Con questo “quaderno d’immagini” ho voluto dare un piccolo contributo, una testimonianza alle tra-
dizioni contadine del territorio dove vivo, la Pianura Padana e nello specifico il territorio Veronese. Sono certo comunque siano scene comuni nella tradizione di tanti altri posti di tutto il territorio italiano per chi ha avuto, come me, la fortuna di assistervi. Queste immagini sono ad uso fra tutti coloro che non hanno mai avuto l’opportunità di “vedere” in prima persona, ma soprattutto sono dedicate agli stessi protagonisti per evidenziare una volta in più la grande responsabilità che loro stessi hanno nei confronti di una memoria che li vede ancora interpreti sul palcoscenico della tradizione. Molte di queste attività rurali sono ancora vive e attuali, altre stanno scomparendo, soppiantate da una modernità che non lascia più posto ai gesti antichi. Per quest’ultimo motivo mi sento un privilegiato nell’aver potuto partecipare e documentare questi gesti con questi scatti fotografici che propongo. Le attività in agricoltura sono molteplici, e vanno ben oltre le stagionalità. Quelle presenti in questo lavoro sono però ancora legate ai cicli stagionali, rappresentano, nel loro compiersi. la cultura contadina più autentica e più tradizionale. A dicembre in campagna si uccide il maiale e il rito diventa una grande festa per tutta la famiglia e fra tutti coloro che hanno collaborato in questa attività. Dopo l’uccisione dell’animale e la lavorazione della carne, il banchetto diventa rituale, le donne in cucina preparano il cibo per i propri uomini, cucinando anche la stessa materia appena macellata. E’ un momento di festa e di raccolta condivisione quasi a voler esorcizzare la preoccupazione per momenti probabilmente vissuti dove, in un passato neanche tanto remoto, le aspettative erano modeste e che, nell’incertezza del futuro, potrebbero riproporsi. Non è facile assistere alle varie fasi della lavorazione per chi come me non è abituato. Le scene sono di per sé un pò cruente e lo stomaco per qualche giorno si ritrae. La scelta delle immagini in Bianco e Nero ha sicuramente mitigato le varie fasi dell’attività, ma non è stato comunque l’unico motivo. Diverso è il contesto successivo dove si ripropone con le cadenze estive la trebbiatura sull’aia. La temperatura è diversa, la fatica è la stessa. Oggi con macchinari ipertecnologici e con pochi passaggi e meno persone, all’interno delle proprie cabine climatizzate, si svolgono lavori che forse solo 50 anni fa impiegavano molta fatica e molto tempo. Il “Molto” è una delle condizioni che ai nostri tempi probabilmente è più cambiata. Nella ricerca razionale o spesso irrazionale di produttività il “Molto” è diventato un concetto estremamente relativo che ha sicuramente portato vantaggi ma che probabilmente ci ha fatto perdere di vista, in tante occasioni, l’autenticità delle cose. Ecco quindi riproposte alcune situazioni di come doveva essere qualche tempo fa una delle attività tra le più importanti nel ciclo stagionale dell’agricoltura.
La rappresentazione in costume con macchinari dell’epoca era troppo ghiotta per non assistervi. Le macchine borbottano, sono risvegliate dal loro letargo. Ma la mano dell’uomo è sapiente e con qualche spinta e qualche imprecazione ecco le macchine avviarsi svogliate tra fumi e pistoni assordanti protagoniste ancora una volta loro malgrado. L’allegria è contagiosa sull’aia, la polvere e la paglia si appiccicano al sudore della pelle e ben presto il prurito diventa insopportabile ma resta comunque viva la sorpresa di quanto lavoro e quanta fisicità siano necessari rispetto ad un’attività che si da per scontata o che manco ci accorgiamo esista o sia esistita chiusi nei nostri uffici davanti al pc o al telefono a discutere magari di massimi sistemi. Alla sera la calura estiva non si attenua, ma il ballo sull’aia è di rigore. Vengono tolti i macchinari e fatto posto al complessino di turno che ripropone le melodie sulle quali note, mi piace pensare, hanno ballato le nostre nonne corteggiate dai loro futuri compagni di vita. La terza serie di immagini si svolge in autunno. Cambiano i protagonisti, cambiano i gesti ma la ruralità è la stessa. Il momento della vendemmia conclude un lungo periodo di aspettative riguardo ad una serie di eventi che ancora una volta non sono governabili. Il clima diventa padrone incontrastato. In modo autoritario decide se il nettare che sarà prodotto potrà soddisfare le aspettative o meno. Fino a quel momento, probabilmente in modo quasi materno, le vigne prime, i grappoli d’uva dopo, sono stati cresciuti, accuditi, allevati con la sapienza di anni e anni di esperienza. Se il meteo ha fatto la sua parte, l’agricoltore, con occhio vigile e severo, sicuramente ha fatto la sua. Ed ecco i grappoli di Corvina, di Rondinella, di Oseleta prendere forma nelle mani amorevoli del contadino e deposti uno per uno nelle cassettine di appassimento, portati nei fruttai, in attesa della pigiatura postuma del gennaio successivo. Anche quest’anno sarà una buona annata. Si narra che ormai 70 anni fa un vinificatore si fosse dimenticato una botte di Recioto: qui i lieviti naturali presenti nel vino iniziarono a fermentare e a trasformare tutto lo zucchero in alcool. Alla fine, questo vinificatore, trovò che il Recioto era “scapà” ed era diventato secco. Al tempo, questa ‘cosa’ era un grande errore perché storicamente il Recioto (dolce) era un vino molto prestigioso. Un grande e buon errore perché l’Amarone in 70 anni di vita è diventato davvero famoso. Con questo lavoro spero di aver fatto emergere la semplicità dei rapporti umani dove tutti sanno quello che devono fare. In tutte queste attività si nota un filo conduttore nella cura di gesti ancestrali, semplici ma precisi e mai banali. Un lavoro manuale usato con fierezza e con la consapevolezza di essere custodi di una tradizione importante che non deve essere dimenticata.
Ho avuto la fortuna di conoscere molte persone che mi hanno accolto benevolmente, magari sulle prime guardandomi strano e chiedendosi dei motivi per i quali mi prodigavo e ritrarli nelle loro abitudini, nella loro quotidianitĂ . A loro va il mio personale ringraziamento. Gabriele Rodriquez
Gabriele Rodriquez (Verona 1960) Vive a Verona, Italia. Sposato con 3 figli. Docente di materie aziendali fino al 1997. Esercita la professione di Dottore Commercialista dal 1990. Prestato alla fotografia, fin da giovane questa è diventata un’attività che via via si è rivelata più che una passione, più che un semplice hobby. La fotografia ha riempito probabilmente un’area della sua vita culturale che gli studi seguiti hanno solo sfiorato. Nel corso della sua attività ha conseguito 52 primi premi in vari contest nelle varie piattaforme specialistiche di cui 2 internazionali, varie mostre singole e collettive, relatore in varie occasioni divulgative di incontri con l’autore. Amante di reportage in genere e di viaggio nello specifico. Gabriele Rodriquez (Verona 1960) He lives in Verona, Italy. Married with three children. Professor of business subjects until 1997. He practices as a chartered accountant since 1990. On loan to photography from a young age this has become an activity that gradually proved more than a passion, more than just a hobby. Photography has probably filled area of his life that cultural studies pursued have toed. During his career he earned 52 awards in various contests in the various specialized platforms including 2 international awards, individual and collective exhibitions, speaker at various occasions of outreach meetings with authors. Lover of reportage in general and travel in particular.