressante condizionamento psicologico sui suoi occupanti.
Tecniche di regia Come di consueto per Kubrick, per la pellicola vennero studiate e impiegate notevoli innovazioni tecnologiche, a partire dalla macchina da presa: la steadycam che permette movimenti veloci senza sobbalzi imprevisti, già utilizzata precedentemente nei film Questa terra è la mia terra, Rocky, Il maratoneta e Halloween, la notte delle streghe, qui adoperata al massimo della sua potenzialità dal suo stesso inventore, Garrett Brown. Per la maggior parte del film la macchina da presa segue gli spostamenti degli attori precedendoli o seguendoli a breve distanza, accentuando il carattere labirintico degli ambienti chiusi e dei lunghi corridoi dell’albergo. Ogni volta che Kubrick intende creare un particolare stato di attesa o di suspense la macchina da presa si avvicina progressivamente e lentamente verso il soggetto che rimane fermo. Una tecnica di montaggio molto particolare è quella utilizzata per rappresentare le visioni di Danny. In genere, dopo un primo piano di Danny, appare la visione vera e propria, che è realizzata interrompendo bruscamente un’immagine di fondo con un’altra che in genere è di fortissimo impatto emotivo, come, ad esempio, le scene di sangue.
FULL METAL JACKET Full Metal Jacket è un film di guerra statunitense del 1987 diretto da Stanley Kubrick. Il film è ispirato al romanzo Nato per uccidere (The Short-Timers) di Gustav Hasford, un ex Marine e corrispondente di guerra che ha collaborato alla sceneggiatura. Il titolo originale si riferisce alla guaina in rame dei proiettili incamiciati, citati da uno dei protagonisti a metà della storia.
Trama Il film, ambientato durante gli anni della guerra del Vietnam, è diviso in due parti nettamente distinte, rispettivamente l’addestramento militare delle reclute ed i Marine in guerra. La locazione temporale è la fine del 1967 e gli inizi del 1968.
L’addestramento Nel campo di addestramento dei Marines a Parris Island, nella Carolina del Sud, diciassette giovani coscritti per la guerra del Vietnam vengono addestrati duramente. Il severissimo sergente istruttore Hartman tratta le reclute come animali con l’obiettivo di trasformarli in perfetti strumenti di morte, obbligandoli ad amare visceralmente il proprio fucile secondo i dettami del credo del fuciliere, ed appellandoli con soprannomi spesso ignobili. Protagonisti principali sono il brillante e sagace “Joker” ed il goffo “Palla di lardo”, dapprima totalmente incapace di imparare la disciplina militare, per poi trasformarsi inaspettatamente in una valida recluta ed ottimo tiratore, a costo di una lunga serie di punizioni, insulti e violenze da parte del sergente e poi dei commilitoni. Ciò gli costerà il suo stato mentale, facendolo diventare paranoico e men-
talmente instabile fino a farlo completamente impazzire. Joker, mentre pulisce i gabinetti parlando con il suo amico Cowboy spiega di essere preoccupato per lo stato mentale di Palla di Lardo il quale prendeva il vizio, dopo l’ultima violenza ricevuta, di parlare al suo fucile come se fosse la sua ragazza. Joker – mentre è di piantone notturno la notte prima della partenza a destinazione – scopre “Palla di Lardo” nei bagni della compagnia che gli sorride con sguardo demoniaco, imbracciando il suo M14 caricato con pallottole FMJ (Full Metal Jacket, da cui il titolo del film). Il sergente, svegliato della recluta che urla a squarciagola il credo del fuciliere e benché avvertito del pericolo da Joker, lo insulta per l’ultima volta ricevendo un colpo diretto al cuore. Pochi istanti dopo “Palla di Lardo” si suicida con la stessa arma sparandosi in bocca, sotto gli occhi attoniti di Joker.
Al fronte Joker è in Vietnam a Da Nang impiegato come giornalista per la rivista militare Stars and Stripes dopo la fine dell’addestramento e quindi all’assegnazione ad un reparto di fanteria. Stanco della monotonia delle retrovie e del peso della censura delle notizie, si fa spedire al fronte di Hué dopo la decisiva offensiva del Têt dei nord-vietnamiti (gennaio 1968) che ha interessato tra l’altro la base dove è dislocato. Assieme al fotografo “Rafterman”, bramoso di emozioni belliche, si unirà ad una squadra ritrovando il suo migliore amico “Cowboy”, conosciuto ai tempi del corso di addestramento, e facendo la conoscenza di altri marines, tutti condizionati e trasformati dagli orrori della guerra. Nel finale Cowboy e altri verranno trucidati dai colpi di un cecchino nemico, il quale, a sua volta ferito dai militari americani, si rivela essere una giovanissima ragazza vietnamita. Svanito ogni sentimento di vendetta per i compagni uccisi, con il solo desiderio di non farla soffrire, Joker le darà il colpo di grazia facendo di lei la sua “prima vittima accertata” e guadagnandosi il rispetto di “duro” dagli altri Marines. Il film termina con i militari che camminano di notte nella città in fiamme cantando la Marcia di Topolino.
Critica «il Vietnam da questo film è sparito»: la guerra è visibile in forma estremamente concentrata solo nella seconda parte dell’opera, in cui viene rappresentata anti-epicamente, al di fuori dell’iconografia cinematografica classica (cui nel 1958 si conforma anche, parzialmente, l’altro film di guerra di Kubrick, Orizzonti di gloria) che la vuole in primo piano. Singolare il fatto che le scene di guerra siano ambientate in una città (ricordando la battaglia di Hue del 1968) quando la Guerra del Vietnam è stata combattuta in prevalenza nella giungla, cui è legata l’iconografia più diffusa. Full Metal Jacket, rispetto ai precedenti film di guerra, e in modo particolare rispetto a tutti quelli sul coinvolgimento americano in Vietnam, è un film sulla psicologia della follia, sulla psicoticità della natura umana, ed è, in rapporto al modo ormai consolidato di fare cinema da parte di Kubrick, contrassegnato da quel «gusto per la sorpresa e per il cambiamento», in cui Michel Ciment ravvisa «uno dei segni della [sua] modernità», un oggetto spiazzante, un’opera in cui la familiarità dello spettatore con la tipologia cui esso dovrebbe appartenere, viene, come d’abitudine, mantenuta e tradita nel medesimo tempo. Il Vietnam è qui un referente del tutto elusivo, privo di un qualsivoglia spessore simbolico, mentre il linguaggio totalmente anti-retorico che infarcisce l’opera impedisce alla “guerra” di elevarsi a metafora e la fa invece ricadere su sé stessa, esponendo agli spettatori il suo lato più feroce, insensato e soprattutto “realistico”.
Corso: 1째 annoAudio video e multimedia Nome: roberto Cognome: rejamand Materia: tecniche di ripresa Anno accademico: 2013/2014