Segno 254

Page 1

segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 00 in libreria ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910

E 5.

Anno XL

SET/OTT 2015

254

Francesco Candeloro - A Arte Invernizzi, Milano

Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea


INTERNAZIONALE D’ARTE CONTEMPORANEA

6 - 8 NOVEMBRE 2015 TORINO OVAL, LINGOTTO FIERE WWW.ARTISSIMA.IT

FONDAZIONE TORINO MUSEI

REGIONE PIEMONTE CITTÀ DI TORINO

CAMERA DI COMMERCIO DI TORINO COMPAGNIA DI SAN PAOLO FONDAZIONE PER L’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA CRT


#254 sommario

segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria

E 5.

Anno XL

settembre/ottobre 2015

SET/OTT 2015

254

# 254 - Settembre / Ottobre 2015

Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

46/49

La grande madre [20]

FrancEScO candElOrO - a arTE InvErnIzzI, MIlanO

segno Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

Artisti in copertina

Francesco Candeloro

Courtesy A Arte Invernizzi, Milano

2/19 News gallerie e istituzioni

Arte in centro / Pino Pascali [34]

News Italia ed estero. Art Verona, Arte Cinema, Biennale Foto Industria a cura di Lisa D’Emidio, Paolo Spadano, Micaela Zucconi, Francesca Cammarata

Arte in centro / Gino De Dominicis [35]

La Grande Madre (pag. 20-23 Giuliana Benassi) Jimmie Durham / Liu Xiadong (pag. 24-25 Antonella Marino) Luigi Ontani incontra Morandi (pag. 26-27 Martina Cavallarin) Castellani, Festa, Spalletti (pag. 28-29 M.Letizia Paiato) Capri, The Island of Art (pag. 30-31 Paola Cotugno) Arte in Centro. Mete Contemporanee. L’eredità di Gina Pane, Pino Pascali, Gino De Dominicis nelle opere di giovani generazioni (pag. 32-37 M.Letizia Paiato) Vittorio Corsini (pag. 38 a cura di Lucia Spadano) Liberi tutti al MEF (pag. 39 a cura di Lucia Spadano) Pittura con corpo. Intervista a Pino Pinelli (pag. 40-43 a cura di Simona Olivieri) Liam Gillick e omaggio a Beuys (pag. 44-45 Stefano Taccone) Francesco Candeloro (pag. 46-49 Paolo Bolpagni) Agenore Fabbri (pag. 50-51 Paolo Balmas) Filippo di Sambuy (pag. 52-53 M.Letizia Paiato) Ginevra Lilli (pag. 54-55 Elena Giulia Rossi) Maurizio Savini (pag. 56 M.Letizia Paiato) Giovanni Albanese (pag. 57 Gianluca Marziani dal testo in catalogo) Bruno Munari (pag. 58 a cura di Lucia Spadano) Federica Di Carlo / Fiorella Rizzo (pag. 58 Giuliana Benassi) Cattani-Sala-Zino (pag. 58 M.Letizia Paiato) Illuminata (pag. 59 Giuliana Benassi) Paolo Bini (pag. 59 M.Letizia Paiato) Multiverso (pag. 60 Maria Vinella) Gaetano Grillo (pag. 60 Antonella Marino)

Giovanni Albanese [57] Liam Gillick [44]

news e tematiche espositive su www.rivistasegno.eu

e 20/62 Attività espositive/ Recensioni anticipazioni

63/67 Attività espositive/ Documentazione 1000 artisti in mostra in Italia e all’Estero (a cura di Maria Letizia Paiato e Paolo Spadano)

68/73 Osservatorio critico letterario Costellazioni di confronti sul restauro (Ester Bonsante)

segno periodico internazionale di arte contemporanea

Direzione e redazione Corso Manthonè, 57 65127 Pescara Telefono 085/61712

redazione@rivistasegno.eu www.rivistasegno.eu

Direttore responsabile LUCIA SPADANO (Pescara) Condirettore e consulente scientifico PAOLO BALMAS (Roma) Direzione editoriale UMBERTO SALA

ABBONAMENTI ORDINARI E 25 (Italia) E 40 (in Europa CEE) E 50 (USA & Others)

Soci Collaboratori e Corrispondenti: Paolo Aita, Raffaella Barbato, Giuliana Benassi, Francesca Cammarata, Simona Caramia, Viana Conti, Gianmarco Corradi, Marilena Di Tursi, Antonella Marino, Luciano Marucci, Cristina Olivieri, Rita Olivieri, Simona Olivieri, Maria Letizia Paiato, Ilaria Piccioni, Gabriele Perretta, Gabriella Serusi, Stefano Taccone, Maria Vinella.

ABBONAMENTO SPECIALE PER SOSTENITORI E SOCI da E 300 a E 500 L’importo può essere versato sul c/c postale n. 1021793144 Rivista Segno - Pescara

Distribuzione e diffusione Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Pescara - ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 Edito dalla Associazione Culturale Segno e da Sala editori s.a.s. associati per gli esecutivi e layout di stampa Registrazione Tribunale di Pescara nº 5 Registro Stampa 1977-1996. Traduzioni Lisa D’Emidio e Paolo Spadano. Art director Roberto Sala Coordinamento tecnico grafico Massimo Sala - Tel. 085.61438 - grafica@rivistasegno.eu. Redazione web news@rivistasegno.eu Impianti grafici e legatura: Publish e Nuova Legatoria (Cepagatti - Pe). Ai sensi della legge N.675 del 31/12/1996 informiamo che i dati del nostro indirizzario vengono utilizzati per l’invio del periodico come iniziativa culturale di promozione no profit.


>news istituzioni e gallerie<

Ben Vautier, Pianofortissimo - Milano, Fondazione Mudima. Copyright Archivio Garghetti

Progetto espositivo in musei e gallerie

L’Albero della Cuccagna Albero della cuccagna – Nutrimenti dell’arte” è

“L’

il titolo di una mega mostra, ideata e curata da Achille Bonito Oliva, che ha chiamato a raccolta oltre quaranta artisti internazionali per un grande progetto espositivo dislocato su tutto il territorio italiano. Dal 25 settembre a fine ottobre si inaugurano le installazioni ambientali, allestite negli spazi deputati (musei, fondazioni, gallerie) che costituiscono una rete espositiva in progress aperte fino a febbraio 2016. Il filo rosso che le lega è il tema ispirato all’”Albero della cuccagna”, soggetto iconografico che ha alle proprie spalle una lunga tradizione e una altrettanto arcaica memoria popolare, legata all’albero sacro della fertilità di derivazione celtica. Nell’immaginario collettivo l’albero della cuccagna rappresenta il paese dell’abbondanza e il luogo del divertimento per antonomasia. Il coinvolgimento di artisti contemporanei permette di realizzare opere interattive, finalmente non vietate ai minori, che sollecitano l’intervento di un pubblico di diverse età, dando un accento partecipativo e ludico all’evento espositivo, che si avvale del patrocinio di EXPO 2015 con la collaborazione del MiBACT e del Programma sperimentale per la cultura Sensi Contemporanei dell’Agenzia per la Coesione Territoriale. Se l’esposizione universale – dichiara Achille Bonito Oliva - ha inteso piantare il seme della consapevolezza nei confronti delle problematiche ambientali e della nutrizione, ecco questa consapevolezza germogliare e crescere nella sensibilità degli artisti, che ne interpretano e trasmettono il messaggio. Guardando in modo privilegiato alle giovani generazioni, cui l’intero progetto è dedicato.

GLI ARTISTI E LE LOCATION ABRUZZO Pescara, Centro storico: Ettore Spalletti Montesilvano, Ex Stella Maris: Felice Levini BASILICATA Potenza, Museo Archeologico Provinciale: Tomaso De Luca Matera, Centro storico: Elisabetta Benassi CALABRIA Catanzaro, Museo MARCA: H.H. LIM Rende (CS), Museo del Fumetto: Grazia La Padula CAMPANIA Napoli, Museo Archeologico Nazionale: Luigi Ontani Napoli, Museo Madre: Marco Bagnoli Napoli, Castel Sant’Elmo: Maurizio Elettrico Napoli: Fondazione Morra (Vigna San Martino): Paul Renner Napoli, Fondazione Morra Greco: Lorenzo Scotto Di Luzio Fisciano (SA), Campus Unisart: Costas Varotsos Padula, Certosa di San Lorenzo: Emiliano Maggi Jonida Xherri, Gibellina, Fondazione Orestiadi

EMILIA ROMAGNA Bologna, Museo MAMbo: Bertozzi & Casoni Pieve Di Cento (BO): MAGI ’900, Claudio Costa Faenza (RA), Museo Int. delle Ceramiche: Giuseppe Ducrot LAZIO Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna: Sisley Xhafa Roma, MAXXI: Pedro Cabrita Reis Roma, MACRO: Gianfranco Baruchello Genazzano (RM), Museo Colonna: Shay Frisch Peri Frascati (RM), Scuderie Aldobrandini: Giovanni Albanese LIGURIA Genova, Museo di Villa Croce, Dino Innocente LOMBARDIA Milano, Hangar Bicocca, Patrick Tuttofuoco Milano, Fondazione Mudima: Ben Vautier Bergamo, GAMeC: Marinella Senatore MARCHE Montefortino (FM), La Roccaccia: Franco Losvizzero MOLISE Venafro (IS), Castello Pandone: A. Ancillai, T. Kirchhoff Casacalenda (CB), Maack Kalenarte Museo, Baldo Diodato PIEMONTE Rivoli (TO), Castello di Rivoli: Lara Favaretto Torino, Fondazione Merz: Alfredo Jarr Torino, Fondaz. Sandretto Re Rebaudengo: Sebastian Lloyd Rees Biella, Cittadellarte Fondaz. Pistoletto: Michelangelo Pistoletto PUGLIA Lecce, Complesso monumentale Carlo V: Mimmo Paladino SARDEGNA Nuoro, Museo MAN: Remo Salvadori SICILIA Palermo, Cantieri culturali alla Zisa: Stefania Calegati con interventi di Olimpia Cavriani e Ignazio Mortella Gibellina (TP), Fondazi. Orestiadi: Alfonso Leto, Jonida Xherri TOSCANA San Gimignano (SI), Galleria Continua: Pascale Marthine Tayou TRENTINO ALTO ADIGE Bolzano, Museion: Goldschmied & Chiari Rovereto (TN), MART: Masbedo UMBRIA Spoleto (PG), Rocca di Albornoz: Luca Maria Patella VAL D’AOSTA Bard (AO), Forte di Bard: Marzia Migliora VENETO Venezia, Ca’ Pesaro: Per Barclay Alfredo Jaar per L’Albero della Cuccagna

Parigi, Centquatre / Galleria Continua

FOLLIA Continua! 25a ANNI DI ATTIVITA’ Galleria Continua di San Gimignano festeggia i suoi 25

L

anni, e il centro d’arte Centquatre di Parigi (istituzione artistica e spazio di residenza e creazione artistica al 5 rue Curial) apre le porte del suo immenso spazio offrendo la location perfetta per questo evento. José-Manuel Gonçalvès, direttore del centro, ha spiegato com’è nato il progetto con Mario Cristiani, Lorenzo Fiaschi, Maurizio Rigillo, ospitando al suo interno una piccola sede della Galleria Continua. La collaboraAi Weiwei, Stacked, 2012

4 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


>news istituzioni<

Jeff Koons, Pluto and Proserpina, 2010-2013. courtesy l’artista foto Tom Powel Imaging

Napoli

Gilberto Zorio Dalla mostra di Milano nel 2013 a quella attuale di Napoli, le

opere di Gilberto Zorio hanno percorso idealmente l’Italia attraversando gli spazi delle due sedi della Galleria Lia Rumma. L’esposizione partenopea, lontana geograficamente e temporalmente dalla precedente milanese, si presenta come una sorta di sua estensione, occupando varie stanze con lavori della sua recentissima produzione ad altri più “antichi”. Una mostra che ha per l’artista il senso dell’esperienza sensoriale concretizzata nella sua capacità di trasformare spazi facendoli diventare lo specchio del suo stesso sentire. Sul prossimo numero dedicheremo particolare interesse a questa mostra. Firenze

Jeffer laKoons prima volta, dopo cinque secoli dalla messa in posa

P

dell’Ercole e Caco di Baccio Bandinelli (1493-1560), una scultura originale di grandi dimensioni è stata collocata sull’arengario di Palazzo Vecchio. Si tratta di Pluto and Proserpina di Jeff Koons (1955), opera monumentale alta più di tre metri, evento che inaugura il progetto In Florence, programma

Jeff Koons, Gazing Ball (Barberini Faun), 2013. courtesy l’artista foto Tom Powel Imaging

ambizioso e innovativo che vede i protagonisti dell’arte del nostro tempo confrontarsi con gli spazi e le opere del Rinascimento fiorentino. Jeff Koons in Florence vede un confronto tra la provocante bellezza delle opere dell’artista americano e i capolavori senza tempo di Donatello (1386-1466) e Michelangelo (1475-1564). Nella Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio è esposta Gazing Ball (Barberini Faun), calco in gesso realizzato nel 2013 con l’aggiunta in precario equilibrio, di una sfera di colore azzurro brillante e dalla superficie specchiante; già detto di Pluto and Proserpina (2010-2013) in Piazza della Signoria, opera in acciaio inox, lucidata a specchio e con una cromatura color oro, abbagliante presenza che va a stridere con l’austerità dei marmi classici. A cura di Sergio Risaliti, fino al 28 dicembre. Firenze, Galleria Il Ponte

Jana Galleria Fabre Il Ponte presenta Knight of the Night, personale

L

di Jan Fabre che propone un complesso di opere realizzate tra il 1997 e il 2013, e affiancate per la prima volta a comporre un unicum narrativo incentrato sul romanzo cavalleresco, uno dei temi cardine dell’intera produzione dell’artista. Il film Lancelot (2004) interpretato dallo stesso Fabre, evoca la battaglia dell’eroe contro sé stesso e costituisce la trama narrativa di questa saga fiamminga, il cui ideale si concretizza nel Salvator Mundi, in cui l’armatura umana e le corazze degli scarabei sono accomunate, rivelando pienamente l’immaginario dell’artista, che fa entrare il proprio corpo nell’opera e lo pone a confronto con quello di altri individui, nel tentativo di metabolizzarli: “Voglio diventare quello di cui vivo diventando quello che voglio modificandomi, liberandomi di sensazioni ed emozioni ormai note, cercando un nuovo corpo”. Milano, Hangar Bicocca

Anselm Kiefer pre al pubblico una nuova

A

Michelangelo Pistoletto, Terzo Paradiso, 2003-2015 courtesy Galleria Continua, San Gimignano

zione per questo evento mira a far interagire l’arte istituzionalizzata con lo spazio pubblico e i suoi utenti. In mostra ci sono tutti gli artisti della Continua, ben quarantanove, Ai Weiwei, Jonathas De Andrade, Kader Attia, Daniel Buren, Cai Guo-Qiang, Loris Cecchini, Chen Zen, Nikhil Chopra, Marcelo Citade, Berlinde De Bruyckere, Leandro Erlich, Carlos Garaicoa, Kendell Geers, Antony Gormley, Gu Dexin, Shilpa Gupta, Subodh Gupta, Mona Hatoum, Ilya & Emilia Kabakov, Zhanna Kadyrova, Kan Xuan, Anish Kapoor,André Komatsu, Jannis Kounellis, Jorge Macchi, Cildo Meireles, Sabrina Mezzaqui, Margherita Morgantin, Moataz Nasr, Hans Op De Beeck, Ornaghi & Prestinari, Giovanni Ozzola, Michelangelo Pistoletto, Qiu Zhijie, Arcangelo Sassolino, Manuela Sedmach, Serse, Kiki Smith, Nedko Solakov, José Antonio Suàrez Londoño, Hiroshi Sugimoto, Sun Yuan & Peng Yu, Pascale Marthine Tayou, Nari Ward, Sophie Whettnall, Sislej Xhafa, José Yaque. La mostra resta visibile fino al 22 novembre.

installazione site-specific di Anselm Kiefer. L’allestimento, a cura di Vicente Todolí, è un ampliamento de I Sette Palazzi Celesti, opera permanente concepita e presentata per HangarBicocca nel 2004 da un progetto di Lia Rumma. Cinque opere pittoriche di grandi dimensioni, prodotte tra il 2009 e il 2013 e ancora inedite (Jaipur, 2009; due opere della serie Cette obscure clarté qui tombe des étoiles, 2011; AlKiefer, I Sette chemie, 2012; Die deutsche Heilslinie, Anselm Palazzi Celesti, 2015, courtesy 2012-2013), formano insieme alle set- Lia Rumma, Napoli/Milano te torri un’installazione unica accolta nello spazio delle Navate, aggiungendo alcune riflessioni centrali nella poetica dell’artista, quali la relazione tra uomo e natura, i riferimenti alla storia del pensiero e della filosofia occidentale. Milano, Fabbrica del Vapore

Milano Scultura ’Ex Locale Cisterne della Fabbrica del Vapore (via Procac-

L

cini 4), restaurato di recente, ospita con il patrocinio del Comune di Milano la prima edizione di Milano Scultura, dal 13 al 15 novembre. Un nuovo spazio espositivo per un nuovo format dal forte taglio curatoriale, che esce dai canoni classici della fiera d’arte, per proporre una vera e propria mostra unitaria, interamente dedicata alla scultura, presentata in tutte le sue possibili declinazioni. Organizzata da Step Art Fair, la fiera prevede la partecipazione di 30 espositori dall’Italia e dal mondo, selezionati da Valerio Dehò, oltre a un progetto speciale curato da un board di docenti di scultura dell’Accademia di Brera quali Roberto Priod, Vittorio Corsini, Gianni Caravaggio, Pietro Coletta, Massimo Pellegrinetti e Roberto Rocchi. SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 5


Ore 10.30

dell’Undicesima Giornata Interverranno: Dario Franceschini, Ministro dei beni Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Gianfranco Maraniello, Presidente A Sala della Crociera, Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte | P Alfredo Pirri, artista, ideatore dell’imm Romano, via del Collegio Romano 27 – Roma

Giornata del Contemporaneo “Passi”, l’immagine creata appositamente dall’artista per la nche quest’anno il 10 ottobre è la Giornata del Con-

Interverranno: Dario Franceschini, Ministro dei beni e delle attività culturali e de Gianfranco Maraniello, Presidente AMACI Giornata del Pirri, Contemporaneo, rappresenta un gesto sempliAlfredo artista, ideatore dell’immagine guida della manifest

A

temporaneo che coinvolge 25 musei AMACI e un mice e allo stesso tempo inquietante: sfidare a piedi nudi una gliaio di realtà espositive in tutta Italia per presensuperficie fredda e (forse) tagliente. Pirri costringe tutti noi tare artisti e nuove idee attraverso mostre, laboratori, eventi spettatoriè lieta a undiatto di fiducia, ci invita adstampa abbandonarci, a e conferenze. Un programma multiforme che2015 di anno in anno Venerdì 9 ottobre AMACI invitare alla conferenza metterci in relazione con qualcosa di cui percepiamo la peripropone al grande pubblico una occasione per vivere da vicino Ore 10.30 dell’Undicesima Giornata del Contemporaneo colosità senza coglierne esattamente la portata. Ci incita ad il complesso e vivace mondo dell’arte contemporanea, poracquisire consapevolezza di un rischio necessariamente da tando la manifestazione organizzata da AMACI a essere condeiufficialmente beni e delle attività culturali e del eturismo correre ad accettarlo come tale, sottolineando la necessità siderata l’appuntamento Ministero annuale che inaugura -per il singolo anchedel perCollegio la società e, in scala la stagione dell’arte in Italia. questa undicesima edizione, SalaPer della Crociera, Biblioteca di Archeologia e Storiaindividuo dell’Arte ma | Palazzo i direttori dei 25 musei associati hanno chiamato realizzare27 – globale, Romano, via del Collegioa Romano Roma per il mondo intero – di metterci costantemente in gioco, con fiducia e abbandono. l’immagine guida Alfredo Pirri, proseguendo il progetto av“Passi, sottolinea l’artista, diventa così la sintesi di un geviato nel 2006 di affidareInterverranno: a un artista italiano di fama internasto distruttivo ma alloe stesso tempo ‘ri-creativo’, finalizzato zionale la creazione dell’immagine guida dellaMinistro manifestazioDario Franceschini, dei beni e delle attività culturali del turismo a rompere per sempre l’immagine che abbiamo di noi e degli ne. Pirri succede a Michelangelo Pistoletto (2006), Maurizio AMACI Gianfranco Maraniello, Presidente altri, guida per riscoprirne o addirittura crearne una differente che Cattelan (2007), Paola PiviAlfredo (2008),Pirri, Luigi artista, Ontani (2009), Stefano ideatore dell’immagine della manifestazione si annida e moltiplica in ogni frammento, anche in quello che Arienti (2010), Giulio Paolini (2011), Francesco Vezzoli (2012), pensavamo perso per sempre e mai ricomposto“. Marzia Migliora (2013) e Adrian Paci (2014).

Venerdì 9 ottobre 2015 Ore 10.30

AMACI è lieta d dell’Undicesima R.S.V.P.

Comunicazi Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Tel. +39 035 Sala della Crociera, Biblioteca di Archeologia e Storia d Cel. +39 34 press@ama Romano, via del Collegio Romano 27 – Roma R.S.V.P. Comunicazione AMACI da Tel. +39Promossa 035 270272 Cel. +39 349 2529989 press@amaci.org

Con i Interverranno: Dario Franceschini, Ministro dei beni e delle attività cult Alfredo Pirri per l’Undicesima Gior R.S.V.P. Gianfranco Maraniello, Presidente AMACI Passi, 2015 – Ph. Giorgio Benni Comunicazione AMACI Tel. +39 035 270272 Alfredo Pirri, artista, ideatore guida della Con il sostegno di Partn Promossa dell’immagine da Cel. +39 349 2529989

press@amaci.org

Con il sostegno di

Promossa da

R.S.V.P. Comunicazione AMACI Tel. +39 035 270272 Cel. +39 349 2529989 press@amaci.org

Promossa da

Con il sostegno di

Partner Sostenitore

Alfredo Pirri per l’Undicesima Giornata del Contemporaneo, Passi, 2015 – Ph. Giorgio Benni

Partner Sostenitore



11a EDIZIONE

ARTVERONA.IT

16/19 OTTOBRE 2015 ART PROJECT FAIR ICONA 2014 / LUIGI PRESICCE ALLEGORIA ASTRATTA DELL’ATELIER DELL’ARTISTA

ORGANIZED BY

WITH THE PATRONAGE OF

MAIN PARTNER

IN COLLABORATION WITH

CO-MARKETING

MEDIA PARTNER

SUPPORTED BY

TECHNICAL SPONSOR


>news istituzioni e gallerie<

ArtVerona 2015 Intervista al Direttore Andrea Bruciati

“Ricerca, acquisizioni, italianità”

campeggio alle porte della città. Un concept ispirato all’associazione MyHomeGallery, net- work votato all’interazione tra creativi, fruitori e collezionisti. Una formula che sta prendendo molto piede su modello di esperienze anglosassoni e che viene presentata per la prima volta a Verona. Il panorama della fiera comprende anche la partecipazione di sedici spazi italiani indipendenti, di diciotto case editrici e di servizi per l’arte. Sono un sognatore e un idealista, uno storico dell’arte, che crede alla collaborazione virtuosa tra pubblico e privato e, soprattutto, alla costruzione di progetti. Affinarli e approfondirli è una sfida appassionante». A sostenere le ambizioni del direttore creativo sono i dati: 10 per cento in più di gallerie rispetto al 2014 (115 in tutto), con un chiaro incremento della qualità grazie alla partecipazione di autori di sicuro richiamo per il collezionismo più esigente, anche internazionale, cresciuto del 30 per cento già nell’edizione passata. Un successo incoraggiante che premia la capacità di una visione lungimirante, articolata e di vasto respiro. (a cura di Micaela Zucconi)

Q

ueste le parole d’ordine della nuova edizione di ArtVerona. La fiera riconferma anche quest’anno il suo ruolo dinamico e ad ampio spettro, votato una volta di più a individuare proposte e meccanismi virtuosi a sostegno dell’arte italiana. L’undicesima edizione di ArtVerona/Artproject, grazie ad un percorso di ricerca e sperimentazione avviato negli anni scorsi, ha raggiunto un consolidamento con segnali positivi con un incremento delle presenze e proposte in fiera ed in città e con l’internazionalizzazione del progetto attraverso una serie di azioni – format, incontri, concorsi, fondi – e con un’attenzione particolare rivolta alle gallerie, musei collezionisti ed artisti. Abbiamo chiesto al direttore artistico Andrea Bruciati di precisare la sua visione, con i risultati raggiunti e le ambizioni per il futuro. - L’importante consolidamento istituzionale con Veronafiere, la conferma del Fondo Acquisizione di 100 mila euro e la nascita del Fondo Privato Acquisizioni per l’Arte Italiana sostenuto da un pool di imprenditori e collezionisti con altri 50 mila euro, consentono di promuovere una sempre maggiore qualità delle proposte all’interno della fiera”. - Cosa ci può dire riguardo ai contenuti? - Puntiamo su innovazione e ricerca, prima di tutto, per dimostrare di essere rilevanti. Abbiamo confermato ed ampliato i format dell’edizione precedente, ma nello stesso tempo ne abbiamo varati di nuovi. Quindi, per esempio, Focus XX, il percorso espositivo dedicato ai Maestri italiani del dopoguerra, nella scorsa edizione dedicato a Enrico Castellani, quest’anno è consacrato a Fausto Melotti. Artes prosegue l’analisi dei diversi medium artistici, occupandosi quest’anno di disegno. King Kong, la sezione votata alla scultura e alle installazioni di grande formato o spettacolari, espone ben 16 progetti, scelti tra gli autori in fiera. La Raw Zone, l’area dedicata al mercato emergente si arricchisce quest’anno di parecchie nuove acquisizioni. Con questa sezione si intende radicalizzare l’obiettivo primario di ArtVerona|Art Project Fair volto alla sperimentazione tout-court, attraverso progetti monografici espressamente realizzati e con un’attenzione verso realtà italiane dinamiche anche al di fuori dei confini nazionali. New entry sono invece “Display e atupertu”. Nella prima, una commissione presieduta da Patrizia Moroso, dell’omonima azienda di design, già da anni sponsor tecnico, premierà i due migliori allestimenti, scelti uno nel padiglione contemporaneo e l’altro nel moderno. Nella seconda, negli stand delle gallerie si succederanno una serie di inediti appuntamenti con artisti. La sezione più visionaria, sviluppata in città, in diverse location, è però quella dedicata all’immaginifico Emilio Salgari, scrittore di romanzi d’avventura ambientati in luoghi esotici, mai da lui visitati nella realtà. Una scelta che sembra straniante rispetto al mondo dell’arte contemporanea, ma che al contrario propone la figura di Salgari come elemento d’ispirazione che stimola una ricerca artistica con una prospettiva contemporanea. L’idea del viaggio senza partire riporta all’immaginario e alla virtualità dell’artista contemporaneo. Così, per esempio, nell’esposizione “La Regina dei Caraibi”, ho voluto riannodare i fili di diversi modi di intendere. In una evoluzione di soggetti e concetti, dal tema del viaggio alla figura femminile. - Come può una fiera complessa e articolata come ArtVerona durare solo l’arco di quattro giorni? - Infatti non può e non deve. Grazie a Verona Fiere e alla Fondazione Domus e ai Fondi Acquisizioni, le opere avranno una visibilità anche durante il resto dell’anno: al Museo di Arte Moderna di Verona e in varie altre realtà museali, come il Mart. Viene inoltre proposta “A Public Conversation / Vis–àrt–vis”, una serie di mostre, residenze d’artista e talk, che vede impegnati in un lavoro collettivo dei giovani artisti, ospitati in un

Vito Acconci, Will, 1971 Courtesy Galleria Michela Rizzo Alighiero Boetti, Shaman Showman, 1968 Courtesy Ca’ di Fra’.

Vanessa Beecroft, VB8 Long Island City PS1 Contemporary Art Center, 1994 Fausto Melotti, I testimoni velati, 1977

EVENTI IN FIERA

> FOCUS XX | Fausto Melotti: FABER Secondo appuntamento per il format Focus XX teso alla rilettura dei Maestri dell’arte del dopoguerra italiano che, dopo aver reso omaggio nel 2014 ad Enrico Castellani, ora volge l’attenzione alla produzione fabbrile, intima e preziosa di Fausto Melotti. > ARTES | Some Velvet Drawings Nuova tappa del progetto di ricerca, divulgazione, partecipazione sulle tecniche artistiche, che dopo aver indagato nel 2014 la pittura, quest’anno affida ad Eva Comuzzi un focus sul disegno inteso come linguaggio e display innovativo di ricerca. 10 opere su carta di Maestri - quali Alighiero Boetti, Giulio Paolini, Giuseppe Capogrossi, Mark Tobey, Mario Schifano, Giorgio Griffa – sono posti in dialogo ideale con un corpus crescente di disegni di 50 artisti selezionati attraverso un bando aperto con la media partnership di Espoarte. > SPAZI INDIPENDENTI ITALIANI Format a cura di Cristiano Seganfreddo che per la 6a edizione pone La Qualità come tema su cui declinare le diverse proposte degli spazi no profit italiani – collettivi, associazioni, realtà non istituzionali – ospitati gratuitamente in fiera. Affidata la selezione a 16 progettualità, si conferma un doppio riconoscimento grazie al supporto di Amia e Artribune, storico media partner della sezione. > LEVEL 0 Progetto che trova in ArtVerona e nella collaborazione di alcuni direttori di musei e istituzioni d’arte contemporanea italiani - come Castel Sant’Elmo di Napoli, MAGA di Gallarate, MAN di Nuoro, Mart di Rovereto, MAXXI di Roma, Merano Arte di Merano, Museion di Bolzano, Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno, Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce di Genova e Museo Marino Marini di Firenze – una occasione di supporto e visibilità per gli artisti in fiera, andando ad individuare ciascuno un giovane artista e impegnandosi a promuoverlo all’interno della propria struttura con un talk, una presentazione, una mostra. > ICONA | 10a EDIZIONE Concorso che vede acquisire l’opera che - secondo una CommisSETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 9


>news istituzioni e gallerie< sione presieduta da Gianfranco Maraniello, direttore del Mart di Trento e Rovereto - meglio andrà a rappresentare la manifestazione, diventerà la sua immagine di campagna per il 2016 ed entrerà in deposito nelle Collezioni del Museo. > Fondo Acquisizioni Fondazione Domus Per l’arte emergente, 100.000 mila euro sono destinati dalla Fondazione Domus per l’arte moderna e contemporanea, main partner della manifestazione, all’acquisto di artisti emergenti, che andranno ad implementare le Collezioni cittadine. > Fondo Privato Acquisizioni per l’arte italiana Sono disponibili 50.000 mila euro di partenza per lanciare un fondo acquisizioni privato nato per iniziativa del Comitato d’Indirizzo di ArtVerona che vede coinvolti collezionisti e imprenditori in un piano quinquennale a sostegno degli artisti italiani con l’acquisto di opere che entreranno in deposito nelle Collezioni dei principali musei d’arte contemporanea italiani. > Display Sono duemila euro il valore del bonus all’iscrizione ad ArtVerona 2016 riservato a due gallerie selezionate da una Commissione per i migliori progetti allestivi di questa edizione. Un riconoscimento agli espositori che hanno inteso rappresentare con cura e pensiero la creatività dei propri artisti secondo una precisa progettualità anche di allestimento. > ArtVeronaTalk È un programma di incontri, presentazioni, dibattiti con i diversi

verona

Tamara de lempicka

L

e sale del Piano Nobile di Palazzo Forti, sede di AMO Arena Museo Opera, ospitano la grande mostra monografica dedicata a Tamara de Lempicka. Attraverso 200 opere, ripercorriamo un’avventura artistica che si estrinseca tra olii, disegni, fotografie, acquerelli, video e abiti. Il percorso espositivo segue un ordine prettamente cronologico, partendo dalle opere parigine degli anni ‘20 per giungere alla produzione degli anni ’50 e, per meglio analizzare la figura di donna-artista o i rapporti tra la sua arte e altri linguaggi come la fotografia e la moda, comprende sette sezioni tematiche: I mondi di Tamara de Lempicka, Madame la Baroness, Modern medievalist, The Artist’s Daughter, Sacre visioni, Le visioni amorose, Scandalosa Tamara, Dandy déco. In anteprima mondiale, infine, l’opera di Tamara è letta attraverso la musica: in ogni sala echeggiano brani e musiche dei tempi e dei luoghi di Tamara. Fino al 31 gennaio 2016. Tamara de Lempicka, Ritratto di Madame Perrot, 1931 - 1932. Olio su tavola, courtesy Tamara Art Heritage. MMI NYC/ ADAGP Paris/ SIAE Roma 2015

10 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

attori del sistema dell’arte. A cura di Adriana Polveroni, direttrice di Exibart, quest’anno vede la presenza, in linea con il fil rouge sull’italianità che connota l’edizione, di alcuni nostri connazionali attivi nel sistema dell’arte internazionale, impegnati con un incarico in altri Paesi. > atupertu Nuovo format che dà la possibilità al pubblico di incontrare vis à vis gli artisti italiani protagonisti in fiera nelle loro rispettive gallerie. Ogni 30 minuti un appuntamento caratterizza lo stand. > Raw Zone Area aperta a 12 gallerie che si presentano con progetti curatoriali inediti, espressamente dedicati alla ricerca e all’innovazione e con uno sguardo puntato al mercato più giovane. > King Kong Format rivisitato da Andrea Bruciati per una diversa idea di monumento e di installazione. 16 progetti selezionati tra gli autori rappresentati in fiera, immaginando all’ingresso dei padiglioni un’area bipolare che si offre, come un polmone versatile, quale manifesto di libertà ideativa per uno spazio introduttivo importante e insieme partecipato. > Design Welcome Campagna di raccolta fondi, lanciata in collaborazione con la piattaforma di crowdfunding DeRev, per sostenere nel 2016 la realizzazione del progetto di arredo urbano Beyond Art Pavilion di Claudia Suarezahedo, giovane architetta messicana che nel 2014 ha vinto il contest internazionale Design Welcome indetto in collaborazione con Desall. Un’architettura nata per accompagnare i visitatori nei padiglioni e riletta da Reverse in chiave ecosostenibile. > Art Rounds Contest internazionale per artisti lanciato in collaborazione con Celeste Network e l’Università degli Studi di Verona per individuare i progetti e raccogliere i fondi volti alla realizzazione di due opere che andranno a contaminare gli spazi universitari. > ArtVeronaYoung Particolare sezione dedicata all’avvicinamento all’arte contemporanea da parte dei più giovani, con laboratori per bambini dai 4 ai 12 anni, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Verona.

EVENTI IN CITTÀ

Su indicazione del direttore artistico Andrea Bruciati, gli eventi in città quest’anno fanno riferimento a un’unica piattaforma tematica, andando ad approfondire l’attualità di Emilio Salgari (1862 – 1911), romanziere che prefigurò mondi possibili, storie di terre lontane, che hanno ispirato splendide rappresentazioni visive, esotismi dimenticati per noi viaggiatori virtuali di un immaginario in perenne e veloce trasformazione. ArtVerona ha affidato al Centro di ricerca ORFEO – suono immagine scrittura, che fa capo al Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia dell’Università degli Studi di Verona, uno sguardo altro, un taglio interpretativo differente dell’intera operazione. > Le meraviglie del 2000 | Opere dalla Collezione Stellatelli. Museo di Castelvecchio, a cura di Beatrice Benedetti e Paola Marini in collaborazione con la Direzione Musei d’Arte e Monumenti Comune di Verona. Come da romanzo, un balzo spazio–temporale che permette di vedere accostate 18 opere di artisti provenienti da terre lontane - quali India, Cina e Pakistan - della Collezione «Arte 2000» di Antonio Stellatelli con altrettante opere del percorso espositivo del Museo scaligero, tra dipinti e sculture dal Trecento al Seicento, secondo assonanze nuove, fino ad ora inesplorate. > Il tesoro misterioso | Herbert Hamak Museo Lapidario Maffeiano, a cura di Hélène de Franchis e Paola Marini in collaborazione con la Direzione Musei d’Arte e Monumenti Comune di Verona Nel più antico museo lapidario d’Europa Herbert Hamak dialoga sulla scia della suggestione salgariana con i tesori, “nascosti” e non, dello straordinario Museo settecentesco. Le sue opere in resina, custodi di piccoli manufatti e di pigmenti colorati, si alterneranno ai preziosi reperti conservati nelle sale museali, mentre nel giardino alcuni elementi evocheranno il tracciato dell’antica cinta muraria, parzialmente, nascosta. > La regina dei Caraibi | PhotoArtVerona Opere dalla Collezione Milesi. Arena Museo Opera. In collaborazione con il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri e Fondazione Arena. 43 scatti di 12 artiste di riconosciuta fama internazionale provenienti dalla Collezione Milesi per la prima volta presentata al grande pubblico, con un approccio che omaggia il femminile in un’accezione dicotomica rispetto alla descrizione romantico lussureggiante della trama salgariana. A cura di Andrea Bruciati. > La giraffa bianca | VideoArtVerona Protomoteca della Biblioteca Civica e Accademia di Belle Arti . A cura di Elisa Fantin. La rassegna, volta dal 2008 ad implementare l’Archivio Regionale di Videoarte del Veneto, propone una decina di video di artisti internazionali provenienti dall’Archivio EVR- eflux video rental.


ACCARDI ALVIANI ASDRUBALI BONALUMI CACCIOLA CASTELLANI CHIGGIO DORAZIO JORI LANDI

MAINOLFI MONDINO NUNZIO PEZZI PIETROSANTI PINELLI STEIN VOLPI ZAPPETTINI ZAZZERA

SANTO FICARA

ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA FIRENZE

VIA GHIBELLINA, 164r - 50122 FIRENZE TELEFONO 055.2340239 - FAX 055.2269190 www.santoficara.it e-mail: info@santoficara.it


Antonella Zazzera Sculture

A cura di Marco Meneguzzo

7 Novembre - 7 Dicembre 2015

Antonella Zazzera, Armonico, 2012/13

SANTO FICARA

ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA FIRENZE VIA GHIBELLINA, 164r - 50122 FIRENZE TELEFONO 055.2340239 - FAX 055.2269190 www.santoficara.it e-mail: info@santoficara.it


LIGHT STRONGER THAN VIOLENCE 2015

MANUELA BEDESCHI Mantova – Galleria Disegno Vienna – Egger Roseneder Contemporary Roma – Pio Monti manuelabedeschi@alice.it

www.bedeschimanuela.com


>news istituzioni e gallerie<

Il Festival Artecinema, curato da Laura Trisorio, festeggia quest’anno la sua 20ª edizione: da giovedì 15 ottobre al Teatro San Carlo di Napoli e nei giorni 16 - 17 - 18 ottobre al Teatro Augusteo. Presentata una selezione di documentari sui maggiori artisti, architetti e fotografi degli ultimi cinquant’anni, suddivisi nelle sezioni Arte e Dintorni, Architettura, Fotografia. I filmati raccontano la storia degli artisti - biografie filmate, interviste, narrazioni montate con materiali d’archivio - e sono stati ricercati direttamente presso i registi e i produttori in tutto il mondo. Le proiezioni, per la maggior parte in prima nazionale, sono in lingua originale con traduzione simultanea in cuffia e sono intervallate da incontri e dibattiti con i registi, gli artisti e i produttori. In programma, tra gli altri, documentari su: Bill Viola, Jan Fabre, Jeff Koons, Marc Quinn, Tracey Emin e Louise Bourgeois, Marc Chagall, Niki de Saint Phalle, Man Ray, Francesco Arena, Zilda, Per Kirkeby, James Turrell, Tadashi Kawamata, Richard Hamilton e Marcel Duchamp, Tania Bruguera, Ai Weiwei e la sua grande retrospettiva Evidence inaugurata a Berlino nell’aprile 2014, su Étienne-Jules Marey e le sue ricerche sulla rappresentazione del movimento; sull’arte dei graffiti come strumento di contestazione durante la primavera araba; sull’incredibile storia di Jacques Jaujard, il direttore del Louvre che durante la Seconda Guerra mondiale riuscì a nascondere le opere del museo prima dell’avvento di Hitler e a impedire così che un immenso patrimonio fosse trafugato; sulla partecipazione degli architetti Zaha Hadid, Jean Nouvel, Frank Gehry, Dominique Perrault e Norman Foster al concorso per la progettazione del Museo Nazionale di Andorra; sugli architetti donne Annabelle Selldorf, Farshid Moussavi, Odile Decq, Marianne McKenna e Kathryn Gustafson che hanno realizzato in ambiti progettuali diversi alcune delle più significative architetture contemporanee in varie parti del mondo; sulla fotografa Dorothea Lange, sulla fonderia d’arte di San Gallo che traduce in materia preziosa le idee dei più noti artisti internazionali come Urs Fischer, Katharina Fritsch, Fischli&Weiss, Paul McCarthy e Hans Josephsohn. Il programma propone anche proiezioni per i detenuti della casa circondariale di Secondigliano; proiezioni mattutine per le scolaresche in collaborazione con l’Institut français Napoli: incontri con i registi tedeschi presso il Goethe Institut; workshop con i registi presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Catalogo italiano/inglese con testi critici, schede dei film e note biografiche dei registi.

PROGRAMMA E SINOSSI DEI FILM ART WAR Regia di Marco Wilms, Germania, 2014, 90’, arabo, inglese, tedesco Art War è la storia di giovani artisti egiziani che esprimono la propria ribellione attraverso i graffiti e la musica alternativa. Il film li segue nel corso di due anni e mezzo di anarchia post-rivoluzionaria, dalla Primavera Araba del 2011, fino alla caduta della Fratellanza Musulmana nel 2013 e descrive il proliferare della creatività in seguito alla caduta di Mubarak, mostrando in che modo l’arte possa diventare un’arma rivoluzionaria. IMAGINE… JEFF KOONS - DIARY OF A SEDUCER Regia di Jill Nicholls, Gran Bretagna, 2015, 74’, inglese. Il film ci conduce nel mondo di uno degli artisti più noti e controversi del nostro tempo. Ispirata al consumismo, l’arte di Jeff Koons mira a superare il confine tra la cultura d’élite e quella di massa. L’artista riprende oggetti di uso comune che colloca in teche o ingigantisce oltre misura, elaborando dei ready made nei quali il kitsch assurge a opera d’arte. Nel suo studio un team di oltre 100 assistenti collabora alla realizzazione delle sue opere, utilizzando un’ampia gamma di tecniche e materiali

Making Space, FarshidMoussavi, DeanKaufman. MOCA, Cleveland

MAKING SPACE - FIVE WOMEN CHANGING THE FACE OF ARCHITECTURE Ultan Guilfoyle, Stati Uniti, 2014, 50’, inglese Il documentario è incentrato sulla storia di cinque donne architetto Annabelle Selldorf, Farshid Moussavi, Odile Decq, Marianne Mc Kenna e Kathryn Gustafson – e su alcuni dei loro progetti più significativi realizzati in ambiti diversi: interventi urbani, paesaggistici e di architettura sostenibile. Il film descrive il loro metodo di lavoro e mostra anche come queste donne siano riuscite a eccellere in una professione a lungo dominata da uomini. THE ART THAT HITLER HATED Jill Nicholls, Gran Bretagna, 2014, 75’, inglese Il film esplora la sensazionale scoperta di un tesoro d’arte nascosto da un anziano e solitario signore, Cornelius Gurlitt, nel suo appartamento a Monaco di Baviera: oltre 1400 opere lasciategli dal padre, considerate da Hitler “arte degenerata” e in larga parte sottratte agli ebrei. Questo straordinario ritrovamento getta nuova luce sulla sorte dei numerosi dipinti saccheggiati e pone al centro della scena la questione della loro restituzione. MAN RAY, 2 BIS RUE FÉROU François Lévy-Kuenz, Francia, 1989, 26’, francese 2 bis rue Férou: è a questo indirizzo che nel 1951 Man Ray e Juliet, stabilirono il loro atelier al ritorno dagli Stati Uniti. Un atelier che non avrebbero più lasciato. Il documentario, realizzato all’interno dello studio alla presenza di Juliet Man Ray, è una vera immersione nell’universo dell’artista, spaziando tra le sue opere, i suoi feticci, i suoi oggetti quotidiani. CHAGALL, À LA RUSSIE AUX ÂNES ET AUX AUTRES François Lévy-Kuentz, Francia, 2003, 52’, francese Il documentario segue il singolare percorso di Marc Chagall (18871985) dall’infanzia trascorsa nel cuore della Russia zarista fino all’arrivo a Montparnasse nel 1910; dalla partecipazione alla rivoluzione russa al suo esilio a New York, fino agli ultimi anni a Saint Paul de Vence. Mettendo a confronto la tradizione ebraica nella quale era cresciuto con l’attualità artistica del tempo, Chagall ha sviluppato uno stile profondamente originale, lontano dalle principali correnti artistiche del XX secolo. Attraverso inediti estratti dall’archivio di famiglia e interviste filmate, questa monografia fa luce sulla sua personalità, analizzando più da vicino il percorso di un artista innovatore e a volte controverso. 14 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

Iwan Schumacher, Feuer&Flamme The Art that Hitler Hated, Ronald Lauder & Alan Yentob with Ritratto di Adele Bloch-Bauer


>news istituzioni<

Artecinema 2014. Teatro San Carlo

JAN FABRE. AU-DELÀ DE L’ARTISTE Giulio Boato, Francia, 2014, 52’, francese Jan Fabre, uno dei più versatili artisti della sua generazione, ci apre le porte del suo laboratorio teatrale, Troubleyn, fondato ad Anversa nel 1986, dove realizza spettacoli con la sua compagnia. Artista multidisciplinare, coreografo, scrittore di teatro, direttore di scena e attore, Jan Fabre supera i limiti di ogni linguaggio espressivo. Il film ci aiuta a comprendere i vari aspetti della sua personalità.

Il film ci parla della Fonderia d’arte fondata dal carismatico Felix Lehner a San Gallo, in Svizzera. Artisti illustri quali Urs Fischer, Katharina Fritsch, Fischli & Weiss, Paul McCarthy e Hans Josephsohn lavorano con la fonderia abitualmente, confrontandosi con una squadra di giovani uomini e donne, che con grande passione traduce le loro visioni in sculture, unendo artigianato e arte. Il successo a livello internazionale della fonderia è stato tale che ha dovuto trasferire parte della produzione a Shanghai.

TRACEY EMIN ON LOUISE BOURGEOIS: WOMEN WITHOUT SECRETS Ben Harding, Gran Bretagna, 2013, 30’, inglese Tracey Emin ci accompagna in un viaggio personale alla scoperta dell’opera di Louise Bourgeois. L’autrice dell’enorme ragno in bronzo è stata per Tracey Emin una delle più importanti fonti di ispirazione. Seppur appartenenti a generazioni diverse, le due artiste hanno stretto un forte sodalizio personale e creativo, realizzando a quattro mani una serie di stampe completata qualche mese prima della morte di Louise Bourgeois avvenuta nel 2010, all’età di 98 anni. Guidandoci attraverso le sue opere, esposte alla Scottish National Gallery of Modern Art e alla Fruitmarket Gallery ad Edimurgo, Tracey Emin racconta l’irripetibile esperienza condivisa con la grande artista.

PER KIRKEBY – FOLLOWING NATURE’S TRACES Evelyn Schels, Germania, 2014, 45’, tedesco Il celebre pittore e scultore scandinavo Per Kirkeby apre il suo studio di Copenhagen alla regista Evelyn Schels e ci aiuta a comprendere meglio il suo processo creativo. Il film ci mostra l’artista al lavoro e ci conduce sulla piccola isola danese di Læsø, dove il pittore lavora a grandi dipinti e sculture in bronzo, traendo forza dalla sua condizione di solitudine, immerso nella natura. Per Kirkeby è anche poeta e scrittore e ci parla di quanto sia importante la scrittura per lo sviluppo della sua arte.

FEUER & FLAMME Iwan Schumacher, Svizzera, 2010, 86’, svizzero-tedesco, inglese, cinese

THE COMPETITION Angel Borrego Cubero, Spagna, 2013, 99’, inglese, francese Lunghe notti insonni, cambiamenti all’ultimo momento… The Competition documenta i retroscena che caratterizzano un concorso di architettura: Jean Nouvel, Frank Gehry, Dominique Perrault, Zaha Hadid e Norman Foster competono per la progettazione del futuro Museo

Jan Fabre, Au-delà de l’artiste

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 15


>news istituzioni e gallerie<

The Competition ©Angel Borrego Cubero

Nazionale d’Arte di Andorra. Il documentario mostra come anche i più noti architetti del mondo non siano immuni dall’ansia, come elaborino strategie e lottino per battere la concorrenza. FRANCESCO ARENA – POSATOI Domenico Palma, Stati Uniti, 2014, 17’, inglese Il film documenta l’ideazione e la creazione di Posatoi, un lavoro di Francesco Arena commissionato nel 2014 da Nancy Olnik e Giorgio Spanu per la loro residenza di Garrison, poco distante da New York. L’opera site specific è composta da cinque totem in bronzo, ciascuno dei quali rappresenta un membro della famiglia. L’altezza di ogni totem corrisponde alla distanza da terra al livello degli occhi e la larghezza alla distanza degli occhi tra di loro. Posatoi è un “ritratto di famiglia”, a metà strada tra astratto e concreto: pur non rappresentando realisticamente i tratti fisici dei diversi componenti della famiglia, ne suggerisce i rispettivi punti di vista. JAMES TURRELL: SECOND MEETING - ART21 David Howe, Stati Uniti, 2013, 5’, inglese In questo filmato, girato agli inizi del 2013, James Turrell rivisita la sua installazione Second Meeting, realizzata nel 1989 presso l’abitazione di una coppia collezionisti a Los Angeles. Nel film, Turrell descrive ciò che inizialmente lo ha spinto a “scolpire la luce” e come i suoi skyspaces allarghino le nostre percezioni visive coinvolgendo l’occhio, il corpo e la mente. TANIA BRUGUERA: THE FRANCIS EFFECT - ART21 Ian Forster, Stati Uniti, 2014, 7’, inglese Con la performance The Francis Effect, realizzata nel 2014, l’artista cubana Tania Bruguera riflette sul rapido cambiamento della chiesa cattolica sotto la guida e la visione di Papa Francesco. Per quindici settimane, all’esterno del Guggenheim di New York, l’artista ha chiesto ai passanti di firmare una petizione al Papa in cui si richiedeva la cittadinanza della Città del Vaticano per gli immigrati privi di documenti. “La maggior parte della gente sa che è impossibile”, dice Bruguera. Eppure l’artista crede Marc Quinn e una delle sue famose sculture tatuate Jean-Pierre Devillers, Pierre Pochart, The man who saved the Louvre

16 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


>news istituzioni<

Per Kirkeby

Niki De Saint Phalle, Queen Califia, profil PM© ideale audience

fermamente che “l’impossibile sia tale solo fino a quando qualcuno non lo renda possibile” e con il suo impegno dimostra come l’arte possa influenzare l’azione politica. BILL VIOLA, EXPÉRIENCE DE L’INFINI Jean-Paul Fargier, Francia, 2013, 54’, francese, inglese Sette critici analizzano l’opera di Bill Viola, pioniere della videoarte e ci aiutano a comprendere il percorso spirituale, le ricerche artistiche e le sperimentazioni tecnologiche di questo artista definito uno “scultore del tempo”. Il regista Jean-Paul Fargier intervista Bill Viola presso il suo studio di Los Angeles sui temi più significativi della sua arte: la vita, la morte, la trascendenza, il tempo, lo spazio, la ripetizione, la musica, il silenzio. Il film è illustrato da numerosi estratti dei suoi video. ILLUSTRE ET INCONNU: COMMENT JACQUES JAUJARD A SAUVÉ LE LOUVRE Jean-Pierre Devillers, Pierre Pochart, Francia, 2014, 60’, inglese, francese All’alba della seconda guerra mondiale, un gruppo di resistenza organizza l’immediato trasferimento di oltre 4000 capolavori del Museo del Louvre in luoghi segreti della Francia per salvarli dalle mani dei Nazisti. Il protagonista dell’operazione è Jacques Jaujard, direttore del museo. Personalità straordinaria e grande appassionato d’arte, Jaujard fece uso della sua conoscenza del sistema e della sua audacia per salvare uno dei maggiori patrimoni artistici mondiali. Il film parla di questo importante capitolo della storia, combinando interviste e rari filmati d’epoca che si alternano dinamicamente a sequenze animate. MARC QUINN – MAKING WAVES Gerry Fox, Gran Bretagna, 2014, 83’, inglese Il documentario segue Marc Quinn, uno degli Young British Artists di maggior successo, nel corso di un intero anno, durante il quale l’artista crea ed espone nuovi lavori nelle gallerie e in istituzioni pubbliche in diverse parti del mondo. Il film rivela le problematiche di un artista di successo nel dinamico ma spietato mondo dell’arte contemporanea e osserva da vicino l’intero processo creativo delle sue opere, dall’ideazione alla produzione finale. Mostra inoltre l’enorme scultura gonfiabile di Alison Lapper Pregnant che ha dominato lo scenario veneziano, generando non poche polemiche durante la Biennale del 2013. Il film è arricchito da testimonianze di personalità come Ai Weiwei, Elton John e Lionel Ritchie. DOROTHEA LANGE: GRAB A HUNK OF LIGHTNING Dyanna Taylor, Stati Uniti, 2014, 110’, inglese Il film esplora, attraverso gli occhi della nipote Dyanna Taylor, la storia di Dorothea Lange, la fotografa che ha catturato l’immagine Migrant Mother, poi diventata un’icona della storia della fotografia. Scatti inediti, interviste, ricordi di famiglia, ci svelano la personalità creativa di quest’artista che ha sfidato l’America a conoscere se stessa. Le immagini immortali di Dorothea Lange documentano cinque decenni turbolenti della storia americana, passando per la Grande Depressione, le tempeste di sabbia e i campi di internamento della Seconda Guerra Mondiale. KAWAMATA – SCHEITERTURM Gilles Coudert, Francia, 2014, 34’, svizzero-tedesco, tedesco, inglese, francese L’artista giapponese Tadashi Kawamata, invitato dal Museo d’arte Thurgau situato nel cuore dell’antica Certosa di Ittingen, in Svizzera, ha realizzato con l’aiuto di studenti e persone con difficoltà psichiche, una torre di nove metri d’altezza impiegando migliaia di pezzi di legna da ardere provenienti dalla foresta che circonda il monastero. L’edificazione della torre è al tempo stesso una prodezza di stabilità e una forte esperienza estetica. Il film restituisce quest’avventura attraverso le reazioni dei visitatori e le testimonianze degli abitanti, degli studenti e degli organizzatori. RICHARD HAMILTON, DANS LE REFLET DE MARCEL DUCHAMP Pascal Goblot, Francia, 2014, 53’, inglese Richard Hamilton, padre della Pop Art inglese, dedicò parte della sua vita al lavoro di un altro importante artista, Marcel Duchamp, l’inventore del ready made. Un enigmatico lavoro, forse una delle opere più complesse della storia dell’arte del XX secolo, è al centro del suo interesse: La mariée mise à nu par ses célibataires, même di Marcel Duchamp, conosciuto anche come Il Grande Vetro. Richard Hamilton ha esaminato ogni dettaglio di quest’opera, esplorandone i vari livelli di comprensione. Basato su interviste inedite e testimonianze dello stesso Duchamp, il film ricostruisce il rapporto eccezionale tra due figure emblematiche della storia dell’arte.

Dorothea Lange 1936 by Paul S.Taylor Copyright the Dorothea Lange Collection, the Oakland Museum of California, City of Oakland. Gift of Paul S. Taylor, Acession No. 34102.2

NIKI DE SAINT PHALLE, UN RÊVE D’ARCHITECTE Anne Julien, Louise Faure, Francia, 2014, 52’, francese, inglese Realizzato in occasione della grande esposizione dedicata a Niki de Saint Phalle al Grand Palais di Parigi nel settembre 2014, il film ci descrive un aspetto poco conosciuto del suo lavoro: l’amore per l’architettura che sta alla base delle sue opere e che si concretizza nelle sculture monumentali realizzate in giro per il mondo per “rallegrare il cuore e gli occhi e fare felici le persone”. La voce narrante della stessa Niki accompagna materiali d’archivio inediti. AI WEIWEI – EVIDENCE Grit Lederer, Germania, 2014, 52’, inglese Nonostante la condanna agli arresti domiciliari e la sorveglianza costante del regime cinese, Ai Weiwei ha continuato a preparare mostre per i musei e i centri d’arte di tutto il mondo, come la grande personale del 2014 al Martin-Gropius Bau di Berlino. La regista segue la visita del direttore del museo Gereon Sievernich a Pechino per discutere e mettere a punto la scelta delle opere. Girato nell’abitazione e nello studio dell’artista e a Berlino durante l’allestimento della mostra, il film si sofferma tra l’altro su Stools, la spettacolare installazione formata da oltre 6.000 sgabelli di legno comunemente usati nelle campagne della Cina. ETIENNE - JULES MAREY. LA SCIENCE AU RÉVEIL DES ARTS Julia Blagny, Anne Bramard-Blagny, Josette Ueberschlag, Francia, 2014, 46’, francese, italiano Oltre un secolo fa Étienne-Jules Marey ha contribuito alla nascita del cinema attraverso le sue ricerche, sia scientifiche che artistiche. Il documentario ci mostra la personalità di un uomo straordinario: medico, ingegnere, artista ma soprattutto visionario. Marey era affascinato dallo studio del movimento: a lui si deve una delle prime riprese cronofotografiche di un’onda nel golfo di Napoli, città dove Marey visse per oltre vent’anni, collaborando con la Stazione Zoologica diretta da Anton Dohrn. Žilda A NAPLES Colin Torre & Žilda, Francia, 2014, 42’, francese Poche persone lo hanno incontrato per le strade di Napoli, incappucciato e con la maschera di Pulcinella. Tuttavia i napoletani conoscono bene gli interventi effimeri di questo street artist francese disegnati col pennello, a olio o ad acrilico sui muri della loro città: personaggi alati, miti decaduti, strane creature simili a personaggi biblici, donne dai capelli rossi che sembrano uscite da un poema di Baudelaire… Chi è Žilda? Cosa spinge questo misterioso artista a eseguire le sue opere nei luoghi più insoliti della città? La cinepresa segue da vicino l’artista conducendoci nella sua realtà creativa, nella sua visione singolare di arte urbana, nella sua passione per Napoli. n SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 17


>news istituzioni e gallerie<

Gianni Berengo Gardin, da sinistra a destra: l’industriale Alberto Alessi, i designer Achille Castiglioni, Enzo Mari, Aldo Rossi, Alessandro Mendini, Milano 1989. © Gianni Berengo Gardin/Contrasto

Bologna, Fondazione Mast

BIENNALE FOTO INDUSTRIA

n concetto strettamente legato all’idea di industria, come quello di produzione, diventa quest’anno il tema portante U delle 14 mostre allestite a Bologna in occasione di “Foto Industria

2015” promossa dalla Fondazione MAST, con la direzione artistica di François Hébel e la curatela di Urs Stahel. Oggetto della rassegna è la fotografia industriale, esaminata sia in riferimento ai suoi aspetti storici che alle ricerche attuali mediante un criterio volto a disegnare specifiche aree tematiche. I 14 eventi, che a partire dalla Manifattura delle Arti vedono coinvolte le maggiori istituzioni culturali bolognesi, presentano il lavoro di numerose figure variamente attive all’interno del contesto osservato. Tra esse diversi soggetti che hanno tracciato la storia della fotografia nel periodo vicino agli esordi di questo mezzo espressivo, professionisti esperti in campi differenti e allo stesso tempo autori di opere fotografiche oppure giovani generazioni di artisti che operano utilizzando questo mezzo espressivo. Nello sviluppo del tema principale la figura dell’uomo risulta protagonista nella riflessione sui processi produttivi, ad essa viene attribuito il merito della loro ideazione oppure, il riconoscimento alla loro partecipazione nell’ambito di un’economia globalizzata ai cui effetti è difficile sottrarsi. È così che, in un diramarsi di spunti di riflessione il tema della produzione inevitabilmente investe quello del lavoro, considerato nel suo aspetto creativo ma anche in quello relativo alla fatica che comporta. È in relazione ad esso che vengono descritti

Luca Campigotto, Arsenale di Venezia, 2000 © Luca Campigotto Edward Burtynsky, Acciaieria Baosteel n. 2, Shanghai, Cina, 2005 © Edward Burtynsky, courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto / Howard Greenberg Gallery and Bryce Wolkowitz Gallery, New York

18 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

e documentati metodi produttivi legati ad attività preindustriali, raccontati gli ambienti della fabbrica oppure le attività professionali che caratterizzano specifiche comunità umane. Tra gli argomenti di riflessione vi è l’allusione al rapporto tra modello sociale e modello produttivo denunciando l’inadeguatezza di quest’ultimo rispetto al primo, attraverso la segnalazione del lavoro invisibile come quello domestico o riproduttivo. Le modalità di ripresa del mondo reale si collegano a generi formali classici o storici dell’evoluzione della fotografia come il ritratto: motivo largamente esplorato dalle sue origini fino ai nostri gi0rni. Altri riferimenti alle modalità espressive rimandano alla foto come documento sociale, come nell’esempio che vede rappresentata la classe operaia: genere ricorrente tra fine Ottocento e gli inizi del secolo scorso. Un terzo esempio richiama modelli e prassi del reportage giornalistico utilizzato dalle generazioni di artisti più giovani. Le ricerche artistiche più recenti danno risalto a questioni che coinvolgono la politica e l’ambiente come quelle riguardanti la produzione di energia e il reperimento delle materie prime, assieme ai concetti di crescita, sviluppo e sviluppo sostenibile. Un’interpretazione positiva del tema proposto dalla rassegna fa riferimento all’idea che vede unite creatività e attività umana. Ciò appare manifesto nella presentazione di opere storiche che documentano il legame tra fotografia e produzione industriale. In questo caso il pubblico è proiettato nel clima europeo durante il primo scorcio dell’ultimo secolo, nei momenti in cui il nostro continente conosce una forte espansione industriale. Di questo periodo, vengono ricordati l’affermarsi del design moderno, le prime forme di marketing e pubblicità dove la fotografia assume un ruolo preciso, spesso determinante. L’interesse per la ricerca estetica da parte delle industrie in questo contesto sancisce il connubio tra fare artistico e produzione in serie. L’attenzione a società e mercato da parte delle imprese, inoltre, unita alla fiducia nella possibilità di miglioramento del mondo circostante permette la creazione di realtà dove l’industria supporta la ricerca scientifica, tecnologica e interventi in ambito pubblico. Particolare significato assume all’interno della rassegna l’inserimento di opere realizzate o utilizzate da autori lontani dalla professione artistica. Ciò rimanda alla popolarità del mezzo fotografico in grado fin dalla sua comparsa di rendere pressoché immediata la rappresentazione del reale, capace inoltre di rendere agevole la sua diffusione perché riproducibile. L’aspetto che attribuisce maggiore fascino a questa scelta tuttavia è quello che vede i metodi propri della ricerca visiva utilizzati in differenti ambiti dell’attività umana accostando in modo suggestivo dimensione artistica e vita quotidiana. Francesca Cammarata

David LaChapelle, Land Scape, Castle Rock, 2013 © David LaChapelle, Courtesy Galerie Daniel Templon Paris/ Brussels Léon Gimpel, Luminarie delle Galeries Lafayette, Parigi, 1 dicembre 1933 Courtesy of the Collection Société française de photographie (SFP)


>news istituzioni< basilea

In Search of 0,10 / Black Sun

La mostra In Search of 0,10 - The last Futurist Exhibition of Painting, alla Fondation Beyeler fino al 10 gennaio, celebra un momento chiave dell’arte novecentesca, quello in cui esattamente un secolo fa, nel 1915, 7 artisti e 7 artiste della scena avanguardistica russa si unirono per presentare il loro lavoro a Pietrogrado (oggi San Pietroburgo). Quella esposizione rivoluzionaria contribuì a segnare il declino di Cubismo e Futurismo, decretando l’avvento del Suprematismo e del Costruttivismo. Delle 154 opere esposte, di artisti quali Malevic, Chagall, Kandinskji, Larionov e Tatlin, solo un terzo è sopravvissuto, insieme a due foto dell’allestimento, qualche locandina e poche copie del catalogo (privo di illustrazioni), è stato quindi molto complicato dare vita alla prima ricostruzione critica di quell’evento. Parallelamente, la fondazione propone Black Sun, esposizione dei lavori di 36 artisti attuali che, attraverso i media più disparati, rendono omaggio al lavoro di Malevic e Tatlin riflettendo sull’enorme influenza che la loro ricerca ha prodotto fino ai nostri giorni. Gli artisti: Albers, Andre, Calder, Eliasson, Flavin, Fontana, Förg, Gonzalez-Torres, Guyton, Hirst, Holzer, Judd, Ilya ed Emilia Kabakov, Kandinsky, Kawara, Kelly, Klein, LeWitt, Martin, Mondrian, Monk, Newman, Palermo, Parreno, Polke, Reinhardt, Richter, Rothko, Ryman, R. Serra, S. Sierra, T. Smith, Tinguely, Trockel, Warhol, Weiner.

firenze

Betty Woodman

Al Museo Marino Marini, Betty Woodman ha costruito la sua cifra distintiva sullo studio dell’oggetto vaso, diventato in oltre 45 anni di carriera fonte d’ispirazione quotidiana. Nelle sue mani un vaso può prendere le forme di corpi umani Betty Woodman, Of Botticelli, e figure animali, di cuscini o 2013, courtesy Museo Marino di fiori, confrontarsi con una Marini, Firenze cronologia di culture diverse, dalla Grecia alla Cina passando per riferimenti alla trazione azteca, etrusca, romana fino al Rinascimento italiano, o proiettare ombre di architetture classiche su oggetti illuminati dalla luce del Pop europeo. Nella costante ricerca di decostruzione e costruzione della forma, la Woodman ha creato un rigoglioso corpo di sculture in ceramica, che rappresentano al contempo il frutto d’influenze e tradizioni diverse assorbite nel contatto con culture altre. Reinventando il senso del modellato della ceramica, l’artista americana ha valicato i confini delle arti decorative sino a insinuarsi con forza nell’ambito della pittura, la cui commistione è palesata dall’integrazione di tele a elementi tridimensionali. Le sue creazioni si confrontano direttamente con l’opera scultorea di Marino Marini, attraverso un allestimento capace di esaltare anche la tradizione pittorica del Quattrocento fiorentino, reiterato in particolare dal lavoro che apre il percorso espositivo: Of Botticelli, 2013. La mostra, nel 2016 avrà una seconda tappa presso l’ICA (Institute of Contemporary Arts) di Londra, sempre sotto la curatela di Vincenzo De Bellis.

milano

Carolina Sandretto

Vivir con…è il titolo della personale della fotografa Carolina Sandretto, che negli spazi della Galleria Bianconi mette in scena l’omonimo progetto recentemente esposto alla Whitebox Gallery a New York, dedicato all’indagine della società cubana e alle sue recenti trasformazioni attraverso il tema del ritratto. I suoi scatti, che si focalizzano sugli sguardi delle persone, sono capaci di trasmettere forti sensazioni a livello emotivo, evocando Carolina Sandretto, ricordi e affetti. Ambienti doLa Lettrice, courtesy Galleria mestici, case confusionarie e Bianconi, Milano arredamenti improbabili sono gli elementi scenografici in cui le persone trascorrono la propria quotidianità lasciando trasparire un forte desiderio per uno stile di vita dignitoso. Cuba, terra figlia di un regime che nonostante tutto ha fornito sempre istruzione e sostentamento ai propri cittadini, e benché gli effetti delle trattative per la fine dell’embargo americano tarderanno a vedersi, ha visto e vede tuttora intere generazioni di giovani ancora incapaci di permettersi abitazioni proprie. Una situazione che sta alla base della creazione dei cosiddetti Solar: case mono familiari frazionate in mini appartamenti che arrivano a ospitare sino a 30 famiglie, generando coabitazioni quasi forzate senza alcuna cura e premura della privacy e dove

l’incontro fra vecchie e nuove generazioni diventa oltre che un luogo fisico anche spazio di confronto mentale. Carolina Sandretto, che ha abitato per mesi in questi spazi, ha riassunto con grande empatia tutto questo in Vivir con…”una messa a fuoco, uno sguardo ravvicinato sul soggetto che diviene oggetto” come poeticamente afferma Laura Cherubini curatrice della mostra. Accompagnano questi scatti, una serie di video-interviste girate in tutta l’isola di Cuba, intitolate Hopes for the future, un’indagine diretta sui sogni e le aspirazioni dei giovani cubani, testimonianze di un Paese in bilico tra un passato difficile ma conosciuto e un futuro pieno di interrogativi.

torino

Antoine Puisais

archeologia e architettura

La Fondazione 107 presenta la prima personale dell’artista francese Antoine Puisais, dal titolo Let the legs do the work. In esposizione una serie di nuovi lavori su tela che sviluppa il gioco di segni e cancellature caratteristico della sua produzione pittorica. Da tempo interessato alla sovrapposizione o eliminazione di materiali, segni, gesti, per le nuove opere in mostra, Puisais cosparge di colla un pannello di compensato e stende la tela sulla superficie in modo da staccare lo strato dell’immagine dal suo supporto, quasi come farebbe un archeologo per rimuovere un antico affresco. A cura di IDEA - Institute for the Development of Emerging Art, New York, la Fondazione ospita la collettiva Archeologia e Architettura. Se l’architettura del presente è destinata a diventare il soggetto dell’archeologia del futuro, possiamo parlare negli stessi termini degli approcci contemporanei alla produzione artistica. la mostra si configura come un dialogo tra gli artisti che prediligono un approccio “architettonico” alla creazione (Aaron Bobrow, Duncan Macaskill, Les Rogers, Philipp Roessle, Haley Mellin, Mohamed Namou) e quelli che rappresentano la frangia “archeologicamente orientata” (Ethan Cook, Bas van den Hurk, Paul Kremer, Toby Christian, Nika Neelova, Camilla Steinum).

Torino 6/8 novembre 2015

Artissima

Internazionale d’Arte Contemporanea

Il collezionismo d’arte ha un ruolo propulsore cruciale nella vita culturale ed economica del Paese. Artissima – che da ventidue anni coniuga l’attenzione al mercato internazionale dell’arte alla promozione della ricerca più innovativa – è la sede ideale per riconoscerlo e valorizzarlo. Collezionisti italiani di primo piano affiancano critici e curatori in ognuna delle giurie dei premi attribuiti dalla fiera. Nel 2015 ai cinque premi delle edizioni passate (Premio illy Present Future, Premio Sardi per l’Arte Back to the Future, Premio New Entries, Premio Fondazione Ettore Fico e Prix K-Way® Per4m) si aggiunge il premio Reda-Artissima, assegnato a un giovane artista che esplori con la sua ricerca il linguaggio della fotografia. Oltre a incoraggiare un’ampia partecipazione dei collezionisti, Artissima 2015 coinvolgerà più di cinquanta curatori e direttori di museo da tutto il mondo nel suo programma, confermando la sua vocazione di crocevia dell’arte nel nostro Paese. Il coordinamento delle sezioni curate della fiera sarà invece affidato a quattro giovani curatori italiani, a sottolineare che Artissima non è solo una vetrina d’eccellenza, ma un vero e proprio generatore di scambi e di dialogo fra l’Italia e la scena internazionale. Alle sei sezioni che la caratterizzano (tre fieristiche e tre curatoriali – Present Future, Back to the Future, e Per4m, il primo palcoscenico in fiera concentrato sulle arti performative), Artissima 2015 affiancherà un radicale ripensamento di “In Mostra”. Nata come sintesi delle eccellenze del collezionismo e della produzione artistica contemporanea in Piemonte, “In Mostra” sarà quest’anno una vera e propria esposizione museale in fiera intorno al concetto di inclinazione e alle sue accezioni in ambito letterario, scientifico, filosofico, politico e di genere. Durante Artissima 2015 al Castello di Rivoli inaugurerà inoltre una mostra personale di Rachel Rose, vincitrice del premio illy Present Future 2014. La giovanissima artista statunitense è stata successivamente premiata ai Frieze Awards di New York e invitata a presentare una personale alla Serpentine Gallery di Londra: ulteriore prova della capacità di Artissima di captare in anticipo le energie migliori del panorama contemporaneo. L’edizione 2015 di Artissima è affidata per il quarto anno consecutivo alla direzione artistica di Sarah Cosulich Canarutto.

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 19


Catherine Opie, Self portrait / Nursing, 2004. C-print, 101,6 x 81,3 cm. Collezione privata. Courtesy Studio Guenzani, Milano

Cindy Sherman, Untitled #223, 1990. Chromogenic print, 147,3 x 106,7 cm

Palazzo Reale, Milano

La grande madre di Giuliana Benassi

E

vento espositivo di Expo in città è “La Grande Madre”, titolo della mostra tanto attesa a Milano, prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi, allestita negli spazi di Palazzo Reale e curata da Massimiliano Gioni. La maternità è un tema impeccabilmente universale e dalle molteplici letture. L’esposizione lo affronta attraverso un corpus numeroso di opere (400) di ben 139 artisti, distribuite in 29 sale; attraversarle sembra come entrare in un libro di Storia dell’Iconografia della maternità del Novecento. Una sovrastante vastità di immagini colpisce per la varietà dei linguaggi: pittura, scultura, installazione, performance, film, cartellonistica, documenti storici, manifesti e fotografia. Tutti questi elementi partecipano ad un coro all’unisono in chiave femminile e materna. Viene da pensare: può un curatore uomo occuparsi di un tema così delicato e tanto femminile? Perché la tematica è sì universale, ma allo stesso tempo uterina, attiva e passiva insieme, sentimentale e impulsiva come il miracolo di un grembo materno. Infatti, il percorso espositivo - che non segue una ratio cronologica affronta la tematica della maternità da plurimi punti di vista, surrogando le opere d’arte da riferimenti documentativi di cultura visiva coeva. In qualche modo può essere considerata una mostra “intima” che raccoglie i lavori più viscerali che un artista possa mai produrre poiché legati ad un rapporto materno o al desiderio-rifiuto di maternità, in base ai sessi in questione. In tutti i casi si tratta di un coinvolgimento diverso da altre te20 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

matiche, un coinvolgimento che ha a che fare con l’origine: a tal proposito tornano in mente i versi del libro I del De Rerum Natura di Lucrezio “Venere madre...ogni corpo grazie a te viene generato e giunge a vedere una volta nato la luce del sole”. In questo prologo però la Venere simbolo di maternità creatrice è vista anche come colei che è capace di mitigare Marte, il Dio della guerra e dunque le caratteristiche più aggressive legate all’uomo, mentre nell’excursus del Novecento proposto da Gioni

ci si affaccia su scorci totalmente diversi, dove la donna entra in conflitto con l’uomo-padre/padrone, combatte in termini di diritti di aborto e rivela pulsioni anti-materne e di riscatto. Non mancano all’appello le madri di Boccioni e uno sguardo al Futurismo anche attraverso “Il Manifesto della Donna futurista” in risposta a Marinetti. La psicoanalisi entra in campo nella foto di Freud ritratto con la Madre Amalia e in una serie di lavori dove la maternità viene affrontata in quanto fattore ancestrale

Dorothy Iannone, Suck my breast I am your most beautiful mother, 1970-1971 Collage, colore acrilico su tela, 190 x 150 cm. Collezione privata, Milano

Pawel Althamer, Self-portrait, 2006. Ceramica, stoffa, legno, 111,5 x 24 x 24 cm Foto Roberto Marossi. Collezione Goetz, Monaco

Marlene Dumas, Pregnant Image, 1988-1990 Olio su tela, 180 x 90 cm. Collezione Connie e Jack Tilton Courtesy l’artista; David Zwirner, New York/Londra

Sherrie Levine, Body Mask, 2007. Calco in bronzo, 57,2 x 24,1 x 14,6 cm Foto Zeno Zotti. Collezione privata

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 21


Alice Neel, Nancy and the twins, 1971. Olio su tela, 101 x 153,4 cm. © Estate of Alice Neel

e mitologico, come nei lavori di Ana Menedieta o in quello di David Hammons Freudian Slip. L’immaginario surrealista della madre nelle opere di Salvador Dalì, Frida Kahlo o Leonora Karrington oscilla tra il desiderio carnale dell’uomo e la carnalità vissuta dalla donna. Mentre un disegno di Meret Oppenheim suggerisce il rifiuto della maternità con l’immagine di una donna alata con in braccio un bimbo strangolato. Un excursus nella figura della donna post conflitto mondiale e durante il femminismo e post-femminismo restituisce un ampio spaccato di storia dove la donna compare in prima linea: dall’immagine della donna assimilabile alla “Madrepatria” del 1943 a quella delle madri manifestanti di Plaza de Mayo degli anni Settanta, dallo sguardo penetrante della Migrant Mother di Dorothea Lange al Manifesto della Rivolta Femminile del 1970. La religione in rapporto alla figura mariana viene evocata in virtù della dimensione

umana; la famiglia, nel rapporto madre-figlio come sentimento e conflitto, attaccamento e rifiuto: Mamma Roma di Pierpaolo Pasolini o la performance di Roman Ondak Teaching a walk nella quale una madre insegna a camminare al proprio figlio. Un grande studio e un grande lavoro dietro ad una grande mostra che il curatore Gioni afferma avrebbe potuto affrontare in maniera diversa in quanto conclusa “a pochi mesi dal diventare padre per la prima volta”. Una mostra in stile “enciclopedico” che permette di alternare momenti di godimento estetico a soste di approfondimento storicistico e, a tratti, consente di sperimentare un coinvolgimento introspettivo e un “esistenziale” sentimento di inquietudine, quest’ultimo presente sottilmente nell’ambiguità dello sguardo dell’immagine di copertina della guida al percorso espositivo: l’autoritratto dell’artista Gillian Wearing nei panni della propria madre. n

Nathalie Djurberg, It’s the Mother, 2008. Still da video. Animazione in plastilina, video, musica di Hans Berg 6’. Giò Marconi, Milano

22 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Anna Maria Maiolino Por um Fio (serie fotopoemação), dalla serie Photopoem-action, 1976 Fotografia in bianco e nero 52 x 79 cm Collezione Finzi, Bologna Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano

Gertrude Käsebier Adoration, 1897 Stampa fotografica 32 x 24 cm The Library of Congress, Washington DC

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 23


Jimmie Durham, Carnivalesque Shark in Venice, 2015 sculturavetro, pelle, denti di piranha, cartapesta, pittura acrilica, 71 x 30 x 33,5 cm. Foto Kai Vollmer

Fondazione Querini Stampalia, Venezia Fondazione Cini, Venezia

Jimmie Durham Liu Xiadong

D

ue mostre meritano attenzione nel mare magnum delle iniziative istituzionali allestite in concomitanza alla Biennale (molte di buona qualità: basti pensare alla rassegna sulla “Nuova Oggettività” tedesca al Museo Correr e alla chicca annuale di Palazzo Fortuny con la sorprendente “Proportio”). 
La prima è una conferma che si dà per tracce coerenti, non invasive e ad alto livello di visione empatica. E’ la personale di Jimmie Durham allestita alla Fondazione Querini Stampalia con la cura attenta di Chiara Bertola. Si snoda nell’Area Carlo Scarpa al piano terra e, come di consuetudine per il museo, prosegue all’ interno degli ambienti che espongono la collezione, mimetizzandosi con essa e coinvolgendo il visitatore in una vera e propria caccia al tesoro, divertente ed intrigante. Frammenti di vetri, pietre, mattoni antichi o pezzi di ferro e plastica presi da banali elementi di commercio e gadget turistici, sono assemblati in curiose combinazioni preziose e precarie, e si succedono discreti sul pavimento come antimonumentali sculture e afunzionali arredi. Oppure si nascondono sotto un letto, sotto o sopra un comò, tra gli oggetti

Jimmie Durham Tarpon Springs Floridalegno, cuoio, pelle di pesce, vetro, acciaio, pittura acrilica. Foto Francesco Allegretto

Jimmie Durham, Mestre Surely was Intended to Bring Development to the Lagoon of Venice, 2015 Acciaio, pittura camaleontica, vetro. Foto Francesco Allegretto

24 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Liu Xiaodong, West

Jimmie Durham, Pink Palm-Tree-Like Glass Construction With Various Decorative Elements, 2015 Vetro, acciaio, legno, alluminio, plastica

su un tavolo, istaurando un dialogo non banale con i manufatti antichi. Non di un’operazione estetica e formale però si tratta. Bensì dell’esito di un progetto che l’artista nativo americano ha avviato lo scorso anno nella città lagunare. E che parte dalla necessità di superare la sua immagine stereotipata, anestetizzata dall’approccio superficiale dell’orda di turisti mordi e fuggi, andando ad indagare invece il tessuto umano della gente che a Venezia lavora, attraverso le testimonianze di artigiani e operai che ne garantiscono il non facile funzionamento. Delle loro storie questi lavori cercano di trattenere il ricordo fabrile, prelevando stralci di materia; ma soprattutto ne condensano l‘energia vitale e creativa, individualmente e coralmente messa in campo.
 Di tutt’altro profilo la personale di Liu Xiadong alla Fondazione Cini. Punta i riflettori su uno dei protagonisti dell’arte cinese di recente generazione, quella emersa sulla scena occidentale col trend degli anni novanta. E documenta in larga scala momenti e modalità di una pittura che si esprime con un fresco linguaggio neofigurativo, immortalando scene di vita quotidiana spesso di grandi o grandissime dimensioni. Fin qui nulla di particolare, se ci si ferma al dato visivo, che sembra privilegiare soggetti e situazioni di una Cina periferica e rurale. In realtà, come si evince dall’approfondito percorso in mostra, il metodo di lavoro di Xiadong è più complesso, non circoscritto all’atto virtuosistico del dipingere. È un metodo di ricerca concettuale di cui la pittura rappresenta solo l’ultimo stadio. Prima c’è la scelta del tema da indagare, che comporta un lungo processo di studio e di ricognizione, con trasferte lunghe non solo in specifiche aree del continente cinese, ma anche in altre zone dell’Asia e dell’Europa. Gruppi di migranti, come le dodici ragazze cinesi arrivate da Bankok; un mercato di cavalli o panoramiche di contadini nomadi lungo il percorso della nuova ferrovia che porta verso il Tibet, in contrasto con il processo di modernizzazione; il conflitto tra Israele e Palestina, suggerito non in modo referenziale ma con quadretti metaforicamente divisi a metà… Sono emergenze che l’artista rappresenta con diversi linguaggi, fotografie, riprese video, bozzetti preparatori. Come annota Jerome Sans, curatore della rassegna, Xiadong si comporta infatti come un registra cinematografico, che circoscrive l’argomento da trattare, sceglie la location, fa il casting, dirige gli attori, ossia i personaggi da inquadrare e rifigurare con le sue pennellate ad alta presa realistica. In mostra questi vari livelli sono evidenziati anche attraverso un preciso apparato informativo. Molto interessanti, in particolare, sono i filmati girati con l’ausilio di giovani registi: che confermano, oltre le tendenze modaiole o speculative, lo stato di vitalità dell’attuale produzione artistica cinese. n Antonella Marino SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 25


Grizzana Morandi, Casa-Studio Giorgio Morandi e Fienili del Campiaro

Luigi Ontani e Giorgio Morandi Il magnifico stupore nell’incontro di Martina Cavallarin

Luigi Ontani in Casa Museo Giorgio Morandi, 2015

L

a ricerca artistica di Luigi Ontani si colloca tra reale e immaginario, storia e “transtoria”, sacro e profano, naturale e artificiale, velocità e rallentamento, illusione e apparenza. Si tratta di una serie di complessi elementi, interscambiabili e necessari alla poetica creativa di questo virtuoso artista nato a Vergato, paese ai piedi della collina sul cui crinale si allinea, equilibrista, Grizzana Morandi. Ontani scongiura sempre ironicamente, con un atto in bilico tra passione e seduzione, il principio del trasformismo e della duttilità allegorica, della trasversalità e della sperimentazione, sulla soglia sottile del mito e della favola, della cultura orientale e occidentale. Sull’altura di Grizzana, in una casa tanto declinata sulla sua personalità e tanto densa del suo spirito, Giorgio Morandi trascorse quasi tutte le estati e gli ultimi anni della sua vita. Qui il grande pittore bolognese ha esperito l’univerLuigi Ontani, NaturaExtraMorta PeltrOsequio, maiolica 2015

26 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

so tutto attraverso la visione a volte restituita da uno sguardo allo spazio interno, altre volte da quello offerto dalle finestre della sua casa studio, nell’ortodossia di un’impostazione mentale sempre interiorizzata che riconsegnava alle tele gli oggetti o i calanchi e le curve e i fienili di un piccolo luogo che si faceva paesaggio simbolo di tutti i luoghi del mondo. Scrive Eleonora Frattarolo in un testo del 2012 su Morandi intitolato L’infinito sul bordo di una tazza: “Un piccolo letto troppo corto è quello che in via Fondazza e a Grizzana contiene per il riposo il grande corpo di Morandi. Un letto da ragazzo per un pittore altissimo che vive circondato da cose minime con cui reinventa il mondo, bottiglie tonde dalle ombre a rettangolo, mazzetti di rose baciate dalla propria ombra, caraffe e vasi nuove torri nella corona di una città, oggetti che si sciolgono in ectoplasmi mentre annegano nel bianco dei fogli di


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

carta da acquerello. Brandelli di stoffe arrotolate come corolle di fiori, maioliche bianche e azzurre e scatoline gentili, barattoli in latta di Ovomaltina che Morandi calcina con un bianco spesso e opaco e li appronta per altre vite e per altre visioni.” Da tali solo apparenti lontananze, la storica dell’Arte Eleonora Frattarolo ha ideato una mostra unica che ci racconta di reali congiunzioni, Luigi Ontani incontra Giorgio Morandi. CasaMondo, Nature extramorte antropomorfane, il cui impianto espositivo prevede opere di Ontani nella casa di Morandi, altre nei Fienili del Campiaro, un esaustivo video di Massimiliano Galliani “Il racconto di Luigi Ontani” e un catalogo dedicato con grafica e fotografia di Luciano Leonotti/Trasguardo, edito da Danilo Montanari, con testi della direttrice artistica e Roberto Marchesini. Si tratta di un vero e proprio viaggio esperienziale basato su un dialogo mimetico e affilato, una congiunzione tra la processualità proporzionata e silente della pittura di sintesi di Giorgio Morandi e gli “ibridoli”, le sculture, le opere policrome dalla fisicità eccedente e ridondante di Luigi Ontani. Quello che si viene a creare è un territorio omogeneo e bloccato nel tempo, una memoria che si espande e si contrae, una prossimità assoluta tra stili differenti eppure magistralmente raccordati da un’interiorità e un’intimità che Ontani ha saputo cogliere e amplificare reggendo uno sforzo di riappropriazione e restituzione. Ontani, autore spesso magnificamente sovrabbondante, nell’amplesso concettuale della confluenza con l’altro, Morandi, ha prodotto una riflessione attraverso una “trasformazione dalla pittura alla scultura” come lui stesso afferma, come fosse ogni singolo lavoro concepito per la mostra uno schermo assorbente, una piattaforma girevole sensibile e cangiante, un’altalenante concentrazione e distrazione del battito cardiaco Zen o l’evocazione di Carroll, Joyce, Savinio, Palazzeschi. Ontani fonda la ricerca prendendo i quadri di Morandi come archetipi e prototipi: partendo da forme bidimensionali raffigurate e raccontate nei dipinti, Ontani le restituisce a una nuova vitalità, antropomorfica, attraverso la qualità e l’elaborazione dei materiali impiegati. Ne nascono tridimensionali sculture in maiolica, totem che ridanno vita a brani di forme per tradursi in lavori in ceramica, cucinati a sei fuochi con maestria sapiente nella Bottega Gatti di Faenza, che sinuosi e impertinenti si mimetizzano tra i pensili della casa, tra i tavoli dello studio, le mensole della cucina e i comodini delle modeste stanze. I limiti della scena che si apre ai visitatori entrando nella riservata casa di Morandi sono immediatamente trasgrediti attraverso l’epifania della coabitazione di micro-monumenti, feticci, amuleti di Ontani, elementi simbolici e iconologici che si fanno rappresentazione e alibi nell’incontro stupefacente tra i due grandi artisti. Il percorso è continua scoperta di opere di Ontani addossate o posate tra le cose di Morandi e delle sue sorelle Anna, Dina e Maria Teresa che, ultima, dona a Grizzana la casa. A seguito di tale lascito il Comune di Grizzana, tramite il referendum del 2012, aggiunge il cognome dell’artista al suo nome d’origine. Nella sala di lettura l’elegante libreria di Franco Albini alloggia tra i volumi Il coccio di ceramica di Bacchelli realizzato da Ontani nel 2015, mentre nell’ambiente successivo l’autoritratto dipinto da Ontani è inedita pittura giovanile appesa a parete, come vi fosse sempre stata. Le toilettes delle camere ospitano flaconi originali di talco che si confrontano con il medesimo talco realizzato in ceramica con aggiunta di allegorie o mitologie; nel salotto il cesto con la pagnotta in maiolica contenente un drappo rosso è riemerso di un episodio della memoria familiare di Ontani. Nella piccola cucina la caraffa sulla quale è riportata una posa degli anni ’70, retaggio di uno dei primi viaggi in India di Ontani, è un pensiero che rimanda a Gemito e, i barattoli di Ovomamaltina con un’immagine che ricorda Montovolo attraverso la ripresa di un vecchio super 8 di fine anni ’60, ritualizzano una dozzina di uova che Ontani dispose sul suo corpo nudo per una prassi processuale ludica e giocosa. Lo studio al piano di sopra, luogo integro, isolato, austero, uno spazio che è operazione lecita ed esteriore dell’interiorità stessa di Morandi e della sua produzione, al centro accoglie Ultima Natura ExtraMortAntropomorfana Aalto e una natura extramorta antropomorfana, mentre i tubetti di colore Lukas impiegati dal Maestro per i suoi dipinti, sono duplicati in ceramica colloquianti con pennelli, scatole, utensili da lavoro, e il cavalletto morandiano ospita la foto seppia dipinta del San Luca d’après Il Guercino. Attraversando il giardino, dove la Fiat d’epoca grigia di grigio morandiano appartenuta alle sorelle appare anch’essa come segno tangibile dei modi e dei comportamenti del grande artista bolognese, s’intraprende la salita che conduce ai Fienili del Campiaro, riconvertiti e prestati al progetto complessivo applicato, e in divenire, da Eleonora Frattarolo. Si tratta di un piano di lavoro volto alla costruzione di un’identità che possa implicare anche altre parabole nutrite da tavole rotonde nelle quali scienziati e ricercatori siano anch’essi coinvolti nella futura maturazione di un programma che vuole indagare le tematiche del paesaggio, della natura e dell’ambiente, in relazione all’arte. In atto la definizione di mostre site specific, residenze per artisti e un premio internazionale Giorgio Morandi, tutto sotto il segno della relazione tra il luogo, l’Unione dei Comuni dell’Appennino, organismo costituito di recente e fondamentale in tale evoluzione, l’Accademia di Bel-

le Arti di Bologna e l’inserzione nel piano di Bologna Metropolitana. Ciò che qui attende il visitatore è una sequenza espositiva densa e avvolgente: Il vangatore testimone alla Crocifissione del Tintoretto, lavoro degli anni ’70, Sganappino, Dottor Ballanzone, Fagiolino, opere degli anni ’70 realizzate in fotoceramica per la mostra. Se sulla parete di fondo San Sebastiano ci osserva dall’alto non senza un traslato giudizio sempre in bilico tra il serio e il faceto come si confà all’impianto costruttivo creativo di Ontani, altre nature extramorte antropomorfane ci accompagnano al piano superiore. Qui le Scarpe in ceramica policroma e le Maschere di legno pule dipinto con pigmenti naturali, realizzate con I Wayan Sukarya, sono idoli, reperti, narrazioni ed echi di altri universi e incrociate culture. Nella mostra Luigi Ontani incontra Giorgio Morandi. CasaMondo, Nature extramorte antropomorfane la regola si fonda sempre su un’andata e ritorno senza soluzione di continuità, senza assorbimenti di effetti secondi bensì calibrati incoraggiando una sorta di passione e di volontà fatale per cui le immagini ritornano agli oggetti che si ergono a testimonianze, divinità, talismani. Un disegno, costruito attraverso l’impostazione storica - critica del progetto e la capacità creatrice di Luigi Ontani, precisamente calibrato sull’opera di Giorgio Morandi, per un percorso di raddoppiamento che è l’evento, ontologicamente l’unico linguaggio possibile per lo studio dell’essere in quanto essere, la trama stessa della vita che l’Arte traduce in quel quid per il quale nulla avviene più per caso. n

Luigi Ontani, tubetti olio San Luca Lukas, maiolica, 2015

Luigi Ontani, vasetto in fiore DEI 7 arti grottesca, maiolica 2015 Luigi Ontani, TappetoVolante DEIinsetti prediLetti, maiolica 2015

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 27


Installation view, Enrico Castellani

Galleria Vistamare, Pescara

Enrico Castellani Tano Festa Ettore Spalletti di Maria Letizia Paiato

«O

gni epoca, per trovare identità e forza, ha inventato un’idea diversa di “classico”. Così il “classico” riguarda sempre non solo il passato ma il presente e una visione del futuro. Per dare forma al mondo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici». Questo pensiero, che prendo a prestito da Salvatore Settis, cardine del suo volume il «futuro del “classico”», mi pare un ottimo spunto per arrivare presto al cuore di questa esposizione a Vistamare, che mette a confronto e fa incontrare le opere di tre grandi Maestri dell’Arte Italiana: Enrico Castellani, Tano Festa, Ettore Spalletti. Di Castellani in mostra Superfici biangolari cromate, tre strutture recenti e di grandi dimensioni realizzate fra il 2011 e il 2012 che, figlie tanto delle sue note tele centinate quanto di lavori d’ambiente degli anni Sessanta, nell’uso dell’argento segnano lo scarto con la precedente produzione. In queste “superfici cromate”, così come le definisce l’artista, “monocrome” e tese a un “grado zero” della pittura praticato sin dagli esordi, in «quel crinale fertile e pericoloso come una lama di rasoio tra la fine degli anni Cinquanta e gli albori dei Sessanta» spiega Laura Cherubini, autrice insieme ad Alessandro Rabottini dei testi in catalogo, la luce Installation view, Ettore Spalletti

28 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

assume un ruolo ancor più determinante che in passato, facendo si che si creino particolari movimenti, tali da modellare lo spazio oltre la superfice dell’opera. Complice è la curvatura laterale che Castellani imprime a questi lavori, già intenzionalmente atta a far si che il “quadro” sconfini e abbracci lo spazio dell’ambiente che le accoglie. Nel rifarsi alla «concezione della pittura come la creazione di uno spazio», sta, secondo l’interpretazione di Alessandro Rabottini, il guardare alla tradizione Rinascimentale italiana di Castellani che, in «uno spazio costruito attraverso una pratica quotidiana delle forme», reinventa il classico nel presente con una tensione al futuro mai indebolitasi in quarant’anni di attività. Guarda alla tradizione pittorica italiana ed europea anche Tano Festa. Non va dimenticato, infatti, che proprio in ciò consiste la sua distanza dalla Pop Art, la cui tendenza, spiega Laura Cherubini, è da considerarsi per l’artista romano come una «rivelazione metodologica» che presto trova un suo sviluppo nella rivisitazione di opere simbolo della cultura del passato, “classiche” in tal senso, nell’estrapolazione di frammenti d’immagini e nella citazione. Celebri i Coniugi Arnolfini e La Creazione dell’uomo che si riferisce all’iconografia michelangiolesca, quest’ultima in due versioni presentate alla Biennale del 1964, proprio quella dove imperò la Pop Art, immagini stampate su fogli di grandi dimensioni incollati su legno e poi ridipinti. «Un modo diverso di usare il collage, che generalmente nasceva dall’insieme di molti frammenti, di farne, come diceva l’artista stesso, il protagonista del quadro». E nel frammento è il ponte di collegamento con i Coriandoli, ciclo realizzato a metà degli anni Ottanta e qui in mostra a Vistamare, dove Festa mantiene vivo il concetto di superfice unica. Cita Che-


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Installation view, Tano Festa

rubini Maurizio Fagiolo a proposito dei Coriandoli, ricordando la sua definizione per queste opere come “omaggio-oltraggio alla op-art”, per poi chiedersi se queste non «possano provenire da più schematici e rigidi pattern visivi magari aggiornati attraverso la struttura dei pixel?». Oltre la leggerezza espressiva che i Coriandoli trasmettono, oltre la casualità nel loro disporsi sulla tela, oltre la capacità di creare una superfice vibrante attraverso un gesto semplice: il lanciare, si palesa soprattutto l’idea che queste rappresentino, sia un’altra astrazione mentale di quei pallini già presenti in Particolare delle Tombe Medicee e segnalati dalla Cherubini, sia di quegli schematismi «optical ironicamente rivisitati al pari dei reperti michelangioleschi». Tano Festa è, dunque, un artista capace di muoversi lungo la linea della tradizione artistica tra passato e futuro, le cui opere, nella fattispecie i Coriandoli che, potrebbero benissimo essere state realizzate in questi anni, narrano con largo anticipo del carattere frammentato della nostra epoca. Ettore Spalletti, al quale nel 2014 sono state dedicate le tre grandi mostre di Torino, Roma e Napoli, penetra nel solco della Storia dell’arte italiana facendo confluire nella sua poetica e sin dalla metà degli anni Settanta, pittura, scultura e architettura. Le tre discipline s’incontrano nella sintesi del colore, protagonista assoluto del suo “fare”, contemplativo, avvolgente e affascinante. A un primo sguardo, e per chi si avvicina all’opera del Maestro per la prima volta, la tentazione di ridurre il suo lavoro alla categoria del concettuale, del minimale è fortissima quanto innegabile, tuttavia, non va assolutamente trascurato l’ambiente nel quale le sue opere prendono forma. Non a caso la Cherubini insiste sulle Installation view, Ettore Spalletti

ispirazioni di Spalletti legate alla sua terra di origine, l’Abruzzo, da cui muove l’amore dell’artista per il paesaggio; che è natura nella quale la civiltà rispecchia se stessa, con tutta la sua storicità. Al dato estetico è indubbiamente sensibile l’artista e capace nell’identità di un paesaggio di carpire quell’insieme di natura, cultura e storia che caratterizza il territorio italiano, giungendo presto nella sintesi al cuore della nostra tradizione. «I principali colori sono proprio l’azzurro, il colore dell’atmosfera, e il rosa, il colore dell’incarnato. Come dire il paesaggio e la figura, anche se il quadro è apparentemente astratto e apparentemente monocromo. L’opera di Spalletti è paradossalmente profondamente figurativa» spiega benissimo la Cherubini. E ancora:«Spalletti pensa all’azzurro del manto dell’Annunciata di Antonello da Messina […]. Scopre con Beato Angelico un colore che ne fa risaltare altri: l’oro». Quell’oro in foglia che ritroviamo, come una piccola rivelazione, in Ma, si, rosa tenue e oro, Bruma rosa del 2013 e Così Bianco, oro del 2014, dove al contempo, la modellazione dei bordi sui quali per l’appunto si riflette la lucentezza del metallo, contribuisce a far si che l’opera sconfini verso l’esterno. Nel rompere qualsiasi schematismo imposto dalla cornice, Spalletti da vita a un incontro fra opera e spettatore che si svolge inesorabilmente entro il piano del colore. Come rimanere indifferenti al grande dipinto I colori si trovano del 2014 o alle Carte di azzurro verso il mare del 1998 che accoglie il visitatore sulla soglia della galleria? Come non scorgere quel cielo e quel mare che segnano da nord a sud i tratti della nostra penisola e lasciano spazio all’immaginazione di una infinita poesia? Nell’essenza di queste forme, nelle opere di questi grandi Maestri che il tempo ha consegnato alla Storia dell’Arte, è forse la strada per una riflessione sul presente che per dare «forma al mondo di domani necessita il ripensare le nostre molteplici radici». n

Installation view, Tano Festa

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 29


Santiago Sierra, NO. Foto Claudia Ferri

Isola di Capri

The Island of Art

I

l “NO” di Santiago Sierra apre idealmente il percorso della prima edizione di Capri - The Island of Art, la rassegna di arte diffusa – tra installazioni open air e mostre indoor – ideata da Franco Senesi, mecenate illuminato dell’evento e fondatore di Liquid Art System, che ha sostenuto l’intero progetto. Sono ventuno le installazioni site specific che toccano alcuni tra i luoghi più emblematici dell’isola, senza contare le mostre nelle gallerie, negli alberghi e nei più importanti siti turistici e culturali capresi. Il NO di Sierra – fortemente voluto dai curatori Lucia Zappacosta e Marco Izzolino, dopo aver girato il mondo con il suo “NO Global Tour” – campeggia sulla terrazza belvedere a pochi passi dalla Funicolare e dalla celebre Piazzetta, ombelico di Capri. È come un benvenuto sull’isola. Guarda il mare ed è più che mai attuale: è un “NO” alle differenze sociali, alla emarginazione, alle molte ingiustizie, alla mercificazione dell’individuo. Ma è anche un “no” alla violenza, al degrado, alla ignoranza. La rassegna è molto ambiziosa ed è impreziosita proprio dalla partecipazione di artisti internazionali e da una serie di progetti satellite che ne dichiarano apertamente la volontà di imporsi nel panorama nazionale degli eventi d’arte. “La sfida del progetto – spiega Franco Senesi - è duplice: da una parte, recuperare la memoria storica di Capri, per secoli meta e crocevia di intellettuali e culla di nuove avanguardie, rilanciando

Bianco Valente, Towards You. Foto Claudia Ferri

30 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

la vocazione naturale dell›isola azzurra ed ospitando artisti internazionali; dall’altra, contribuire a dare nuova linfa all’economia locale, richiamando turisti di eccellenza ed allungando la stagione caprese fino a dicembre. Capri deve tornare ad essere musa ispiratrice e luogo di confronto tra artisti e linguaggi diversi, così come è successo nel periodo dei primi imperatori e poi di nuovo alla fine dell’Ottocento e fino alla metà del Novecento. Quando all›amico Roberto Faravelli ho presentato la mia idea e insieme abbiamo abbozzato l’organizzazione di “Capri - The Island of Art”, il nostro primo obiettivo era restituire a Capri quel ruolo da protagonista nel panorama artistico e culturale, che ha sempre ricoperto in passato. Ora, a distanza di più di due anni, da quella prima idea è germogliato un festival reale che avrà cadenza annuale”. Numerose le installazioni presenti sul territorio caprese, a cominciare dalla video proiezione di Mario Airò: si chiama “Atlantide Variazione Goldberg”, progetto site specific, ed è un’immagine temporanea disegnata al laser su Monte Cappello. L’artista invita a riflettere sul binomio natura-bellezza, con le sue animazioni ritrae luoghi non antropizzati che si trasformano, grazie alle delicate animazioni laser, in luoghi magici. Per la prima volta anche Bianco-Valente partecipano alla rassegna con un lavoro in uno dei luoghi simbolo della bellezza paesaggistica di Capri: il belvedere di Punta Tragara, con vista mozzafiato sui Faraglioni. Interagendo con l’orizzonte marino, i due artisti invitano a spingere lo sguardo oltre alla semplice visione: la frase “Towards you” induce all’introspezione ed il paesaggio che si estende verso l’infinito di-


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Andrea Aquilanti, Madre Serafina di Dio. Foto Claudia Ferri Zino, Databook, 2015. Foto Claudia Ferri

venta l’inizio di un viaggio verso se stessi. Laurence Weiner torna su un proprio lavoro – realizzato inizialmente in occasione della personale che l’artista tenne nel 2009 presso la galleria Artiaco a Napoli – che ripensa per l’occasione: il linguaggio è risorsa per l’immaginazione, il contenuto delle sue frasi epigrammatiche è spesso riferito ad azioni fisiche, processi o materiali in grado di creare uno scenario o una immagine nella mente dello spettatore. L’opera per Capri stabilisce una tensione concettuale e formale tra la dimensione mentale del linguaggio e la sua esistenza materiale come immagine. Il motivo della curva, che evocava inizialmente sia la forma del golfo di Napoli sia la traiettoria descritta da un oggetto lanciato verso l’orizzonte, trova la sua perfetta collocazione, riproducendo la linea della scaletta del campanile nella famosa Piazzetta di Capri. L’opera di Andrea Aquilanti è completamente dedicata ad Anacapri, l’altra metà dell’isola. Si tratta di un’installazione interattiva che ingloba l’architettura Settecentesca dell’antico Refettorio della chiesa di San Michele Arcangelo e con essa, contemporaneamente, anche tutto ciò che avviene al suo interno. L’attenzione mediatica e critica ottenuta dall’artista con la sua contemporanea presenza al Padiglione Italia della Biennale di Venezia, diventa così una occasione di visibilità per tutti gli artisti locali che scelgano il Refettorio come luogo d’espressione. Non poteva mancare la Grotta Azzurra, altro luogo simbolo di Capri, su cui si è cimentata Alice Grassi, realizzando un’installazione light box che, attraverso le stratificazioni del segno, ripercorre la storia delle rappresentazioni immaginarie della grotta. Michelangelo Bastiani gioca con

la luce, l’acqua e l’interazione del pubblico: la sua opera, nata da un’idea di Franco Senesi, è una video installazione interattiva site-specific nel centro storico di Capri, che si sviluppa per una lunghezza di quasi cinque metri per ogni lato. L’interazione consente allo spettatore, muovendosi di fronte all’opera, di modificarne e deviarne i flussi d’acqua. Il coinvolgimento diretto dell’osservatore rende l’opera una continua mutazione con variabili infinite. Progetto nel progetto è la mostra “Canone Inverso” alla Canonica della Certosa di San Giacomo, che vede insieme Alessandro Cannistrà, Peter Demetz, Rocco Dubbini e Gino Sabatini Odoardi. A declinare una delle tematiche che costituiscono gli estremi lungo cui si svolge il racconto visivo di questa prima edizione del festival, con interessanti soluzioni di reciprocità: da una parte la luce, dall’altra il linguaggio verbale, come elementi della rappresentazione iconica, sono le opere degli artisti selezionati rispondenti ai nomi di Elena Bellantoni, Blue & Joy, Laura Cionci, Michelangelo Consani, Andrea Di Cesare, Konstantin Khudyakov, Gianluca Panareo, Antonio Sannino, Leonardo Zaccone, Zino. Il progetto Capri - The Island of Art, dopo l’edizione zero del 2014, guarda molto lontano e lo conferma anche l’estensione verso terra, verso Napoli, con il coinvolgimento delle Stazioni dell’Arte della Metropolitana – unico museo underground d’arte contemporanea – e dei principali luoghi dell’arte della città, per la prima volta uniti e tracciati attraverso la App “Mproject Art”, scaricabile gratuitamente su tutti gli smartphone. Paola Cotugno

Mario Airò, Atlantide variazione Goldberg. Foto Claudia Ferri

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 31


Pescara veduta Spazio Matta. ph.Gino di Paolo

Ascoli Piceno, Pescara, Castelbasso (Te)

Arte in Centro. Mete Contemporanee. L’eredità di Gina Pane, Pino Pascali e Gino De Dominicis nelle opere delle ultime generazioni. di Maria Letizia Paiato

“Q

ui non si canta al modo de le rane/ qui non si canta al modo del poeta / che finge immaginando cose vaghe”, scriveva Francesco Stabili, più noto come Cecco d’Ascoli (1269-1327), astronomo e medico, condannato al rogo a Firenze per eresia, in un celebre passo del suo incompiuto poema L’Acerba. Il testo, noto per i suoi contenuti palesemente antidanteschi, è espressione di un pensiero in opposizione al fondamentalismo religioso dominante la sua epoca, percepito come una minaccia alla via del sapere, a un’attività intellettuale pura e libera. Titolo del poemetto, non a caso ripreso da Giovanni Papini e Ardengo Soffici che nel 1913, con il lancio della rivista letteraria “Lacerba”, intendevano rivendicare la piena libertà e autonomia dell’arte, e che oggi Andrea Bruciati recupera e rilancia come suggestione critica per Arte in Centro - Mete Contemporanee, progetto promosso e sostenuto dalla Fondazione Malvina Menegaz, dalla Fondazione Aria e dall’Associazione Arte Contemporanea Picena, enfatizzato da quel “mondo” che, modificato il verso originale, restituisce il senso di unità e attualità delle tre mostre, dislocate nelle sedi di Ascoli Piceno, Pescara e Castelbasso (TE). Accomunate dall’intento di porre attenzione all’opera di artisti che, fra gli anni Sessanta e Settanta del secolo passato, hanno rotto schemi e aperto nuovi orizzonti a livello espressivo, le esposizioni focalizzano l’attenzione sulle figure di Gina Pane, Pino Pascali e Gino De Dominicis, le cui ricerche, opere e azioni, sebbene diverse nella forma e nei contenuti, sin dagli esordi apparvero al mondo dell’arte come baleni di un pensiero creativo, intellettuale e filosofico divergente, a tratti fastidioso, incomprensibile, se non addirittura inaccettabile. Il loro

“mettere in crisi”, la loro capacità, non priva di coraggio e audacia, di creare cortocircuiti, di porsi in osmosi alla vita e alla natura, dando valore all’incorporeo, spesso con ironia e sarcasmo, altre volte con grande serietà; il loro guardare alla morte, a un “oltre”, il saper leggere i segni di una modernità in veloce evoluzione e rielaborarli in visioni tese a penetrare e cavalcare il senso del tempo, gli conferisce per diritto lo statuto di “artisti liberi”. È questa diversità, estranea a compromessi e a conformismi, anche politici e ideologici, avulsi da ogni genere di tradizionalismo, a mostrarci il lavoro di Gina Pane, Pino Pascali e Gino De Dominicis come l’input iniziale di quella ramificazione ed eterogeneità di ricerche che, dagli anni Novanta in poi, sono diventate la cifra distintiva della contemporaneità. O per lo meno, questa è l’ipotesi formulata dal curatore, che ravvisa nella selezione degli artisti, alcuni giovanissimi, che affiancano e arricchiscono l’esperienza di Arte in Centro, l’accoglimento nelle rispettive ricerche della sensibilità artistica di questi maestri. Il progetto è dunque d’indubbio interesse e segnala, da un lato l’urgenza di un riesame storico e critico del lavoro di Pane, Pascali e De Dominicis, dall’altro il riconoscimento delle rispettive poetiche come criterio di lettura critica per le opere prodotte dagli artisti di oggi. La nuova edizione di Arte in Centro, firmata Andrea Bruciati, porta con sé i germi di un “progettare” sperimentale, nodo centrale di questa proposta curatoriale. È una visione che, sebbene non cerchi una verifica nell’immediato, costringe almeno a cambiare il punto di vista, senza mai dimenticare che, aldilà di tutto, dichiara lo stesso Bruciati: «una mostra è un’esperienza da vivere in modo totale, intellettualmente, fisicamente ed emotivamente».

Gina Pane > Yuri Ancarani, Francesca Grilli, Diego Marcon, Moira Ricci, Luca Trevisani. Galleria Osvaldo Licini, Ascoli Piceno. ’intera opera di Gina Pane s’inscrive nel segno della spiritualità contemporanea» scrive in catalogo Velerio Dehò, puntan«L do, sull’emotività e fragilità dell’individuo, al cuore dell’eredità

lasciata dall’artista italo-francese. Dalle prime ricerche in ambito pittorico, alle successive sequenze fotografiche che la ritraggono in dialogo e in partecipazione alla natura, sino alle più cruente azioni performative, è evidente nell’opera di Pane la presenza del suo spirito, il flusso coscienziale che l’attraversa. Si veda Enfoncement d’un rayon de soleil del 1969, dove Gina è intenta, dapprima a scavare un buco nel terreno, poi a riflettervi 32 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

un fascio di luce, generato dall’uso di uno specchietto, quasi a voler riscaldare il fondo della cavità e infine, con lo sguardo proteso al cielo, a camminare su quella stessa terra brulla e scura. Una sequenza fotografica, memoria di un’azione che, nella semplificazione estrema del gesto tenta di rendere percepibile in chi osserva quell’incorporeo “suo sentire essere parte di un tutto”. Un gesto minimo che si confonde con il tempo e lo spazio quotidiani e che Gina condensa nell’atto del ferirsi, trovando in ciò il modo con cui affrontare e respingere la banalità della vita, come in Work in progress, 8/10/1969 del 1969, dove tenta di misurare


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

con il proprio passo una strada di 8470 metri, o come in Azione sentimentale del 1973 dove s’infilza nel braccio sinistro le spine di una rosa, praticando poi un’incisione sul palmo della mano a simularne la forma. Che sia, forse, proprio questa ricerca d’incorporeità ad aver intensificato, durante gli anni Settanta, l’attenzione per la corporeità? Un’attenzione che si manifesta nelle azioni dell’artista nella consapevolezza del carattere frammentato della sua esperienza soggettiva. Valori, quelli dell’emotività e della fragilità, che sembrano permeare anche le ricerche di Yuri Ancarani, Francesca Grilli, Diego Marcon, Moira Ricci e Luca Trevisani, attraverso le quali, l’agire sociale assume concretezza nella misura in cui la loro “assenza” si fa testimonianza dell’esistente. Ciò vale per Ancarani quando, nelle sue opere video concentra il suo “sguardo” sull’essenzialità di gesti minimi, spesso atti compiuti da singole persone intente in qualche funzione professionale distinta, suggerendo la messa in dubbio del significato, collettivamente avvertito di quell’azione. Ciò accade in La Questione Romagnola, video del 2002, dove un bagnino, solo in una spiaggia deserta, alza il pugno davanti alla bandiera rossa, issata per proibire la balneazione, o nei più recenti Il Capo incentrato sul movimento delle mani di un capo-cantiere nelle cave di marmo di Carrara, Piattaforma Luna, ripresa di un gruppo di tecnici in una camera iperbarica e in una struttura in grado di immergersi a grande profondità per svolgere riparazioni o altri mestieri e in Da Vinci, filmato di una macchina controllata a distanza usata per operazioni chirurgiche. Tutte opere video che aprono, in ultima analisi, anche riflessioni intorno al concetto di lavoro e sulle relazioni tra macchina e corpo umano. Sulle azioni minime, sui concetti di variabile e imprevisto, meraviglioso e miracoloso gioca con acume la bolognese Francesca Grilli che, postasi all’attenzione del pubblico inizialmente per il suo lavoro fotografico e video, passa alla performance fra il 2006 e il 2007 con l’azione Arriverà e ci coglierà di sorpresa, nata dall’esperienza di vicinanza al proprio nonno e nelle frequentazioni estive del mondo delle balere emiliane. Interessata alla ricerca sul suono, attenta agli aspetti legati al linguaggio e all’idea di trasformazione, Grilli crea situazioni calate in un immaginario alchemico, quasi mistico, come nel caso di Oro, progetto performativo e video del 2011, girato nel monastero benedettino di San Giovanni a Parma, incentrato sul volo di un falco fra affreschi rappresentanti simbologie religiose. In mostra Ag, scultura parte delle 33 penne di falco realizzate in bronzo e argento che completano l‘opera e che, come sempre accade nelle sue azioni, diventa traccia oggettuale della performance stessa. Al contempo l’opera è un indizio attraverso cui leggere la tradizione alchemica come divisoria della storia dell’umanità ma anche come un invito al rinnovamento. A questa dimensione tendono anche molte delle opere di Luca Trevisani, nell’uso continuo di materiali inusuali, nei contrasti e nell’accostamento di elementi naturali a super-tecnologici, nella dicotomia fra organico e inorganico, nel senso della prova, della verifica e dell’errore, e ultimo, ma non meno importante, nell’attenzione alla simbologia degli elementi della natura. Ad esempio, nel lungometraggio Glaucocamaleo

Ascoli Piceno, Gina Pane, Enfoncement d’un rayon de soleil, 1969 ph.Pierluigi Di Giorgio

sono mappate le varie trasformazioni dell’acqua, il fuoco è protagonista in Aversion to air conditioning, mentre in Un posto per ogni cosa e ogni cosa dove deve stare si fa spazio il ricordo di una struttura di un alveare, infine, motivi floreali stampati su tessuti artificiali sono l’oggetto di varie serie fotografiche. S’interroga, invece, sulle possibilità di produzione di un’immagine Diego Marcon, a volte prestando attenzione alle tecnologie di registrazione, come in Spool, uno dei suoi primi video incentrato sull’utilizzo della Super 8, altre lavorando sulla presenza stessa della camera in quanto oggetto comune e parte integrante della quotidianità, come in Cecilia, le cui movenze della protagonista diventano sempre più spontanee nel tempo, facendole dimenticare si essere costantemente ripresa. Moira Ricci, diversamente da Marcon, che nell’osservazione dall’esterno trova la strada per la conoscenza del sé, parte dal suo vissuto biografico per arrivare a toccare argomenti dal sentire comune. I temi dell’allontanamento dalla sua città natale permeano l’installazione Faccio un giro e poi torno (2001), quelli del sentirsi spiazzati in un luogo e del concetto di casa sono argomento di Custodia (2003) e Loc. Collecchio, 26 (2001). Ancora, le condizioni della Maremma sono il soggetto del recentissimo progetto d’installazione fotografica e video Dove il cielo è più vicino, mentre la famiglia è oggetto di analisi in una serie di lavori realizzati fra il 2004 e il 2009 e l’amore, quello di Per sempre con te fino alla morte del 2012. Un lavoro, quest’ultimo, che nel ripercorrere la storia d’amore dei propri genitori, dal corteggiamento, alla memoria dell’amata, alla vedovanza, narra del modificarsi nel tempo dei codici sociali che regolano le relazioni amorose.

Ascoli Piceno, L.Trevisani, F.Grilli, veduta della mostra. Ph. Pierluigi Di Giorgio

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 33


Pescara, Pino Pascali, allestimanto al Museo delle Genti d’Abruzzo, Pescara. Ph.Gino di Paolo

Pino Pascali > Simone Berti, Rossella Biscotti, Pierpaolo Campanini, INVERNOMUTO, Federico Tosi. Museo delle Genti d’Abruzzo e Spazio Matta, Pescara. he Pascali, nei pochi anni di attività che la vita gli ha concesso, abbia toccato aspetti fondamentali dell’estetica a lui contemCporanea è fuori dubbio. Dal New Dada alla Pop Art, passando

per le vie dell’Arte Concettuale sino alle esperienze poveriste italiane, l’artista pugliese si è mosso sempre con grande libertà, senza costringere la sua opera in uno stile o in una forma riconoscibile, tanto da renderne quasi incollocabile la ricerca, così come puntualmente Marco Tonelli precisa in catalogo. Pochissime sono le tracce di un suo interesse per la pittura, tuttavia non completamente assente come ci mostrano le graziose tempere in esposizione realizzate fra il 1960 e il 1961: Interno, Albero con foglie e Pan Argo, sulle quali interviene con collage o mischiando le tecniche, testimoniano la sua ecletticità affatto avulsa al più tradizionale fra i medium. Sono piccoli cartoncini dai quali inoltre già si evidenziano la sua predilezione per il disegno e il tendere al mondo della grafica, tanto che, non dovranno stupire il suo essersi lanciato in esperienze lavorative nell’ambito della televisione e della comunicazione d’immagine, intuendo nella grammatica dadaista un potenziale adattivo al linguaggio pubblicitario. Si potrebbe forse azzardare a sostenere che, proprio da tali sollecitazioni, Pascali ha affinato la sua abilità nel giocare con i doppi sensi linguistici, dove Al Cafone del 1961, di cui in mostra, non solo il celebre video spot ma anche i bozzetti preparatori, ne è un caso esemplare. L’aspetto ludico, il paradosso, il gioco, permea continuamente la produzione successiva, anche quando si sposta sul piano della scultura, dell’interpretazione dello spazio e dell’ambiente, giungendo presto al risultato di un raffinato equilibrio tra forma e contenuto, tra il volume di un oggetto nello spazio e la leggerezza di concetti. Muovendosi fra tecnologia e tradizione, fra futuro e passato, fra organico e inorganico, guardando alla cultura di massa e senza affidarsi mai al mero esercizio mimetico, Pascali con materiali artificiali reinventa la natura, originando oggetti dal gusto quasi grottesco come i Bachi da Setola realiz-

Pescara, Pino Pascali, veduta Museo delle Genti d’Abruzzo. Ph.Gino di Paolo

34 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

zati nel 1968, che nella sintesi geometrica suggerita dai grandi spazzoloni in acrilico, supera la forma arrivando al cuore della conoscenza delle cose. Afferma Celant: «L’arte [per Pascali] è intesa a segnalare un momento di espansione sensuale, è una carica affettiva e libidinale […]. Pascali è per l’alacrità fisica e corporale, per il godimento decisamente erotico delle figure, che sono percorse da un’epidermide tra il duro e il molle, tra il duro e il fisso, tra il fluido e il fisso, tra il flaccido e il pastoso», aggettivi che chiariscono lo scarto fra lui e gli artisti della Minimal e lo avvicinano all’esperienza dell’Arte Povera (sebbene senza mai dichiararsi appartenente al movimento) dove, nell’adozione di elementi naturali, come l’acqua e la terra, determina una dialettica fra diverse sensibilità. In queste continue tensioni e nel gioco degli opposti che contraddistinguono la sua opera, trovano collocazione gli interventi di Simone Berti, Rossella Biscotti, Pierpaolo Campanini, INVERNOMUTO e Federico Tosi, ospitati presso la sede dello Spazio Matta di Pescara, scelto per il suo forte impatto teatrale, a richiamare concettuale un’altra peculiarità del maestro, ovvero la ricercata interazione fra le sue opere e il pubblico che prevedeva ambientazioni dal forte impatto scenografico. Di Simone Berti è in mostra un’opera installativa Senza titolo del 2008, accompagnata dal bozzetto di progetto, composto di un tubo in calcestruzzo e quel che sembra una sorta di pennacchio in alluminio. Nell’idea dell’assemblaggio, nell’accostamento di elementi privi di relazioni di memoria, nei contrasti e nell’apparente non-sense è il richiamo a Pascali, sebbene Berti riesca addirittura a estremizzarne la “tensione”, integrando al suo discorso il concetto di “bilico”. Tutti i suoi lavori, infatti, sono attraversati da una sensazione di equilibrio precario: oggetti o soggetti, ad esempio, sui trampoli in terreni argillosi, orti-giardini pensili in balia delle molle, fiori che sbocciano sul cemento; una casistica pressoché infinita di elementi contrapposti che, con ironia e leggerezza, cre-


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

ano un forte senso di spaesamento e interferenza. Più interessati alla tecnologia da un lato e al tribale dall’altro, sono, invece, gli INVERNOMUTO (Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi) e il giovanissimo Federico Tosi. Per i primi vale soprattutto la pratica della commistione fra discipline diverse, dando attenzione soprattutto al contesto audiovisivo. Fra video, ricerca musicale, studi di antropologia e storia dei miti e dei riti legati a una particolare terra, fotografia e diversi allestimenti, il duo, nato fra le aule dell’Accademia di Brera, ha sviluppato una ricerca intorno al mondo della cultura africana e a quella del colonialismo italiano in Africa, sino a concentrarsi sulla percezione dell’esotico ancora oggi recepita e travista agli occhi degli occidentali, come nei due lavori qui presentati: Malù Lo stereotipo della Venere Nera in Italia e Venere Nera. Federico Tosi, per creare le sue opere, si serve dei materiali più disparati: dal legno alle resine, dalle monete ai biscotti, dall’acciaio all’acqua santa, qualsiasi cosa è lecita a originare quelli che nella forma finale sembrano dei piccoli simulacri, quasi dei feticci. Live Strong, meows hard trasmette un senso di brutalità dell’attività umana e al contempo apre una riflessione sul concetto di sacro inteso come strumento protettivo (ma potenzialmente falso) capace di offrire risposte ai nostri dubbi esistenziali. Su un piano completamente opposto, ma solo in apparenza distante dalla poetica pascaliana, è Pierpaolo Campanini, raffinato pittore, attento alla cura del dettaglio, i cui soggetti rappresentati spesso restano difficili da interpretare in chi osserva. Queste composizioni nascono, innanzi tutto, da prelievi di oggetti sottratti al loro contesto d’uso e poi assemblati insieme a formare strutture immaginarie che dallo spazio fisico sono mimeticamente traslate sul piano della tela. In questo modo, Campanini crea qualcosa che gioca la sua poetica sul piano della falsa rappresentazione, complice la commistione di oggetti/ soggetti che, seppur familiari singolarmente, nella loro combinazione danno origine ad atmosfere rarefatte capaci di scatenare forti contrasti emotivi. Infine, Rossella Biscotti, anch’essa non legata a un solo mezzo espressivo, svolge il proprio lavoro spesso partendo da dettagliate ricerche di archivio, dove si pone, non con l’ottica dello storico che tenta di rintracciare fonti e ricostruire fatti, ma affiancandosi alle tracce che la storia spontaneamente ha lasciato visibili, senza alcuna volontà di colmarne i vuoti. Le teste di Vittorio Emanuele II e Benito Mussolini in mostra, sono dei calchi realizzati nel 2009, le cui forme sono state riprese da quelle originali e inedite create da Prini e Rampini per l’Expo mai realizzatosi del ’42. Successivamente Biscotti, nello sviluppo del loro negativo in forma artistica, ci mostra i due uomini nella loro dimensione celebrativa e poi, separati gli emisferi destro e sinistro, insinua un dubbio sulla verità assoluta della loro identità.

Castelbasso, Gino De Dominicis, Autoritratto, Collezione Privata. Ph. Gino di Paolo

Nelle immagini in basso, Castelbasso, Gino De Dominicis, vedute della mostra a Palazzo Clemente Ph.Gino Di Paolo

Gino De Dominicis > Rosa Barba, Thomas Braida, Luigi Presicce, Agne Raceviciute, Luca Vitone. Palazzo Clemente e Palazzo De Sanctis Castelbasso (TE) hi era Gino De Dominicis? La domanda rimarrà aperta all’infinito, quanto il mistero che avvolge la sua esistenza e ha contradCdistinto indissolubilmente la sua produzione artistica, mutevole e complessa fuori da qualsiasi schema della sua contemporaneità. Dichiara nella famosa «Lettera sull’immortalità del corpo»:

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 35


«Perché le cose potessero esistere veramente bisognerebbe che fossero eterne, immortali» e ancora, «Raggiungendo l’immortalità l’uomo, forse per la prima volta dalla sua apparizione sulla terra, potrebbe veramente e indiscutibilmente differenziarsi dalle altre specie viventi. Arrestando l’evoluzione del tempo, ad un’età scelta da lui, interrompendo l’invecchiamento, romperebbe l’incanto della dimensione misteriosa che regola l’universo e sarebbe il primo passo verso una migliore comprensione della vita». Ci sarebbe da chiedersi se De Dominicis non abbia veramente arrestato il tempo e se, considerate le circostanze misteriose della sua scomparsa, non abbia finito per dare concretezza ai suoi assunti sull’immortalità; quanto meno, e ciò rimarrà impossibile da disconoscere, le sue azioni hanno finito con l’elevarlo a “mito” dell’arte senza età e senza tempo. Definito da Montale, a seguito del caso giuridico scoppiato alla Biennale di Venezia del ’72 quando presentava come attore della performance un ragazzo down, al pari di Caravaggio o Rembrandt perché espressivo della propria epoca; schivo nei confronti della fotografia che considerava mero veicolo pubblicistico dell’opera, contrario alla pubblicazione di cataloghi, De Dominicis l’arte la viveva hic et nunc facendola irrompere negli schematismi sia del mondo che in quelli della società civile come fosse una scheggia impazzita, piuttosto che pensarla in termini di “bello” o di comunicazione di immagine utile alla sua persona. L’arte è un problema che interessa il mondo della filosofia, qualcosa attraverso la quale porre domande esistenziali sulla propria natura di uomini ed esseri viventi, dove, nelle proposte di De Dominicis la questione sul tempo è tanto cruciale quanto quella sullo spazio da vivere e sullo spazio dell’opera. Questa elegante retrospettiva, ordinata in modo chiaro ed efficace anche per chi per la prima volta si accosta all’opera del maestro, presenta nella prima sala di Palazzo Clemente a Castelbasso, quelle piccolissime tracce pervenuteci delle sue azioni performative e di concetto. Osserviamo a terra il segno del Cubo Invisibile pensato nel 1967 che dichiara l’apertura alla ricerca sull’incorporeo e a parete lo spiazzante manifesto mortuario presentato nel 1969 all’Attico di Roma, attraverso cui annunciava la sua morte come individuo e la sua nascita come artista. Vi si affiancano, una foto dello Zodiaco, azione del 1970, la sola in circolazione che testimonia la complessità dell’operazione, animali veri, fra i quali un leone in gabbia, emblema di un rituale finalizzato a mettere in crisi continuamente l’identità e, infine, la sola fotografia che lo ritrae, Che cosa c’entra la morte del 1972, dove Gino si mostra mascherato presentando un felino con questa didascalia, ancora una volta a marcare l’importanza sulla fissità del momento presente, sulla percezione dell’attimo. Nelle sale successive si cambia tono e troviamo esposti alcuni interessanti disegni prova, non solo delle sue eccellenti doti tecniche, ma anche di quanto nel segno fosse capace di esprimere la medesima evanescenza ricercata nelle azioni, alternata a prove grafiche, capaci di rivelare nello studio di forme non chiuse il flusso dell’esistenza. Una spiritualità che meglio si chiarisce nelle opere pittoriche dei primi anni Novanta, quando inizia a dipingere volti, quasi alieni (nella cui presenza fra l’altro credeva con convinzione) dai nasi allungati, spesso posti in posizione orizzontale a esaltare il gioco di linee simulanti forme astratte, elementi simbolici quali la stella a 8 punte, la bacchetta magica, oggetto di congiunzione fra il mondo terreno e quello dello spazio e fondi oro a richiamare una spiritualità di medioevale memoria. Castelbasso, L.Viton e, R.Barba, Veduta Palazzo De Sanctis. ph. Gino di Paolo

36 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

Castelbasso, Rosa Barba, Veduta Palazzo De Sanctis. ph. Gino di Paolo

Castelbasso, Thomas Braida, Veduta Palazzo De Sanctis. ph. Gino di Paolo

Personalità sfuggente e indipendente, Gino De Dominicis rispondeva sempre con atteggiamento patafisico a quanti tentavano di serrarne la poetica in una definizione, e quel senso del sarcasmo che gli appartiene, riecheggia per tutte le stanze di Palazzo Clemente in un’energica risata che accoglie, avvolge, sorprende e spiazza al contempo il visitatore. È la registrazione originale soggetto dell’impalpabile mostra del 1971 D’IO (il cui titolo gioca con le parole Di me stesso/Dio) e fatta solo di suono. Un’opera, ancora una volta sull’invisibile, sull’incorporeo che ante litteram anticipa di gran lunga le ricerche in ambito sensoriale e percettivo. Questa mostra, un piccolo spaccato sulla complessità della sua attività è, non solo un omaggio alla sua figura ma, anche in grado di restituire la forza del suo pensiero che, come un tuono, rimbomba nelle sale di Palazzo De Sanctis nelle riflessioni annodate ai concetti di tempo e di spazio delle opere di Rosa Barba, Thomas Braida, Luigi Presicce, Agne Raceviciute e Luca Vitone.


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Color Clock: Verticals Lean Occasionally Consistently Away from Viewpoints (yellow) del 2012 e Red del 2015 della Barba, sono opere che, come tutte nella sua ricerca, rappresentano il frutto di una sua personalissima esplorazione sul cinema, disciplina che per sua stessa natura interessa le categorie di tempo e spazio, ma alla quale vi si approccia valutandolo al contempo mezzo della finzione e della realtà e mezzo tanto astratto quanto reale per la sua capacità di oggettivazione delle forme. Entrambi i lavori in mostra potrebbero essere considerati come una sorta di sintesi di queste sue ricerche, capaci di condensare negli elementi costitutivi del video, l’essenza del senso di narratività sotteso alla vita. L’ampia tela quadrata Red, ad esempio, posta lievemente distaccata dalla parete, quel tanto che basta a generare un’ombra, origina una sorta di movimento cinetico entro il quale lo spettatore si trova coinvolto, perdendo al contempo i riferimenti spaziali entro cui l’opera è collocata. Il pugliese Luigi Presicce, anche lui familiare all’estetica del video, parte nel realizzarli dalla pratica performativa che affronta costruendo particolari ambienti scenografici, richiamando volutamente alla memoria scenari antichi, collocabili in epoca tardo medioevale o prossima al primo Rinascimento. Alterna, in tal senso, situazioni pseudo mistiche ad altre di gusto per il mitologico, arricchendo continuamente di simbologie queste sue composizioni viventi affini alla prassi pittorica, alla quale attinge continuamente, mischiando memorie personali e collettive. Queste azioni si collocano quindi a metà strada fra realismo e fantastico, annullando qualsiasi dimensione temporale e spaziale, come nel caso di Janny Haniver show del 2010, dove la maschera specchio indossata dal personaggio posto frontalmente allo spettatore, enfatizza ancora di più l’idea di dubbio, introiettando nell’opera lo sguardo stesso di chi osserva, chiamato in prima persona a interrogarsi sulla propria identità e presenza. Sulla stessa scia, con le dovute differenze, è Thomas Braida, giovanissimo pittore originario di Gorizia che ha elevato la pittura suo mezzo prediletto e attraverso il quale dà forma a un immaginario fantastico, spesso ai limiti del grottesco, attingendo all’iconografia sacra e profana del passato e del presente, e strizzando l’occhio, al contempo, a scenari da film fantasy e futuri imprecisati. Popolano le sue tele creature mitologiche, personaggi che sembrano usciti dai fumetti di super eroi, bizzarri esseri biomorfici dalla connotazione fortemente caricaturale, collocati sulla superfice della tela con una forte flessione teatrale e uno spiccato gusto per l’ironico e l’onirico. Si vedano La terapia del dolore A del 2013 e la più recente Juses at the gym dove Braida, ago della bilancia fra mistico e sadico, fra il bene e il male, crea in queste commistioni luoghi privi di connotazioni, spingendo l’osservatore in apparenti mondi sconosciuti, raffigurazione concettuale dei contrasti emotivi che ciascuna persona vive. Per la lituana Agne Raceviciute, invece, i temi del tempo e dello spazio sono affrontati a partire da studi antropologici e storici, politici e sociali dove l’esperienza del viaggio diventa una sorta di momento liberatorio atto a permettere all’inaspettato di farsi avanti ed essere accolto come una rivelazione. La pratica del collage e composizioni di oggetti le sono utili a creare set impossibili, immagini fittizie della realtà, dove nel mescolamento di elementi scultorei e fotografici, emerge sempre un segno, un frammento inteso come strumento comunicativo del singolare, quale luogo intermedio fra particolare e universale. Una visionarietà che si ravvisa anche nelle sue installazioni di tessuti, come nel caso di quelle in mostra che,

cariche di misticismo, suggeriscono nell’assenza la presenza del corpo, figurando quell’incorporeo collocabile in luoghi astratti e atemporali. Anche per Luca Vitone, nell’assenza si concentra la traccia di una realtà tangibile quanto concreta. La sua poetica, concentrata essenzialmente sull’idea di luogo, sulla tensione generata dal senso di appartenenza e al mancato rapporto con il proprio ambiente, si condensa nello sviscerare rapporti di memoria personale e collettiva, al fine di far riemergere possibili situazioni dimenticate. Per l’eternità, opera del 2013, si compone di una serie d’immagini fotografiche, che come un reportage, fissano elementi architettonici e paesaggistici connotanti il territorio di Monferrato, tristemente noto per la tragedia legata alla produzione dell’eternit. Immagini sulle quali l’artista interviene con della polvere a renderne quasi irriconoscibile il soggetto, un’operazione che concettualmente richiama l’attenzione sulla scomparsa di quel centro, cancellato dalla storia e dalla geografia da una sconsiderata attività industriale. In mostra anche Il luogo dell’arte del 1994, una riflessione sul senso dello spazio delimitato dalla forma del quadro o del foglio e sulle potenzialità del colore, che lo mostrano artista capace di affrontare il tema dell’incorporeità, anche quando questo è strettamente connesso ad aspetti legati agli elementi costitutivi della pittura stessa. n

Castelbasso, Agne Raceviciute, Untitled (Conclave sculpture 05), 2013. Veduta Palazzo De Sanctis. ph. Gino di Paolo

Castelbasso, Luigi Presicce, Veduta Palazzo De Sanctis. ph. Gino di Paolo

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 37


Vittorio Corsini, Carezza 4, 2015. Acciaio inox specchiante e vetro, 46 x 30 x 30 cm

Galleria Cardi, Pietrasanta (Lu)

Vittorio CORSINI

l peso del carrello ed altre storie” è il titolo che Vittorio Corsini ha dato alla sua recente mostra (voluta da Renato Cardi “I e da Claudio Poleschi), in cui racconta – come puntualmente

scrive in catalogo il curatore Federico Sardella – “… storie di tutti i giorni. Storie che si riferiscono ad una archeologia recentissima, che vede l’uomo al centro. Storie vere di arnesi qualsiasi, di città, di dame e di cavalieri, di armi e d’amore, anche. Storie che dal suo incerto, inverosimile futuro Corsini ci consegna, costringendoci a guardare al presente con occhio cristallino.” Il carrello (da cui il titolo), è un lavoro in acciaio specchiante, che campeggia tra le opere nella parte centrale dell’allestimento, un grande carrello che trasporta souvenirs di capitali europee, realizzate in cristallo di rocca trasparente. Alle pareti, utensili da lavoro tradotti in cristallo, strumenti che da utensili per le mani diventano dispositivi quasi immateriali che riflettono il lavorìo della mente.”

A seguire il testo di Federico Sardella sul bellissimo, raffinato catalogo, c’è una lettera dell’amico di Corsini, Roberto Piercecchi, che descrive la mostra “come la racconterebbe ad un visitatore distratto”. Nel caso di chi trascrive queste note (non avendola ancora visitata) è come vedere la mostra attraverso la sua descrizione! “Entrando in galleria, nella prima sala, sulla sinistra ci sono quattro grandi disegni Rosa. Guardando più da vicino vi si riconoscono vari utensili 
e l’impressione è che siano utensili arcaici, che oggi
 difficilmente si incontrano nel nostro vivere quotidiano. Parlano di mestieri antichi, ormai quasi scomparsi, di artigiani e di persone che non ci saranno mai più. Tutto questo è sottolineato da grandi tagli che non vogliono negare o cancellare, ma rendere evidente l’assenza
 di un mondo ormai passato. Sulla parete di destra, su di una superficie specchiante, ci sono “appese al chiodo” delle vecchie pale consunte dall’uso, anche loro ricordo cristallino di un lavoro, di una fatica antica, quasi monumento a una generazione che non c’è più. Al centro della sala, posati su di un carrello-rimorchio, come hanno certi bus turistici, ci sono scolpiti nel cristallo, monumenti simbolo di varie città europee: Roma, Parigi, Atene, Londra, Berlino ecc. (…..) Nella seconda sala, disposte per terra ci sono delle sculture in vetro-acciaio e vetro-marmo. Riconosco subito delle case, tema a te caro da molto tempo, che ancora oggi esplori cercando sempre nuovi significati che ha per te la casa. Subito attrae l’attenzione un’opera stupenda, che non riesci a capire come è fatta: è una casa di cristallo massiccio, forte come un monolite, come uno scoglio, rifugio sicuro in un mare in tempesta. (….) Poi ci sono quattro città, irte di grattaceli d’acciaio che occupano tutto lo spazio, collocate come sopra la bocca di un vulcano. 
Io conosco quelle città, dove le persone hanno a disposizione un metro quadro per vivere, dove ci si urta continuamente, costretti a una vicinanza alienante, dove la violenza può scoppiare in ogni momento: Hong Kong, Tokyo, Rio
 de Janeiro, Messico City. Ma qui la lava del vulcano sottostante è Rosa, come
 la speranza. Andando avanti nella visita, si vedono due case molto vicine
 di vetro trasparente: una abitata da sole donne, l’altra abitata da soli uomini. (…) L’altra casa sola che vedo è una casa angosciante, fragile, cinta da alte mura impenetrabili che la isolano per proteggersi dal diverso, dal nuovo, da tutto ciò che ci spaventa. Mentre l’altra casa sola, pur in un mare in tempesta è pronta a superare quello che avverrà, questa è una prigione dell’anima dalla quale non si può uscire; è la condizione di tutti quelli che hanno paura di vivere. Pure l’ultima casa sola è di grande attualità: è una casa travolta, rovesciata sotto una pesante lastra di marmo, oppressa dal peso. Concludendo, è una mostra calata nella realtà che stiamo vivendo, pervasa dalla poesia come tutti i tuoi lavori, venata di nostalgia
e legata dal filo Rosa, col quale inizi e finisci, della speranza”. (a cura di L.S.)

Vittorio Corsini, Onde, 2015. Cristallo e tessuto di raso, 20 x 125 x 95 cm

Vittorio Corsini, Come un inizio, 2015. Marmo, vetro e carta, 24 x 39 x 24 cm

Vittorio Corsini, Souvenir, 2015 Acciaio inox, acciaio inox, specchiante e cristallo, 80 x 220 x 115 cm

Vittorio Corsini, River City 1-2-3-4, 2015. Acciaio inox specchiante, cristallo e acqua colorata, 62 x 30 cm diametro

38 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Cuoghi Corsello, Bello, 1995

MEF - Museo Ettore Fico, Torino

liberi tutti!

Il MEF - Museo Ettore Fico ha proposto per la prima volta un tentativo di analisi della generazione di artisti italiani attivi tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Duemila. La prospettiva scelta per la mostra Liberi tutti! Arte e società in Italia. 1989 - 2001 è prettamente storica, dipanando un filo rosso che attraversa i passaggi cruciali di un decennio intenso, guidandoci dalla caduta del muro di Berlino (1989) a quella delle torri gemelle (2001). Centrale, nell’ottica artistica, appare l’affermazione della cultura digitale, ma fondamentali risultano anche la diffusione di una maggiore consapevolezza ambientale, le nuove riflessioni sull’identità di genere e il cambiamento radicale degli equilibri economici e politici mondiali. I curatori Luca Beatrice e Cristiana Perrella, che negli anni Novanta pubblicarono due testi di critica militante, Nuova Scena (G. Mondadori, 1994) e Nuova Arte Italiana (Castelvecchi, 1998), hanno selezionato 63 artisti per un totale di 80 opere, più una rassegna video. Airò, Arienti, Bartolini, M. Basilé, Bazan, Beecroft, Benassi, Berti, Betty Bee, Bonvicini, Botto&Bruno, Canevari, Carocci, Cattelan, Cavenago, Cecchini, Cingolani, Ciracì, Cuoghi, Cuoghi Corsello, Dellavedova, B. Esposito, Favaretto, Favelli, Frangi, Gabellone, Galegati, Galliano, Gatti, F. Jodice, Kaufmann, Kirchhoff, Lambri, Linke, Maloberti, Manetas, Mangano, Manzelli, Marisaldi, Mazzucconi, Migliora, Moro, Paci, Pancrazzi, Perino&Vele, Perrone, Pessoli, Pietroiusti, Pintaldi, Pivi, Pusole, Salvino, Scotto di Luzio, Stingel, Toderi, Tozzi, Tuttofuoco, vedovamazzei, Vetrugno, Vezzoli, Vitali, Vitone, Xhafa. (a cura di L.S.)

Thorsten Kirchhoff, Tutti sanno cantare, 1993 Vanessa Beecroft, VB48.934.PD, 2001

Maurizio Cattelan, Senza tiolo, 1995 In alto: vedovamazzei, My Weakness, 2000 Marcello Maloberti, Casa, 1993

Adrian Paci, Home to Go, 2000

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 39


Veduta parziale della mostra “Pino Pinelli. Come una musica visiva”: in fondo: Pittura N, 2000. Disseminazione di 21 elementi. Tecnica mista, 20 x 55 cm. In primo piano da sinistra a destra: Pittura R, 2009. 2 elementi. Tecnica mista, 41 x 72 cm; Pittura N, 2003. 2 elementi. Tecnica mista, 36 x 30 cm; Pittura B N, 2003. 2 elementi. Tecnica mista, 36 x 30 cm; Pittura B GR, 2003. 2 elementi. Tecnica mista, 36 x 30 cm; Pittura B, 2003. 2 elementi. Tecnica mista, 36 x 30 cm. Courtesy Galleria Cardi, Pietrasanta. © Fotografie Bruno Bani, Milano

Milano

Pino Pinelli Pittura con corpo

Dinamismo in concatenazioni spaziali Intervista a cura di Simona Olivieri

L’

appuntamento con Pino Pinelli è in una calda mattina di luglio, nel suo studio a Milano, in zona Brera. Non è una vera e propria intervista ma una conversazione sull’arte, su Milano, sulla sua Sicilia. Nato a Catania nel 1938, nel 1962 si trasferisce a Milano dove vive e lavora. P.P. Milano è una città che adoro. Ho compiuto studi artistici in Sicilia e sono sono venuto a Milano ad insegnare: volevo fare l’artista. Mio padre amava il canto, ed è proprio a lui che devo l’incoraggiamento a intraprendere questo cammino che è arduo; anche Dino Caruso, il mio professore di plastica, che era stato allievo di Prampolini, mi suggeriva di seguire questa mia passione. Milano esercitava su di me una fortissima attrattiva, in quanto era una città di grande fermento culturale ed era un faro per molti giovani artisti perché era la città di Fontana, Castellani, Bonalumi, Pino Pinelli, Pittura B GR N, 1999. 3 elementi/items. Tecnica mista/mixed media, 102 x 64 cm. Courtesy Galleria Cardi, Pietrasanta. © Fotografie Bruno Bani, Milano

40 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


attività espositive INTERVISTE

Veduta parziale della mostra “Pino Pinelli. Come una musica visiva”: da sinistra a destra: Pittura B, 2010. 2 elementi. Tecnica mista, 182 x 123 cm; Pittura B N, 2010. 2 elementi. Tecnica mista, 182 x 123 cm; Pittura B GR, 2010. 2 elementi. Tecnica mista, 182 x 123 cm. Courtesy Galleria Cardi, Pietrasanta. © Fotografie Bruno Bani, Milano

Veduta parziale della mostra “Pino Pinelli. Antologia rossa”: da sinistra a destra, Pittura R, 2000. 2 elementi. Tecnica mista 85 x 152 cm; Pittura R, 2009. 7 elementi. Tecnica mista 41 x 41 cm. Courtesy Galleria Dep Art, Milano. © Fotografie Bruno Bani, Milano

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 41


Manzoni, Colombo… Non era facile farsi conoscere dai galleristi e dai critici. Ho partecipato a tre edizioni del Premio San Fedele, dal ’66 al ’68 e ho fatto la mia prima personale nel 1968 alla Galleria Bergamini. Si è anche da poco conclusa la mostra “Antologia Rossa” a Milano (Galleria Dep Art, 21 marzo - 30 maggio 2015) P.P. Un piccolo excursus che parte dai miei primi monocromi, degli anni Settanta, passando poi alla rottura del quadro (1976) e alle conseguenti disseminazioni. Come si è sviluppato il suo modo di fare e pensare la pittura? P.P. Nei primi monocromi la pittura era una sorta di stato ansioso: volevo dare alla superficie il senso del pullulare atomico, una pittura che respira. Negli anni successivi, passo ad un lavoro di riduzione, di sottrazione, di dimensioni ridotte. Indagavo sulla condizione dell’artista europeo che avverte il peso della grande tradizione dell’arte: l’unico atteggiamento possibile era quello di “pensare la pittura” più che “fare la pittura”. Nel 1976 avviene la rottura del quadro, dell‘idea classica di spazio/quadro, era importante andare oltre la cornice, oltre il confine. Rompere con la geometria e la superficie. La pittura diventa frammento che si dissemina nello spazio: era come riscrivere una mia nuova sintassi del fare. Quello che colpisce è il rapporto che hanno le sue opere con lo spazio. Come queste trasformano il luogo che le ospita. Nelle

42 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

Disseminazioni questa relazione e questa trasformazione ci sono. Non sono ancora sculture, ma sono frammenti di pittura con un corpo P.P. Ho sempre pensato al mio lavoro come ad una “pittura con corpo”. Quando preparo le mostre, per me è importante osservare il luogo nel quale saranno inserite e pensarlo come uno spartito musicale: dove vanno i legni, gli ottoni, gli archi… mi piace che ci sia il suono e anche il silenzio. Ci deve essere musicalità e armonia; in quanto la mia non è pittura in libertà ma gli strumenti / opere sono disseminate nello spazio in modo pensato. Si devono sentire ritmi diversi: i respiri, i pieni e i vuoti. Una distribuzione musicale dei lavori P.P. Ascolto musica. Costruisco il lavoro ascoltando Bach, ma anche alcuni grandi pezzi di jazz. I progetti delle mie mostre sono “concerti”. Non è unicamente pittura ma è anche architettura. Mi viene in mente una foto che ho visto della mostra alla Galleria A arte Studio Invernizzi nel 2003 P.P. In quell’occasione anche i muri erano stati dipinti di giallo perché lo spettatore doveva avere la percezione di una parete monocroma e solo dopo, quando lo sguardo si era abituato, avvertire che i frammenti gialli affioravano dal colore della parete. Quindi la costruzione dello spazio e la seduzione dello sguardo P.P. Sono uno degli artisti della Pittura Analitica che fa pittura,


attività espositive INTERVISTE

ma nel senso di farla concretamente. Non dipingo, la costruisco con le mie mani. La muovo per arrivare a certe sonorità, lavoro negli anfratti e nelle pieghe della pittura / materia. Si scoprono e nascono vuoti e pieni. E poi la seduzione… come ha scritto Giovanni Maria Accame “ tu non dipingi più ma fai pittura”. La pittura ti attrae ti conquista, vuole piacere ma è anche altèra e mantiene le distanze… Perché i miei lavori sembrano - allo sguardo - di morbido velluto, ma al tatto sono in realtà aspri, si perde, quindi, la sensualità del velluto. Questo è l’inganno dello sguardo che seduce la mente.

materia. Nella mia pittura non c’è rappresentazione. E’ pittura e basta. E questo mio modo di fare pittura insieme all’idea della rottura del quadro e delle disseminazoni, penso siano il mio contributo sul piano del linguaggio dell’arte. Che mostre ha in programma? In agosto ci sarà la mia personale alla Galleria Cardi di Pietrasanta, in settembre alla Galleria Pearl Lam di Hong Kong e per la prossima stagione ci sono altri progetti che sto valutando. n

[Ci avviciniamo ad una delle opere - un monocromo nero - e mi permette di toccare la superficie: è un po’ come toccare la roccia vulcanica, è velluto pungente. Io gli descrivo a sciara del fuoco di Stromboli e lui mi racconta dell’Etna]. P.P. Mi ricordo, quando in estate a Mascalucia, nella casa di campagna dei nonni, facevo dei lavori su carta che da bianca diventava di un grigio sempre più scuro: era la cenere dell’Etna che vi si depositava. Sono cresciuto in un luogo dove il vulcano è una presenza viva e quotidiana… un respiro costante una luce nella notte… è il fuoco. Lo si intuisce anche dai toni dei colori delle sue opere P.P. Ognuno di noi imprime un’energia e una carica che rivela da dove si arriva. La superficie deve muoversi, è una febbre, un respiro, una passione e alla fine lascia un segno, una traccia nella

Nella pagina a fianco, in alto: veduta parziale della mostra “Pino Pinelli. Pittura” da sinistra a destra: Pittura R, 1997. 2 elementi. Tecnica mista 76 x 162 cm; Pittura R, 2005. 24 elementi. Tecnica mista 10 x 37 cm. Courtesy Pearl Lam Gallery, Hong Kong. Foto: 2009-2015 studio EAST. In questa pagina, in alto: veduta parziale della mostra “Pino Pinelli. Pittura” da sinistra a destra: Pittura R, 1996. 3 elementi. Tecnica mista 21 x 32 cm; Pittura R, 2007. 2 elementi. Tecnica mista 40 x 80 cm. Courtesy Pearl Lam Gallery, Hong Kong. Foto: 2009-2015 studio EAST. In basso: veduta parziale della mostra “Pino Pinelli. Pittura” da sinistra a destra: Pittura GR, 1987. 3 elementi. Tecnica mista 35 x 81 cm; Pittura GR, 1996. 2 elementi. Tecnica mista 87 x 125 cm; Pittura GR, 2004. 24 elementi. Tecnica mista 32 x 9 cm Courtesy Pearl Lam Gallery, Hong Kong. Foto: 2009-2015 studio EAST.

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 43


Alfonso Artiaco, Napoli

Liam Gillick e omaggio a Joseph Beuys

T

ipico esponente di una generazione - quella che esordisce alla fine degli anni ottanta e si afferma chiaramente nel decennio successivo – che, venendo dopo la rottura della continuità con le sperimentazioni delle neoavanguardie - operata dagli artisti del “ritorno all’ordine” a partire dalla fine degli anni settanta – recupera l’eredità di esse su basi ed in contesti mutati, tendendo di frequente ad aperture partecipative che permettono il confluire in quel vasto territorio che il curatore francese Nicolas Bourriaud chiama delle estetiche relazionali - in cui, ad ormai vent’anni di distanza, possiamo probabilmente riconoscere, piaccia o meno, la tendenza artistica più rappresentativa degli anni novanta -, Liam Gillick (Aylesbury, Regno Unito, 1964, vive e lavora a New York), con la personale Four Developments & a Thought Collective, dichiara di voler indagare - sulla scorta delle teorie dell’antropologa britannica Mary Douglas - il modo in cui uno stile di pensiero collega membri di un gruppo attraverso le loro idee, il modo in cui comunicano e i metodi da loro utilizzati. Le “quattro evoluzioni” del titolo corrispondono ad altrettante strutture in alluminio cromato verniciato a polvere e plexiglass colorato che esplorano ciascuna una modalità di forma cubica differente. Contestualmente trovano posto elementi plastici a muro - neominilalisti quanto i cubi – e testi scritti che, sovrastando le porte dei vari ambienti della galleria, contrappongono costantemente le nozioni di un pensiero collettivo agli elementi attivi dello stile di pensiero.

Vedute dell’installazione di Liam Gillick negli spazi della Galleria Artiaco a Napoli. Nella pagina a fianco, in alto, il tributo all’opera di Joseph Beuys.

44 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


documentazione

Accanto all’artista inglese si è scelto di tributare un piccolo omaggio a Joseph Beuys (Krefeld, 1921 – Düsseldorf, 1986), che di dinamiche collettive di pensiero - e di azione - ne sa qualcosa, avendo per gran parte del suo percorso insistito sul concetto di scultura sociale, ove l’attività plastica tradizionalmente intesa diviene metafora di un processo ben più vasto ed ambizioso, giacché appunto l’unica grande scultura che viene concepita è quella che si identifica con la società stessa, cui ogni uomo è chiamato a contribuire attraverso la sua creatività, in un’ottica che - in tempi di guerra fredda - intende dunque di fatto relegare nella stessa

casella dell’economicismo, dell’alienazione delle facoltà umane tanto le politiche del blocco capitalista che quelle del blocco sovietico. Una critica che, stando alle categorie di Luc Boltanski ed Eve Chiapello, teorici del “nuovo spirito” del capitalismo, potremmo guarda caso chiamare “artistica”. L’omaggio è costituito da una scultura del 1964 e da una grande opera a parete della serie delle Partiture - fondate sull’incontro tra la scrittura ed il disegno, rappresentazioni, per l’appunto, del cammino dall’individuale al collettivo - del 1973. Stefano Taccone

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 45


Francesco Candeloro, (da sinistra a destra) Altri Passaggi (Firenze), 2015, taglio laser su plexiglas, 212x60x6,5 cm; Arrivi (Torino), 2015, taglio laser su plexiglas, 182x140x6,5 cm; Partenze (Milano), 2013, taglio laser su plexiglas, 190x120x6,5 cm. Veduta parziale dell’esposizione, A arte Invernizzi, Milano. Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano.

A arte Invernizzi, Milano

Francesco Candeloro Segni di luce e geografie urbane di Paolo Bolpagni

L

e opere esposte in questa personale appartengono tutte alla più recente ricerca e produzione dell’artista. Si tratta di lastre in plexiglas di differenti colori, che tracciano gli skylines di città contemporanee esperite e indagate attraverso immagini cromatiche che giocano sulla trasparenza e l’opacità, le sovrapposizioni e le sintesi additive o sottrattive, secondo una complessità di riverberi ed “echi” che dialoga costantemente con la fisicità dello spazio e con il trascorrere del tempo. È un’arte di luce, quella di Candeloro; e, attraverso questo strumento, medium imprendibile eppure padroneggiato con sicurezza, le sue installazioni plastiche, ricche di sottigliezze evocative, riescono paradossalmente a materializzare il «frastaglio degli orizzonti profilati» di una personalissima urbanistica, come scrive Trini nel suo saggio pubblicato nel catalogo. Dai box trasparenti di alcuni anni fa, che si presentavano come parallelepipedi sospesi e aggettanti dalle pareti, strutturati anche internamente con elementi di diversi colori, Candeloro è passato a realizzazioni in apparenza più semplici ed essenziali, costruite perlopiù tramite l’accostamento di due spesse lastre di plexiglas poste a distanza più o meno ravvicinata che, componendosi unitariamente, a

loro volta si rispecchiano – talora in maniera sfalsata – in senso longitudinale, quasi si riflettessero in un immaginario “territorio mentale” posto sotto la linea dell’orizzonte. La città e il suo doppio, verrebbe da dire. In effetti, tema centrale di questi lavori di Candeloro è la dimensione urbana: Napoli, Firenze, Venezia, New York, Stoccolma, Beirut, Petra sono colte in un loro profilo caratterizzante, beninteso senza alcun intento documentario o topografico. Non è la ricerca dello scorcio tipico, né, del resto, di una visione spiazzante o inattesa, bensì la riflessione sull’identità più segreta delle città, frutto di un’intima scoperta o intuizione, a guidare le scelte di Candeloro. Potremmo affermare che sia una geografia della memoria, che si affida, di volta in volta, a emergenze architettoniche oppure a rilievi naturali, magari anche tra loro interferenti. All’ingresso dello spazio espositivo della galleria troviamo l’opera “Altre Luci Stoccolma”, nella quale le lastre di plexiglas generano evanescenze cromatiche cangianti. Al piano rialzato della galleria un’installazione di grandi dimensioni dal titolo “Passaggi Alterni”, suddivisa in due “blocchi”, disegna lo skyline della città di New York, scandendo anche un passaggio, che in realtà si configura come una sorta di soglia liminare. Più oltre appare “Visioni del tempo”, opera inserita sull’ultima finestra, che, integrandosi nell’ambiente e dialogando con esso, restituisce un’originale visione della silhouette della Torre Velasca di BBPR, moltiplicata e in perenne mutamento. Il variare continuo della luce che penetra dall’esterno proietta nello spazio ombre colorate che sono esse stesse architetture luminose, differenti ad ogni ora del giorno e della sera e, via via, nel procedere della stagione. Uno dei simboli di Milano assume così i tratti di un’autentica epifania: la forma della finestra e la sagoma della Torre Velasca diventano un filtro in cui si sommano le tinte diverse delle lastre sovrapposte, offrendoci uno sguardo originale e alchemico sulla città. Nella successiva – e ultima – sala del piano superiore si trova “Linee Attese”, opera fatti di tubi fluorescenti al neon, ripiegati e disposti così da definire, nella stanza buia, linee di luci colorate artificiali, intermittenti secondo un ciclo attentamente scandito; ne emerge la visione di luoghi riletti dall’artista attraverso la propria percezione legata in modo inestricabile alla memoria, con Francesco Candeloro, Linee Attese, 2015, neon, dimensioni variabili. Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano

Francesco Candeloro, (da sinistra a destra) Passaggi Alterni (New York), 2015, taglio laser su plexiglas, 95x510x30 cm; Visioni del Tempo, 2015, taglio laser su plexiglas, 197x160 cm. Veduta parziale dell’esposizione, A arte Invernizzi, Milano. Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano.

46 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


artisti in copertina

Francesco Candeloro, Altre Linee (Bangkok), 2015, taglio laser su plexiglas, 102x100x6,5 cm. Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano Francesco Candeloro, Visioni di Luci (Petra), 2015, taglio laser su plexiglas, 122x296x8 cm Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano

Francesco Candeloro, Arrivi (Torino), 2015, taglio laser su plexiglas, 182x140x6,5 cm Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano

Francesco Candeloro, Luce nel Tempo, (Venezia New York,) 2014, taglio laser su plexiglas, 158x250x8 cm Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Lorenzo Ceretta, Vicenza

Francesco Candeloro, (da sinistra a destra) Visioni del Tempo, 2015, taglio laser su plexiglas, 197x160 cm; Passaggi Alterni (New York), 2015, taglio laser su plexiglas, 95x510x30 cm; Altre Luci (Stoccolma), 2015, taglio laser su plexiglas, 182x60x6,5 cm. Veduta parziale dell’esposizione, A arte Invernizzi, Milano. Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano.

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 47


Francesco Candeloro, Partenze (Milano), 2013, taglio laser su plexiglas, 190x120x6,5 cm Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano

Francesco Candeloro, (da sinistra a destra) Visioni del Tempo, 2015, taglio laser su plexiglas, 197x160 cm; Passaggi Alterni (New York), 2015, taglio laser su plexiglas, 95x510x30 cm. Veduta parziale dell’esposizione, A arte Invernizzi, Milano. Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano.

Francesco Candeloro, (da sinistra a destra) Linee del Tempo (Wadi Rum), 2015, taglio laser su plexiglas, 102x100x6,5 cm; Parallele Luci (Seul), 2015, taglio laser su plexiglas, 102x100x6,5 cm; Prospettive di Luce (Roma), 2015, taglio laser su plexiglas, 106x100x6,5 cm; Quartieri nel Tempo (Napoli), 2012, taglio laser su plexiglas, 80x100x6,5 cm; Linee Luce (Beirut), 2015, taglio laser su plexiglas, 92x100x6,5 cm; Altre Linee Altre Luci (Berlino), 2015, taglio laser su plexiglas, 122x90x6,5 cm; Visioni di Luci (Petra), 2015, taglio laser su plexiglas, 122x296x8 cm. Veduta parziale dell’esposizione, A arte Invernizzi, Milano. Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano. Francesco Candeloro, (da sinistra a destra) Visioni di Luci (Petra), 2015, taglio laser su plexiglas, 122x296x8 cm; Altri Passaggi (Firenze), 2015, taglio laser su plexiglas,212x60x6,5cm; Luce nel Tempo (Venezia New York), 2014, taglio laser su plexiglas, 158x250x8 cm. Veduta parziale dell’esposizione, A arte Invernizzi, Milano. Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano.

48 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


artisti in copertina

Francesco Candeloro, (da sinistra a destra) Passaggi Alterni (New York), 2015, taglio laser su plexiglas, 95x510x30 cm; Visioni del Tempo, 2015, taglio laser su plexiglas, 197x160 cm. Veduta parziale dell’esposizione, A arte Invernizzi, Milano. Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano.

l’esito di una liricità pop di rara suggestione. Cito ancora dal testo di Trini rilevando come le strutturazioni – in questo caso elettriche – di Candeloro abbiano la capacità di cambiare «lo spazio in tempo, il “qui e ora” in “l’ora dopo là”», essendo dotate dell’«energia fluttuante dei confini lontani, degli orizzonti instabili». Al piano inferiore della galleria sono esposti undici lavori in plexiglas, ognuno costituito da quattro lastre di differenti colori, suddivise in coppie speculari e sovrapposte. Le lamine racchiudono immagini derivate dall’esperienza diretta delle città, rivissute secondo una prospettiva paragonabile, per via di metafora, a un prisma che rifrange le cromie mutevoli della realtà in riflessi del ricordo e della sensibilità. Particolarmente potente è la parete che accoglie sei opere di questa serie, disposte in base a un ritmo che crea un’articolazione complessa che conferisce ulteriori valenze ai singoli elementi che la compongono. Ancora una volta, fattori cruciali sono la trasparenza e l’interazione/interferenza dei

colori, il ruolo centrale della luce, la dialettica fra presenza fisica della città e sua elaborazione nello spazio della memoria. Scrisse bene Francesca Pola, in occasione di una precedente mostra di Candeloro in Germania (tenutasi nel 2014 presso il Kunstverein di Aschaffenburg), che non vi è nulla di sentimentalmente evocativo, perché nella sua opera tutto è lucido e brillante, preciso ed “elettrico”: è una identità possibile del futuro dei luoghi, che si proietta «in una dimensione parallela e felice», suscitando racconti luminosi, sentieri di sguardi che abitano la luce e la trasfigurano in una nuova visione. La mostra di Francesco Candeloro “Segni di luce” è accompagnata da un catalogo bilingue in italiano e in inglese contenente saggi di Tommaso Trini e Ara Merjian, un testo di Luca Scarlini, una poesia di Carlo Invernizzi e un apparato bio-bibliografico aggiornato. n

Francesco Candeloro, (da sinistra a destra) Luce nel Tempo (Venezia New York), 2014, taglio laser su plexiglas, 158x250x8 cm; Arrivi (Torino), 2015, taglio laser su plexiglas, 182x140x6,5cm; Partenze (Milano), 2013, taglio laser su plexiglas, 190x120x6,5 cm. Veduta parziale dell’esposizione, A arte Invernizzi, Milano. Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano.

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 49


Galleria Open Art, Prato

on la mostra “Agenore Fabbri –dipinti e sculture 19471965” la Galleria Open Art di Prato fa un ulteriore passo avanti nel suo lavoro di riesame e quasi di ricucitura del tessuto della ricerca artistica italiana ed europea del XX secolo. Ricucitura e in alcuni casi anche ripristino di trame e passaggi che nel caso di Fabbri deve confrontarsi con una situazione tutta particolare, una situazione in cui insidie e fraitendimenti sono sempre li dietro l’angolo tanto più pronti a confonderci quanto più proviamo a mantenerci entro i limiti della prudenza e dei giudizi consolidati. Detto in altre parole, quello di Fabbri è un percorso non facile da valutare con esattezza non perché non sia agevole ritrovare nella sua lunga carriera tutti i riferimenti che lo legano alle principali correnti attraverso cui si è snodata la storia dell’arte contemporanea, ma per via del suo atteggiamento di fondo nei confronti dell’idea stessa di adesione a questa o quella poetica. Fabbri ci appare cioè sin dagli esordi come costituzionalmente immune dalla tentazione di una piena e logicamente necessitata identificazione del suo agire con le nuove dimensioni di ricerca che le sue stesse invenzioni tecnico-linguistiche gli prospettano.

Il suo giovanile “espressionismo” ad esempio non è tensione assoluta ed implacabile verso la rottura con la tradizione, ma una sorta di approfondimento della dimensione del dolore che anche dinnanzi al singolo episodio o alla singola figura mantiene un respiro se non epico comunque corale e popolare; allo stesso modo il suo periodo “materico” , quello che lo pone in evidente sintonia con un Burri un Tapies o un Fautrier, non è riduzione ai minimi termini dell’ansia di comunicare, parola che si strozza in gola perchè, dopo gli orrori della guerra, non crede più in se stessa, ma grido dilacerante, protesta estrema che guarda in faccia il male e solo nel descriverne senza sconti o infingimenti tutta la disumana bruttezza riesce ad opporvisi e a dichiararne la inaccettabilità. E qualcosa di simile vale anche, a ben guardare, per le quelle sculture in bronzo che, per un certo periodo, lo hanno avvicinato a certi esiti dell’arte “nucleare”, come ad esempio i suoi celebri “insetti atomizzati”, i quali non rappresentano davvero solo una spettacolare icona premonitrice della condizione post-atomica prossima ventura, ma sono semmai un resoconto anticipato di ciò che resterà dei misteriosi rapporti tra realtà biologica e armonia universale che da sempre ci affascinano, se non riusciremo a porre un freno al processo di snaturamento del mondo già innescato da un uso moralmente improprio della scienza. Né diversa è, infine, la situazione per quanto riguarda la sua riscoperta, in qualche modo, “tarda” della pittura, dove un innegabile recupero della seduttività

Agenore Fabbri, Ballerina, 1961. Ferro stagnato, cm. 65 x 15 x 12

Agenore Fabbri, Rotture II, 1960. Legno dipinto, cm. 200 x 77

Agenore Fabbri di Paolo Balmas

C

50 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Agenore Fabbri, Bucranio, 1957. Ferro, 56 x 46 cm

Agenore Fabbri, Rilievo IV, 1961. Legno, 111 x 61 cm Agenore Fabbri, Personaggio Lunare, 1964. Bronzo e acciaio, 82.5 x 49.5 x 13

Agenore Fabbri, Lacerazione II o Rottura, 1960, Bronzo, cm. 73 x 124 x 27.5

del colore e dell’energia empatica della linea, non ci si palesa, come potrebbe sembrare a prima vista, soltanto secondo le due modalità opposte e consecutive della comunicazione allargata e della libera improvvisazione, del segno che strizza l’occhio al segnale e dell’improvvisazione di Kandinskijana memoria, ma rimane, all’interno di ognuna delle due polarità, valutazione e soppesamento in corso d’opera delle potenzialità intrinseche dei “fondamentali” dell’arte. Spostando il nostro discorso dal piano delle tensioni e delle passioni a quello della teoria che ad esse, di norma, storicamente si affianca, potremmo dire allora che, rispetto ad una certa lettura più o meno ufficializzata della cultura artistica del 900, Agenore Fabbri si è distinto per aver sperimentato di questo secolo tutte le più importanti svolte senza rimanere però ingabbiato in quel generale processo di rincorsa dell’impersonale e svalutazione dell’autorialità che oggi è da molti ritenuto ancora come un indice sicuro di progressione e progressività da opporre alla catastrofe valoriale del Postmoderno. Resta ovviamente una domanda: cosa ha reso possibile tutto questo? Cosa ha permesso a questo artista, schivo e profondo, emerso dalla provincia ma ben presto balzato sulla ribalta internazionale, di essere ad un tempo trasgressivo e dissacrante sul piano dei giochi di linguaggio e partecipe dall’interno, senza demiurgiche presunzioni, del dramma umano del suo tempo? La risposta non è semplicissima, ma è possibile intravederla istituendo un confronto con il modus operandi del suo grande amico e sodale di tutta la sua vita, Lucio Fontana. Fontana introduce mutamenti epocali a partire da un gesto minimo intenso e calibratissimo poi attende in silenzio che la Storia gli dia ragione, Fabbri con una inventiva anch’essa sorprendente e concentratissima produce delle vere e proprie mutazioni, ma ne esaspera sin da subito le conseguenze formali e comunicative per obbligarci a prendere posizione nell’immediato: il bene e il male non ci attendono a fine corsa, possono essere distinti qui ed ora e vanno affrontati di slancio urlando di paura e di coraggio insieme. n SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 51


simta in erno per alle

ebbe mia che

19

Filippo Di Sambuy, Cortile esterno, Castel Maniace, Siracusa

Castello Maniace | Not’Art Galleria | Siracusa

Filippo Di Sambuy Il Progetto Ideale

il suo desiderio di creare dei disegni per una nuova pavimentazione, avvertito come una necessità, come un dovere sociale tanto quanto la volontà di far riaffiorare una memoria perduta, in modo da ristabilire una “connessione” fra l’architettura, la sua storia e il territorio. Il Progetto Ideale, pertanto, si rende concreto nel nuovo lastricato che, composto di scaglie di ghiaia di marmi di diversi colori, Sambuy realizza per il castello Svevo, facendo rivivere il passato nel presente e restituendo unitarietà e dignità a un luogo simbolo d’incontro e crocevia di diverse culture. Dichiara lo stesso artista: «Creare un pavimento in ghiaia di marmo é reintegrare una visione della bellezza originaria in questa architettura unica nel suo genere e nello stesso tempo reinventarne il mito». Il visitatore, che è progressivamente accompagnato dall’artista nel percepire nuove atmosfere, cromie e sensazioni, vive durante l’esperienza visiva il senso della modificazione che, parte della continuità, del flusso del tempo, rappresenta concettualmente il punto in cui si annoda il suo intervento, finalizzato alla ricostruzione di quel legame necessario a ristabilire l’unità dell’opera. Questi micro cambiamenti sono rappresentati dalla serie di disegni realizzati dall’artista che costituiscono al contempo il terreno entro cui la cultura araba ed europea ritornano a dialogare, riproponendosi oggi con sorprendente attualità, ma anche come necessità di un nuovo confronto. Incontriamo, anzitutto, l’immagine dell’Araba Fenice, metafora della rinascita propria del mondo orientale, pariteticamente a quella dell’Aquila Nera simbolo del potere imperiale in Occidente e i disegni intitolati Sguardo Spirituale che definiscono il desiderio dell’artista di una nuova dimensione più spirituale ed etica della vita come dell’arte. In una seconda sala del castello, ai mosaici in graniglia di marmo si accompagna una scultura intagliata in radica di ulivo, un vero e proprio trono ottagonale che evoca la presenza/assenza di Federico II di Svevia, costruttore dell’imponente edificio ma anche metafora dell’intelligenza umana, vero motore di ogni processo culturale. Infine, Il Progetto Ideale di Sambuy termina con l’immagine della spada di Santiago, realizzata in ghiaia di pietra colorata, collocata nel cortile esterno

P

ensando a Filippo di Sambuy, si può immaginarlo camminare lentamente e con passo sommesso fra gli ambienti del Castello di Maniace di Siracusa, antica fortezza federiciana, punto nodale della cinta muraria dell’isola di Ortigia che è anche la parte più antica della città. Un lembo di terra estremo proteso verso Oriente, immerso nel cuore del mediterraneo, dove lo sguardo indirizzato all’orizzonte può perdersi dolcemente in un nulla smisurato. Possiamo figurarci i suoi occhi abbandonarsi alla meraviglia dell’incontro fra natura e architettura, vederlo penetrare il tempo della storia per poi rendersi conto, con stupore, dell’assenza di pavimentazione nel castello, sostituita da una gretta gettata di cemento grigio. Da qui nasce Filippo Di Sambuy, Installazione Pavimento, Castel Maniace, Siracusa

Filippo Di Sambuy, Installazione Pavimento, Castel Maniace, Siracusa

52 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


avimento

attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Filippo Di Sambuy, Installazione aInstallazione pavimento, progetto di massima-n° 2 con scultura “Trono” inn° legno, Castel Maniace, Siracusain legno a pavimento progetto di massima 2 con scultura “Trono”

del Castello e possibile emblema della sua poetica, orientata a ristabilire rapporti di memoria, una continuità tra presente e passato, dove ogni attimo accaduto, ripensato ora, rivive in un’unica dimensione che contempla ciò che fu, ciò che è o sta per essere (W. B. Yeats – Verso Bisanzio). L’intervento dell’artista romano, che oggi vive fra Italia e Francia, tuttavia non si esaurisce fra le mura del Castello di Maniace, ma valica i suoi confini sino a occupare gli spazi della Not’Art Galleria con disegni, dipinti e ceramiche, in un insieme che sospinge lo spettatore verso la medesima “visione” del pavimento. Il Progetto per Castel Maniace, in ultima analisi, si dispone

come il naturale prolungamento del progetto realizzato dall’artista a Castel del Monte nel 2004, un legame dichiarato nello stesso raddoppiamento della pianta e nella rotazione sull’asse di 45° di entrambi i castelli. Non vanno dimenticati, inoltre, suoi analoghi interventi artistici sempre incentrati sui processi di trasformazione temporale, come quelli: nella città razionalista di Sabaudia nel 1999, nel Castello di Stupinigi a Torino nel 2001, e il già citato progetto di Castel del Monte del 2004, dove Sambuy ha realizzato installazioni di grandi dimensioni sempre ispirate a quelle straordinarie architetture. Maria Letizia Paiato

Ilungamento l Progetto per Castel Maniace è il naturale prodel progetto di Castel del Monte del

2004. Infatti il raddoppiamento della sua pianta e la sua rotazione sull’asse di 45° evidenziano questa continuità e il legame tra i due castelli. Spirituale - progetto per pavimento

Filippo Di Sambuy, Sguardo, progetto per pavimento, Castel Maniace, Siracusa

Fenice - progetto per pavimento

21

Filippo Di Sambuy, Spirituale, progetto per pavimento, Castel Maniace, Siracusa

Fenice - progetto per pavimento

Filippo Di Sambuy, Fenice, progetto per pavimento, Castel Maniace, Siracusa

23

Filippo Di Sambuy, Castel del Monte, Progetto Installazione pavimento. Andria - 2005

P

Castel del Monte - Progetto Installazione pavimento - Andria - 2005

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 53


A.A.M. Architettura Arte Moderna - Extramoenia, Roma

Ginevra Lilli La poesia dell’arte e l’arte del fare poesia di Elena Giulia Rossi

er più di quindici anni la curiosità ha spinto il mio interesse verso produzioni e ricerche rivolte all’incontro tra arte e tecnologia, tra arte e network, tra scienza e umanistica. Da nicchia di interessi specializzati questi argomenti si sono di recente ritrovati improvvisamente al centro di tutto, nell’inevitabile constatazione di abitare un mondo ibrido, governato dalle leggi della tecnologia e del mercato dell’immagine, quello generato e amplificato dall’accelerazione del dispositivo informatico. Tra le maglie di questa intricata struttura sono attive nicchie di forza creativa che comunque continuano ad esistere e a resistere, tanto nel mondo tecnologizzato quanto in quello analogico. È proprio qui che oggi ci vogliamo addentrare per incontrare le opere di Ginevra Lilli, artista matura ma recentemente scopertasi e scoperta come tale. Il suo lavoro si è rivelato uno strumento prezioso e illuminante per riconsiderare il significato di alcuni vocaboli sui quali ci interroghiamo con difficoltà crescente, dimenticandoci della loro provenienza: la poesia, la tecnica e l’arte stessa. Imboccando la porta stretta di questa nicchia, scivoliamo nel suo mondo interiore, magico e tormentato con cui ci mette in comunicazione per vie empatiche e senza filtri; ci mettiamo in ascolto; tanti sono gli insegnamenti e gli spunti che

inconsapevolmente ci trasmette e che ci aiutano ad interrogarci su questioni “universali”. Tutto inizia con la parola, quella di centinaia di scritti che, tra poesie, racconti, diari conservati in decine di quaderni e fogli sparsi, si fanno testimoni silenti di un’attività incessante e vulcanica che ha accompagnato, e accompagna ancora, la sua esistenza dall’età di dodici anni. “Una Ginevra di carta che nessun altro potrebbe raccontarmi. – così Ginevra ritrae, con la lucidità del presente, il suo primo incontro con la parola - Era nella carta che cercavo alleati. Una stanza dentro di me che potevo aprire con carta e penna. Una dimensione sicura, fraterna. Senza limiti di ascolto”. Quando, poi, la creatività nasce da una spinta naturale, da un’esigenza che diventa “urgenza“, non sempre accade che un’artista si riconosca in questa veste. E così è stato anche per lei fino a quando, alla soglia dei quarant’anni, il felice incontro con la giornalista e scrittrice Laura Lilli, diventata sua mentore e madre adottiva, non l’ha spinta ad uscire allo scoperto. Dopo poco, la selezione di poesie raccolte in Diario Ordinario, si è fatta notare per essere poi pubblicata dalla casa editrice milanese Marco Saya edizioni nel 2014, e –nel 2015 - selezionata per il “Premio Internazionale di Letteratura Città di Como”. Lasciamo agli esperti la lettura e l’analisi linguistica delle poesie e riprendiamo il percorso da quando, subito dopo il suo incontro e riscontro con il pubblico, il lavoro poetico si è spinto a confini con l’arte visiva dando dimostrazione concreta di quanto questo termine sia ormai obsoleto se associato in via esclusiva alla percezione oculare. Da questo momento, parola e segno si sono integrati in forme installative diverse. La sperimentazione e l’impiego di una varietà di materiali e tecniche, complice l’impulso creativo, si sono rivelati abili costruttori di nuove narrazioni estese in più dimensioni, tempi e spazi. Da qui la sua serie di installazioni dove parole – quelle delle poesie precedentemente scritte - e schizzi monocromi, concepiti in momenti diversi e indipendentemente l’uno dall’altro, sono stati assemblati in nuove strutture narrative con la regia di un terzo momento di slancio creativo e con la loro integrazione in un discorso installativo orchestrato con l’aiuto di cornici appositamente disegnate. Il segno della parola si è liberato dai margini della carta, è entrato nello spazio tridimensionale per giocare con le immagini e creare una “meta-poesia”. Nelle trasparenze dei vetri che li hanno racchiusi in sottilissime cornici - visibili il fronte e il retro

Ginevra Lilli, La memoria. Fotografia di Simon d’Exéa, 2014

Ginevra Lilli, Luna su Galte. Fotografia di Simon d’Exéa, 2014

Ginevra Lilli, Il mare. Fotografia di Simon d’Exéa, 2014

Ginevra Lilli, La tensione. Fotografia di Simon d’Exéa, 2014

Ritratto di Ginevra Lilli di Simon d’Exéa

P

54 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


osservatorio critico ATTIVITA EDITORIALI

– linguaggio e forma, colore ed emozione, hanno danzato su un piano circolare. Nei lavori installativi e nella simultaneità di più gesti creativi, la sua interiorità ha trovato l’uscita attraversando uno spazio-tempo catartico. “Ancora non so dove andate emozioni/ dopo che siete state. Dopo che mi avete fatto sentire viva, /spaventata o felice. Dopo avermi reso fantoccio/svuotato. (G. Lilli, Emozioni, in “Diario Ordinario”, 2014). “Parole scacciate / dopo averle cercate. Dimenticate / dopo averle scritte. (G. Lilli, La tensione, “Diario Ordinario”, 2014). Lo svuotamento che segue il momento creativo, ha ritrovato nuova vita nella memoria emotiva di chi è stato automaticamente catturato e sintonizzato sulle sue “frequenze di ascolto”. “L’arte va ‘ascoltata’ nella sua totalità, - ci spiega il poeta Francesco Loi nella prima di una serie di riflessioni sulla poesia pubblicate sulle pagine del “Sole 24ore” - che questa si manifesti nel suono della parola, o nell’emozione del gesto che disegna.” Ci ricorda, prima di ogni cosa, che la poesia “è quel moto che nasce dal nostro essere” (F. Loi, La poesia secondo me, “La Domenica del Sole 24ore”, 10 agosto, 2015). L’articolo scorre e Ginevra Lilli sembra incarnare tutto ciò che Loi racconta della poesia – tra le altre cose - nella lontananza da condizionamenti accademici, nel “continuo stupore di fronte alla propria espressione” (Loi), nel suo muoversi direttamente dall’inconscio al foglio e allo spazio, lasciandosi guidare dall’intuizione. Ginevra Lilli è la dimostrazione che l’arte può ancora essere generata direttamente dalla forza dell’interiorità. Attraverso la sua guida, materiali e tecniche possono rivelarsi veicoli capaci di esternare, tradurre e trasporre un’energia difficilmente contenibile all’interno dei confini epidermici. Impariamo così a riconsiderare l’uso e il significato della tecnica, a tirarlo fuori dalla sua semplificazione, a rileggerlo secondo il suo contesto. “Il mezzo che usa [la poesia] – prosegue Loi nel suo articolo - è la parola […]. La prima tecnica che usiamo è la lingua (se fosse pittura, il mezzo sarebbero i colori, che non sono sette come ci dicono, ma sono infiniti); è nel rapporto dell’essere con il mezzo espressivo che nasce ‘lo specifico’ del mezzo.” La lezione di un poeta si ricongiunge con quella di un critico d’arte, José Jiménez, che nella sua “Teoria dell’arte” (Aesthetica, 2008) ci insegna a “vedere” l’immagine su più piani (considerando anche il piano verbale e sonoro oltre che visivo). I suoi esercizi di visione iniziano con il ricordarci dell’etimologia della parola arte, ars, che traduce in latino la parola greca techné, all’epoca intesa come abilità empirica (mentale e manuale) che abbraccia una varietà di discipline (tra cui anche pesca e strategie militari). “Perché i Greci chiamavano la poesia il fare? – scrive Loi sulla via di concludere il suo bellissimo articolo – Perché è proprio un fare: un operare su se stessi […] La poesia, quindi, è una delle arti che opera sulla materia”. Il lavoro di Ginevra Lilli ci stimola a riprendere in mano que-

Ginevra Lilli, Sequenza dei lavori fotografici, 2015

Ginevra Lilli, Il viaggio. Fotografia di Simon d’Exéa, 2014

sti strumenti per poter re-imparare a “vedere“e ad “ascoltare“ l’arte nella simultaneità del suo manifestarsi. Nelle sue opere tutte le tecniche suggeritegli dalla spinta creativa, in primis la parola, si mettono al servizio del suo inconscio per spingerlo verso l’esterno prima che si richiuda nella sofferta e tormentata sfera dell’interiorità e in attesa che la creatività impulsiva non si materializzi nuovamente nelle forme più diverse e imprevedibili, come quelle che ci aspettiamo di “vedere“ ed “ascoltare“ nei lavori prossimi. n

Ginevra Lilli, Lasciami fuori da tutto (recto), 2013

Ginevra Lilli, Lasciami fuori da tutto (verso), 2013

Ginevra Lilli, Invito (recto), 2013

Ginevra Lilli, Invito (verso), 2013

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 55


Nicola Pedana Arte Contemporanea | Caserta

dare dunque a quelle note che sviano dal senso di ufficialità sotteso alla loro rappresentazione? A questa domanda Savini risponde innescando un altro paradosso. La fastidiosità del suono, che accompagna l senso della Storia è essere immersi i ritratti di Carlo di Borbone, Amalia di Sasnella Storia, nella sua “lunga durata”, sonia, Gioacchino Murat, Ferdinando II, il affermava lo storico francese Fernand busto di Giuseppe Garibaldi, il dipinto della Braudel; anche se non ne abbiamo la perbattaglia di Velletri di Francesco Solimena cezione o la coscienza, le ripercussioni di e la riproposizione dell’encausto della batcerti avvenimenti persistono nei secoli taglia del Volturno di Giuseppe Vizzotto Alaffiancando l’uomo del presente, che vive berti, modera il senso di mistificazione dei quotidianamente incontri con la tradiziopersonaggi e dei fatti storici, impressioni ne. Gioca con intelligenza su questo tema ulteriormente accentuate dalla particolare Maurizio Savini, l’artista romano noto al tecnica con cui Savini realizza queste copie pubblico per le sue sculture realizzate con il di originali. Ogni opera è, infatti, creata atchewing gum rosa, in questa sua personatraverso l’uso di piccole tessere di gomma le da Nicola Pedana Arte Contemporanea, da masticare (ma non masticata), tali da renon a caso intitolata “Reggia Galleria”, che stituire l’effetto dei mosaici medioevali in immediatamente ricollega lo spazio espopasta vitrea. Proprio l’uso di un materiale sitivo con il luogo simbolo della città di Caserta. Spiega Stefano Riccioni curatore Maurizio Savini, Garibaldi, busto in chewing gum, 2015 così corruttibile, la cui caratteristica principale è la morbidezza, sebbene il risultato della mostra: «La nostra Storia, l’età Borbonica, il Risorgimenfinale ottenuto dall’artista, attraverso successivi interventi pittoto; tempi complessi, dolorosi, dibattuti, le cui ferite non ancora rici e un’abilità nel modellato senza pari, non lascino pensare a rimarginate sanguinano nel presente», sono re-immaginati da qualcosa di fragile, ridimensiona l’aurea contemplativa di queSavini con la coscienza del senso di frammentazione della nostra sti grandi personaggi della storia d’Italia, riportandoli sul piano epoca. Ed è proprio qui, nelle tracce che la Storia lascia dietro dell’umanità, restituendogli, forse, quei di se, che la sua arte s’insinua, con ironia Savini, Vanvitelli, tratti comuni che fanno ogni essere umae sarcasmo, mostrando quanto la contem- Maurizio 100x80cm, chewing gum su tavola, 2015 no pari all’altro, senza trascurarne fattezze poraneità sia immessa nella “lunga durata declinate in chiave Pop, sua cifra distintiva. degli accadimenti”. Apre la mostra, guidaA questo discorso l’artista ne affianca un ta da un tappeto rosso che dall’alto scende altro che fa leva sulla presunta verità della nello spazio della galleria, una bicicletta Storia e sulla trasmissione delle immagini. che, opera intitolata “Anita”, suggerisce Nel realizzare i falsi ritratti dell’architetto allo spettatore un senso di movimento Luigi Vanvitelli e del suo assistente Giuche ripercorre idealmente la sensazione di seppe Piermarini, Savini sfida l’osservatore narratività insita alla Storia. In realtà Anita al gioco del riconoscimento, testando in non conduce in alcun luogo, ma permette a prima persona incomprensioni e scarsa coun vecchio giradischi di eseguire l’inno nanoscenza sul passato che spesso si traduce zionale solo se azionato dalla pedalata di nella perdita d’identità culturale. Tuttavia, chi sceglie di salirvi, suonando, tuttavia, la a Savini non interessa conoscere la Storia, lode sempre in modo stonato che non conné che lo spettatore la padroneggi perfetsente a chi ascolta di coglierne fino in fontamente, ma semplicemente insinuare il do la maestosità. Subito è chiara la metadubbio tanto sui limiti delle nostre conofora proposta dall’artista: al presunto spiscenze e coscienze, quanto lasciare aperto rito esortante dell’inno, si contrappongono l’interrogativo sul valore che essa ha nella la disarmonia del suono e l’immobilità del nostra quotidianità. Maria Letizia Paiato mezzo che minimizzano il suo significato in rapportato alla modernità. Che valore

Maurizio Savini

I

Maurizio Savini, Il trionfo di Velletri, 86x114 cm. chewing gum su tavola, 2015 Maurizio Savini, installazione in galleria.

56 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

Maurizio Savini, Battaglia del Volturno, 120x200cm, chewing gum su tavola, 2015 Maurizio Savini, in primo piano: Anita, bicicletta e giradischi, 2015


osservatorio critico ATTIVITA EDITORIALI

Galleria Pio Monti

Giovanni Albanese Tartaruga senza ruga

U

na piazza… Fontana delle Tartarughe. Una galleria. Una porta d’ingresso: Pio Monti “abita” qui. Strane luci sul pavimento. Per terra le tartarughe, giovani e senza rughe, di Giovanni Albanese. Anche loro davanti alla fontana, rinate dalla luce per un cammino ideale verso la fontana. O per fuggire lontano, verso le archeologie di Torre Argentina. O forse per seguire la via del fiume, in direzione del mare o di qualche privilegio abitativo. Un cammino di luce che lascia segni fiabeschi sul pavimento, tra scie di memoria e alchimie del linguaggio, nel cuore di un movimento lento che sfida i ritmi impavidi della civiltà contemporanea. Giovanni Albanese modula la luce con ancestrale magia, in bilico tra la memoria genetica dell’immagine (la luce come origine della fotografia e poi del cinema) e l’uso pittorico del segno luminoso. Le sue perimetrazioni a basso voltaggio disegnano le forme di un immaginario poetico che cuce il reale al fantastico, dando alla scultura le giuste ibridazioni tra uso e riuso. Tartarughe felici con la loro casa portatile, la loro cadenzata lentezza, le loro luci direzionali o forse solo ambientali. Scie luminose che guidano la via, accendono idee, vibrando come fari nella notte di Piazza Mattei…. Le marciatrici di Albanese ci deliziano con la loro empatica simpatia, non parlano ma sembra che dicano di rallentare il passo, scartando strade inutili, evitando ostacoli insormontabili, scegliendo una direzione che però sia quella giusta. Quantomeno la migliore possibile. Perché andare avanti con lentezza significa viaggiare meglio, ragionare lungo il percorso, metabolizzare errori e giustezze. Il passo lento del corpo è il passo veloce del cervello e il ritmo giusto del cuore. Fantastiche le “tartarughe felici” di Giovanni Albanese. E grazie per aver fatto un salto in galleria da Pio Monti. È sempre bello quando l’opera rispecchia un’idea in movimento. Movimento lento eppure resistente, molto resistente. Resistentissimo (come la grande arte)… (dal testo in catalogo di Gianluca Marziani)

Giovanni Albanese, Tartarughe felici e Mezzocuore a dinamo, 2015, installazione, dimensioni ambiente, PIOMONTI arte contemporanea, Roma, ph. Giorgio Benni Giovanni Albanese, Tartarughe felici, 2015, installazione ambientale (particolare) cera, ferro e luci, foto Claudio Abate

Sopra il titolo: Giovanni Albanese, Tartarughe felici, 2015 installazione ambientale (particolare) cera, ferro e luci, foto Simon D’Exéa. In basso: Giovanni Albanese, Tartarughe felici, 2015 installazione ambientale (particolare) cera, ferro e luci foto Claudio Abate

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 57


Galleria Bonelli, Milano

Bruno Munari

er la prima volta nei propri spazi una personale dedicata al maestro P dell’astrazione italiana Bruno Munari.

La mostra del poliedrico artista milanese (1907-1998), attivo sulla scena nazionale e internazionale per settant’anni, è curata da Riccardo Zelatore ed offre al pubblico una campionatura dei principali periodi dell’attività di Munari. Proposto in questa occasione un corpus importante di opere, tra loro anche molto eterogenee, che permette di cogliere il vero filo conduttore dell’attività dell’artista: il suo metodo progettuale. In mostra si passa dai primi esiti di connotazione futurista alle Macchine aeree, dai Negativo-positivo alle Sculture da viaggio, dai Libri illeggibili ai pezzi di design, dalle Curve di Peano agli ultimi esiti della incessante ricerca di Munari. L’esposizione sottolinea alcuni aspetti peculiari dell’opera di Munari, come ad esempio il rapporto con il mondo della didattica e la collaborazione, praticamente ininterrotta, con molte delle riviste italiane dedicate al progetto, alla comunicazione, all’arte. Il percorso allestitivo mette in relazione settori disciplinari diversi che per Munari rappresentano fasi distinte di un’attività progettuale senza soluzione di continuità. La mostra si avvale sul ricco patrimonio di opere di Munari conservate da Casaperlarte – Fondazione Paolo Minoli, soggetto nato a Cantù nel 2004 su iniziativa dello stesso Minoli, egli stesso artista e grande amico di Munari. (dal c.s.)

Galleria Beaarte, Roma

Federica Di Carlo Fiorella Rizzo

ei pressi di piazza di Spagna una galleria d’arte dedicata alla luce, N BEAARTE, ha presentato due artiste diverse per generazione e linguaggio: Federica Di Carlo e Fiorella Rizzo, ambedue impegnate in una ricerca che abbraccia la luce come estetica, simbolo e “filtro” conoscitivo. “Irradiazione”, titolo della mostra, vuol dire “emanazione di energia raggiante” e, di fatti, lo spazio longitudinale della galleria si manifesta come percorso costellato di passaggi dinamici centro-luce, in costante dialogo tra loro. E, a proposito di dialogo, le opere in mostra sembrano sondare i meandri della conoscenza proponendosi come maiéutica estetica. Ad accogliere il visitatore i lavori di Rizzo: lampadine, pioggia di fili e ampi fogli trasparenti dalla trama aggrovigliata di mappature labirintiche e inestricabili, restituiscono la complessità

dei percorsi della conoscenza e, allo stesso tempo, ne svelano il meccanismo, il segreto e la prassi filosofica come accade anche nel lavoro Raggio di sole con gancio. In un continuum espositivo l’installazione ambientale di Di Carlo Celeritas accentra l’elemento della porta (recuperata poeticamente e ricollocata dove era ab origine) simbolo universale di passaggio verso una nuova conoscenza, dipanando la sintesi visiva attraverso fasci luminosi pluridirezionali e con la virgola di un arcobaleno restituito da una schiera di lenti circolari. Il mondo è un complesso meccanismo e il desiderio di conoscenza dell’uomo porta a scivolare in schiaccianti ingranaggi, sembrano volerci dire i lavori delle artiste. C’è il fascino e c’è il rischio: lo scotto della conoscenza, alias della verità. Giuliana Benassi

Federica Di Carlo, installazione Celeritas.

Fiorella Rizzo, Raggio di sole con gancio, 2009-13

Villa Filiani, Pineto (Teramo)

Giorgio Cattani

Bruno Munari,1953 acrilico e tempera su cartone, 67 x 67 cm

Bruno Munari Macchina aerea, 1994 carta legno e filo, 70 x 120 cm

Cattani, Sala, Zino

ottocentesca Villa Filiani di Pineto (TE) è stata teatro, durante la stagione estiL’ va, di particolari interventi artistici proposti

dal gruppo di ricerca Yoruba di Ferrara, che ha visto la partecipazione di Giorgio Cattani, maestro delle seconde avanguardie, con la mostra Trasloco, Zino nome d’arte di Luigi Franchi, giovane emergente di origini abruzzesi con Totem, curata da Lucia Zappacosta, direttore artistico dell’Alviani Art Space di Pescara e Roberto Sala, fotografo e grafico di professione con Oltre il Confine Chissà. Cattani con il suo intervento ha dato forma a un’installazione in dialogo con il luogo, ispirandosi ai tracciati della transumanza, segni fisici e culturali che connotano questa terra, l’Abruzzo, come luogo di passaggio emozionale e di lavoro, zoomandola e por-

58 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


osservatorio critico ATTIVITA EDITORIALI

Palazzo Parissi, Monteprandone (Ascoli P.)

Accesa! Arte Illuminata

collaborazione con lo spaziomOHOc di Luciani, la V edizione di “AcceIsa!nNazareno Arte Illuminata” è stata proposta nella

storica location: i suggestivi spazi sotterranei di Palazzo Parissi a Monteprandone, con il progetto espositivo (a cura di Claudia Fiasca e Martina Lolli) che ha introdotto interessanti novità, includendo anche vari appuntamenti performativi. Gli artisti in mostra -Polyxeni Angelidou, Barbara Baroncini, Ado Brandimarte, Bruno

Cerasi, Dehors/Audela, Anna Messere, Federica Simonetti- sono stati chiamati a concepire delle opere site-specific in dialogo con gli spazi dello storico palazzo e, soprattutto, con la tematica della luce proposta come metafora della dimensione interiore dell’uomo. FormAzioni della luccicanza, titolo della mostra, richiama da un lato lo schiudersi di forme di luce dall’oscurità, dall’altro fa riferimento all’introduzione di azioni performative capaci di incarnare quel meccanismo interiore intento a misurare e vagliare il confine tra la luce e il buio. Il percorso espositivo rende questa ampia metafora

per via della costante penombra intervallata da appuntamenti inattesi con la luce. La stanza di Federica Simonetti si è offerta al visitatore come esperienza multisensoriale da vivere in assenza o in presenza di luce; così come l’installazione ambientale di Bruno Cerasi ha ricreato l’intimità di un interno casalingo mostrando l’anima delle cose attraverso la luce. Alcune presenze “primitive”come l’installazione di Ado Brandimarte e di Barbara Baroncini hanno caratterizzato il percorso espositivo richiamando a quella primigenia ricerca interiore tanto universale, quanto arcana. Giuliana Benassi Federica Simonetti, Ciclo idrologico, 2014 Ph Emanuela Amadio

Bruno Cerasi, Human Needs. Ph Piero Geminelli

ABC ARTE, Milano

Paolo Bini Behind the Visible

nella capacità di conciliazione dell’analisi formale della realtà con il contenuto È emotivo dell’immagine che si distingue

l’opera di Paolo Bini, caratterizzata dallo studio degli elementi essenziali della pittura stessa: struttura, colore, emozione. Sua cifra distintiva è l’astrazione di possibili paesaggi in moduli di carta gommata affiancati a formare diagrammi verticali e orizzontali, dai cui ottiene intensi ed espressivi dipinti capaci di valicare i confini dell’immaginazione. Il colore, deciso e squillante, è stato negli ultimi anni protagonista assoluto della sua produzione; un colore forte, penetrante che in questa sua ultima personale, a cura di Ivan Quaroni presso gli spazi di ABC ARTE a Milano, tende a ridursi fino a sfiorar e il limite del monocromo. È uno scarto interessante con la produzione di appena

Paolo Bini, White, 2015 Acrilico su nastro carta su tela 30x30

Paolo Bini, Pink, 2015. Acrilico su nastro carta su tela 30x30

qualche anno fa, che mostra il giovane di origini campane proiettato a una sintesi di linguaggi affini all’Astrazione lirica al Neo Geo senza trascurare gli esiti della pittura Informale e gestuale. Una pittura la sua

dove s’incontrano, idealmente, le due principali linee d’indagine dell’arte aniconica del Novecento: quella fredda e razionale e quella calda ed emotiva. Maria Letizia Paiato

tandola sul macro-mondo della cronaca dell’oggi utilizzando immagini delle grandi migrazioni. Zino invece, puntando l’attenzione sulla percezione odierna della dimensione “votiva” dell’oggetto, ha realizzato due alte colonne, simbolo di moderne entità spirituali. Infine, Roberto Sala, riflettendo sulla particolare architettura della Villa, ha instaurato una laconica conversazione fra i suoi scatti e questo luogo; dove le sue immagini, caratterizzate dalla messa in evidenza delle geometrie di paesaggi urbani, edifici e monumenti, sfumano elegantemente verso il concetto di attraversamento. Villa Filiani è quindi diventata nella visione poetica di Sala emblema di un’entità espansa, che vede nell’oltreconfine un’intenzione, una spinta verso il futuro accompagnato dalle note de La casa di Hilde di Francesco De Gregori cui s’ispira il titolo di questa esposizione. Maria Letizia Paiato Roberto Sala, Luogo 1160, Milano 2015

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 59


Centro Antico di Grottaglie (Ta)

Sarah Ciracì Renato Galante MultiVerso

uante visioni del mondo creano gli artisti? E quanti mondi esistono? Q Questo nostro mondo terrestre è unico?

Micromondi, macromondi, universi paralleli, pluriversi, multiversi… Quali sono le teorie della scienza e quali le teorie dell’arte? Precursore dell’idea di multiverso fu, in pieno Cinquecento, Giordano Bruno con i suoi “infiniti mondi”, anche se l’ipotesi filosofica più antica fu degli atomisti greci. E il concetto di universi paralleli non è estraneo alla letteratura (Jorge Luis Borges) né ai classici della fantascienza. Nella fisica moderna l’idea di multiverso postula l’esistenza di universi coesistenti e alternativi, situati fuori dal nostro spazio-tempo e generati da dimensioni parallele (pensiamo alla teoria delle stringhe o quella delle bolle e dell’inflazione caotica). Per quel che riguarda la visionarietà estetica, invece, alcune ipotesi inaspettate quanto convincenti le offre questa interessante mostra ospitata nella location suggestiva di una vecchia fabbrica di cera-

Parco Sculture la Palomba, Matera

Gaetano Grillo

rentasei metri di lunghezza, tre di altezza. Tremilaseicento moduli, cinque T anni impiegati per realizzarli. I numeri già

danno un’idea dell’impegno e dell’impatto del grande muro di formelle in terracotta che Gaetano Grillo ha innalzato nel capannone del Parco Sculture la Palomba su invito di Antonio Paradiso, il vulcanico artista pugliese tornato in scena dopo un brutto incidente e sempre più determinato a valorizzare e accogliere contributi nel suo affascinante sito alle porte di Matera. Il lungo setto murario, posto al centro del vastissimo ambiente a ridefinirne lo spazio, svela il codice prima segreto dell’” Alfabeto grillico”, un personale cifrario “mediterraneo” che Grillo ha iniziato ad elaborare nel 1997, dopo un viaggio in Egitto. Usate in precedenza per dipingere Gaetano Grillo, Parco Sculture la Palomba, Matera

60 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

miche nel centro antico di Grottaglie. Il progetto comune “MultiVerso” di Sarah Ciracì e Renato Galante, promosso con generosità dalla galleria Cosessantuno di Taranto e ben curato da Antonella Marino, si articola lungo un complesso e inusuale percorso espositivo denso di citazioni letterarie, topoi fantascientifici, teorie della fisica. D’altrocanto il titolo della mostra allude al processo osmotico tra i due artisti, al confronto-incontro dei rispettivi mondi creativi che giungono qui a singolare sintesi, suggerendo letture differenziate eppure tutte ugualmente pregnanti Una grande installazione con tredici piccoli crateri in argilla, pieni d’acqua, muove da fantasie narrative per introdurre il concept di tutta la mostra: la possibilità di accedere a dimensioni diverse da quella terrestre, in cui tesi scientifiche e racconto visivo si intrecciano, rendendo incerto il confine tra realtà fisica e immaginazione, verità e apparenza, percezione e finzione. Dall’oscurità spezzata da luci fluttuanti e lampi improvvisi della storica architettura (prima chiesa, poi deposito, poi fabbrica) emergono - tra pitture, manufatti in terracotta/ceramica, tecnologie visive di video e proiezioni, installazioni, luci UV - tele dipinte distese sul terreno o issate come stendardi, custodi di stratificati processi di sedimentazione materica, paesaggi terrestri e panorami lunari, seduzioni stellari, suggestioni acquee, albe di nebulose e tramonti di soli. Nessuna evocazione propriamente figurale. Nessuna indagine intenzionalmente astratta. Piuttosto: suggestioni indefinibili, intuizioni sfuggenti, provocazioni emozionali. Essenze di natura, allusioni atmosferiche, riflessioni sulla relatività dei concetti di spazio-luogo e di tempo-storia.

L’interesse non retorico per la natura e per le sue dinamiche misteriose è del resto una costante all’interno delle opere sia di Ciracì e che di Galante: “Nelle pittoriche composizioni floreali di Galante, in cui l’eleganza decorativa o il vitalismo materico vira verso più inquietanti, malati e decadenti risvolti. Nelle acide e radioattive visioni della Ciracì, video e manipolazioni fotografiche in cui scenari di fantascientifici di mondi altri funzionano invece come seducente sublimazione di paure appartenenti al nostro mondo”, come scrive la Marino in catalogo. Entrambi gli artisti, in questa occasione, mostrano aspetti significativi dei propri interessi di ricerca protesi nei territori dell’estetica contemporanea in bilico tra arte scienza tecnologia. Maria Vinella

misteriose parole su coloratissime tavole (nella mostra, a cura di Gaetano Centrone, sono esposti alcuni di questi “nastri” recenti), le 21 lettere dell’alfabeto si parano qui in diverse varianti iconiche. Introdotte da preziosi capoversi in luccicante smalto dorato, sono impresse manualmente in rilievo sui riquadri color biscotto mixando eclettiche fonti: da prelievi di altre lingue antiche e moderne, a citazioni di stilemi di artisti, al prestito da noti loghi global... Il risultato, imponente ed elegante nella sua monocroma essenzialità materica che richiama ile tavolette graffite dell’originaria scrittura cuneiforme, traduce in segni le contaminazioni culturali della composita civiltà mediterranea, la sua complessa identità meticcia. Collegandosi paradossalmente anche alla cifra eclettica della contemporaneità medializzata, dove le navigazioni in Rete hanno preso il posto degli antichi viaggi per mare. L’operazione che Gaetano Grillo porta avanti da tempo, fin’ora soprattutto con

l’amato medium della pittura, offre così uno sguardo critico che dal passato si connette al presente. Pur dietro l’irrinunciabile controllo estetico e formale, non ignora infatti la problematicità del tema mediterraneo, la dimensione storica di un conflitto deflagato nelle drammatiche tensioni geopolitiche e religiose dell’attuale scenario. Individua però nella convivenza delle differenze l’’unica possibile risorsa, che proprio l’arte ha il compito di sottolineare. Nella direzione di sollecitare un processo attivo nello spettatore va anche la politica commerciale congegnata per quest’ opera: ogni formella alfabetica è venduta ad un prezzo popular di 100 euro. Secondo disponibilità e desiderata, ciascuno può comporre una frase o più semplicemente un nome, offrendo in tal modo il proprio contributo aperto di partecipazione alla stratificazione creativa di interpretazioni, memorie, pensieri e punti di vista. Antonella Marino



PAOLA RISOLI I’MBERLIN Personale di Paola Risoli

26 SETTEMBRE / 22 NOVEMBRE 2015

Il ritrovo di Rob Shazar Via Diaz 26 82019 Sant’Agata De’ Goti (Bn) tel. + 39 0824 832837 mob. + 39 339 1532484 shazar@virgilio.it galleria shazar@gmail.com Il ritrovo di Rob Shazar shazargallery

ORT, 2010

AscoltAre il tempo mostra personale di Graziano PomPili dAl 24 ottobre 2015 Al 6 gennAio 2016 gAlleriA duomo - ViA finelli, 22 - cArrArA

a cura di Filippo Rolla

info@galleriaduomo.it www.galleriaduomo.it


attività espositive DOCUMENTAZIONE ITALIA / Estero

Agrigento

Franco Politano

Attingono all’antologia degli arnesi quotidiani del lavoro agricolo di un tempo, che l’artista rimaneggia e ricompone sapientemente per sue riflessioni sulle contraddizioni della società contemporanea, le opere di Franco Politano protagoniste di Verso Sud, mostra che le Fabbriche Chiaramontane propongono a cura di Enrico Crispolti, e organizzata dalla collaborazione fra l’associazione Amici della Pittura Siciliana e la galleria Arionte. Trentuno i lavori esposti. “Strumenti come roncole, ganci, rampini, cappi o altro – scrive il curatore Crispolti nel suo saggio critico - disposti come con un atto d’ordinata ritualità, che li istituisce a privilegiati simboli di violenza seriale”. “Verso Sud è anche un invito a interrogarsi – dice l’artista - dinanzi alla ‘Porta dell’accoglienza’”, opera concepita nel 2008 e nata come risposta a quella realizzata da Mimmo Paladino per Lampedusa, prima ancora che quella dei migranti divenisse l’emergenza umanitaria che è oggi. “Anche le materie che Politano vi ha messe in opera – precisa Crispolti - mi sembrano ora più raccolte, a volte decisamente meno oggettuali, utilizzando stoffe e soprattutto duttile lamierino, e insistendo su forme simbolicamente ricorrenti”. Alla mostra è dedicato un catalogo (Edizioni Dietro le Quinte). Franco Politano La porta dell’accoglienza 2008, ferro courtesy l’artista Alessandra Maio, Nuvola, courtesy Bi-Box, Biella

DAVID CASINI

Geometrie per un canone rovesciato è il titolo della mostra che David Casini ha allestito presso gli spazi della galleria CAR drde, partendo da una riflessione sul complesso scultoreo del Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca, custodito nella Chiesa di Santa Maria della Vita. L’artista, traendo da quest’opera la sua straordinaria forza drammatica che la rende atemporale e isolando alcuni elementi della gestualità del Cristo e delle figure che lo circondano fin quasi a renderli irriconoscibili, fissa l’attenzione su riferimenti lievi e quasi impalpabili capaci di creare un liaison fra il tempo presente e quello passato. Rielaborando queste forme attraverso il proprio vocabolario artistico, costituito da geometrie complesse e calibrati cromatismi, Casini ricostruisce una sorta di “geologia urbana”, dove il suo nuovo insieme scultoreo, formalmente minimale, palesa nell’apparente leggerezza la medesima drammaticità del Compianto sul Cristo.

David Casini, Geometrie per un canone rovesciato courtesy CAR drde. Bologna

Brescia

DAVID MALJKOVIC

Con la galleria, David Maljkovic svela soprattutto un’amicizia più che un rapporto d’affari con Massimo Minini, titolare dell’omonima galleria, un rapporto fondato sulla condivisione d’interessi artistici, visioni comuni, tensioni verso il futuro che mettono in secondo piano l’aspetto commerciale legato all’opera. Maljkovic interviene su sculture e oggetti del passato, ricreando atmosfere di tempi andati alternate ad altre affini a quelli moderni, il cui risultato è il frutto di una vera e propria esplorazione degli spazi della galleria, compresi quelli mai accessibili al pubblico dei depositi, del magazzino e degli archivi.

Cosenza

Quattro artisti argentini

Con il titolo Gli altri italiani, i quattro artisti argentini Omar Panosetti, Diego Perrotta, Ernesto Pesce, Jorge Pietra, dopo aver esposto le loro opere a Siracusa alla Galleria Not’Art, sono ospiti del Centro espositivo Vertigoarte. Artisti di origini italiane per una mostra come sorta di ritorno alla terra di origine. “Nonostante i diversi approcci e l’ecclettismo delle loro opere – scrive Salvatore Anelli – riscontriamo nel lavoro esposto un filo conduttore, un legame intrinseco che si evince in segnali impossibili da occultare, che affiorano con prepotenza e con desiderio di essere riconosciuti dalla terra delle origini”.

Faenza

Nico Vascellari

A cura di Daniela Lotta, personale di Nico Vascellari dal titolo Carnival Of Souls, un progetto espressionista e allucinante ideato appositamente per Tesco, luogo espositivo dedicato alle diverse sperimentazioni culturali contemporanee, fondato e diretto dal 2011 dall’artista Marco Samorè in Vicolo Vergini 13, di Faenza. Il potere suggestivo dei lavori che compongono Carnival Of Souls, la loro carica visionaria e la loro vertiginosa forza gestuale, conferma la capacità dell’artista di attivare zone di relazione tra elementi provenienti da diverse forme di conoscenza: dalla antropologia alla etnografia, dalla filosofia alla cultura popolare. A partire dalla figura archetipica della civetta, la cui simbologia ambigua ha da sempre affascinato i popoli per le sue valenze misteriche e notturne, Vascellari traduce in scultura le molteplici dinamiche che definiscono i legami tra gli individui. L’emersione di immagini innescate da eventi emotivi vissuti dall’artista trovano concretezza in un gruppo di opere alcune delle quali in ceramica, materiale che per la sua indole metamorfica si dimostra ideale a rivelare l’indeterminatezza delle relazioni interpersonali, realizzate con la collaborazione tecnica della Bottega Gatti di Faenza.

Biella

ALESSANDRA MAIO

Fedele all’uso della penna biro e al ricorso alla scrittura come elemento integrativo e fondante della forma pittorica, Alessandra Maio in Mai tempo e coraggio alla Galleria Bi-Box, mette in scena i propri limiti, ma anche, più in generale, quelli con i quali prima o poi tutti ci troviamo a fare i conti: il tempo come mancanza per poter realizzare i tanti progetti posti in cantiere, spesso si tramuta in un alibi dietro il quale nascondere le nostre fragilità. In mostra i nuovi cicli Campiture in nero, rosso e blu; Non devo pensarci più; Errata Corrige; Non devo avere paura del buio; Nuvola, serie di lavori multipli dove la scrittura diventa chiaramente strumento del pensare e del pensiero e al contempo, e per la prima volta nel suo lavoro, veicolo con cui affrontare l’indagine sul colore, inteso come valore costitutivo e costruttivo dell’opera. La mostra è curata dal gruppo di ricerca Yoruba di Ferrara.

Bologna

MICHELE SAMBIN

Alla Galleria de’ Foscherari, incentrata sui temi del cinema d’artista italiano dall’Avanguardia alla Video-arte, la mostra Looking for listening di Michele Sambin è a cura di Lisa Parolo, con la collaborazione di Lola Bonora e Carlo Ansaloni. L’esposizione, articolata in quattro parti, illustra l’uso che l’artista fa delle diverse forme espressive: dal video al suono, dal disegno alla fotografia, dalla pellicola alla fisicità del suo corpo che interagisce con gli altri linguaggi, Sambin sottolinea continuamente l’importanza del tempo che scorre, che ci avvolge, ci consuma e si modifica.

Nico Vascellari, Carnival Of Souls, 2015 courtesy l’artista

Firenze

IL DADO E’ TRATTO

David Maljkovic, Con la galleria courtesy Galleria Massimo Minini, Brescia Michele Sambin, Looking for listening courtesy de’ Foscherari, Bologna

Sono oltre quaranta le opere di artisti quali Afro, Boetti, Bonalumi, Burri, Calzolari, Capogrossi, Castellani, Cola, De Dominicis, Dorazio, Fontana, Gilardi, Kounellis, Lo Savio, Manzoni, Melotti, Merz, Nigro, Paolini, Parmeggiani, Pascali, Pistoletto, Scheggi, Turcato, Uncini, Vedova e Zorio che con il loro lavoro documentano il superamento della tradizione figurativa dopo gli anni ’30 del Novecento, in questa esposizione da Tornabuoni Arte. Il dado è tratto è quindi nella visione del curatore Sergio Risaliti espressione che suggerisce l’idea che non è più possibile tornare indietro: «L’incrinatura è profonda e innegabile. La mimesi non è più lo scopo o il traguardo, il naturalismo non è un vincolo accademico cui sottostare, l’artista è libero di realizzare opere che non devono necessariamente riprodurre la realtà se non in termini di pura geometria, con un programma di forme assolute, di strutture autonome, anche quando si tratterà di superfici informi o materiali poveri. La pittura e la scultura astratta, in particolare, tracciano un vulnus, un distinguo nel rapporto mai risolto e mai pacifico tra tradizione e avanguardia». ESTATE 2015 | 253 segno - 63


Alfredo Pirri

Nella sede fiorentina di Edoardo Secci, Alfredo Pirri propone opere difformi per cronologia e dimensione, ma accomunate dal costante interesse dell’artista per lo spazio di confine tra arte e architettura, dall’attenzione ai materiali, al colore, alla luce e alla sua rifrazione. Se la superfice viene assiduamente trattata da Pirri come elemento prettamente spaziale, i lavori tridimensionali hanno sempre una forte matrice pittorica, sviluppata spesso in creazioni di architetture, reali o immaginifiche, intese come spazio, ma anche luogo di relazione archetipale. Visibile in città la grande installazione realizzata in collaborazione con il musicista Alvin Curran appositamente per il cortile del Museo del Novecento, in occasione del Festival Firenze suona contemporanea. La mostra segue l’esposizione estiva nella sede di Pietrasanta e precede una personale alla Galleria il Ponte nel prossimo gennaio. Alfredo Pirri è anche l’autore dell’immagine guida della 11° edizione della Giornata del Contemporaneo promossa da Amaci.

maTiAs sANChez

Alla Costantini Art Gallery la mostra El motín de la trucha (L’ammutinamento della trota) dell’artista sivigliano Matias Sanchez, il cui titolo riprende una novella popolare spagnola risalente al 1100 a.C. che racconta l’incredibile storia di una trota che, pur di non essere venduta a un ricco mercante si ammutinò dal banco del pesce, sul quale era esposta, per essere comprata da un popolano. Nelle tele di Sanchez si rintracciano personaggi e scenografie di questa vecchia favola, utilizzati dall’artista come metafore di una società rivoluzionaria e sovversiva, tuttavia dai toni sommessi e ironicamente tristi, dal gusto quasi grottesco, com’è solito nelle sue rappresentazioni l’artista. Enzo Cacciola, N.28, multigum su tela e ferro, 2014 courtesy Primo Marella gallery, Milano

Pittura Analitica

Genova

GIORGIO GRIFFA

Esonerare il mondo è la mostra che ABC-ARTE, in collaborazione con Lorenzelli Arte, dedica all’artista torinese Giorgio Griffa, curata da Ivan Quaroni, il cui titolo richiama alla memoria un concetto filosofico di Arnold Gehlen. Sono una ventina le opere qui ordinate, realizzate fra la fine degli anni Sessanta e Settanta, le quali testimoniano una fase cruciale della ricerca dell’artista, piena di scoperte e intuizioni che saranno importanti e determinanti anche negli anni successivi alla costruzione del suo linguaggio astratto. Fra le menti creative più geniali e affini alle esperienze della “Pittura Analitica” o “Pittura Pittura”, Griffa mostra tele libere, spiega Quaroni, non “costrette” dal telaio, dove il colore diventa il tramite di un’azione e il segno l’effetto di un pensiero. L’essenzialità della composizione si coniuga magistralmente a una pittura immediata, vivace e luminosa da forte impatto emotivo.

Giorgio Griffa, Obliquo, 1977 courtesy ABC-Arte, Genova

Milano

Gruppo del Cenobio

Fra il 1962 e il 1963 a Milano nasce il gruppo noto come del “Cenobio” sostenuto dalle idee di cinque artisti: A. Ferrari, U. La Pietra, E. Sordini, A. Verga, A. Vermi, uniti dalla volontà di creare una rottura nella cultura del proprio tempo inserendosi nel mondo dell’arte con nuovi linguaggi. Nel recupero del segno è lo scarto in avanti con l’Arte Informale, ma anche il simbolo della lunga storia dell’umanità, secondo la visione degli artisti, fondata sui rapporti di comunicazione. L’indagine segnica del Gruppo del Cenobio recupera la familiarità con il gesto dandogli nuova e diversa dignità artistica e volontà di rappresentazione dell’animo. La mostra racconta questa storia nata cinquant’anni fa negli spazi di Ca’ di Fra’.

Molto - Tutto

Nel 1986 Studio Guenzani avvia la propria attività con una personale di Arcangelo. Da allora, la spinta a promuovere continuamente artisti emergenti, il meglio del panorama italiano e straniero che oggi, a distanza di trent’anni sono considerate personalità consolidate nel circuito internazionale dell’arte contemporanea. Con questa mostra Molto-Tutto lo Studio ripercorre la sua stessa storia attraverso le opere di Araki, Arcangelo, Arienti, Basilico, Beuys, Bishton, Castellani, Gabellone, Garutti, Gobbi, Kaufmann, Kcho, Kusama, Lambri, Landers, Lawler, Lockhart, Manzelli, Mapplethorpe, McCarthy, Meadows, Morimura, Mulas, Nagy, Nepomuceno, Not Vital, Opie, Owens, Penone, Pessoli, Pittman, Rubbi, Ruppersberg, Scarpitta, Sherman, Sugimoto, Tuttofuoco e Yuskavage, i cui lavori nel tempo hanno caratterizzato in modo inconfondibile la visione estetica della galleria. 64 - segno 253 | ESTATE 2015

Matias Sanchez, El motín de la trucha courtesy Costantini Art Gallery, Milano Marcelo Moscheta, Rivoluzione #3, 2015 courtesy Galleria Riccardo Crespi, Milano

Sono 25 le opere di Pittura Analitica in esposizione da Primo Marella Gallery, realizzate in gran parte negli ultimi quindici anni, a testimoniare come la corrente rappresenti un campo d’indagine sempre attuale e in continuo rinnovamento. Curata e ordinata da Alberto Fiz, la mostra presenta lavori di Griffa che omaggiano la decorazione e anche Matisse, opere di Olivieri e di Verna dagli inattesi colori, ritorni ai media extrapittorici di Cotani, indagini sui materiali come la multigum e la resina di Cacciola, studi sulle Grammature di Marchegiani, ma questa volta utilizzati per catturare elementi ambigui della realtà, e trame di Zappettini dove l’artista lascia entrare vivido il colore. Infine Guarneri è presente con acquerelli, dove le trasparenze di luce si fanno più persuasive e Cecchini con fotografie su acetato che veleggiano sulla tela.

Il Tempo delle Pause

marcelo moscheta

218 a. C. è la seconda mostra italiana dell’artista brasiliano Marcelo Moscheta, che per la Galleria Riccardo Crespi presenta un’indagine sullo specifico territorio del Piacentino imbattendosi in un fatto storico importante per la città e la comunità. Nel 218 a.C., sulle rive del fiume Trebbia, durante la Seconda Guerra Punica, il cartaginese Annibale sconfisse i Romani, anche grazie al celebre passaggio dei 37 elefanti. L’episodio è lo spunto per Moscheta per una serie di considerazioni sul rapporto tra uomo e natura ma anche sulla percezione del tempo e la memoria. Come di consueto, l’artista si muove con fare da archeologo, catalogando resti di alberi, fossili zoomorfi intrappolati nell’ardesia e germogli vivi nella pietra, per poi rielaborare questi elementi in disegni e opere con tecnica mista alludendo così al rapporto tra caos e ordine.

Heroes

Dionisis Kavallieratos, Luca Vitone, Kristine Oppenheim, Nicola Gobetto, Vedovamazzei sono i protagonisti della collettiva Herois in mostra da Davide Gallo, il cui tema centrale verte intorno al concetto di eroe contemporaneo. Questo è visto, nelle visioni degli artisti, in chi è in grado, attraverso l’uso dell’immaginazione creativa di valicare i limiti dell’impossibile, di utilizzare la fantasia come veicolo di salvezza il cui fine è prendere coscienza della propria umanità, della propria fragilità, rintracciando in ciò un possibile atteggiamento eroico della vita. Al contempo, sono messi in scena contrasti e contraddizioni di eroi presunti cui la nostra civiltà guarda con occhi disincantati: dal mondo delle lobby di potere a quello dello star system, il concetto di eroe è sviscerato in profondità nelle opere di questi artisti, che ci mostrano con acume difetti e pregi di un percepire collettivo. Stefano Arienti, Cascata verde, 2006 chiusure lampo su poster, cm.137x200 courtesy Studio Guenzani, Milano

Attraverso le opere degli artisti che hanno collaborato con la Galleria Maria Cilena Contemporary Art dal 1989, questa si racconta in una collettiva che rappresenta concettualmente tante piccole memorie che si sono incontrate e sommate nel tempo al suo interno. Metaforicamente Il tempo delle pause diventa un tempo di pensiero e di riflessione con tutti gli artisti che hanno contribuito alla vita della galleria stessa. Sono dunque le fotografie, le pitture e le sculture di Alocco, Arzuffi, Bankemper, Bertelli, Bonomi, Brasca, Buttarelli, Cabutti, Candiano, Castaldi, Cordero, Danelone, De Leonardis, Egger, Fassetta, Garbelli, Gasparini, Gschwantner, Jardini, Inferrera, Martini, Milanesi, Nosari, Pisani, Pivotto, PlumCake, Pompili, Riello, Sartorelli, Saudoyez, Staccioli, Trotta, Valvassori, Wick e Xerra a ritmarsi in un percorso teso fra passato e futuro fra gli ambienti della galleria.

GONKAR GYATSO

Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea presenta il nuovo corpus di opere dell’artista tibetano Gonkar Gyatso intitolata Transcendental. Una personale ispirata dalla tradizione dei mandala e della pittura dei rotoli Thangka, dove l’artista esplora le sue radici tibetane tendendo al contempo all’idea di superamento del pensiero e dell’esperienza comune. Tuttavia, la mostra non è concentrata sul carattere sacrale di questa antica tecnica, né sul simbolismo buddista, ma sulla qualità astratta dell’iconometria, ovvero sul sistema di misure e di proporzioni della griglia Thangka. Gyatso, attraverso l’idea di rispondenza, offre una riflessione sul modo in cui le culture asiatiche sono state avvinghiate dal consumismo globale, lasciando allo spettatore l’opportunità di interpretare le sue opere sia giocosamente sia politicamente. Gonkar Gyatso, courtesy Mimmo Scomamiglio Arte Contemporanea, Milano


attività espositive DOCUMENTAZIONE ITALIA / Estero

Roma

TERESA IARIA

Ry David Bradley, Where Do You Want To Go Today? Graham Wilson, courtesy Brand New Gallery, Milano

La galleria PioMonti propone la mostra Changeables di Teresa Iaria, a cura di Laura Cherubini. Il progetto espositivo è frutto di un lungo processo di riflessione, che trova inizio nella ricerca dell’artista intorno alla Natura, quale origine e complessità delle cose, analizzata sotto il profilo della sua continua dinamicità che include tutte le entità (tra cui l’essere umano) quali criteri che indagano altri processi coinvolti in un unico movimento vitale. A partire da questa visione si sviluppa il lavoro proposto in mostra, idealmente articolato in tre tappe: riflessione sull’Olomovimento, alla base di tutta la produzione dell’artista; evoluzione zoomorfa nelle tele prodotte durante la residenza all’Isola Comacina nell’estate 2015; successiva sintesi espressa nelle opere realizzate per la mostra e segnate da una nuova impercettibilità e rarefazione.

RY DAVID BRADLEY GRAHAM WILSON

Due le esposizioni alla Brand New Gallery. la prima, di Ry David Bradley, intitolata Where Do You Want To Go Today?, propone nuovi lavori, dipinti e installazioni, ispirati ai luoghi da cui provenivano gli anonimi interlocutori che chiamarono gli uffici di Microsoft nel 1996 in seguito al lancio della campagna “Where Do You Want To Go Today?”, e interventi pittorici su cancelli in ferro prodotti in Italia. Bradley si esprime principalmente attraverso l’utilizzo di tinte dai toni caldi, riscaldate su superfici sintetiche scamosciate su cui in seguito intervine con pittura spray. Graham Wilson, in I Clocked Out When I Punched In, propoe una serie di lavori che riguardano la vita nell’atelier e la valorizzazione del lavoro dell’artista.

Teresa Iaria, Zoomorfic light, acrilico su tela, cm.80x100, courtesy galleria PioMonti, Roma Francesco Irnem, courtesy Anna Marra Contemporanea, Roma

MICHAEL JOHANSSON

Da The Flat - Massimo Carasi è di scena la personale Crossroads di Michael Johansson.Una installazione, costituita dall’utilizzo di oggetti di produzione di massa ed uso comune, sua cifra stilistica distintiva, rappresenta il pezzo centrale attorno al quale ruotano sculture inedite. L’artista svedese in questa esposizione segna lo scarto con il processo di accatastamento di oggetti eterogenei, composti in base alle loro forme e colori, per giungere a forme astratte di matrice geometrica. Centrale il tema dell’incrocio come punto d’incontro di rette, dalle quali si dipanano nuove possibilità di osservazione che stimolano a uno sguardo non convenzionale. Michael Johansson, Engine bought separately - Krups 2011, courtesy The Flat, Milano

Napoli

Tomaso Binga

La Galleria Tiziana Di Caro presenta Scrivere non è descrivere, prima personale nei suoi spazi di Tomaso Binga. La mostra include le più significative opere e performance degli anni ‘70, come Scrittura Vivente, Dattilocodice e Ti scrivo solo di domenica. Tomaso Binga, in arte, ha assunto questo nome per contestare con ironia e spiazzamento i privilegi del mondo maschile. Si occupa di scrittura verbo-visiva ed è tra le figure di punta della poesia fonetico-sonora e performativa italiana. Fin dal ‘71 la pratica dell’arte come scrittura è al centro dei suoi interessi. Una scrittura “desemantizzata”, strettamente legata all’azione e alle problematiche sociali, che spesso impegna fortemente lo spazio, come nelle opere della serie Scrittura vivente, in cui le sagome del suo corpo nudo mimano le lettere dell’alfabeto (1976), e della serie Dattilocodice per cui i grafemi della macchina da scrivere, impressi in sovrapposizione, acquistano una nuova iconicità (1978).

Francesco Irnem

A cura di Raffaele Gavarro, Anna Marra Contemporanea presenta Questa è solo una promessa di felicità, personale di Francesco Irnem. La mostra presenta tre installazioni che occupano i due ambienti della galleria e il cortile interno ridefinendone lo spazio ed elaborando un percorso che utilizza materiali provenienti dall’edilizia associati a immagini dipinte e fotografiche, insieme a elementi vegetali. Catalogo edito da Gangemi, con un testo del curatore.

Pure Evil

Wunderkammern presenta Echoes, prima personale italiana dell’artista britannico Pure Evil, tra i partecipanti al recente progetto artistico di Banksy, Dismaland in Weston-super-Mare, UK. La mostra esplora il tema della memoria vista come eco del passato che, come l’eco che distorce il suono originale riproducendolo in maniera differente deforma i ricordi, non solo quelli intimi, ma anche quelli di un gruppo, una memoria collettiva talvolta più forte di ogni altra. Esposte opere a stencil, spray, inchiostro, marker e acrilico su tela, serigrafie, la serie d’ispirazione orientale A Temple of Broken Hearts, i disegni con le storie d’infanzia dell’inedita Childhood Series e la celebre Nightmare, costituita da ritratti pop di star hollywoodiane segnati dalla caratteristica lacrima dell’artista. Fatma Bucak, There may be doubts, 2015, cm.110 x 140, stampa digitale ai pigmenti su carta cotone, ed. 5, courtesy Alberto Peola, Torino

Ελλάς

La galleria Tricromia ha chiamato illustratori, vignettisti e fumettisti greci a parlare della crisi ellenica da una pluralità di punti di vista nella mostra ελλάς. Il caso greco, esemplare per tutti i paesi al cappio del debito pubblico, fa sì che molti ora si interroghino sull’opportunità e la fattibilità di Eutopia, il sogno europeo. Gli autori attraverso i cui occhi il discorso si dipana sono Michael Kountouris, Petros Christoulias, Soloup, Thanassis Dimou, Thanassis Petrou e Giorgos Botsos.

Torino

PanoRama

Articolata in sei gallerie nel quartiere Vanchiglia (angolo di mondo in cui si è svolta la vita di Carol Rama, che abita da sempre in via Napione) viene proposta PanoRama, mostra che vuole indagare “l’eredità inconsapevole” di Carol Rama attraverso lavori e ricerche di giovani artisti di nazionalità differenti. Il progetto ha una natura poetica e non filologica, nel dare vita a una piccola geografia attorno alla figura di questa importante artista. Ogni galleria presenta un gruppo di artisti, sviluppando una mostra autonoma ma allo stesso tempo inserita nel circuito del progetto globale, tassello di una grande collettiva i cui lavori, nei confronti di Carol Rama, cercano di svelare punti di contatto, affinità e assonanze, mai in maniera diretta, didascalica o tematica, ma sempre con libertà evocativa e di confronto fra attitudini, sensibilità, soggetti, modalità espressive diverse. Gli artisti coinvolti (Silvia Argiolas, Francesca Arri, Guglielmo Castelli, Lin De Mol, Michela Depetris, Greta Frau, Andrea Guerzoni, Liana Ghukasyan, Keetje Mans, Silvia Mei, Vittorio Mortarotti, Cristiana Palandri, Melania Yerka, AnnMarie James, Mario Petriccione, Maya Quattropani, 108 nero e Alessandro Torri) sono stati individuati per un’attitudine, un certo carattere, un particolare sguardo verso le cose, un determinato gusto, una modalità di narrare e raccontare storie affini ed empatiche con il sentire, il fare e l’esprimersi di Carol Rama. Interlocutori importanti sono l’Archivio Carol Rama e la Fondazione Sardi per l’Arte, che ha promosso il catalogo. info@nopx.it

Fatma Bucak

Alla Galleria Alberto Peola personale di Fatma Bucak, artista nata nella Turchia orientale che si identifica allo stesso tempo come turca e curda, la cui opera esplora e interroga costantemente le condizioni concettuali e ideologiche dei paesaggi di confine. Questa indagine della contingenza degli spazi di confine si riverbera nel titolo della mostra, Nothing is in its own place, perpetuando il concetto di limine e le profonde implicazioni sociali e politiche per le vite di milioni di persone nel mondo. Le opere esposte sono frutto dei periodi trascorsi all’interno delle comunità del confine turco-armeno, di quello armeno-iraniano, dell’Anatolia centrale e del confine tra Texas e Messico; i progetti, benché nati in situazioni diverse, per precisa scelta dell’artista non sono presentati come corpi a sé stanti, ma come un’unica installazione in tre spazi.

Delfina Camurati

La HulaHoop gallery, sede del “MAU” Museo d’arte Urbana, propone a cura di Togaci ed Edoardo Di Mauro la mostra Cadono illusioni nascono vibrazioni, panoramica incentrata sulla storia di Delfina Camurati. La ricerca artistica è parte fondamentale del suo essere in continuo movimento, terapia d’urto per la sua anima in perpetuo mutamento, esemplificato dalle opere in mostra, in grado di testimoniare la coerenza e linearità del suo progetto, dagli esordi negli anni Settanta ad oggi. Delfina Camurati, Cattedrale, courtesy HulaHoop gallery, Torino

ESTATE 2015 | 253 segno - 65


altkirch

colonia

Al CRAC Alsace, collettiva dal titolo Bonne chance pour vos tentatives naturelles, combinées, attractives et véridiques en deux expositions. I curatori Filipa Oliveira ed Elfi Turpin hanno selezionato lavori di Joana Bastos, Simon Boudvin, Chris Evans, Louise Hervé & Chloé Maillet, David Horvitz, Jarbas Lopes, Nicolás Paris, Marinella Senatore, Praneet Soi, artisti le cui pratiche creative si inscrivono in una logica di cooperazione e scambio, con particolare attenzione ai campi sociali, geografici ed economici.

L’artista vietnamita Danh Võ presenta gli esiti del progetto scultoreo We The People, in una esposizione dal titolo Ydob eht ni mraw si ti, specificatamente concepita per gli spazi del Museum Ludwig. Il progetto consiste in una replica in scala naturale della Statua della Libertà, oltre 250 pezzi in totale, molti dei quali sono già sparsi in collezioni pubbliche e private nel mondo. Nell’occasione viene presentata la sezione più grande attualmente disponibile, un pezzo di busto alto circa sei metri. Completa l’esposizione il dialogo messo in scena tra le nuove opere di Võ e scatti del fotografo americano Peter Hujar.

Bonne Chance …

BASILEA

Jürgen Brodwolf

Danh Võ

Alla Galerie Henze & Ketterer & Triebold, Jürgen Brodwolf presenta la personale Changing Figures. In mostra una selezione di opere che esemplificano le tappe dello suo sviluppo stilistico dai primi esperimenti del 1959, ai tubetti di colore dei primi ’60, alle papier mâché e ai bronzi della maturità; dalle Figure Boxes dei ’70 ai dipinti dei ’60 rilavorati di recente, fino alle nuove opere dell’ultimo biennio.

Grazia Varisco, Meridiana, 1974, ottone e legno cm.50x50, courtesy Grazia Varisco, Londra foto Thomas Libis

londra

Grazia Varisco

Cortesi Gallery presenta, per la prima volta a Londra, una personale di Grazia Varisco dal titolo If…, ideale seguito del discorso iniziato da Cortesi nella sede di Lugano con Filo Rosso 1960/2015. In mostra, a cura di Michele Robecchi, opere che vanno dalle Tavole Magnetiche (1959-61) e gli Schemi luminosi variabili (196264), ai Quadri Comunicanti in acciaio (2011).

Alighiero Boetti

Luxembourg & Dayan propone, fino al 12 dicembre, Alighiero Boetti: A Private Collection, esposizione di lavori storici di Alighiero Boetti appartenenti a una singola collezione privata. Le opere, che vanno dal 1965 al 1990, comprendono Mimetico e Lampada Annuale (1967); Dama (1968); Autoritratto (1971); Lavoro Postale (1973); Mappa (1983-84); Tutto (circa 1987), dispiegando le questioni filosofiche che hanno motivato la prolifica ricerca di Boetti per oltre quarant’anni. Fino al 12 dicembre.

Jürgen Brodwolf, Roter Schirm, 2014/’15 bassorilievo, cm.145x190x8 courtesy Henze & Ketterer & Triebold, Riehen/Basilea

Jonas Wood

Danh Võ, We The People (Armpit), 2011-13 rame, dimensioni variabili courtesy l’artista, foto RBA Köln / Britta Schlier Jörg Schlick, Senza titolo, dalla serie Serial Photography, 2004, cm.44x33,5 courtesy Paul Zach, foto Max Gansberger

Luca Serra, Huella y dibujo, 2013, calco in gomma e caucciù, acrilico su tela, cm.100x100 Paolo Bellini, Composizione, 2014, zincor, cm.36x64x25, courtesy Galerie Carzaniga, Basilea

La sede di Gagosian in Britannia Street propone le nuove opere di Jonas Wood. La ricerca dell’artista di Boston fonde i sentimenti dell’intimità domestica con le influenze artistiche più svariate, da Pierre Bonnard, Henri Matisse e David Hockney, alle nature morte cinesi e Giapponesi, l’antico vasellame e i lavori tessili di Josef Frank. Fino al 19 dicembre.

Jonas Wood, Children’s Garden, 2015, olio e acrilico su tela, cm.236,2x236,2, courtesy Gagosian, Londra Alberto Burri, Nero Rosso Combustione, 1964, plastica, acrilico, legno, vinavil e combustione su cellotex, cm.28x29,5, courtesy Mazzoleni, Londra, e Fondazione Palazzo Albizzini, Collezione Burri, Città di Castello

graz

Jörg Schlick

Alla Galerie Carzaniga, Luca Serra e Paolo Bellini sono protagonisti di una doppia esposizione autunnale. Le opere di Serra riflettono la sua concezione della vita, l’arte, le passioni e le emozioni; le nature morte e i paesaggi vuoti dell’arte aniconica possono essere considerati come architetture. Le sculture di Bellini, con l’utilizzo dei fogli di metallo in vece degli oggetti d scarto appare più leggera e ariosa, quasi liberata dalla sua massa e dalla gravità

La Künstlerhaus - Halle für Kunst & Medien, in collaborazione con steirischer herbst, commemora il decimo anniversario della scomparsa di Jörg Schlick con una mostra che, in linea con l’intera programmazione annuale del museo, esplora il concetto di “eredità”. Questa enorme retrospettiva, curata da Sandro Droschl e Christian Egger, è il primo tentativo di riannodare i fili di una ricerca vivace e inarrestabile, che comprende serie e combinazioni nei campi dell’arte concettuale, musica, pittura, regia, video-arte, performance, coreografia e scenografia.

Berlino

Alberto Garutti, Là, ora, 2015, particolare dell’allestimento, courtesy Buchmann Galerie, Berlino

Serra/Bellini

Alberto Garutti

Alla Buchmann Galerie, Là, ora, esposizione di lavori di Alberto Garutti. La ricerca dell’artista milanese si concentra, fin dagli anni ’70, sul concetto di spazio pubblico, sulla connessione tra l’artista e lo spettatore, sul modo in cui l’opera si inserisce nel suo specifico contesto. I lavori in mostra appartengono alle serie Matasse e Specchi forati. 66 - segno 253 | ESTATE 2015

Alberto Burri

Mazzoleni London presenta, fino al 30 novembre, una importante esposizione di opere di Alberto Burri. La mostra coincide con la grande retrospettiva dedicata al maestro umbro dal Solomon R. Guggenheim Museum di New York, in occasione del centenario della nascita. La mostra londinese offre la rara opportunità di ammirare 30 lavori tra i quali i pionieristici Nero Catrame (1951), Sacco e Rosso (1956) e Sacco Bianco e Nero (1956), le combustioni Nero Rosso Combustione (1964) e Bianco CN4 (1966), ma anche lavori particolari come Gobbo (1968) o Nero Cretto (1970).


attività espositive DOCUMENTAZIONE ITALIA / Estero

new york

Robert Morris

Leo Castelli Gallery presenta i più recenti lavori di Robert Morris, in una mostra dal titolo Moltingsexoskeletonsshrouds. Le otto nuove sculture in esposizione proseguono l’investigazione dell’artista intorno alla figura umana e alla sua essenza interiore ed esteriore.

Da Gagosian Selected Works from 1967 to 1990 di Bruce Nauman, ampia ricognizione su tre decadi di ricerca interdisciplinare, rigorosa e ascetica del maestro statunitense, attraverso lavori chiave quali William T. Wiley or Ray Johnson Trap (1967), Audio Video Piece for London, Ontario (1969–70), Dead End Tunnel Folded into Four Arms with Common Walls (1980–87), Animal Pyramid (1989) o Setting a Good Corner (Allegory and Metaphor) (1999).

PerformanceProcess

Bruce Nauman, Malice, 1980, tubi di neon, cm.17,8x73,7x7,6, ed. of 3, courtesy Bruce Nauman/ Artists Rights Society (ARS), New York

Lee Ufan, From Line, 1980, courtesy Pace Gallery foto Kerry Ryan McFate / Pace Gallery

Lee Ufan

Pace London presenta una personale di Lee Ufan dal titolo From Point, From Line, From Wind. Il lavoro dell’artista coreano si caratterizza per le pensose reiterazioni di gesti, con leggerissime variazioni, in contemplazione della figura astratta e sempre a cavallo tra differenti culture, materiali e spazi. Delle sette serie principali di lavori che Ufan ha sviluppato nella sua lunga ricerca, la mostra ne raccoglie quattro: From Point, From Line, From Winds e With Winds.

Robert Morris, Moltingsexoskeletonsshrouds veduta dell’allestimento, Castelli Gallery, New York Mike Kelley, Ahh…Youth, 1991 8 fotografie cibachrome, cm.61x50,8 ognuna courtesy Kelley Foundation for the Arts/DACS, Londra

lugano

Lac Lugano Arte e Cultura

Inaugurato, all’interno di una suggestiva struttura affacciata sul lago, il LAC, nuovo centro culturale dedicato alle arti visive, alla musica e alle arti sceniche con l’intento di valorizzare un’ampia offerta artistica ed esprimere l’identità di Lugano quale crocevia culturale fra il nord e il sud dell’Europa. Al suo interno ha sede il Museo d’arte della Svizzera italiana, MASILugano, i cui tre piani espositivi ospitano la collezione permanente della città di Lugano e del Canton Ticino, mostre temporanee e installazioni site specific. Le esposizioni temporanee inaugurali, che resteranno aperte fino ad inizio 2016, sono Orizzonte Nord-Sud. Protagonisti dell’arte europea ai due versanti delle Alpi 1840-1960, viaggio geografico e artistico attraverso opere di Böcklin, De Chirico, Hodler, Wildt, Anker, Morandi, Segantini e Medardo Rosso per giungere, attraverso esponenti del dadaismo e futurismo a due maestri del Novecento come Fontana e Giacometti; l’universo di luce di Anthony McCall in Solid Light Works; una installazione cinetica e sonora del giovane artista svizzero Zimoun; Teatro di Mnemosine di Giulio Paolini, in dialogo con l’opera Les Charmes de la Vie (1718 ca.) di Jean-Antoine Watteau.

Anthony McCall, Line Describing a Cone 2.0 1973/2010, courtesy LAC, Lugano Tony Cragg, Bust, 2014, legno cm.175x78x65 courtesy Galerie Klüser Monaco di Baviera

monaco di baviera

Tony Cragg

La Galerie Klüser presenta gli ultimi frutti della ricerca artistica di Tony Cragg in una mostra dal titolo Recent Works. Le sculture esposte contribuiscono a una rivitalizzazione della forma che, libera da costrizioni utilitaristiche, sviluppa direttamente dalla materia in un permanente processo sperimentale. Le esperienze sensoriali sono, in questa fase della sua ricerca, caratteristiche di una realtà materiale superiore che include ogni emozione, anche l’intelligenza e lo spirito, tutti considerati come fenomeni tangibili. Cadono le dicotomie bello e brutto, giusto e sbagliato, bene e male, ma soprattutto forma e contenuto, entrambi frutto di energie interne ai materiali.

Childish Things

In concomitanza con Frieze Masters, nella sede di Londra, Skarstedt propone la mostra Childish Things. Attraverso lavori iconici di Vija Celmins, Robert Gober e Mike Kelley, l’esposizione si confronta con i profondamente intimi e spesso repressi ricordi di infanzia. Gli artisti incorporano connotazioni fisiche ed emotive in oggetti quotidiani enfatizzando l’influenza che quel lontano periodo ha avuto sul loro sviluppo personale e artistico.

Osnabrück IRWIN

La Kunsthalle Osnabrück propone, in collaborazione con la Galleria civica di Modena e il Łaznia Center for Contemporary Art di Gdansk, Polonia, la mostra Wo denkst du hin?! del collettivo sloveno IRWIN. I cinque artisti, che collaborano fin dal 1983, presentano a cura di Julia Draganovic, Claudia Löffelholz e LaRete Art Projects, il sesto capitolo di un progetto espositivo dal titolo Click or Clash? Strategies of Collaboration. In mostra foto e assemblaggi della serie NSK State in Time, laddove NSK sta per Neue Slowenische Kunst e lo “stato” in questione era una provocazione lanciata alle istituzioni jugoslave, allora prossime al disgregamento, basato sul rispetto reciproco al di là delle appartenenze etniche, religiose o geografiche. Molti profughi balcanici, nel 1990, fuggirono usando il passaporto fornito dall’NSK che ad oggi pare contare circa 24.000 cittadini.

Nell’ambito delle celebrazioni per il trentesimo anno di attività del Centre culturel suisse, PerformanceProcess, progetto consacrato alla performance, medium dalla definizione e dai confini assolutamente incerti, con proposte che spaziano tra il 1960 e il 2015. 46 gli artisti coinvolti: Armleder, Bachzetsis, Bucher, Cahn, Castelli, Duyvendak, EW, Fischli/Weiss, Foofwa d’Imobilité & Jonathan O’Hear, Furlan, Grauton (Karen Geyer), Gómez Mata, Gremaud, Gygi, Hattan, Hirschhorn, Hochuli, Hominal, Jung, Keller, La Ribot, Lüber, Lüthi, Mandafounis & McAtamney, Manon, Marclay, Meier, Morgan, Mosset, Motti, Pilet, Regli, Rochat, Roshier, Rütimann, Schaffter & Stauffer, M. Schaffter & Stünzi, Schenker, Schick / Gremaud / Pavillon, Signer, Spoerri, Stauffer, Tinguely, Walker, Wildberger, Winteler.

San gallo

Stephen Prina

Alla Kunst Halle Sankt Gallen, fino al 29 novembre, Stephen Prina presenta una personale dal titolo galesburg, illinois+. I lavori in mostra integrano un ampio spettro di media visivi, dalla pittura all’installazione, dal video alla performance, senza mai perdere un punto nodale: la traslazione e ricontestualizzazione degli artefatti culturali già esistenti. Una pratica che può di certo essere descritta come concettuale, ma in netto contrasto con i lavori degli artisti dello stesso “filone” degli anni ’60 e ’70, orientati all’analisi del linguaggio. Prina mette sulla graticola le convenzioni museali e del mercato dell’arte in merito alla classificazione e all’esposizione dell’opera d’arte, come esemplificato dalle serie Exquisite Corpse: The Complete Paintings of Manet (1988-presente) e Monochrome Painting (1988–1989).

parigi

Mona Hatoum Anna e Bernhard Blume

Nel novero della sua programmazione autunnale, il Centre Pompidou dedica a Mona Hatoum, nella galerie 1, una esaustiva ricognizione su quattro decenni di attività, a cura di Christine Van Assche. Attraverso 100 opere, tra video, installazioni, sculture, lavori su carta, fotografie e performance, si rende merito di un’ampia varietà di interessi e obiettivi, il tutto in una speciale articolazione dei linguaggi del Minimalismo, dell’Arte Concettuale e Cinetica, con qualche tocco di Surrealismo. La Galerie de photographies ospita La photographie transcendantale di Anna e Bernhard Blume. Dagli anni ’70, i due artisti tedeschi mettono in scena scatti fotografici per lo meno singolari, nei quali sono i protagonisti principali, mentre gli oggetti quotidiani appaiono dotati di poteri sovrannaturali. In mostra, a cura di Clément Chéroux e Andreas Fischer, la serie Im Wahnzimmer, entrata a far parte nel 2012 della collezione del Museo.

IRWIN, Dreams and Conflicts, 2003 courtesy gli artisti, foto Igor Andjelic Mona Hatoum, So Much I Want to Say, 1983 courtesy l’artista e Service de la documentation photographique du MNAM, Centre Pompidou, MNAM-CCI /Dist. RMN-GP

Bruce Nauman

ESTATE 2015 | 253 segno - 67


A.A.M. Architettura Arte Moderna Extramoenia

Costellazioni di Confronti sul Restauro Valore Restauro Sostenibile Fratelli Navarra di Ester Bonsante

Restauro sostenibile, disegno di Vincenzo D’Alba China su carta, realizzato in occasione della conferenza stampa “Costellazione di confronti sul Restauro” Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Il passato stava diventando sempre più passato. E mi prese il terrore di dimenticare. (Arduino Cantafora, Quindici stanze per una casa)

La conferenza stampa tenuta a Roma, presso l’Accademia Nazionale di San Luca, mercoledì 8 luglio 2015 alla presenza di Ilaria Borletti Buitoni, Gisella Capponi, Marco Carminati, Philippe Daverio, Klaus Davi, Francesco Moschini e Attilio Navarra. Fotografie di Fabrizio Ronconi. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

68 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


arte e impresa

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Fasi di lavorazione del catalogo Valore Restauro Sostenibile Fratelli Navarra a cura di Vincenzo D’Alba, Francesco Maggiore. Coordinamento scientifico e culturale di Gianfranco Dioguardi e Francesco Moschini. Fotografie di Roberto d’Introno

C

ostellazioni di Confronti sul Restauro recita il titolo della nuova proposta del marchio “Valore Restauro Sostenibile” promossa dai Fratelli Navarra e curata da Francesco Maggiore con il coordinamento scientifico e culturale di Francesco Moschini. L’iniziativa segue la pubblicazione del catalogo “Valore restauro sostenibile Fratelli Navarra” che raccoglie gli importanti esiti dei lavori condotti su territorio nazionale nell’ambito del restauro dal Gruppo Navarra, opera prima della nuova collana editoriale “Imprese ad Arte” ideata da A. A. M. Architettura Arte Moderna con il coordinamento scientifico e culturale di Francesco Moschini. L’idea alla base del progetto è quella di dare luogo, attraverso un ciclo di incontri, al confronto tra imprese, istituzioni e professionisti sul tema del restauro, in una ottica operativa di sinergie tra pubblico e privato, teoria e prassi, sapere e saper fare, il cui orizzonte ideale è la ricerca di una cifra identitaria italiana, un “Italian way of doing restoration”, o, parafrasando Franco Purini, una misura italiana del restauro. I seminari, programmati con cadenza quadrimestrale e strutturati per sessioni tematiche, avranno luogo in cinque città italiane - Matera, Palermo, Venezia, Venaria Reale, Monza (Villa Reale) - e tre città estere in Turchia (Istanbul), in Tunisia e Marocco. Otto lampade accese sul restauro in una costellazione di città per con-siderare il tema calandolo nei singoli contesti e delineando delle tematiche pertinenti e consustanziali alle aree geografiche che ospiteranno l’iniziativa. Ogni tavola rotonda sarà dedicata alle figure che hanno reso grande l’eccellenza del restauro architettonico italiano a livello internazionale: Cesare Brandi, Giovanni Urbani, Carlo Ceschi, Michele Cordaro, Giulio Carlo Argan, Michele D’Elia, Pasquali Rotondi, Evelina Borea. I possibili relatori che si auspica di coinvolgere sono stati selezionati tra ambiti disparati quali storici dell’arte e del restauro: Carlo Arturo Quintavalle, Luigi Russo, Maria Ida Catalano, Giovanni Carbonara, Licia Vlad Borrelli, Cristina Acidini Luchinat, Rosalia Varoli Piazza, Pio Bladi, Massimo Carboni, Pietro Petraroia, Stefano Gizi, Salvatore

Settis, Maria Andalori; esponenti istituzionali: Caterina Bon Valsassina, Luigi ficacci, Stefano Trucco; direttori di rivista: Nicola di Battista, Nicola Marzot, Aldo Colonnetti, Margherita Petranzan, Maria Argenti, Giuseppe Nannerini, Francesco Dal Co, Marco Dezzi Bardeschi, Sandro Benedetti; maestri dell’architettura: Mario Bellini, Guido Canali, Massimo Carmassi, Antonio Citterio, Michele De Lucchi, Giorgio Grassi, Renzo Piano, Franco Purini, Tobia Scarpa, Francesco Venezia. Per la prima tappa di Matera è stata scelta come sede Casa Cava, un suggestivo spazio ipogeo, scavato nel tufo di una ex cava nel cuore della città antica, nei pressi della Chiesa di San Pietro Barisano, un complesso recentemente restaurato e costituito da un’antica cava a pozzo di origine post medievale. Protagonisti della tappa materana - dedicata a Michele d’Elia, storico dell’arte nonché direttore, dal 1987 al 1991, dell’Istituto Centrale del Restauro – sono, tra gli altri: Gisella Capponi, Giorgio Croci, Nicola Di Battista, Pietro Laureano, Francesco Moschini, Attilio Navarra, Amerigo Restucci. Teoria-storia-progetto-costruzione intrecciano nuovamente i loro fili, come nella ormai consolidata tradizione della febbrile e intensa attività di Francesco Moschini e di A.A.M. Architettura Arte Moderna. Il celebre sconfinamento didattico e la poetica degli sguardi incrociati tra arti, sfondo di ogni benefica operazione di innesto messa in campo dalla A.A.M., ha modo, con questa iniziativa, di evolvere nella ancora più anelabile ibridazione e rottura di argini tra sapere e saper fare. L’alchimia teorica viene calata in un contesto operativo e in esso trova modo di misurarsi, viceversa il contesto operativo è alimentato di linfa nuova e ha modo di verificare il suo operato in uno scenario di più ampio respiro oltre ogni ordinaria contingenza. A Palazzo Carpegna, prestigiosa sede dell’Accademia Nazionale di San Luca, è stato presentato con una conferenza stampa l’autorevole progetto che nelle sue linee guida recita “L’idea di organizzare un ciclo di incontri internazionali dedicati al tema SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 69


Villa Reale di Monza. Nelle altre immagini alcune fasi del restauro realizzato dal Gruppo Fratelli Navarra – Italiana Costruzioni

del Restauro nasce dalla volontà di determinare un approccio innovativo nei processi di conservazione del Valore nel tempo, con particolare attenzione agli aspetti culturali del contesto in cui il bene monumentale e artistico è immerso.” Valore, tempo, cultura, contesto sono le parole chiave, eroicamente inattuali dell’iniziativa che puntellano l’impegno di riformulare una teoria o quantomeno di riaprire un tavolo di discussione sulla complessa disciplina del restauro, sdoganandola oltre i confini degli addetti ai lavori per ricollocarla al centro di un dibattito aperto, articolato e multidisciplinare. Il bene monumentale inteso come Valore è premessa solo apparentemente lapalissiana, su cui è opportuno tornare dopo vent’anni di oblio e disattenzione rispetto al nostro patrimonio culturale per riformulare un nuovo lessico di azioni volte alla conservazione di tale valore. Corollario non meno importante su cui si regge il progetto: riconsiderare la conservazione del Valore nel tempo implica una (ri)presa di coscienza del valore del Tempo. È questo un altro puntello che sostiene l’iniziativa, un antidoto benefico rispetto all’epoca dell’incessante in cui viviamo e le sirene del transeunte. Il restauro è dibattito sempre aperto, materia in fieri, in quanto forgiata dalla mutevole idea del rapporto col tempo che ogni

70 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015

momento storico cristallizza: così come “l’arte di costruire è sempre volontà dell’epoca espressa spazialmente, nient’altro” (L. Mies Van der Rohe) anche l’arte di restaurare il già costruito è figlia del suo tempo. È l’idea che abbiamo del passato e l’intuizione del futuro cui trasmettere i monumenti che sottende alla necessità di restaurarli. Ingredienti questi determinanti al fine di fondare un dibattito sempre attuale: “E se davvero sappiamo trarre qualche profitto dalla storia del passato, o qualche sollievo all’idea di esser ricordati da quelli che verranno, che possano conferire convinzione alle nostre azioni, o pazienza alla nostra tenacia di oggi, vi sono due compiti che incombono su di noi nei confronti dell’architettura del nostro paese la cui importanza è impossibile sopravvalutare: il primo consiste nel conferire una dimensione storica all’architettura di oggi, il secondo nel conservare quella delle epoche passate come la più preziosa delle eredità.” (J. Ruskin, le Sette lampade dell’architettura). Anche l’attenzione al contesto è un ulteriore puntello che preserva il progetto dal crollo nella dominante logica degli interventi a-topici e indifferenti ai luoghi in cui il bene è immerso. Il rapporto con il contesto inteso come auspicabile contrappunto armonico tra dimensione architettonica e dimensione urbana è stato mirabilmente evocato da Francesco Moschini


arte e impresa

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 71


che nell’introdurre i lavori della conferenza stampa ha citato l’immagine del celebre capriccio canalettiano con edifici palladiani, possibile sfondo immaginifico del progetto: nel quadro, conservato nella Pinacoteca di Parma, Canaletto riunisce edifici soltanto progettati da Palladio e mai realizzati, insieme a progetti realizzati. Tale operazione dà conto della “attenzione alla dimensione di eccellenza del singolo monumento sia pur duchampianamente spiazzato ma anche alla sua contestualizzazione. Il capriccio non ci restituisce la realtà di questi oggetti architettonici e di questi progetti, ne dà una visione, come avrebbe detto Aldo Rossi di città analoga, di città vagheggiata in cui possono campeggiare nella assoluta autonomia i singoli oggetti architettonici, ma i singoli oggetti architettonici acquisiscono la loro centralità e monumentalità proprio grazie al fatto che sono contestualizzati in questa sorta di hortus conclusus, in cui è riconoscibile l’effetto città”. Nell’introdurre il suo intervento Moschini ha segnalato l’importanza anche simbolica, oltre che di prestigio, della sede che ha ospitato l’iniziativa, l’Accademia di San Luca, di cui è Segretario Generale, ricordando come tale Istituzione sin dalla sua fondazione abbia sempre rappresentato virtuosamente la stretta connessione del rapporto tra pubblico e privato, sinergismo sugellato dalla scelta di Pietro da Cortona di affidare, già nel 1634 all’Accademia la chiesa dei Santi Luca e Martina, sua figlia diletta. L’attività dell’Accademia negli ultimi anni ha dato prova in più occasioni di un’attenzione sempre più crescente al restauro, non solo nei termini concreti e operativi volti alla salvaguardia del suo patrimonio, ma anche come occasione di riflessione di “trasmigrazione didattica dei valori del restauro”. La tavola rotonda, coordinata da Marco Carminati, è stata introdotta da un intervento di Klaus Davi, esperto di mass media che ha riportato i dati di una ricerca compiuta sulla stampa estera riguardo a come siamo giudicati nel resto del mondo dal punto di vista del restauro. Premessa di tale ricerca è che le capacità degli italiani in tale ambito sono universalmente riconosciute, il valore del restauro Made in Italy è pari a quello della Ferrari per cui “investire sul restauro e sulla cultura ci ritorna in termini di percepito internazionale in modo straordinario”. Il monitoraggio sulle cento testate internazionali ha prodotto una classifica

degli interventi più apprezzati e di quelli che destano più preoccupazioni. I più apprezzati sono gli affreschi di Giotto nella Basilica di San Francesco ad Assisi, gli affreschi della Cappella Sistina, il Colosseo, il Cenacolo di Leonardo, la torre di Pisa, la tribuna degli Uffizi, la Valle dei templi, i sassi di Matera, la Venaria Reale di Torino e la Casa di Augusto di Roma. Le opere maggiormente criticate, per quanto riguarda non tanto l’intervento, quanto la sua gestione politica sono: il sito archeologico di Pompei, la Reggia di Caserta, Venezia, Mantova e il centro storico dell’Aquila. Alla provocazione rispetto a un preoccupante scenario di cattiva gestione del nostro patrimonio ha risposto il sottosegretario di Stato del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Ilaria Borletti Buitoni riferendosi alla determinante scelta operata dall’Amministrazione attuale di investire sul patrimonio culturale italiano anche con un diverso e proficuo rapporto con i privati che si fa tanto più necessario considerata l’estensione e la diffusione del nostro patrimonio culturale su tutto il territorio nazionale. Ilaria Borletti Buitoni ha definito il progetto curato da Maggiore e Moschini come un progetto colto, intelligente che, considerate le difficoltà della materia, offre un punto di vista alto e qualificato da cui operare una riflessione comprensiva. Alla Conferenza Stampa ha preso parte anche il direttore dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro Gisella Capponi che ha rilevato tre punti di forza di questo progetto: il tema della divulgazione, ovvero il merito di aver allargato il campo di azione svincolandolo dalla cerchia dei chierici e interessando più persone ai temi della conservazione; il tema del contesto e l’interesse verso la formazione delle figure operative in ambito di restauro. L’intervento di Philippe Daverio ha affrontato la complessità del tema del restauro in Italia oggi, in quanto disciplina irredimibile e senza speranza, considerata la distruzione del patrimonio, dell’eredità storica e del concetto di bene comune operata nell’ultimo secolo. Daverio ha lanciato come provocazione su cui riflettere l’interrogativo in merito al se esista, o meno, una ideologia ancora possibile del restauro, e ha riaffermato la necessità assoluta di dibatterne gli aspetti teorici, concludendo che “oggi ci tocca restaurare il restauro.”

Immagini relative alla conferenza stampa tenuta a Roma, presso l’Accademia Nazionale di San Luca, mercoledì 8 luglio 2015 alla presenza di Ilaria Borletti Buitoni, Gisella Capponi, Marco Carminati, Philippe Daverio, Klaus Davi, Francesco Moschini e Attilio Navarra. Fotografie di Fabrizio Ronconi. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

72 - segno 254 | SETTEMBRE/OTTOBRE 2015


arte e impresa

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Attilio Navarra ha esplicitato i cardini su cui ruota il progetto di cui è promotore, ponendo l’accento sulla necessità e l’importanza del dovere di volta in volta, per ogni intervento di restauro, porsi il problema della destinazione d’uso del bene monumentale fin dall’inizio, in quanto “i restauri devono essere sostenibili, sostenersi da un punto di vista economico, finanziario, sociale”. A tal proposito Navarra ha rilanciato la sfida, divenuta tanto auspicabile quanto imprescindibile, di un partenariato pubblicoprivato in cui le grandi competenze del pubblico possano solidarizzare con la sedimentata esperienza delle imprese. Il meccanismo del project financing, già messo in atto per l’intervento di recupero e valorizzazione della Villa Reale di Monza, prevede una procedura di concessione di lavori pubblici tale per cui il soggetto privato che si accolla i costi dell’intervento li recupera nella fase di gestione concordata con la Pubblica Amministrazione per un periodo di tempo prestabilito. Risultato non secondario di questo tipo di gestione, ricordato da Navarra, è che in tal modo si continua a conservare il bene appena restaurato per tutta la durata della concessione. Ancora Navarra ha richiamato l’importanza delle tavole rotonde che hanno lo scopo di sollevare un interesse generale su un tema oggi troppo poco dibattuto. Francesco Maggiore ha concluso i lavori chiosando la laconi-

ca, ma assai eloquente icona di “Valore Restauro Sostenibile”, disegnata da Vincenzo d’Alba: “una sorta di Amleto architettonico, un essere o non essere di mattoni, una architettura quasi nostalgica che ci guarda mentre perde frammenti; ma essa è retta allo stesso tempo dalla mano dell’uomo che ha il compito di sostenerla. Quella potrebbe essere la mano di ciascuno di noi che, attori vicini al restauro o comunque spettatori che guardano agli interventi di restauro in atto nel Paese, possano in qualche modo determinarne la salvezza”. Abitare la storia, interpretare il tempo nuovo e il cambiamento dei rapporti economici e sociali, porre nuovi valori, indicare fini ultimi sono gli obbiettivi che determinano le risposte al bisogno di chiarezza tanto nel pensiero quanto nell’azione su un tema difficile quale è il restauro, e che si intende raggiungere attraverso lo sconfinamento tra ambiti auspicabilmente sempre più complementari quali il sapere e saper fare. Un progetto da questo punto di vista assai lungimirante il cui merito principale è quello di un mutuo arricchimento tra l’impellenza di un intervento operativo e la necessità di un profondo e soppesato inquadramento teorico. “È in questo collegamento che noi vediamo e fondiamo la stabilità del restauro, in quanto rifrazione del pensiero stesso sull’arte” (Cesare Brandi) n SETTEMBRE/OTTOBRE 2015 | 254 segno - 73


premio giovani 2014 Edoardo Aruta Veronica Botticelli Simone Cametti Alberto Gianfreda Stefano Larotonda Macchieraldo|Palasciano Lina Malfona Giovanni Romagnoli Marta Scanu

19 novembre 2015 - 30 gennaio 2016 accademia nazionale di san luca piazza dell’Accademia di San Luca 77, Roma

orario apertura mostra: dal lunedĂŹ al sabato, dalle 10 alle 19


Maurizio Sacripanti, Progetto per il Grattacielo Peugeot a Buenos Aires, 1961

www.fondosacripanti.org

archivio progetti Maurizio Sacripanti architetto 1916-1996 Accademia

Nazionale

di

San

Luca

.

Roma



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.