La Grande Pera

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ROMANO BIANCO

LA GRANDE PERA

Prefazione di MICHELE ARNESE Illustrazioni di VITTORIA OLIVE


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ŠRomano Bianco 2015 - tutti i diritti riservati composizione e impaginazione dell’autore


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dello stesso autore:

VIA FANI ORE 9,02 con Manlio Castronuovo Nutrimenti in libreria ed e-book

STORIE BIPOLARI pubblicato in proprio disponibile su issuu.com


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Gli storytelling di Romano Bianco sono su: https://www.facebook.com/groups/storytellingromanobianco


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ODI ET AMO prefazione a mo’ di ode di Michele Arnese

È insopportabile il suo ditino alzato su tutto e su tutti. La sua enfasi anti-casta è avvizzita. Il suo anti-capitalismo, che vede negli imprenditori sempre e comunque dei delinquenti in nuce, è vomitevole. I tic e i vezzi dei fasanesi sono enfatizzati fino alla malevolenza. Il suo giustizialismo farebbe orrore pure ad Antonio Di Pietro. La scurrilità che scorre nelle pagine è davvero ributtante. È un libro a tratti rivoltante, tanto che non sono riuscito neppure a finire di leggerlo. Ma al geniale (dunque pazzotico) talento dell'autore si può perdonare tutto. D'altronde solo chi ama Fasano e i fasanesi, e non riesce a vivere senza di loro, può a volte odiare Fasano e i fasanesi.

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INTRODUZIONE Questa raccolta di storie, pubblicate sulla pagina Gli storytelling di Romano Bianco su Facebook, come già implicitamente quella che l’ha preceduta è dedicata a quei giovani e giovanissimi fasanesi che non ne possono più di un paese dove si circola solo su veicoli a motore, dove l’immagine pubblica o è omologata o è negativa, dove la politica promette impianti sportivi e poi non mantiene, dove l’Ospedale è stato ridotto a quasi zero, dove le strade e le campagne sono piene di rifiuti a causa di un sistema di raccolta truffaldino e criminogeno, dove si rischia di cadere in una buca ogni dieci metri, e dove tutto questo viene nascosto da chi amministra sotto il tappeto delle apparizioni televisive o delle visite dei V.I.P.. Se il modello di sviluppo imposto dal regime lellista continuerà ad essere quello del furto di casa nostra e della nostra identità per regalarla ai forestieri, il destino dei nostri giovani sarà la fuga, e la mia generazione si sorprenderà un brutto giorno a ritrovarsi sola alla mercé della parte peggiore di Fasano. E sarà la fine definitiva. I nostri ragazzi devono uscire di casa, devono girare il mondo, devono vedere e conoscere, ma spero che la maggior parte di loro ritorni poi a riprendersi casa propria, e a dotarla di quegli strumenti di progresso appresi frequentando altri contesti. Come l’anno scorso, doverosamente ringaziati per la preziosa collaborazione Michele Arnese e Vittoria Olive, anche stavolta questo libro nasce senza la minima intenzione di cercarsi un editore: il successo al di là delle più ottimistiche previsioni di Storie Bipolari ha confermato che ormai il tempo degli improvvisati con la pubblicità in quarta di copertina o le spese completamente anticipate dall’autore è finito. Ragazzi, fate da soli: ne avete di cose da dire! R.B.

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5/1/2014

Per rompere il ghiaccio con l'anno nuovo volevo far ridere, ed essendomi tornata casualmente in testa la donnetta che mi aveva rovinato quello precedente, non potei fare a meno di collegarla a una celebre leggenda universitaria declinata nelle più varie versioni da circa cinquant'anni in qua. LEGGENDE ACCADEMICHE

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Ci sono occasioni in cui stare in cattedra è veramente difficile. Puoi essere il più bravo insegnante del mondo, il più stimato studioso della galassia, il più insigne... no questo aggettivo non mi piace per motivi calcistici... ecco, diciamo il più meritatamente celebrato luminare della tua materia, ma in alcuni momenti non basta. Ad esempio, quando ti si siede di fronte la classicissima puttanella consapevole ben prima dei vent'anni di essere “seduta sulla propria fortuna”, come disse quel tale, e non davanti a un insegnante che, dopo aver tentato di farti imparare qualcosa, ora deve verificare non tanto le tue nozioni quanto la tua capacità di elaborarle personalmente ed esporle. Be’, siamo pur sempre all'università mica alle medie. Dev'essere passato più o meno questo per la testa del professor Mario Sansone, celeberrimo ordinario di letteratura italiana alla Sapienza di Roma, in quel pomeriggio di esami. La puttanella era seduta lì davanti con l'aria giuliva, la scollatura a basso contenimento, la minigonna underwear-showing e il trucco sapiente di chi è convinta di partire da 18 per il sol fatto di esistere. Ma non sapeva praticamente niente: era del tutto evidente che non avesse studiato una mazza e che si fosse andata a sedere all'esame solo per tentare la fortuna a colpi di sorriso magico, occhio complice e flap flap di ciglia cariche a ciuccio, anzi, a ciuccia. Il professor Sansone non ne poteva veramente più: l'esame doveva durare un tempo minimo per poter congedare la signorinaccia, e va bene che era la fine degli anni Sessanta, e va bene che c'erano già la contestazione e il 18 politico, e va bene che in qualche caso erano tornati tempi simili a quelli in cui gli squadristi fascisti andavano all'esame posando la pistola sulla cattedra, ma quand'era troppo era troppo: la puttanella non sapeva veramente niente e andava elegantemente congedata. Il profes-


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sore si accese una sigaretta per controllare il nervosismo, e lì gli si accese anche la lampadina. Erano veramente altri tempi, si poteva fumare al chiuso e non dava scandalo che insegnante ed esaminando potessero farlo insieme durante l'esame, e poi un grande cattedratico aveva il dovere di essere anche un gentiluomo, quindi ne offrì una alla tipa, invitandola a rilassarsi. La tipa, che aveva anche questo vizio nel suo classico curriculum, accettò «Non abbiamo studiato molto bene, signorina, eh...?» interloquì quasi paterno il professor Sansone: la tizia farfugliò qualcosa, ma il luminare cercò di metterla a suo agio: «Signorina, non si preoccupi, io la promuovo lo stesso se lei mi cita la fine dell'ultimo libro dell'Iliade». «L'ultimo libro dell'Iliade? Ehm... ehr... io... uff... l'ultimo libro dell'Iliade dice?». «Ma sì, quello in cui Achille contempla per l'ultima volta le rovine di Ilio in preda all'incendio appiccato dagli Achei! Non se la ricorda?”. «Ma io... veramente...». «Niente?». «Ehm no, professore, mi dispiace...», tentando disperatamente di giocarsi in extremis la carta della lacrimuccia. «Ma come - concluse sornione il professor Sansone allungando il libretto alla malcapitata - è famosissima... Achille guarda la città bruciare ed esclama: Addio, Troia fumante!». E fu così che la studentessa furbastra venne messa alla porta con la meritata bocciatura.

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8/1/2014

Osservatorio aveva pubblicato i redditi di sindaco, assessori e consiglieri comunali: a parte dichiarazioni da fame di troppi professionisti, mentre quelle dei lavoratori dipendenti erano più o meno congrue, saltava all'occhio la mancata dichiarazione fra le auto di proprietà della Ferrari con la quale abitualmente il sindaco si faceva vedere alla guida. Nessuno osò fargli le doverose domande. IL MISTERO DELL'AUTO MISTERIOSA Di chi è quella macchina? I professionisti dalla schiena dritta ma di cristallo hanno immediatamente tempestato con questa e altre domande l'incauto amministratore che non ha dichiarato tra le sue proprietà l'auto di lusso con la quale abitualmente lo si vede in giro. E nemmeno ne ha giustificato l'uso. Palpabile imbarazzo del politico, avvezzo a critiche e domande incalzanti ma stavolta in seria difficoltà di fronte alla sete di sapere dei cronisti e di giustizia dell'opinone pubblica. Facendo puntualmente il proprio mestiere, i mastini dell'informazione, con il consueto, stentoreo, autorevole condizionale, avrebbero scoperto che la vettura sarebbe di proprietà di una s.r.l. di Sciurlicchio, la Psicanaleasing, a sua volta controllata da una finanziaria di Pezze Monsignore, la Cafina, il cui pacchetto di maggioranza appartiene a una holding con sede alle Cayman, la Sciaraballum, il cui pacchetto di controllo è detenuto da un'accomandita monegasca, la Mimino lo Spasciamacchine et fils s.a.s.. Immediatamente gli implacabili segugi delle testate locali si sono scatenati in una guerra senza quartiere all'ultimo scoop: raggiunta Montecarlo in autostop (e che volete? Tolto quello che serve per mangiare non è che di pubblicità ne rimanga molta, in tre...), gli inviati hanno subito scandagliato a tappeto il Principato alla ricerca della società. Per la verità uno di loro è arrivato prima: infatti è un'inviata, che non ha avuto difficoltà alcuna a precedere i colleghi riscuotendo molto più successo fra gli automobilisti di passaggio e approfittandone anche per arrotondare notevolmente il magrissimo fondo cassa. Si è così potuta concedere nientemeno che un taxi da Nizza a Montecarlo, perché si sa che gli chauffeurs oltre a saper fare meglio all'amore sanno tutto di tutti.

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Ed è stata proprio lei, grazie ad una rapida anzi sveltina dritta del tassista, ad arrivare per prima davanti alla porta della misteriosa società. Tutto chiuso, tutto sbarrato. Neanche una targa. Plexiglass oscurante, armadi di colore in giacca e cravatta, probabilmente armati, che scrutano discreti dietro ai Ray-Ban chiunque si avvicini a meno di cinquanta metri. Ma lei non si scompone: una ritoccatina alle ciglia, un rapido cambio da minigonna a microgonna dietro il più vicino pizzulo, una riavviatina verso il basso alla lampo della scollatura ed estratte dalla borsetta le spillo da 13 centimetri le indossa e si avvia col consueto passo cicciotocchista verso i cavalloni da battaglia, già con gli occhi di fuori. «Excusez-moi - esordisce con il tono flautato che ha tante volte sentito alla Bellucci in tv - est-ce que vous savez où est le siège de l'entreprise Mimino lo Spasciamacchine?». I due tori, già con gli occhi di fuori appena avvistata la passeggiatrice faso-monegasca, non perdono un attimo: velocissima occhiata d'intesa, e subito afferrano la tipa. Da lontano qualcuno osserva la scena: è il secondo inviato che, sia pur in ritardo, è riuscito ad arrivare sul posto anche lui. Naturalmente non può che limitarsi a osservare, ed essendo un metro e venti per centodiciassette chili si guarda bene dall'intervenire contro quelle due pantere. E poi quella lì l'ha data a tutti tranne che a lui, li ha dati a tutti tranne che a lui quindi perché scomodarsi? Solo che da lontano non si vede bene, e non sembra che i due allontanino la temeraria, anzi a un certo punto il terzetto non si vede più. Che fare? Niente, ovvio. Si appoggia al gradino della porta, sperando nella fortuna. Arriva il terzo principe della notizia: questo qui ci sa fare un po' di più, e un po' di dignità gli è rimasta. Studia la situazione e senza alcuna paura bussa alla porta. Nessuna risposta. I rumori provenienti da dietro il vetro sono però inequivocabili. La cosa curiosa è che si vede solo la collega, in posture che non lasciano adito a dubbi, mentre non si distingue la presenza dei suoi assalitori guardando al di qua delle ante oscurate. Con autentico sprezzo del pericolo, l'eroe del giornalismo mette mano al cellulare: «Pronto, pronto??? Lo sai che sta facendo quella muscitona??? Con due negri!!!». Quando c'è da parlare male della gente, va bene anche dire "negri". Ma chi c'è dalla parte opposta del telefono? Non lo sapremo mai. Terminata la telefonata, anche lui si mette lì in attesa di eventi sulla porta, sghignazzando col collega sulla soggetta che ben altro scoop sta facendo lì dentro. Ingresso palazzo municipale, ore 21. Una rapida guardata alle agenzie prima della solita cena di rappresentanza. Salta subito all'occhio un lancio


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ANSA da Montecarlo: ARRESTATI E RIMPATRIATI TRE ITALIANI PER ADESCAMENTO E VAGABONDAGGIO. Risatina, accensione, sgasata e via col macchinone, pi첫 tranquillo e contento di prima.

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16/1/2014

Ricorrenza della nascita di don Cosimo De Carolis, primo parroco della Salette a Fasano, uomo e sacerdote morto per la sua città. Rievocarne la figura è di per sé un impietoso paragone con certi personaggi pubblici di oggi. ANNIVERSARIO

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C'era stata una cerimonia nel teatro della Parrocchia: la generosità era parte fondamentale del suo carattere, e sebbene la chiesa fosse solo parzialmente agibile aveva messo a disposizione del Liceo per le assemblee d'Istituto l'ampio locale per spettacoli e convegni che aveva voluto venisse realizzato nel seminterrato. Quella volta si consegnavano le borse di studio dell'anno precedente, e alla fine, con alcuni compagni di classe, avevamo deciso di fare una partitella di calcio nel cortiletto davanti all'ingresso indipendente della sala. Non c'era ancora la corte delle feste, che all'occorrenza, prima che realizzassero gli odierni campi di fronte, si trasformava anche in campetto polisportivo, ma lui l'aveva già prevista perché aveva voluto prima di tutto un luogo di aggregazione per il quartiere, che fosse anche una chiesa ma non solo. Quindi, campetto e teatro. Sapeva guardare avanti, tutto qua. Solo che per fare quella chiesa così come l'aveva pensata lui ci volevano un sacco di energie economiche, fisiche e mentali. E molti, me per primo, pensano che sia stato proprio quello a ucciderlo, in aggiunta ai già non indifferenti problemi di una parrocchia nella quale era tutt'altro che facile gestire le problematiche di alcuni fra i quartieri socialmente più difficili della città. Ero passato da casa a cambiarmi, e poi ero tornato in parrocchia per giocare con gli amici: suonai al citofono, e venne ad aprirmi lui, in abito talare: a ripensarci dopo, a rivederlo adesso, è fin troppo facile pensare che c'era già un ombra di disagio nello sguardo, nettamente percepita poco prima quando subito dopo la fine della cerimonia mi ero avvicinato a lui per chiedergli non so cosa. Ma quella fu l'ultima volta che l'ho visto vivo. Nel tardo pomeriggio tornai di nuovo lì e c'era un'aria di preoccupazione che si poteva toccare negli sguardi degli adulti. Chiesi cosa stesse succedendo e perché don Cosimo non fosse in giro, e fu un mio amico a dirmi che aveva avuto un "collasso" ed era stato ricoverato in ospedale. Ci riu-


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nimmo nel cortiletto che faceva da campetto di calcio, per stabilire se andarlo a trovare, e considerammo che per quella sera non era il caso e sarebbe stato bene rimandare al giorno dopo, «tanto starà sicuramente meglio», disse qualcuno. Altro che meglio: la mattina dopo arrivando a scuola venni informato da un bidello che nella notte aveva perso conoscenza ed era stato trasportato d'urgenza in terapia intensiva a Lecce. Non era operabile, l'ictus era troppo profondo. Era chiaro che fosse spacciato. Cominciarono così le quarantotto ore più lunghe della vita dei molti che gli stavano più o meno vicini: quando sei credente, hai sempre un motivo per sperare che succeda qualcosa di imponderabile; è contemporaneamente la nostra forza e la nostra debolezza. Ma l'11 maggio 1987 cessò di vivere a Lecce. Venne organizzata una veniale messa in scena, forse per poter esporre la salma, altrimenti sarebbe stata sigillata in ospedale: lo portarono a casa già morto in ambulanza e con una flebo al braccio, credo sia per quello che sulla lapide come data di morte è indicato il 12. Il funerale fu il 13: come frequentatore della parrocchia volli dare una mano; feci cordone all'arrivo della salma in chiesa la sera precedente e passai la serata lì a disposizione degli adulti. Non mi venne permesso di partecipare alla veglia che durò tutta la notte. La mattina del 13 prima di andare a scuola ripassai, e nel pomeriggio naturalmente non mancai al funerale. Sull'altare c'erano più di ottanta sacerdoti. Presiedevano la cerimonia quattro vescovi: il titolare della Diocesi, i suoi due predecessori all'epoca ancora vivi e l'unico vescovo fasanese che c'era. Dentro non si respirava: forse c'era più gente in piedi che seduta. Fuori era uno spettacolo indimenticabile: c'erano non meno di quattromila persone. Per un funerale. Per un uomo buono, lungimirante, pacato, che sapeva prima di tutto ascoltare, che parlava con l'esempio. Mi sono rimaste stampate in testa due cose di quel funerale: la preghiera dei fedeli di un prete che proveniva da un paese campano terremotato nel 1980, il quale pregò per lui perché, disse, non poteva dimenticare quello che don Cosimo aveva fatto per loro in quella tragedia; e la domanda di un bambino sui dieci anni alla sua mamma alla vista di tanta gente: «Ma è venuto il Papa a Fasano oggi?». Don Cosimo De Carolis aveva 44 anni, li aveva compiuti il 16 gennaio; oggi ne compirebbe 71.

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20/1/2014

Voglia irrefrenabile di litigare, di dire peste e corna, di fare male. Purtroppo lo potevo fare solo in absentia, ma meglio le brutte parole, meritatissime in verità, della violenza fisica che certi individui mi ispirano. CHE CI FAI ANCORA QUI? Voglio stare bene. Non hai il diritto di irrompere ancora nella mia memoria perché sei un mostro che stritola lo stomaco degli uomini solo per la sua gloria. Sparisci. Non ti voglio più sentire arrivare quando non me l'aspetto, non voglio più aver bisogno di auto-esorcismi per farti scomparire: non devi proprio esserci. Meriti di essere strizzata come un vecchio straccio sporco, e che le tue peggiori lacrime cadano a guisa d'acqua in un lavandino che nessuno pulisce mai, come la tua coscienza. Soffri. Come tutti quelli ai quali concedi e neghi. Come quanti inciampano irretiti dal tuo narcisismo, usati e gettati per il tuo apparire. Ma quelle come te cadono sempre in piedi, sostenute da qualcuno che compra a poco prezzo il loro profumo. Muori. Com'è morta l'allegria per colpa del tuo istrionismo, come muore il buonumore strappato dal tuo pensiero. Come muore ogni sincero perdono rivivendo la tua ipocrisia. Vivi. Vivi la vita vera, in cui ti accorgerai troppo all'improvviso che il tuo tempo è finito, e che altre farfalle giovani come tu eri giovane, belle come tu eri bella, avranno preso il tuo posto.

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24/1/2014

Manifestazione contro il salasso della TARES a Fasano: erano anni, da non ricordare nemmeno quanti, che non si vedeva tanta gente per strada in una sincera e appassionata dimostrazione democratica di dissenso. Ero lontano, e mi tenni informato a distanza: mi colpì a prima vista un particolare. LA SIGNORA IN PRIMA FILA

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In prima fila, al centro. E reggeva uno striscione. Non poteva non saltarmi subito all'occhio quella presenza oggi alla manifestazione antilellista: una signora, di non meno di settant'anni a essere generosi. Bianca, rugosa, stanca, anzi sfinita. Sfinita da una malapolitica che ha scippato una città intera dalle mani della gente che ha lavorato tutta la vita, per regalarla ai forestieri che nemmeno sanno dove sia; che sta mettendo le mani nel portafogli delle persone con conti sballati e servizi vergognosi; che non è nemmeno capace di dire «Scusate, abbiamo sbagliato» ma di trasformare la tragedia in farsa abbaiando alla folla «Guardate che ho la pistola in tasca, eh?!?». Ma stavolta, i fasanesi hanno dimostrato che dopo i panini con la salsiccia e i biglietti da venti euro allungati fuori dai seggi una, almeno una cosa ancora arrivano a capirla: la tasca. E in prima fila c'era quella signora, che uno s'aspetta di incontrare ovunque tranne che per strada, a manifestare, con uno striscione fra le mani. Non sono bastati vent'anni di Retequattro, di veline, olgettine, di lusso sfrenato ostentato senza limiti, di favole raccontate al telegiornale, di ignoranza e cafonaggine solleticate senza vergogna: la signora in prima fila oggi ci ha ricordato che la democrazia, quando proprio si arriva in fondo al pozzo e si tocca la feccia, ha degli anticorpi straordinari. Nello sguardo quasi smarrito di questa donna c'erano una città e un Paese che non ne possono più; c'era una vita di lavoro probabilmente manuale, un passato di fatica, un futuro breve, un presente angoscioso e immeritato. Le sue rughe ci dicevano che le ore a schiena curva sono state tante, e molte sotto il sole; nel Sessantotto era giovane anche lei, ma in faccia le si leggeva anche che probabilmente è la prima volta in vita sua che scende in strada, perché questo è veramente l'ultimo stadio della sopportabilità.


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Non avrà studiato tanto, ma una pensione sempre più indignitosa e ora anche un trattamento da gallina da spennare fra rifiuti e topi per strada, questo no, questo non può esistere. Il suo sguardo è quello del popolo, quel popolo che ha sbagliato per ignoranza, sì, che ha concesso troppa fiducia a berlusconi e berlusconicchi, a donatidecarolis, vitiammirabili e lellidibari, che si è fatto infinocchiare per quasi una generazione. Quel popolo che non chiede lo scontrino, che non ha mai posato il culo su una sella in vita sua, a meno che non ci fosse sotto un motore, che ieri si lamentava delle file al Comune oggi si lamenta perché si devono fare le cose con internet, che al portone di casa ieri teneva il ciuccio e oggi la macchina, che non ha mosso un dito quando gli hanno distrutto il mare e la collina sotto gli occhi. Quel popolo che si è ricordato di avere una dignità solo con le mani degli amministratori nelle tasche, ma la dignità dei fasanesi, ce lo ha detto forte la signora, è l'ultima cosa che ci è rimasta e l'unica cosa che non può essere in vendita, a nessun prezzo.

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2/2/2014

La Junior Fasano va in finale di Coppa Italia: la manifestazione però non si gioca a Fasano, a causa di trent'anni di promesse non mantenute di una politica grassa e fellona. SOGNO E SON DESTO Stamattina mi sono svegliato bene. Ero riposato, sereno, in pace interiore, come ci si dovrebbe sentire ogni mattina dopo otto ore di sonno, tanto c'è sempre tempo perché gli affanni della vita tornino alla mente. Non ricordavo da quanto non provassi questa sensazione, e mi chiedevo cosa l'avesse provocata. Di solito non ricordo mai in dettaglio i sogni che faccio, a malapena l'argomento, o le persone sognate. Stavolta però dopo pochi istanti mi sono ricordato tutto: mi sono svegliato così bene perché ho fatto un gran bel sogno. Ho sognato centinaia di fasanesi tutti vestiti di biancoazzurro, tutti allegri, festosi, vocianti. Tutti orgogliosi di essere fasanesi. Ho sognato giovani ultras con tamburi e cori seduti accanto a famiglie con bambini, e ognuno tifava a modo suo, e tutti erano felici. Ho sognato giocatori e tifosi vestiti con le stesse maglie, tutti uniti verso lo stesso obiettivo. Ho sognato i tifosi avversari di fronte ma nessuno che se li filasse, perché i fasanesi pensavano solo alla propria squadra. Ho sognato la squadra trovarsi in difficoltà in momenti importanti, ma reagire alla fasanese: con la voglia di fare, la grinta, l'orgoglio. Ho sognato un giocatore fasanese fatto entrare da un allenatore fasanese al posto di un forestiero dare la svolta alla partita. Ho sognato un portiere fasanese tirare fuori gli attributi negli ultimissimi minuti e prendere i tre palloni decisivi dopo minuti difficili per lui. Ho sognato un deflusso comodo a fine gara, parcheggi ordinati, forze dell'ordine organizzate, a degna conclusione di un degno spettacolo in un degno impianto. Poi mi sono ricordato che non era un sogno: era tutto vero, tranne una cosa. Il palazzetto dello sport dove tutto questo è accaduto non è a Fasano, è a Martina Franca. E sono tornato a dormire. 25


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4/2/2014

Come sempre, tutti bravi a saltare sul carro dei vincitori: il vice sindaco e l'assessore allo sport si erano precipitati in radio a fare passerella nello speciale sulla conquista della Coppa Italia da parte della Junior. Ma tra una parola e l'altra senza controllo e senza ritegno, la celebrazione della vittoria diventa una Caporetto del regime lellista. LA GARA

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Il vicepodestà e l'assessrice entrarono timorosi nel locale, basso e non molto luminoso. Si erano allenati tutta la settimana in previsione della difficile prova: se la squadra avesse vinto, dopo tutto il casino che stava succedendo sul rummato, era prevedibile che venissero convocati a rispondere del loro inoperato. Il capoccia aveva sparso la voce di non stare bene, ottimo motivo per non comparire inducendo anche a pietà il popolino, quindi da quel lato non c'era problema. Ma ora toccava a loro. Ce l'avrebbero fatta? In fin dei conti non è che avessero davanti Bob Woodward e Carl Bernstein, non ci voleva molto a cucinarseli. Ai corsi berlusconiani c'erano andati, e per molto tempo: i guru della comunicazione e della fregatura pidiel-forzitaliota li avevano formati a dovere. Sapevano tutto: cosa dire, cosa non dire, quali promesse fare, quali rinnovare, quali cambiare. Come attirare il popolo-coniglio e con quali succose carotine. Come rintuzzare le critiche delegittimando chi le fa. Come non rispondere alle domande rilanciando con bugie e insulti. Ma stavolta non ci sarebbe stato bisogno di arrivare a tanto: troppo scafati loro due per alzare il tono. A questo punto, la gara poteva cominciare. Ma dopo pochissimi minuti, cambiò completamente le aspettative: invece di un serrato confronto testa a testa con implacabili opinion makers, la battaglia si trasformò. I due infatti si stavano annoiando, e scattò in loro una sorta di allucinazione competitiva: in assenza di avversari, il compagno diventa avversario e vuoi far vedere di essere più bravo tu. Partì quindi fra i due compari la corsa a chi sparava la puttanata più grossa: -Il palazzetto è stato promesso dalla precedente amministrazione, non da questa! -Ho avuto un'offerta di contributo da un imprenditore per prendere Basic! -Potremmo chiedere un'offerta a qualche azienda!


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-Il palazzetto costa sette milioni di euro! -Se lo paghino i fasanesi con l'imposta di scopo! -TARES è bello! -La Tradeco è una ditta efficiente! -La videosorveglianza funziona perfettamente! -La Fasano-Selva è attuale ed ecologica! -Il traffico in piazza Ciaia è chiuso 24 ore su 24 anche ai residenti! -I portici sono puliti e pieni di famiglie che sorseggiano thè al limone! -Questa giunta mantiene le promesse! -La campagna è pulita e accogliente! -L'antennone alla Selva abbellisce il paesaggio! -I siti archeologici sono valorizzati e fruibili! -Le migliori spiagge sono gratuite e a disposizione dei fasanesi! -La politica della mobilità è moderna e sostenibile! -Il traffico è ordinato e disciplinato! -Le strade sono scorrevoli e sicure! -Io sono giovane e bella! -Io sono intelligente! A questo punto l'arbitro suonò il gong: era veramente troppo. Il match venne subito sospeso per colpi bassi sotto la cintura. Il pubblico aveva da tempo abbandonato la sala.

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6/2/2014

Definitivamente tramontata la possibilità che la storia dell'arte tornasse a essere materia di studio nelle scuole superiori: occasione per un necessario omaggio a un'insegnante veramente degna di questo nome e per amare considerazioni sull'Italia NON CI CREDO PIÙ

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Soltanto due domeniche fa sono andato ad una mostra, all'Ara Pacis, pittori impressionisti. Era esposto non solo tutto il consueto Gotha della corrente, ma c'erano anche tanti interessanti autori minori. Ero con Vittoria che studia all'Accademia e ne sa molto di più, ma ho constatato con piacere che dopo tanti anni sono ancora in grado di distinguere Manet da Monet, e che lo devo ad una sola persona. Erano gli anni Ottanta, andavo al Liceo: lei aveva qualche chiletto in più di oggi, e portava un paio di occhialoni grandi come quelli che sono tornati di moda in questi ultimi mesi. Entrava in classe con una camminata molto personale: per prenderla in giro dicevo che girava intorno al suo asse. Maria De Mola aveva e ha due palle così: ricordo ancora molto nitidamente le prime lezioni di storia dell'arte che ci impartì, perché non avevo mai sentito parlare in vita mia di Simone Martini ma di fronte alla Maestà di Siena, e alla sua spiegazione dell'opera chiara, completa, esauriente, interessante e coinvolgente, è diventato uno dei miei autori preferiti. Soprattutto mi ha fatto scoprire la pittura gotica, mi ha insegnato a contestualizzarla nell'epoca, mi ha fatto capire perché in Europa spopolava mentre noi in Puglia andavamo ancora dal Romanico. Avevamo un testo classico ma molto pesante, l'Argan: non lo usavamo mai. Ci bastava prendere appunti durante le sue lezioni. Vere, autentiche, senza fronzoli. Poteva anche non sedersi dietro la cattedra: non ne aveva bisogno. E oltre al gotico mi ha fatto apprezzare, e come a me penso a tutti quelli che l'hanno avuta in classe, qualunque pittore, scultore, architetto, imbrattatele o genio compreso di cui parlasse. Insomma, è stata una dei pochissimi autentici insegnanti tra tanti professori che ho avuto. Di gran lunga la migliore insieme all'insegnante di musica delle medie, Lina Petruzzi. Devo solo a loro se ancora oggi entro in una sala da concerto o in un museo, e non più tardi dell'estate scorsa sempre da lei ho imparato chi ha "in-


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ventato" la Selva nel XVI secolo, lo spagnolo Pedro Afàn De Ribera: basterebbe questo per ricordarla tutta la vita! Quando c'è una visita guidata da lei e sono a Fasano non manco mai, e purtroppo questo non può combinarsi sempre. Leggo in questi giorni che un emendamento che voleva ripristinare l'insegnamento della storia dell'arte nelle scuole superiori è stato bocciato. Questa è una decisione da paese di merda che non si salverà mai. Questa è una decisione da paese che ha deciso, dopo vent'anni di dittatura telecratica, di passare direttamente a quella via web. Questo è un paese nel quale gli ignoranti, i nullacapenti e nullaessenti dell'eterna onagrocrazia italiana, come denunciava un secolo fa Benedetto Croce, hanno purtroppo trovato con i social network il modo che mancava loro per darsi un senso nella società che non fosse quello di tacere. Non voglio passare il resto della vita a leggere robe come: «Ieri ho visto uno che frugava tra le scatole di puzzle al grido di 'Ahò, sto a cercà quello co i due che se toccano i diti!’» (rozza allusione al pannello di Dio e Adamo della Genesi di Michelangelo nella Cappella Sistina). E ho letto di un altro che ha sentito con le sue orecchie alla mostra a Bologna un animale umano affermare ad alta voce: «Ah, ma dopo il film hanno fatto il quadro?»: ho già prenotato per andare a vedere La ragazza dall'orecchino di perla di Vermeer, che esce dall'Olanda per la seconda volta nella storia, perché grazie all'insegnante che ho avuto sento di perdermi qualcosa di importante se non ci vado. Ma questa gentaglia ha il paese in mano perché troppo poche sono le Maria De Mola dietro le cattedre. Ed è per questo che poi abbiamo le strade piene di rifiuti e di topi, ci arrivano le cartelle TARES da migliaia di euro, non abbiamo palazzetto dello sport, ci hanno cacciato dalle nostre spiagge e abbiamo una città dove o vai in macchina o non vai, peraltro fra le buche: perché abbiamo permesso ai peggiori di rivendicare il diritto di essere i peggiori, e di vantarsene anche, invece di provare la voglia di migliorare se stessi e fare sacrifici per migliorare i propri figli. I miei, se ci fossero, li avrei già sistemati all'estero senza esitare.

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13/2/2014

San Valentino sarebbe anche una bella ricorrenza, se non fosse per l'uso squallidamente commerciale che se ne fa. Vecchia tecnica del “ribaltamento” applicata alla leggenda del Santo e a qualche interpretazione molto moderna della sua figura. E ho risparmiato i ristoratori solo perché sono uno dei pochi conforti della mia vita... PROCESSO SOMMARIO Come sempre prese posto sul punto più alto, quello del Giudice supremo e, in questo caso, unico. Già non era granché bello da vedere, e in più era anche di pessimo umore. La sua figura assommava così tutte quelle sembianze che incutono la peggior paura a chi deve essere sottoposto al giudizio di un'autorità. Era brutto, brutto, col naso adunco, le orecchie larghe e appuntite, le sopracciglia ruvide e nere, le gote cascanti di rughe e cattiveria, il collo aggrinzito che i paramenti sacri facevano fatica a nascondere alla vista. Nello sguardo scuro ma ugualmente gelido la perfidia di chi non sta per applicare con equilibrio una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, ma sta per dare forza di legge al proprio arbitrio. Il pastorale sembrava una clava spinosa brandito dalla sua sinistra, la mitria ancora più appuntita fino a far male agli occhi senza alcun contatto, e gli armìgeri di scorta davano un ancor maggiore senso di sopruso alla scena. Venne introdotto il primo incolpato in ceppi. «Voi! - tuonò il Giudice Avete permesso che il MIO sacro nome venisse abbassato alla stregua di un marchio commerciale. Come avete osato?» fu il primo tuono del temporale. «Io... io... - biascicò il malcapitato – volevo solo che la gente si scambiasse cartoline d'amore... che facesse circolare leggiadri pensieri... che portasse parole di conforto a chi è nella solitudine, nella tristezza...». «BALLE! - esplose il Giudice – Inganni! Menzognere giustificazioni! Voi volevate soltanto profittare della mia figura per liberarvi della vostra carta colorata invenduta, e per dare sfogo alla fantasia di qualche scribacchino fallito in vena di sdolcinatezze! Mangerete quella carta per il resto della vostra inutile vita. Naturalmente dopo averla usata per i vostri bisogni corporali, così imparerete come giunge il sapore di certe frasi alle mie auguste orecchie! Portatelo via!» E mentre gli aguzzini trascinavano il con-

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dannato fuori dalla spelonca, le sue grida si confondevano con i mugugni di timore degli astanti per il successivo, tremendo giudizio. Tremava l'imputato prima ancora di entrare nell'antro del Giudice e, ritmicamente smosse da quel tremore, le sue catene davano un senso di superiore sgomento a chi aveva la sventura di assistere. Il Giudice abbassò lievemente il capo alla ricerca non tanto della giusta concentrazione quanto dell'adeguata quantità di rancore bisognevole per punire con la massima perfidia quel malnato. «Voi! - ricominciò – Eravate un mastro cioccolataio rifinito e rispettato; avevate una clientela selezionata e numerosa, ma come sempre succede a chi è troppo ricco avete voluto elevare il superfluo a regola di vita, il lusso a misura del vostro successo, il troppo a discapito del giusto!». «Ma, sacra Eminenza... - tentò di farfugliare il povero accusato - ritenevo di aver soltanto avuto una buona idea, che avrebbe ingrandito la mia attività e mi avrebbe permesso di dare ancor più lavoro ai giovani del mio contado...». «BASTA CON QUESTE SCUSE!!! - lo interruppe urlando il Giudice – Il ricatto del lavoro è sempre il più facile da invocare quando si commettono abominii come il vostro! Il vostro contado fin da' tempi degli Etruschi addivenne a gloria per l'opra sapiente di mille e mille onesti artigiani prima di voi, che assicurarono prosperità e lavoro bastevole a tutto il popolo tant'è vero che Augusto in persona volle gratificarla del proprio titolo. Augusta Perusia la chiamavano, e a Terni invidiavamovi non poco! Senza bisogno di usare sdolcinati bigliettini che abusassero della mia personale rispettabilità di martire!». «Sacra Eminenza - tentò il tutto per tutto il processato - non ceda la vostra saggezza a basse considerazioni di campanile, e consideri piuttosto tutto il bene ispirato dal lieve nome dei nostri dolci...» ma fu interrotto senza alcuna pietà: «Campanile?!? Come vi permettete! Quanto al lieve nome di cui cianciate esso non può essere invocato ad attenuante ma aggrava la vostra colpa! Un bacio è un apostrofo salivoso fra le parole 'vieni, fornichiamo', ed è vostra esclusiva responsabilità averlo permesso! Passerete il resto della vostra grama esistenza nutrendovi dei vostri dolcetti di cioccolato, bigliettini compresi, ma non certo per bocca...» e mentre l'angolo inferiore destro della propria si deformava in un pauroso ghigno lasciando intravedere denti neri e storti, misti di sarcasmo e di cattiveria, il Giudice si volse verso il Boia: «Mio fedele, ti affido questo sciagurato affinché gli infligga il meritato castigo»; il tremendo figuro, sbattendo voluttuosamente le ciglia con lo sguardo verso il condannato e praticamente saltellando su se stesso nonostante la pesante armatura ne brandì la mano e lo condusse fuori dalla grotta cantando: «Per Santo

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Valentino si fa una bella cosa: la verginella sposa andiamo a deflorar!», mentre tutti i presenti a mani giunte e capo chino intonavano in coro «Kyrie, eleison! Christi, eleison!» per coprire le invocazioni di pietà del misero.

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17/2/2014

Renzi presidente del Consiglio con una squallida congiura di palazzo: Italia al terzo governo consecutivo non uscito dalle urne. IL DALAI RENZI Matteo Craxi ce l'ha fatta: finalmente è riuscito a conquistare il palazzo d'Inverno. L'āyatollāh Napolitini, al termine di una lunga riunione del Consiglio dei guardiani della Rivoluzione, gli ha conferito l'incarico di formare il nuovo Sinodo dei vescovi. Inequivocabili sono apparse ai Saggi, riuniti in solenne conclave, le innumerevoli prove che il Prescelto fosse lui, il quale, senza bisogno di nascere tra le aspre vette del Tibet sarà quindi a pieno titolo il nuovo Dalai Renzi. Subito l'Unto del PD partirà per un viaggio nel paese reale, per rendersi veramente conto della realtà della crisi e delle profonde ferite che ha lasciato nel tessuto economico. Non saranno tuttavia trascurati i distretti produttivi più innovativi, che resistono con la creatività e la fantasia alle enormi difficoltà congiunturali: tra le prime tappe Città del Faso, la ridente capitale del turismo del sistema solare, città che vanta il maggior numero di presenze di visitatori nella Via Lattea, città alla quale basta aprire uno stand anche alla fiera della scorreggia per registrare chilometri di coda di visitatori bramosi di baciare la pantofola all'assessrice alla Fasano-Selva. Il Caro Leader è molto curioso di conoscere la prima città d'Italia col sindaco sospeso per una condanna in primo grado: a tal proposito, Kim-IlRenz ha già pronta l'onorificenza da conferire a questo amministratore primatista per premiarlo del suo record, l'Ordine al merito dell'Abuso d'ufficio, e sempre nel culo ai magistrati! Il Partito Democratico della Città del Faso si sta da tempo preparando perché la visita del Viceré d'Italia sia un successo e il partito faccia una bella figura: a questo proposito la fidanzata del segretario cittadino ha regalato al suo amato per S. Valentino un ovetto con sorpresa sapientemente preparato dal direttivo del partito: all'interno un biglietto per un viaggio-premio per due persone in Papuasia, guardacaso negli stessi giorni della visita. Uno squillante striscione accoglierà il Duce: «Onore al più giovane presidente del Consiglio della storia!». Iscritti e militanti del Partito sono stati già ammoniti ad evitare di chiedere chi fosse il precedente detentore del record.

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21/2/2014

Quel giorno ricevetti la visita a Roma della giornalista di una rivista locale di Milano che con le sue inchieste aveva ottenuto il primo scioglimento della storia per mafia di un comune in Lombardia. Ha la metà dei miei anni ma professionalmente la ammiro molto. Ha la faccia rotondetta, la pelle un po' scura e soprattutto non ha bisogno di farsi notare: per lei parlano i fatti. GIORNALISTI E GIORNALAI Faccia di Luna è arrivata in autobus. Faccia di Luna sembra ancora più piccina, perché sorride sempre ed è sempre cordiale. Faccia di Luna era già stata a Roma. Faccia di Luna ama passeggiare. Faccia di Luna fa onore alla tavola, e non è di quelle signorine per bene che non ritengono conveniente mangiare di gusto: lei mangia tutto e se le piace è felice e lo dice, altro che superiore distacco. Faccia di Luna beve il caffè amaro. Faccia di Luna va ai funerali dei mafiosi, ma non perché ce la manda il direttore: ci va di suo, perché là c'è la notizia. Faccia di Luna parla perfettamente inglese perché da sempre passa due mesi l'anno a Londra. Faccia di Luna è amica dei No-Tav, ma non si accontenta della loro versione: in Val di Susa ci va di persona, e ha scoperto che lì ci sono la guerra civile e la nuova Resistenza. A Faccia di Luna è piaciuto il centro del centro, con i suoi scorci e le piazzette. Faccia di Luna ha un talento cristallino, e il suo talento è stata aria fresca tutta da respirare. Faccia di Luna si può permettere di essere placida e tranquilla, perché niente grida forte quanto i fatti. Faccia di Luna passa le giornate nei tribunali, perché un processo si segue sul posto, non da casa, altrimenti non se ne può scrivere. Faccia di Luna non vuol mollare, perché crede nel suo Paese. Faccia di Luna è ancora precaria, mentre in un Paese normale farebbero a gara per averla. Faccia di Luna non ha bisogno d'essere sgargiante e calda come il sole, perché nella notte anche la luce tenue della luna ci indica la strada.

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25/2/2014

Pessimismo cosmico: passano gli anni, nulla cambia e nulla cambierà mai. I difetti di Fasano si aggiornano, si adattano ai tempi nuovi ma non migliorano. E dopo più di trent'anni di risultati migliori di quelli degli altri, non ne posso veramente più. LA GRANDE PERA Fasano è quel posto dove la gente piscia per terra e dice che piove, tu gli fai notare che non piove e loro ti dicono che sei uno stronzo. Fasano è quel posto dove si va in macchina anche al cesso, e se uno attraversa piano sulle strisce gli si suona il clacson, e se il finestrino è aperto gli si bestemmiano anche i morti. Fasano è quel posto dove la precedenza spetta alla strada più larga, e a parità di strada spetta alla macchina più grossa, e a parità di strada e di macchina spetta al conducente con la fedina penale più macchiata. Fasano è quel posto dove gli assessori si presentano in pubblico in veste ufficiale con i pantaloni rosa. Fasano è quel posto dove il sindaco si presenta in pubblico in veste ufficiale con la camicia aperta fino al terzo bottone compreso. Fasano è quel posto dove basta vestirsi da mignotta, prima o poi uno potente che ti sistema lo trovi (però gliela devi dare, nemmeno qui ti danno niente gratis). Fasano è quel posto dove si distruggono i siti archeologici per fare gli alberghi. Fasano è quel posto dove la schiavitù si chiama lavoro. Fasano è quel posto dove le invasioni barbariche si chiamano turismo. Fasano è quel posto dove si muore di fame ma si fanno debiti fino al 3014 per comprarsi l'ultima macchina. Fasano è quel posto dove si gira con le pezze al culo ma il bambino alla Comunione deve avere lo smartphone. Fasano è quel posto dove non pagare il biglietto allo stadio è una medaglia d'oro al merito di guerra, ma se la società non fa la squadra per vincere il campionato si contesta. Fasano è quel posto dove nel centro storico si piscia, si spaccia e ci si lamenta che non c'è niente da fare.

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Fasano è quel posto dove se la sera non esci in un altro paese sei un poveraccio, e più lontano vai più sei figo a poterlo raccontare il giorno dopo; Fasano è quel posto dove meno conosci la gente più particolari racconti su di essa. Fasano è quel posto che si mantiene in piedi poggiando su due pilastri: l'invidia e la maldicenza. Fasano è quel posto dove si passa il tempo a trovare il modo di metterlo nel culo al proprio compaesano. Fasano è quel posto dove chi è meglio di te è delinquente o raccomandato, oppure ha una fortuna sfacciata che magari avessi avuto tu. Fasano è quel posto dove i foderi combattono e le spade stanno al muro; Fasano è quel posto dove se uno dice tre fesserie e tu tre cose giuste e precise, il pesante sei tu. Fasano è quel posto dove se tre amici non sanno che fare fanno un giornale. Fasano è quel posto dove non esistono fatti da raccontare, solo comunicati stampa da copiare. Fasano è quel posto dove non so quanta gente saprebbe rispondere alla domanda: «Chi ha scritto il diario di Anna Frank?».

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5/3/2014

Questo storytelling era stato scritto per uno spettacolo teatrale, con grande entusiasmo perché sarebbe stato il mio debutto come autore. Poi la cosa non andò in porto ma me l'ero tenuto buono per una futura occasione, che si presentò dato il riferimento al Carnevale e al fatto che in pratica fosse una specie di sviluppo dei concetti contenuti nella storia precedente. FASANESITÀ NEL DNA Ho sempre fatto notare ai miei amici che in qualunque paese al mondo quando si ha bisogno di un artigiano, che so: idraulico, falegname, meccanico, si entra in un laboratorio e si chiede a chi capita: «Mi scusi, avrei bisogno di conferire con il titolare al fine di commissionargli un lavoro, è presente in bottega in questo momento?». A Fasano no. A Fasano non sprechiamo fiato né inutili giri di parole. A Fasano bastano tre vocali e tre consonanti: «… Sta Lui?». Con la lettera maiuscola, come fosse un Ipse aristotelico, un'autorità assoluta, un despota, del resto quando si lavora in bottega non si dice forse: «Sto sotto un Maestro»? Sempre maiuscolo, ovvio. Non ne parliamo poi del rito del caffè al bar: in ogni città fa sempre piacere offrire qualcosa a un amico o a una bella signora, meglio se impegnata con qualcun altro. Ma non esiste paese al mondo dove l'insistenza di chi ti offre al bar è paragonabile al fasanese: provate a schernirvi un attimo alla proposta di un caffè, magari a quel bar alla moda in piazza, come si chiama... l'Orrenda Ferrara?: «Ehm no, grazie, l'ho appena preso». Il fasanese professionista ti squadra con uno sguardo più offeso che meravigliato e nemmeno ti dà il tempo di ragionare: «Ooooohei! Sciàaa, na scè fasciann cumplemind, pigghiate naaaaaaaaa caus, oooohei!». Ché poi a Fasano in quel momento diventiamo tutti comunisti: «Nù cafè allu cumbagne mè!» ed è impossibile tirarsi indietro: «No dai, veramente... ho detto che l'ho già preso!». Ma non c'è scampo nemmeno così, perché subito c'è il rilancio: «Iiii sciàaaa, pigghie n'ataaaaaaaaaaa cause! Scià! Pigghie n'apereteive! Scià, na scì fascianne uuuuu loffe!». Ma anche a Carnevale ci dobbiamo distinguere: a Fasano ci siamo inventati una maschera tipica fasanese, non lo sapevate? Sì sì, come tutte le

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città più famose: Venezia-Arlecchino, Napoli-Pulcinella, Torino-Gianduia eccetera. anche noi abbiamo la nostra maschera, si chiama Uagnunastro. Il Uagnunastro fasanese di Carnevale gira con un costume rigorosamente così composto: tuta Sparco blu con cerniera rimediata dal meccanico o dal gommista, spesso essi stessi ansiosi di vestirsi così a Carnevale risparmiando pure, casco integrale di quelli che oggi praticamente si vedono solo in pista, e bastone di gomma colorata gonfiato a dismisura. Questo è Uagnunastro. In genere non gira mai da solo ma in branchi di cinque-sei-sette esemplari in barba alle più elementari norme di ordine pubblico, ma si sa che a Lellandia non stiamo mai a badare tanto alle formalità. Del resto diceva Ennio Flaiano, che era nato proprio il 5 marzo, «La rivoluzione in Italia non possiamo farla perché ci conosciamo tutti»: è vero, ma per questo stesso motivo non possiamo fare nemmeno rispettare le regole. Ad esempio: i vigili urbani. Anzi, gli “Operatori di polizia municipale”, che cacchio... e manco il nome giusto? No perché a Fasano abbiamo gli unici vigili che si incazzano se non li chiami polizia municipale, poi se come le polizie vere devono arrestare qualcuno perché spascia il centro storico non ci stanno mai, chissà perché! Ma la colpa è nostra: senza la macchina non ci alziamo nemmeno dal letto la mattina! Ma l'avete mai vista Fasano alle sette di sera di tutti i giorni di tutti i mesi da una cinquantina d'anni? Tutta una coda. Alle sette di ogni sera che Dio mette in terra tutti i fasanesi sono in macchina a farsi il “giro”. E allora tu vedi i corsi, la piazza, via Nazionale dei Trulli, via Rosselli, l'intero centro storico eccetera eccetera tutto pieno di macchine, tutte con sopra... UNA persona!!! Una persona che tutto l'anno alle sette di sera gira sempre alla stessa maniera. Fateci caso in questi giorni: siamo in inverno, si muore di freddo, e come vanno i girettatori delle sette di sera? Finestrino abbassato... gomito fuori... può arrivare la sirrindina a dodici sottozero e loro niente... gli si forma il ghiaccio sotto l'orecchio e loro impassibili, quando devono fare una curva girano lo sterzo con il palmo della mano aperta e poi, ovviamente, se sei riuscito a non rompere il semiasse in una buca nell'asfalto, c'è sempre il problema dei problemi: il parcheggio. Be’ non è che a Fasano ci facciamo tanti problemi a parcheggiare eh??? Facciamo un sondaggio dài, forza su, via le inibizioni, via le false ipocrisie: alzi la mano chi non ha messo almeno una volta le quattro frecce in doppia fila! Alzi la mano chi non ha spostato almeno una volta una transenna! Alzi la mano chi è passato almeno una volta sotto il Comune spostando QUELLA transenna. Alzi la mano chi ha parcheggiato sulle strisce blu senza pagare! E per finire, alzi la mano chi prima di man-

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dare affanculo l'ausiliare, non ha tentato di dirgli: «Scià dai, che due minuti alla farmacia devo andare!». Ragazzi, a parte gli scherzi dobbiamo cambiare mentalità! Dài che fino a pochissimi anni fa pretendevamo di parcheggiare sugli scogli a mare! Adesso sento di gente che si lamenta di non poter andare con la macchina alla messa. Infatti sembra che don Carmelo, noto esemplare maestro di codice della strada, si sia attirato le proteste di molti invidiosi perché quando celebra al Purgatorio parcheggia la Panda dietro l'altare, sotto il coro ligneo. Ma chissà perché stavolta la fotografia della Panda parcheggiata non l'ha data né al farmacista né all'edicola affianco! Meno male però che almeno da qualche tempo sono in netta diminuzione quelli che si facevano lo stereo da tremila watt e mettevano il volume a “dieci”, ché tu stavi al semaforo di via Roma e si sentivano quando andavano dall'Ospedale. Matò... l'Ospedale! Vi ricordate l'Ospedale??? Però in una cosa almeno bisogna riconoscere che noi fasanesi siamo indubbiamente superiori agli altri: come sapete in tanti paesi in Puglia è usanza chiamare ancora oggi le bambine con il nome della Madonna protettrice o titolare del santuario vicino. Ad esempio a Foggia c'è la Madonna dell'Incoronata e molte donne si chiamano Incoronata, oppure c'è la Madonna dell'Altomare e le bambne vengono chiamate Maria Altomare, fino ad arrivare a robe da Telefono Azzurro come le bambine che si chiamano Sterpèta perché la mamma è devota alla Madonna dello Sterpeto, vi giuro che è vero! Ma anche più vicino a noi, scusate, sapete come si chiama il santo protettore di Oria? San BARSANÒFIO! E vi assicuro che se andate a Oria trovate un sacco di persone che si chiamano Barsanofio. Ora, tutto abbiamo fatto a Fasano: ci siamo mangiati l'artigianato, ci siamo mangiati la Selva, ci siamo mangiati la costa, ma almeno le bambine non le abbiamo mai chiamate Maria Pozza!

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13/3/2014

Qualche settimana prima era stato annunciato da qualche sito locale il matrimonio fra una illustre sconosciuta popstar nippo-statunitense e un cameriere di Pezze trapiantato a Londra. Dei piccioncini continuarono a lungo a essere fornite notizie su qualsiasi fesseria li riguardasse. PEZZE DI TOKYO

-Del Giappone sei, eh? -Amò, mi è sparato un dolore, mi fai uno di quei bei massaggi sciazzu che sai fare tu? -Amò, prima di partire alla turnè ricordati di buttare la medicina al crisantemo! -Amò, a medonn ce bell chimono che ti sei menata oggi! -Amò, azzingo ti vai dimenticando che domani sera sta il concerto! -Amò mi è scazzicata una fame... mi fai un susci? -Amò, le chiavi della Suzuki vicino le hai lasciate, eh? -Amò scià, pigliati una cosa... lo vuoi un espressino? -Amò ma sta un posto aperto la domenica per comprargli le paste a tua madre? -Amò ma che processione è? Noi portiamo la Madonna e voi una pizza di due metri alta? I murt du scintoisme... -Amò ma qua co sti treni andate come i pazzi!!! -Amò ma sulla Selva di Tokyo si può lasciare la macchina in centro? -Buon Natale signò!!! ...mè? I purcè mamt m ste fasce a faccia brutte mù???

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16/3/2014

Non un'autorità, non un fiore, non un minuto di silenzio la sera prima nella palestra che porta il nome di Franco Zizzi: mi resi quindi ancora di più conto di come non smettere mai di ricordare, per quanto si può, sia doveroso, anche quando i ricordi diventano nebulosi perché il tempo passa. QUELLA MATTINA

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La storia l'ho raccontata varie volte ma mai per iscritto, e ci sarà qualcuno che non l'ha ancora sentita. Non ricordo che tempo facesse quella mattina: nuvoloso? Soleggiato? Non lo so. Non ricordo niente di particolare nel tragitto da casa a scuola, del resto durava due minuti d'orologio, dato che abitavo in via del Calvario e andavo alle elementari in via Collodi, lì di fronte. Non ricordo niente di quello che accadde nella prima ora, ora e mezza di lezione, buio totale. Avevo sette anni, facevo la seconda ma non ricordo nemmeno che materia stessimo facendo. Ricordo però una cosa: era giovedì. Facevamo sempre lezione con la porta chiusa, e il primo particolare che emerge è proprio questo, che da solo racconta l'eccezionalità del momento: la porta aperta. Venimmo messi a fare forse un compito, un esercizio, un qualcosa per tenerci buoni, e non ricordo neanche se l'obiettivo venne raggiunto o, come al solito, ne approfittammo per fare baraonda. Ma, nella fila dei non-ricordi, l'ultimo riguarda il motivo che mi spinse ad affacciarmi sulla porta. In fin dei conti la maestra non c'era, che me ne importava? Fino a quando non fosse tornata potevo fare quello che volevo con i miei compagni, ma quella volta non fu così. Ci sarà stata un'aria particolare, forse un remoto sentore d'evento epocale ci avrà raggiunti e coinvolti, come la lingua sottile di una fiamma che brucia lontana ma scotta la mano tesa al camino, o forse sarà stato solo istinto, sta di fatto che a un certo punto comparvi sulla soglia della porta di classe. Il corridoio in quel momento lo ricordo luminoso, e non pieno di gente. C'erano solo le maestre, forse anche i bidelli ma grosso trambusto non ce n'era. Parlavano fra di loro, senza nemmeno fare grande chiasso, come si faceva una volta, quando la sacralità di certi luoghi, come la scuola, consigliava da sola l'atteggiamento rispettoso da tenere, ma quello che


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dicevano si capiva perfettamente. Si parlava di un fatto grave, anzi, gravissimo. Addirittura una sparatoria, per di più con morti. «A Fasano? pensai – I bevà...». Un momento però l'ho focalizzato nettamente, e per tutta la vita, per sempre, perché ho la netta sensazione che non se ne andrà mai: a un certo punto guardai alla mia destra, dove c'era una delle maestre che avevano la classe sullo stesso corridoio della nostra, e la vidi congiungere le mani verso il basso mentre, alle colleghe che si avvicinavano, diceva: «Non è morto, è ferito gravissimo». Quella maestra era la cugina di Franco Zizzi. Dopo questo ricordo nitido, il buio assoluto: in trentasei anni, è comprensibile. Ma un altro sprazzo ce l'ho ancora, legato a un ulteriore particolare del tutto inconsueto: il televisore acceso in casa quando rientrai da scuola. Non mangiavamo mai con la tv ma con la radio accesa: quella volta invece c'era la televisione che mia madre, mentre preparava il pranzo, teneva sulla diretta non stop che i telegiornali della R.A.I. stavano dando su entrambe le reti allora esistenti. Fu lei a spiegarmi più o meno quello che era successo, e solo allora capii che la sparatoria non era avvenuta a Fasano, chissà perché mi ero convinto addirittura in piazza, ma a Roma e che un fasanese, fratello di due amiche dei miei genitori, era in pericolo di vita. Franco Zizzi sopravvisse solo tre ore e mezza, senza riprendere conoscenza, e morì al policlinico Gemelli attorno alle 12,30. Era il 16 marzo 1978: non aveva mai fatto servizio di scorta prima di quel giorno. Con lui le Brigate Rosse uccisero altri due poliziotti e due carabinieri per sequestrare Aldo Moro, poi assassinato anche lui il 9 maggio, oggi giornata di commemorazione delle vittime del terrorismo e delle stragi. Ieri sera sono andato a vedere la partita nella palestra scolastica che porta il nome di Franco Zizzi, dove c'è la lapide che, con sobria oggettività, ricorda che è stato una vittima del terrorismo, senza specificazioni, senza nomi, senza colori politici, perché com'è giusto che sia non è quello il posto per le verità storiche e giudiziarie, che sono scritte nei documenti, ma solo quello del ricordo. Nessuna autorità ha ritenuto di dover portare nemmeno un fiore.

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24/3/2014

Giornalista querelata per 150.000 euro da un presunto collettore di voti della 'ndrangheta: avevo scritto questo storytelling la sera prima, dopo una lunga chiacchierata su Whatsapp sul suo futuro e sulla sua granitica voglia di rimanere in Italia per non mollare, e la mattina dopo alla notizia della querela i motivi per scriverlo erano diventati due. SE FOSSI MIA FIGLIA

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Se tu fossi mia figlia ti vorrei un bene pazzesco. Bè, non è una grande cosa da dire, tutti i padri vogliono un bene pazzesco alle figlie, o almeno la maggior parte. Ma se tu fossi mia figlia, ti vorrei un bene più pazzesco degli altri, perché almeno due volte al giorno ringrazierei Iddio di averti fatta proprio come ti volevo: carina ma senza malizia, femminile ma dinamica, intelligente ma umile, consapevole del proprio valore ma non inguaribilmente narcisa «come quel caprone del padre». Innamorata della mia stessa cosa ma molto, molto più brava di me. E se fossi anche tu ansiosa e incline ad aver paura di tutto, a differenza mia non lo daresti a intendere per niente, anzi avresti una faccia molto, molto più da schiaffi della mia per infilarti lì dove succedono le cose. E questo, qualcosa mi dice che è già così nella realtà. Se tu fossi mia figlia non muoverei un dito per sistemarti, perché non ne avresti minimamente bisogno e, almeno in questo, avresti preso da papà! Ma non commetterei con te l'errore che hanno fatto con me: non scambierei il dovere di abituare i figli a tenere i piedi per terra con l'umiliazione e la denigrazione gratuita. Sarei il tuo primo tifoso, ti difenderei a oltranza con tutti in pubblico, pronto a prenderti a schiaffi in privato se te lo fossi meritato. E non ti avrei certo fatto crescere in un ambiente dove appena mostri di essere meglio degli altri cominciano le invidie, le maldicenze, le calunnie. Non avrei permesso che in un'aula di scuola pubblica il figlio di pescatore analfabeta ti apostrofi davanti a tutti al grido di «Figlio di professore!», com'è successo a me, e ti insegnerei che se quel figlio di pescatore analfabeta vuol diventare insegnante universitario deve avere il diritto e le possibilità di farlo e che tocca proprio a te difendere questo diritto e queste possibilità, per quello che hai scelto di fare nella vita. Se tu fossi mia figlia ti manderei all'estero che ti piaccia o no, se neces-


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sario a costo di morire di fame perché, a differenza tua, io non ci credo più. E guarderei tua madre con occhi riconoscenti, anche se fra me e lei fosse finita, come fosse ogni volta un grazie. Ma ti voglio bene lo stesso, piccola e grande donna, e se per accidente non sei mia figlia, mi piacerebbe essere... la tua guardia del corpo! Perché non possiamo proprio permetterci di perderti.

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30/3/2014

Lo Zoosafari, alcuni mesi dopo aver millantato una possibile cessione a fantomatici investitori cinesi, aveva annunciato assunzioni extra per i festivi ma soprattutto la trasformazione dei contratti del personale a tempo indeterminato in contratti stagionali. Non una voce si era alzata a difesa di lavoratori che si vedevano precarizzati dopo anni e anni di lavoro sicuro. LA FUGA DELLE GIRAFFE

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Per stavolta fatemi fare il mio mestiere come va fatto, senza ironie. La Leo 3000 di Roma, società per azioni che possiede lo Zoosafari, ha annunciato che dal prossimo primo aprile utilizzerà nei week end e giorni festivi novantaquattro lavoratori occasionali, selezionati sugli oltre quattromila che avevano risposto al bando della società. I lavoratori verranno pagati con i voucher, buoni che i datori di lavoro possono acquistare dall'INPS e che hanno i contributi compresi. I voucher, introdotti dalla legge Fornero, sarebbero anche una buona idea ma ho paura che se da un lato facciano emergere il nero dall'altro stimolino la creazione di lavoro precario, ma comunque ne vedremo l'applicazione pratica e tireremo le somme alla prova dei fatti. Ma non è tutto: questa società ha deciso di procedere anche a licenziamenti del personale assunto a tempo indeterminato, chiudere per sei mesi l'anno lo Zoosafari, e precarizzare la posizione dei lavoratori, riassumendoli come stagionali. L'esperienza insegna però che altrove questo status ha sottratto potere contrattuale alla forza-lavoro: perché se cominci a “rompere”, cioè a voler andare al bagno quando ti scappa, a usufruire delle pause previste dal contratto collettivo, a stare a casa quando hai trentotto di febbre e casi simili, oppure se a stagione finita arriva un politicante e “propone” il suo pupillo, la riassunzione te la scordi, e di storie del genere in altre aziende la letteratura è piena. Anche qui staremo a vedere, sono però preoccupato dal fatto che non ho sentito una sola parola sull'argomento da parte di nessun sindacato o partito. Vabbè, il PD ormai è irrecuperabile, ma i vendoliani, Rifondazione eccetera dove sono? Esistono ancora? Mah... In attesa di notizie, ho voluto documentarmi sulla situazione dell'azienda, dato che una ristrutturazione simile si giustifica


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di solito con una situazione di dissesto che mette in discussione l'esistenza stessa della società e dei posti di lavoro che offre. Nel 2012, ultimo bilancio pubblicato, la Leo 3000 s.p.a. ha innanzitutto dichiarato nel proprio stato patrimoniale oltre un milione di euro di crediti esigibili. Sempre nel 2012 ha dichiarato nel proprio conto economico oltre sei milioni e mezzo di ricavi, a fronte di poco più di cinque milioni di costi, per un avanzo netto di più di un milione e quattrocentomila euro. Ma siccome è dovere del giornalista raccontare tutti i fatti per come sono, e dato che i numeri sono i fatti più incontestabili, non si può negare che questa società stia sentendo gli effetti della crisi economica: i ricavi rispetto all'anno precedente sono diminuiti di un milione e trecentomila euro, passando dai quasi sette milioni e ottocentomila euro del 2011 ai poco meno di sei milioni e mezzo del 2012. Ma la crisi c'è per tutti, mica solo per loro. Sempre per onestà occorre dire che le spese per il personale sono cresciute, sia per retribuzioni che per liquidazioni che per oneri sociali, per un totale di più di un milione e ottocento trentatremila euro a fronte di un milione e seicento settantamila dell'anno precedente. Per chi ha le spalle più larghe e dimensioni più solide non è detto però che la crisi sia un problema insormontabile: a guadagnare di meno infatti si pagano meno tasse e questa società, che nel 2011 aveva versato più di ottocentomila euro al fisco, nel 2012 ha pagato duecentomila euro in meno, fermandosi a poco più di seicentomila. Alla fine della fiera, la diminuzione dell'utile netto non è stata certo drammatica: meno trecentomila euro rispetto all'anno precedente, cioè poco meno di un milione e duecentomila invece di quasi un milione e mezzo. Questa è, a conti fatti, una società che è tutt'altro che in dissesto, visto che nonostante tutto continua a guadagnare, e non poco. E allora cosa sarà successo nel 2013? Una rivolta delle scimmie tipo film di fantascienza anni 70? Una fuga delle giraffe? I leoni e le tigri hanno minacciato di sbranare i dirigenti se non gli fanno mangiare carne freschissima di marabù condita con caviale del Volga? Un crollo verticale delle presenze? I bambini non vogliono più salire sulle giostre da quando hanno scoperto Candy Crush Saga? Qualcuno ce lo spieghi, per favore. Una cosa non capisco, e non capirò mai: per quale motivo i costi della crisi li devono pagare sempre e solo i fasanesi?

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1/4/2014

Un articolo su un sito locale nel quale una statua di Gesù veniva definita "simulacro" scatenò la mia perfidia, facendomi scrivere un articolo nel più fedele stile dei giornalai fasanesi: enormi cappelli prima della notizia, aggettivi a go-go, condizionali, sostantivi da vocabolario e gratuite leccate di posteriore alle autorità civili e militari. QUESTIONE DI STILE

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Efferato fatto di sangue ieri a Fasano, a dimostrazione di come il problema delle buche nelle strade sia ancora lungi dall'essere risolto e meriterebbe di essere prontamente affrontato: se non si pone rimedio a questa incresciosa situazione, gli episodi come questo potrebbero aumentare e prima o poi potrebbe scapparci addirittura il morto. Non sono rari infatti in altre città simili episodi conclusi tragicamente, e sarebbe il caso di evitare che accadano anche a Fasano, per non inficiarne ancora di più la spiccata vocazione turistica. Ieri sera, su via Giardinelli, un anziano novantacinquenne ha centrato in pieno la sua consorte nel tentativo di sputare per terra: la malcapitata consorte, perduto l'equilibrio a causa del contraccolpo, ha inciampato in una buca sull'asfalto, rovinando al suolo. In quel mentre, sopraggiungeva in direzione opposta un'autovettura che, per cause ancora da accertare e sulle quali stanno indagando i carabinieri della stazione di Fasano al comando del maresciallo Tal dei Tali, nonostante il tentativo di azionare i freni ha centrato in pieno la consorte dell'anziano novantacinquenne. Pare che la signora si sarebbe procurata alcune escoriazioni e una frattura che sembra, si dice, possa essere anche scomposta. Alcuni testimoni del sinistro avrebbero dichiarato alle forze dell'ordine che la signora, cadendo al suolo, avrebbe proferito una colorita espressione in vernacolo. Il consorte della consorte, dal canto suo, estratto di tasca un santino con il simulacro del suo santo protettore, sarebbe stato portato via dai parenti prontamente accorsi mentre recitava giaculatorie propiziatorie di una pronta guarigione della congiunta. Messaggi di solidarietà da parte del sindaco, del vicesindaco, dell'assessore alle buche e dell'assessore agli incidenti.


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3/4/2014

Minacce di denunce per procurato allarme al leader del movimento In Comune, che senza citare alcuna fonte aveva pubblicamente parlato di casi di malattie contagiose in una scuola fasanese. FACCIAMOCI DEL MALE Lebbra, peste bubbonica, salmonellosi, scabbia, linfoma di Hodgkin. Calcoli biliari, aerofagia, flatulenza rettale, flògosi degli arti inferiori. Gotta, ballo di San Vito, sclèrosi laterale amiotrofica, artrite deformante: sono solo alcune delle malattie di cui casi conclamati sono stati scoperti nelle scuole di Fasano dal presidente-segretario-consigliere-conducator-professor-iosotutto del Partito Narcisista Fasanese al termine di un'approfondita indagine condotta con rigorosi criteri scientifico-statistici via messaggio privato su Facebook. Alla notizia il direttivo del Partito si è immediatamente riunito e al termine di un corposo e franco dibattito durato ventisei secondi e mezzo ha deciso di convocare un flash-mob di protesta in largo Amati per il pomeriggio seguente, al quale si sono presentate tre persone, le uniche che ancora guardano la bacheca Facebook del movimento, più sei o sette vecchietti che si trovavano casualmente sul posto per la passeggiatina del dopopranzo. Indignati i commenti dei politici interessati: l'assessore all'italianizzazione del proprio nome troppo fasanese, se no sembra male, ha dichiarato «Lo duca del Partito Narcisista si é sbagliato, non c'è nessun allarme sanitario: c'è un solo bambino che si è preso tutte le malattie elencate». Anche un altro suo collega ha inteso mettere i puntini sulle i: «Le informazioni divulgate sono false, i bambini non hanno tutte quelle malattie: infatti si sono dimenticati di citare il raffreddore, la varicella, la rosolìa, gli orecchioni e il morbo di Montezuma, scientificamente detto cacarella». Nel frattempo gli adepti del PNF, delusi e increduli per la scarsa partecipazione alla manifestazione nonostante la fama di credibilità conquistatasi sul campo negli ultimi due anni e l'efficacissima divulgazione dell'iniziativa, nonché per le smentite incassate, decidevano di passare all'azione: avrebbero provveduto a denunciare senza indugio all'Organizzazione Mondiale della Sanità i dirigenti scolastici e tutti i genitori dei piccoli allievi, per essersi permessi di non aver fatto ammalare i loro piccoli.

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9/4/2014

Riunione in Comune sul nuovo porto di Savelletri: nel comunicato di convocazione si parlava solo e soltanto di turismo e se ne rivendicava l'urgenza essendo la stagione alle porte. E dei pescatori fasanesi, come al solito, nessuno se ne fregava. A PESCI IN FACCIA È già tutto deciso: nella riunione di venerdi prossimo, convocata per discutere sulle modalità di gestione del porto di Savelletri, ampliato e rimodernato, in realtà non si discuterà un bel niente. Gianlello infatti si presenterà all'appuntamento con un documento programmatico che gli "operatori del porto", nuovo moderno nome dato dal regime ai pescatori, sicuramente più fashion, cool, easy, social e smart, riceveranno alle 16 ed avranno tempo di leggere entro le 16,15. Le osservazioni che i medesimi oseranno avanzare saranno direttamente cestinate: la nuova vocazione decisionista e sbrigativa ispirata dal governo Renzi è stata subito adottata dalle amministrazioni locali e non prevede né obiezioni né discussioni. Si fa, e basta, e pure in fretta. Ma vediamo dunque che cosa prevede il documento: innanzitutto, ogni attività di pesca nel porto di Savelletri sarà immediatamente abolita; chi desidera continuare ad esercitarla dovrà spostare il suo peschereccio nei porti adiacenti, pagando una modica tassa di emigrazione di settemila euro, altrimenti non avrà il permesso di andarsene. Chi invece vorrà liberamente e spontaneamente rimanere, dovrà riconvertire la sua imbarcazione a natante da diporto adibito a scorrazzamento turisti per le calette del litorale fasanese. Ai comandanti e/o proprietari di barche sarà ancora permesso di condurre i mezzi, mentre marinai e mozzi dovranno cambiare attività: i primi naturalmente faranno i camerieri, pronti a scattare ad uno schiocco di dita degli stranieri e dei settentrionali che pagheranno lautamente il servigio (tassa comunale dell'87%, il resto alla barca) per portargli cibo, bibite, liquori e per compiere ogni atto consono a mettere a proprio agio la clientela, come reggere ventilatori in caso di eccessivo caldo o sventolare ventagli se l'aria non fosse proprio afosa. I secondi invece saranno piegati a quattro zampe e adibiti a tavolini. Non saranno consentite assunzioni a tempo indeterminato: il personale

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ex piscatorio verrà suddiviso in gruppetti di tre-quattro unità che ruoteranno due volte la settimana cambiando ogni volta barca e venendo pagati in voucher entro centottanta giorni dalla prestazione lavorativa ma non prima di centosettantanove. I voucher saranno spendibili esclusivamente negli stabilimenti balneari e negli hotel e villaggi turistici di Savelletri, e saranno validi soltanto per comprare accessi alle spiagge. Una volta ivi giunti però, i fruitori fasanesi dei voucher verranno convogliati in una "zona di non confusione" dalla quale sarà loro tassativamente vietato uscire, non sia mai che si mescolino ai turisti paganti, e non ci saranno eccezioni né per bisogni fisiologici né per acquisto di pane e acqua. Chi verrà sorpreso nella zona portuale con un pesce non rigorosamente acquistato al supermercato verrà condannato a ripulire dalle alghe da solo e per tutta l'estate la spiaggia ex-Imarfa.

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18/4/2014

Il giorno prima c'era stata una visita a Fasano del console generale d'Austria, per la firma di un'intesa finalizzata all'organizzazione del soggiorno di oltre tremila anziani turisti in un hotel di Torre Canne l'estate successiva. AUSTRIA INFELIX Fasano, su una strada qualsiasi, esterno giorno: -Azzidenten kome soppalza kvesta makkinen. Kome mai zi sono tanten buken sulle fostre straten? -Ehm... quelle non sono buche, signor console, sono i nostri celeberrimi scavi archeologici, che fanno della nostra città uno dei più importanti siti di tutta Italia! -Ach, so! Komplimenten! Ma perké fostri arkeologhen fare tante pikkole buken su tutte le straten? -Ehm... perché il sottosuolo è talmente pieno di reperti che non facciamo a tempo a chiudere un buco che dobbiamo aprirne un altro! -Ma ke bellen, brafi!

Fasano, sala di rappresentanza del palazzo di Città, interno giorno: -Piacere, sono il sindaco. -Molto piazeren, sono il konsolen ti Austria. -Vogliamo firmare il protocollo d'intesa? -Zertamenten! Uno schiocco di dita echeggiò per l'aere: -Gianlello! Vieni subito qui! Un riccioluto personaggio si avvicinò immantinente: -Piacere, sono il vice sindaco. Ecco, firmi lei per primo, poi mi passi pure il documento per la controfirma. -Und perké non lo firma il sindaken? -Ehm... Avevo dato la delega al vice sindaco perché temevo di non poter essere presente a questa cerimonia. -Ah, kapisko, z'era senz'altren qvalke impegnen più importanten: dofefa essere rizefuto ta suo ministren dell'Internen in Roma? Ma telega non impetisce lei ti firmaren, tato che essere kvi. Firmi pure lei stessen, non z'è

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proplemen, kosì protokollen più solennen se firmaten ta sintako in personen! Silenzio. Gli amministratori si guardano terrorizzati negli occhi: e se questo non firma più? Pronta interviene l'assessrice: -Ha visto che bel balcone sulla piazza? Prego, venga, con questa bella grandine poi il panorama è ancora migliore!!! E lo trascina di peso verso il loggione centrale del palazzo. Il buffet di focaccia e taralli fece il resto e l'ospite si dimenticò di chiedere perché il sindaco non volesse firmare.

Fasano, portico delle Teresiane, esterno notte: -Guardi che bello il nostro portico, signor console: era il chiostro del convento delle suore di S. Teresa che... -Ma skusi, tufen und pietra lokalen non essere materialen ta kostruzionen molto resistenti all'umiten? -Sì certo. -E kome mai molti punten ti portiken sono bagnaten ad altezza d'uomen? Anzi, per la precisionen ad altezzen ti kafallo di uomen.. Puntuale come la morte, l'assessrice aveva la risposta pronta anche stavolta: -Perché ha grandinato e i nostri operatori ecologici hanno spazzato via la grandine a mucchietti sotto i portici, quella si è sciolta ed è rimasto il muro bagnato in alcuni punti, ma poi si asciuga! -Non mi sembren una soluzionen molto intelligenten... kosì cente riskia ti scivolaren! Qvanto pakate servizien di nettezza urpanen? E a propositen, kosa essere tutte kveste orrenten skatolen ti plastiken bianche und marronen fuori dalle porten ti case antiken? -Ehm... vuole un bicchiere del nostro prelibatissimo vino locale? Venga venga! -Zì, mi piaze molto vinen pugliesen! Ma fostro vinen non teve esseren molto dolcen perché fedo ke tutten, topo bere vinen, kompraren all'angolen di portizi zukkero molto finen ta fenditori ambulanten. E poi ke stranen... infece di manciaren aspirano zukkeren kon narizi. -Eh sì, è un'usanza tipica locale! Comprare zucchero macinato finissimo all'angolo delle strade nei giorni di cattivo tempo e aspirarlo contro il raffreddore! 58

Savelletri, esterno giorno: -Eccoci, siamo arrivati nella magnifica residenza che la ospiterà durante


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il suo soggiorno, tutto a nostre spese naturalmente! -Ach so! Ma io non folere kravare su tasken ti fostri kontribuenten, perké fedo ke qvesto fillaggio turistiken è parekkio lussuosen... -Non si preoccupi eccellenza, sta tutto pagato! -Ma kome mai qvesta bellissimen straten molto antiken si fermen proprio dafanti fillaggio turistiken? Per kasen kostruiten fillaggio sopra resti ti antika fia romanen? -Noooo, ma che dice! Questo era un vecchio tratturo interpoderale di chianche consumate e brutte! -Kosa essere “kianken”? -Ehm... chianche essere... pischen, mazzacanen... come dire voi in tedesco?

Savelletri, interno notte: -Pronten? Signor ambasciatoren? Zì sono il konsolen... Ma tofe kazzen mi afete mandaten? In kvesto posten le straten sono piene ti buken e non si può zirkolaren, il sintaco è sospesen per una contanna penale in primo kraten, nel zentro storiken pissiano e spazziano all'aperten e z'è una puzzen di rifiuten ke non si può staren, tistruggono i reperti romanen per fare villaggien turistiken... Ma ke posto ti merden è mai qvesto???

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27/4/2014

Un'automobile noleggiata da tre turisti stranieri si imbrana sulla FasanoSelva, invade la corsia opposta e centra in pieno un autobus con tre fasanesi a bordo: sfiorata la strage. Occasione anche per parlare di un grosso affare edilizio-turistico in ballo, come sempre alle spalle dei fasanesi. CHE COS'È IL REGIME Eccoci qua. Siamo arrivati dove dovevamo arrivare: alla strage sfiorata per un niente. Turistaglia straniera imbranata e imprudente che va a sbattere contro un autobus del servizio pubblico fasanese. E se lo avesse buttato di sotto? E se fossero morti l'autista e i passeggeri? Questo se non vogliamo parlare di chi stava aspettando l'autobus ed è rimasto senza corsa, perché nella Fasano del regime gli autobus dalla collina al centro passano ogni tre ore. Perché nella Fasano del regime si gira in Ferrari, altrimenti sei uno sfigato. Nella Fasano del regime la collina deve morire, e anche chi ci vuole vivere muovendosi con i mezzi pubblici senza inquinare deve rischiare la vita per i comodi di stranieri e settentrionali. Spesso mi chiedono: «Ma cos'è questo regime di cui parli così spesso?». Esattamente questo! Ma per meglio argomentare, e per essere più chiari possibile, prendiamo una recente esternazione pubblica del condannato in primo grado e sospeso, comparsa in una discussione su Facebook: «È proprio grazie ai vari Melpignano, Muolo, e tanti altri "acquirenti" che oggi, sul versante turismo, siamo all'attenzione internazionale e siamo stati in grado di superare le mete storiche del turismo in Italia, che erano la Sardegna e la Toscana». Eccolo qua il regime, la narrazione falsa e fiabesca di un mondo che esiste solo per i forestieri, e che i fasanesi stanno pagando giorno per giorno: oggi con gli incidenti stradali, ieri con l'aumento pazzesco della tassa rifiuti per poterla diminuire agli alberghi, sempre con il traffico, l'inquinamento, l'aumento dei prezzi (la pasta a Savelletri costa il doppio che a Fasano). Ma soprattutto con la cacciata senza pietà da casa nostra, presa e regalata ai forestieri fregandosene completamente dei veri, autentici, unici padroni di casa: i fasanesi. Un regime infatti vive prima di tutto di prepotenza, ma noi ce ne sbattiamo altamente di Sardegna e Toscana, a parte che tipico dei regimi è citare dati favorevoli

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senza indicare le fonti: noi vogliamo essere i padroni di casa nostra!!! Parte fondamentale di questa favoletta è che il turismo crea lavoro e porta soldi. Ma quale lavoro, ma quali soldi!!! Chiedetelo ai fasanesi sfruttati come schiavi quindici ore al giorno per settecento euro al mese, e mica tutti i mesi: ti chiamano quando vogliono loro e quando vogliono ti lasciano a casa! Così, finiscono tutti nelle tasche dei padroni, e i fasanesi? Sotto! A proposito, parliamo un po' dell'ultima operazione in corso: la trasformazione di un ex marmificio sul mare fra Savelletri e Torre Canne in uno stabilimento balneare. Ecco come ce lo spaccia per una grande opportunità per i fasanesi il condannato in primo grado sospeso: «Venendo all'attuale discorso Imarfa, "l'acquirente" avrebbe potuto realizzare benissimo un mega albergo in quel posto (e quindi sul mare) perché il nostro PRG, proprio per favorire la rimozione di quell'obbrobrio, lo consente. Ha preferito invece la delocalizzazione delle volumetrie in altra sede e la cessione di quel sito e del relativo parcheggio di fronte, attrezzati, come dicevo prima, alla città di Fasano». Quindi gli dovremmo anche dire grazie!!! Peccato si sia dimenticato di far notare che quella volumetria, trasferita altrove, permetterà la realizzazione di un altro manufatto che porterà un guadagno molto ma molto maggiore di quello che deriverebbe dalla gestione del solo hotel, anche perché sarebbe aggiunta al guadagno di quella parte di stabilimento balneare che verrebbe destinata alla turistaglia e negata ai fasanesi. E poi, la voglio proprio vedere la spiaggia libera come verrà pulita e manutenuta dal privato, accanto a quella che gli interessa, cioè quella dove si paga. A parte il discorso-parcheggio, che mi fa veramente ridere: il regime non riesce proprio a concepire l'educazione al trasporto pubblico, necessità imprescindibile in una città soffocata da traffico e buche come Fasano. Adesso diranno che noi, che vogliamo Fasano libera dal giogo, ci stiamo rammaricando che non ci sia stata la strage, ma un regime, si sa, aiutato da una stampa sdraiata di falliti copincollisti e penne di malaffare in minigonna e tacco, vive di menzogna. Di me, in particolare, diranno che sono pazzo. Ebbene sì, sono un pazzo. Pazzo d'amore per la propria città, e come tutti i folli d'amore voglio solo il bene dell'amata, la mia, la nostra adorata Fasano. Nostra, e di nessun altro.

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6/5/2014

Non è triste Fasano, soltanto un anno dopo... UN ANNO DOPO Ma proprio a me? Ma davvero? Come nella vita vera? Alle tre di pomeriggio? Perché nessuno veda, nessuno mi becchi varcare quella porta? E soprattutto, uscirne? Il batticuore, di quelli da adolescente. Le mani che quasi tremano sullo sterzo. Sensazioni quasi dimenticate. Un dolce ammuffito per rompere il ghiaccio, portato da un viaggio come scusa. Tanto lo sapevo che bastava una scusa, una qualsiasi, un'inezia qualunque, una minuzia per chiamare, e per sentirsi rispondere di sì. A ripensarci adesso, forse ne ho anche approfittato: lo sanno tutti che tipo sei. Ma io ci ho creduto, in te, in me, di quelle fedi che non vogliono guardare la realtà per quel che è. Ho creduto che la tua pelle fosse un inizio, non una fine. Ho rifiutato di capire che il tuo letto già sfatto diceva tutto di te. Ma è stato lo stesso indimenticabile abbracciarti con gli occhi, e tutto il resto. E non lo dimenticherò. Pensavo che un anno dopo il ricordo mi avrebbe devastato, e invece no. Ci sono cascato, ma l'ho fatta franca. Sono stato un altro numero nella collezione, e non l'ho nemmeno capito in tempo, ma adesso posso raccontare a tutti chi sei veramente. E augurarti tutto il male che può esistere, perché non meriti altro. Ti impadronisci delle anime e le sconvolgi, le usi e le mastichi per la tua fame di fama, e poi le sputi come un chewing-gum senza sapore, da pestare col piede per passare al prossimo. Meriti le cose più brutte della vita, ma soprattutto meriti di cadere, e non in piedi come a quelle come te sempre succede, ma di testa a terra, per fracassare insieme a quella bella faccia in vendita tutte le tue sicurezze.

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26/5/2014

La Junior Fasano vince uno storico scudetto nella pallamano VOGLIO Voglio un mare a strisce biancoazzurre, per immergermi e farmi possedere dai colori della mia città. Ma per tuffarmi, voglio nel mare un bersaglio tricolore, rotondo, da centrare con la testa e con le braccia. Poi, una volta stanco, voglio aggrapparmi a una zattera anch'essa tricolore, triangolare e bordata d'oro. Dopo il bagno, da mangiare voglio panzerotti e salsiccia, quelli che non ho mangiato perché ero lontano. E per bere, voglio le due coppe per bicchiere e, tutto intorno, quattro mura, un tetto e un pavimento per giocare, e sulle mura voglio quattro gradinate con le sedie, da riempire con altra gente altrettanto calorosa ma ogni volta più numerosa. E voglio che non basti lo spazio per scriverci sopra nomi di aziende, e che si stia comodi, e continuino a vedersi le famiglie fuori e i fasanesi in campo, e che i politici ci vengano bene accetti, per aver favorito e non ostacolato tutto questo. Voglio tornare in giro per l'Europa a portare in alto il nome della Patria, e stavolta non solo per imparare ma anche per vincere. E voglio che con tutto questo ci si guadagni. Lo voglio, e fino a quando avrò energie darò tutto quello che ho per averlo: è il minimo che posso fare per ringraziarvi tutti quanti.

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4/6/2014

Venticinquesimo anniversario della strage di piazza Tien An Men, battesimo del fuoco politico per tutti noi che nel 1989 avevamo 18 anni. Ilario Fiore (1925-1998) era il corrispondente della RAI da Pechino in quei giorni. LA FOTO DEL SECOLO

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Alla televisione il buio della sera di Pechino sembrava ancora più opprimente, le luci giallognole ancora più lugubri. Si capiva ben poco di quello che stesse succedendo. Fiore ce la metteva tutta al telefono, dove gli scatti cadenzati a intervalli regolari della teleselezione intercontinentale rappresentavano bene i tamburi di un antico esercito di guerrieri del male in avanzata. Ma la censura era quasi impossibile da aggirare, e allora bisognava avere orecchio e mente allenati per comprendere quello che veramente accadeva. Tra le poche cose che si capivano, c'era il suo scetticismo verso questa forma di protesta irrazionale e disorganizzata, destinata secondo la sua visione delle cose a consegnarsi alla repressione. Ci aveva visto lungo, dall'alto della sua esperienza, ma nessuno poteva immaginare che la repressione sarebbe stata in realtà un massacro indiscriminato. C'era stato il funerale di un leader riformista, che aveva innescato dimostrazioni di giovanissimi studenti, e subito dopo era arrivato Gorbaciov in Cina, richiamando i manifestanti. Finita la visita, gli studenti erano rimasti in piazza. Volevano riforme, ricambio nella leadership, democrazia. Volevano dire la loro, farsi sentire, contare. Il regime rispose con i carri armati alle tre di notte: il numero dei morti non è mai stato stabilito con certezza ma furono molte migliaia, come raccontarono al mondo i giornalisti stranieri una volta rientrati e quei pochi cinesi che riuscirono a fuggire all'estero. Si ritrovarono in qualche decina in piazza Ciaia la sera dopo, a manifestare contro quella strage. Alla fine degli anni Ottanta forse nessuno si ricordava nemmeno più da quant'era che non si vedeva una manifestazione politica per strada a Fasano. Solo ogni tanto qualche sciopero studentesco per la nuova sede del Liceo, oppure quando triplicarono le tasse scolastiche, aveva movimentato quel periodo storico; poi c'erano stati licenzia-


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menti in una azienda siderurgica, che in seguito infatti chiuse, ma si era quasi persa l'abitudine a manifestare. Quella sera in prima fila c'erano i dirigenti giovanili del Partito Comunista: non brillavano per simpatia, ma erano lì, a dire che non potevano accettare quel massacro. Mi ricordo ancora lo striscione che apriva la manifestazione e che vidi nelle foto sui giornali: «Solidarietà con i giovani cinesi». L'indomani su tutti i giornali del mondo comparve la foto storica: l'uomo con la busta della spesa in una mano e la giacca nell'altra, solo, inerme, inoffensivo contro una fila di carri armati. In tv si videro anche le immagini di quella surreale battaglia: lui che si spostava lateralmente costringendo il carro armato in testa alla fila a cercare di evitarlo. Non si è mai saputo chi fosse quell'uomo, che di sicuro non aveva più di vent'anni, e come sia andata a finire: sembra che sia stato internato, forse prelevato là stesso in quel momento, o addirittura giustiziato pochi giorni dopo. Ma quella è di sicuro la foto che riassume in una sola immagine tutto il Ventesimo secolo: la forza insopprimibile della ragione e dei diritti ha combattuto per cento anni contro la guerra, la repressione, la violenza. Se i ragazzi di oggi avranno la stessa convinzione di essere nel giusto di quel loro coetaneo continueremo a vincere anche nel Duemila.

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10/6/2014

L'Ordine dei giornalisti annuncia la revisione degli elenchi degli iscritti: occasione per un'amara ma approfondita riflessione sull'opportunità di continuare a farne parte. NON GIOCO PIÙ, ME NE VADO

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Tre paroline semplici semplici: revisione degli elenchi. Significa che l'Ordine dei Giornalisti, avendo deciso di liberare le proprie liste da quelle migliaia e migliaia di iscritti che non esercitano di fatto nemmeno un minimo di professione, procederà regione per regione a cancellare tutti coloro che non saranno in grado di dimostrare di possedere taluni requisiti relativamente agli ultimi anni di iscrizione. Bisognerà quindi munirsi della documentazione giustificativa, mandarla alla sede regionale e forse pagare anche una quota supplementare. La enorme fesseria è che, invece di abolire l'ormai anacronistica differenza fra professionisti e pubblicisti, superata nei fatti e nella realtà, addirittura verranno retrocessi a pubblicisti quei professionisti che non hanno avuto un contratto e/o versato i contributi previdenziali negli ultimi dieci o quindici anni. A questo punto mi chiedo: ma chi me lo fa fare? Devo prendermi un sacco di fastidio, "uscire le carte", sprecando tempo, fatica e forse soldi, rischiare... per cosa? Per rimanere iscritto ad un Ordine che in ventidue anni ha voluto solo i soldi della quota annuale e non mi ha mai tutelato quel paio di volte che ne avrei avuto bisogno? Io credo negli Ordini professionali, e credo nell'Ordine dei giornalisti. Sono contrario alla sua abolizione, e ritengo che gli Ordini, se non fossero una corporazione a difesa dei privilegi dei "baroni" della professione ma una istituzione a tutela prima di tutto degli utenti da abusi, negligenze e cattivo lavoro degli iscritti, svolgerebbero in pieno il loro ruolo di garanzia (per tutto il resto ci sono i sindacati). Ma datemi un solo motivo per rimanere iscritto a un Ordine che per una figura come la mia non serve più a niente: posso scrivere quello che voglio quando e come voglio, che bisogno ho ancora di buttare soldi ogni anno per andare in giro con una tessera in tasca che in Italia serve solo a fare i pagliacci in pubblico? Mi dispiacerebbe dover rinunciare all'ingresso gratuito nei musei all'estero, ma me ne farei una ragione. Guar-


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dandomi intorno non vedo altro che macerie attorno alla professione che comunque continuerei ad amare, ma non sono più disposto a essere messo sullo stesso piano di certa gente. Perché ce ne sono di personaggi tra coloro che dovrebbero essere i guardiani della democrazia, eh! Spiantati, falliti, meretrici circasse, cameramen compulsivi, pazze furiose, sedicenti editori, anchor-women di campagna, copincollisti, cronisti del nulla e compagnia cantante. Ma quel che peggio ci sono tanti, per fortuna tanti giovani di vent'anni che credono in quello che fanno e che non ricevono più i buoni esempi che meriterebbero. Mi vien da piangere per loro, per l'aiuto che non sono in grado di dare, ma io mi arrendo. È stato bello finché ne è valsa la pena, ora non più.

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17/6/2014

Che una storia finisca, o nemmeno cominci, fa parte della vita. Essere portati a certi limiti non dovrebbe fare mai parte della vita di nessuno. DOVE SARAI

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Ogni tanto mi chiedo dove sarai. Dove starai provocando qualunque animale di sesso maschile ti passi davanti, concedendoti naturalmente solo ai capi del branco. Ogni tanto mi chiedo la donna di chi starai facendo piangere, guardando disperata i propri figli, facendole pensare che sono l'immagine di un passato distrutto, un presente devastato, un futuro di dubbi. Mi chiedo anche quanto sia ricco il tuo concubino del momento, e quanto potere esercita, e quanti reati commette ogni giorno per quel potere e quella ricchezza, e quanto di quel potere e di quella ricchezza regala a te, per tenerti legata a sé, perché altrimenti ti perderebbe per qualcun altro che ne ha più di lui. Chissà a quante persone starai mancando di rispetto, essendo incapace di riconoscere l'autenticità dei sentimenti, a quante starai togliendo la dignità per la tua ansia di comparire, di stare al centro dell'attenzione, delle voci, delle chiacchiere. A te le voci e le chiacchiere non dispiacciono per niente: l'unica cosa che ti interessa è che si parli sempre e solo di te, con gli occhi di fuori e la bava alla bocca, non importa se di desiderio o di odio. La cosa più insopportabile è la tua aria da finta ingenua, calcolata fino al millesimo, falsa come la tua morale da pornostar, ben rappresentata da come ti vesti. Non mi manchi per niente, anzi! Perché non dovresti mancare a me ma al mondo: nessuno infatti dovrebbe mai provare il male che sei capace di scatenare, nessuno dovrebbe mai arrivare dove tu sei capace di fare arrivare, nessuno se lo merita. Tra le cose che mi chiedo c'è anche quanti hanno sofferto come malati terminali per colpa tua, quanto odio sei stata capace di scatenare, quanta voglia di vendetta. Quanto bene sei stata capace di trasformare in male, e quanta energia avrebbe dato al mondo se fosse rimasto bene. Lo so che sto sbagliando, che sto facendo il tuo gioco: non dovrei parlare di te, non dovrei rimetterti al centro, nemmeno pensarti. Infatti non penso mai a te: il ricordo che torna da solo, come un pugno nell'anima col quale si può convivere soltanto parlandone a se stessi, è quello di un'umiliazione


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insopportabile, e immeritata. Ma non quella che pensi tu, perchĂŠ al massimo saresti in grado di ridere su un uomo respinto e ridicolo. Ăˆ la mancanza di rispetto per chi ti sta di fronte quella che non capirai mai, e che devasta. Quella che si traduce nel racconto non richiesto delle tue acrobazie, e nelle domande indiscrete sulla solitudine, per fare male, per sconvolgere, per, appunto, umiliare. Impara a vergognarti, prima che la vita ti restituisca tutto il male che stai seminando.

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19/6/2014

La festa patronale non si era conclusa col consueto concerto del lunedi sera in piazza Ciaia, ma con la consegna di premi a tutta una serie di vip, tra cui l'attore Sergio Castellitto e sua moglie, l'attrice e scrittrice Margaret Mazzantini. Piazza stracolma e bagno di cafoni per i gerarchi del regime lellista. VOLERE SBIANCARE

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Nel backstage non stava più nella pelle, circondata da tanti "personaggi famosi" quanti mai ne aveva visti, nemmeno lei che di V.I.P. se ne intende. Era tutta un fremito fra risate, mondanità, e presentazioni altolocate: -Che piacere conoscerla! Sono particolarmente contenta della sua presenza, lei ci rende orgogliosi! -Troppo buona, sono solo un attore! -Ma scherza? Uno dei più famosi e più bravi! Se lo faccia dire da me che amo tanto il cinema! -Ma davvero? -Certo! -E qual è il suo genere preferito? -Ah guardi, senz'altro il cinema impegnato, di qualità, di spessore... -In particolare? Un regista, per esempio... -Senz'altro Bergman! Impazzisco per autentici capolavori come Il posto dei percochi, Fanny e Mimino... -??? -...Scene da uno sposalizio, Sussurri e lucchi... -Ma veramente sarebbero Scene da un matrimonio e Sussurri e grida... -Ahahah... Castellitto, Castellitto! Lei è un vero marpione! Sempre la battuta pronta eh? -Battuta? Quale battuta? -Scene da un matrimonio, Sussurri e grida... Guardi che i porno non li ho mai visti eheheheheh! -Vabbè... Posso presentarle mia moglie? -Certo! Molto piacere signora... signora? Imbarazzo visibile da parte della consorte, che non si aspettava di non essere riconosciuta proprio dall'organizzatrice della serata.


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-Mazzantini, Margaret Mazzantini. -Margaret? Inglese vero? -No, italiana. -Ah, certo! Dicevo che l'avevo già vista! Mi scusi eh, come ho fatto a non riconoscerla! Lei è la sorella dell'ex portiere dell'Inter! Sguardi di sorpresa mista a disprezzo dei due coniugi. -Grazie di tutto eh, dobbiamo andare! E l'assessrice rimase lÏ, col bicchiere in mano, la cofana color menopausa a forma di casco del parrucchiere e l'abito lungo (anzi, l'ungo) a chiedersi dove avesse sbagliato.

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22/6/2014

Compiva vent'anni una studentessa con l'hobby della scrittura che seguivo con molta attenzione, perché la ritengo un cervello molto promettente per Fasano. Dopo due mesi li avrebbe compiuti anche l'illustratrice di questo libro, da me seguita con lo stesso interesse per il suo talento. BUON COMPLEANNO

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Quando siete nate, c'era la guerra in Bosnia. La guerra, per la prima volta in Europa dal 1945. La guerra vera, combattuta, con morti, macerie, fame, degradazione e sopraffazione. Quella che per cinquant'anni avevamo visto sullo schermo, o letto sulla carta. La guerra di fronte a casa, dalla parte opposta delle spiagge dove andavamo al mare. Pochi anni dopo, la guerra si spostò in Kosovo: mai dimenticherò la contraerea al Capitolo, con mia nonna che diceva: «A più di ottant'anni devo rivedere certe cose, come quando aspettavo i miei figli...». E la cosiddetta "pulizia etnica", cioè stragi a tre zeri a fini di genocidio, e soldati che decapitavano la gente e con le teste facevano brodo e lo facevano bere a mogli e figli delle vittime, come ho sentito da chi era lì. Spero possiate odiarla come l'abbiamo odiata noi ascoltando i racconti dei nostri nonni, che l'avevano fatta. Quando siete nate, Berlusconi era appena arrivato al governo: non era certo cominciata allora la devastazione della morale civica in Italia, erano più di dieci anni che la sua rivoltante tv sguaiata solleticava gli istinti più beceri della plebe italiota. Ma si era così radicata nell'anima del popolino che appena Tangentopoli tolse di mezzo la Dc fu un giochino portare l'ignoranza, la cafonaggine e la mafia direttamente al governo, usando quella tv. Adesso avete uno che è una poltiglia di Berlusconi misto a Craxi, cioè il peggio del peggio. O fuggite, o combattete. Senza paura, senza pietà, come solo a vent'anni si sa fare. Quando siete nate, a Fasano c'era da un anno Donato Decarolis. È cominciato tutto da lì: dieci anni di "palla fai tu". Dieci anni di stanca gestione del quotidiano senza una visione, una programmazione, una strategia. Il Centro agro-alimentare è stato privatizzato per poterlo salvare, l'ipermercato è sempre vuoto, salvo il reparto alimentari nel weekend. La tensostruttura cade a pezzi. Con l'aggravante di aver avviato


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proprio in quegli anni il processo che ha portato a regalare il nostro mare a chi, oggi, ci ha cacciato i fasanesi per metterci i forestieri. E per finire, decine di licenze edilizie in collina pochi mesi prima delle elezioni del '99. Le norme lo consentivano, ma De Gasperi diceva: «Un buon amministratore guarda alle prossime generazioni, non alle prossime elezioni». La prossima generazione siete voi: dopo quegli anni abbiamo avuto il disastro finanziario e poi il regime, non potrà che toccare a voi ridare a Fasano la dignità che ha perso. Dicono che a vent'anni non si hanno problemi. Non è vero. Forse non sono gravi, forse non riguardano le responsabilità della vita, quelle di solito vengono più tardi. Ma intanto non è detto che a vent'anni non si siano già affrontate cose spiacevoli e importanti, e poi noi "grandi" dobbiamo smetterla di non dare importanza ai vostri "guai". Il fidanzato? I vestiti? Il parrucchiere? Lo studio? La macchina? La figura da fare quando si esce? Sì sono fesserie, ma l'errore da non fare è quello di sottovalutare ciò che tutto questo vi provoca dentro, e queste fesserie vanno usate nel giusto modo per farvi capire quali sono le cose importanti della vita, per farvi crescere. Ecco perché da quando avevo la vostra età amo così tanto questa frase di Paul Nizan: «Non permetterò mai a nessuno di dire che vent'anni è l'età più felice dell'uomo».

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24/6/2014

Scandalosa decisione della Giunta regionale pugliese che aveva stabilito di regalare poco meno di due milioni di euro per il campo da golf a Savelletri. E tutt'attorno Fasano continuava a morire. LA GRANDE BELLEFFA

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-Bene, cofa abbiamo adeffo? Il Presidente si voltò verso il Segretario, che annaspava fra le carte. -Fu, dai Cicci, ché c'è tanto da fare! Il Segretario, che lo conosceva bene, abbassò di scatto la testa in corrispondenza del "fu", e così l'immancabile chilozza finì dritta dritta in fronte all'Assessoressa. «...Ci l'ha muertu!» pensò fra sé e sé la malcapitata, anticipata dallo scatto dell'esperto collaboratore. -L'assessore ci deve parlare dei finanziamenti PIAT. -PIAT? E che vuole la PIAT da noi? Non gli baftano le vifioni reftauratrici della dialettica capitale-lavoro con le quali Marchionne ha impofto un proceffo di riftrutturazione padronale... Era ormai partito, ma il segretario riuscì a fermarlo appena in tempo, mentre l'Assessoressa metteva mano al fazzoletto. -Presidente, PIAT, non FIAT! Programmi Integrati di Agevolazione al Turismo! Dovete decidere quali progetti finanziare. -E perché non me lo dici prima, Cicci? Fentiamo la relazione, prego affeffore... affeffore? Ma dov'è? -Eccomi! L'Assessoressa riemerse da sotto il tavolo dove si era rifugiata per scampare alla pioggia e cominciò la sua esposizione: -Dunque, signor Presidente, signori colleghi: l'ammontare dei fondi PIAT è di ottantaquattro milioni di euro, interamente stanziati da questa Giunta... -Tutti foldi pubblici eh!?!, interloquì giulivo il Presidente. -Sì... dunque dicevo... (detergendosi la fronte con la copertina del dossier, la prima cosa che aveva trovato sottomano) questi ottantaquattro milioni dovranno essere divisi fra i nove progetti presentati da quattordici fra aziende e consorzi... -Folo nove? Penfavo di più!


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-Sì, dicevo sono nove (nascondendo la faccia dietro la cartella), il primo che porto alla vostra attenzione è quello del Consorzio Turistico Savelletri, di Fasano... -Ah, Fafano, il paese di Fabiano, fì fì lo conofco (l'Assessoressa aveva ormai aperto l'ombrello), quello dove il findaco gira col Ferrari e la camicia con tre bottoni aperti. Ma non fi chiamava Lello? Qua leggo Gianlello. Cicci non facciamo figuracce, informati bene. -Ehm, presidente, il sindaco di Fasano è sospeso per la Legge Severino. -Legge Feverino? E che cof'è? -Quella per cui chi riceve condanne in primo grado per reati contro la pubblica amministrazione deve lasciare la carica per diciotto mesi o fino all'assoluzione. -Mi fembra giufto, ma non fi può chiedere qualche chiarimento a Fabiano? Adeffo lo chiamo... -Presidente, è sospeso pure lui, non mi sembra il caso... -Ah già, fofpefo, è vero, mi ero dimenticato, povero caro! Anche lui per la Legge Feverino? -Sì. Direi di lasciare perdere. Ormai in sala si nuotava, e il Presidente decise di non approfondire oltre per scongiurare annegamenti. -Graffie Cicci! Prego affeffore, continui pure... -Grazie signor Presidente. Dunque dicevo: il primo progetto prevede uno stanziamento di un milione e settecentomila euro per interventi di miglioramento di un campo da golf, un campo pratica e la pertinente club-house a Savelletri di Fasano. -Ah, bello, belliffimo! Questa nuova fenfibiliffaffione alla belleffa che fi incaftona e compenetra nel teffuto atavico del territorio trova la fua fublimafione nel coniùgio fra tradifione, fportf innovativi e inftallaffioni archeo-balneari, affinché fport, turifmo e ftoria trovino la loro fintefi in una propofta turiftica di belleffa e di fervifio! Cicci, qual è la fituafione infrastrutturale di Fafano? Con una tale vifione futuribile di godimento ludico-naturaliftico non può che effere all'avanguardia! (L'Assessoressa buttò il dossier sul tavolo abbandonando disperata la sala, mentre decine di fogli si sparpagliavano tutto attorno). Il Segretario, raccogliendo i fogli da terra: -Ehm, Presidente... a Fasano l'ospedale è praticamente chiuso... sulle strade non si può circolare per le buche... ci sono rifiuti dappertutto e la ditta non paga nemmeno il personale... noi finanziamo il golf mentre gli stadi e la tensostruttura necessitano di manutenzione ... e la squadra di

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pallamano è campione d'Italia ed è costretta a fare la Champions League fuori casa... sulle spiagge ci sono i turisti... ma non ci sono più i fasanesi... perché i prezzi sono impraticabili per i residenti... e in questo quadro... gli amministratori hanno promesso prima la visita di papa Francesco... che ovviamente non si è visto... poi hanno portato in piazza una ventina di V.I.P.... per la festa patronale. Uff...! È rimasto qualche foglio per terra?

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1/7/2014

Aperto al pubblico per la prima volta dalla sua costruzione il Faro di Torre Canne: occasione unica per uno sguardo d'insieme su ottant'anni di violenze dell'uomo a quello che fu un posto meraviglioso. GITA AL FARO

Puff... pant! Centosessanta gradini sono veramente tanti, soprattutto se non sei molto abituato allo sforzo fisico e il sudore cola copioso dalla fronte agli occhi, e dal collo e dalle ascelle a impreziosire la maglia della salute a costine di cotone di gradevoli chiazze bagnaticce. E poi una scaletta a chiocciola, perché fatto trenta tanto vale fare trentuno ed arrivare proprio in cima, anzi "sopra sopra". Perché solo in quel punto l'olezzo di popolo è veramente capace di farsi sopraffare dall'amenità del panorama e passare inosservato, anzi inannusato. «Bene arrivati! Immagino sia stato faticoso arrampicarsi fin quassù, ma come starete già senz'altro notando, ne è valsa davvero la pena: il panorama che potete ammirare dalla cima del Faro è infatti unico sia per le bellezze che potrete vedere da un'altezza inconsueta, che per lo sguardo d'insieme che solo da tale altezza si può ammirare sulle meravigliose opere dell'uomo, che hanno abbellito quello che la natura aveva donato a questo paesaggio. Cedo ora la parola al mio collega, che vi illustrerà le meraviglie ammirabili da questo privilegiato punto di osservazione». «Grazie collega. Dunque, cominciamo dalla vostra destra: sul lato nord del Faro potete ammirare i condomìni costruiti negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso: tutti rigorosamente a due piani in purissimo cemento armato locale. Notate la maestria dei nostri fravicatori nel dotare molti tetti di questi casermoni di rivestimenti in cotto prefabbricato, infissi in alluminio anodizzato, cortiletti di pertinenza anche in cemento ma piastrellato, e meravigliose grondaie in amianto». «Scous, marasciallo, ce jì l'alluminio liofilizzato?» defecò una voce dal fondo. «Ehm, veramente sarei guardiamarina...» biascicò il militare, vistosamente a disagio, e proseguì: «L'alluminio anodizzato è quello che volgarmente si chiama anticorodal». «Volgarmente? I ce jì 'na paraula brutte? AHAHAHAHAH» rise a pieni polmoni lo spiritoso, interrompendosi di colpo quando si accorse che nessuno gli veniva dietro e la battutona non aveva colpito nel segno.

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Facendo finta di niente, la guida proseguì: «Alla vostra sinistra, invece, la zona alberghi! Ammirate i mastodontici impianti per il turismo, trionfanti monumenti al progresso e al genio dell'Uomo e dell'Amministratore con le loro cubature di cinque o sei piani perfettamente inserite nell'ambiente naturalistico circostante. Notate la scorrevolissima viabilità, il pregevole verde pubblico, la circolazione di soli pedoni e ciclisti che si muovono ordinati e disciplinati, le piscine alimentate dall'Acquedotto pubblico con l'acqua in eccedenza rispetto alle esigenze della popolazione locale». Mormorii di ammirazione e impercettibili sussurri di «Pe lla Medonne...» e «A’ facce du cazze» dilagavano fra i visitatori. «Poco più a sinistra - riprese il militare - la zona più antica del borgo, divisibile in due aree distinte: quella ancora abitata, e quella archeologica vera e propria. Quest'ultima non è ancora fruibile dal pubblico, perché interessata da una gigantesca operazione di recupero in pieno svolgimento, come potete vedere dal cantiere che brulica di lavori in corso ed è in fase di completamento: manca veramente poco a poterla ammirare in tutto il suo splendore restituendola ai contribuenti che hanno visto il proprio denaro così ben speso. Infine, il mare! Limpido, cristallino, venato dei riflessi verdastri risultanti dall'effetto cromatico del cielo azzurro con la sabbia gialla, interrotto qua e là dall'ammaliante effetto a piscio di leopardo delle chiazze marroni sapientemente collocate da ristoratori, albergatori, balneatori e diportisti in punti strategici per creare l'effetto "trompe-l'œil". E che dire del meraviglioso lungomare in asfalto, cemento e calcestruzzo, forgiato dal vento con armoniose forme di pieni e vuoti nella sua continuità architettonica? E delle divertenti scorribande di ogni sorta di veicolo a motore che contribuisce in maniera decisiva alla tranquillità dell'ambiente e alla salubrità del clima e che, come state vedendo, è particolarmente esilarante ammirare da così in alto?». «Bene signori - intervenne il suo collega - la nostra visita è quasi terminata, adesso passeremo nei locali di servizio dove vi illustreremo come funziona il Faro...» ma non fece in tempo a conlcudere la frase ché uno dei presenti lo interruppe: «Scous, capo, mù t'aggia demanné na cause: ma ddò purcè se chiame Torre Canne? A dd'ane fenoute i canne?». Il marinaio, indicando l'uscita, fece finta di non sentire.

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4/7/2014

Casting previsto a Fasano il 15 luglio per la seconda serie di una fiction ambientata in paese, occasione di platino per la malapolitica di gettare altro fumo negli occhi del popolino, usando scientificamente la circostanza come arma di distrazione di massa. FASANO, 16 LUGLIO

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Gentile produzione, a seguito del casting tenuto presso il Teatro Sociale di Fasano lo scorso 15 luglio, questa agenzia comunica che sono stati reperiti i figuranti per le seguenti posizioni richieste per l'imminente avvio delle riprese della fiction Margialetti rossi: "Medico sessantenne rotondetto, testa rasata, camicia aperta su petto villoso, si raccomandano abbondanza catenine e auto sportiva grossa cilindrata". "Dottore commercialista ultraquarantenne, leggero sovrappeso, capelli ricci, gestualità modello Totò a colori ma senza fili, minimo quaranta incarichi di docenza corsi di formazione regionali, di cui indispensabili almeno uno in Mamma di giorno e uno in Esperto recupero aree degradate". "Pensionato sessantenne calvo, baffetto all'italiana, formazione agreste idillico-georgica, obbligatoria esperienza lavorativa come giardiniere presso ente pubblico, non necessaria conoscenza lingua italiana ma indispensabili inglese e francese scolastici". "Ingegnere ecologo ultraquarantenne spiccata personalità, opportune approfondite conoscenze tecniche, non opportune conoscenze politiche". "Ingegnere civile trentacinquenne, altezza sopra la media, fisico atletico, gradita somiglianza con Christopher Reeve in Superman, specializzato in progettazione caserme". "Segretaria d'azienda ultraquarantenne, capelli color menopausa, ricco guardaroba firmato di proprietà, gradite nuances pastello e pigiami-palazzo. Curriculum max otto righe". "Avvocato quarantenne nato e residente fuori Fasano, già provvisto di nome d'arte, indispensabile esperienza cameriere sale ricevimenti e ristoranti, bella presenza in giacca bianca e papillon".


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"Mandatario riscossione imposta spettacoli sessantenne, capello ritto, sguardo allucinato occhi chiari, voce in falsetto, dizione incomprensibile ma turpiloquio fluente". "Impiegato INPS ultracinquantenne, sguardo tipo "bel tenebroso", adatto a ruoli impositivi. Gradite capacità scazzottatorie con precedente posizione". "Medico microbiologo ultracinquantenne, fisico asciutto, brizzolato, occhiali conferenti aria intellettuale, spiccata capacità di guardare dritto la cinepresa, comprovata esperienza incarichi alte istituzioni, indispensabile incontenibile desiderio essere eletto sindaco". "Professore universitario cinquantenne sottopeso, ego pronunciato, eloquio irrefrenabile, capacità di interessare l'uditorio nulla".

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9/7/2014

Speciale Storytelling ESCLUSIVO: TUTTI I CONTI DEL COMUNE - I parte

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Era uno dei segreti meglio custoditi del Paese di Pulcinella, inaccessibile a chiunque, anche a molti potenti tranne a chi doveva maneggiare quei dati per dovere d'ufficio. Fino a ieri. Dal 1 luglio è pubblico: chiunque può procurarsi i dati del registro delle entrate e uscite della Ragioneria generale dello Stato. Chiunque, praticamente, può controllare incassi e spese di qualunque ente pubblico addirittura giorno per giorno. Occasione troppo ghiotta: un po' di sforzo, e il quadro completo del comune di Fasano nel primo semestre 2014 è stato mio. Vediamo un po' qual è la situazione degli incassi al 30 giugno scorso partendo dalle entrate tributarie. La prima cosa che salta all'occhio è senza dubbio l'enorme importo delle entrate denominate ICI, che poi sarebbe l'IMU, ma qua non si capisce più niente ormai...: oltre 5 milioni di euro fra ruoli e riscossione ordinaria. In pratica ogni fasanese (siamo 39.734 al 1 gennaio) paga 122 euro. Tutti, nessuno escluso, compresi studenti, disoccupati, minorenni, neonati, nonnette, sciancati, mongoloidi, ritardati e autistici. Qualsiasi essere umano incontriate per strada e sia residente a Fasano sconta un peccato originale di 122 euro. Non male nemmeno gli oltre 156mila di addizionale IRPEF. Ma ecco uno dei dati più importanti: l'imposta di soggiorno. Sturatevi bene le orecchie e udite udite: l'incasso dell'imposta di soggiorno nel primo semestre del 2014 è stato di 35mila 254,75 euro!!! Avete capito bene: poco più di 35mila euro! Meno di 200 euro al giorno!!! In un comune che sventola la bandiera blu e le seimila vele di Legambiente in ogni dove! In un comune i cui amministratori blaterano di vocazione turistica, i turisti scuciono meno di duecento euro al giorno!!! Domandina facile: chi bara? L'amministrazione che impone una tassa ridicola agli ospiti di casa nostra o l'evasione c'è ed è abnorme? Ché poi il vero discorso è un altro: cinque milioni e passa di euro sulle spalle dei fasanesi e quattro spiccioli dalle tasche dei turisti??? Non ne parliamo poi degli oltre 2 milioni e 700mila euro pagati dai fasanesi a titolo di tassa sui rifiuti, la cui efficacia è sotto gli occhi di tutti con


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la città piena di zoccole e cazzodde dappertutto, se non vogliamo parlare di quell'assurdo porta a porta completamente fallito. Rifacciamo i conti: 4 milioni 864mila 241,49 di ICI-IMU più 2 milioni 721mila 580,57 di rummato (ruoli esclusi) fanno 7milioni, 585mila e madonna euro, vale a dire che tutti, tutti, ma proprio tutti i fasanesi hanno dovuto pagare per il solo fatto di esistere più di 190 euro per i primi sei mesi dell'anno. E ai turisti abbiamo chiesto 35mila euro!!! Cosa stiamo aspettando a quadruplicare l'imposta di soggiorno e ad istituire una supertassa dell’1 per mille sui matrimoni V.I.P. con il reddito degli sposi come imponibile? Il signor Google, che sia vero o no, strariccone da 17 miliardi di euro di reddito nel 2013, ci avrebbe lasciato 17 milioni con i quali avremmo risolto tutti i problemi di Fasano in un colpo solo. E se gli sembrano troppi, be’ ...vattinne a n'ata vanne, vorrà dire che chiederemo cento euro a chi ne guadagna centomila. Situazione critica invece per i trasferimenti correnti: in totale solo 737mila euro scarsi, di cui appena 42mila, un'inezia, dallo Stato. Ma c'è un dato molto interessante: quasi 376mila euro dalla Regione per "funzioni in materia di viabilità e trasporti". Quali funzioni? Sarebbe interessante sapere, dato lo stato delle nostre strade, se quei soldi vengono erogati per la manutenzione delle medesime o se sono stati usati per scavare nuove buche a spese del contribuente. Altri balzelli in ordine sparso: ben 107mila e passa euro di diritti di segreteria (ah, l'eterna certificatopoli italiana!!!), e ben 191mila euro di mensa scolastica, di cui come sappiamo si lamenta chiunque. Per non parlare dei quasi 53mila euro di pullmini. Curioso il dato sulle multe stradali: ben 233mila 700 e passa eurazzi! Vale a dire che il comune ha incassato nei primi sei mesi del 2014 quasi 1.300 euro al giorno! Sono tanti, cacchio!!! A parte che questo dovrebbe portarci a considerare che forse è il caso di curare decisamente di più la disciplina degli automobilisti di Fasano, ma la domanda che mi frulla in testa non può che essere: che fine hanno fatto? Come sono stati usati? Attenzione poi ai fitti: 83mila 600 euro dai terreni, solo 21mila 600 da fabbricati; quanto sarebbe bella una tabella con i singoli immobili, grandezza, ubicazione e fitto percepito, così, giusto per sapere se vengono affittati a prezzi di mercato o di favore e con finalità sociali o no, aiuto a famiglie indigenti compreso. Sono andate così così le vendite di immobili: in totale poco meno di 260mila euro; lì il punto non è tanto l'incasso in sé o la congruità del prezzo di vendita, quanto la trasparenza delle procedure e gare. Infine, oltre ai 292mila euro per licenze edilizie e 226mila per mutui accesi

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presso la Cassa depositi e prestiti, si fa notare il dato denominato "Altri incassi da regolarizzare" per 259mila euro di crediti. Totale: il comune di Fasano nei primi sei mesi del 2014 ha incassato 14 milioni, 305mila 640,99 euro. A domani per la tabella delle spese e lĂŹ, ve lo assicuro, ne vedremo delle belle, anzi delle brutte.

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Speciale Storytelling ESCLUSIVO: TUTTI I CONTI DEL COMUNE - II parte Diciamolo subito senza perdere tempo: il comune di Fasano è in deficit. E non di poco: nei primi sei mesi del 2014 le uscite registrate in cassa hanno superato le entrate di oltre un milione di euro. Per la precisione 1 milione, 171mila 502 euro e 9 centesimi. La differenza è presto fatta: 15 milioni 477mila 143 euro e 8 centesimi di spese contro 14 milioni, 305mila 640 euro e 99 centesimi di incassi. Divertitevi pure a fare la sottrazione come prova. E siamo solo al 30 giugno.Non si discutono i 2 milioni e 400mila euro che il comune spende per il personale sia a tempo indeterminato che determinato, fra stipendi, straordinari, indennità, arretrati, buoni pasto e contributi vari: non si possono imputare a questa classe politica, almeno non a tutta, le assunzioni allegre dello stipendificio di qualche decennio fa. A parte l'ovvia considerazione che i lavoratori vanno contrattualmente retribuiti e che il contratto degli Enti locali è fermo da cinque anni. Né si discutono inoltre i 369mila euro per pulizia, luce, acqua e riscaldamento: a tutti i cittadini piace entrare in uffici decorosi e puliti dove si possa andare al bagno e non morire di freddo. Sarebbe però doveroso chiedere e ottenere economicità nella stipula dei contratti di fornitura, senso civico nei consumi e naturalmente prestazioni sempre rispettose del diritto del contribuente a ricevere efficienza, precisione e celerità. Vergognosa la spesa di 32mila euro per carta, cancelleria e stampati: non è accettabile che nel 2014 si spenda ancora tanto. La dematerializzazione degli atti deve essere un obiettivo imprescindibile delle pubbliche amministrazioni. A Roma sono anni che non muovo il culo dalla sedia per un certificato, facendomeli da solo al computer, e ultimamente sono riuscito anche a cambiare medico di base senza andare alla ASL, e a Fasano si devono spendere 177 euro al giorno per sei mesi di carta??? Vale a dire sui ses-san-ta-mi-la euro di carta l'anno??? E di cancelleria, quando poi si spendono più di 75 mila euro per hardware e software e altri 28mila di manutenzione? E allora a che servono? Le cose sono due: o si comprano a 200mila euro l'anno computer e programmi che non vengono usati, e qui bisognerebbe chiedersi perché visto che si sono spesi anche 23mila euro

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per la formazione del personale, oppure si ha paura delle lamentele degli ignoranti che non sanno usare il computer. Be’, che imparassero! E poi, con tutti i patronati e i professionisti che ci sono, si facciano aiutare! Ed eccoci ora allo sconcio più inaccettabile: la voce "contratti di servizio per smaltimento rifiuti". Da questa posta contabile sono usciti nei primi sei mesi dell'anno 4 milioni, 22mila 577 euro e 94 centesimi. Per avere la città piena di zoccole. Per avere le strade di campagna piene di rummato buttato dalla cafonaglia forestiera, ma anche da troppi contribuenti fasanesi che non ne possono più di questo assurdo e scomodissimo "porta a porta" per il quale dal 1 gennaio abbiamo pagato 22mila 347 euro e spiccioli al giorno. Per tutto quello che stiamo subendo, sono soldi buttati. Alle stesse cifre si potrebbe fare molto ma molto meglio, oppure tartassare molto di meno i fasanesi. E a proposito di tartassare, quasi 344mila euro vanno al servizio riscossione tributi, le cui imprese sono sotto gli occhi di tutti. Interessanti anche i 471mila euro per i trasporti: un bus ogni tre ore per le frazioni, tranne Pezze dove comunque sono pochi, educazione al trasporto ecosostenibile o collettivo semplicemente nulla, centro continuamente congestionato da macchine con a bordo una persona, due quando va bene. Da questo punto di vista o si deve spendere meglio, o si deve spendere di più. Costi della politica: va molto di moda parlarne male, annunciare tagli ritagli e frattaglie, devolvere stipendi per giardinetti, ricchi premi e cotillons. Vediamo nel dettaglio quanto ci costano consiglio e giunta: 89mila euro se ne vanno per indennità di carica, quasi 26mila per rimborsi spese, e vanno di sicuro considerati in questi costi anche parte dei 10mila euro di missioni e rimborso viaggi nelle quali però è compreso anche il personale; escludendo quest'ultima voce, sommiamo indennità e rimborsi e otteniamo 115mila euro, divisi per ventiquattro consiglieri e otto membri di Giunta fanno circa 3mila 600 euro, cioè 599 euro al mese, parenti stretti di 600. Sinceramente non mi sembra granché, almeno di questo non ci possiamo lamentare. Certo però che il gettone dei consiglieri è molto minore delle indennità dei membri della Giunta, quindi il discorso pro capite non è molto giusto, però come media secondo me può andare. Sono i risultati che non vanno. Sul milione e 130mila euro che si spendono per le rette del ricovero di anziani, minori e diversamente abili presso istituti, non credo ci sia da lamentarsi: sono tanti e c'è gente che ne ha bisogno. Spero solo che vadano a chi veramente spetta e spesi in modo congruo e senza favoritismi verso i fornitori dei servizi. Ci sono poi tante altre voci che si fanno notare: ne parliamo domani.

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11/7/2014

Speciale Storytelling ESCLUSIVO: TUTTI I CONTI DEL COMUNE - III parte

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Riassuntino delle puntate precedenti: nei primi sei mesi del 2014 il comune di Fasano ha speso 15 milioni, 477mila 143,8 euro e ha incassato 14 milioni, 305mila 640, 99 euro. Differenza: 1 milione, 171mila 502,9 euro di deficit di cassa dal 1 gennaio al 30 giugno. Continuiamo a spulciare le spese correnti, quelle per far funzionare la "macchina" comunale: abnorme la spesa per pubblicazioni, giornali e riviste: 64mila 800 e passa euro!!! E che è!!! Ogni impiegato ha diritto a due quotidiani e i politici alla mazzetta completa??? Posso arrivare a capire le riviste di aggiornamento professionale, soprattutto per i tecnici, ma 360 euro al giorno di giornali sono un'enormità! Se fossero tutti quotidiani cartacei sarebbero 300 al giorno! Sicuro che abbonandosi a un servizio di rassegna stampa tutta fatta e diffusa solo su internet con password non si risparmi? Quante copie e di quali pubblicazioni vengono acquistate per l'emeroteca? Non sarebbe male un rendiconto dettagliato perché quasi 65mila euro sono troppi. Saltano all'occhio anche i 3mila 288,60 euro di vestiario: se sapessimo quanto è costata ogni divisa e uniforme acquistata nel semestre sarebbe meglio, perché una tale somma diviso tre è un conto, diviso venti è tutta un'altra storia. Sapere anche per quali esigenze sarebbe l'ideale. Per incarichi professionali oltre 62mila euro: possibile che nell'organico degli uffici comunali non ci siano validi professionisti o che siano talmente oberati di lavoro da dover spendere tanto? A meno che non ci sia stata necessità di professionalità talmente specifiche che il comune ne è sprovvisto, ma a maggior ragione ci piacerebbe saperlo. Notevolissimi i 324 mila euro e rotti per manutenzione immobili: quali? Che interventi sono stati fatti e su cosa? Perché con 1800 euro al giorno gli immobili comunali devono essere tirati a lucido come musei! Collegato con quello che abbiamo già detto per le spese di carta è il discorso per le spese postali: quasi 11mila 800 euro in sei mesi, che potrebbero essere abbattute obbligando tutti ad usare la posta certificata, e questo è un obiettivo che l'amministrazione si deve assolutamente dare.


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Solo 392 euro per spese di rappresentanza: bè, ogni tanto qualche voce positiva viene fuori! Si continui così. Non riesco proprio a capire però gli oltre 31mila euro spesi per "patrocinio legale": ma non ce l'avevamo un avvocato titolare dell'ufficio legale del comune con tanto di qualifica dirigenziale? Per quali motivi si continuano a dare cause all'esterno? Non sarebbe meglio spendere quei soldi per assumere un altro avvocato, se le norme lo permettono? Infatti 60mila euro circa annue di spese per patrocinio fanno 5mila euro al mese, cioè un congruo stipendio lordo per un avvocato comunale, a mio avviso. Mah... Per le scuole di competenza del comune (cioè soprattutto le elementari) si sono spesi 388mila euro, e qui se sono pochi o molti o bene o mal spesi lo possono dire solo insegnanti e genitori. Spiccano poi quasi 133mila euro fra noleggi e locazioni: di cosa??? Non mi dite che in questa voce ci sono i palchi e i service tecnici per amenità come "Volere volare" e cafonate simili!!! Sarebbe utile saperlo, così come sarebbe utile sapere nel dettaglio a quale titolo sono stati devoluti oltre 420mila euro fra trasferimenti "correnti" a imprese e a famiglie. Ancora si danno soldi a pioggia agli indigenti??? Personalmente sono contrario ma il discorso è lungo e non è la sede adatta, mi piacerebbe però conoscere il dettaglio dei soldi dati alle imprese e soprattutto come mai vengono definiti "correnti". Gli interessi per mutui in corso sono sui 313mila euro, oltre ai 469mila euro di rate da rimborsare, ma quelli sono obblighi ai quali non ci si può sottrarre e va bene, anche se ci sarebbe molto da dire su tempi e risultati delle opere realizzate. Passando alle spese in conto capitale, si osservano tre poste molto onerose: 226mila euro per le "vie di comunicazione ed infrastrutture connesse", 254mila per "infrastrutture idrauliche" e ben 529mila per "altre infrastrutture". Ora, se non ho capito male il comune ha tirato fuori i 226mila per le strade, con i risultati che conosciamo, e i 254mila per la canalizzazione delle acque, con i risultati che conosciamo. Chi può mi smentisca dati alla mano perché se no c'è veramente da incazzarsi. Così come da incazzarsi, ma proprio sul serio, c'è per gli appena 8mila 187,50 euro spesi per gli impianti sportivi. Cioè, secondo un comune che ha promesso e non realizzato il palazzetto dello sport, per due stadi, un campo sportivo, una tensostruttura e quant'altro si devono spendere 8mila e 190 euro in sei mesi, cioè 1.300 euro al mese! Cioè 45 eu-ro al gior-no!!! Con le convenzioni per l'uso tutte sul groppone delle società! Con il Vito Curlo dipinto extra-convenzione dal Fasano! Con lo stadio di Pezze in condizioni penose! Con la tensostruttura dove si sospendono le partite per con-

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densa! Con tutto quello che si spende inutilmente per altre cose già descritte!!! Per mobili, macchinari e attrezzature ben 40mila 700 euro: cioè quasi 6mila 800 euro al mese. Andavano ricomprati perché quelli esistenti cadevano a pezzi? La spesa non mi sembra minuscola, anche qui un rendiconto al singolo oggetto farebbe piacere. Il comune paga inoltre 184mila euro di IRAP, e oltre 800mila euro di ritenute fra erariali, previdenziali e assistenziali al personale. Per fortuna non ci sono residui passivi, ma la barca deve essere raddrizzata al più presto perché se l'attuale deficit rimane tale, in proiezione sarebbero due milioni e trecentomila euro che da qualche parte bisognerà prendere.

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30/7/2014

Il 30 luglio 2013 un fortissimo sbalzo di pressione arteriosa mi aveva mandato in ospedale, dopo aver avuto un collasso sul lavoro. Impossibile non ricordare, com’è impossibile non provare ogni volta quasi la stessa sensazione di spavento, e la stessa sensazione di ingiustizia. GIUSTO UN ANNO FA Ma non è mattina, c'è troppa luce... E poi non posso mica essere sul letto, è troppo freddo... ed anche troppo duro... Freddo e duro... ma è il pavimento! Che ci faccio sul pavimento??? Questo fastidioso brusìo da dove viene? Non ci vedo bene, è tutto nebuloso... ho qualcuno addosso ma non capisco chi... «...aaano ....ooome iiienti?»... Ma che ha detto? Non si capisce bene, e non riesco a parlare, ho la testa pesantissima... vedo dei capelli biondi, sembra Susanna... Sì è Susanna... Oh caspita ma sono sul pavimento dell'ufficio e ho tre persone addosso, ma che è successo, sono svenuto? Ora i volti sono nitidi, le voci chiare, e quello che è successo evidente: la testa è ancora una chianca, mi fa malissimo, e ho il braccio sinistro che pulsa forte, sento il collo "duro", oddio ma non avrò mica avuto... Arrivano medico e infermiere, li vedo e li sento bene: la pressione è alle stelle ma male al petto non ne ho, e riesco a dirlo un po' a fatica, ma lo dico. Ricovero immediato: per non perdere tempo non chiamano il 118 ma il garage per una macchina delle nostre, tanto il Santo Spirito è a due passi. Incredibilmente riesco ad alzarmi: saranno state le parole del dottore a darmi una scossa positiva, ma trovo la forza. Mi sento tutto formicolare, la testa sempre un piombo, devo anche respirare profondamente altrimenti non ce la faccio. Ed è proprio «Ce la fai?» la prima domanda alla quale riesco a rispondere bene: «Sì, ce la faccio». C'è parecchia gente, e c'è anche la dirigente: mi diranno poi che è stata lei a chiamare i soccorsi, ma guarda un po'! Susanna si offre di accompagnarmi: «Grazie, fino alla macchina sì, poi non ti preoccupare, ci sono loro...», tanto l'infermiere doveva per forza venire con me. «Non mi portate al Santo Spirito, andiamo al Sant'Eugenio, ché ho un amico», e mi abbandono al sedile. Sono veramente senza forze, ma le uniche due cose che mi vengono in mente sono Alberto Sordi

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nella scena iniziale del Medico della mutua, e il fatto che per essere la prima volta che prendo l'auto blu di servizio in vita mia è una bella beffa. Forse riesco anche a sorridere, non mi ricordo... Arriviamo in ospedale: in astanteria chiedo del mio amico, mentre mi fanno una flebo e un prelievo per le analisi. Un'oretta dopo sono arrivati l'uno e le altre: gli enzimi confermano che non è quello che temevo, ma un fortissimo sbalzo di pressione. Dopo la flebo sto decisamente meglio e il mio amico mi prepara le carte da firmare per uscire. Vado a casa e prenoto il primo aereo per Bari: pensavo di averla scampata bella, ma il brutto di quell'estate doveva ancora arrivare.

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8-8-2014

Un rapporto della DIA di Brindisi attribuisce a due clan della Sacra corona unita, uno dei quali collegato alla 'ndrangheta calabrese, il controllo delle attività illecite a Fasano. La notizia passa come acqua fresca su una città ormai assuefatta a tutto. LE DOMANDE CHE NESSUNO FA Immediata convocazione di un consiglio comunale monotematico straordinario. Precipitosa riunione del fantomatico comitato per l'ordine pubblico, se esiste ancora: per intenderci, quello che si riunì per la passerella dei politici sulla videosorveglianza. Pubbliche manifestazioni, di reazione più che di protesta. Ferme e decise prese di posizione dei pubblici amministratori. Editoriali infuocati, articoli particolareggiati, inchieste approfondite. Riassumendo: pronta e poderosa reazione della politica, dell'opinione pubblica e della stampa. Avete visto o sentito niente di tutto questo? No. Ma la notizia è di quelle veramente preoccupanti: la 'ndrangheta, per il tramite di una fazione della Sacra corona unita, è a Fasano. L'ha scritto ieri il sito fasanolive.com, in un articolo a firma di Vincenzo Lagalante, che citava il rapporto della Direzione Investigativa Antimafia di Brindisi al Ministero dell'interno relativo alla seconda metà del 2013. Il rapporto, sintetizzato nell'articolo, afferma che la frantumazione in gruppi rivali della Sacra corona ha portato a una divisione delle attività criminali per bande e tipologia di crimine, facendo nomi e cognomi: alla fazione che fa capo allo storico boss Pino Rogoli e all'attuale presunto capo della SCU Francesco Campana, collegata alla criminalità organizzata calabrese, si contrappone anche a Fasano quella guidata da Antonio Vitale, Massimo Pasimeni e Daniele Vicientino, tutti mesagnesi. Perché nessuno si indigna? Perché non c'è più nemmeno quella reazione che una volta, per molto meno, ricordiamo per esempio la morte di Palmina Martinelli, portava la maggior parte dei fasanesi a protestare se non altro per l'immagine che si dava di noi? Ma qui non è questione di immagine: in questo rapporto si dice senza condizionali che l'attività principale di queste organizzazioni è lo spaccio di droga, ma oggi non siamo più agli anni Ottanta, la droga non si vede più. Sono cambiate le sostanze consumate: oggi le pasticche e la cocaina,

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il cui prezzo è da tempo crollato rispetto a trent'anni fa, hanno sostituito l'eroina; il tossicodipendente quindi non è più visibile come una volta, quasi non si muore più, gli spinelli non sono nemmeno più considerati droga nel comune sentire, e poi il senso civico della gente non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello di allora, anzi praticamente non esiste più. Il problema non è più quindi percepito come grave e urgente, ma è solo droga? La droga infatti produce utili che vanno intanto riciclati, e poi reinvestiti. Lo stesso rapporto della DIA indica il riciclaggio e una ripresa del contrabbando fra i reati più denunciati nella provincia di Brindisi. E allora le domande che dovremmo fare tutti, a cominciare dalla stampa, vengono di conseguenza: a quale livello arriva l'influenza delle 'ndrine calabresi sui clan locali? Quanto e come vengono reinvestiti sul territorio i proventi della criminalità organizzata? Nessuno ne parla, ma si paga il pizzo a Fasano? Quanto? Come? Dove? Quanta manovalanza locale è al servizio dei boss forestieri? Possiamo affermare con certezza che non un solo centesimo dei capitali investiti nelle attività spuntate come funghi con l'invasione turistica abbia provenienza illecita? La criminalità organizzata realizza una contiguità con la politica fasanese? In che termini? Quelli che abbiamo visto scoperti e puniti in altre realtà, ormai anche al Nord? Quanto e come Fasano è strozzata dalla mafia?

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10/8/2014

Storie di ordinaria estate nella Fasano invasa dalle truppe straniere e settentrionali del regime lellista. IL NOME DEL PALAZZO Succede raramente, ma talvolta succede, che le cose vadano meglio di come le immagini. Ieri, con mia grande soddisfazione, è andata proprio così! Di ritorno dal mare, a ora di pranzo, dovevo per forza fare un bancomat perché, com'è noto, alla Selva non ce n'è, e mai ce ne sarà perché anche questo fa parte della precisa volontà del regime di ammazzare le colline a vantaggio della piccola Capri. Sono stato quindi costretto ad entrare a Fasano, ma per fortuna era più o meno l'una e un quarto e in giro non c'era già più nessuno. O quasi. Superato il semaforo di via Roma infatti, nella parte “nobile” di corso Garibaldi ho inchiodato i freni davanti al Banco di Napoli: non perché volessi andare proprio lì a prelevare, ma perché accanto alla banca, di fronte al palazzo dei Colucci, c'era una coppia dall'atteggiamento inequivocabile: lui in bermuda, camicia e cappellino, lei con la macchina fotografica stava catturando qualche immagine della splendida facciata di palazzo. «Qui mi devo fermare!» ha immediatamente realizzato la mia mente diabolica, nella speranza che i due malcapitati mi chiedessero qualche informazione. Già in mattinata di fronte al Miramonti avevo mandato alla Balice due napoletani che mi avevano chiesto «da dove si imbocca la scorciatoia per lo Zoosafari», ma non ne avevo ricavato una gran soddisfazione. Quindi i due di corso Garibaldi dovevano per forza aggiustarmi la giornata. Parcheggio piano, e fingo anche di urtare il clacson col gomito per farmi notare a tutti i costi. Apro la portiera con la lentezza di una fotomodella che aspetta i fotografi, mi pianto in mezzo alla strada e la chiudo in atteggiamento “ehi, guardatemi, sono qua!”. E invece, niente, la richiesta di informazioni non è arrivata, nemmeno quando ho attraversato guardando a destra e a sinistra nemmeno se in corso Garibaldi all'una e un quarto ci fosse la fila delle macchine delle sette di sera, tutte rigorosamente con un solo cafone a bordo. Va be’, è andata male, forse 13 sanno dove andare. Ma chissà, magari l'informazione me l'avrebbero chiesta all'uscita, e mentre svolgevo le mie operazioni allo sportello telema-

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tico, immaginavo dove avrei potuto indirizzarli da quel punto, a seconda di cosa mi avessero chiesto: «Dunque, se vogliono il mare li mando alla zona industriale; se vogliono la Selva li mando in qualche oleificio... ok, speriamo bene!». Sono uscito, erano ancora lì, e finalmente, mentre ero nel bel mezzo del Corso, pronto quasi alla resa della mia perfidia, è arrivata in extremis la domanda fatidica, dolce melodia per il mio orecchio rivoluzionario: «Scuzi...». «Cacchio, settentrionali!» ho pensato fra me e me mentre mi giravo sfoderando il più ipocrita dei sorrisi e il più viscido dei «Prego?». «Scuzi, come sci chiama quescto palasso?». «Pure veneti!!! Fantastico!!! Quello Gesù è stato, che mi vuol regalare una grande giornata...» e che mi avrà ispirato l'immediata idea sulla risposta, che però necessitava di doti istrioniche di cui non so se sono in possesso ma per stavolta bisognava fidarsi. Ho aperto lentamente lo sportello: «Dunque...» e sono entrato in macchina. Ho chiuso lo sportello: «...questo palazzo...», ho chiuso lo sportello «...si chiama...» ho acceso la macchina e messo la testa fuori dal finestrino... «...PALAZZ STUCAZZ!» e sono partito. Dallo specchietto retrovisore lo spettacolo delle bocche aperte e degli occhi spalancati verso la macchina in fuga è stato ancora più bello.

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11/8/2014

Per i settant'anni di Franco Lisi, la mia personale scuola di giornalismo e soprattutto di deontologia, era per me un piacere e quasi un obbligo scrivere qualcosa. COMPLEANNO DEL MAESTRO

«La Fanta non ci paga, la Gaudianello sì»: vai a capire mò per quale motivo la prima cosa che mi viene in mente se penso alle tante lezioni che ho ricevuto da Franco, e continuo a ricevere, è questa. Dovevamo mettere una foto sul giornale, la foto di una persona ripresa a tavola, e si vedevano due bottiglie, una di aranciata, l'altra di un'acqua minerale che all'epoca era nostra inserzionista. Franco fece tagliare l'aranciata e lasciare l'acqua: grande lezione di giornalismo anche se sinceramente me ne ha date di più importanti! Però la frase mi è rimasta e mi rimarrà, a ricordarmi che una qualunque pubblicazione è prima di tutto un'impresa e non si vive di sola tastiera oggi come non si viveva di sola macchina da scrivere allora. Altra frase, questa molto più recente, non dico gridata ma quasi scandita davanti al microfono di una emittente locale qualche anno fa, in occasione della festa di S. Francesco di Sales patrono dei giornalisti, a cui tiene molto: «Schiena dritta!». Era il tema che aveva scelto per la ricorrenza di quell'anno: l'autodifesa dell'indipendenza e della dignità del giornalista. Eh, caro Franco! Vallo a dire a questi! Ai copincollisti, agli scodinzolanti cani da salotto del potere, ai re del condizionale e del "pare che", agli improvvisati raffazzonatori, agli sgrammaticati privi di qualunque rispetto per il lettore, quello che ho imparato da te. Era il 1988 e da un annetto avevo preso a bazzicare la redazione di Osservatorio. Non è che avessi la minima vocazione giornalistica, volevo solo entrare gratis allo stadio, come ho già scritto da qualche parte. Che vergogna! Poi però cominciò a piacermi, e dato che la presenza della rivista aveva fatto avvicinare alla penna alcuni giovani con qualche velleità, Franco pensò a giusta ragione di prendere in mano la situazione (come direbbe Cicciolina. Franco, perdonami ma questa è nel tuo stile e non me la puoi negare ahah!): insieme a Zino Mastro e al grande Nunzio Schena organizzarono un vero e proprio corso di giornalismo, credo l'unico che sia mai stato messo su a Fasano, il che per me è stata veramente

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un'enorme fortuna, trovandomi a cominciare proprio in quel momento. Si chiamava "Approccio al giornalismo" e si teneva in un locale di un ufficio distaccato a Fasano della Regione, nella parte di via Musco oltre via Roma, verso il cimitero, messo a disposizione da Fausto Savoia che lavorava lì. Franco aveva selezionato i docenti ed era il conduttore delle lezioni: teneva molto a ripetere sempre che non era un corso e lui non era un docente, ma anche quella era una lezione, di modestia. Perché quello fu un vero e proprio corso teorico: imparammo cos'è il giornalismo, cos'è una notizia, come si scrive, come si titola, come si sta in redazione, come si impagina, come si rispetta il lettore, come si trattano i potenti, come si marca stretto per un'intervista, e tanto altro. Fra i docenti mi piace ricordare l'allora direttore di Quotidiano, oggi editorialista della Gazzetta del Mezzogiorno, Vittorio Bruno Stamerra, e il grande fotografo e fotoreporter Mimmo Guglielmi. Franco si aspettava più che altro una platea di studenti universitari, e invece con sua sorpresa l'età media era più bassa, ed eravamo in maggioranza liceali, con qualche universitario oggi docente e addirittura anche un ragazzino di scuola media, ma ampiamente in grado di stare lì: il povero Valerio Gentile. Ma Franco, prima ancora che questo per me, è una delle colonne portanti di tutto il giornalismo fasanese: ha scritto dappertutto; ha fondato ben due giornali che sono durati in edicola anni, La Voce di Fasano e Tribuna Sport; ha scritto il primo, e finora unico, libro di storia del giornalismo a Fasano, A piombo caldo; ha presieduto e rilanciato il Circolo della stampa. Pur avendo una laurea e una cultura fuori dal comune, non disgiunte da un notevole senso dell'umorismo, non ha mai scavato alcuna distanza fra sé e il lettore, meno che mai fra sé e i suoi colleghi e allievi. Ora è in pensione ma ha lavorato per decenni al Comune di Fasano: ciononostante a un certo punto della sua vita ha preso armi e bagagli e con tutta la famiglia si è trasferito a Taranto, per poter uscire dal lavoro e mettersi tutti i giorni sulla strada, non certo quella larga e scorrevole di oggi, e raggiungere la città a finire la giornata al Corriere del Giorno, il primo quotidiano in Italia rilevato da una cooperativa di giornalisti di cui anche lui faceva parte. Oggi Franco Lisi compie settant'anni. Buon compleanno Franco, ora che avremmo l'età per farlo sappiamo che non riusciremo mai ad essere maestri bravi come te, ma ci proveremo.

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14/8/2014

Per sapere quello che accadrà basta osservare con attenzione quello che accade, e quello che è accaduto. FERRO AGOSTO Fasano, 15 agosto 2044: il sindaco Shakira Cuzzupè, prima rappresentante del gentil sesso a ricoprire la massima carica cittadina dai tempi di donna Maria, come ultimo atto alla vigilia delle vacanze ha firmato l'ordinanza con la quale si prolunga la Fasano-Selva da quindici a venti giorni. Il ministro dell'Istruzione, università e ricerca, on. segr. d'az. bl. sh. Laura De Mola, ha emesso un comunicato col quale si dice lieta della novità. Per l'occasione la Strada Statale 172 dei Trulli sarà ulteriormente allargata con l'abbattimento di altri 1.786 pini secolari e la consueta mano annuale di asfalto che porterà l'altezza della sede stradale oltre il muro dei quattro metri, un vero record per la viabilità ordinaria. Come sempre, ai proprietari e inquilini di abitazioni sul percorso verrà tassativamente vietato di entrare e uscire da casa 24 ore al giorno per tutta la durata della manifestazione, e il pubblico, da lungo tempo ormai ammesso senza limitazioni in qualsiasi punto del percorso, sarà come ogni anno invitato a non usare i cestini della carta straccia per rifiuti alimentari e deiezioni umane o animali, potendo per questo comodamente usufruire dei giardini privati. I turisti forestieri avranno libero accesso alla proprietà altrui senza limitazioni: i proprietari che non si adegueranno al consueto festoso clima di ospitalità per il quale la nostra città è famosa in tutto il mondo, Montalbano compresa, verranno tremendamente puniti: dovranno recitare a memoria davanti ad apposita commissione comunale l'opera omnia dell'indimenticata Palmina Cannone sotto pena di confisca dell'immobile. La presidentessa del Comitato Feste Patronali, l'avv. Vitina Pasquina Hoxha, ha finalmente annunciato quale sarà lo spettacolo finale del lunedì sera alla prossima edizione della Festa della Madonna. Nel cuore della città, sotto il palazzo comunale e i resti della torre dell'orologio, cioè in piazza Silvio Berlusconi, sarà rappresentato lo spettacolo musicale Cacare Pisciare, con la partecipazione delle più famose pornostar del momento e i divertenti sketches del pernacchio-scorreggiatore Pierino La Puzza. Condurrà la serata Walter Mazza, il celebre cretino più intelligente del

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mondo ("buono" agli esami di terza media e 74/100 alle superiori). Alla manifestazione interverrà l'intero cast della fiction di maggior successo della scorsa stagione su MediaRai: Maledetti Rossi, girata nelle fogne di Fasano e che vede protagonista, com'è noto, una squadra di eroici ausiliari del traffico che cerca i poveri turisti presi prigionieri dai vili terroristi comunisti delle Brigate Fasanesi. Viva soddisfazione è stata espressa per le decisioni del Comitato dal parroco della chiesa Matrice, rev. Mohamed Abdul Salam, reduce dalle roventi polemiche della scorsa Pasqua quando pretese che almeno un fasanese fosse sempre fra i portantini delle statue delle processioni. Il tradizionale programma religioso sarà rispettato come ogni anno: l'intronizzazione del sindaco e la crocifissione di un magistrato fino al decesso di costui al cospetto della folla plaudente. L'anno prossimo, per non creare i problemi di intasamento delle scorse edizioni, non sarà ammesso alla piazza chi ha la fedina penale pulita e un titolo di studio superiore alla scuola dell'obbligo. Nel frattempo, si attende con ansia il ritorno in città, per la ripresa dell'attività politica dopo la pausa estiva, del segretario fasanese del Partito Unico Nazionale, il dott. Ridge Palma. Dopo aver partecipato alle celebrazioni per il centenario dell'eccidio nazista di S. Anna di Stazzèma, solo al rientro ha compreso, dopo esaurienti spiegazioni del suo staff, il perché della presenza sul posto di una rappresentanza dell'esercito tedesco in uniforme recante sull'elmetto una strana decorazione somigliante a una croce. A partire da quest'anno infatti, per ordine del P.U.N., non si commemorano più le vittime ma si festeggia l'avvenimento. Il segretario è ormai certo di essere candidato del Partito alle prossime elezioni comunali, essendo il mandato della signora Cuzzupè ormai in scadenza definitiva, e sta da tempo limando il suo discorso. Non quello di insediamento, ma quello con il quale celebrerà la conquista più importante della sua amministrazione. Ridge Palma già si vede infatti sul balcone del palazzo di Città affacciarsi in piazza Berlusconi, arringando la folla con queste parole infuocate: «CAMICIE APERTE DELLA RIVOLUZIONE... UOMINI E DONNE DI TUTTA FASANO... E AMICI DI FASANO... AL DI LÀ DEI MONTI E AL DI LÀ DEI MARI: ASCOLTATE! IL MARESCIALLO DELL'ESERCITO... TELEGRAFA: OGGI, 5 MAGGIO, ALLA TESTA DELLE TRUPPE VITTORIOSE... SONO ENTRATO... IN PEZZE DI GRECO!». Il popolino impazzirà di sicuro. 102


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20/8/2014

Proviamo a fare narrativa pura, chissà che non piaccia. Ogni riferimento alla realtà è puramente casuale. DIARIO DI UNA STRONZA 11 febbraio

Qualche interesse me lo suscita, confesso. Me l'aspettavo molto più antipatico e agitato, invece è stato calmissimo! Cortese, tranquillo, un po' gentiluomo direi. È stata proprio una passeggiata rilassante. Sembrava volesse recitare la parte del professore di cui l'allieva si innamora. Invece penso sia lui a essere cotto. O almeno voleva fare colpo, così mi è parso quando ho preso il libro e ho fatto una battuta: la sua è stata l'unica risposta intelligente che si poteva dare a una battuta del genere a un primo appuntamento, si è messa a ridere anche la libraia. Penso che lo rivedrò, non ho certo nessuna intenzione di avere una storia con lui ma una certa volontà di possesso me l'ha fatta nascere. Amo essere padrona degli uomini! 29 marzo

Però fa tenerezza! Proprio perché ha una certa età vederlo lì con gli occhi persi e luccicanti è carino, dai. Mi fa sentire potente! So che si è innamorato, lo vedo, lo sento, non può negarlo, quello sguardo è inconfondibile, l'ho visto un sacco di volte. L'ho visto praticamente in tutti gli uomini che ho conosciuto, sempre. So che adesso potrei chiedergli quello che voglio, senza nemmeno portarmelo a casa. Anzi, più lo faccio sbavare più ce l'avrò in pugno. È sempre la stessa sensazione, ma non smette mai di soddisfarmi. Adoro tenerli per le palle, fanno i forti ma sono fragilissimi. E la loro fragilità è la MIA forza. 6 maggio

Wow! Chi l'avrebbe mai detto... Mentre ancora lo salutavo con la mano dal balcone ci stavo già ripensando su. Non me l'aspettavo, mi ha sor-

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preso. E alle tre di pomeriggio poi, che non è il mio orario preferito. Per la verità direi quello di nessuno. Un contentino glielo dovevo dare, su... è da quest'inverno che mi contempla come una Madonna del Guercino ma devo riconoscere che ha sempre fatto il gentiluomo. Anche oggi. Avevo voglia, aveva voglia. E poi sono sicura non sia il tipo che se ne vanterà in giro. Va bene che è un incoerente da record ma credo che il suo odio per il popolo, come dice lui, prevarrà. Io però voglio che si sappia che c'è cascato anche lui, che non c'è uomo che mi resista ovunque vada, che tutti da qua devono passare. Che sono la più desiderata, quella che fa la differenza, quella da mille punti. Che sono io. 13 luglio

Ci è o ci fa? Mi sono messa il vestito più corto che ho, mi sono tirata come più non potevo, a un certo punto mi sono messa a ballare che avrei fatto perdere la testa pure al più incallito playboy figuriamoci a lui, e lui invece... niente! Pensavo che un bel bis gli sarebbe piaciuto. Tutto sommato sarebbe piaciuto anche a me; se veniva come l'altro, certamente. Però con la scusa dei tacchi mi ha presa sottobraccio passando e ripassando nella piazzetta piena! Allora dillo che ti piace farti vedere con me! Purtroppo compaesani non ce n'erano molti, anzi ne ho visto solo uno. Ma penso che fosse uno di quelli giusti. 1 agosto

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Finalmente sono riuscita a sputtanarlo. Che ridere, non se n'è nemmeno accorto, è veramente un ingenuo. Anzi, è talmente innamorato che come tutti è crollato come un muro fradicio. Però è veramente divertente: ieri sera lo spettacolo era un'autentica porcheria, ma chi ci ha badato. Se mi chiedono di che parlava nemmeno me lo ricordo più... fra smartphone e lui non ci sono proprio stata attenta. Mi ha fatto ridere un sacco, nonostante non potessimo certo fare chiasso. Sì, non posso negarlo, mi sta proprio simpatico, ma ce l'ho in mano: non guardavano che noi. Ahah... erano tutti troppo meravigliati! La coppia imprevista! L'intellettuale e la strafiga, Arthur Miller e Marilyn! Troppo strano, troppo incomprensibile. Ma per me niente è strano, niente è incomprensibile, niente è irraggiungibile, primi fra tutti gli uomini. Stamattina poi c'era molta gente che ci aveva visto insieme anche ieri. Ce l'ho fatta, ma non avevo dubbi.


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14 agosto

Ahahahah... oh devo stare attenta, qui rischio di travolgere qualcuno! La prossima volta devo evitare di mettermi in macchina subito dopo averlo visto... ahahah non ricordo da quant'era che non ridevo tanto. No, questo glielo devo proprio riconoscere, è l'uomo che più mi fa ridere, credo proprio della mia vita! Tutto ha un lato ridicolo per lui, e il bello è che è sempre vero: non forza mai le situazioni, emerge il ridicolo e lui lo afferra, lo estrae e te lo mette davanti con una prontezza tutta sua. Lei mi dice di stare attenta, di non tirare la corda, di non alimentare illusioni... Bé si fottesse, è solo invidiosa di non fare un pupazzo dell'ennesimo uomo, intelligente, simpatico e con i soldi che striscia ai miei piedi. Sì non è né bello né giovane ma quelli non mi sono mai mancati e non mi mancheranno mai, nemmeno fra vent'anni. Oggi lui mi ha fatto proprio divertire.

16 agosto

Stronzo. Stronzo stronzo stronzo. Dieci volte stronzo. Ma come si permette? Così, per telefono! Anzi, magari per telefono, in chat! Ma con chi si crede di avere a che fare, con una sciacquetta delle sue? Ma ha capito con stava parlando? Cioè ora ti dichiari A ME col telefonino mentre sei al mare con un'altra? Ma buttala dietro un cespuglio e fattela a sangue, così ti calmi! E poi odio fumare per nervosismo ma adesso ho veramente i nervi a mille. E ho fatto male a dirgli che per me non cambiava niente, altro che non cambia niente! Sfigato che non sei altro, sei stato zitto per mesi e ora non hai nemmeno le palle per venire a dirmelo in faccia! Ma io sono la più figa del paese, sono il desiderio di tutti, sono la donna più guardata e voluta, sono la migliore, come ti permetti!!! Non può essere, non può essere... l'ha fatto per sé, non per me, non c'è altra spiegazione. È esploso quando non ne poteva più. Ma ucciditi, ammazzati, suicidati, io di un idiota così non so proprio che farmene! 25 agosto

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Eccola l'occasione! Adesso ti aggiusto io, e con gli interessi. Tutto ti racconto, nei minimi particolari. Stai bello tranquillo in vacanza? E ora te la rovino io! Così diamo anche un senso a questa storiella che molto senso non ne aveva: il classico belloccetto da acchiappo estivo, tanto per passare la stagione. Ma adesso gli racconto tutto, però non voglio essere


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troppo esplicita: basta qualche accenno inequivocabile, perché questo non vada in giro a dire che sono una stronza. Io! Sarebbe il colmo. L'ho sempre trattato bene, l'ho sempre ascoltato, anche quando la sua ingenuità era insopportabile, anche quando non aveva il coraggio di confessare a se stesso che avevo abbattuto pure lui, l'inossidabile, l'inattaccabile, il moralista tutto d'un pezzo. Pure tu sei passato da qua dentro, come tutti gli altri! Come quest'ultimo scemotto, che si illudeva di potermi prendere e gettare e invece è stato gettato. Dov'è il telefono? 27 agosto

Sì ciao, ciao... Vaffanculo tu e il bacio volante. Lo so che non vorrai vedermi mai più. Ti si legge negli occhi. Poverino, il cuoricino infranto abbandona il campo! Sempre più patetico, con quella torta e quel dossier di lavoro che butterò appena torno dentro come farai tu col mio magnete per il frigo. Perché se no gli farebbe troppo male, al piccolino! Ma mentre te lo compravo già pregustavo la scena: ero certa che convocandoti avresti scodinzolato come un barboncino a casa mia, e che non avevo nulla da temere. Non hai le palle per molto meno, non c'era nessun pericolo che mi saltassi addosso. E adesso prepariamoci che è tardi... devo farmi regalare subito una collana, per questo vestito non ho niente di sexy da mettermi e a questo i soldi non mancano di sicuro. Secondo me conosce anche qualche gioielliere e nemmeno la paga. Meglio, ne rimangono di più.

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26/8/2014

Ho ospitato il contributo di un involontario spettatore della manifestazione della sera prima con i margialetti rossi in piazza Ciaia: l’improvvisato reporter ha chiesto l'anonimato per non rimanere vittima delle ritorsioni del regime lellista. SUFFRAGIO UNIVERSALE

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Sembrava l'inferno........ma lo era! Lunedì 25 agosto 2014. Dopo la mia consueta corsetta del lunedì utile ad eleminare le scorie di un grosso e grasso weekend, stramazzavo sul divano intento a godermi un po' di meritato riposo e ragionavo ad alta voce «Selva o Savelletri stasera? Questo è il dilemma!». Ad interrompere la mia quiete una voce: «Ma che Selva e Savelletri! Stasera in piazza ci sono i braccialetti rossi!». «Chi?? - rispondo io - al massimo i margialetti rossi, come dice sempre Romano Bianco!!!». Era mio fratello quattordicenne che cercava da un paio di giorni di convincermi ad andare in piazza con lui: «Dai tanto è alle otto! Stiamo un'oretta e ce ne andiamo....!». «Vabbù...», d'altronde cosa non si fa per accontentare i fratelli più piccoli? «Che sarà mai affrontare quattro ragazzini che vorranno farsi un selfie (oggigiorno questo termine non indica il semplice autoscatto ma ha integralmente sostituito il termine italiano "foto") con altri ragazzini che si sono trovati a girare una serie tv senza alcun merito e alcuno studio?». Dopo aver visto, da juventino sfegatato, un Napoli-Juve in curva B, il cuore della tifoseria del San Paolo, pensavo di aver già visto l'inferno, ma mi sbagliavo. Parcheggio la mia Vespa 50 in una stradina in agro del Kennedy (come dicono alcuni giornalisti locali) e mi dirigo a piedi in piazza. Uno dei più grandi errori della mia vita. Ragazzine indemoniate che saltavano e piangevano. Si abbracciavano e urlavano. Vicino al Bella Napoli sento: «Facciamoci un selfie con il palco dietro e pubblichiamolo!»... Cerco di avvicinarmi al centro della piazza per far vedere qualcosa a mio fratello, ma nulla... andavamo incontro al girone dei genitori indemoniati, intenti a filmare l'evento con il loro iPad e che avevano sulle spalle i rispettivi figli con i rispettivi smartphone pronti a filmare l'evento "vista papà". Lo pseudo-concerto del loro cantante finisce tra lacrime generali... è il momento delle foto e degli autografi! Ma c'è troppa fila! «E se faccio


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finta di sentirmi male secondo voi mi portano sotto al palco?» propone una pischella ai genitori: «Noo... capace che poi ti portano in ospedale! Dai la mano a papà, che ti fa lui da scudo e vedete se riuscire a guadagnare qualche metro!» La mia mezz'ora in piazza Ciaia si consuma così.. tra urla, interventi della C.R.I. nella mischia e tra «È stato smarrito un bambino di 10 anni! Non avere paura piccolo, vieni sotto al municipio che i tuoi genitori ti aspettano qui!»... Tutto nella totale normalità. A salvarmi ci pensa colui che nei guai mi ci ha messo: «Andiamocene di qua... nan ì cause! Questi sono pazzi! Torniamocene a casa!» E come in un film horror quando sembra tutto finito... «Buonasera!! Buonasera a tutt! Sicuramend e probabilmend sono mold soddisfatt e condend... PERCHÈ ABBIAM FATT DI TUTTO E ALLA FINE SIAMO RIUSCITI A PORTARE A FASANO I BRACCIALETTI ROSS!!! Che è sicuramend e assolutamend motivo di orgoglio e di vanto per la nostra città!». A buon intenditore poche parole... chi mi ha capito mi ha capito! Non siamo la città delle buche, la città della Fasano-Selva, la città senza palazzetto dello sport, la città della privatizzazione delle coste... siamo la città dei braccialetti rossi!

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2/9/2014

Ho ricevuto e volentieri pubblicato il seguente contributo di Nicola Lamacchia, anche lui affetto da quella grave malattia che è l'amore per Fasano, il quale sbugiarda dati alla mano la puttanata del "venti per cento del P.I.L. indiano" che secondo il sindaco sospeso sarebbe stato presente al matrimonio fra Ritika e Rohan Agarwal programmato a Fasano per quella settimana SPECIALE MATRIMONIO INDIANO - LA BUFALA DEL VENTI PER CENTO

Selvdog millionaire? Secondo l’ultima stima ufficiale del F.M.I. (Fondo Monetario Internazionale) il P.I.L. dell’India (Per PIL si intende il valore di tutti i prodotti finiti e servizi prodotti in uno stato in un dato anno) nel 2012 si aggirava intorno ai 1.841.717 milioni di dollari americani. Il 20% del P.I.L. (che è la cifra rivendicata dal nostro eroe) rappresenta dunque 368 miliardi di dollari. Questa cifra corrisponde, pensate, all’intero P.I.L. di Stati come la Colombia (369 miliardi) o la Danimarca (314), ovvero alla somma dei PIL di stati come Irlanda e Ungheria! Ora, la lista dei cento uomini (famiglie) più ricchi d’India fornita da Forbes (si parla di Net Worth, quindi di asset detenuti, non di ricchezza prodotta che è invece espressa dal P.I.L.) ci dice che la somma di tutti i patrimoni delle suddette famiglie si aggira intorno ai 259 miliardi. La famiglia Agarwal si piazza degnamente al ventiduesimo posto con 3 miliardi di dollari (che rappresenta lo 0.16% del P.I.L. indiano). Si consideri inoltre che data l’enorme sperequazione sociale ed economica in India è assai poco probabile che si possa applicare all’economia indiana il presupposto di “long tail” nella distribuzione statistica. In parole povere, ci sembra legittimo affermare che la maggior parte della ricchezza resti concentrata nelle mani di pochi individui e che (lunga vita al grandissimo connazionale Pareto) la citata lista rappresenti più o meno l’80% del patrimonio concentrato in mano di grandi famiglie. Questi sono i fatti. Incontrovertibili. Ora si tratta di validare l’affermazione che gli invitati rappresentino il 20%

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del P.I.L. indiano (facile) e procedere ad una stima di quanto rappresentino in realtà (meno facile). Non avendo ulteriori riscontri sulla lista degli invitati siamo obbligati ad usare una via “induttiva” alla conoscenza scientifica e forse, perché no, usare qualche concetto preso in prestito da Freakonomics (vedasi l’ottimo lavoro di S. Levitt). Pars destruens: è altamente improbabile che al matrimonio siano invitate tutte le cento famiglie. Anche se lo fossero (per assurdo) rappresenterebbero solo il 14%. E’ impossibile fare il 20% con il resto della distribuzione; è risibile immaginare che tra le maggiori famiglie non ci siano gelosie, lotte di potere, interessi antagonisti, conflitti latenti e manifesti. E poi stiamo parlando di una società (quella indiana) fortemente stratificata e familistica: riuscite ad immaginare un magnate al ventiduesimo posto invitare famiglie più facoltose al matrimonio? Fare tutto quello sfarzo per altre famiglie che possono umiliarlo solo mostrandogli l’ultimo numero di Forbes? Pars construens: si tratta di calcolare ora una percentuale attendibile, giusto per mostrare che invece di inventare numeri altisonanti e ad capocchiam si dovrebbero investire tempo e cervello per fare un’informazione seria, seppur basata su stime statistiche. Combinando vari scenari costruiti sulla suddetta lista di magnati indiani e elaborando le probabilità statistiche con il metodo Montecarlo ho ottenuto una possibile distribuzione statistica che ho testato con variabili economiche e non. Vi risparmio tutti i particolari e vi dico che il risultato finale è che probabilmente una percentuale intorno al 2-3% del P.I.L. indiano potrebbe parteciparvi. Ad maiora and... bring the boys back home!

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4/9/2014

Matrimonio indiano in pieno svolgimento: lusso soverchio e ostentazione di cattivo gusto senza limiti dentro per i forestieri, niente per i fasanesi fuori. Il sindaco sospeso e l'assessrice imperversavano da una settimana su tv, giornali, siti internet e quant'altro raccontando la bugiarda favoletta del Paese di Bengodi dove tutto va bene e il benessere ìmpera. L'INVITO

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Lo specchio guardava impietoso. Onusta d'anni e di cosmetici, l'assessrice sfogava il nervosismo contro le strette pieghe del suo sari: «Ma come gesummaria fanno a muoversi qua dentro 'ste muscite?» disse in perfetta dizione, quasi strappando il tessuto dimenandosi avvolta nelle complicate trame di questo. Ma l'ospite è sacro, e l'indicazione sull'invito perentoria; ma anche senza indicazione, avrebbero obbedito lo stesso: look di rigore completamente uniforme a quello delle gentili invitate asiatiche. Compreso il bindi, con cui tutti ma proprio tutti avrebbero dovuto obbligatoriamente punteggiarsi di rosso il centro della fronte. L'assessrice non ha una cattedra ad Oxford, ma nemmeno a Camerino se è per questo, quindi una volta capito con grande fatica che non si doveva buttare una torta industriale in faccia, il problema era come farselo fare. Non poteva farselo fare a tempera, per non rovinare la pelle tenuta miracolosamente liscia almeno in fronte da chili e chili di roba. Non poteva farselo fare a spirito perché se no poi se ne viene solo con l'alcool e quindi a parte il pericolo d'incendio non ne parliamo proprio. Né poteva farselo fare a olio: «Mè, e che vogliamo sprecare l'olio per menarcelo in faccia?» fu il diktat perentorio. Ma a spremersi ben bene, qualsiasi cervello alla fine partorisce qualcosa, e l'idea venne. Convocato in gran fretta, il parrucchiere delle dive applicò sulla fronte della regina del jet-set fasanese la stessa infallibile tintura che di solito forniva un colore umano alla sua chioma ormai da tempo color Dolomiti. Il sospeso faceva su e giù per la stanza, naturalmente quella di Palazzo di città, e quale se no?, fumando in continuazione per il nervosismo. La corte celeste non osava interloquire, per il semplice fatto di non essere capace di concepire una scappatoia. Andare o non andare non era più un problema: bisognava andare, e basta. Bisognava far capire chi è che


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comanda, come se non si fosse già capito. Ma come far ingoiare alla gente l'affronto? Come parare i titoli sui giornali nazionali e gli impropèri sui social media? Stavolta ci voleva qualcosa di veramente lontano dalle capacità dei burattini senza fili. «Euròpa! Ho trovato! Eheheheh...» proruppe l'assessore al nulla facendo vibrare il baffetto alla velocità delle ali di un colibrì. Tutti si girarono verso di lui, mentre l'Ass. Ing. gli risparmiò l'umiliazione di correggergli il greco-montalbanese, limitandosi a un sospiro di commiserazione. «Quando arrivano, gli facciamo trovare una bella foto di Toro Seduto, di Geronimo e tutti gli altri capi famosi, ci vestiamo tutti con le piume e le frecce e poi per finta prendiamo uno pelato e gli tagliamo una parrucca tanto per far vedere». Il sospeso non disse una parola, prese per la cintola e la collottola l'assessore al nulla e lo trascinò di peso fuori dalla stanza sbattendo la porta. Le notizie nel frattempo erano drammatiche: un consigliere comunale canuto e particolarmente affettuoso era stato picchiato a sangue da un vigilante per averlo apostrofato “amore” all'ingresso del resort, un altro era stato bruscamente allontanato per aver risposto al saluto «Namastè» del padre della sposa con «I stateve, stateve, quanda vuleite voue ve puteite stè!». I giornali e le tv cominciavano ad accorgersi della sospensione e a scriverne. Bisognava assolutamente fare qualcosa. E qualcosa alla fine si riuscì a pensare: immediata dichiarazione di guerra al Pakistan, per favorire la distensione e il clima di giusta cordialità con gli illustri ospiti; istanza di sospensione della sospensione all'autorità preposta, con speciale autorizzazione ad inginocchiarsi davanti all'illustrissimo signor Magnate. In caso di diniego, il piano B prevedeva un geniale meccanismo di aggiramento della restrizione: il sospeso avrebbe parlato nell'orecchio del facente figure, il quale avrebbe egli solo interloquito con le autorità straniere presenti riferendo al capo le loro risposte. In che lingua non si sa. Le ultimissime: pare, sembra, si dice, si mormora, i bene informati sostengono, indiscrezioni asseriscono che tutti i camerieri, cuochi, hostess, operai, guardie del corpo e maestranze al completo verrebbero soppressi dopo i festeggiamenti a colpi di pigne d'oro affinché non rivelino all'esterno i particolari dell'Evento. Come gli schiavi che costruivano le Piramidi.

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6/10/2014

Pensavo a questo articolo da tre anni, da quando mi ero accorto che erano passati vent'anni dal fatto. Non lo avevo mai voluto scrivere in anticipo e tenerlo pronto perché l'istinto mi diceva che era meglio così. VENT'ANNI DOPO NON RIDO PIÙ

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L'idea non era male: erano i primi tempi dei vidiwall, quei grandi video fatti di schermi televisivi su ciascuno dei quali veniva proiettato un pezzo dell'immagine, in modo tale che l'insieme desse l'idea di un muro fatto con la tv; il grafico aveva proposto, e subito ottenuto, una copertina con la scocca di un televisore, di quelli dell'epoca ancora con il tubo catodico, e dentro nove fotografie dei protagonisti del processo. Solo che in tipografia sbagliarono il colore e invece che essere nero, il televisore venne di un salmone sbiadito che nemmeno si vedeva. Zino si incazzò come una bestia quando andò a prendersi le copie in tipografia, e il povero Nunzio Schena, che era un galantuomo, non si fece pagare la copertina. Anche a me dispiacque molto, perché quella non era la mia prima copertina, ne avevo già avute altre tre che io ricordi, ma era la prima volta che mi era stato affidato il servizio di apertura del giornale, quello sul fatto più importante del mese, quello di cui tutti parlavano in quei giorni. Era una prova importante e volevo dare il meglio. Il 6 ottobre 1994 era andata in onda l'ultima delle tre puntate che Un giorno in pretura aveva dedicato al processo Curci: Cataldo Curci era un bracciante fasanese che nell'estate del 1991 aveva assassinato moglie e figlio e ne aveva gettato i cadaveri in un pozzo. Il processo ci mise una puntata a diventare il secondo caso per spettatori della storia della trasmissione fino ad allora: solo il processo Cusani per la maxi-tangente Enimont con Antonio Di Pietro all'apice della fama, come scrissi, aveva fatto più audience. E gli ascolti infatti furono mostruosi: Un giorno in pretura in media faceva sui due milioni a puntata, la terza puntata del processo Curci ne fece oltre cinque. Perché? Cercai di scriverlo, nonostante si fosse ancora a caldo: il binomio sangue-sesso (come movente del delitto fu ipotizzata una presunta relazione extraconiugale del Curci), l'assassinio a fucilate, i cadaveri nel pozzo, ma soprattutto le deposizioni di imputato, testimoni e parti civili. Vi lascio immaginare che cosa si vide, e soprattutto


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si sentì, di Fasano in tv. Per un celeberrimo confronto passato alla storia fra la presunta amante del Curci e un testimone, si dovette far ricorso ai sottotitoli perché il presidente della Corte d'Assise di Brindisi permise che i due parlassero in dialetto. Anche un paio di avvocati si distinsero per le loro arringhe diciamo così alla paesana. Ci mise del suo anche il pubblico ministero, che era il futuro sindaco di Bari Michele Emiliano: i suoi modi pragmatici già noti allora con la toga come anni dopo da primo cittadino del capoluogo non contribuirono certo a far trionfare l'ars oratoria in punta di diritto. C'è poco da girarci attorno: come tutta l'Italia rise di Fasano, Fasano rise di se stessa. Non si parlava d'altro, si passavano le serate commentando fra grasse risate i momenti più coloriti del processo, fiorì un commercio clandestino di videocassette che raggiunsero quotazioni da capogiro e che i fotografi vendevano sottobanco a chi si era perso la trasmissione. Fu una formidabile occasione per il fasanese medio di svolgere l'attività che gli riesce meglio: sparlare di chi gli sta di fianco. Non mi dilungo in particolari: le cassette sono diventate dvd e i dvd ora sono files a disposizione di chi voglia rivedersi le tre puntate. Risi anch'io, lo confesso: mi sentivo superiore a quell'ambiente fatto di braccianti analfabeti, di superstizione, di adulterio sistematico, di contrabbando, di caporalato, di violenza, inutile raccontare balle. Forse la cosa più giusta da dire è che non potevo non ridere, immerso com'ero fino ai talloni in un clima culturale così provinciale. Però una sufficiente lucidità riuscii a mantenerla, tant'è vero che il titolo lo feci io, e Zino decise che sarebbe stato anche il titolo di copertina: Riso amaro. Furono pubblicati anche un'articolo di Nicola Colonna, l'avvocato che uscì da trionfatore per la competenza e la professionalità dimostrate in quel processo, che aveva un titolo più che profetico per il 1994: Video, ergo sum, ed un'intervista alla sociologa Deodata Cofano. Sfogliando oggi quelle pagine mi accorgo di avere in me qualcosa in più, insieme ai capelli bianchi, ed è la rabbia. E qualcosa in meno: la speranza.

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15/10/2014

Dieci anni dalla scomparsa di Giuseppe Di Bari, l’indimenticabile "signor Di Bari" dei campi da tennis alla Selva: un'autentica istituzione e un ricordo incancellabile per me, che li frequento da quarant’anni. SIGNOR SI NASCE La mia gamba sinistra grondava sangue e brecciolina. La ferita era di un colore indefinibile, grigio-amaranto, e mi faceva un male cane. Era enorme, sul polpaccio, dal ginocchio alla caviglia, a stento riuscivo a camminare. Ero arrivato ai Campi in bicicletta: c'erano i lavori al Salone dei congressi, quelli che durarono anni fra la fine degli '80 e l'inizio dei '90, quando fecero quell'orrida balconata in cemento con le "palle" che non l'hanno mai illuminata. Facendo la curva da viale del Leccio verso i Campi mi accorsi di andare un po' troppo veloce, ma non di essere in piena fracina. Naturalmente, non appena toccai il freno in curva la bici se ne andò per i fatti suoi e mi ritrovai di gamba per terra, trascinato dall'inerzia verso un dolore indicibile. Il guaio è che avevo una ventina d'anni, mica quattro. In questi momenti mi viene soltanto di proferire enormi fesserie, infatti trascinandomi dentro con le ultime forze, riuscii a dire con un filo di voce: «Signor Di Bari, ce l'hai un cerottino?». Più che di un cerottino avevo forse bisogno di un'ambulanza ma, dopo le risate degli astanti, il signor Di Bari, mosso a pietà, estrasse un disinfettante, forse alcool, quasi sicuramente scaduto, dalla cassetta del pronto soccorso che teneva nella sua stanzetta. Indimenticabile la lapidaria asserzione con cui chiosò il suo intervento: «Cher (la ferita) mù avà pegghié jiarie i saule», e con questa lezione di chirurgia d'urgenza, feci ritorno a casa dove non ebbi mazzate da sopra solo perché mio padre temeva ormai di soccombere alla reazione e mia madre non arrivava più da tempo alla faccia. Nel giugno del 1990 la Nazionale di calcio del Camerun era in ritiro a Fasano per preparare le partite dei Mondiali di Italia '90. L'hotel in cui alloggiavano era la Sierra Silvana e ricordo bene qualche calciatore o qualcuno dello staff che si affacciava dai bungalow dell'albergo guardando incuriosito verso i Campi. Nella gara inaugurale di quel Mondiale, giocata a Milano, il Camerun aveva sorprendentemente battuto 1-0 l'Argentina di Maradona, campione del Mondo uscente, e si era guadagnato l'attenzione

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dei media di tutto il globo. Una mattina qualcuno arrivò trafelato ai Campi e annunciò con emozione: «Signor Di Bari, sai chi deve venire a giocare adesso? Roger Milla, il centravanti del Camerun!». Milla aveva già giocato ai Mondiali dell''82 ed era una delle vedettes della squadra. Il signor Di Bari, senza minimamente scomporsi, rispose con l'unica cosa che per lui contava: «Ci jì Milla? Ha prenotate i?». Qualcuno gli spiegò la situazione e che non era il caso di stare a sottilizzare, sta di fatto che si organizzò un doppio fra Milla e non ricordo chi contro un suo amico e Alberto Di Marco, conosciuto dagli habitué del Tennis Club come "Cannone". A un certo punto arrivarono i giornalisti e le troupe del TG2 e della ITV, circuito privato nazionale inglese, per intervistare Milla, e al signor Di Bari fu tributata una meritatissima inquadratura da entrambe. Ma ce ne sarebbero tantissime altre da raccontare... tutte le sere in cui andava via prima che il programma del Giallo fosse finito, e ti chiedeva di lasciare le chiavi "nella grasta", quando specificava che «Mia moglie è non vedente, non vede!», Quando chiese in fasanese a Ivan Cattaneo, che aveva fatto un concerto nel parcheggio del circolo, organizzato da Aldino Casarano per festeggiare la fine del Giallo, qualche cd per le sue figlie e il cantante, che era di Milano, capì senza problemi cosa volesse... Povero signor Di Bari, quanto mi manchi... e mi manchi tu, non quei tempi che, come tutto, prima o poi passano per forza. Era nato a Fasano nel 1926 e la sua vita era stata di duri sacrifici e di fatica come muratore in Germania, di quelli partiti con la valigia di cartone annodata con lo spago. Non so chi lo portò ai Campi ma ne fu custode, segretario e, per me soprattutto, perfetto giardiniere dalla riapertura nel 1974 fino a quando non decise ritirarsi, nel 1993. Non abbiamo mai più visto tanti fiori ben curati, adesso ci stanno riprovando e speriamo di tornare a quei fasti. Sebbene parlasse a stento italiano e adottasse un look molto modesto, tutti i frequentatori del Tennis Club lo chiamavano "signor" e nessuno si permetteva di non dargli del voi, al massimo del lei, tranne uno che lo apostrofava «Uè Pè!» e gli dava del tu; questo tizio una volta lo trattò molto male fino a farlo piangere minacciando di lasciare il Club: scattò una vera rivolta e a essere allontanato per lungo tempo dal circolo fu lui. Il rispetto per il signor Di Bari era così radicato in tutti che una volta ricordo che in occasione di un Torneo Giallo con qualche amico ci divertimmo a pensare che sulla sua tessera del Club ci fosse scritto: cognome Di Bari, nome Signor. E invece si chiamava Giuseppe. È morto nell'ottobre del 2004, e questo mese fanno proprio dieci anni che se n'è andato. E ovviamente il campo 2, quello coperto, che gli è intitolato, non poteva non essere chiamato "Campo signor Di Bari". Signor, mica Giuseppe.


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9/11/2014

In pochi giorni un suicidio di un padre di famiglia e un incidente stradale che si era portato via un ragazzo di 19 anni. Più passa il tempo più si guarda con occhi nuovi a certi avvenimenti. DOMENICA MATTINA Giusto il tempo di svegliarsi per intero, sfregare le nocche sugli occhi, andare in bagno, avviarsi alla cucina, e il pensiero è inevitabile, almeno oggi: quanti non saranno tornati? Se in giro ci fossero i miei sarebbero anni che passerei i sabato notte senza dormire, con l'orecchio attaccato al telefono aspettando che chiamino. Che chiamino loro, perché non è giusto opprimerli, perché potrebbero non sentire con la musica alta, perché stanno guidando, perché hanno il diritto di fare l'amore in santa pace, perché sono giovani. Ci fu una campagna tanti anni fa contro le “stragi del sabato sera”, e qualche risultato ci fu. Ma questa settimana è particolare, diverso. Non era sera, non era sabato, ma non cambia niente. Ce ne sono stati altri, ma stavolta l'impressione è diversa: perché alcuni suoi parenti sono miei amici da una vita? Perché mi descrivono un giovane sensibile e impegnato in politica che avrebbe potutto fare tanto per Fasano? Perché cominciano a essere tanti i ragazzi di vent'anni che conosco e a cui guardo come fossero figli miei? Perché mi è tanto amaramente piaciuto leggere che «...a diciannove anni si dovrebbe morire solo di risate»? Può darsi tutto e può darsi niente, ma succedono fatti che a un certo punto ti fanno capire che il tempo è passato, e che alle cose non si guarda più come una volta, e stavolta si tratta del valore della vita. Questa settimana abbiamo perso anche un uomo che si è tolto la vita, non se ne conoscono i motivi. Ce ne sarebbe abbastanza perché un'intera comunità faccia proprio il lutto di queste famiglie, e si fermi, e si stringa loro attorno, e rifletta, e discuta dei problemi. Ma Fasano si fermerà? O si girerà dall'altra parte subito dopo i funerali, come sempre? I fasanesi professionisti stringeranno ancora le spalle allo scemare dell'emozione collettiva, pronti a tornare un attimo dopo a sparlare di chi non conoscono? Ragazzi, le vostre facce pulite sono il bene più prezioso che è rimasto a questo paesino sbandato ed egoista. Il difficile non è adesso, il difficile, quel che sembra impossibile, arriverà fra qualche settimana, qual-

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che mese, quando la quotidianità tornerà a sottolineare l'assenza. È allora che ci sarà bisogno di voi in quelle case, in quei silenzi, in quella disperazione. Sarà allora che bisognerà non lasciare solo chi muore di ricordi, ogni volta che vi verrà in mente, e non solo agli anniversari. Non si può pretendere che a vent'anni si conosca quanto vale davvero un'esistenza, sarebbe ingiusto chiedervelo, ma una cosa di sicuro la sapete già: quant'è bello essere giovani, quant'è bello essere belli, quant'è bello divertirsi. Ecco, fatelo prima di tutto per voi stessi: cominciando da qui arriverete anche a capire quanta gente c'è intorno a voi che vi ama.

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4/12/2014

Autunno piovoso e grigio, nel quale niente cambia e niente mai cambierà . A dimostrazione che il regime, e il degrado che ne deriva, sono un prodotto di uno stato mentale sottoculturale che è nel D.N.A. di chi lo vota. ANTROPOLOGIA FASANESE A Fasano se vai a piedi da solo sei ricchione. A Fasano se vai in bici sei ricchione. A Fasano se usi l'ombrello sei ricchione. A Fasano se usi il congiuntivo sei ricchione. A Fasano se parli in italiano sei ricchione. A Fasano se non parli con la cadenza sei ricchione. A Fasano se dai del lei a chi non conosci sei ricchione. A Fasano se vuoi del lei da chi non conosci sei ricchione. A Fasano se dai la precedenza a chi la ha sei ricchione. A Fasano se non hai il motore sei ricchione. A Fasano se non ti piace l'automobilismo sei ricchione. A Fasano se non fumi sei ricchione. A Fasano se non sei sposato sei ricchione. A Fasano se non metti le corna a tua moglie sei ricchione. A Fasano se ti chiudi la camicia sei ricchione. A Fasano se detesti i tatuaggi sei ricchione. A Fasano se dai rispetto sei ricchione. A Fasano se chiedi rispetto sei ricchione. A Fasano se parli troppo sei ricchione. A Fasano se parli poco sei ricchione. A Fasano se ti piace cucinare sei ricchione. A Fasano se sparecchi sei ricchione. A Fasano se ti rifai il letto sei ricchione. A Fasano se non ci provi con le donne degli altri sei ricchione. A Fasano se non bevi sei ricchione. A Fasano se non pippi sei ricchione. Però a Fasano se sei ricchione sei da ridere. 122


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5/12/2014

Puntata numero due: si sa che quando la testa comincia a pensare a qualcosa non la fermi più! ANTROPOLOGIA FASANESE - seconda parte A Fasano se fai la differenziata sei ricchione. A Fasano se ti metti il casco sei ricchione. A Fasano se prendi un autobus sei ricchione. A Fasano se attraversi sulle strisce sei ricchione. A Fasano se ti fermi per fare attraversare sulle strisce sei ricchione. A Fasano se ti siedi in un bar con un libro sei ricchione. A Fasano se ti siedi a tavola e spegni il telefono sei ricchione. A Fasano se non cammini col telefono in mano sei ricchione. A Fasano se non insulti le forze dell'ordine alla partita sei ricchione. A Fasano se prendi da otto in su sei ricchione (chissà perché col trenta e lode no, boh...). A Fasano se non hai figli oltre i quarant'anni sei ricchione. A Fasano se non voti per Berlusconi sei ricchione. A Fasano se sei amico di Bebè Anglani sei ricchione.

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9/12/2014

Nell'anniversario della nascita di Valerio Gentile non si può fare a meno di ricordare quei giorni terribili, nei quali il turbamento per un feroce assassinio e il coinvolgimento emotivo per l'ingiusta fine di un conoscente di soli 17 anni fu, se non altro, occasione per imparare a fare informazione nel rispetto di protagonisti e lettori. NOTIZIE CATTIVE

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Era domenica e, sebbene fosse festa, mi ero alzato alle sei o giù di lì: il Fasano era primo in classifica, e giocava a Pineto, in Abruzzo. Io avevo già deciso di andarci per conto mio, ed all'ultimo momento anche Zino si aggregò. Non ricordo come mai Zino fosse senza macchina, sta di fatto che per la prima e unica volta nella storia, andammo in trasferta in treno. Ecco, appunto: stavo scendendo dal treno alla stazione di Pescara, alle 12,30 di domenica 14 marzo 1993, l'ora del destino, secondo l'autopsia. Dopo la partita tornammo a Fasano col pullman della squadra, e la sera, mentre guardavo le trasmissioni del calcio, mia madre mi disse che «Stamattina hanno rapito il figlio di Gentile». Ma chi, Valerio? Rapito? E quando? E dove? Capii subito che la tesi del sequestro non reggeva: una banda che vuole rapire un ostaggio non lo preleva mentre se ne va in giro in motorino, nel pieno di una domenica, all'uscita dalla messa. Ero turbato: anche se un fatto di una tale importanza coinvolgeva tutti, insieme agli altri avrei comunque dovuto lavorare anch'io al caso. Ed inoltre, Valerio lo conoscevo, ci salutavamo pur senza frequentarci, avevamo fatto insieme il corso di giornalismo di Osservatorio nell''88, mi stava simpatico: la cosa mi toccava personalmente. Naturalmente, appena arrivò il lunedì mattina il giornale si mobilitò in toto, e più tempo passava più pensavamo a quella vecchia regola del cronista per la quale se uno scomparso non si trova entro trentasei ore bisogna prepararsi al peggio. Già il lunedì sera concludemmo che c'erano poche speranze di ritrovare Valerio vivo, ed il giorno dopo ne avemmo conferma. Fu assegnato a me il compito di raccogliere le dichiarazioni degli amici di Valerio: uno mi scoppiò a piangere davanti mentre me la rilasciava, un'altra mi disse «Valerio per me era la vita», intendendo dire che la vitalità del povero ragazzo rappresentava per lei la voglia di vivere; ecco, da al-


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lora penso che per quel poco che conoscevo di lui questa fosse la miglior sintesi per rappresentarlo. Me lo disse in piazza, durante la manifestazione in ricordo di Valerio: si trattava della ragazza che aveva scoperto materialmente il cadavere, e fui l'unico che riuscì a parlarle. Possiamo fare tutti i giusti discorsi etici che vogliamo, ma che ci piaccia o no giornalismo è anche questo e quando penso alle porcherie che si fanno oggi, i nostri scrupoli mi sembrano roba del secolo scorso, nel vero senso della parola. Ci riunimmo a casa di Zino per mettere in ordine la quantità enorme di materiale che avevamo raccolto: c'era addirittura Franco, che mai aveva partecipato ad una riunione di redazione, questo per dire come tutto ma proprio tutto il giornale aveva lavorato alla tragedia. Decidemmo per prima cosa che avremmo parlato del fatto in chiave diversa da come lo avevano trattato i quotidiani e la TV: sia per non farci coinvolgere nella ridda di illazioni gratuite sulla vita privata di Valerio, che erano subito cominciate a circolare nelle chiacchiere della gente e furono puntualmente riportate da stampa e televisione, sia per offrire ai lettori qualcosa di diverso da quel che avevano letto e sentito fino allora. E non fu facile trovare il titolo per la copertina: ci ragionammo per almeno mezz'ora, finché ce ne uscimmo con L'assurdo assassinio di Valerio Gentile sconvolge e spaventa la città, che coniugava l'esigenza di superare l'immediatezza della notizia (già vecchia: uscivamo dieci giorni dopo) con la necessità di fare un titolo asettico. Ci accapigliammo parecchio su quell'aggettivo, molto poco giornalistico ma utile a chiarire fin dalla copertina cosa il giornale pensasse della vicenda. Stabilimmo anche di mettere una foto della folla ai funerali che accompagnasse quel "la città", per rendere la partecipazione popolare alla commozione per il delitto, salvo poi accorgerci che... non ne avevamo. Ripiegammo su un'immagine del carro funebre e delle prime file al suo seguito. All'interno, un pezzo che riepilogasse i fatti, un'editoriale (lo buttò giù Zino e lo correggemmo tre o quattro volte, tutti insieme), la raccolta delle dichiarazioni degli amici e altro ancora. Sebbene avessimo le foto del cadavere non ci passò neanche per la testa di pubblicarle: figurarsi, non le avevano pubblicate nemmeno i quotidiani, data la loro violenza. I tempi del pulp e di C.S.I. erano lontani, chissà se oggi avrebbero ancora queste remore. Qualche mese dopo, un tizio ci mandò una lettera su Valerio, firmata con nome e cognome, nella quale ne millantava l'amicizia e le confidenze. Era roba delicata: vi si sosteneva che molte delle voci pettegole su di lui rispondevano a verità. Pubblicarla significava tradire il taglio rispettoso che avevamo deciso di dare al nostro modo di trattare la vicenda. Zino decise

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di pubblicarla tagliando le dichiarazioni irriguardose della memoria del povero Valerio: intanto, quello che il tipo sosteneva era tutto da provare, a parte gli eventuali problemi di carattere giudiziario che avremmo potuto avere, e poi, ormai avevamo una linea e non si discuteva. Ancora una volta Zino aveva ragione: proprio in quel periodo avevamo tagliato il traguardo delle duemila copie vendute, a che pro fare una figuraccia del genere mancando di rispetto alla vittima e alla sua famiglia? Per venderne duemila e dieci? Non se ne parlava proprio. Contrariato perché la lettera non era "passata", il tipo si presentò al giornale un pomeriggio che c'eravamo io e Zino: chiese piuttosto seccato per quale motivo la lettera non fosse stata pubblicata per intero e si mise a dire peste e corna su di noi, che eravamo paurosi e cose del genere, e che ne aveva portata un'altra di protesta. Esposti i motivi della parziale pubblicazione della prima, Zino non aveva nemmeno preso il manoscritto della seconda lettera, e gli aveva suggerito di andare a deporre dal magistrato che indagava sul caso, liquidandolo in fretta. L'indomani mi lesse il suo pezzo nel quale raccontava la visita del tizio in redazione, concludendo che se qualcuno avesse avuto rivelazioni da fare sul caso avrebbe dovuto farle alla magistratura, non al giornale, perché il giornale non poteva permettersi di stare dietro a chiacchiere tipo... (seguivano le dichiarazioni del tizio) senza prove. E per me quella fu la migliore lezione che potessi ricevere. Sul delitto Gentile cominciava a calare quella cappa di silenzio che lo ha relegato fra le notizie cattive, oltre che fra le cattive notizie. Oggi, 9 dicembre, Valerio compirebbe 39 anni: tutte le volte che ci penso mi chiedo cosa farebbe, dove sarebbe arrivato con la sua intelligenza, la sua sensibilità, i suoi interessi culturali. Penso proprio che non vivrebbe più a Fasano.

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17/12/2014

Ancora un contributo da Nicola Lamacchia, fasanese trapiantato in Svizzera da quindici anni mio caro amico d'infanzia. L'alternativa alla Fasano lellista, quella di sempre, esiste: è un luogo dove la cultura del lavoro si impara da adolescenti, senza perdere di vista lo studio ma anzi valorizzandolo con la fatica, e comprendendo il valore del denaro e della giusta remunerazione. CRONACA DA EUTOPIA Ormai è un’abitudine. Con cronometrica precisione catturo il mio treno che mi porta nell’industriosa Zug e m’immergo nell’usuale e composto vociare della variegata umanità che popola le linde carrozze della SBBCFF-FFS (la ferrovia svizzera - declinata in acronimi multilinguistici). Tuttavia, percepisco una nota stonata. Mi guardo intorno. Niente. Come al solito la stragrande maggioranza degli astanti è rappresentata da adolescenti, lo sguardo assonnato e l’occhio fisso allo smartphone. Però oggi qualcosa è diverso... Niente, magari è solo un’impressione. Aspetta... Le vacanze sono cominciate ieri! Che ci fanno sul treno alle 7 del mattino decine di ragazzini agitati che dovrebbero essere spaparanzati sul divano con la loro playstation o a zonzo per patinoires brandendo una mazza da hockey? Allora guardo meglio. Niente indizi. Tranne forse che ci sono meno occhi sui telefonini e come un’aria di... leggera eccitazione. Si tratta forse di una sorta di partenza organizzata per gite turistiche e scampagnate alpine? No, ho capito. La conferma me la fornisce l’unico diverso accessorio nel loro abbigliamento (sempre minimalista ed esente da griffe - il ragazzino italiano medio li tratterebbe da poveracci sfigati). Ognuno ha una specie di badge aziendale, e mi accorgo che proprio di questo parlottano, condividendo i dettagli dell’attività di cui questo badge è inequivocabile indizio. Mi ritorna così il ricordo di una decina di anni fa, quando arrivai in Svizzera per il mio primo lavoro e notai in mensa aziendale decine di ragazzini mescolati agli impiegati. Al dubbio iniziale che il lavoro minorile fosse permesso in Svizzera (ecco spiegato il costo della vita, i palloni sono cuciti a mano da bambini svizzeri!) si sostituì la spiegazione di un collega, il quale

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m’illuminò sul fatto che per legge in Svizzera le aziende sono obbligate ad assumere adolescenti in età scolare per periodi regolari di apprendistato, da completarsi durante le loro vacanze scolastiche. Tale periodo è anche dignitosamente remunerato. Ecco svelato l’arcano. Con vari criteri di scelta e attribuzione, ai ragazzini svizzeri è permesso gettare uno sguardo al loro mondo di domani, fatto di serietà, dedizione, impegno. Loro lo affrontano con entusiasmo, sacrificando ore di gioco e cazzeggio, intascando una sostanziosa paghetta e soprattutto cominciando a comprendere le loro attitudini. Li trovi, infatti, negli uffici postali, nelle banche, nei negozi, a spostare pallet nei magazzini, a scrivere procedure e assistere artigiani. E cominciano già da adolescenti a comprendere il valore del lavoro e dello studio, magari correggendo in rotta le loro disposizioni sui banchi di scuola che rivedranno qualche settimana più tardi.

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18/12/2014

L’anno precedente avevo attribuito un personalissimo quanto insignificante riconoscimento al “fasanese dell’anno”, nonostante ritenga ci sia poco di più provinciale dello scimmiottare le grandi testate nazionali e internazionali. Non c’erano dubbi: i fasanesi dell’anno 2014 nonpotevano che essere i giocatori e lo staff della Junior Fasano, vincitori dello scudetto nella pallamano. IL FASANESE DELL'ANNO Giochino vecchio quanto il giornalismo: arriva questo periodo e tutti si credono direttori di Time. Be’, io mi diverto e dopo aver nominato direttamente l'anno scorso il cassonetto dei rifiuti, grande protagonista del dibattito pubblico nel 2013 dopo la sua scomparsa dalle strade, quest'anno ho voluto partire selezionando preventivamente qualche nomination:

IL SOSPESO - Frequenta la stanza del Sindaco come se niente fosse. Convoca vertici, nomina assessori, ritira e assegna deleghe, si presenta a sagre, spettacoli, presentazioni di libri, vernissages ed eventi di ogni tipo, sale su tutti i palchi e afferra qualunque microfono. Imperversa su tv, giornali e siti nazionali per un paio di settimane in occasione del matrimonio indiano, convincendo il popolino che era presente il venti per cento della ricchezza dell'India (avesse detto il cento, ci avrebbero creduto). Fa cacciare un impiegato che rubava, si sono dimenticati tutti del palazzetto dello sport mai fatto, rimane imperturbabile anche con migliaia di persone in piazza contro gli aumenti delle tasse che ha imposto, sta pensando seriamente di ricandidarsi al Comune o addirittura di tentare la scalata a Bari, sogna Roma... e che volete di più? Hic manebit optime. IL FACENTE FIGURE - Un uomo, una firma. Firma e basta. Firma di tutto. Ormai firma pure gli asciugamani nel bagno, i tovagliolini alla mensa e i fazzolettini per il naso. Firma e tace. Firma e pensa quanto sarebbe bello comandare davvero. Ma sa che chi insiste e resiste raggiunge e conquista, ed è convinto che il suo momento verrà. Per adesso si gode la meritata visibilità, che fa rima con fedeltà.

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L'ASSESSRICE - Vuole e vola. Fasano e Selva. Comune e azienda. Anzi, ormai non distingue più l'uno dall'altra: vestita come in azienda quando è al Comune e come in Comune quando è in azienda, cioè sempre fuori posto, spadroneggia anche lei sui media sparando banalità qua e là con il giornalaio personale al guinzaglio. Ma quando passa si aprono le acque perché, si sa, a una bella signora non si può dire di no. Sempre sul pezzo, sempre in giro, sempre in vista, nomination inevitabile.

LA SIGNORA - Storico vaffanculo in faccia agli amministratori in piena sala di rappresentanza: basterebbe questo per una vittoria in carrozza. La Robin Hood alla rovescia di Fasano è già nella storia per la classe con la quale si è posta alla testa dell'eroica protesta degli albergatori indigenti contro l'oppressione fiscale e l'ingiustizia tributaria. Profitti alle stelle e V.I.P. a carrettate: quale miglior rappresentante del genius loci della sana imprenditoria locale?

ER RAMAZZA - Cambia la ditta, non cambia il dittatore. Aumenti? Proteste? Inadempienze? Lui chiede altri seicentomila euro e glieli danno! Mozioni? Interrogazioni? Riunioni? E lui chiede un altro milione! Se gli daranno anche quello, nel 2015 vince ad honorem, anche se proprio proprio di Fasano non è. IL BIONDO - Vince e basta. A tennis, a pallone, a carte, alle scommesse, come uomo, come padre, come tutto. Se gioca, vince. Oddio, per la verità gioca solo contro quelli più scarsi, ma vince, vince sempre, infatti per farlo smettere l'hanno dovuto cacciare, altrimenti avrebbe continuato. Due promozioni consecutive e una dignità riconquistata allo sport più antico di Fasano. Un'oasi di buoni valori per i nostri figli creata dal nulla in quel mare di niente in cui la politica ha relegato la Selva: ha vinto anche lì.

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AND THE WINNER IS... - C'era una volta un gruppo di ragazzi di Fasano che lasciato il lavoro non voleva abbrutirsi nei bar, o nei circoli ricreativi, o al biliardo, o alla sala giochi. Che non si ubriacava, che non consumava droghe, che non scorazzava senza meta stravaccati in macchinoni o motorazzi comprati da papà. Che ha trovato un gruppetto di adulti che li ha assecondati, valorizzati, ha creduto in loro. Che ha trovato degli amici venuti da fuori, alcuni addirittura dall'estero, con la loro stessa passione. Che ha trovato un signore di Fasano che aveva voglia di mettersi in gioco


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anche lui appena uscito dall'ufďŹ cio. Che si è guadagnato il sostegno e l'amore di tutta una cittĂ , nonostante la promessa mancata di un palazzetto dello sport e l'esilio forzato. Che ha vinto Scudetto e Coppa Italia, e ha portato Fasano in Coppa dei campioni. Non ci sono dubbi: i fasanesi dell'anno sono loro.

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24/12/2014

Come sarà stata la Vigilia di Natale a palazzo Reale-Bianco negli anni Venti del Novecento? O meglio, come la vivevano mio nonno e i miei prozii da bambini? Quando non c'era tv, non c'erano computer, non c'erano luci, né panettoni, né alberi di Natale ma solo un fuoco e una padella d'olio? Quale straordinaria atmosfera ha ispirato il nonno per la sua poesia più famosa? Me lo sono sempre chiesto. PIETRO E I SUOI FRATELLI

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Immagino da sempre una grande piacevole confusione nel salone e nei salotti del palazzo alla Vigilia di Natale: cinque, per qualche tempo addirittura sei prima che la piccola Gorizia volasse in cielo, piccole saette scatenate a scorrazzare qua e là, ormai in superiorità numerica per poter essere frenate dagli adulti di casa. Anche perché maggiordomo non ce n'era, e l'unico uomo era mio bisnonno, che ormai andava più verso i sessanta che verso i cinquanta. Le donne erano due, forse tre: la bisnonna, sua madre e la cameriera, quando c'era, le quali avevano da badare alla casa e alla cucina e tenerne sei al guinzaglio era quasi impossibile. Quindi penso sempre a un gran vociare di bimbi allegri e simpatici, con i tre maschi che si rincorrevano per giocare a u’ fizze, e le due o tre femminucce in un angolo con le bambole di pezza e i cavallucci di legno, oggetto delle benevole "molestie" dei fratelli e poi immancabilmente coinvolte nelle loro corse per i corridoi: erano bimbi del primo Novecento, obbligati a stare dritti, fermi e zitti nei banchi di scuola per tutto il giorno, sotto pena di bacchettate sulle dita, e la verga non era sempre di legno... A casa poi l'autorità del padre era assoluta, sottolineata anche dalla differenza d'età con la mamma, ben ventuno anni. Non è difficile quindi pensare che almeno a Natale, tutti e cinque o sei insieme, con le energie represse di un intero anno a disposizione, prendessero il sopravvento. Mia bisnonna Raffaella Di Leo la immagino dolce, comprensiva, quasi rassegnata: questa donna di trent'anni o poco più, che in vita sua non aveva fatto altro che figli e servizi, infatuata del padrone con il quale aveva finito per fare una famiglia. Non riesco a non immaginarla in piedi china sul lavabo, o sul fucareile, mentre impegnata nelle faccende di casa per la cena della Vigilia li guardava di sottecchi con un veloce amorevole sguardo giu-


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sto perché non si facessero male. Mio bisnonno Federico era il classico "galatuomo" fasanese: ricco, possidente, laureato, titolato, con lo stemma sul portone. Lo immagino in giacca, panciotto e papillon seduto in poltrona col giornale in mano e la cipolla nel taschino, come tutti i capifamiglia dell'epoca, a menare qualche lucco ai figli ogni tanto, così, tanto per farsi sentire, ma troppo pigro per alzarsi e inseguirli, cosa tipica dei Bianco ancora oggi. Be’, aveva anche quei cinquanta-cinquantacinque anni, allora si era già anziani. Chissà che ci trovava in Raffaella data la differenza d'età, di istruzione, di condizione economica e sociale. Sicuramente lei era molto bella e formosa, oltre che giovane, come si vede dalle foto che abbiamo, ma non è che lui fosse tanto brutto: era bassino ma biondo e con occhi celesti irresistibili. Sta di fatto che non se la voleva sposare, perché era un convintissimo mangiapreti, laico e "libero pensatore", come si diceva al tempo. Quando rimase incinta e lui nicchiava, i fratelli di lei lo minacciarono di morte se non avesse regolarizzato al più presto: per tutta risposta mandò a dire che avrebbe fatto fare a loro quella fine se non se la fossero finita. Si addivenne ad un compromesso: lei avrebbe acquistato dignità di "signora" e i due avrebbero convissuto more uxorio a palazzo. L'accordo resse, nel giugno 1912 nacque mio nonno Pietro Delfino e seguirono come già detto altri cinque fratelli. Nel 1940 ci fu finalmente anche il tanto discusso matrimonio e mia bisnonna poté essere la vedova ufficiale quando lui morì l'anno dopo. Mio nonno assomigliava a suo padre: per fortuna era più alto ma purtroppo non ne ereditò gli occhi celesti né i lineamenti delicati. Ma era un uomo affascinante, autorevole, risoluto, indipendente, e con un più che noto animo artistico. Quando si innamorò di mia nonna, anche lui sfidò le convenzioni perché lei era di un anno più grande e soprattutto maestra, quindi economicamente indipendente, ma non volle sentire ragioni e la sposò nonostante il parere contrario di suo padre (le madri allora non mettevano bocca in certe questioni). L'ho conosciuto troppo poco, ho sempre rimpianto di non aver ascoltato i suoi consigli e i suoi giudizi quando ho cominciato a scrivere. Dopo di lui c'erano tre sorelle: Lidia, del 1914, la povera Gorizia così chiamata perché nata nel 1916 quando la città venne riconquistata dall'esercito italiano e di cui non abbiamo neanche una fotografia, e Vittoria, classe 1919. Lidia e Vittoria erano le più belle ragazze di Fasano: avevano preso dalla madre l'altezza e le forme mediterranee, dal padre il viso da modelle, i capelli biondi e i dolcissimi occhi celesti, e carta canta cioè le

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foto degli anni Trenta e Quaranta quando erano all'apice della bellezza. Lidia rimase nubile per volontà familiare, non si sa bene di chi: la leggenda narra che un suo pretendente venne respinto con una sprezzante risposta sul retro della stessa lettera con la quale ne aveva chiesto la mano. Il matrimonio di Vittoria, approvato dalla Famiglia, fu per fortuna più che riuscito, e ha dato l'unica pronipote donna, che si chiama come sua nonna, è bella come lei e per fortuna ha perpetuato la caratteristica degli occhi celesti, anche se non si chiama Bianco. Gli altri due maschi non potevano essere più diversi, caratterialmente e fisicamente: Gabriello, detto da tutti Gabriele, altissimo, biondissimo e manco a dirlo occhiglauco anche lui, era nato nel 1917 e sembrava Amedeo Nazzari, di una bellezza e di una classe davvero rare. Laureato (l'unico di casa) in medicina e specializzato in odontoiatria, si trasferì poi a Civitavecchia per matrimonio e lì visse per sempre; famose in famiglia le sue discussioni con la moglie perché lui voleva tornare per la villeggiatura alla Selva, che a lei non piaceva. L'ultimo era Aldo Amerìco, nato nel 1922, passato alla storia suo malgrado come "il marito di Zinodda": era l'unico che somigliasse decisamente a sua madre, la bisnonna, e sia pur non un gigante come i fratelli era anche lui molto bello. Moro con la pelle scura, da ragazzo era un incrocio fra Rodolfo Valentino e Tyrone Power; avrò esagerato, ma le foto non mentono. Come tanti dei più piccoli di molti fratelli, nato quando suo padre aveva più di cinquant'anni, era il più scavezzacollo, sia da bambino che da grande fino a quando verso i quarant'anni non si è sposato mettendo sostanzialmente la testa a posto salvo una preoccupante passione per le armi da caccia che però è stata ben tenuta a bada da chi gli stava attorno. Il menu della Vigilia l'ha descritto il nonno nella sua celeberrima A vesceglie du Natale, che ho ripubblicato l'anno scorso: capitone, pettole, cartellate, frittelle, preparate fin dalla mattina dalle donne di casa. Con un pizzico di orgoglio, diremmo oggi di casta, ci tenne a far capire che in casa sua non si mangiava baccalà, cibo del popolo alla Vigilia, ma soprattutto che il Natale aveva il potere magico di sotterrare le differenze, e portare a galla ciò che univa. In famiglia e anche fuori. Tutto sommato oggi il senso della famiglia, sia pur annacquato, ancora tiene duro. Quello che è completamente saltato è il senso della comunità, dei valori di fondo, di ciò che tiene insieme i fasanesi. In fin dei conti, se ci si pensa bene, era proprio quello che permetteva alla cameriera analfabeta di vivere trent'anni e fare sei figli con l'avvocato ricco e nobile.

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Era bastata una cena per scatenare piacevoli ricordi, di mangiate, d'infanzia e di saggezza da tramandare di padre in figlio. Anzi, di nonna in nipote. LA NONNA DI CARLO

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Ieri sera ero a cena al Fagiano: mi fa sempre molto piacere andarci, perché la prima volta di cui mi ricordo avrò avuto cinque o sei anni, forse anche di meno, e da allora qualche particolare è cambiato, ma l'aria di eleganza e di rispetto che ti abbraccia appena apri la porta non cambia mai. Rispetto per te che entri e rispetto per chi ti sta attorno a lavorare per te, che si traduce nell'unico posto che io conosca a Fasano dove nessuno alza mai il tono di voce oltre il sopportabile e meno che mai si sogna di adoperare il telefonino, perché è l'ambiente a farti capire che non si fa. Non conosco altri luoghi a Fasano dove questo miracolo del rispetto accade. E poi, quelle sale mi riportano indietro all'infanzia, all'età dell'oro; salutando Carlo mi sono sorpreso di sentire che la mia visita ha ricordato anche a lui tante cose belle di quell'epoca ormai lontana, perché con tanta gente che entra ed esce da un ristorante non credevo che le mie sensazioni fossero condivise. Al Fagiano mio nonno materno Domenico ci portava praticamente tutte le domeniche, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta: eravamo sempre sei, noi quattro e i miei nonni, salvo rare eccezioni. Era la mia personale festa settimanale, dato che già da allora quello che è il mio unico vizio, cioè mangiare, si era abbondantemente sviluppato. Io e mio fratello stavamo molto simpatici a tutti i camerieri e al maître Gino, docente alla Scuola Alberghiera di Castellana Grotte se non ricordo male, quindi l'aria era sempre molto allegra nei nostri confronti. In particolare ricordo Pino, un garçon già di una certa età, piuttosto alto e rotondetto, che stravedeva per mio fratello, e quando arrivavano a tavola i panzerottini fra gli antipasti, per i quali impazziva, li portava direttamente a lui dicendo “Valerio, ecco i panzer!”. Da allora in casa qualsiasi panzerotto lo chiamiamo panzer, per quel classico gioco di contrasti che ci ha portato a definire una cosa piccola, delicata e mediterranea col nome che esorcizza giganteschi carri armati tedeschi e ci riporta a quell'epoca indimenticabile. A mio fra-


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tello il personale di sala chiedeva già allora di esibirsi nelle sue imitazioni dei cantanti, mentre di me ammirava la straordinaria capacità, rimasta intatta, di ingurgitare quantità disumane di cibo. Andavamo via satolli, divertiti, e viziati dai nonni, con i genitori messi in minoranza: che potevamo desiderare di più? I miei nonni materni erano amici personali fin dagli anni Sessanta dello chef del Fagiano, se così si può dire perché la gestione della cucina era familiare, cioè Docilla Tubertini, la nonna di Carlo Sgarbi: arrivarono alla Selva dalla provincia di Modena prendendo in gestione il Belvedere delle Puglie, oggi ahimé in stato di abbandono, e poi rilevarono il Fagiano, che esisteva fin dagli inizi del Novecento come pensione, gestito da una famiglia di Locorotondo. Com'è noto, Docilla era già vedova e aveva due figli: Gastone ed Ebe Ballotta, quest'ultima sposata con Vittorio, dal quale aveva avuto Carlo e sua sorella Debora. Di Vittorio Sgarbi (nessuna parentela, tant'è vero che il suo vero nome era Vittorino) e suo cognato Gastone Ballotta, zio di Carlo, ha scritto due memorabili ritratti il grande Secondo Adamo Nardelli, quindi non oso avventurarmi, sia perché non sarei mai capace di scrivere niente di migliore né di più originale, sia perché non saprei aggiungere altro a quello che già è stato pennellato con la maestría del Decano. Ma di Docilla non posso non parlare: per me era una terza nonna; andavamo piuttosto tardi a mangiare, quindi la fine del nostro pranzo domenicale coincideva con la fine delle sue incombenze in cucina, per cui a un certo punto compariva in sala a salutare gli intimi, e immancabilmente finiva col sedersi al nostro tavolo dove faceva lunghe chiacchierate con i miei nonni, aneddoti di vita e di cucina in Emilia e in Puglia, racconti della sua infanzia e della giovinezza, sola in casa col marito in guerra, se non sbaglio cuoco militare. Quell'imponente fisico da nonna, quegli occhiali da nonna, quell'andatura caracollante da nonna, l'accento emiliano sconosciuto per noi bambini di Fasano e il suo modo schietto e verace di raccontare me la rendevano simpaticissima a prima vista, e la sua chiacchierata finale con i miei era l'allegra fine di una spensierata domenica in famiglia. Anche perché, fra una cosa e l'altra, andavamo via verso le quattro del pomeriggio. Ma il rapporto fra le famiglie non si esauriva al ristorante: una volta invitammo Debora, più vicina a noi come età, a pranzo e a giocare a casa nostra, e un'estate andammo a Parigi tutti insieme nel viaggio annuale organizzato da don Bartolo Boggia con la parrocchia della Selva; credo che Carlo fosse già fidanzato con Silvana: sua moglie si chiama come mia madre e una delle loro figlie Ida come l'altra

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mia nonna, segni del destino che continua a legarci nonostante tutto col collante dell'amore incondizionato per la Selva, anche quella di oggi violentata e deliberatamente abbandonata a se stessa e a ogni orda di barbari. Come cucinava nonna Docilla... le crêpes alla valdostana, la paglia e fieno, il bollito misto all'emiliana, la cotoletta con l'impanatura che si sollevava dalla carne, la sua capacità di sposare gli ingredienti nostrani con il suo background della tradizione emiliana era proverbiale. Nel 1965 vinse il Cuoco d'Oro, il massimo concorso culinario nazionale dell'epoca, di cui presidente della giuria era il grandissimo Luigi Carnacina, uno dei più grandi chef e gastronomi italiani di tutti i tempi. E con cosa vinse? Con un complicatissimo manicaretto? Con una ricetta fantasiosa inventata da lei? Con una prelibatezza della tradizione emiliana? No. Vinse il Cuoco d'Oro con un piatto di orecchiette al sugo col cacioricotta, per impastare le quali si era portata l'acqua dalla Selva. Perché Docilla era umile, oltre che brava, e venne da noi anche a imparare, oltre che a “miracol mostrare”. E fu grazie a una modenese che Fasano e la Puglia trionfarono su chef titolatissimi che avevano preparato piatti favolosi. Una vera artista, con sua figlia Ebe sempre discretamente un passo dietro di lei, a perpetuarne la tradizione anche se, purtroppo, la vita ha deciso diversamente portandosele via entrambe nel giro di pochi anni. Qualche tempo dopo, nell'autunno 1995, venne a mancare anche Vittorio, pochissimo prima che partissi per Bologna a prendere servizio per il mio primo lavoro serio. La comparsa di quel manifesto sui muri della Selva, che sanciva la fine di due generazioni di maestri del gusto, ancora oggi che sono passati vent'anni segna per me la fine della mia infanzia e giovinezza e l'inizio della stagione delle responsabilità.

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31-12-2014

Se non puoi combatterli, unisciti a loro: questo vecchio proverbio mi è stato d'aiuto dopo essere stato sommerso da una valanga di foto della nevicata della sera prima a Fasano. Dato che la stragrande maggioranza di chi oggi si diverte allora non c'era, tanto vale raccontargliela, io che c'ero, e cambiare i programmi già fatti per l'ultimo racconto del libro. LA NEVICATA DELL''87

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Il 31 dicembre ci doveva essere il “discorso alla Nazione”, come l'anno scorso: il Sospeso si sarebbe vantato di aver chiuso alla grande un anno «...sicuramend e precisamend di grande crescita per tutt il territorie e sicuramend e veramend soprattutt per la nostra città di Fasano», rivelando di aver ricevuto una telefonata di scuse da papa Francesco per il bidone dell'anno scorso e che il pontefice, per rimediare, aveva assicurato una buona parola con chi di dovere per questa «bellism suggestive e poetic nevicat», soprattutto per l'azienda che dovrebbe salare e spalare le strade e non lo sta facendo. Ma bisogna stare sempre sulla notizia, soprattutto quando è vecchia. Le migliaia di foto che stanno monopolizzando i social da ieri sera dicono senza più dubbi che questa è la nevicata più consistente da tantissimo, precisamente da ventisette anni, quasi ventotto, dalla mitica “nevicata dell''87”. Dato che i ragazzi che si stanno massacrando di selfie sono tutti degli anni Novanta quindi ancora non c'erano, e tutti sanno quanto voglio loro bene, vedo un po' di ricordarmene qualcosa, e chiudiamo così. Il giorno che incominciò a nevicare me lo ricordo benissimo, perché era il mio compleanno: lunedì 2 marzo 1987. E ricordo anche che erano le due di pomeriggio, perché avevamo appena finito di pranzare. E ricordo anche, vedi un po' tu, che al telegiornale avevano dato notizia del sequestro di un bambino, si chiamava Marco Fiora, che poi rimase nelle mani dell'anonima calabrese per diciotto mesi. Nemmeno il tempo di rendersi conto che stava nevicando molto fittamente e a fiocchi larghissimi che suonò il campanello: e chi poteva essere? Ovvio, era zia Iolanda, la zia zitella di mio padre, che abitava al piano di sotto, che era venuta a scassare gli zebedei con la scusa della neve, come ogni volta che poteva. Andava anche trovando di fare le foto alla neve: non era la prima volta che


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nevicava a Fasano, ma certo quei fiocchi enormi facevano molta impressione e lasciavano sospettare che si sarebbe posata. Allora però per fare le foto ci voleva la pellicola, e non è che in tutte le case ce ne fosse una sempre pronta. Quindi niente foto: la zia si tolse dalle scatole, mio padre andò a farsi la rocchia, noi a fare i compiti e mia madre a sistemare la cucina convinti che quando mio padre sarebbe ricomparso più o meno riposato sarebbe tutto finito. Ma non lo fu. Le ore passavano e non accennava a smettere. Naturalmente si era posata e attorno era già tutto bianco. Noi eravamo contentissimi perché più continuava a nevicare più aumentava la possibilità che le scuole l'indomani rimanessero chiuse. Mia madre era già in pensione, mio padre era all'ultimo anno di insegnamento, ed erano i nostri ultimi mesi a Fasano dato che ci trasferimmo alla Selva tutto l'anno nel successivo giugno. E meno male: infatti il giorno dopo niente, non smetteva. La Selva, dopo 24 ore di neve ininterrotta, era isolata sotto mezzo metro, esattamente come oggi, quasi trent'anni dopo. A scuola andammo a piedi come sempre: io facevo il I classico, mio fratello il IV ginnasio e arrivati là venimmo rispediti subito a casa. Mio padre si affacciò alla Giacinto Bianco, bastava attraversare la strada da via del Calvario dove abitavamo, ma tornò indietro anche lui. Noi naturalmente di tornare a casa non ci sognavamo nemmeno: con qualche compagno di classe rimanemmo a bighellonare e ricordo nettamente le battaglie fra sconosciuti in Cafeteria e addirittura in corso Garibaldi a colpi di palle di neve. Nel corso ricordo bene anche un negoziante che a un certo punto uscì a gridare di smetterla perché temeva che qualche palla scansata gli rompesse la vetrina. Un tizio addirittura scese sempre corso Garibaldi con gli sci, Fasano è sempre stata piena di fatuli. Come si può immaginare, l'impazienza di tutti era che si potesse finalmente arrivare sulla collina per non perdersi lo spettacolo: la Selva rimase isolata per un giorno e mezzo, e solo verso mezzogiorno del 4 marzo si potè riuscire a salire. Lo spettacolo era già eccezionale, ma il bello, o meglio il brutto, doveva ancora arrivare. La neve infatti non smetteva minimamente di scendere, le ore, i giorni, le notti passavano e si accumulava sempre più alta. Per Fasano cominciava a essere pericoloso anche camminare a piedi. Le località dell'interno erano irraggiungibili e nelle masserie cominciava a scarseggiare il latte perché le mucche non mangiavano. La statale 379 assicurava, sia pur a rilento e con difficoltà, i rifornimenti, e se non altro non c'era pericolo di rimanere senza mangiare. Ma a Locorotondo, Martina, Putignano, Alberobello, Noci eccetera


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si dovettero usare gli elicotteri. A Fasano non ricordo grossi problemi di luce, ma in collina sì. Dopo tre-quattro giorni nuovo isolamento di Selva e Laureto, come in Albania, e problemi via via sempre più gravi. Noi, piccoli e incoscienti, sempre più contenti: le scuole rimasero chiuse per una settimana e passavamo le giornate fra scorribande fra la neve dopo appuntamenti con gli amici e pomeriggi dopo il tramonto in parrocchia, a fare impazzire il povero don Cosimo, che sarebbe venuto a mancare due mesi dopo. Nevicò ininterrottamente per sei giorni consecutivi: se la finì nel tardo pomeriggio di domenica 8, dopo che per la prima e finora unica volta nella storia una partita di calcio venne rinviata a Fasano per neve (dovevamo giocare col Corigliano Calabro, ricordo). La sera della domenica era previsto un concerto di Fasanomusica al Sociale: con quella scusa ottenni a fatica il permesso di uscire, e non dimenticherò mai quello che ho visto alle otto di sera dell'8 marzo 1987. Due muri di neve alti non meno di due metri erano stati spalati ai bordi delle strade per poter permettere il passaggio almeno ai pedoni. Fasano era completamente sepolta dalla neve, e di parecchie cose non si riusciva più a distinguere dove fossero, e se ci fossero. Delle macchine si vedevano solo i tetti e un palmo scarso di finestrino. Nessuno in giro, tranne qualche uagnunastro. Ghiaccioli dai balconi, e un silenzio mai sentito prima d'allora. Tutti pensammo la stessa cosa: “Sembra l'Alta Italia...”. In effetti sembrava una qualsiasi cittadina della provincia di Aosta, o di Sondrio, o di Bolzano dopo una nevicata di pieno inverno. Quando si potè finalmente ritornare alla Selva, un paio di giorni dopo, mio padre scattò delle diapositive che tiene gelosamente custodite nel suo archivio, e che ho visto qualche volta: una roba da non credere, per la quale non si riesce a trovare aggettivi ancora oggi guardando la nostra collina, allora non ancora devastata dalla seconda ondata di speculazione edilizia, quella degli anni Novanta. Un metro e mezzo di neve intatta aveva donato alla Selva un altro pezzo di paradiso.

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Romano Bianco, fasanese, 44 anni, scrive per vincere la noia. Ha tre ragioni di vita: la Juventus, la Junior Fasano e la Selva di Fasano. Gli piacciono la fotograďŹ a, il giardinaggio e qualunque posto ove si mangi.

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Michele Arnese, fasanese, 45 anni, è direttore del sito di analisi politica formiche.net. In precedenza ha lavorato al Borghese, al Giornale, al Mondo, a Milano Finanza e al Foglio. Ha scritto anche su Panorama.

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Vittoria Olive, fasanese, 20 anni, studia scenograďŹ a all’Accademia di Belle Arti di Roma. Ha lavorato in teatro negli ultimi spettacoli diretti da Enzo Iacchetti e Alessandro Gassmann. Si diletta anche di recitazione.

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INDICE PREFAZIONE di Michele Arnese.............................................................7 INTRODUZIONE..................................................................................9

LEGGENDE ACCADEMICHE.................................................................12

IL MISTERO DELL'AUTO MISTERIOSA.................................................15

ANNIVERSARIO.................................................................................18

CHE CI FAI ANCORA QUI?..................................................................20

LA SIGNORA IN PRIMA FILA...............................................................22

SOGNO E SON DESTO........................................................................25 LA GARA...........................................................................................26

NON CI CREDO PIÙ...........................................................................28 PROCESSO SOMMARIO......................................................................31 IL DALAI RENZI.................................................................................35

GIORNALISTI E GIORNALAI...............................................................36

LA GRANDE PERA..............................................................................39

FASANESITÀ NEL DNA.......................................................................41

PEZZE DI TOKYO...............................................................................45

QUELLA MATTINA..............................................................................46

SE FOSSI MIA FIGLIA.........................................................................48


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LA FUGA DELLE GIRAFFE...................................................................50

QUESTIONE DI STILE........................................................................52

FACCIAMOCI DEL MALE.....................................................................53

A PESCI IN FACCIA............................................................................55

AUSTRIA INFELIX..............................................................................57

CHE COS'È IL REGIME........................................................................61

UN ANNO DOPO................................................................................63

VOGLIO............................................................................................64

LA FOTO DEL SECOLO........................................................................66

NON GIOCO PIÙ, ME NE VADO...........................................................68 DOVE SARAI......................................................................................70

VOLERE SBIANCARE..........................................................................72

BUON COMPLEANNO.........................................................................74

LA GRANDE BELLEFFA........................................................................76

GITA AL FARO...................................................................................79

FASANO, 16 LUGLIO..........................................................................82

ESCLUSIVO: TUTTI I CONTI DEL COMUNE - I parte.............................84 ESCLUSIVO: TUTTI I CONTI DEL COMUNE - II parte............................87

ESCLUSIVO: TUTTI I CONTI DEL COMUNE - III parte...........................90


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GIUSTO UN ANNO FA.........................................................................93

LE DOMANDE CHE NESSUNO FA.........................................................95 IL NOME DEL PALAZZO......................................................................97

COMPLEANNO DEL MAESTRO............................................................99

FERRO AGOSTO..............................................................................101

DIARIO DI UNA STRONZA................................................................103

SUFFRAGIO UNIVERSALE.................................................................108 SPECIALE MATRIMONIO INDIANO LA BUFALA DEL VENTI PER CENTO...................................................110

L'INVITO.........................................................................................113

VENT'ANNI DOPO NON RIDO PIÙ.....................................................115

SIGNOR SI NASCE...........................................................................117

DOMENICA MATTINA.......................................................................120

ANTROPOLOGIA FASANESE..............................................................122

ANTROPOLOGIA FASANESE - seconda parte......................................123

NOTIZIE CATTIVE............................................................................124

CRONACA DA EUTOPIA....................................................................127

IL FASANESE DELL'ANNO..................................................................129

PIETRO E I SUOI FRATELLI..............................................................132 LA NONNA DI CARLO.......................................................................136


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LA NEVICATA DELL''87......................................................................140


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