FACOLTA’ DI ARCHITETTURA DI SIRACUSA STUDENTE:Rossella M.C. Pisano RELATORE: Prof. Arch. L. Alini CORRELATORE: Prof. Ing. N. Impollonia
CARDBOARD PAVILION: DAL PROTOTIPO AL PRODOTTO INDUSTRIALE
Studente|
Rossella Maria Carlotta Pisano
Relatore|
Prof. Luigi Alini
Correlatore| Prof. Nicola Impollonia
FacoltĂ di Architettura Siracusa|Corso di Laurea in Architettura Ateneo di Catania Tesi di Laurea:Cardboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale 18 Dicembre 2010
INDICE
1. INTRODUZIONE
2. L’ARCHITETTURA EFFIMERA 2.1. L’architettura senza architetti:da Bernard Rudofsky a John May 2.1.1. Alcuni casi studio 2.2 L’architettura contemporanea dei Maestri 2.2.1 Alcuni casi studio 3.IL CARTONE. L’architettura come prodotto industriale
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3.1 Sperimentazioni e innovazioni in architettura
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3.2 Il design “ecosostenibile”
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4. IL CARTONE ONDULATO. La filiera di produzione 4.1 Caratteristiche, comportamenti e metodi di prova 5. CARDBOARD PAVILION: dal prototipo al prodotto industriale
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5.1 Il folding: dall’origami al progetto
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5.2 Analisi strutturale
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5.3 Packaging e commercializzazione del prodotto
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Glossario
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Bibliografia
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Sitografia
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Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
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Introduzione
“[…]L’architettura è scienza. Per essere scienziato, l’architetto deve essere un esploratore, e deve avere il gusto per l’avventura. Deve affrontare la realtà, con curiosità e coraggio, per conoscerla e per cambiarla […] Gli architetti devono vivere sulla frontiera, e ogni tanto attraversarla per vedere che cosa c’è dall’altra parte […] Se devo misurarmi con qualcuno, penso a Robinson Crusoe: un esploratore capace di muoversi in terre sconosciute […] L’architettura è un’arte. Usa una tecnica per generare un’emozione, e lo fa con un linguaggio suo specifico, fatto di spazio, di proporzioni, di luce, di materia (la materia per un architetto è come il suono per un musicista, o le parole per un poeta). Per me è molto importante un tema, quello della leggerezza (che ovviamente non si riferisce solo alla massa fisica degli oggetti). Al tempo dei miei primi lavori era un gioco: una sfida un po’ ingenua fatta di spazi senza forme e di strutture senza peso. In seguito, questo è diventato il mio modo di essere architetto […]”1 .(Renzo Piano)
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Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
“[...]Mi misi all’opera per costruire una piccola tenda con la vela e dei pali che tagliai alla bisogna[...]”. Intorno alla tenda impilai a cerchio tutti I bauli per fortificarla contro gli attacchi di uomini e animali. Fatto questo, barricai la porta di questa tenda all’interno con plance all’esterno con casse[...].”2 (Robinson Crusoe)
L’architettura effimera, l’architettura della leggerezza contrapposta all’architettura del peso, l’uso di materiali alternativi,come il cartone, per tendere alla ricerca di ciò che non è ancora o se c’è non è completo, l’uso della tecnologia e delle innovazioni tecnologiche per sperimentare, lo studio del “già stato” per apprendere,carpire e “rubare” I segreti di chi la sperimentazione l’ha già fatta; tutto ciò sono I prodromi, le basi da cui prende le mosse il percorso di ricerca e di studio che ha “generato” questa tesi. “L’opposizione leggero/pesante disegna l’immagine del mondo; Vorresti peso? Eccoti il monumento. Vorresti leggerezza? Eccoti le tende degli accampamenti beduini, funzionali alla mobilità delle tribù nomadi[…]” così Maria Bottero introduce il suo saggio “Architettura della leggerezza, architettura del peso”.3 Da Buckminster Fuller a Kahn, da Rudofsky a Renzo Piano, il tema della leggerezza ha sempre interessato generazioni di architetti, ciò che è “leggero” non è resistente, ma sarà vero? Leggerezza e resistenza è un binomio che ha una forte capacità di ispirazione, è un sintetico programma sia architettonico che esistenziale; due opposti solo apparenti, che in fondo suggeriscono una possibile alleanza, entrambi necessari e auspicabili, ancora più efficaci se combinati insieme. Binomio presente nelle strutture in cartone, un materiale così povero eppure così capace di rivelare le innate potenzialità che contiene se utilizzato nel modo corretto. “C’è una ragione per cui ho simpatia per ogni sperimentazione sull’utilizzo del cartone in Architettura. Vedo queste prove come piccole tessere di un più ampio mosaico, di tentativi di fare spazio, di riconoscere la dimensione della vulnerabilità: un attributo fondamentale, con il quale facciamo fatica a convivere, che vogliamo nascondere. Queste strutture di cartone, per esempio quelle giustamente famose di Shigeru Ban,
INTRODUZIONE
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Introduzione
hanno una grande resistenza ma contengono anche una quota di fragilità. Sono esperienze in cui le nozioni di misura, soglia, limite vengono poste in primo piano. Affermare un tipo di resistenza che sa convivere con la vulnerabilità mi sembra una cosa di grande valore educativo, a contrasto di civiltà che propone come filosofia prevalente una sorta di onnipotenza fondata su una illusoria disponibilità infinita di mezzi, risorse ed energie” 4 (Giacomo Borella). Partendo dalle architetture senza architetti, attraversando l’architettura contemporanea si arriva alle sperimentazioni in cartone; la prima parte della tesi si sviluppa come un viaggio nell’architettura effimera di varie epoche e civiltà, per poter affrontare l’argomento avendo un quadro vasto e “completo” di ciò che c’è stato,di ciò che c’è e delle sperimentazioni che si stanno sviluppando nello scenario architettonico internazionale. Dallo Yurta mongolo al Mudhif iracheno, dal Tongkonan indonesiano al Trabocco italiano, un viaggio attraverso le architetture vernacolari, figlie dell’esigenza, della funzionalità, nate, come quella di Robinson Crusoe, per soddisfare i bisogni primordiali dell’uomo, fatte di materiali naturali e spesso riciclati, dove l’estetica è subordinata alla funzione e I difetti diventano elementi distintivi. Dal Teatro del mondo di Aldo Rossi al padiglione IBM di Renzo Piano, da Oribea Tea house a Casa Umbrella di Kengo Kuma, architetture pensate e progettate dai maestri dell’architettura contemporanea, che rispondono perfettamente ai dogmi dell’architettura effimera: assemblate a secco, mobili, flessibili, reversibili... Ciò che unisce queste architetture, a volte molto diverse tra loro, è il carattere temporaneo. 7
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Architetture effimere, destinate ad un ciclo di vita breve, smontabili, trasportabili, capaci di adattarsi a diversi usi ed esigenze. Per arrivare, infine, allo studio e all’analisi delle sperimentazioni in cartone. La seconda parte della tesi è dedicata ad un caso studio specifico: Cardboard Pavilion. Cardboard Pavilon nasce come prototipo nel 2009, all’interno di una ricerca condotta dalla facoltà di Architettura di Siracusa,obiettivo della tesi è quello di trasformare questa sperimentazione, unica nel suo genere, in un prodotto industriale. Per riuscire a comprendere I limiti e le criticità del prototipo è stato necessario un processo di analisi del progetto, ma soprattutto di comprensione delle geometrie generative e della progettazione parametrica che sta dietro ad ogni singola piega. “La piega, nella sua accezione fisica e concettuale, è l’elemento generatore del progetto, il principio in base al quale la materia carta si trans- forma in materiale da costruzione” ( cfr. Luigi Alini). Le criticità da risolvere, l’analisi strutturale, il packaging del prodotto sono stati gli step fondamentali da affrontare per rispondere alle esigenze e alle richieste dell’International Paper, l’azienda che sta supportando lo sviluppo e la commercializzazione di questa Architettura, micro nelle dimensioni, ma macro nelle potenzialità.
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Note 1. R.Piano, Elogio alla costruzione_discorso davanti a Bill Clinton ricevendo il premio Pritzker, il “Nobel per l’Architettura”, 1998 2. D.Defoe, Robinson Crusoe, Feltrinelli, Milano, 1993 p. 81 3. A. Rogora, Carta e Cartone in Edilizia, EdicomEdizioni, Manzano, 2006 p. 5 4. Ibidem p. 53
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Stasi e movimento, due concezioni agli antipodi, che nel tempo hanno accostato i loro orizzonti arrivando quasi a sfiorarsi. Tutto ciò in architettura accade fin dai tempi più antichi, quando si cercò d’incorporare il concetto di mutabilità del movimento all’interno degli edifici e non solo. Nell’epoca barocca fu nel campo della scenografia teatrale, che si ebbero i primi esempi di architettura effimera,quindi di un’architettura labile, provvisoria, di breve durata. Le prime strutture effimere riguardavano apparati realizzati in occasione di feste e celebrazioni. Gli artefici di tutto ciò si proponevano l’obiettivo di stupire gli spettatori con delle realizzazioni che somigliassero quanto più possibile alla realtà, in modo da ingannare ed illudere coloro che le osservavano. Molti furono gli architetti famosi che si cimentarono nella realizzazione di tali opere, sperimentando diverse tecniche che consentirono loro di ideare delle vere e proprie architetture. L’aspetto più interessante che riguarda le architetture effimere è quello della loro metamorfosi. La contrapposizione tra effimero e lunga durata è da sempre un continuo alternarsi di elementi e di forze, oltre che una semplice definizione postulata dalla persistenza delle forme. Si potrebbe affermare che l’effimero sia il primo elettore della lunga durata; quasi una ironia, ma anche la conferma del fatto che l’uno serve all’altra, almeno per consacrarne una continuità, una stabilità ed anche per stabilire un riferimento. Parlando di riferimenti, entrano in gioco le grandezze, ovviamente, quelle temporali. L’intermittenza degli eventi effimeri stabilisce scale di valori, rispetto alle quali diventa possibile classificare cosa sia veramente la lunga du
L’ARCHITETTURA EFFIMERA
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L’architettura effimera
rata, o per lo meno, rispetto a quale sistema di riferimento. Le grandezze diventano tutte relative. Meglio dire che, quando si parla di tempo, tutte le realtà sono da considerarsi transitorie. Il tempo e lo spazio si intrecciano. Sono da considerarsi come due prospettive di una stessa entità che forse riusciamo a percepire semplicemente come una forma di energia. Forse per questa ragione, nell’architettura moderna, le strutture effimere riescono a catturare con autorità gli spazi, riescono a sottrarre autorità alla costante dominanza delle forme persistenti. Sarebbe meglio dire che riescono a cambiare il modo di percepire gli spazi, fino a confondere gli osservatori riguardo alla destinazione d’uso o del non uso. L’uso di architetture mobili, di materiali effimeri, non autorizzano a una minore attesa verso questi aspetti. Al contrario, la dimensione estetica in cui viviamo richiederebbe un’attenzione alla forma, al dettaglio, alla capacità di esecuzione, agli aspetti qualitativi. Oggi ancor più di prima l’architettura effimera si adatta perfettamente allo stile di vita della società, costretta sempre più alla “non stabilità” alla mutazione di luoghi,ai non luoghi;le esigenze sono diverse e le caratteristiche del progetto devono rispondere a queste esigenze: leggerezza, basso costo, provvisorietà.. E’ per questo che con estrema ricercatezza, si sta sviluppando un modo nuovo e disincantato di affrontare il compito architettonico. Lavoro svolto da architetti intenti a realizzare piccoli interventi con poca spesa e molto impegno progettuale. Costruzioni più simili a installazioni che non a edifici 11
Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
tradizionali, costruite da materiali poveri, montati a secco, che conferiscono alla costruzione l’aspetto di un assemblaggio. L’architettura dell’assemblaggio è ormai commisurata ad una tendenza, ad un livello esigenziale, ad una qualità della vita radicalmente differente. Modificabilità, autocostruzione: cultura dell’hardware, cioè del ferramenta, del fai-da-te, la casa da autocostruire con il cacciavite e senza cazzuola. Temi come l’individualità, la standardizzazione, i trasporti, la semplicità di assemblaggio, la rapidità di costruzione, la modularità, le finiture industriali, descrivono una realtà costruttiva e abitativa troppo a lungo ignorata dagli addetti ai lavori ma non dalla gente comune che, proprio con queste tecniche, ha costruito le periferie suburbane. Il progetto non può più fare i conti con l’immodificabilità del prodotto: bisogna riconoscere il superamento del concetto di stabilità temporale e spaziale del progetto di architettura che dovrà imparare a governare la propria modificabilità e la propria alterabilità. Leggerezza, basso costo, provvisorietà sono da intendere come condizioni che favoriscono la materializzazione di concettualizzazioni architettoniche. L’aspetto scatolare rimproverato a tanta architettura moderna, più un’immagine cubista che un autentico fatto costruttivo, diventa ora un fatto reale: i nuovi assemblaggi architettonici aspirano ad abbandonare la fatica del costruire per diventare in forma ingrandita, modelli a scala reale, gioco delle costruzioni. L’immortalità dell’architettura, la sacralità del luogo architettonico non hanno più ragione di esistere; l’architettura deve essere rapida come il nostro passaggio nel mondo è veloce. Concepire interventi provvisori con 12
L’architettura effimera
una durata di vita limitata, ma perfettamente inseriti, posizionati nel tempo in cui sono nati. La regola di questo giocare sulle strutture effimere e temporanee è che una volta finite, si smontano, per liberare nuovamente lo spazio che era stato occupato,regola generale per tutte le esposizioni.
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“L’idea di tradizione può mettere a disagio, perché rimanda a un mondo di convenzioni e vncoli: le tradizioni appartengono al passato, un passato abitato dai severi fantasmi degli antenati. Ma la tradizione può essere anche una guida e una maestra, e può ispirare soluzioni architettoniche che stimolano l’immaginazione ben oltre ciò che appare razionale” 1 (Anthony reid)
Quando si parla di architettura senza architetti, ci si riferisce ad un’architettura fatta di materiali naturali che dalla natura derivano e che disgregandosi da essa “nobilmente” tornano, con forme anche essenziali e strettamente funzionali ma senza mai dimenticare qualcosa che le rende armoniose con l’intorno. Un’architettura dove le “imperfezioni” nella forma non sono un aspetto negativo,ma una peculiarità, spesso dovuta ad una progressiva crescita nel tempo degli stessi organismi edilizi e a procedimenti costruttivi semplici ma radicati nei costruttori. Già Le Corbusier, in “Vers une architecture”, pone le basi ad un rinnovamento radicale a partire dall’osservazione dei grandi silos granari americani, dei transatlantici e di altre costruzioni “senza architetti”. Nel 1964, quarant’anni dopo, il critico viennese Bernard Rudofsky organizza al MoMa di New York una mostra intitolata “Architecture without Architects”, in cui raccoglie un’ampia casistica di costruzioni vernacolari provenienti da ogni angolo del mondo e mette a confronto costruzioni disparate, dagli insediamenti Dogon ai trulli di Alberobello, dal monte Athos ai villaggi della Guinea del Congo. Il viaggio di Rudofsky ebbe l’effetto dirompente di rimettere al centro dell’attenzione le funzioni primarie dell’architettura, e la ricchezza delle possibili soluzioni tecniche e spaziali: costruire strutture protettive, dimore, villaggi così come templi e apparati monumentali in grado di interpretare e comunicare i valori autentici della comunità. Nel 2010 è la volta di John May che, citando Rudofsky, scrive un libro intitolato “Architettura senza Architetti_guida alle costruzioni spontanee di tutto il mondo” in cui pubblica un “viaggio” attraverso l’architettura spontanea, dai fienili della Pennsylvania alle ger mongole. Con questo testo, May, documenta i tentativi dell’uomo di rispondere alle esigenze primordiali del riparo, sfruttando le risorse con minor impatto sull’ambiente.
L’architettura senza architetti
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Alcuni casi studio
Fig .1
Fig .2
Dallo Yurta mongolo al Tongkonan indonesiano, dal Trabocco italiano al Mudhif iracheno, un viaggio attraverso le architetture senza architetti, nate per soddisfare i bisogni primari dell’uomo, fatte di materiali naturali e spesso riciclati. Lo Yurta (o Ger)(Fig.1 e 1a) è un’abitazione mobile adottata da popoli nomadi della Mongolia. Nonostante la Mongolia si sia fortemente urbanizzata, più della metà dei Mongoli continua a vivere nelle loro abitazioni tradizionali sia che si tratti di nomadi di campagna o di abitanti di città e villaggi. Le yurte sono architetture costituite da uno scheletro di legno e una copertura di tappeti di feltro; sono di dimensioni e aspetto variabili a seconda della cultura che le adotta. Il vantaggio di questo tipo di abitazione è che può essere smontata, spostata e assemblata in un tempo relativamente breve: si adatta quindi egregiamente a uno stile di vita nomade. L’interno contiene molti letti che servono da sedie durante il giorno. L’unica apertura è la porta d’entrata che è sempre rivolta a sud. La prima parte dell’assemblaggio viene effettuata legando in forma circolare un’intelaiatura costituita da segmenti di legni incrociati secondo un motivo a x, lunghi circa 1.50m ciascuno. Al centro della struttura si piantano due pali, a cui verranno collegati numerose strutture di sostegno collegate al telaio inferiore. Si procede quindi alla copertura della struttura con stuoie e tappeti di feltro. Più è spesso lo strato di feltro, più calda sarà la iurta all’interno, che viene così isolata dagli agenti atmosferici. Il Tongkonan (Fig.2 e 2a), è un’abitazione, tipica dell’Indonesia, costruita con assi di legno assemblate senza chiodi con incastro a linguetta e scanalatura, e si regge su una robusta palificazione di tronchi di albero, alta abbastanza
Alcuni casi studio
Fig .1a
Fig .2a
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Fig .3
Fig .4
per proteggersi dagli animali. La struttura è sormontata da un tetto a sella coperto di paglia; il tetto è a sua solta sostenuto da un sottotetto in pali di bamboo legati a travetti,su cui si stendono più strati sovrapposti di assicelle in bamboo legate con funi di rattan. A differenza della vistosa facciata, l’interno della casa è molto semplice. Il Trabocco (Fig.3 e 3a) è un’antica macchina da pesca tipica delle coste abruzzesi, è un’imponente costruzione realizzata in legno strutturale che consta di una piattaforma protesa sul mare ancorata alla roccia da grossi tronchi di pino, dalla quale si allungano, sospesi a qualche metro dall’acqua, due (o più) lunghi bracci, detti antenne, che sostengono un’enorme rete a maglie strette detta trabocchetto. Il Mudhif (Fig.4 e 4a),è una costruzione in giunco tipica dell’Iran meridionale. Lunghi e spessi fasci di giunco vengono piazzati in buche nel letto di canne, in due file parallele distanziate circa due metri; poi le parti superiori sono piegate fino ad incontrarsi e legate insieme a formare una serie di archi a ferro di cavallo. Gli archi, a loro volta, sono legati con lunghi fasci di giunchi che corrono a file orizzontali spaziate sul lato lungo dell’edificio. Ai quattro angoli ci sono fasci più alti di giunchi in verticale. Il tetto viene coperto con stuoie di giunco finemente intrecciate, le pareti con un intreccio meno fitto che consente il passaggio dell’aria. All’interno, fasci di giunchi sono usati come schienali e per realizzare letti, culle e cesti, oltre alle stuoie per il pavimento.
Fig .3a
Fig .4a
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L’architettura contemporanea dei maestri
Il modo di pensare, costruire, abitare, subisce dei mutamenti in virtù delle innovazioni tecniche del ‘900. Questo induce a sostituire ad un’architettura duratura, che ha una “quota di eternità” e destinata a durare a lungo, un’architettura durabile concepita per avere una vita relazionata al tempo in cui sarà utilizzata. Si assiste ad un passaggio dall’idea di tempo, all’idea di temporaneità intesa come declinazione del concetto di tempo nel costruire nel vivere. La “temporaneità può essere riferita al manufatto, in ragione della durata del suo esercizio in una determinata localizzazione oppure all’utenza, in ragione della lunghezza dell’intervallo temporale con cui essa viene a ricambiarsi; oppure al manufatto ed all’utenza insieme. Mentre la durata dell’esercizio del manufatto agisce sulla definizione delle caratteristiche di mobilità di questo (mobilità del manufatto), l’intervallo di tempo con cui l’utenza si ricambia (ricambio dell’utenza) agisce sule caratteristiche di comfort”(Franco Donato)2. La leggerezza è la caratteristica da cui una costruzione temporanea non può prescindere. Materiali e sistemi costruttivi devono essere leggeri, prima di poter diventare espressione di temporaneità, per tanto la costruzione temporanea si avvale di materiali che siano ridotti nelle dimensioni e nel peso e ricondotti ad elementi da comporre e assemblare a secco, scelti a catalogo nell’ambito della produzione industriale. “Nell’evoluzione storica delle tecniche costruttive si è andato affermando un’idea di tempo non riferita strettamente alla vita dell’edificio, ma piuttosto all’uso che ne fa l’utente; quest’idea si basa sul confronto e sulla collaborazione, e non sul dominio, tra uomo e natura, grazie alle nuove tecniche che favoriscono la leggerezza e la reversibilità del costruire”(Eduardo Vittoria)3 .
L’architettura contemporanea dei maestri
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Fig .5
IL TEATRO DEL MONDO_ALDO ROSSI_VENEZIA_1979
Alcuni casi studio
Realizzata da Aldo Rossi come opera temporanea per la Biennale di Venezia 1980, quest’opera si presenta come la consacrazione dell’architettura postmoderna. (Fig.5 e 5a) Nella costruzione l’architetto fu mosso da tre necessità: 1)Avere uno spazio utilizzabile preciso ma non precisato, 2)Collocarsi come volume secondo la forma dei monumenti veneziani, 3)”Essere sull’acqua” . Venne realizzata in cantiere, come una vera propria imbarcazione e viaggiando sulla laguna veneta raggiunse Venezia proprio nell’estate del 1980. Non siamo in presenza di un’architettura fissa e statica bensì di un’architettura mobile che viaggia per i canali della città e che diventa di volta in volta un elemento al quale la città deve rapportarsi. Questo teatro ha una struttura stereometrica, impostata su di un piano di zattere: un corpo cubico di base 9,50 m con un’altezza di 10 m, al quale si addossano i due corpi scale e si sovrappone un torrino ottagonale che ha sulla sommità una sfera con una bandiera. La struttura è basata su un sistema di tubolari di ferro ma è celata dietro un rivestimento ligneo.Utilizza il sistema della zattera in legno,solidissimo e forte nel tempo (nonostante si tratti di un’opera effimera), e ferro, con l’intento di muoversi sull’acqua con lo stesso movimento e lo stesso cigolio di una barca. L’organizzazione funzionale dello spazio interno si articola attraverso un sistema di gradinate, che al livello inferiore si fronteggiano sui lati maggiori del palcoscenico che è rettangolare ed un sistema a galleria che si distribuisce sui tre ordini, quello superiore permette l’accesso alla terrazza, dove si imposta il cupolino ottagonale. La limitata capienza del teatro permette la realizzazione di spettacoli diretti, con un forte rapporto con il pubblico. L’architettura effimera, soggetto dell’opera, è rapportata a quello delle basiliche .
Fig .5a
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Alcuni casi studio
I riferimenti storici sono: le case - mulino e le torri svizzere, che si trovavano vicino Zurigo; un altro è quello dei fari lignei in America; c’è, inoltre, un chiaro riferimento alle abitazioni fluviali delle città gotiche che potevano essere facilmente viste nei dipinti delle vedute veneziane; e poi il riferimento più evidente è quello ai barconi teatrali dei cortei carnascialeschi veneziani del ‘500 e del ‘700 che vengono richiamati anche nella denominazione di teatro del mondo. In questo progetto si trova una caratteristica rossiana, cioè l’assemblaggio dei volumi primari. C’è un ribaltamento totale della concezione della tipologia. Ancora una volta le riflessioni rossiane sulla tipologia sono articolate ed estremamente raffinate. In questo caso la tipologia del teatro viene completamente snaturalizzata rispetto alla sua consuetudine storica: se il teatro è un luogo prettamente formato da un invaso e quindi lo spazio della scena è quello che dà la connotazione architettonica a tutto il progetto, uno spazio introverso, in questo caso c’è un ribaltamento per una estroversione aperta al paesaggio. Dall’interno del teatro durante la recitazione e contemporaneamente durante la navigazione la presenza di finestre, che rompono anche cromaticamente l’uniformità perché sono verniciate di azzurro rispetto al colore naturale del legno che viene utilizzato per tutto il rivestimento, consentono allo spettatore di seguire la rappresentazione e contemporaneamente di vedere il paesaggio naturale. Questa architettura è basata su un impatto visivo molto forte. Rossi ne parla così: “Questo teatro veneziano è legato all’acqua e al cielo , per questo suo ripetere la composizione, i colori e i materiali del mare. Teatro veneziano diviso in due parti corrispondenti alla platea e alla balconata. Esternamente essi sono contenuti in un poligono e in un quadrato; il quadrato poggia su una zattera di legno e ferro. 19
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Fig .6
Fig .6b
Il ferro ed il legno sono i materiali del teatro galleggiante non tanto perché questi sia effimero, ma perché sono i materiali del mare, di barche e di navi. Così era l’effetto del teatro durante la navigazione, un continuo cigolio del movimento appunto come su una nave o in una barca. La cornice veneziana significa la visione del teatro in questa particolare presenza veneziana. Queste torri, o cupole e minareti ritornano in ogni disegno di questo teatro”.4 E’ un’opera legata al mare e al cielo, riprendendo i loro colori. “Un luogo dove l’architettura si è conclusa e il mondo della fantasia ha inizio”. IL PADIGLIONE IBM_RPBW_GENOVA_1982 “Come il tendone di un circo, il padiglione trasparente è stato installato in differenti città. Un circo pensato per presentare le tecnologie future della comunicazione, ma anche una serra trasparente da collocare nei differenti parchi.” (Renzo Piano). 5
E’ un “edificio” temporaneo studiato per presentare il futuro informatico nelle aree verdi di diverse città d’Europa.(Fig.6,6a e 6b) Lungo 48m per una larghezza di 12 e un’altezza di 6, costituito da 34 archi, formati ognuno da 6 elementi piramidali in policarbonato. Gli altri materiali sono il legno lamellare e pezzi in fusione di alluminio. La struttura è composta da archi autoportanti assemblati; ogni arco è struttralmente indipendente ed è costituito da differenti elementi che sono un mix di materiali antichi e nuovi giuntati insieme, legno lamellare per la struttura primaria, pezzi di fusione in alluminio per i giunti e piramidi in policarbonato trasparente per comporre l’insieme della struttura. Un padiglione trasparente e immateriale, immerso nella natura. Il concetto di effimero è fondamentale per lo sviluppo del progetto: l’assenza di durata fa cadere molti vincoli e consente una sperimentazione a più largo raggio. La mostra doveva essere installata
Fig .6b
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Alcuni casi studio
in un proprio padiglione, destinato ad essere assemblato ogni volta in un parco urbano. Mostra e padiglione viaggiavano in un container, e quindi tra i requisiti necessari c’erano la facilità di smontaggio e rimontaggio. Il montaggio della struttura, relativamente semplice, non richiede mano d’opera specializzata: bastano delle istruzioni sulle poche e semplici operazioni da compiere. La struttura viene montata in 3 settimane circa, da una squadra di 15 uomini. Il trasporto utilizza 20 semirimorchi, per tutta la struttura e il materiale espositivo (terminali etc.). Questo padiglione, come molte altre esperienze di Piano, è pensato secondo materiali e assemblaggi non convenzionali. Tenendo ferme alcune idee di base, l’arco, la trasparenza, un certo tipo di immagine, molti particolari e molti dettagli sono stati modificati nel corso della progettazione completa (che, va detto, è stata rapidissima, circa 12 mesi per la progettazione esecutiva e la sperimentazione alla prima realizzazione finita). Come un tendone da circo. Immerso in un parco, questo padiglione rappresentava un accostamento quasi provocatorio di tecnologia avanzata e natura; un edificio talmente leggero nella sua trasparenza, nella sua frantumazione in mille piccoli dettagli, da trovare posto ovunque, da adattarsi a tutte le città dove veniva ospitato.
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PAPER DOME_SHIGERU BAN_MASUDA (GIAPPONE)_1998 Deposito progettato nel 1995 per un appaltatore di case in legno. La struttura misura 28m x 25m, si basa su un sistema di assemblaggio a secco molto semplice, così da poter essere montato dalla squadra di carpentieri del cliente. Il progetto di Ban è un tetto incurvato stratificato, con un’altezza di punta 8m al centro. Poiché i tubi di carta non possono essere prodotti come elementi curvi senza perdita di integrità strutturale, ogni fila dell’arco è costituita da diciotto tubi di carta con un diametro esterno di 29 cm, collegati tra loro da giunti di legno laminato. L’impermeabilizzazione dei tubi di carta è stata ottenuta con uno strato di poliuretano che ha minimizzato la l’espansione e la contrazione dovuta ai cambiamenti di temperatura. La rigidezza laterale è stata ottenuta con uno strato di compensato strutturale inserito sopra la struttura dei tubi di cartone. Ciascuno pannelli di compensato contiene un foro di 50cm di diametro per permettere alla luce naturale di entrare. Il compensato è coperto da uno strato di policarbonato ondulato. La controventatura supplementare con cavi d’acciaio è stata inserita come precauzione contro i cambiamenti improvvisi di carico che si verificano, ad esempio, quando la neve accumulata sulla copertura si rompe e cade improvvisamente. (Fig.7 e 7a)
Fig .6b
ORIBE TEA HOUSE_KENGO KUMA_ASCOLI PICENO_2006 Il Padiglione(Fig.8 e 8a) è un’installazione temporanea che fornisce a Kuma l’occasione per sperimentare un uso particolare del policarbonato alveolare. Il padiglione si configura come uno spazio di pura contemplazione, uno spazio vuoto a partire dal quale il maestro giapponese “immagina la materia”, ne esplora le possibilità agendo all’interno del suo “codice geneti22
Alcuni casi studio
Fig .8
Fig .8a
co”. La materia è il principio attraverso il quale Kuma ci fa cogliere l’esistenza di strutture di significato stabili;la realizzazione in autocostruzione del Padiglione è il risultato di una sperimentazione condotta in ambito didattico, che ha visto studenti provenienti dalla Facoltà di Architettura di Siracusa e studenti provenienti dalla Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno interagire e confrontarsi sulle connessioni tra tecnologia e progetto, costruzione e figurazione. Verificare la possibilità di trasferire all’interno dell’attività didattica le connessioni tra ricerca, formazione e professione era il fine di quest’esperienza, che ha visto i due gruppi di studenti impegnati prima a ridisegnare e poi a costruire, pezzo per pezzo, il padiglione. Il dialogo con le aziende che hanno sostenuto l’iniziativa, l’integrazione tra le diverse necessità in gioco, ha permesso di sviluppare e mettere a punto insieme a Kuma soluzioni che costituiscono delle “forme adattive” rispetto a quelle utilizzate nel progetto originario, come testimoniano sia la soluzione della pedana sia quella del sistema di illuminazione dinamico. Lungo 6,40 m, il padiglione è il risultato dall’aggregazione di 93 costole di policarbonato alveolare. Spesse 6 mm, le costole, di geometria e dimensione variabile, sono ottenute accoppiando più pannelli di policarbonato. Le lastre sono impiegate disponendo gli alveoli in senso verticale in ragione di una duplice necessità: irrigidimento e diffusione della luce. Ad una maggiore rigidezza dei pannelli corrisponde, infatti, un’omogenea diffusione della luce proveniente dal pavimento. Quest’ultimo, soprelevato di 18,5 cm, è realizzato con un graticcio di profili d’alluminio e vetromattoni. Le costole di policarbonato sono disposte ad intervalli di 100 mm. I distanziatori, di dimensione 5x65x100 mm, sono anch’essi di policarbonato alveolare. La connessione tra lastre e distanziatori è realizzata con fascette di nylon. Il ricorso ad un unico materiale sembra volere rimandare ad un pensiero ininterrotto, ad un’interpretazione più ampia dei significati attribuibili al fare, alla tecnica, 23
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alla materia e al modo in cui Kuma la utilizza. Riflesso e profondità in quest’opera sembrano convivere e lo spazio interno, avvolto in un alone di luce misteriosa, ci rimanda ad un’immagine che ha una potenza dirompente, una forza che trascende il suo significato specifico. CASA UMBRELLA_KENGO KUMA_MILANO_2008 Questo progetto ha avuto avvio con lo scopo di suggerire un nuovo tipo di “casa temporanea”. Partendo da un ombrello, il prodotto è stato sviluppato e migliorato per essere leggero, facilmente trasportabile e soprattutto per essere un riparo efficace dalla pioggia. Casa-umbrella è costituita da un icosaedro regolare, ciascun triangolo del quale è stato sostituito da un ombrello. I collegamenti tra i vari ombrelli sono uguali alle cerniere utilizzate per le mute da sub così si può realizzare uno spazio nuovo in un’aria aperta semplicemente aprendo un ombrello e chiudendo la cerniera. La misura di ciascun elemento dipende dalle dimensioni dello spazio che si vuole creare. Il materiale con cui sono realizzati è un tessuno non tessuto in poliestilene chiamato Tyvek, prodotto da DuPont, che ha qualità di impermeabilità e resistenza all’umidità eccellenti ed è facile da cucire e da collegare alle cerniere. Un riparo dalla pioggia, un luogo accogliente, casa umbrella diventa la casa temporanea del giono d’oggi.(Fig.9 e 9a)
Fig .9a
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Note 1. J.May, Architettura senza Architetti_guida alle costruzioni spontanee di tutto il mondo, Rizzoli, Milano, 2006 p. 6 2. F. Donato, G. Guazzo, M. Platania, Abitazioni per l’emergenza: ricerca per un sistema residenziale trasferibile, Veutro Editore, Roma, 1983 4. A.Ferlenga a cura di, Aldo rossi_ architetture 1959-1987, Electa, Milano, 1989 5. R.Piano, Giornale di bordo, Passigli editore, 2006 p. 72
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La carta e il cartone sono materiali considerati comunemente effimeri, poco durevoli, adatti ad utilizzi che non necessitano di requisiti di resistenza nel tempo e solidità. Nell’immaginario collettivo contemporaneo il cartone è quasi sempre identificato con il mondo degli imballaggi, con svariate tipologie di “scatole” che contengono prodotti che si acquistano quotidianamente. Raramente si pensa al cartone come ad un materiale per costruire e realizzare oggetti destinati a durare nel tempo, molto spesso lo si associa al contenitore condannato al suo destino “usa e getta”. Il cartone da imballaggio è interprete di ciò che è passeggero, transitorio; non a caso il trasloco, il cambiare casa, avviene mediante l’uso di molti box di cartone che, per pochi giorni ospitano la parte oggettistica della nostra esistenza. Il box di cartone racconta la temporaneità, questo transito, come un viaggio, come la reale condizione del vivere. Eppure il più effimero dei materiali esercita un fascino irresistibile sugli architetti, artisti e designer di tutto il mondo, proprio per le sue caratteristiche tecniche e l’enorme potenzialità; è un materiale che sfida la creatività, che spinge alle sperimentazioni, che stimola le idee progettuali. Sono sempre più frequenti gli esempi di un fare resistente e leggero, nel design così come nell’architettura, negli ultimi anni abbiamo assistito ad un crescente interesse per un percorso di sperimentazione e ricerca sugli utilizzi innovativi di questo materiale. Sono sempre più numerosi gli “oggetti”, presenti sul mercato, che esplorano il fascino e le qualità inedite del cartone, dimostrando che, con abilità tecnica, si può trasformare un materiale, apparentemente delicato ed effimero, in un universo di prodotti. Si tratta di prodotti industriali, leggeri, flessibili, trasformabili, trasportabili, adattabili a diversi contesti d’uso, che ben rispondono alle esigenze della vita contemporanea, sempre più mobile e
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Il Cartone. L’architettura come prodotto industriale
orientata al cambiamento e che, al contempo, valorizzano le caratteristiche di eco-sostenibilità del cartone. Tutti prodotti che sono testimonianza di quanto questo materiale incuriosisca i progettisti, che sperimentano le potenzialità con soluzioni progettuali innovative (poco o niente uso di colle, solo tagli, pieghe e incastri). Un approccio al progetto che, partendo dalla conoscenza del materiale, permette,con “facilità” e rapidità, di trasformare un foglio di cartone in un oggetto tridimensionale, funzionale, resistente e soprattutto riproducibile in serie. Ciò che desta più stupore e fascino nei prodotti in cartone è proprio la “magia” della trasformazione geometrica dal bidimensionale al tridimensionale, oltre alla compresenza di robustezza e leggerezza, caratteristiche che solitamente si escludono reciprocamente.
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Fig .1
Fig .1a
Nel 1969 per la prima volta il cartone diventa oggetto di trasformazione e di esaltazione delle proprie qualità nelle mani del noto architetto statunitense Frank O. Ghery. Nel 1971 l’architetto statunitense perseverò nell’utilizzare cartone per correggere l’acustica della Los Angeles Philarmonic Association. Oggi l’impiego del cartone in architettura è diventato sempre più terreno di sperimentazioni alquanto azzardate e coraggiose. Nel 1986 l’architetto giapponese Shigeru Ban sperimenta per la prima volta i paper tubes in occasione dell’allestimento della mostra su Alvar Aalto a Tokyo, dove i tubi sono scelti al posto delle più costose colonne in legno. Nel 1989,l’architetto progetta Paper Arbor a Nagoya (fig.1 e1a),la prima di una serie di costruzioni in cui i tubi di cartone (che possono essere prodotti in qualunque formato, diametro e spessore e sono assimilabili, per caratteristiche meccaniche e morfologiche al bamboo) hanno funzione strutturale e non più solo di schermo o partizione interna. I 48 tubi (325 mm di diametro, 15 mm di spessore, 4 mt di altezza) sono stati impermeabilizzati con paraffina, fissati alla fondazione prefabbricata in calcestruzzo, uniti tra loro con un collante e in sommità da un anello in legno. Il telo di copertura è teso e ancorato ai cavi a raggiera. Dopo 6 mesi di vento, pioggia e sole, grazie anche all’indurimento della colla, la resistenza a compressione dei tubi risultava aumentata.L’opera di Shigeru Ban richiama non solo la sperimentazione architettonica, ma anche il valore concreto dei programmi di riciclo di carta e cartone e di tutela dell’ambiente. Divenne popolare in Giappone nel 1995, quando disegnò e realizzò, su larga scala, abitazioni economiche e di rapido montaggio per i terremotati di Kobe, impiegando come materia prima essenziale tubi realizzati con carta riciclata. Per la realizzazione delle sue opere egli avvolge, con dei collanti naturali,
Sperimentazioni e innovazioni in architettura
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Sperimentazioni e innovazioni in architettura
Fig .2
Fig .2a
della carta riciclata attorno un tubo di alluminio. Una volta seccata la carta, il tubo di alluminio si sfila e le colonne di carta vengono trattate con cera per renderle impermeabili. Con quegli stessi materiali di base, interamente riciclabili. Come Ban insegna, è possibile rendere i semilavorati del cartone sufficientemente resistenti a compressione così da poter sopportare carichi strutturali, in modo da offrire una valida alternativa ai materiali a grande energia primaria di produzione (acciaio, calcestruzzo, etc.). Naturalmente la possibilità di utilizzare il cartone nell’edilizia comporta lo studio di sistemi che lo rendano resistente al fuoco e all’acqua. I benefici possono però essere sorprendenti: uso di materiale riciclato in partenza, bassissimo impiego di energia primaria di produzione, possibilità di riuso e riciclo alla fine del ciclo di vita della struttura. L’esperienza forse più interessante per promuovere l’utilizzo della carta e del cartone riciclato in edilizia è stata la realizzazione di un edificio adibito a doposcuola a Westcliff on Sea nei pressi di Dover in Gran Bretagna (Fig.2 e 2a). In questo intervento i progettisti, le imprese di costruzione e i produttori dei materiali in carta (tubi, lastre, pannelli) hanno condotto una sperimentazione che è nata con una iniziale ipotesi di progetto, è continuata con prove su modelli e prototipi di connessioni, ha portato alla riconsiderazione di alcune scelte di progetto, quindi alla realizzazione del manufatto edilizio ed infine alla modifica ex-post di alcune soluzioni originali di progetto per i futuri interventi. Se fino a qualche tempo fa questi esempi rappresentavano una rarità, nell’ultimo decennio la ricerca e le sperimentazioni in questo settore hanno fatto immensi progressi. Da Siracusa a Zurigo, da Cambridge a Auckland, il panorama delle esperienze prodotte all’interno delle università diventa sempre più vasto. 29
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Fig .3
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Il foglio di cartone ondulato è la costante di tutti questi prototipi, ciò che li differenzia è, invece, la tecnica costruttiva e la tecnologia impiegata. Alcuni esempi possono essere: Packed Pavilion (fig.3), struttura progettata all’interno di un corso presso l’ETH di Zurigo, formata da un numero variabile di tronchi di cartone ondulato incollati e fissati, poi, con fascette. I 409 coni che compongono il padiglione hanno ciascuno una dimensione diversa e vengono assemblati come un puzzle fino a formare una “rete di cerchi”. Packaged Pavlion (fig.4) progettata a Londra per un’esposizione all’interno di un del centro commerciale, è un’esplorazione dell’interazione fra gli oggetti del consumatore e la nozione che la realtà è stata sostituita da un gran numero di scenari e di simulazioni. Cupcake Pavilion (fig.5) progettata ad Auckland, realizzata interamente in cartone ondulato tagliato a laser; 463 pezzi formano il padiglione che ,grazie al materiale con cui è fatto, diventa un’architettura poco costosa, riciclabile, facilmente smontabile.
Fig .5
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Il design ecosostenibile
Fig .6
Il design “ecosostenibile”
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Il cartone, materiale utilizzato fino a qualche anno fa solo per gli imballaggi, oggi è utilizzato anche nell’arredamento grazie al design ecosostenibile. Stiamo parlando del cartone ondulato, un materiale rigido e resistente, ottenuto attraverso collanti naturali costituiti da più fogli di carta che gli permettono di assumere una forma increspata. Il design sostenibile – o ecodesign – ha una storia lunga. Risalgono al 1964 i contenitori di Nutella abbelliti con decorazioni tratte dall’immaginario fumettistico, progettati per essere riciclati come bicchieri. Ma ancor prima troviamo gli embrioni di una creatività pragmatica e refrattaria agli sprechi: pensiamo alle borse a rete (peraltro ancora largamente usate), riutilizzabili, compattabili e riciclabili, introdotte nella seconda metà del XVIII secolo. Nel 1969 per la prima volta il cartone diventa oggetto di trasformazione e di esaltazione delle proprie qualità nelle mani del noto architetto Frank O. Ghery. Egli intraprese una ricerca per sistemi di sedute in cartone (fig.6) incollato a strati, dimostrando la forza figurativa e strutturale che questo materiale lavorato in modi inconsueti poteva coniugare. Ai giorni nostri l’idea del design sostenibile si è fatta definitivamente strada, dando un notevole impulso alla creazione di oggetti ormai entrati nell’uso comune: arredi e attrezzi pieghevoli, indossabili, trasportabili, poco ingombranti; creazioni versatili che suggeriscono pratiche di vita e comportamenti responsabili. Il prodotto del design sostenibile è spesso capace di invecchiare e decomporsi, imitando processi e cicli della natura. L’idea di una seconda vita degli oggetti attraversa l’ecodesign sin dalle origini, dato che questo paradigma trova espressione non soltanto nell’innovazione, ma anche nel recupero di ciò che già esiste, per cercare nelle cose qualche funzionalità nascosta e insospettabile che ci consenta di farle sopravvivere prolungando indefinitamente il loro utilizzo. La dottrina del riutilizzo, diametralmente opposta a quella dell’usa e
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Fig .8
Fig .8a
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getta, racchiude in fondo l’essenza dello sviluppo sostenibile, che secondo la definizione corrente coincide con una saggia e oculata gestione delle risorse naturali, per garantire il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni presenti e future. Qualche volta le scoperte sono casuali. A volte sono figlie di tenaci esperimenti. Quelle buone hanno determinato i passi dell’evoluzione, migliorando la qualità della vita. Ecco che l’uomo ha iniziato a camminare su due “zampe”. Ecco che la pietra è stata sostituita dal bronzo, a sua volta rimpiazzato dal ferro. Ecco che oggi il petrolio, un tempo considerato insostituibile, attualmente viene affiancato da energie rinnovabili e naturali. Ecco che il linguaggio si arricchisce di nuove forme di espressione. Tutto questo fa parte di un progresso che difficilmente l’uomo riesce a prevedere a priori. Era difficile, qualche anno fa, immaginare che ci si sarebbe potuti sedere su un foglio di cartone ripiegato su se stesso, era difficile concepire questo materiale come il protagonista del nostro arredo. Invece c’è chi non ha mai smesso di crederci e, grazie alla ricerca di innovazione tecnologica, agli studi di fattibilità e al perfezionamento di congegni meccanici, ha disegnato oggetti per la casa sempre più curati nei dettagli. Un esempio è Roberto Giacomucci che ha realizzato Keope 6 (fig.7),un tavolo che per i suoi soli 6 Kg di peso, può essere senza dubbio annoverato tra i tavoli più leggeri al mondo. Ma l’atteggiamento di sfida dei designer nei confronti di questo materiale li ha portati a sperimentare ciò che forse non era immaginabile, il foglio di cartone si traforma in una culla (fig.8), in un vestito (fig.8a), in un paio di scarpe(fig.8b), nel seggiolone pieghevole(fig.8c), nel giradischi(fig.8d), in un porta pc(fig.8e) o addirittura una cassa da morto(fig.8f ), insomma il cartone si è “inserito” perfettamente in tutti gli oggetti che scandiscono la nostra quotidianeità.
Fig .8c,8d,8e e 8f
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Il Cartone Ondulato. La filiera di produzione
Fig .2
Fig .1
IL CARTONE ONDULATO. LA FILIERA DI PRODUZIONE
La nascita del cartone ondulato è relativamente giovane, risale al 1875 quando J.H. Thompson ebbe l’intuizione di incollare una seconda copertina, alla carta ondulata già esistente, conferendo così alla struttura cartacea una certa rigidità che permetteva la fabbricazione di imballaggi rigidi atti a proteggere, contenere e trasportare un’infinità di prodotti. La carta è un materiale igroscopico (assorbe acqua) costituito da materie prime fibrose generalmente vegetali, unite per feltrazione. Il prodotto base per la fabbricazione della carta è la polpa di legno o la cellulosa (il legno, ridotto in trucioli, è associato a sostanze chimiche ottenendo così la pasta di carta) ricavata da alberi, solitamente abete o pioppo, ma anche da altre fibre come cotone, lino, canapa e carta riciclata. La polpa di legno o la cellulosa sotto forma di ammasso molle viene appiattito per mezzo rulli, fino ad ottenere fogli che si fanno essiccare. A seconda dell’uso a cui è destinata alla carta possono essere aggiunti collanti, cariche minerali, coloranti ed additivi diversi Si passa dal legno alle bobbine attraverso una ideale “macchina continua” (fig.1) e dalla bobbina al cartone ondulato attraverso una reale macchina ondulatrice. La MACCHINA ONDULATRICE Nello schema (Fig. 2), viene rappresentata una macchina ondulatrice per la produzione di un cartone semplice quindi ad una sola onda. Per realizzare un cartone a doppia o tripla onda è necessario disporre in linea con il primo gruppo ondulatore un secondo gruppo ondulatore e di conseguenza tutte le altre parti della macchina (ponte, porta bobine, pre-riscaldatori, pre-condizionatori). Il moderno processo di produzione del cartone ondulato potremmo definir-
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lo come una serie di impianti di carta ondulata, la quale viene assemblata l’una sopra l’altra fino all’ottenimento del tipo di cartone desiderato che esso sia ad una, due o tre onde. PORTA BOBINE La costruzione dei porta bobine o svolgitore, è la medesima sia per la carta da ondulare sia per le copertine. Nei moderni impianti di produzione gli svolgitori sono privi di asse, quindi due coni penetrano lateralmente nelle anime delle bobine per fissarle. Ciascuno porta bobine è dotato di un sistema frenante che serve per regolare la tensione del nastro durante lo svolgimento, l’operatore può agire, con attente regolazioni, sul freno anche per correggere degli eventuali difetti avvenuti durante la ribobinatura della carta. Il cambio dei rotoli avviene in automatico. Una seconda bobina viene preparata in prossimità dello svolgitore, il nastro di carta viene incollato a quello da sostituire e il precedente rotolo viene separato, questa è una fase delicata in quanto il nuovo rotolo deve subire una accelerazione per compensare le tensioni che si potrebbero verificare, le quali possono causare delle rotture con conseguente perdita di tempo e materiale. Comunque, se tutto viene eseguito correttamente, il cambio rotolo non comporta una eccessiva perdita di materiale. PRE-RISCALDATORI Per permettere la perfetta adesione tra l’ondulazione e la copertina durante l’incollaggio, è necessario togliere l’umidità residua all’interno del contesto fibroso che nelle copertine è del 7-8%. Il nastro di carta viene guidato nei pre-riscaldatori che sono dei cilindri lisci riscaldati internamente con vapore a 180-190°C, questi non sono azionati ma girano liberamente e possono essere dotati di sistemi frenanti per regolare la tensione della copertina. In 34
Il Cartone Ondulato. La filiera di produzione
caso di copertine con una elevata grammatura è necessario un tempo di contatto prolungato tra i cilindri riscaldati e la carta in modo da trasferire la giusta quantità di calore necessaria per allontanare l’umidità. Il lato della copertina a contatto con il cilindro solitamente è quello che verrà incollato all’ondulazione, in alcuni impianti è possibile riscaldare entrambi i lati per evitare che si verifichino difficoltà di incollaggio. PRE-CONDIZIONATORI Questo trattamento è specifico per la carta che verrà ondulata. Oltre al trattamento termico, come avviene per la copertina, il nastro di carta che subirà il processo di ondulazione necessita di una attenta regolazione dell’umidità. I pre-condizionatori sono praticamente uguali ai pre-riscaldatori per le copertine e hanno la stessa funzione, solo che questi sono motorizzati e regolabili per favorire l’ingresso della carta nel gruppo ondulatore. Sul cilindro riscaldato troviamo un impianto che con degli spruzzi di vapore tratta entrambi i lati del nastro, tale dispositivo umidifica la carta prima di essere ondulata, ma si possono compensare anche delle differenze nel profilo di umidità. L’apparecchiatura umidificatrice è dotata di regolatori per ogni singolo umidificatore a spruzzo, i quali possono essere inseriti e disinseriti a piacimento e in base alle esigenze. Questo processo è necessario e di fondamentale importanza, a causa del processo di trasformazione che la carta per onda deve subire oltre che per un buon incollaggio tra onda e copertina. Infatti l’umidità riduce la rigidità, aumenta l’allungamento, diminuisce la tensione interna della carta ed inoltre, mediante un incremento di umidità, viene ridotta la temperatura di rammollimento di lignina ed emicellulosa e di conseguenza si avranno dei vantaggi nella plasmabilità della carta durante l’ondulazione. Anche l’umidità iniziale della carta è molto importante ai fini della penetrazione dell’adesivo per l’incollaggio, perché nei pre-condizionatori una certa 35
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quantità di acqua viene già allontanata, quindi con una carta troppo secca non c’è una buona penetrazione del collante, con la carta troppo umida non c’è la presa della colla. GRUPPO ONDULATORE Possiamo dire che il gruppo ondulatore è il punto più delicato dell’intera macchina, in questo punto la carta da superficie piana diventerà ondulata, seguendo il profilo di ondulazione scelto rimanendo così lavorata fino all’applicazione dell’adesivo e alla successiva incollatura con la copertina. Questo dispositivo dispone di due cilindri scanalati sovrapposti riscaldati con vapore a 180°C e la pressione può essere variata in base al tipo di carta e alla grammatura. Dal momento in cui la carta ha preso la forma ondulata, per consentire l’aderenza della stessa al cilindro inferiore fino al momento in cui verrà incollata con la copertina, vengono utilizzati dei dispositivi chiamati pettini o guida (in inglese finger), disposti sul cilindro inferiore in corrispondenza delle scanalature. La distanza tra le scanalature, che determina il numero di pettini, dipende dal profilo dell’onda e deve essere scelta in modo che la carta rimanga sempre aderente al cilindro ondulatore per tutta la sua larghezza. La regolazione dei pettini risulta essere molto difficoltosa e quindi l’operatore di macchina deve avere molta esperienza e sensibilità. Una cattiva regolazione di tali dispositivi comportano dei difetti di lavorazione quali formazione di righe, rotture sulla cresta dell’onda in allineamento con i pettini e onde alternativamente alte o basse, questo ultimo problema può dipendere da una eccessiva distanza tra il pettine e la carta, venendo così a mancare l’aderenza al cilindro ondulatore. Tutti questi problemi hanno indotto ad utilizzare nuove tecnologie con macchine senza pettini (in inglese fingerless) dove l’aderenza al cilindro viene garantita in due modi: aspirazione con depressione o contropres36
Il Cartone Ondulato. La filiera di produzione
sione con pressurizzazione. Nelle macchine ad aspirazione con depressione viene praticato un vuoto in due modi o all’interno del cilindro ondulatore per mezzo di trapanazioni assiali che terminano con scanalature settoriali, o all’esterno per mezzo di beccucci aspiranti ingranati in scanalature circolari o casse aspiranti. Se la scanalatura aspirante si trova nel punto di contatto tra cilindro ondulatore inferiore e cilindro di pressione, la separazione della carta ondulata viene aiutata dall’aria che preme sulla stessa scanalatura. Con questi dispositivi si è si ovviato al problema delle onde alternativamente alte o basse e aumentato la produzione ma, la diminuzione del vuoto per minor tenuta, e lo sporcamente dei condotti causati da perdita di fibre o particelle di colla, danno luogo a difetti come marcatura della carta e zone prive di collante nei punti di contatto con il vuoto, per questo sono state messe a punto delle macchine pressurizzate. Queste macchine utilizzano una camera di pressurizzazione integrata. Il materiale per onda viene premuto sul cilindro ondulatore, rivolto verso il cilindro di pressione. Oltre al vantaggio di aver eliminato il difetto di onde alte o basse come nel precedente, non si hanno più marcature della carta grazie all’assenza di scanalature e non si trovano più punti mancanti di colla. L’unico svantaggio che deriva da questa soluzione è il difficile accesso alla zona di incollaggio in quanto anche essa è chiusa nella camera pressurizzata. Ad oggi possiamo dire che queste due soluzioni sono le più utilizzate nella fabbricazione del cartone ondulato e piano a piano si sta abbandonando quella con i pettini. Una delle cose importanti da prendere in considerazione, è la geometria di una sezione dei cilindri ondulatori, essi consistono di archi di cerchio come risalti o avvallamenti dei denti di scanalatura, e di rette come fianchi. Agli inizi della produzione del cartone ondulato, vennero usati delle forme rotonde, con le quali venivano formati, 37
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mediante semicerchi, i risalti e gli avvallamenti dell’onda. Nei successivi anni venne utilizzata la forma a V, ancora oggi usata negli USA, dove le onde dei risalti e degli avvallamenti consistono di segmenti circolari e segmenti angolari, inferiori a 180°, che sono uniti da fianchi diritti, tale forma può ricordare dei triangoli equilateri con le cime arrotondate, allineati uno vicino all’altro. Un’altra forma geometrica dei cilindri ondulatori è la così detta “sagoma Knochen”, la quale, mediante una forma speciale dei fianchi, impedisce, anche in presenza di un forte attrito radiale del cilindro ondulatore, uno schiacciamento dei fianchi della carta da onda. In Europa invece, si è affermata una forma mista. CILINDRO DI PRESSIONE Il cilindro di pressione preme contro il cilindro ondulatore inferiore a pressione regolabile, anch’esso come i pre-riscaldatori per le copertine e i precondizionatori per la carta da onda, è riscaldato internamente con vapore a 180°C circa per facilitare l’incollatura, tale cilindro è liscio e ruotante per favorire il trascinamento della copertina. In questo punto avviene l’incontro tra la sommità delle onde, già intinte nella colla, e la copertina, per la definitiva coesione tra le due superfici, in questo modo viene a formarsi la carta ondulata che una volta abbandonato il cilindro di pressione viene trasferita al ponte di immagazzinaggio. PONTE DI IMMAGAZZINAGGIO Questa parte è situata al di sopra della macchina ondulatrice e rappresenta l’elemento di giunzione tra la carta ondulata e le successive lavorazioni (incollaggio della seconda copertina). In questo punto viene creata una scorta di carta ondulata, molto importante quando avviene il cambio delle bobine nel gruppo ondulatore con conseguente rallentamento dello stesso, senza dover influenzare le lavorazioni seguenti. Oltre a creare una scorta, la carta ondulata deve adeguarsi al clima 38
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ambientale, infatti la carta per onda oltre che a subire delle forti sollecitazioni meccaniche, viene sottoposta ad elevate temperature e in funzione del dispositivo di applicazione del collante, ad una elevata umidità. Si riscontrano quindi delle elevate differenze di temperatura e umidità tra carta ondulata e seconda copertina, pertanto non può avvenire l’immediato incollaggio tra seconda copertina e carta ondulata perché altrimenti questa ultima, si potrebbe restringere per essiccamento; poiché ora è aderente alla seconda copertina, si verificano delle tensioni del nastro che, dopo la taglierina trasversale, danno origine all’incurvamento dei fogli singoli o “foglio imbarcato” che può rendere impossibile le successive lavorazioni. Questo fenomeno può essere causato anche da una cattiva regolazione della tensione del nastro, oppure da un differente condizionamento di umidità della carta ondulata e seconda copertina. La velocità del ponte, che è regolata separatamente, è molto più lenta rispetto la macchina per carta ondulata, di conseguenza, la carta ondulata si stende a pieghe sul ponte, quindi il materiale così piegato e rallentato allunga i tempi di permanenza sul ponte migliorando così l’adattamento ambientale. Degli svantaggi si possono verificare sul ponte: proprio per il formarsi delle pieghe, disuniforme suddivisione del calore, alti quantitativi di carta ondulata condizionata differentemente e difficoltà a regolare la tensione del nastro che può dar luogo al fenomeno di cui abbiamo parlato in precedenza, l’incurvamento del foglio in direzione longitudinale. INCOLLATORE Ci sono due fasi distinte di incollaggio, una è l’incollatore che deposita l’adesivo sui risalti delle onde un attimo prima di incollarsi con la copertina, la seconda è l’incollatrice ai piani dove avviene l’incollaggio della seconda copertina. Il deposito di adesivo sui risalti delle onde, avviene quando esse sono ancora trattenute dal cilindro ondulatore inferiore. Dal momento in 39
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cui l’ondulazione abbandona il cilindro per accoppiarsi con la copertina, passa qualche centesimo di secondo e il deposito di collante deve essere il più uniforme possibile. Il meccanismo di questo dispositivo è abbastanza semplice, si tratta di una vasca che contiene il collante mantenuto in movimentazione, un rullo liscio pesca il collante e un secondo rullo più piccolo ne dosa lo spessore. L’incollatrice ai piani invece, ha il compito di distribuire uno strato di colla sui risalti delle onde della carta ondulata derivante dal ponte di immagazzinaggio. Prima che la carta ondulata venga incollata alla seconda copertina, entrambe subiscono un trattamento termico per preparare i due nastri ad un migliore incollaggio, oltre che a evitare notevoli differenze di temperatura e umidità tra le due, in questo modo può essere ridotto l’inconveniente di fogli imbarcati. Considerando che la carta ondulata viene riscaldata dal lato copertina, trovandosi di fronte ad alte velocità e alte grammature c’e il rischio che le onde non vengano fornite di sufficiente calore anche in presenza di due preriscaldatori, quindi vengono prese in considerazione anche delle batterie a raggi IR dedite a riscaldare le onde. Alcune differenze si riscontrano nell’applicazione dell’adesivo nel gruppo ondulatore e nell’incollatrice ai piani infatti, in questa ultima la carta ondulata non è sostenuta dai cilindri ondulatori. I cilindri applicatori devono essere regolati attentamente senza alcuna pressione che comporterebbe lo schiacciamento delle onde, in questo punto difetti di onde alternativamente alte o basse sono molto evidenti. Dopo un breve tratto, dove la carta ondulata non è fornita di calore, avviene l’incollaggio con la seconda copertina con un dispositivo uguale al precedente, per poi proseguire nella zona di essiccamento chiamata piani caldi, qui grazie al calore presente, avviene la definitiva cottura dell’amido nativo. 40
Il Cartone Ondulato. La filiera di produzione
PIANI CALDI Come appena accennato precedentemente, i piani caldi sono la parte essiccatrice del cartone ondulato e servono alla completa cottura dell’amido nativo e all’allontanamento dell’acqua residua. L’essicamento del cartone ondulato avviene per contatto e quindi viene fatto passare su dei piani lisci riscaldati a vapore da 120° a 180°C, posti uno accanto all’altro, la temperatura del vapore è regolabile in funzione del tipo di cartone prodotto e, con cartoni pesanti, è necessario ridurre la velocità della macchina per facilitarne l’essicamento. Possiamo suddividere la temperatura di calore fornita dai piani caldi in tre gruppi: il primo è la zona di riscaldamento, nel secondo viene vaporizzato l’eccesso di acqua, nel terzo viene regolato il contenuto di umidità. Per permettere alla striscia di cartone di stare aderente ai piani caldi ci si avvale di un feltro superiore guidato da un tamburo di rinvio situato all’inizio e un tamburo di trascinamento posto alla fine. Tale feltro esercita una pressione sul cartone per aiutare l’incollaggio tra le superfici che può essere regolata tramite dei piccoli rulli di pressione, inoltre il feltro rallenta la dispersione di calore data dai piani e assorbe il vapore acqueo che si forma. Dopo aver abbandonato i piani caldi, il cartone incontra un feltro inferiore che insieme a quello superiore ne facilita l’avanzamento. TAGLIA CORDONA Possiamo dire che questa e le prossime lavorazioni che vedremo, non appartengono più alla fabbricazione del cartone ondulato, bensì a delle macchine trasformatrici integrate nell’impianto della macchina ondulatrice. Il cartone ondulato dovrà essere utilizzato per produrre scatole o casse pieghevoli, quindi è necessario che la striscia continua derivante dai piani caldi, subisca un taglio in senso longitudinale e un taglio in senso trasversale per ottenere così dei fogli in formati stabiliti. Si tratta di una taglierina che 41
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agisce in senso longitudinale in corrispondenza del formato previsto per formare la larghezza desiderata e contemporaneamente vengono rifilati i bordi del nastro; questo è necessario innanzitutto per compensare le differenze di allineamento tra le varie carte utilizzate e quindi, per avere un taglio netto sui bordi, e, in secondo luogo, per staccare le strisce non incollate sul margine del cartone. Per il taglio longitudinale vengono utilizzati coltelli circolari, che lavorano in base al principio del taglio per incisione. Per evitare uno schiacciamento del cartone, sia il coltello superiore che quello inferiore hanno fianchi slanciati e sono montati suddivisi in due, su manicotti spostabili sull’albero per semplificarne la manualità. Qualora avvengano frequenti cambi di formato, vengono impiegate delle apparecchiature chiamate “Triplex” che consistono nell’avere disponibili tre unità di taglio complete sia di lama e controlama che di cordonatura e controcordonatura, unite insieme in un supporto della macchina. Per il cambiamento di formato, sarà sufficiente far ruotare il gruppo da utilizzare e portarlo a livello della striscia di cartone ondulato. La cordonatura consiste nel parziale schiacciamento del cartone e definire quindi, in modo più preciso possibile, gli spigoli della cassa facilitandone la piegatura. Il cartone ondulato viene fatto passare attraverso dei dischi rotanti e in funzione del tipo di cordonatura scelta, si otterrà una marcatura più o meno accentuata. In questa fase possono riscontrarsi dei problemi relativi all’umidità del cartone infatti, con una umidità troppo alta o troppo bassa, le copertine possono andare incontro a rotture, inoltre bisogna prestare particolare attenzione anche alla pressione esercitata durante la fase operativa, anche in questo caso per evitare l’inconveniente citato prima. TAGLIERINA ROTATIVA La taglierina rotativa taglia il nastro di cartone ondulato in senso trasver42
Il Cartone Ondulato. La filiera di produzione
sale nel formato richiesto, a questo punto la striscia continua di cartone da origine a fogli con dimensioni ben precise. Si tratta di taglierine Syncron di alta precisione che consentono un taglio esattamente ortogonale ad alte velocità di macchina. Queste taglierine sono dotate si due dispositivi di taglio una indipendente dall’altra e montate su apposite spalle, ciascuno dei quali è composto da due alberi porta-lame. I due alberi vengono azionati mediante motori a corrente alternata o da variatori meccanici di velocità, così ruotando le due lame vengono a sfiorarsi ciclicamente secondo una data frequenza per ottenere così la misura desiderata. RACCOGLITORE All’uscita della taglierina trasversale, i fogli vengono sistemati su un nastro trasportatore il quale, andando ad una velocità inferiore rispetto la macchina, permette ai fogli di cartone di disporsi a “lisca di pesce” (a squame). La raccolta può essere effettuata anche manualmente, dal tappeto il cartone si deposita su dei rulli, di quì avanza sino ad uno scarico laterale posizionato a 90° rispetto al piano di avanzamento. Il prodotto viene raccolto a mazzette e posto su bancali. Nelle macchine attuali tutte queste operazioni avvengono in automatico. Il nastro trasportatore deposita i fogli su una piattaforma, la quale mediante fotocellule, si abbassa man mano che riceve i fogli. Quando la pila di cartone è formata e la piattaforma è al livello più basso, una barra di arresto frena la fuoriuscita di cartone dal tappeto. A questo punto viene liberata automaticamente la piattaforma portando i fogli di cartone su rullovie per altre lavorazioni. La piattaforma si rialza riportandosi al livello del piano di uscita dei fogli, la barra di arresto si sposta ed il cartone torna a depositarsi sulla piattaforma formando una nuova catasta. Con questi dispositivi automatici di raccolta, 43
Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
impilamento e scarico del prodotto, si raggiungano elevati ritmi di produzione e una notevole praticitĂ del sistema lavorativo. I fogli tagliati e cordonati in senso longitudinale e tagliati in formato, sono pronti per le successive lavorazioni quali la trasformazione in casse pieghevoli e la stampa.
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Caratteristiche, comportamenti e metodi di prova
Fig .3
Caratteristiche, comportamenti e metodi di prova
Il cartone ondulato è l’unione mediante apposito collante, di due tipi di carta. Le superfici di carta tesa prendono il nome di copertine quindi, avremo una copertina esterna ed una interna più la carta per ondulazione che ha il compito di distanziare le stesse e mantenere tra loro la stessa distanza il più a lungo possibile nel corso della vita dell’imballaggio. Questo vale, come appena descritto, per un cartone ad una sola onda, quindi, con l’utilizzo di tre carte, ma se il cartone fosse a due onde, le carte diventerebbero cinque e quella interna, tra le due onde, non verrà più chiamata copertina ma foglio teso.(Fig.3) Per analizzare i TIPI DI CARTE che formano il cartone ondulato, bisogna fare una distinzione tra carte per copertine e carte da onda perché le caratteristiche che devono avere i due tipi di carta sono differenti. CARTE PER COPERTINE CARTE PER COPERTINE K (KRAFT) S (SEMICHIMICA) L (LINER) M (MEDIUM) T (TEST-LINER) F (FLUTING) C (CAMOSCIO) P (PAGLIA) Kb(KRAFT BIANCO) Lb(LINER BIANCO) Tb(TEST BIANCO) (Fig.4) Fatta questa distinzione occorre specificare che in alcuni casi e in base alla resistenza che si vuole ottenere dal cartone ondulato, potranno essere utilizzate carte normalmente classificate da onda anche come foglio teso e, qualora le resistenze meccaniche richieste dovessero essere molto elevate, anche le carte kraft potrebbero svolgere questo compito. Viceversa le carte da onda non potranno mai essere utilizzate come copertina esterna. In fi45
Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
Fig .4
gura è riportato un esempio per poter capire quanto detto, nel primo esempio la carta Fluting la troviamo come foglio teso, nel secondo (Fig.4a) come onda. Ci sono varie TIPOLOGIE DI CARTONE ONDULATO, la più semplice è certamente la carta ondulata, ottenuta dall’accoppiamento di una superficie piana con una ondulata. Questa non essendo rigida viene commercializzata in rotoli o bobine e trova impiego nella protezione, mediante avvolgimento, di prodotti con forme irregolari. Il cartone ondulato vero e proprio invece, è costituito da due superfici di carta piane o tese distanziate tra loro da una superficie ondulata tenute insieme tra loro mediante apposito collante. Questa tipologia viene denominata cartone ad onda semplice o ad una sola onda. Una struttura leggermente più complessa è il cartone a doppia onda o doppio- doppio. In questo caso le copertine sono sempre due, quella esterna e quella interna, ma le superfici ondulate diventano due collegate tra loro da una terza superficie piana che prenderà più correttamente il nome di foglio teso. Molto più complicato invece risulta la produzione del cartone a tripla onda, all’interno delle due superfici piane esterne le ondulazioni diventano tre, unite tra loro da due fogli tesi. Viene chiamato spesso cartone pesante a tre onde e si tratta di un prodotto destinato ad impieghi specifici. I TIPI DI ONDA si dividono in base al loro spessore (A) - (K) = onda alta; (C) = onda media; (B) = onda bassa; (E - F - G) = micro-onda. Per capire meglio la tipologia di ondulazioni, bisogna prendere in esame alcuni parametri fondamentali nella fabbricazione del cartone ondulato. Altezza: è la misura che troviamo tra la sommità e la cavità dell’onda. Non dobbiamo fare confusione tra l’altezza dell’onda e lo spessore del cartone perché, in tale caso, andrebbero prese in considerazione anche lo spessore
Fig .4a
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Caratteristiche, comportamenti e metodi di prova
delle carte che lo compongono. Passo: è la distanza tra la sommità di due onde vicine. Numero: è la quantità di ondulazioni contenute in un metro lineare. Coefficiente di ondulazione: è il rapporto intercorrente fra la lunghezza della carta da ondulare impiegata per ottenere la lunghezza della copertina e la lunghezza della copertina stessa. In poche parole tale coefficiente indica il consumo di carta da ondulare. Onda alta (A): Determina un cartone con una altezza minima di 4,5 mm. con questo tipo di onda si hanno dei vantaggi sulla resistenza alla compressione verticale degli imballaggi e sul loro potere ammortizzante. Gli svantaggi che si possono rilevare invece sono, minore resistenza alla compressione in piano e una stampabilità di non elevata qualità, in quanto il passo dell’onda non facilita una perfetta planarità delle copertine. Onda alta (K): L’altezza minima di questa onda è di 5 mm. Viene utilizzata solamente per fabbricare cartoni pesanti a doppia onda alta e tripla onda. Onda media (C): La sua altezza è compresa tra 3.5 e 4.4 millimetri. Questo tipo di onda rappresenta un ottimo compromesso tra il consumo di carta e la qualità delle prestazioni. Rispetto alla onda A infatti, garantisce una buona stampabilità e più elevate resistenze sia alla compressione in piano che a quella verticale in quanto, sia nelle fasi di trasformazione, imballo e spedizione subisce un minore stress. Onda bassa (B): L’Altezza di questa onda è compresa tra 2,5 e 3,4 millimetri. Il numero di onde contenuto in un metro lineare assicura una buona stampabilità e una buona resistenza alla compressione in piano. A causa del suo ridotto spessore invece, la resistenza alla compressione verticale non è ottimale. Micro- onda (E): la sua altezza è compresa tra 1,2 e 2,4 millimetri. Micro- onda (F): la sua altezza minima è di 0,8 millimetri. 47
Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
Fig .5
Micro- onda (G): altezza dell’onda in millimetri 0,5-0,6 Le carte che andranno a formare il cartone ondulato, sia per le copertine che per le ondulazioni, vengono classificate in base alla loro grammatura. (Fig. 5) Ogni tipologia di cartone ondulato ha una sigla,un codice identificativo che ci permette di risalire alle caratteristiche del foglio in esame. Ad esempio il codice: KWPETSCLKESSCLKW/46263/BC descrive un foglio di cartone a doppia onda composto da una copertina esterna di carta polite nata da 175 g/mq, un’onda B di carta semichimica da 112 g/mq, un foglio teso di carta kraft da 150 g/mq, un’onda C di carta semichimica da 150 g/ mq ed una copertina interna di carta kraft da 150 g/mq. Per unire il nastro ondulato con il foglio teso è necessario un processo di incollaggio, i tipi di collante principali sono l’AMIDO di MAIS la FECOLA, in alcuni casi additivati con resine. Sul cartone ondulato, più specificatamente sugli elementi che lo compongono (copertine e onde) vengono fatti specifici test in laboratorio. PROVE SULLE COPERTINE Le copertine o carte tese, che formano il cartone ondulato, sono sottoposte ad una serie di sollecitazioni di urto, pressione ecc... e quindi è necessario effettuare su di esse una serie di prove per testare la loro resistenza. I principali test di laboratorio sono: • Scoppio • Resistenza alla lacerazione • Resistenza alla compressione verticale • Coefficiente di attrito • Grado di assorbimento • Permeabilità all’aria • Shortspan Compression Test 48
Caratteristiche, comportamenti e metodi di prova
• Assenza di macchie visibili PROVE SULLE CARTE DA ONDA Una delle prove da effettuare sulle carte da onda è il CMT (Concora Medium Test) che è un metodo analitico sviluppato dalla Container Corporation of America. Tale prova permette di verificare la resistenza allo schiacciamento in piano di un campione di carta, infatti la rigidità dell’onda è molto importante per la produzione di cartone ondulato. Viene tagliata, con una apposita taglierina a doppia lama, una striscia di carta nel senso di macchina, con una apposita macchina ondulatrice da laboratorio la carta viene ondulata e tenuta nella corretta posizione mediante nastro adesivo. Il campione così ottenuto viene appoggiato sul piano di una pressa da laboratorio, la quale incomincia a premere fino a quando la carta non cede al carico e rimane indicato sul display il valore al momento del cedimento che viene espresso in Newtons (N). La prova deve essere eseguita dopo un corretto condizionamento del provino 30’ (CMT 30) in laboratorio al 50% di umidità relativa e 25° C.(Fig 6a) Il secondo test che viene eseguito è il CCT (Corrugated Crush Test). Questa prova, come per il CMT, viene condotta sempre con una striscia di carta precedentemente ondulata, solo che viene tenuta in posizione da una apposita morsa metallica. Tale test tende a verificare la resistenza della carta allo schiacciamento verticale come per la prova di RCT menzionata prima, con l’unica differenza che nel CCT la carta viene ondulata. (Fig. 6b)
Fig .6a
PROVE SUL PRODOTTO FINITO Le principali prove da effettuare sul prodotto finito sono sostanzialmente tre: ECT- FCT-BCT. Nella prova di ECT (Edge Crush Test) si verifica la resistenza allo schiacciamento verticale di un bordo di cartone ondulato fino al suo collasso. Il test viene effettuato tagliando un bordo di cartone ondulato (lar-
Fig .6b
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Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
ghezza del campione pari a 20 o 50 mm) con apposita strumentazione e testando la resistenza sempre avvalendosi di presse da laboratorio, il valore viene espresso in KN/m. Collocando il campione da solo fra i piatti della pressa non è consigliabile perché può verificarsi una sua deformazione locale dovuta al non perfetto parallelismo delle superfici di compressione della pressa, oppure può avvenire la deformazione globale del campione. Per evitare tale inconveniente vengono usati vari metodi: uno è l’utilizzo di cera paraffinata fusa per rinforzare i bordi del cartone, così da facilitarne lo schiacciamento nella zona centrale l’altro, forse il più corretto, è l’utilizzo di un supporto metallico per sostenere il provino, ovviamente utilizzando uno o l’altro metodo si riscontrano delle differenze nel risultato della prova. Il risultato di questa prova può essere ricavata con una semplice formula cioè, sommando i valori di RCT (Ring Crush Test) delle singole carte impiegate per produrre il cartone ondulato, aggiungendo il coefficiente di ondulazione per la carta da onda in base al tipo di onda che si utilizzerà. ECT = RCT copertina esterna + RCT carta da onda •CO + RCT copertina interna (Fig.7a) Il Flat Crush Test (FCT), stabilisce la resistenza del cartone ondulato allo schiacciamento in piano sempre tramite pressa e il campione viene tagliato in forma circolare con una apposita taglierina. Ultima prova, tra quelle menzionate, da effettuare è il BCT (Box Compression Test) che viene svolto su un imballaggio integro e di dimensioni reali con una pressa scatole. Con questo test si vanno incontro a degli inconvenienti, infatti l’esito della prova è successivo alle fasi di progettazione e fabbricazione e quindi non vengono fornite in tempo utile indicazioni relative ai problemi e ai difetti della lavorazione per poter porre
Fig .7a
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Caratteristiche, comportamenti e metodi di prova
rimedio, inoltre per imballi di notevole dimensione servirebbero attrezzature grandi e costose. Per questi motivi molti produttori si affidano ai test di cui abbiamo parlato prima RCT, CMT, CCT, ECT, FCT, altri produttori invece si affidano allo Schortspan Compression Test (SCT), mentre altri pensano che tali test non siano sufficientemente attendibili da poter sostituire il Box Compression Test (BCT) come prova finale. (Fig.7b)
Fig .7b
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Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
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Cardboard Pavilion: dal prototipo al prodotto industriale
Nell’ambito delle attività didattiche e di ricerca del corso di Tecnologia dell’Architettura della Facoltà di Architettura di Siracusa è stato prototipizzato Cardboard Pavilion. Realizzato in scala 1:1 dagli studenti della Facoltà, il Padiglione conclude la prima fase di una ricerca sull’uso innovativo del cartone in architettura. La ricerca, coordinata dal prof. Luigi Alini, è sviluppata in partnership con la International Paper di Catania (azienda leader nella produzione di imballaggi di cartone ), il consorzio Comieco e gli architetti Andrea Di Stefano e Aleksandra Jaeschke dello studio Aion di Siracusa. Cardboard Pavilion è uno dei pochissimi esempi di struttura realizzata interamente in cartone ondulato, un’opera innovativa che libera le potenzialità intrinseche di un materiale apparentemente “debole” restituendocene possibilità inespresse. Questo progetto è stato finalizzato alla produzione industrializzata di una struttura temporanea flessibile, accrescibile, personalizzabile, a basso costo, totalmente riciclabile, destinata ad accogliere mostre, seminari, convegni. Per riuscire a comprendere i limiti e i punti critici del prototipo è stato necessario un processo di analisi e comprensione del progetto, ma soprattutto di comprensione delle geometrie generative e della progettazione parametrica che sta dietro ad ogni singola piega. Le criticità da risolvere, l’analisi strutturale, il packaging del prodotto sono stati gli step fondamentali da affrontare per rispondere alle esigenze e alle richieste dell’International Paper, l’azienda che sta supportando lo sviluppo e la commercializzazione di questa Architettura. Proprio il superamento delle criticità è stato il fulcro della trasformazione del prototipo in un prodotto industriale; i limiti di produzione hanno reso necessario il coordinamento modulare, il ridimensionamento dei singoli pezzi al fine di evitare eccessivo spreco di materia prima e di ottimizzare la
CARDBOARD PAVILION: DAL PROTOTIPO AL PRODOTTO INDUSTRIALE
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Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
Fig .1
Fig .2, 2a e 2b
produzione. Così facendo è stato possibile produrre entrambi i pezzi da un unico foglio, riducendo notevolmente i costi e rendendo possibile la commercializzazione del prodotto. Proprio quest’ultimo aspetto ha dato il via ad una serie di analisi che hanno portato la ricerca ad un ulteriore sviluppo, per poter mettere sul mercato un prodotto è, infatti, necessario che questo soddisfi determinati requisiti. Trattandosi di una struttura principalmente concepita per una fruizione in spazi aperti è stato inevitabile pensare che dovesse essere resistente all’acqua e al fuoco, la resistenza all’acqua era un requisito parzialmente soddisfatto nel prototipo con l’utilizzo di una carta kraft che ha attenuato l’effetto degli agenti atmosferici sulla struttura, ma non abbatsanza da evitarne le deformazioni (Fig.1). Si è, quindi, pensato di usare come copertina esterna una carta politenata, con una grammatura di 175g/mq, impermeabile e con una classe M3 di reazione al fuoco, il che significa che prima che cominci a bruciare trascorrano in media 11 minuti e 30 secondi (Fig 2,2a e 2b). Questa ipotesi è stata, ovviamente, verificata con l’azienda che, proprio per garantire la fattibilità del prodotto, è stata un’interlocutrice diretta durante tutte le fasi di sviluppo del progetto. Grazie all’analisi strutturale, siamo riusciti a studiare il comportamento del padiglione sottoposto a diversi tipi di carico, abbiamo realmente constatato, attraverso una simulazione, cosa succede, ad esempio, con la pressione del vento. Per la commercializzazione del prodotto è stata, inoltre, necessaria una stima dei costi, una verifica delle reali possibilità di immissione sul mercato, uno studio del packaging, tutte analisi volte ad offrire un prodotto il più possibile completo, dall’ideazione alla vendita. 54
Cardboard Pavilion: dall’origami al progetto
Fig .2
Fig .2
IL FOLDING : dall’origami al progetto
Fig .1
Origami di Cardboard Pavilion
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Fig .3
La tecnica del folding (dall’inglese fold,piega) è alla base del progetto, proprio “la piega, nella sua accezione fisica e concettuale, è l’elemento generatore del progetto, il principio in base al quale la materia si trans-forma in materiale da costruzione” (cfr.L.Alini). Quando si utilzzano materiali come la carta e il cartone, la prima riflessione che si fa è quella di capire il perchè gli esperti piegatori di origami in Giappone non utilizzino lastre orizzontali ma tendano a nervare i fogli con delle piegature. La piega conferisce una maggiore resistenza di forma,una maggiore rigidezza alla struttura, necessaria a superare i limiti imposti dalla resistenza degli elementi stutturali. Tutti abbiamo provato, almeno una volta, a sostenere un oggetto con un foglio di carta ed abbiamo riscontrato la non rigidezza di questo materiale, ma basta ripetere la stessa operazione dopo aver piagato il foglio per constatare che il nostro supporto è diventato più rigido e resistente. Lo studio del linguaggio internazionale dell’origami e la conseguente assunzione della piega come elemento generatore sono stati l’incipit del progetto(Fig.1); partendo da un foglio di cartone, scoprendone le potenzialità, studiandone i comportamenti, conferendogli resistenza si è giunti alla definizione dei singoli elementi. La forma non è il risultato di una scelta estetica, ma è il frutto di una progettazione parametrica che, partendo da geometrie generative usate come semplici moduli ripetuti nello spazio, ha dato vita ad una geometria complessa. Gli elementi che si ripetono sono solo tre: l’elemento a diamante(fig.2), l’elemento a diamante di colmo(fig.3) e l’elemento a spina di pesce(fig.4), tre elementi che, diversi per geometrie e dimensioni,aggregati tra loro generano i macro elementi del padiglione:il “piede”(fig.5),dove l’unione degli elementi a diamante genera una struttura che tende a chiudersi su se stessa creando il basamento della struttura, l’”arco”(fig.6),il cui profilo, ottenuto dall’unione
Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
Fig .5
Fig .6
Fig .7
degli elementi a spina di pesce,genera una porzione di arco che partecipa alla struttura slanciandola in profondità e altezza e il “colmo”(fig.7), in cui l’elemento a diamante funziona da connettore fra gli elementi a spina di pesce opposti,assumendo il ruolo di “chiave” dell’arco. La modularità di questa struttura ne facilita,longitudinalmente, l’accrescibilità, infatti se la larghezza e l’altezza sono parametri immodificabili, la lunghezza del padiglione può raggiungere qualsiasi dimensione a seconda che lo si voglia sfruttare,ad esempio, per una conferenza,una mostra o un laboratorio di quartiere. La flessibilità, la leggerezza, il basso costo, la riciclabilità al 100% fanno di questo progetto un esempio di architettura che perfettamente si adatta alle esigenze contemporanee. Con Cardboard Pavilion, un’azienda o un’amministrazione comunale può sopperire alla mancanza di superficie coperta con un costo minimo e con una struttura dal bassissimo impatto ambientale.
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Analisi strutturale
Il cartone è una “rete disordinata” di fibre di cellulosa, le proprietà delle fibre ed il legame fra esse determinano il comportamento meccanico del foglio di cartone. Queste caratteristiche sono influenzate dalla scelta della materia prima e dai parametri di fabbricazione. Tale comportamento del cartone dipende, quindi, da vari fattori, le varie tipologie di cartone differiscono l’uno dall’altra a meno che non provengano dalla stessa materia prima e non siano state prodotte allo stesso modo. Ciò rende difficile la standardizzazione di questo materiale dal punto di vista meccanico. Tuttavia, sono stati studiati i rapporti generali delle caratteritiche, senza considerare i parametri legati alle proprietà delle fibre che lo compongono. Nella tabella che segue sono riportate le carateristiche meccaniche del cartone, secondo una ricerca condotta presso la TUDelft (Delft University of Tecnology)
Analisi Strutturale
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Sulla base di queste caratteristiche e con l’ausilio di un programma di calcolo (Pro_sap) è stato possibile analizzare i risultati ottenuti dopo l’inserimento dei carichi agenti sulla struttura. Il primo tipo di analisi affrontato è stato quello della deformata, si è osservato come , a seconda che il carico sia dovuto al peso proprio, al vento o
Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
Fig .1 Deformata dovuta al peso proprio
Fig .2 Deformata dovuta al carico da vento
Fig .3 Deformata dovuta alla combinazione dei carichi
alla combinazione di entrambi, la stuttura subisce deformazioni differenti. (fig.1,2 e 3) La deformazione minima dovuta al peso proprio è di circa 7mm, lo spessore di un foglio di cartone. Il carico da vento cui è stata sotto posta la struttura è pari a 87 daN/mq, una pressione elevata per il padiglione in esame che necessita, per resistere ad un carico così grande, di essere zavorrato o ancorato al suolo. Un’ulteriore analisi è stata fatta sulle traslazioni: il controllo dei risultati relativi ai movimenti nodali è avvenuto mediante mappe di colore, ad ogni nodo corrisponde un colore a cui è associata una legenda che riporta i valori numerici della traslazione di interesse, in unità di misura congruenti. La traslazione X è la rappresentazione del movimento dei nodi in direzione dell’asse globale X, come si può vedere nella fig.4 le traslazioni dovute alla combinazione di carico vanno da un massimo di 0,26 cm (corrispondente al colore rosso) ad un minimo di -0,089 cm corrispondente al colore blu; la stessa analisi è stata fatta per le traslazioni rispetto all’asse globale Z, riscontrando dei risultati con un range compreso tra 0,18 cm e -0,40 cm. Infine lo studio delle tensioni N 1-1 ha fornito gli sforzi normali, ovvero le azioni che generano le tensioni di compressione e trazione in direzione 1-1 (fig.4); la mappa cromatica indica con segno positivo le tensioni di trazione e con valori di segno negativo le tensioni di compressione.
Fig .4
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Packaging e commercializzazione del prodotto
Fig.1
Il Packaging è l’insieme degli elementi e materiali usati per confezionare
Packaging e commercializzazione del prodotto
un prodotto (struttura, etichetta e imballaggio), al fine di renderlo più attraente, più riconoscibile, o per facilitarne il trasporto e l’utilizzazione. Nel momento in cui le tecnologie disponibili consentono qualunque forma di confezionamento, in cui si allungano i tempi di vita del prodotto, esso diviene un’espressione emblematica della nostra produzione industriale. Si può affermare di essere arrivati a compimento di un percorso, di essere al termine di una fase evolutiva nella quale si sono stabilizzate forme espressive e convenzioni stilistiche, codici e modalità comunicative; si può affermare, cioè, di essere nella condizione di guardare oltre. Quale dunque il ruolo del packaging oggi? Quali i linguaggi più idonei a mettere in atto le sue funzioni? Insomma, che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo fare, come dobbiamo agire. Per rispondere a queste esigenze di mercato, anche nel nostro progetto è stato fondamentale uno studio del packaging, dalla struttura all’imballagio al libretto delle istruzioni; questo prodotto può essere commercializzato, ma sarà capace, il compratore, di assemblarlo? Quanto peserà? Quanto costerà e soprattutto sarà possibile fruirne in qualsiasi modo? Domande alle quali si è cercata, e trovata, una possibile risposta attraverso gli studi effettuati. Il peso effettivo di un metro lineare di struttura comprensivo di connettori è di circa 32 kg per un costo che si aggira intorno agli 80 euro; 1 metro lineare è stato pensato come il modulo minimo , infatti il kit di montaggio messo in vendita comprende 100 connettori, 24 elementi a spina di pesce, 24 elementi a diamante e 3 elementi di colmo a diamante, tutto il necessario alla costruzione di 3 archi. (fig.1)
Stima dei costi e analisi del peso proprio della struttura
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Carboard Pavilion_dal prototipo al prodotto industriale
Fig.2 Laboratorio di quartiere
Per rendere “elemetare” l’assemblaggio è stato realizzato un “libretto delle istruzioni” nel quale sono esplicitati tutti i passaggi che devono essere eseguiti per ottenere un perfetto montaggio della struttura. (fig.2) Per evidenziare l’accrescibiltà e la flessibilità del padiglione, sono state ipotizzate e disegnate diverse possibili destinazioni d’uso, un laboratorio di quartiere piuttosto che una mostra d’arte contemporanea; per questi usi si è pensato ad una struttura lunga 10 metri, ma ovviamente, la lunghezza può variare secondo le necessità. (fig.2 e3). L’obietivo perseguito è stato quello di cercare di offrire un prodotto completo, dall’ideazione alla vendita.
Fig.2 Mostra d’arte contemporanea
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Packaging e commercializzazione del prodotto
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Glossario
Accrescibilità: Caratteristica di un manufatto di espandersi o comprimersi in relazione ad esigenze e destinazioni d’uso diverse e mutevoli nel tempo. Adattabilità :è un aspetto con cui si può rispondere all’esigenza di funzioni differenti nel tempo; può essere considerata una ri-configurabilità non istantanea. Diventa importante il ruolo della personalizzazione dell’ambiente che l’utente può ottenere con interventi diretti per determinare le condizioni di fruizioni più appropriate. Assemblaggio a secco:connessione e separabilità degli elementi e dei materiali, unione non definitiva degli elementi per semplice accostamento e non coesione. La necessità di garantire la versatilità in qualunque condizione di impiego, intesa come flessibilità prestazionale dei componenti. Flessibilità
Origami
:è uno dei requisiti fondanti la dimensione temporanea dell’”abitare”; con essa si deve intendere sia la flessibilità tipologica (attitudine si un sistema edilizio a consentire diverse configurazioni di dimensione , conformazione, correlazione e distribuzione dello spazio in fase di utilizzo) sia la flessibilità tecnologica (attitudine del sistema edilizio a consentire l’integrazione funzionale e costruttiva tra gli elementi tecnici, la sostituibilità, l’adattabilità e l’intercambiabilità di elementi e componenti o componenti garantendo la funzionalità e le prestazioni appropriate all’uso). La flessibilità si può identificare con la convertibilità d’uso attraverso la trasformazione degli elementi d’arredo, con la , con la ri-configurabilità degli spazi attraverso il riposizionamento degli elementi tecnici che li delimitano, con la ri-condizionabilità del rapporto spazio-funzione-utente. :Termine che deriva da “Oru” che significa “piegare” e “kami” che significa “carta”, quindi piegare la carta. La tecnica moderna dell’origami usa pochi tipi di piegatura combinati in infinite varietà di modi per creare modelli anche estremamente complicati. 62
Glossario
Packaging Piega
Plasmare
: Insieme degli elementi e materiali usati per confezionare il prodotto (struttura, etichetta e imballaggio), al fine di renderlo più attraente, più riconoscibile, o per facilitarne il trasporto e l’utilizzazione. : sostantivo usato non tanto nella sua accezione letterale quanto come “tecnica costruttiva” alla base di un progetto. Una piega imprime ad un elemento una forma pur lasciandolo nella sua interezza.
: Tecnica basata sulla modellazione di una materia qualsiasi in modo da farle assumere la forma desiderata Reversibilità: è il più alto livello di temporaneità che richiede, nell’atto del costruire, l’impiego di tecnologie leggere e tecniche esecutive industriali, come l’assemblaggio a secco, e un approccio sensibile alla ricerca di strategie in grado di stabilire delle interrelazioni tra ambiente e le sue risorse. -E’ la caratteristica di un sistema edilizio di poter essere de-costruito affinchè le entità tecnologiche di cui è costruito possano essere considerate ancora come effettive risorse da reintrodurre in un ulteriore processo produttivo. -E’ la capacità di un processo costruttivo di tornare al punto di partenza “senza lasciare traccia”. “Nell’evoluzione storica delle tecniche si è andata affermando un’idea di tempo non riferita alla vita dell’edificio, ma piuttosto all’uso che ne fa un utente; quest’idea si basa sul confronto e sulla collaborazione, e non sul dominio, tra uomo e natura, grazie alle nuove tecniche che favoriscono la leggerezza e la reversibilità del costruire” (Cfr.Eduardo Vittoria) Si possono definire reversibili le costruzioni che: -sono ASSEMBLATE A SECCO -possiedono un attacco a terra poco invasivo -E’ NOTA LA PROCEDURA DI MONTAGGIO E SMONTAGGIO (cantiere semplificato). Il grado di reversibilità di un sistema costruttivo risulta tanto più elevato quanto più gli elementi sono riutilizzabili. La reversibilità di un organismo edilizio è praticabile in base al principio della dis-integrabilità (dis-connessione) del sistema tecnologico. Temporaneità di localizzazione: riguarda la variabilità del rapporto tra il contesto e l’organismo abitativo e si riferisce al carattere mobile o trasferibile dei manufatti in luoghi diversi. 63
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Temporaneità d’uso: è strettamente connessa alle attività che si svolgono in un ambito spaziale nel quale si possono succedere modalità di utilizzo diverse in sequenze temporali anche molto brevi. Dà luogo a sistemi spaziali e tecnologici che subiscono trasformazioni di assetto attraverso interventi di differente livello di consistenza. Tessere :Tecnica costruttiva basata sull’intreccio. Intrecciare i fili della trama con quelli dell’ordito come se si facesse una tela. Costruire, formare con elementi sottili e lunghi, intrecciandoli o disponendoli come nella tessitura. Tettonica: Arte del costruire in cui componenti leggeri e lineari sono assemblati in modo da racchiudere una matrice spaziale. Unire :Tecnica basata sull’unione di due o più oggetti o elementi, congiungendoli o collegandoli in modo che risultino a contatto, senza soluzione di continuità, e formino un tutto unico e solidale.
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Bibliografia
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Bibliografia
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Ai miei genitori, che, amandomi, supportandomi e sopportandomi mi hanno permesso di realizzare un sogno.
Ringraziamenti Al mio relatore, il Prof. Alini, che, con determinazione, mi ha accompagnato nel raggiungimento di quest’ambito traguardo. Al Prof. Impollonia per l’aiuto e la pazienza con il quale mi ha seguito. Agli architetti Aleksandra Jaeschke e Andrea Di Stefano, studio AION, per la collaborazione e il sostegno materiale e morale. A Claudio per la “consulenza grafica”.
E infine GRAZIE di cuore a Gianluca che ha sopportato pazientemente la mia “follia”. Ai miei fratelli, Alfredo, Mariangela e Rosario, senza i quali non potrei vivere e senza i quali non sarei quella che sono. Ai miei AMICI, Luciano, Francesca,Fabiola, Susanna, Diletta ,Corrado,Peppe, con i quail ho condiviso le sfide, le gioie e le delusioni di questo pecorso di studi ma soprattutto con i quail ho condiviso meravigliosi anni di vita!!!! Non avrei potuto chiedere di meglio: GRAZIE A TUTTI!
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