racconti visivi per scoprire i tratti identitari della cittĂ
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racconti visivi per scoprire i tratti identitari della cittĂ
Tesi di laurea in progettazione grafica di Rossella Tursi
Politecnico di Bari - FacoltĂ di Architettura CdL Disegno Industriale a.a. 2009/2010 Laboratorio di Tesi in Progettazione Grafica Relatore Nino Perrone Studente Rossella Tursi Composizione tipografica in Auto, Underware 2004 Knockout, The Hoefler Type Foundry, 1990-9
indice
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Abstract
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Perché della ricerca
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Storia della cartografia
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Vedere, leggere il paesaggio
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L’immagine ambientale
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L’immagine della città e i suoi elementi
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Quartieri caratteristiche fisiche
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Bari. Cenni storici
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Trame urbane
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Dettagli urbani
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Raccontare la città
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Quattro quartieri per quattro livelli di analisi
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Bari Vecchia
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Murat
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Madonnella
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Carrassi
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Le piante della città
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Prelievi urbani
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Mappa Tipografica
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Elementi identitari
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La mia mappa mentale
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Abstract
Descrivere e raccontare visivamente la città per suscitare una coscienza condivisa della stessa al fine di creare una identità riconosciuta. Elaborare un linguaggio visivo senza incorrere nel rischio di creare un brand che venda la città. Riscoprire il tempo e lo spazio del vivere e allo stesso tempo i valori dell’abitare. Informare lo sguardo, ponendo l’attenzione sui dettagli del presente, per essere liberi di percorrere i senteri del desiderio, perdendosi. Vivere la città con la consapevolezza del guardare, riportando l’occhio e la mente a uno stato di percezione capace di vedere la città non solo come spazio commerciale.
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To look is to learn, if you listen carefully. Alan Fletcher
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Perché della ricerca
Per riportare l’attenzione ai riferimenti locali, percepiti dal singolo cittadino che vivendo all’interno di un luogo crea la sua mappa mentale attraverso riferimenti fisici che porta con se nei suoi percorsi. Così l’uomo percepisce e memorizza della sua città degli elementi che lo aiutano nella navigazione della stessa. Nella tesi ho voluto evidenziare alcuni di questi riferimenti che spesso si assimilano inconsciamente, ma che consentono di sentire l’agiatezza del vivere in quel luogo, andando a costruire nella mente l’immagine della propria città.
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La certezza topografica e sinestetica riattiva la memoria. Franco La Cecla
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Storia della cartografia
Dagli inizi della civilizzazione l’uomo appartenente a un villaggio documentava con incisioni i limiti del proprio ambiente. Nel libro Storia della Cartografia è interesante la dissertazione che Bagrow fa sulla etimologia della parola “carta”. Una spiegazione sulla sua origine si rifarebbe, secondo alcuni a una parola greca che ha il suo equivalente nella voce verbale latina “sculpo (= “io scolpisco”). Malgrado le carte geografiche antiche siano state effettivamente scolpite su pietra, sembra che alla parola non sia da attribuire un’origine proprio così antica, ma piuttosto un’origine associata alla parola portoghese “cartes”, usata per indicare fogli di carta, passata poi tanto nella lingua spagnola come in quella italiana. La parola latina charta, che passò poi in tutte le lingue romanze e non, deriva dal greco. La parola Karte fu introdotta nel tedesco parlato da Laurent Fries, cartografo alsaziano del Rinascimento. La parola Landcharte incominciò ad essere usata in Germania a partire dal secolo XVII. I Romani usavano per “carta geografica” la parola tabula. L’espressione imago mundi, coniata nel Medioevo, indica invece una carta geografica. L’espressione mappa mundi, anch’essa di origine medioevale, era usata dai cartografi per indicare una rappresentazione geografica del mondo in piano (oggi viene spesso usata impropriamente la parola “mappamondo” per l’oggetto che i cartografi indicano con “globo”. I cartografi per una rappresentazione cartografica in piano non usano la parola “mappamondo”, ma “planisfero”). L’’espressione mappa mundi richiama il fatto che qualche centinaio di anni fa le carte geografiche venivano realizzate anche su stoffa (= “mappa”). La parola inglese “chart” è rimasta per indicare soltanto le carte nautiche. Per le carte geografiche terrestri di tutti i tipi gli inglesi hanno adottato il vocabolo “map”. Alcune carte geografiche antiche sono opere d’arte impareggiabili. Tanto per cominciare, vennero redatte a mano, su pelli di animali o su papiri, e quindi dipinte. I disegni di abbellimento davano una vivida insostituibile
L’uomo ha sempre sentito la necessità di doversi orientare per evitare il senso di smarrimento che porta ad uno stato di ansia.
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descrizione di usi e costumi locali. Spesso, nelle raffigurazioni in cui erano aggiunte delle figure umane, queste rappresentavano, con molta probabilità, le sembianze dei committenti delle stesse opere, e quindi ci trasmettono anche queste preziose informazioni. Artisti famosi come Albrecht Dürer e Hans Holbein spesso collaborarono alla realizzazione di carte geografiche. Sembra che un certo stimolo a favorire la redazione di mappe sia associabile alla propensione di certe comunità al movimento, allo spostarsi dal luogo d’origine. La tendenza di alcuni popoli primitivi al nomadismo deve aver affinato la loro attitudine a tracciare mappe. Il mezzo sul quale sono state redatte la maggior parte delle mappe primitive è la pietra o il legno. Osso e pelli sono rari. La pittura su rocce si ha in tutto il mondo. Molte di queste pitture su roccia contengono, oltre ad animali, scene di caccia e, qualche volta, anche schemi che sono stati interpretati da alcuni come diagrammi geografici. Gli storici della cartografia hanno fornito differenti versioni su quelli che possono essere considerati i documenti cartografici più antichi che ci siano pervenuti. Alcuni di questi consistono di incisioni su tavolette di argilla e variano come soggetto da descrizioni schematiche del mondo a rappresentazioni regionali. Una di queste tavolette d’argilla, scoperta nel 1930 presso le rovine dell’antica località di Ga-Sur, circa 200 miglia a nord del sito di Babilonia. E’ una piccola tavoletta (7,5 x 6,5 cm) che la maggior parte degli studiosi attribuisce all’epoca della dinastia di Sargon di Akkad (2300 - 2500 a.C.). Su di essa l’interpretazione identifica due zone collinose bisecate da un corso d’acqua. Sono visibili anche delle iscrizioni. Si tende ad identificare la regione rappresentata come quella dell’odierna Yorghan Tepe. Si tende anche ad identificare il corso d’acqua rappresentato con l’Eufrate. Anche l’Egitto non ci ha lasciato quasi nessun documento cartografico. I faraoni organizzarono spedizioni militari, missioni commerciali e pure
La tendenza al nomadismo di alcuni popoli primitivi deve aver affinato la loro attitudine a tracciare mappe.
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Mappa schematica delle miniere d’oro della Nubia.
spedizioni esplorative. Uno di questi primi viaggi fu intrapreso ne gli anni 1493 -92 a.C. per mare alla mitica Terra del Punt (probabilmente la Somalia). Questo è riportato in un’iscrizione nel tempio di Der-el-Bahri. L’iscrizione è accompagnata da una nave, ma non da una mappa. Erodoto dice di un altro viaggio, ordinato dal faraone Necho (circa nel 596-594 a.C.) per il quale navi fenicie circumnavigarono l’Africa, dal Mar Rosso alle Colonne d’Ercole. Si hanno altre descrizioni su mura di templi o su papiri, di spedizioni, ma senza mappe. Soltanto nell’Egitto ellenizzato abbiamo un approccio teorico alla cartografia al punto che possiamo rite nere che le mappe siano state un prodotto dell’ingegno greco. Sappiamo da Erodoto che durante la campagna contro gli Sciti da parte del faraone Sesostri (ca. 1400 a.C.) tutta la terra conquistata venne cartografata. Non vi possono essere dubbi che gli Egizi possedevano un archivio catastale. I rilievi topografici devono essere stati molto sviluppati perché le inondazioni annuali del Nilo portavano via le pietre miliari di confine, e ogni volta i nuovi confini dovevano essere ritracciati (il ritracciamento era un’operazione molto importante che aveva evidentemente attinenza con il fisco). Presso il Museo Egizio di Torino è conservata una mappa schematica delle miniere d’oro della Nubia (visibile nella figura accanto). Si ritiene che la mappa sia stata redatta all’epoca del regno di Ramsete IV (1150 a.C.), che diede inizio a un sistematico survey terrestre del suo impero. La parte più importante della rappresentazione è quella che viene generalmente chiamata la mappa delle miniere d’oro. Rappresenta due grandi arterie stradali che corrono orizzontalmente parallele attraverso una regione montuosa rossiccia. Si hanno anche iscrizioni ieratiche.
Tavolette d’argilla scoperta nel 1930 presso le rovine dell’antica località di Ga-Sur, circa 200 miglia a nord del sito di Babilonia, con sua interpretazione.
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La pianta della città si trasforma in raffigurazione di chi l’ha abitata. Franco La Cecla
Copertina dell’atlante Maps City Italy, W.B Clark, London, 1844 Nella pagina accanto: Mappe d’Italia disegnate da W.B. Clark, London 1844 (Parma / Milano / Venezia / Genova / Roma) 14
Mappa di Londra divisa per quartieri, 1885
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Vedere, leggere il paesaggio eugenio turri -ilpaesaggio come teatro - p.161
Ci si lascia penetrare dalle impressioni che la visione ci produce oppure si può cercare di capire, in senso semiologico, ciò che il paesaggio può rivelarci degli uomini e della società che in esso si identificano. E’ come leggere un libbro o come assistere ad una rappresentazione teatrale. In entrambi i casi occorrono dei codici di lettura che ci aiutino a dare un significato a ciò che vediamo. Ma è possibile dunque leggere il paesaggio? Solitamente infatti, quando si parla di lettura, ci si riferisce a un insieme di segni (una pagina scritta, un libro, un insieme di grafismi) di cui si conoscono i significati e grazie ai quali si trasmette una notizia, un avvertimento, un pensiero, un sentimento. Il paesaggio è fatto di segni? Si può rispondere ricorrendo a una delle formule fondamentali della semiologia: ogni oggetto, anche se preminentemente creato come oggetto d’uso, nel momento stesso in cui è riconoscibile come tale assume il valore di segno. Come scrive Roland Barthes, << La funzione si compenetra di senso; questa semantizzazione è fatale: per il solo fatto che vi è società ogni uso è convertito nel segno di questo uso>> ( Barthes, 1966). Si può anche ricorrere più semplicemente a Ch.S. Peirce, secondo il quale << Il segno sta per qualcosa che è il suo oggetto>> (Eco, 1974). Facciamo l’esempio di una casa. Essa non è stata costruita per essere segno, ma per essere abitata. Tuttavia una volta inserita nel paesaggio diventa segno, indica una funzione. Sappiamo infatti che le case non sono costruite in base alle sole esigenze della funzionalità. Si cerca di farle belle, di esprimere attraverso la loro forma il gusto, la condizione sociale, il senso estetico, il possesso privato o collettivo di chi l’abita. Ecco allora che il paesaggio, formato da tanti segni riconoscibili, può veramente essere “letto” interpretato. Una interpretazione che non riguarderà però semplicemente i singoli elementi, isolati attraverso un’operazione di scomposizione, come le parole di un discorso, ma piuttosto il contesto, cioè i modi in cui i singoli elementi assumono funzionalità e significato in quanto parti di un insieme, ossia come e perchè sono tra loro connessi nello spazio, così da farne una sorta di pagina scritta. L’operazione di lettura del paesaggio può solo
Si guarda il paesaggio e di esso ci si fa spettatori in diversi i modi.
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Mappa di Londra idealizzata, 1885
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basarsi sugli elementi antropici, risultato delle attività con le quali l’uomo trasforma la natura, ma non riguarda nè può riguardare gli elementi naturali nei quali viene meno ogni necessità di rivelarsi come segni, benchè forme di comunicazioni ci siano anche nella natura. Ma un modo per appropriarsi, nella lettura del paesaggio, della condizione naturale, di assumerla come componente fondamentale, esiste. Essa starebbe proprio nel considerare il segno umano come il risultato di un rapporto comunicativo tra uomo e ambiente naturale, nel tipo di risposte specifiche che l’uomo dà all’ambiente particolare in cui si trova a operare, o nel tipo di specifiche attribuzioni che gli conferisce sul piano economico, sociale, religioso ecc. Esemplificando, possiamo dire che là dove sino a ieri si costruivano igloo o capanne di paglia oggi possiamo trovare grattaceli e segni appartenenti a un’altra cultura. Ma questo ci rimanda ai paesaggi della complessità o anche, semplicemente, della modernità, mentre i primi rappresentano i paesaggi del mondo premoderno, pre-industriale, delle ruralità o della primitività, nei quali non manca certo la complessità, ma dove appare chiaro e diretto il rapporto tra azione umana e potenzialità ambientali, tra cultura e natura, dove simboli e miti che umanizzano la natura rappresentano un’assunzione culturale dei caratteri ambientali propri del territorio vitale.
Ecco allora che il paesaggio, formato da tanti segni riconoscibili, può veramente essere “letto”, interpretato.
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Una buona immagine ambientale dĂ a chi la possiede un importante senso di sicurezza emotiva. Franco La Cecla 20
L’immagine ambientale k.linch - l’immagine della città - p.65
Come un’architettura, una città è una costruzione dello spazio, ma di scala enorme, un artefatto che è possibile percepire soltanto nel corso di lungi periodi di tempo. Esso viene visto sotto luci e condizioni atmosferiche di ogni tipo. Ad ogni istante vi è più di quanto l’occhio possa vedere, più di quanto l’orecchio possa sentire, qualche area o qualche veduta rimangono inesplorate. Ogni cittadino ha avuto lunghe associazioni con qualche parte della sua città e la sua immagine è imbevuta di memorie di significati. Gli elementi mobili, e particolarmente la gente e le sue attività, sono in una città altrettanto importanti che gli elementi fisici fissi. Noi non siamo soltanto testimoni di questo spettacolo, ma siamo noi medesimi interpreti di esso, siamo sulla scena con altri attori.Spesso la nostra percezione della città non è distinta, ma piuttosto parziale, frammentata, mista ad altre sensazioni. Ogni nostro senso è in gioco e l’immagine della città è l’aggregato di tutti gli stimoli. Benchè nei suoi grandi lineamenti la città possa mantenersi stabile per qualche tempo, nei dettagli essa cambia senza posa. Importante è quindi la leggibilità di un ambiente, intendendo la facilità con cui le parti possono venire riconosciute e possono venire organizzate in un sistema coerente. Cosi come questa pagina stampata, se è leggibile, può venire visivamente afferrata come un interrelazionato sistema di simboli riconoscibili, così sarà leggibile quella città, in cui quartieri, riferimenti, o percorsi risultino chiaramente identificabili e siano facilmente raggruppabili in un sistema unitario. Benchè la chiarezza o leggibilità non sia la sola proprietà importante di una bella città, essa acquista importanza se l’ambiente è essaminato nelle dimensioni urbane di estensione, tempo e complessità. Consideriamo quindi la città non come oggetto a sè stante, ma nei modi in cui essa viene percepita dai suoi abitanti. Il conferire struttura e identità all’ambiente è una capacità vitale propria a tutti gli animali dotati di movimemento. I mezzi usati per questo sono innumerevoli: le sensazioni visive di colore, di forma, di movimento.
Guardare la città può dare uno speciale piacere, per quanto banale possa essere ciò che si vede.
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Quali sono gli elementi identitari di un luogo?
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Quartiere: complesso residenziale case â&#x20AC;&#x153;popolariâ&#x20AC;? sito nel quartiere Carrassi Nodo: Policlinico di Bari. Percorso: esempio di percorso casa-supermercato. Riferimento: Chiesa Russa edificio di riferimento per il quartiere Carrassi.
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L’immagine della città e i suoi elementi k.linch - l’immagine della città - p.65
Vi è una serie di immagini pubbliche, possedute ciascuna da un certo numero di cittadini. Tali immagini di gruppo sono indispensabili perchè un individuo possa agire con successo nel suo ambiente e possa collaborare ocn gli altri. Ciascuna immagine individuale è unica, e ha alcuni contenuti che vengono comunicati raramente o forse mai, eppure essa approssima l’immagine pubblica, che è più o meno rigorosa, più o meno comprensiva, in ambienti diversi. La forma dovrebbe venire usata per rafforzare il significato di un luogo e non p er negarlo. Cinque sono gli elementi riferiti alle forme fisiche nelle immagini urbane: percorsi, margini, quartieri, nodi e riferimenti. Percorsi: canali lungo i quali l’osservatore si muove abitualmente, occasionalmente, potenzialmente. Margini: Elementi lineari che non vengono usati o considerati come percorsi dall’osservatore. Essi sono confini fra due diverse fasi, interruzioni lineari di continuità, riferimenti esterni. Margini che dividono una zona dall’altra, o possono essere suture, linee secondo le quali due zono sono messe in relazione e unite l’uno all’altra. Quartieri: Quartieri sono le zone della città, di grandezza media o ampia, concepite come dotate di una estensione bidimensionale in cui l’osservatore entra mentalmente “dentro”, e che sono riconoscibili in quanto in esse è diffusa qualche caratteristica individuante. Nodi: sono i punti, i luoghi strategici in una città, nei quali un osservatore può entrare, e che sono i fuochi intensivi verso i quali egli si muove. Qualcuno di questi nodi di concentrazione è il fuoco o il culmine di un quartiere, sul quale irradia la sua influenza e del quale rappresenta il simbolo. Riferimenti: un altro tipo di elemnti puntiformi, ma in questo caso l’osservaotore non vi entra, rimangono esterni. Sono generalemnte costituiti da un oggetto fisico piuttosto semplicemente definito: edificio, insegna, negozio o montagna.
Sembra che per ogni città data esista un’immagine pubblica che è la sovrapposizione di molte immagini individuali.
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ta glio
topog rafia riali
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Quartieri. Caratteristiche fisiche k.linch - l’immagine della città -
Essi possono venir riconosciuti dall’interno e occasionalemnte posson venir usati come riferimento esterno da una persona che passi accanto ad essi o che li avvicini. Le Caratteristiche fisiche che determinano i quartieri sono continuità tematihe che possono consistere in una infinita varietà di componenti: grana, forma, dettaglio, simbolo, tipo edilizio, uso attività, abitanti, grado di manutenzione, topografia. In una città fittamente costruita come Boston, omogeneità di facciata- materiali, mondanatura, ornamento, colore, profilo, taglio delle finestre in particolare- erano tutti indizi chiave per l’individuazione dei maggiori quartieri. Di solito, le caratteristiche tipiche sono visualizzate e riconosciute in un fascio caratteristico, l’unità tematica. L’immagine di Beacon Hill, ad esempio, includeva strade strette e ripide; schiere di case in mattoni rossi di scala intima; portoni profondi, bianchi ben tenuti, modanature nere ; marciapiedi in ciottoli o in mattoni (...) L’unità tematica risultante era distintiva in contrasto con il resto della città e poteva venire immediatamente riconosciuta. Un certo rafforzamento degli indizi chiave è necessario per produrre un immagine vigrosa. Troppo spesso, esistono alcuni tratti che sono distintivi, ma non abbastanza per una piena unità tematica. L’area diviene allora riconoscibile per qualcuno che sia familiare con la città, ma manca di efficacia e di vigore visivo.
I quartieri sono aree urbane relativamente ampie, nelle quali l’osservatore può mentalmente penetrare e che posseggono qualche caratteristica generale.
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Bari. Cenni storici
Nella pagina a fianco Bari Piazza Ferrarese Mercato Caserma Rossani Chiesa Russa Rione Carrassi Teatro Petruzzelli Prima pietra Città Nuova 25 Aprile 1813 Il rito della Salsa Stadio delle Vittorie Foto Porto “non diine specchie a ccast” Corso Cavour Banca d’Italia Palazzo della Gazzetta 1927 Bari vecchia porto nuovo Chiesa San Ferdinando primi 900 Il Leone della giustizia, 1900 Rotonda Nazario Sauro Piazza Risorgimento Vico Lavermicocca Prima casa Borgo Nuovo 1920 Disegno dello storico edificio che per oltre 80 anni ha ospitato i magazzini Rinascente .
Non sono chiare le origini di Bari: dagli scavi nell’area della chiesa di San Pietro, nella città vecchia, sembra ipotizzabile l’esistenza di un originario insediamento dell’età del bronzo, appartenente al popolo dei Peucezi. Entrata a far parte del dominio romano, nel III secolo a.C. come municipium, Barium si sviluppò in seguito alla costruzione della via Traiana. Dal IV secolo fu sede episcopale e dopo la caduta dell’impero romano fu contesa tra Longobardi e Bizantini (l’attuale struttura della “città vecchia” risale a quest’epoca, e si articola intorno alla corte del Catapano) che nel 669 con l’imperatore Costante II la saccheggiarono. Successivamente fu in mano dei Berberi (dal 847 al 871 fu sede di un emirato[9]) e quindi dei duchi di Benevento. Nel 875 tornò ai Bizantini che la crearono capitale del thema di Langobardia, comprendente l’Apulia e la Calabria. Liberata, dopo sei mesi di assedio dai Saraceni, dalla flotta veneziana, nel 1002 si ribellò sotto la guida di Melo di Bari (nobile barese) al governo fiscale del catapano bizantino, riuscendo nel 1018 ad ottenere la propria autonomia. Ultimo possedimento bizantino in Italia, nel 1068, la città di Bari fu assediata dai normanni, che la strapparono ai bizantini nel 1071, e nel 1087 vi furono portate le spoglie di san Nicola di Myra. Tra il XII e il XIV secolo fu porto di partenza per le Crociate. Nel 1098 nella cripta della nuova basilica di San Nicola, si riunì il famoso concilio presieduto da papa Urbano II, al quale intervennero oltre 180 vescovi riunitisi per discutere di problemi dogmatici inerenti ai rapporti tra la Chiesa Ortodossa e Chiesa Romana all’indomani dello scisma. Distrutta da Guglielmo il Malo, tornò a rifiorire in epoca sveva, intorno al castello fatto erigere da Federico II su preesistenti fortificazioni normanne. Un lungo periodo di decadenza caratterizzò a Alduino Filangieri di Candida, Maestro della Regia Corte e Giustiziere di Bari dal 1284, le dominazioni angioina, aragonese, e spagnola, interrotto dallo splendore sotto gli Sforza, con le duchesse Isabella d’Aragona e Bona Sforza. Subì anche la dominazione veneziana, grazie alla quale si ebbe l’ampliamento del porto ed un periodo molto florido, favorito anche dal commercio di prodotti dell’entroterra, molto richiesti sui mercati esteri. Il 25 aprile del 1813, con Gioacchino Murat, fu posta la prima pietra dell’espansione cittadina al di fuori delle mura medioevali (“borgo nuovo”, o “borgo murattiano”), caratterizzato dal tracciato ortogonale delle vie. La popolazione crebbe rapidamente dagli allora 18.000 abitanti ai 94.000 29
dell’inizio del XX secolo: divenuta capoluogo di provincia, vi trovarono sede edifici e istituzioni pubbliche (Teatro Piccinni, la camera di commercio, l’Acquedotto pugliese, il Teatro Petruzzelli, l’Università degli Studi) e la casa editrice Laterza. Durante il ventennio fascista fu costruito il lungomare monumentale ed inaugurata la Fiera del Levante, con la quale prese vita il disegno di “Bari porta d’oriente”, consacrato negli anni recenti dal ruolo di “European gateway” assegnato dall’Unione Europea. A metà del XX secolo la città si era espansa ulteriormente, in modo disordinato, giungendo a sfiorare i 400.000 abitanti negli anni settanta e ottanta. La città, fatta metropoli, affronta i fenomeni del pendolarismo e della deurbanizzazione, mentre crescono il terziario e l’area industriale. A causa della sua posizione Bari accoglie un notevole flusso di immigrazione dall’est. Il 6 agosto 1991 sbarca nel porto la nave Vlora, carica di oltre ventimila Albanesi. Alle porte del 2000 il centro storico viene ristrutturato e restituito a nuova vita, mentre si avvia al termine un profondo rinnovamento infrastrutturale che coinvolge porto, aeroporto, interporto e ferrovia.
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Mappa scenografica di Bari, Incisione Giambattista Albrizzi, 1762
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Lo sguardo è più libero se informato. Marc Augé
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Trame urbane perchè la fotografia
Esplorare, conoscere, quelli che sono i luoghi nascosti e al tempo stesso sotto gli occhi di tutti, provando ad alzare lo sguardo e osservare con occhi nuovi, strade, volti, edifici familiari e sconosciuti al tempo stesso. Osservare e fotografare scoprendo le contraddizioni, e le peculiaritĂ di ogni quartiere. Provando a raccontare un territorio di cui noi stessi facciamo parte, ma che troppo spesso tralasciamo di indagare.
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> Via Re David angolo Via Antonio Meucci
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Quartiere Carrassi, fili tramviaria Le strade di Bari sono disegnate dai filari del tram in disuso da circa vent’anni, elementi identitari che raccontano un passato e l’esperienza che la gente viveva in strada. Sono la testimonianza di un immagine mentale diversa ancora radicata, capita che anziani chiedino del Filobus, al posto di chiedere della navetta o del bus cittatino. Dopo il 1930 le filovie ebbero una rapida diffusione: consumando elettricità e non benzina, il fascismo presentò i filobus come il veicolo autarchico per eccellenza. A Bari il percorso della I tratta di 10.537 metri, si sviluppa lungo: piazza Umberto I, via De Marinis, corso Alcide De Gasperi, viale Einaudi, viale della Resistenza, largo 2 Giugno, viale della Repubblica, viale Unità d’Italia, via Capruzzi, corso Benedetto Croce, corso Alcide De Gasperi, via De Marinis.
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Via Maria Cristina di Savoia, Carrassi
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Dettagli urbani
Girando per la città si possono scorgere dettagli che aiutano a riconoscere i luoghi, che entrano a far parte della mappa mentale generale della città. Rendendo possibile “far mente locale”. Dettagli soggettivi che si memorizzano a seconda della propria esperienza e del proprio bagaglio visivo. Riconoscere segni, simboli, colori, dettagli che si fondono nel processo mentale di percezione, elaborando ricordi, sensazioni legate a un luogo, nel tempo e nello spazio vivendolo realmente. “ La mobilità nello spazio è divenuta virtuale, mentre è una condizione importante per la vita sociale. E’ importante educare lo sguardo sul presente, perchè lo sguardo è più libero se informato. La mobilità nello spazio dovrebbe essere un ideale assoluto. Uscire dall’eterno presente per muoverci nello spazio, uscendo anche da se stessi. Esigenza universale che muove le culture.” Marc Augè, lectio magistralis, Pubblic Camp la citta senza nome Bari ottobre 2009.
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> Statua portale laterale basilica di San Nicola Mosaico Chiesa Russa 43
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Centro storico, elementi identitari Particolare di serratura portone in via degli Orefici Elefante stiloforo nella parte absidale della Basilica di San Nicola. Statua portale della Basilica di San Nicola raffigurante un bue. Elemento decorativo in ferro battuto con funzione di portabandiera. Elemento decorativo con funzione di ariazione. Bassorilievo di spoglio incastonato nella facciata della chiesa di Santa Pelagia (Santâ&#x20AC;&#x2122;Anna)
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UtilitĂ alterantiva. Cabine telefoniche che hanno perso la loro primaria utilitĂ di telefoni pubblici, acquisendone un altra di bacheca annunci e comunicazione pubblicitaria. 49
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Arredo urbano Sedia e scopa in via Prospero Petroni, Murat Tavolino in via Giulio Petroni, Carrassi Sedia segna posto parcheggio in Piazza Federico II di Svevia, Bari Vecchia. 51
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Comunicazione urbana. Annunci universitari Piazza Cesare Battista. Comunicazione politica via Argiro. 53
Percentuale di verde urbano pubblico barese sul totale della superficie comunale
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1,1 % 55
Bari, quartieri interessati nella ricerca.
bari vecchia
murat madonnella
carrassi
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Raccontare la città analisi preliminari
In certi casi, la mappa mentale delle città può dirsi addirittura creata dall’insieme dei discorsi e delle rappresentazioni che si sono succedute e integrate componendo un’immagine che a volte oscilla tra lo stereotipo e il ritratto sfaccettato. L’esaustività va di pari passo con la perdita di selettività dello sguardo, poiché la descrizione neutra e idealmente onnicomprensiva è la conseguenza di una rieducazione dello sguardo che permette di percepire ciò che solitamente passa inosservato. Questo addestramento dello sguardo all’attenzione è anche un’operazione di scardinamento dell’abitudine e, per questo, esercizio critico: dalla apparente piattezza iniziale si cerca, infatti, di cogliere la forza latente, le forme mimetizzate che la presenza scontata e l’abitudine sembrano neutralizzare. Diventa allora necessaria un’attitudine da curioso, per porsi davanti ad oggetti e situazioni quotidiane come se fossero nuove e sconosciute. È allora dal camminare che bisogna fare il primo passo, dal trascorrere il tempo in un percorso spaziale, dallo svolgimento dell’esperienza nelle strade della città: “il camminare è soltanto l’inizio dell’essere cittadini, ma camminando il cittadino conosce la propria città e i propri concittadini e abita realmente la città e non soltanto una piccola porzione privatizzata di essa. Camminare per le vie è ciò che connette il leggere una cartina stradale al vivere la propria vita, il microcosmo individuale con il macro cosmo pubblico; dà un senso al dedalo che c’è intorno”. Mentre i segmenti significanti si succedono, si offrono alla vista e creano sequenze nello spazio architettonico, una sintassi collega gli elementi significanti, attraverso la loro successione e la loro articolazione nella struttura e nelle gerarchie della sequenza, ma soprattutto attraverso le pratiche quotidiane, gli elementi che occupano un certo spazio tendono a legarsi fino a prendere la forma di un «racconto visivo»e questo perché l’immagine della città «è parziale, costruita a partire da sequenze sia topografiche sia temporali (soprattutto le sequenze di spostamento), diversa e inegualmente ampia a seconda dei gruppi». La parola si intreccia allo spazio di continuo, senza pietrificarsi in forme immobili, dalla denominazione alla descrizione, dalle microstorie alle saghe urbane: in tal caso, l’ affabulazione è una «narrazione di superficie» che segue le facciate
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e le strade. I principali enunciatori di questa narrazione sono i passanti, «il cui corpo obbedisce ai pieni e ai vuoti di un “testo” urbano che essi scrivono senza poterlo leggere». Quindi ipotizzando che la città sia una stratificazione di storie personali di chi la vive quotidianamente si giunge a un multifocus che compone l’oggetto del racconto fatto di diverse percezioni suddivise in quattro livelli. Quattro livelli di lettura per quattro quartieri differenti. Quattro istantanee sulla stessa porzione di città. Questa multivisione vuole essere un racconto che sia il frutto di una delle tante letture possibili della città. Una citazione di Federico Fellini rendeva paradossale, ma reale, il bisogno umano di fantasticare anche nel luogo della sua quotidianità : “per godere di una città come Roma bisogna saper viaggiare con l’immaginazione e con la fantasia”. Per godere di Bari aggiungo io, bisogna saper cogliere ogni minimo dettaglio e anche qui sentirsi liberi di fantasticare, creando un immagine del tutto personale della città. Giada Cotugno, Città immaginaria, brand city, città della paura: scrivere/leggere la città camminando, pedalando, sostando
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livello 4
livello 3
livello 2
livello 1
Quattro quartieri per quattro livelli di analisi bari vecchia, murat, madonnella, carrassi
Per poter raccontare la città bisogna prima approfondire la conoscenza dell’oggetto del racconto. Appena si arriva in una città nuova la prima cosa che sentiamo è l’esigenza di conoscere la sua mappa, quindi la sua forma, come si estende e come si suddivide. Nel caso di Bari la mappa è facilmente riconoscibile, innanzi tutto per la sua forma che molti paragonano ad un aquila, ma soprattutto per la suddivisione, nella parte centrale, in quartieri che si differenziano per la struttura urbanistica . Murat si sviluppa su una maglia regolare, ad angoli retti e isolati, quasi perfettamente, quadrati. Questa sua carratteristica si presta alla funzione che ormai ha di centro commerciale urbano, filari di vetrine si alternano a portoni di uffici e studi proffessionali. Il centro storico, cuore culturale della città, presenta percorsi tortuosi che si sviluppano all’interno delle mura, percorrerla è come esplorarla, vicolo dopo vicolo offre una ricchezza di dettagli difficli da non notare, gli spazi sono ristretti quasi tattili. Madonella invece si affaccia sul mare con le sue forme imponenti, il lungomare è un braccio che si allunga quasi a voler raggiungere nuove frontiere. Carrassi situata dall’altra parte della ferrovia si estende a ventaglio nella direzione opposta al mare, allargandosi verso la periferia della città. Le sue arterie principali sono dirette verso il centro murattiano, interrotte dalla barriera ferroviaria. Per poter leggere una città la mappa è importante, la sua forma bidimensionale rappresenta la base su cui si andranno a sovrapporre tutti gli altri elementi identitari che la compongono e che l’osservatore andrà ad assimilare. Si può dire che il processo cognitivo legato all territorio si sviluppa a livelli che si sovrappongono man mano che la conoscenza del luogo si approfondisce. Questo progetto si propone quindi di analizzare e sviluppare graficamente quattro livelli: 1.livello base bidimensionale della pianta; 2.livello particolareggiato di texture urbane; 3.livello dettagliato e simbolico; 4.livello topografico. 61
Mappa scenografica di Bari, Incisione Giambattista Albrizzi, 1762
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Bari vecchia
“Fra i vari Baresi che vivono a Bari vecchio (si dice al maschile) e il quartiere murattiano che è abitato da baresi, si fa per dire, che hanno perso la loro identità e che nulla fanno per riotrovarla, è facilmente riscontrabile un’innaturale distacco. C’è una ragione per cui molte caratteristiche sono presenti nella città vecchia e molto meno nella Bari nuova e contemporanea. La Bari murattiana è nata nell’ottocento e non ha dietro le spalle il settecento, il grande secolo della musica barocca, non ha le malinconie di un età dell’oro ormai persa. Ha tutte le caratteristiche ( la Bari di Gioacchino Murat) di una “parvenue senza una linea di nobiltà intellettuale. Il centro storico di Bari vecchio invece è abitato da oltre duemila anni ed ha proprio nel dienneà la Storia, quella vera con la esse maiuscola. Il centro storico forse forse è più vecchio, come città, di Roma e si può permettere di tutto. Ma, ahimè, i baresi di Bari vecchio sono in nettissima minoranza e stanno facendo la fine degli indiani d’America. Trasferiti nelle riserve, vedi CEP, case popolari verso la Fiera del Levante, lungo il mare per andare a Palese. Un trasferimento di abitanti così pesante ha pochi esempi nella storia urbana europea” Franz Falanga, Dadò Dadà
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Il mondo attorno all’antico San Nicola è un formicaio ebbro di vitalità. Vecchi cortili sono stanze, vecchie cappelle sono magazzini, una scala sfonda un muro, un muro alza la testa oltre il soffitto. Passa con il braccio steso il venditore di pomodori secchi e salati e il suo lamento incomprensibile eccita l’appetito. Allora mille bambini seminudi sporgono il loro pezzo di pane. Mentre la madre pettina la comare, la figlia fa la pasta su una pietra larga, davanti all’uscio di casa. Con un pizzico di pasta mette al mondo altri pupi, ci soffia su: andate a giocare, toglietevi di qui. Così si moltiplica all’infinito la vecchia Bari, grazie a Dio, cresce nuova e non muore mai. Franco Antonicelli, Finibusterre
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Attraverso i ruderi si percepisce il tempo puro, percezione di un assenza che rappresenta un vuoto. Marc AugĂŠ
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Nella pagina a fianco Basilica di San Nicola Sopra Piazza S.Maria del Buon Consiglio, Via Venezia, Strada Quercia, Via Federico II di Svevia, Castello Svevo, Strada degli Orefici, Piazza S. Maria del Buon Consiglio, Cattedrale San Sabino, Strada Amendoni, Strada Martinez 67
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Illustrazione Basilica di San Nicola nella pagina a fianco: Statua raffigurante bue portale centrale della Basilica di San Nicola
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Vista Aerea Quartiere Murat, in onore del suo fondatore Gioacchino Murat
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Murat
Alla fine del 1700 gli abitatori dell’antichissimo centro storico, del quale aveva addirittura parlato Orazio, decisero di costruire fuori le mura un nuovo borgo dove trasferire la futura residenza per gli abitanti del centro antico, visto che ormai l’antica cinta muraria non riusciva più a contenere l’aumento vertiginoso della popolazione. Per questi motivi, nel 1813, Gioacchino Murat, Vicerè del Regno delle due Sicilie, venuto da Napoli, pose la prima pietra del Borgo Murattiano che rapidamente iniziò ad espandersi fuori le mura del centro antico. Il Borgo Murattiano, così venne chiamato, crebbe con continuità fino a raggiungere la ferrovia che collegava Napoli con Brindisi verso il 1850. In quello spazio fra la costa e la ferrovia il nuovo borgo ebbe dunque modo di crescere e di diventare una mirabile città ottocentesca. In questa città, per i regolamenti edilizi di allora, tutti i palazzi dovevano avere le medesime caratteristiche di facciata, di colore, di altezza e di numero di piani, compresi fra i due e i tre. L’impianto stradale era tipico della cultura urbanistica del tempo, a scacchiera. Questa New Town, edificata fuori le mura antiche della Bari pescosa, così l’aveva descritta Orazio, si consolidò sul territorio fino all’immediato dopoguerra della seconda guerra mondiale. Arrivato agli anni sessanta, questo secondo centro storico, chè tale era ormai diventato, essendo trasmigrate in esso tutte le funzioni direzionali della città dal centro antico alla parte ottocentesca, fu sottoposto ad una violenta speculazione edilizia che quadruplicò in altezza, se non addirittura quintuplicò, l’intera cubatura dell’ottocentesco Borgo murattiano. L’impianto tipico a scacchiera della città resse all’impatto violentissimo ed è ancora lì a testimoniare la straordinaria bellezza e dignità urbana di quello che resta della mirabile città ottocentesca. Franz Falanga
Nella pagina a fianco Palazzo Mincuzzi, arch. Aldo Forcignanò, 1923, via Sparano 73
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Per me, la trovo attraente questa cittĂ nuova, con le sue vie larghe, ad angoli retti, che consentono di veder sempre in fondo ad esse il mare, come si vedono a Torino le Alpi. Paul Bourget, Sensations dâ&#x20AC;&#x2122;Italie, 1891
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Descrivere il proprio abitare significa descrivere se stessi. Franco La Cecla
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Nella pagina a fianco texture università degli studi di Bari, Piazza Cesare Battista. Sopra Via Antonio Beatillo, via Sparano, via Nicolò Putignani, via Argiro, via Quintino Sella, Corso Vittorio Emanuele, via Andrea da Bari, via Roberto da Bari, via Nicolò Piccinni.
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Illustrazione Teatro Petruzzelli nella pagina a fianco: Foto palma di Corso Vittorio Emanuele, illustrazione particolare palazzo Mincuzzi. 79
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Nel 1924 l’Ente Acquedotto Pugliese incarica l’architetto Cesare Vittorio Brunetti di progettare il palazzo dell’Acquedotto, ancor oggi sede dell’Ente e in ottimo stato di conservazione.
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Madonnella
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento cominciarono a sorgere, a est del quartiere Murat, numerosi agglomerati di case, soprattutto lungo la riva del mare, che ben presto costituirono un nuovo quartiere. Il nome attribuito dall’uso comune fu quello di Madonnella, data la presenza di una rozza immagine di Madonna collocata all’interno di una piccola nicchia, dove vegliava da diversi secoli sui campi che circondavano l’attuale Largo Francesco Carabellese. La vecchia immagine in terracotta della Madonna è probabilmente andata distrutta nel periodo del dopoguerra ma, nel 1956, ne fu collocata una nuova sulla grande edicola in pietra che ancora oggi è possibile osservare al centro del piazzale. Il quartiere Madonnella si presenta con numerosi edifici in stile Liberty, particolarmente diffuso agli inizi del XX secolo, situati principalmente nella zona a ridosso del quartiere Murat. La zona costruita negli anni ‘30 è stata invece realizzata secondo lo stile monumentale e lineare del periodo fascista, utilizzato soprattutto per i palazzi adibiti ai pubblici uffici. Tra le costruzioni in stile Liberty sono da ricordare, in Largo Adua, il palazzo “Colonna”, dal nome del noto costruttore Luigi Colonna, e il “Kursaal Santalucia”, sede di un elegante locale adibito a spettacoli teatrali e proiezioni cinematografiche, costruiti rispettivamente nel 1925 e nel 1927. Madonnella si affaccia sul lungomare Nazario Sauro, realizzato tra il 1927 e il 1928. Degni di nota sono l’ Albergo delle Nazioni con l’annesso complesso residenziale INA, il Palazzo dell’Amministrazione Provinciale, progettato dall’architetto Saverio Dioguardi e inaugurato nel 1935, che ospita la Pinacoteca Provinciale di Bari; il palazzo dell’Aeronautica Militare, sede del comando della terza regione aerea, realizzato nel 1935; il palazzo dell’Ispettorato dell’Agricoltura, costruito all’inizio degli anni ‘40; il palazzo dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, e la Caserma dei Carabinieri “Chiaffredo Bergia”, entrambi realizzati sulla base dei canoni architettonici del ventennio fascista.
Nella pagina a fianco: Palazzo dell’acquedotto
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Il Lungomare di Bari rappresenta una delle piĂš compiute espressioni dei processi di trasformazione urbana operati durante il periodo fascista. Fu espressa intenzione del regime fascista dare a Bari un volto nuovo, affidandole contemporaneamente il ruolo di centro propulsore regionale e di testa di ponte verso lâ&#x20AC;&#x2122;Oriente, nella prospettiva di una politica economica e militare di espansione.
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La sensazione della concretezza del mondo è come un ritrovamento di un senso, percezione di una scrittura terrestre di cui siamo gli autori. Franco La Cecla.
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Nella pagina a fianco Corso Sonnino Sopra Via Gian Giuseppe Carulli, via Tanzi, Piazza Armando Diaz, Lungomare Araldo di Crollalanza, via Ragusa, Lungomare Araldo di Crollalanza, via Dalmazia, via Spalato.
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Illustrazione Madonna con Bambino del mosaico in Largo Francesco Carabellese nella pagina a fianco: Foto Piazza Armando Diaz, particolare Maschera teatro Margherita
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Chiesa Russa , Corso Benedetto Croce Particolare decorativo del mantello 92 di San Niocola raffigurato nel mosaico della facciata principale della Chiesa.
Carrassi
Nella pagina accanto Chiesa Russa
Carrassi è un quartiere di Bari il cui nome ha origine dalla famiglia proprietaria della gran parte dei terreni della zona. Il rione si sviluppò durante gli anni intorno alla prima guerra mondiale, quando l’area compresa fra Via Re David e Via Picone si venne arrichendo di case ed abitanti. Il medesimo finì per acquisire una marcata individualità e importanza sia per la presenza della Chiesa Russa: caratteristica costruzione iniziata a realizzare nel 1913, sia perché attraversato in tutta la sua lunghezza, dall’unica e certo antica arteria di collegamento fra il capoluogo e la vicina Carbonara, percorsa da un apposito ed efficente servizio tranviario gestito dalla società elettrica barese. La Chiesa Russa risale agli inizi del XX secolo. La costruzione della chiesa polarizzò immediatamente il quartiere, al tempo in caotica espansione. Nel 1911, la Società Imperiale Ortodossa di Palestina commissionò ad Aleksej Viktorovic Ščusev l’edificazione del tempio, la cui prima pietra venne posta il 22 maggio 1913. Le autorità baresi e russe portarono in dono una grande icona del Santo, dipinta secondo modelli antichi. La costruzione della chiesa fu completata solo dopo la fine della prima guerra mondiale. Da allora i pellegrinaggi continuano anno per anno. Dopo la Rivoluzione russa, in seguito alla diaspora, i greci ortodossi furono più numerosi dei russi ortodossi. Nel 1937 la chiesa divenne proprietà del Comune di Bari. Il Comune s’impegnava a rispettare la proprietà ecclesiastica della costruzione, a conservare il tempio nella sua funzione religiosa e a destinare alcuni locali dell’ospizio dell’Istituto per l’infanzia abbandonata “M. Diana”. Di recente ristrutturata, la chiesa russa continua ad essere un ponte con le civiltà dell’Est Europa e del bacino orientale del Mar Mediterraneo. Il 14 marzo 2007,in occasione della visita del premier russo Vladimir Putin a Bari, furono avviate le trattative per la consegna della chiesa in mano russa. La cerimonia si è tenuta infine il 1 marzo 2009 alla presenza del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano e del Presidente della Federazione Russa Dmitrij Medvedev. Il nome Carrassi fu in un primo momento rimase immutato ma in aderenza all’indirizzo politico dell’epoca fu denominato “XXVIII Ottobre” riferendosi all’azione fascista della Marcia su Roma. La situazione mutò quando dopo la caduta del fascismo il quartiere ritornò a chiamarsi “Carrassi”.
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I Luoghi sono “alienati” e altrettanto lo sono gli abitanti. Nasce il senso desolato delle periferie, l’omologazione delle prospettive, il somigliarsi di tutti i quartieri suburbani del mondo e con essi il senso di anonimità. Franco la Cecla, Mente Locale
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Il movimento intenzionale è compiuto solo attraverso una elaborata memorizzazione di sequenze di particolari distintivi. Kevin Lynch 96
> Nella pagina a fianco via Piave Sopra via Montegrappa, via Giulio Petroni, via Cardarelli, via Isonzo, via Adige, viale della Repubblica, P.zzale Vittorio Locchi, via Nizza, Corso Benedetto Croce.
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Particolare mosaico Chiesa Russa >nella pagina a fianco: Foto mercato rionale via Montegrappa con illustrazione cupola Chiesa Russa 99
Le piante della città differenzazione bidimensionale dei quartieri
La pianta di Bari presenta delle notevoli differenziazioni morfologiche da quartiere a quartiere. Lo Sviluppo stratificato dei vari rioni nel corso della storia è visibile dai tratti che le strade disegnano all’interno della città. In netta contrapposizione la città vecchia con le sue strade tortuose e i suoi vicoli che si intrecciano , con la città “Nuova” murattiana rettilinea a maglia regolare, e poi Madonnella con la sua imponente immagine rivolta verso il mare, e Carrassi irregolare, colorata che si estende a ventaglio verso la periferia ma con le sue arterie principali direzionata verso il centro, fulcro vitale della città. I ritmi imposti dalle strade portano a riconescere questi tratti identitari della città anche solo camminandoci attraverso. Creando nella mente di chi ci vive le basi per costruire la propria mappa mentale.
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Bari vecchia, Murat, Madonnella, Carrassi
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Madonnella
Murat
Carrassi
Prelievi urbani differenzazione organica dei quartieri
Non solo la pianta della città di Bari contraddistingue i vari quartieri ma anche entrando nel dettaglio, le tipologie edilizie e i materiali utilizzati per gli edifici aiutano a comporre l’immagine mentale del luogo, rendendolo riconoscibile. Le foto sono state scattate ad un altezza media di un metro e cinquanta, altezza degli occhi di un passante, per entrare nel vivo del dettaglio e rimanere nella dimensione umana del quotidiano. Prima del lavoro di rilievo è stata fatta una selezione dell’area da analizzare, procedendo così a un prelievo fotografico sistematizzato.
Nella pagina a fianco Bari vecchia
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Mappa tipografica differenziazione topografica
Il livello di memorizzazione dei nomi delle vie è rappresentato da questa mappa dei quartieri che riporta solo la toponomastica, mantenendo le forme topografiche. Questa rappresentazione svuotata di qualsiasi elemento e riferimento organico della città aiuta a memorizzare le vie che qui sono le principali protagoniste.
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Elementi identitari riferimenti urbani
I dettagli fotografici e vettoriali per ogni quartiere diventano riferimenti concreti che una volta prelevati e analizzati rafforzano la memoria dei luoghi, dei percorsi quotidiani. Raccontare evocando un ricordo di un momento vissuto in un giorno qualsiasi attraverso un segno che diventa elemento identitario.
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La mia mappa mentale
Questa mappa è stata realizzata tracciando i contorni di quella che è la mappa mentale di Bari nella zona relativa ai quattro quartieri presi in analisi. I tratti disegnati corrispondono alle strade maggiormente percorse che si differenziano per spessore a seconda della loro funzione di riferimento o di limite. Le strade che invece compaiono come segni tipoografici sono quelle che ricordo per il loro nome e in modo approsimato per la loro collocazione. Le icone sono invece i riferimenti visivi, i dettagli identitari di ogni singolo luogo.Al centro un rettangolo obliquo, corrispondente alla linea ferroviaria che divide la città in due parti distinte sia per forme che per dimensioni. Al di sotto con la forma di un semicerchio si estende il quartiere Carassi, al di sopra della linea ferroviaria sono collocati i quartieri di Madonnella, Murat e in alto Bari vecchia.
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BIBLIOGRAFIA
Kevin Lynch, L’immagine della città, Marsilio Editori, 1964-2006 Franco La Cecla, Mente Locale, Elèuthera editrice, 1993 Marc Augé, nonluoghi, Elèuthera, 1993-2009 Marco Romano, La città come opera d’arte, Einaudi, 2008 Eleonora Fiorano, I panorami del contemporaneo, Lupetti, 2005 Francesco Franz Falanga, O Dadò O Dadà, Adda, 2006 Franco Antonicelli, Finibusterre, Besa, 1999 Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro, Marsilio, 2006 Gianrico Carofiglio, Né qui né altrove - una notte a Bari, Laterza, 2008
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Per tutto questo ringrazio Mamma, Papà , Stefania, Agostino. Un ringraziamento particolare a Roberto, Enzo, Gianni, Graziana. Grazie anche a Costanza, Roberta, Antonio, Nicolò, Ale, Carlotta, Gaetano, Mario, Licia, Nicola, Alessandro, Federica, Gianpiero, Silvio, La Locanda di Federico e chi in qualche modo ha contribuito direttamente o indirettamente al conseguimento di questa tesi.