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Indice
Prefazione
7
Progettare in montagna
13
L’alpeggio come risorsa
17
Capitolo 1 - La Valle Varaita 1.1 Inquadramento, viabilità e paesaggio
23 25
Confini amministrativi / Idrografia, Morfologia / Viabilità / Sentieri escursionistici
1.2 Inquadramento storico
33
I Liguri / I Romani / Il Medioevo / La Repubblica degli Escartouns / Dal 700 al Regno d’Italia / Fine 800
1.3 Sviluppo demografico e sociale
37
Valutazioni circa l’andamento demografico attraverso i secoli / Cambiamenti demografici recenti / Esiste una speranza? / Conclusioni
1.4 Cultura e tradizioni
45
La lingua occitana / La gestione del lavoro durante l’anno
1.5 Tipologie architettoniche della tradizione locale 1.6 Programmi di sviluppo e progetti per la valorizzazione locale
51 55
Programma Alcotra / I Progetti Alcotra nell’ambito della Valle Varaita / Programma MAB e Riserve della Biosfera / Il Gruppo di Azione Locale
3
Capitolo 2 - Gli alpeggi 2.1 Analisi dei censimenti degli alpeggi 1980/2006
61 63
Censimento degli alpeggi 1980 / Censimento degli alpeggi 2006 / Osservazioni
2.2 Dinamiche insediative in alta quota
69
La dimora invernale / La dimora stagionale / Il ricovero d’alpeggio / Gli alpeggi nella tradizione locale della Valle Varaita / Le stalle ed i fienili nella tradizione locale della Valle Varaita
2.3 Cambiamenti storici nell’interazione fra l’uomo e il pascolo 2.4 Il problema dei titoli PAC
75 79
La politica agricola comune / La struttura della PAC / Criticità in ambito alpino
2.5 La monticazione fra pratica e teoria
83
La transumanza / La necessitò dello spostamento / Il percorso, i tempi e le modalità / L’alpeggio tradizionale nelle borgate di Sampeyre e la situazione odierna / Esperienza diretta di monticazine in Val Varaita
Capitolo 3 - La caseificazione e l’allevamento 3.1 Problematiche e vantaggi della produzione in alpeggio
89 91
Diversità di visioni / Diversi foraggi, diversi formaggi / Impatto ambientale / Problemi pratici
3.2 Bovini piemontesi e allevamento alpino in Provincia di Cuneo
97
I bovini piemontesi e le loro peculiarità / L’alpicoltura nel cuneese e in Valle Varaita
3.3 Produzione del formaggio
103
Il latte / Il formaggio / Produzione / Tipologie di formaggio
3.4 Regolamentazione igienico-sanitaria della Regione Piemonte
111
Introduzione / Definizione di alpeggio / Tipologia di costruzione e requisiti strutturali minimi / Zona di mungitura / Deposito latte e lavaggio attrezzature / Locale di lavorazione / Servizi igienici e spogliatoi / Locale di affinatura e di stagionatura / Requisiti per gli armadi e le attrezzature / Approvvigionamento idrico / Scarico dei reflui
Capitolo 4 - Casi studio di architettura montana 4.1 Alp Stgegia e Alp Puzzetta
119 121
Alp Stgegia / Alp Puzzetta / Rapporto tra gli interventi
4.2 Stables and butchery Sut Vitg
127
Approccio uomo-animale / Concept architettonico / Il progetto
4.3 Etable de Ligniere 4
133
La situazione politica / Commissione del progetto / Analisi delle tipologie costruttive tradizionali / Collaborazione committente-architetto
4.4 Ecological farm
137
L’obiettivo del gruppo di progettazione / Il progetto
4.5 Il caso della borgata di Paraloup
141
Le intenzioni progettuali / Il rapporto con l’esistente / Il percorso progettuale
4.6 Casi di ampliamento e di rapporto con la preesistenza
149
Capanna Michela / Treschutte / Chamanna de Tschierva
Capitolo 5 - Casi studio produttivi e gestionali 5.1 Il caseificio didattico e sperimentale dell’ILC di Moretta
157 159
Descrizione / Attività didattica e di ricerca / Il caseificio didattico e sperimentale
5.2 Il caso del Bitto storico
163
La produzione del Bitto / Il pascolo turnato / La “banca del Bitto” ed il sistema di gestione
5.3 Il caso della Malga Pozof
167
Collocazione geografica / Descrizione / Restauro / Allevamento e produzione / Forma di gestione
Capitolo 6 - Inquadramento 6.1 Analisi dell’area e viabilità
171 173
Collegamenti viari / Analisi del territorio
6.2 Studio del territorio e della pericolosità geomorfologica
179
Analisi della pericolosità geomorfologica / Analisi del Piano Regolatore Generale
Capitolo 7 - Analisi dello stato di fatto 7.1 Rilievo delle preesistenze e della morfologia del terreno
185 187
Rilievo del terreno / Rilievo delle preesistenze / Analisi materica dei degradi e proposta di intervento
7.2 Edificio 1 / Edificio principale
191
Descrizione / Analisi Materica / Analisi dei degradi
7.3 Edificio 2 / Rudere
213
Analisi morfologica e strutturale
7.4 Edificio 3 / Stalla
219
Descrizione / Analisi Materica / Analisi dei degradi
7.5 Analisi dei possibili interventi applicati ai degradi
235 5
Capitolo 8 - Il Progetto 8.1 Descrizione dell’intervento
239 241
Divisione delle funzioni / Creazione di un sistema
8.2 I locali e le attrezzature
247
Locale di lavorazione / Stoccaggio del latte / Stagionatura e vendita / Abitazione margaro / Mungitura e ricovero del bestiame / Foresteria
8.3 Gestione della struttura
253
Organizzazione dei corsi / Il margaro ed il bestiame alpeggiante / Produzione dei latticini e vendita
8.4 Il sistema costruttivo
257
Approccio progettuale per le preesistenze / Approccio progettuale per le nuove costruzione / Materiali
8.5 Edificio 1 / Edificio principale
265
Descrizione / Piante / Sezioni / Prospetti
8.6 Edificio 2 / Foresteria
273
Descrizione / Piante / Sezioni / Prospetti
8.7 Edificio 3 / Ricovero
283
Descrizione / Piante / Sezioni / Prospetti
8.8 SostenibilitĂ e gestione idrica ed energetica
289
Pannelli fotovoltaici / Micro idroelettrico / Collettori solari / Approvvigionamento idrico / Scarico dei reflui
Conclusioni
295
Bibliografia
297
Ringraziamenti
305
6
Prefazione
La tesi di Laurea Magistrale che il lettore si sta apprestando a leggere trae la sua ispirazione dalla volontà di studiare dal punto di vista dell’Architetto un sistema complesso come quello dell’alpeggio che abbraccia molteplici aspetti della montagna in generale, ma anche della tradizione culturale alpina. Il tema si presenta molto complesso se ci si sofferma a ragionare sull’enorme mole di variabili che possono entrare in gioco nel momento in cui ci si avvia ad analizzarlo. Un sistema come quello dell’alpeggio è vario a tal punto da poter essere studiato attraverso molteplici scienze, dalla geografia, alla botanica, alla zoologia, alla storia finanche all’architettura. La stessa accezione “alpeggio” si presenta quanto mai variegata e fumosa. Con il medesimo termine possono essere indicate sia le attività che vengono svolte in alpe che le stesse strutture necessarie allo scopo. Per di più, un esercizio come questo, capillarmente diffuso su tutto l’arco alpino da millenni, è connotato da sfumature diverse a seconda dell’area geografica.
Al di là delle differenze lessicali che sottostanno necessariamente alle espressioni dialettali del luogo, esistono infinite variabili legate alle attività svolte in quota delle quali è possibile comprenderne l’entità solo compiendo un passo indietro. Se per un momento il lettore cercasse di astrarre l’attività dell’alpeggio dalla sua connotazione locale, allora arriverebbe alla conclusione che esso altro non è se non una pratica di allevamento realizzata in alta quota. A questo punto il lettore potrebbe chiedersi che cosa ci sia di complesso nel tema e la risposta è perciò da ricercarsi nell’intero mondo che ruota intorno al sistema stesso. L’attività di alpeggio è anche attività di sostentamento poiché, se non ci fosse stata la necessità di ricercare sempre nuovi pascoli freschi, in un ambiente ‘spazialmente limitato’ come quello montano, allora non ci sarebbe stato bisogno della migrazione stagionale di uomini ed animali. Partendo da questo presupposto, è possibile immaginare perché nel corso dei secoli le popolazioni delle Alpi abbiano sostenuto ingenti 7
sforzi per continuare una pratica che di anno in anno smuoveva letteralmente intere borgate e di conseguenza è possibile anche capire, alla luce di quanto affermato precedentemente, per quale motivo siano state costruite abitazioni e stalle in luoghi così inaccessibili e impervi all’occhio dell’uomo moderno. Il termine “Alpeggio” ha anche la stessa iniziale del termine “Ambiente” e non solo per questo sono strettamente legati. Il concetto stesso di pascolo non può essere immaginato se non correlato a quello di ambiente, quindi proprio per questo motivo la salvaguardia dell’alpeggio si può tradurre in salvaguardia dell’ambiente. E chi se non coloro che vivono un determinato territorio può comprenderne appieno sia le problematiche che le soluzioni da apportare per mantenerlo e renderlo agevole all’attività preposta? Partendo da questa ipotesi allora è lecito affermare che per salvaguardare le terre alte è necessario volgere lo sguardo verso le modalità con cui queste sono state preservate attraverso i secoli, dimenticate purtroppo nel giro di pochi decenni in favore di pratiche speculative introdotte da quelle cosiddette migliorie dell’industrializzazione. In particolare l’elemento fondamentale che si è perso è la cultura dell’ambiente, quella stessa cultura che veniva trasmessa di padre in figlio attraverso le tradizioni e che la mente dell’uomo globalizzato ha, nel bene e nel male, rimosso. Gli stessi malgari che dovrebbero essere, nel loro interesse, i detentori di questa cultura ambientale, sembrano aver dimenticato quello che invece dovrebbe essere 8
fatto per la salvaguardia delle Alpi. La montagna modernizzata ha quindi sacrificato le proprie radici per entrare nell’epoca della pioggia dei titoli PAC, dove ognuno vive il proprio recinto dimenticando che nel passato esisteva per prima cosa la comunità, e successivamente il singolo individuo. Finalità della tesi L’intento principale che la tesi si propone è quello di dimostrare come sia possibile conciliare la tradizione di un mestiere antico come quello del marghé con tecniche, materiali e sistemi di lavorazione moderni. Attraverso lo sguardo dell’architetto, questo proposito può essere tradotto attraverso lo studio delle costruzioni storiche come base per un intervento di recupero. Si tratta di un’operazione ardua poiché consiste nel trattare strutture spesso considerate “di fortuna” impiegando metodi e tecniche costruttive di epoca contemporanea, ma che consente d’altra parte di incentivare l’attività dell’alpeggio donando alla comunità dei pastori vaganti “un’abitazione decente dove accendere un fuoco la sera, dove lavarsi, dove ospitare una famiglia”1. Paolo Mellano, analizzando il rapporto fra costruzioni antiche e architettura contemporanea, auspica una ripresa di questi concetti e ne esalta la loro importanza attraverso il paragone fra la sistemazione delle abitazioni in alpeggio e le intenzioni di Viollet Le Dùc nella stesura del suo moderno medioevo, da una parte, e nel lavoro dei redattori della “Enciclopédie” (1731-1765) dall’altra. Il punto di incontro fra questi due
casi è chiaro: entrambi perseguivano un metodo di lavoro antico in un’epoca di rinnovamento, nella quale si temeva una perdita del sistema di mestieri e lavorazioni che erano ormai sul punto di riformarsi2. La valorizzazione dell’architettura d’alta quota è una materia trasversale che è stata trattata in tutti i suoi punti in molteplici testi, fra i quali è presente il trattato “Civiltà d’alta quota nel Piemonte Occidentale” realizzato nell’ambito del Progetto Alfieri del 20053. In questo testo l’alpeggio viene considerato come un “elemento strategico per la valorizzazione e lo sviluppo economico del territorio montano, che deve affermare la sinergia fra componenti del paesaggio, naturale e costruito, e componenti a carattere produttivo ed economico”. Gli autori espandono in concetto affermando che: “realizzare nuove strutture d’alpeggio senza tener conto delle regole costruttive della tradizione montana, così come lasciar distruggere dal naturale degrado i manufatti che hanno modificato e modellato il territorio di montagna e che hanno permesso la permanenza dell’uomo anche in condizioni sfavorevoli sono tendenze in atto che in qualche modo dovrebbero essere contrastate”. In conclusione, è quindi necessario auspicarsi una mutazione nel rapporto con gli alpeggi, ed iniziare a considerarli come monumenti di storia e architettura, cogliendone il loro valore “monumentale” e di elementi di connessione con l’ambiente, sia come parte integrante del paesaggio e dell’economia, ma anche come funzionali al mantenimento dei territori d’alta quota.
Perché la scelta di un alpeggio didattico e sperimentale? Alla base della tesi vi è la convinzione che il restauro sapiente di un edificio dovrebbe anche essere accompagnato dalla restituzione della destinazione d’uso originaria, per fare tesoro di almeno una parte del patrimonio alpino ed evitare in questo modo che venga ridotto a mero ornamento o, peggio, in seconda casa, vuota per la maggior parte dell’anno. Allo stesso tempo, pensare di ‘recuperare’ in luogo al ‘rifunzionalizzare’ sembrava essere la scelta che fosse più in sintonia con l’ambiente e con il territorio. Alla luce poi di quanto è stato esposto nella prefazione, la motivazione principale per intraprendere un sentiero verso tale direzione si basa essenzialmente sulla scelta di poter fornire un luogo che potesse rappresentare un punto di unione fra tradizione e innovazione, sia casearia che zootecnica. Senza la presunzione di poter risolvere con un solo intervento tutte le annose questioni che si dipanano a partire dal tema, la volontà è stata quella di pensare ad un alpeggio nel quale potessero essere strutturati corsi professionali per addetti del settore ma anche lezioni pratiche volte alla sensibilizzazione di un pubblico più vasto, e sempre di più attento alla qualità degli alimenti in tavola. La convinzione che ha spronato la stesura di questa tesi parte dal presupposto che per comprendere veramente il mondo della pastorizia e della produzione dei latticini sia necessario poterla vivere, poter capire come la professione del malgaro non sia quella rosea realtà che viene mostrata, ma 9
richieda al contrario una vita intera di sacrifici. Dall’altro lato, i corsi professionali permetterebbero di formare agricoltori più consapevoli dell’ambiente e della necessità di salvaguardare un ecosistema fragile come quello alpino, nell’auspicio di poter nuovamente disporre di quella cultura ambientale citata precedentemente. Perché la Valle Varaita? Spiegare per quale motivo si è scelto di lavorare in questa valle non è un assunto semplice da chiarire, forse anche perché per gli autori è stata una commistione di differenti motivazioni unite a ragioni che vanno oltre alla logica progettuale e sconfinano nella sfera interiore. Per prima cosa la Valle Varaita è un luogo incantevole, che possiede piccole perle incontaminate lungo tutto il suo territorio. Al visitatore che per la prima volta si appresta ad entrarci, la prima cosa che colpisce è l’enorme superfice forestale, dai faggi del fondovalle fino alle eccezionali cembrete alle quote superiori. Non a caso parte del reddito vallivo deriva da rivendite di legnami, mobilifici e anche da una famosa cartiera, mentre nel comune di Brossasco si tiene annualmente anche una ‘Festa del Legno’. Percorrendo la strada che conduce verso Pontechianale e poi prosegue verso il Colle dell’Agnello, si incontrano infinite sfumature di paesaggio e si attraversano luoghi caratterizzati ognuno da un proprio fascino particolare e unico. Anche le opere umane e architettoniche sono spesso suggestive all’occhio dell’osservatore, sia quelle più conosciute, come la frazione di Chianale, che 10
quelle più nascoste ma che si rivelano essere veri e propri gioielli, come la borgata Balma l’Olmo. In secondo luogo, nel territorio della Valle Varaita l’allevamento di bovini per la produzione di latticini storicamente non ha mai rappresentato un settore forte dell’economia locale. Questa affermazione può sembrare un controsenso, ed il lettore potrebbe giustamente chiedersi per quale motivo una tesi che tratta di alpeggio e caseificazione venga localizzata proprio in questa valle. La risposta al quesito è semplice e richiama in concetto di “valle neutrale” che ci si appresta qui a chiarire. Con la formulazione di quest’espressione l’obiettivo è quello di indicare un luogo in cui è possibile sperimentare qualsiasi produzione casearia, che è infine lo scopo fondamentale di un caseificio didattico. “Valle neutrale” vuol dire che non sono presenti sul territorio produzioni specifiche e ‘ingombranti’ come, per esempio, il Castelmagno in Valle Grana. Per completezza è doveroso ricordare che la Valle Varaita non è del tutto priva di produzioni tipiche riconosciute; nel comune di Melle si produce il gustosissimo Tumin dal Mel D.O.P. nel cui disciplinare è espressamente indicato l’utilizzo di latte proveniente dall’alpeggio. Il proposito fondamentale di un alpeggio di sperimentazione è quello di poter effettivamente realizzare una produzione quanto più variegata possibile e, senza escludere la possibilità di una struttura simile anche il Val Grana, il primo pensiero che emerge è che questo possa essere più semplice in un luogo dove vige una tradizione casearia meno consistente ma nello stesso tempo
più aperta e più elastica. Infine, la terza ragione fondamentale per la scelta della Valle Varaita è stata la disponibilità con cui gli autori sono stati accolti ed aiutati da parte degli Architetti Barbara Martino ed Enrica Paseri. In particolare si desidera tra le altre cose ringraziare la persona di Barbara Martino che è anche diventata a tutti gli effetti Correlatrice della tesi e che ha accompagnato gli autori più volte sui pascoli di Meira Raie.
Note 1. Il diritto ad una sistemazione dignitosa è un tema che Marzia Verona tratta molto di frequente e che risulta di importanza basilare per incentivare la continuazione attraverso le nuove generazioni di questa attività. Fonte: http://pascolovagante.wordpress.com/2012/06/08/ lupi-a-due-gambe. 2. P. Mellano (a cura di), Atlante dell’edilizia montana nelle alte valli del cuneese. La Valle Varaita (Media e Alta valle, valle di Chianale e valle di Bellino), Politecnico di Torino, sede di Mondovì, Dipartimento di Progettazione Architettonica, Mondovì, 2003. 3. Progetto Alfieri, Civiltà d’alta quota nel Piemonte occidentale, Fondazione C.R.T., 2005.
11
12
Progettare in montagna
“Fa attenzione alle forme con cui costruisce il contadino, perché sono patrimonio tramandato dalla saggezza dei padri; cerca però di scoprire le ragioni che hanno portato a quella forma. […] Non pensare al tetto, ma alla pioggia e alla neve; in questo modo pensa il contadino e di conseguenza costruisce in montagna. […] Non temere di essere giudicato non moderno; le modifiche al modo di costruire tradizionale sono consentite soltanto se rappresentano un miglioramento, in caso contrario attieniti alla tradizione. Perché la verità, anche se vecchia di secoli, ha con noi un legame più stretto della menzogna che ci cammina al fianco”. Adolf Loos: “Regole per chi costruisce in montagna” Secondo Paolo Mellano, occuparsi oggi di architettura alpina rappresenta una situazione anacronistica dato che la montagna, dal dopoguerra in poi, è andata via via sempre più spopolandosi. In questi ultimi 50 anni circa di forte speculazione e di progettazione incontrollata il legame tra ambiente montano e architettura è andato via via deteriorandosi, al punto di farla diventare quasi sinonimo di distruzione dell’ambiente.
L’abbandono dei pascoli, la sempre più vasta cementificazione del suolo, i disboscamenti selvaggi etc. sono tutte concause dei frequenti ed attuali disastri ambientali; questi fenomeni sono facilmente riconducibili ad un’antropizzazione esclusivamente utilitaristica, indifferente nei confronti dell’ambiente e scellerata dal punto di vista ecologico. Paradossalmente esiste un’altra faccia della stessa medaglia, composta da taluni slogan ambientalisti che auspicano una natura utopizzata, intoccabile ed incontaminata; da più parti si è convinti che ormai bisognerebbe escludere qualsiasi intervento da parte dell’uomo in alta montagna. “Da un lato, quindi, la sensibilizzazione verso i problemi ambientali ha raggiunto quote di popolazione molto alte e non è più possibile “far finta di niente” e commettere gli scempi del passato; dall’altro lato la qualità dell’architettura e del paesaggio sono ormai diventati veri e propri “valori” economici e sociali, dai quali non si può più prescindere”1. Attualmente appare complicato pensare ad un’opposizione tra città e montagna; la visione settecentesca di Albrecht von Haller secondo la quale la montagna era l’esempio puro da contrapporre 13
alle città corrotte2 non esiste più siccome gli stili di vita urbani sono penetrati tra le montagne e sono stati fatti propri dalle popolazioni locali. Enrico Camanni nel 2002 ipotizza, intrecciando elementi tradizionali e contemporanei, nuove opportunità di vita ed insediative alternative a quelle delle grandi conurbazioni metropolitane: “riconnessione verticale” dei luoghi del lavoro e dell’abitare e “compenetrazione orizzontale” delle trame urbanizzate e naturali3; compresenza e commistione di ordini spaziali, temporali e culturali diversi, possibilità di praticare attività e stili di vita molteplici e differenti4. Molti architetti moderni (in primis Mario Cereghini nel 19505) hanno cercato di stabilire dei criteri sulla progettazione montana tramite regole comportamentali, tecniche costruttive che codificassero un procedimento per la costruzione in luoghi alpini. Bruno Reichlin, nel 1995, scrive che questo modo di procedere non caratterizza una corrente architettonica, bensì una catalogazione a posteriori per elaborare un’ipotesi di lavoro della critica architettonica: “l’architettura montana non è una secrezione naturale del paesaggio e delle genti e nemmeno il contesto montano promette un afflato federatore, una naturale convergenza d’intenti […] non fa architettura di montagna solo chi vuole e, al di fuori di una convenzione culturale, ci sono ben poche ragioni oggettive perché qualcosa si debba imporre come costruzione ‘adeguata’ al contesto montano”6. La sfida è supporre che gli architetti contemporanei possano pensare a progetti che, utilizzando un linguaggio attuale e moderno, forniscano risposte 14
concrete al paesaggio ed alle tradizioni locali dei paesi alpini. Anzitutto meriterebbe chiarezza il concetto di “modernità architettonica”; non si deve intendere e nemmeno presupporre l’abbandono delle tradizione, la negazione dei valori che caratterizzano il sito, l’imposizione di forme e materiali del tutto estranei dalla cultura e dalla memoria collettiva. Piuttosto che alle tendenze del momento, bisognerebbe rapportarsi al tempo ed agli usi: è moderno un edificio che risponde alle necessità del determinato arco temporale in cui viene realizzato, alle esigenze del committente, che sfrutta tutte le possibilità offerte dalla tecnica, ma ciò non significa che debba manifestare a tutti i costi la sua impertinenza. Anzi, riuscire a coniugare le tecniche ed i materiali innovativi con i valori dei luoghi, della storia e delle tradizioni potrebbe diventare una sfida da raccogliere per costruire la montagna del futuro, per operare nei luoghi dell’abbandono7.
Note 1. P. Mellano (a cura di), Atlante dell’edilizia montana nelle alte valli del cuneese. La Valle Varaita (Media e Alta valle, valle di Chianale e valle di Bellino), Politecnico di Torino, sede di Mondovì, Dipartimento di Progettazione Architettonica, Mondovì, 2003. 2. L. Zanzi, Albrecht von Haller. Tra laboratori della scienza e sentieri delle Alpi, in “La Rivista dei Cai”, Fondazione Maria Giussani Bernasconi, Torino, 2010. 3. E. Camanni, La nuova vita delle Alpi, Bollati Boringhieri, Torino, 2002. 4. A. De Rossi, R. Dini, Architettura alpina contemporanea, in collana: “Quaderni di cultura alpina”, Priuli & Verlucca, Aosta, 2012. 5. M. Cereghini, Costruire in montagna, Milano, 1950. M. Cereghini, Introduzione all’architettura alpina, Milano, 1953. 6. B. Reichlin, Quando gli architetti moderni costruiscono in montagna, in “Architettura contemporanea alpina – Architekturpreis, Premio d’architettura alpina 1995”, edizione Birkhauser, Basel (CH), 1996. 7. P. Mellano (a cura di), Atlante dell’edilizia montana nelle alte valli del cuneese. La Valle Varaita (Media e Alta valle, valle di Chianale e valle di Bellino), Politecnico di Torino, sede di Mondovì, Dipartimento di Progettazione Architettonica, Mondovì, 2003.
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L’alpeggio come risorsa
L’alpeggio come risorsa culturale Studiando le dinamiche storiche ed evolutive del paesaggio delle Valli Varaita e Po, appare evidente come si è passati nel tempo da un ciclo annuale di utilizzo del territorio praticamente privo di interferenze tra i limitati fruitori (turisti privilegiati e agricoltori-pastori locali), vivo fino agli anni ‘60, a un uso attuale estremamente promiscuo e diversificato nel corso di tutto l’anno, molto più complesso da gestire, che vede coinvolta una varietà di fruitori della montagna che va dalle popolazioni residenti ai margari provenienti anche da luoghi di pianura molto distanti, ai turisti di vario genere (alpinisti, turisti stagionali, sciatori, escursionisti etc.)1. In una realtà così complessa, l’alpeggio deve essere considerata a pieno titolo una risorsa culturale oltre che produttiva, di fondamentale importanza per impostare strategie di sviluppo del turismo sostenibile e di attività educative. Tra le risorse culturali legate all’alpeggio, che vanno dal patrimonio linguistico purtroppo solamente incentivato da alcune associazioni, agli aspetti di
allevamento di razze autoctone, estrema importanza assumono i manufatti costruiti dall’uomo per abitare, le vere e proprie strutture d’alpeggio. Il territorio montano è ancora estremamente ricco di tracce fisiche significative, un vasto patrimonio costruito che rappresenta, insieme alle altre componenti culturali dell’alpe, un bene da valorizzare a fini turistici; ciò impone alcune fondamentali azioni di tutela e soprattutto di sapiente recupero dei manufatti tradizionali, finalizzato sia alla loro conservazione come testimonianza storico-culturale che al loro mantenimento in attività o, eventualmente, al loro riuso come strutture ricettive nell’ambito agrituristico2. L’alpeggio come risorsa turistica Il processo di modificazione economica subito dall’ambiente montano in questi ultimi decenni ha portato ad un evidente squilibrio tra attività agro-pastorale e risorse naturali; oggi l’intenzione è quella di recuperare, attraverso corrette tecniche di gestione del pascolo, le tradizionali funzioni 17
alpine non solo a carattere produttivo, legate all’allevamento di animali, ma anche e soprattutto di carattere ambientale e paesaggistico. A partire dall’analisi del censimento degli alpeggi, la Regione Piemonte ha attivato iniziative di studio e sperimentazione mirate alla valorizzazione dell’attività d’alpeggio come risorsa produttiva, ambientale e turistica3; le conclusioni di questi studi portano all’individuazione del turismo sostenibile come possibile motore di sviluppo e di supporto per i territori d’alta quota. “Negli ultimi anni si va affermando la coscienza che l’allevamento bovino e ovi-caprino nelle zone montane non deve più essere solamente considerato per la funzione economica che può svolgere ma anche per il suo fondamentale ruolo nella gestione e conservazione del territorio attraverso l’utilizzazione foraggiera di prati e pascoli […]sia per quanto riguarda l’assetto idrogeologico sia come elemento determinante nella formazione e nella tutela di un determinato tipo di paesaggio e di una cultura che altrimenti sarebbero destinati a scomparire”4. L’alpeggio va quindi considerato non solo come risorsa economica, ma soprattutto per la sua multifunzionalità, valorizzando il ruolo svolto nel presidio e nella difesa del territorio montano; inoltre, per quanto concerne il turismo, occorre assicurare e promuovere una corretta ed integrata gestione ambientale delle infrastrutture, del territorio, dei beni culturali e naturali, in un’ottica di sviluppo dell’economia turistica sostenibile e di qualità5. L’orientamento turistico dell’attività d’alpeggio, 18
presente solamente come aspetto integrativo a quello produttivo tradizionale, pare ormai discretamente delineato; si parla generalmente di visite organizzate di carattere didattico e informativo agli alpeggi, con possibilità di assistere alla mungitura degli animali e alla lavorazione del latte e spesso completate dalla degustazione di prodotti locali. Ciò che pare ancora non funzionare è la provenienza di queste iniziative, troppo spesso a carattere privato e quasi mai derivanti da una proposta delle organizzazioni agricole e zootecniche6. Lo sviluppo di attività turistiche in alpeggio rappresenta, inoltre, un segmento significativo dell’offerta di turismo sostenibile che appare ormai in forte crescita. La vocazione turistica del territorio d’alpeggio, dunque, deve essere opportunamente valorizzata, anche attraverso la promozione della produzione casearia di qualità, per rientrare nel filone di turismo rurale a carattere eno-gastronomico, non limitandosi comunque a forme di associazione fra alpeggio e agriturismo, ma aprendo l’offerta turistica anche all’aspetto didattico, educativo e di ricerca. E’ da perseguire, quindi, la forte integrazione fra attività agropastorali e turistiche in modo da permettere forme incentivanti di integrazione del reddito dei margari, mantenendo la presenza dell’uomo sull’alpe a presidio del territorio e del paesaggio naturale e culturale. Nel 2004 si segnala un progetto pilota finanziato dalla Regione Piemonte e denominato “Alpissima, l’alpeggio in città”7, finanziato mediante i fondi stanziati per il progetto Interreg IIIA Alcotra, Italia-Francia, “ProAlp Alpeggi e Formaggi”.
Conclusioni L’elevata qualità paesaggistica del territorio piemontese non sembra ad oggi aver alimentato una sufficiente attrattività turistica che andrebbe perciò potenziata, puntando proprio sulla qualità del paesaggio e sulla valorizzazione delle produzioni casearie tipiche del territorio, che ancora non hanno ottenuto riconoscimenti in grado di innescare anche azioni di valorizzazione ambientale (per esempio attraverso i marchi D.O.C. e D.O.P.), eventualmente dando vita a consorzi e marchi volontari a garanzia del prodotto8. Il P.S.R9. della Regione Piemonte (soprattutto la Misura 322 “Sviluppo e rinnovamento di borgate montane”), può costituire un’occasione concreta di avvio di questo processo10. La Valle Grana, pur avendo dimensioni limitate, ha saputo perpetrare al meglio la produzione e la commercializzazione del formaggio Castelmagno, con la fondazione di un Consorzio sin dal 1984, avente lo scopo di tutelare e vigilare sulla produzione ed il commercio del formaggio Castelmagno D.O.P. e sull’uso della sua denominazione. Il progetto Alfieri, finanziato dalla Regione Piemonte nel 2005, individua sei punti di forza dell’alpicoltura da valorizzare:
conservazione dei suoli ed anche per la regimazione delle acque meteoriche; • il lavoro in alpeggio che, se adeguatamente valorizzato e qualificato, rappresenta un’occasione occupazionale da non trascurare anche con riguardo alle nuove generazioni se opportunamente sensibilizzate; • i prodotti dell’alpeggio, i quali costituiscono un elemento qualificante ed essenziale per il mantenimento delle tradizioni gastronomiche locali e per l’offerta turistica; • iniziative collaterali legate alla genuinità dei prodotti ed alle specifiche modalità di produzione, specialmente se connesse alle tradizioni locali, che possono sfociare in occasioni turistiche e commerciali (a questo scopo occorre promuovere, tra l’altro, una congrua politica delle D.O.P. e delle I.G.P. per evitare forme speculative e perdite di genuinità); • i percorsi turistici integrati, ad esempio abbinando visite e circuiti a carattere naturalistico, culturale e gastronomico11.
• il pascolo estivo che, se opportunamente valorizzato, può rappresentare un’occasione di rilancio economico per le aree rurali di montagna; • la razionale gestione dei pascoli, fondamentale per il mantenimento del paesaggio, la 19
Note 1. Progetto Alfieri, Civiltà d’alta quota nel Piemonte occidentale, Fondazione C.R.T., 2005. 2. Idem.
che caratterizzano la giornata lavorativa tipica in alpeggio, concentrando il proprio interesse sulle tecniche di caseificazione e sull’educazione territorialeambientale e alimentare. Purtroppo l’iniziativa non ha avuto modo di ripetersi negli anni seguenti.
3. Si vedano i progetti di cooperazione transfrontaliera “ProAlp - It-Fr Alpeggi e Formaggi” e “ProAlp It-Ch”, oltre al Workshop “La strada dei pastori: l’alpeggio come risorsa produttiva, ambientale e turistica”, svolto all’interno della V edizione della fiera Cheese a Bra, nel 2005.
8. Progetto Alfieri, Civiltà d’alta quota nel Piemonte occidentale, Fondazione C.R.T., 2005.
4. L. Battaglini, A. Mimosi, A. Ighina, C. Lussiana, V. Malfatto, M. Bianchi, Sistemi zootecnici alpini e produzioni legate al territorio, Dipartimento di Scienze Zootecniche, Università di Torino, 2007.
11. Progetto Alfieri, Civiltà d’alta quota nel Piemonte occidentale, Fondazione C.R.T., 2005.
5. Progetto Alfieri, Civiltà d’alta quota nel Piemonte occidentale, Fondazione C.R.T., 2005. 6. Si veda a tal proposito l’indagine eseguita nel 2003 da M. Corti, Le valenze turistiche ed educative del sistema delle alpi pascolive: indagine sugli eventi turistici sul tema dell’alpeggio, in “Il sistema delle malghe alpine. Aspetti agro-zootecnici, paesaggistici e turistici”, Quaderni SoZooAlp, n° 1, 2004. 7. L’iniziativa, di tipo residenziale con durata di due giorni, rivolta agli studenti degli Istituti Agrari e Alberghieri, è stata avviata per far conoscere il lavoro, la storia, la tradizione dell’alpeggio e contestualmente promuovere la diversificazione dell’attività agricola di montagna attraverso il coinvolgimento diretto dell’operatore nelle attività didattiche. Durante i soggiorni gli studenti hanno potuto assistere e partecipare direttamente alle attività tecnico-pratiche
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9. Programma di Sviluppo Rurale. 10. Regione Piemonte, Programma di sviluppo rurale P.S.R. 2007-2013, Torino, 2007.
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Capitolo
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LA VALLE VARAITA 23
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La Valle Varaita
1.1 Inquadramento, viabilità e paesaggio
Confini amministrativi La Valle Varaita è collocata geograficamente nel settore Sud-occidentale del Piemonte, all’interno dei confini amministrativi della Provincia di Cuneo. Confina a Nord con la Valle Po e la Val Bronda mentre la prima vallata che si incontra verso Sud è la Val Maira. I rilievi montuosi appartengono al settore delle Alpi Cozie Meridionali il cui spartiacque segna il Confine di Stato con la Francia, più precisamente con la regione del Queyras e con la Valle dell’Ubaye all’interno della Région administrative du Provence-Alpes-Côte d’Azur. I comuni nei quali la vallata è suddivisa sono tredici: Brossasco, Isasca, Venasca, Rossana, Piasco, Costigliole Saluzzo, Valmala, Melle, Frassino, Sampeyre, Casteldelfino, Bellino e Pontechianale, che insieme ai comuni della valli confinanti, compongono la Comunità Montana Valli del Monviso1. Con le nuove disposizioni in materia di riordino degli enti locali le comunità montane dovrebbero essere soppresse in favore delle unioni di comuni montani, come previsto dalla Legge regionale 11 del 20122, anche se a tutti gli effetti la loro presenza è ancora forte all’interno delle popolazioni dell’areale alpino. Inquadramento, viabilità e paesaggio
Idrografia Fin dall’antichità la valle è stata associata al nome del suo corso d’acqua principale, il flumen Varus dal quale deriva l’attuale idronimo Varaita. Il torrente si forma all’altezza del Comune di Casteldeflino dove si congiungono la Varaita di Chianale e la Varaita di Bellino, e scorre prevalentemente da Ovest verso Est con un andamento prevalentemente rettilineo3. Il Varaita raccoglie le acque principalmente dalle pendici del gruppo del Viso anche se non mancano numerosi affluenti laterali, alcuni dei quali segnano in maniera evidente l’orografia locale tracciando valloni secondari di limitato sviluppo come quelli di Rossana, Isasca, Gilba e Valmala. Il corso d’acqua principale si riversa a sua volta all’interno del Fiume Po, all’altezza dei Casalgrasso, diventando un affluente di destra. Il lago principale è sicuramente il Lago di Castello nel comune di Pontechianale creato artificialmente nel 1942 attraverso lo sbarramento del Varaita di Chianale. Sono presenti altri specchi d’acqua di minore importanza lungo il fondovalle e numerosi laghi alpini in alta quota, il maggiore dei quali è il Lago Grande di Viso, collocato a cavallo dello spartiacque fra la Val Varaita e la Val Po.
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Morfologia La Valle Varaita si conforma come una vallata prettamente rettilinea, orientata lungo l’asse Est-Ovest con una pendenza che aumenta gradualmente dai 400 mslm del comune di Costigliole di Saluzzo fino a giungere ai 2.744 mslm del Colle dell’Agnello4. A Casteldelfino la valle si divide in due rami: verso sud il ramo minore che porta all’abitato di Bellino mentre il ramo maggiore conduce al valico stradale con la Francia. “La valle presenta una forte differenza di esposizione ai raggi solari tra i due versanti, che localmente vengono chiamati rispettivamente ‘adréch’ o ‘adrét’ (dal latino ‘ad rectum’) quello orografico sinistro e ‘übàc’ o ‘übay’ (dal latino ‘ad opacum’) quello opposto, e tale diversità ha condizionato fortemente nel corso dei secoli sia l’estensione del manto vegetale che la localizzazione degli insediamenti”5. La vetta più alta è sicuramente quella del Monviso (3.841 mslm), il cui profilo del versante Sud si staglia prepotentemente sul fondovalle. Sono presenti inoltre numerose altre cime al di sopra dei 3.000, le maggiori sono la Cima Mongioia (3.340 m) ed il Monte Salza (3.329 m) nel ramo di Bellino mentre il Monte Aiguillette (3.298 m) ed il Pic d’Asti (3.219 m) nel ramo di Chianale. Il PPR (Piano Paesaggistico Regionale) varato dalla Regione Piemonte nel 2009 individua la Val Varaita come Ambito Paesaggistico n°51, suddividendo l’area in ulteriori quattro Unità Paesaggistiche dove la prima riguarda specificatamente il Gruppo di Viso. 26
Immagine 1.1.1 - Ambito 51 ‘Valle Varaita’ dal PPR della Regione Piemonte
Le restanti tre Unità (5102, 5103, 5104) rappresentano le differenze paesaggistiche presenti nel resto della valle e sono direttamente correlabili alle differenze strutturali del territorio6. La prima è quella posta all’estremo occidentale, dal lago artificiale di Pontechianale fino al confine francese presso il Colle dell’Agnello e all’interno della valle di Bellino. Qui tra i 2000 e i 3500 metri di quota, si incontrano creste rocciose con numerose pietraie che si alternano a circhi glaciali e piccole valli con depositi morenici prevalentemente di fondo; i versanti montani sono classificati come mediamente e molto pendenti, caratterizzati da una notevole instabilità superficiale con frequenti colate detritiche. La copertura del suolo, quando non caratterizzato dalla presenza di affioramenti rocciosi, ovvero pietraie e detriti, è prevalentemente La Valle Varaita
a prateria, ancora fortemente utilizzata per il pascolo. Consistente è anche la copertura boschiva a lariceti e cembrete, tra cui la più famosa cembreta dell’Alevè. La seconda Unità (collocata fra gli 800 e i 2000 m) rappresenta la porzione territorialmente più estesa dell’intero ambito, comprendendo fra gli altri anche l’abitato di Sampeyre. In ques’area, vi sono versanti e rilievi montani con pendenze medie o moderate e numerose piccole valli secondarie che incidono il versante principale. Il suolo è prevalentemente boschivo, con dominanza di faggete, lariceti frequentemente pascolati e pino silvestre. Nelle aree più elevate in quota, esclusivamente sui versanti solatii, vi sono pascoli tuttora utilizzati dal bestiame, mentre quelli esposti a nord sono infestati da estese superfici di ontano verde. Il fondovalle è invece caratterizzato da prati sfalciati, alternati a zone di invasione dell’acero-frassineto. Nelle aree a monte è ancora ben evidente il segno della passata azione glaciale con numerosi cambi di pendenza, “spalle glaciali” e aree di accumulo di materiale di ablazione. La terza Unità, di ridotta estensione, ma di valore dal punto di vista agroambientale, è rappresentata dall’area di fondovalle del Varaita, compresa tra Brossasco e Piasco. Qui suoli alluvionali attribuibili alla seconda e terza classe di capacità d’uso ospitano un’agricoltura marginale pedemontana che definisce però un paesaggio caratterizzato da sequenze di ambienti e prospettive particolarmente ricchi, mentre sui versanti dominano i castagneti, spesso in fase di abbandono. Inquadramento, viabilità e paesaggio
Viabilità La Valle Varaita è storicamente il principale asse di collegamento (insieme alla valle Stura) tra il Piemonte occidentale e la Francia meridionale, attraverso il colle dell’Agnello, il più elevato delle Alpi sud-occidentali7. L’importanza del valico è però ridotta dalla limitata apertura stagionale8 e dalle dalla portata dell’asse viario principale (SP105 fino a Pontechianale; SP 251 fino al colle) che a differenza della strada che conduce al Colle della Maddalena, importante valico transfrontaliero in Valle Stura, è classificata come provinciale. Un secondo valico veicolare, collocato a Sud di Sampeyre (e per questo motivo chiamato Colle di Sampeyre), mette in comunicazione la Valle Varaita con al Valle Maira attraverso una strada a carattere locale. Da Casteldelfino si dirama invece la direttrice stradale che conduce al ramo della Valle Varaita di Bellino, percorrendo prima al SP 105 e successivamente la SP 256. All’interno dell’immagine 1.1.4 (pagina successiva) sono raffigurati tutti i valichi che collegano la Val Varaita alle vallate circostanti, sia quelli aperti al traffico veicolare che quelli prettamente escursionistici ma che fino all’avvento dei mezzi meccanici rappresentavano ancora un’importante via di comunicazione intervalliva che oggi si sta progressivamente perdendo.
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Immagine 1.1.2 - Carta tematica della viabilità elaborata mediante software cartografico QGis. Sono state qui indicate le strade di percorrenza principali che attraversano la valle: la SS589 che attraversa la bassa valle fra Verzuolo e Costigliole Saluzzo, la SP8 che da Verzuolo conduce a Sampeyre, la SP 105 che collega Sampeyre a Bellino ed infine la SP251 che da Casteldelfino conduce al Colle dell’Agnello.
Immagine 1.1.3 - Carta tematica dell’idrografia elaborata mediante software cartografico QGis. In questa carat sono stati indicati i principali corsi d’acqua della valle, ovvero il torrente Varaita con i suoi due rami, la Varaita di Bellino e di Chianale, il torrente Gilba, ed il torrente Vallanta. Sono inoltre raffigurati tutti i torrenti minori.
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La Valle Varaita
Immagine 1.1.4 - Carta tematica delle valli secondarie e dei valichi elaborata mediante software cartografico QGis. La carta indica i nomi delle valli secondarie maggiori come il Vallone di Gilba, il Vallone di Vallanta, la valle di Valmala oltre ovviamente ai due rami della Val Varaita, quello di Bellino e quello di Chianale. Le altre valli, indicate con caratteri alfabetici sono: il Vallone dei Duc (A), il Vallone delle Giargiatte (B), il Vallone delle Forciolline (C), il Vallone di Soustra (D), il Vallone di Saint-Véran (E), il Vallone dell’Antolina (F), il Vallone di Fiutrusa (G), il Vallone di Rui (H) e la valle di Traversagn (I). Sono inoltre riportati con cifre fra 1 e 25 i valichi, sia quelli stradali che quelli escursionistici, che collegano la Valle Varaita alle vallate circostanti: Verso la Valle Po: Colle di Gilba (24), Colle di Cervetto (22), Colle di Luca (21), Passo dei Duc (20), Passo di San Chiaffredo (19), Passo delle Segnette (18). Verso la Val Bronda: Colletto basso (25). Verso la Valle del Guil (F): Passo di Vallanta (17), Colle dell’Agnello, (15) Colle di Saint-Véran (14). Verso la Valle dell’Ubaye (F): Col du Longet (13), Passo Mongioia (9), Colle dell’Autaret (8). Verso la Valle Maira: Colle di Bellino (7), Colle della Bicocca (6), Colle di Sampeyre (5), Colle Birrone (4), Colle di Valmala (3), Colle della Liretta (2), Colletta di Rossana (1). Valichi Interni: Passo della Losetta (16 - Collega il Vallone di Soustra ed il Vallone di Vallanta), Colle del Prete (23 - Fra Sampeyre ed il Vallone di Gilba), Passo di Fiutrusa (10 - Collega il Vallone di Fiutrusa ed il Vallone di Rui), Colle del Bondormir (11 Collega il Vallone di Fiutrusa con la Valle di Bellino), Colle della Battagliola (12 - Fra il ramo di Chianale e quello di Bellino).
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Sentieri escursionistici La Valle Varaita possiede una rete escursionistica ben sviluppata, che ricalca spesso le antiche mulattiere che da un lato collegavano i borghi principali e dall’altro conducevano dal fondovalle verso gli alpeggi in quota. Nel tempo sono tracciati alcuni percorsi tematici che attraversando l’intera valle creano delle vere e proprie reti sentieristiche, come ad esempio il Cammino della Val Varaita9 oppure il Valle Varaita Trekking - L’intera Valle Varaita in 12 tappe10. Inoltre la valle è percorsa da percorsi escursionistici di rilevanza nazionale o addirittura internazionale: è il caso del celebre Giro del Monviso11, uno dei più frequentati trekking del Piemonte occidentale oppure della GTA, la Grande traversata delle Alpi12, che percorre in quota l’intero arco alpino regionale. Attraverso l’area di progetto, l’unico sentiero censito sul catasto regionale è quello denominato U4, che partendo dalla Borgata di Calchesio raggiunge il Colle di Luca a 2436m. Da qui si collega al sentiero U31 che seguendo lo spartiacque con la Val Po conduce al rifugio Quintino Sella alle pendici del Monviso.
Note 1. Costituita ufficialmente il 01/01/2010, in seguito all’accorpamento delle due precedenti Comunità Montane Valli Po, Bronda, Infernotto e Valle Varaita, raggruppando in totale 29 Comuni: Crissolo, Oncino, Ostana, Paesana, Sanfront, Gambasca, Martiniana Po, Rifreddo, Revello, Castellar, Pagno, Brondello, Envie, Barge, Bagnolo Piemonte, Pontechianale, Casteldelfino, Bellino, Sampeyre, Frassino, Melle, Valmala, Brossasco, Isasca, Venasca, Rossana, Piasco, Costigliole Saluzzo e Verzuolo. 2. Legge regionale 28 settembre 2012, n. 11 - Disposizioni organiche in materia di enti locali. Il testo integrale è reperibile sul sito della Regione Piemonte all’indirizzo: http://arianna.consiglioregionale.piemonte.it/base/ coord/c2012011.html. 3. S. Peano, Modelli turistici e valorizzazione ambientale in Valle Varaita, Rel. A. Mela, Politecnico di Torino, 2004. 4. Per l’elaborazione del paragrafo si è seguito quanto riportato nel PPR (Piano paesaggistico regionale), che inserisce la valle all’interno dell’Ambito 51 “Val Varaita”. Il comune di Sampeyre forma invece l’ Unita di paesaggio 5103. La scheda d’Ambito può essere consultata a pag. 315 delle Schede degli ambiti di paesaggio pubblicate sul sito ufficiale della Regione Piemonte. 5. Dematteis L., Doglio G., Maurino R., Recupero edilizio e qualità del progetto, Cuneo, Primalpe 2003. 6. All’interno scheda del PPR vengono classificate le quattro unità di paesaggio a seconda della valenza ambientale e della loro conservazione definendo quindi l’unità 5101 “Monte Viso” come un ambiente Naturale
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La Valle Varaita
integro e rilevante, l’unita 5102 “Alta Valle Varaita” come Naturale/Rurale integro ed infine le unità 5103 e 5104 (“Sampeyre, Melle” e “Fondo Valle Varaita”) come Naturale/rurale o rurale a media rilevanza e buona integrita . 7. Regione Piemonte, Schede degli ambiti di paesaggio, PPR 2009. 8. Il valico del Colle dell’agnello viene chiuso con le prime nevicate poiché la sua importanza a livello transfrontaliero si è progressivamente ridotta col passare del tempo, rendendo l’operazione di rimozione della neve troppo onerosa rispetto ai vantaggi previsti. 9. Un complesso sistema di sentieri che, con partenza da diverse località del fondovalle, si snodano lungo tutto l’asse della Valle Varaita, mettendo in connessione borgate di notevole interesse storico e architettonico, luoghi di grande interesse paesaggistico e pregio naturalistico, per una rete totale di 213 km su sentieri e 35 km di collegamenti su strada asfaltata. F o n t e : h t t p : / / w w w. r e g i o n e . p i e m o n t e . i t / retescursionistica/cms/index.php?option=com_ content&view=article&id=741:il-cammino-della-vallevaraita&Itemid=703.
al tempo a disposizione: si va infatti dagli itinerari di 2 giorni agli itinerari di 4-5 giorni, adatti alle famiglie. Uno dei suoi punti di forza è la straordinaria varietà degli ambienti attraverso i quali si snoda, che appartengono a ben tre valli (Po, Varaita e Guil), passando dai magnifici specchi d’acqua dell’alta valle Po ai laghetti del vallone delle Giargiatte, dai pini cembri del bosco dell’alevè in Valle Varaita al passaggio nel Buco di Viso, il primo tunnel delle alpi aperto sul finire del Quattrocento. Fonte: http://www.cuneo360.it/itinerari/102. 12. La Grande Traversata delle Alpi è un itinerario escursionistico a livello regionale piemontese che si articola su una fitta rete di sentieri e di posti tappa, l’esperienza di un turismo a piedi, facendo leva percorsi che permettessero una più approfondita conoscenza del territorio attraversato, valorizzando le zone più spettacolari ma anche meno battute dal turismo tradizionale. Fonte: http://www.cuneo360.it/ itinerari/149.
10. Un percorso che interessa l’intera Valle Varaita in dodici tappe, con senso di salita dal versante esposto a sud e discesa da quello opposto. Gli itinerari di ogni tappa si prestano anche all’escursione di una singola giornata, poiché si incontra sul terreno una fitta rete di percorsi segnalati e collegati con i centri del fondovalle. Fonte: http://www.vallevaraitatrekking.it/index.html. 11. Grazie alla presenza di ben cinque rifugi intorno al Gigante delle Cozie è oggi possibile affrontare il Giro del Monviso secondo la propria preparazione e in base
Inquadramento, viabilità e paesaggio
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La Valle Varaita
1.2 Inquadramento storico
I Liguri I primi documenti storici che riguardano le Alpi Sud-Occidentali attestano che inizialmente nella regione della Val Varaita abitava una popolazione di origine preindoeuropea: i Liguri. Questo popolo era composto da pastori transumanti che durante la stagione estiva risalivano con il proprio gregge verso i pascoli d’alta quota, mentre trascorrevano l’inverno in pianura, lungo la costa o sugli altipiani provenzali. La mancanza di un sentimento nazionale e l’organizzazione sociale di tipo tribale dei Liguri facilitarono la sottomissione di questa popolazione al dominio romano a partire dal II sec. a. C.1. I Romani Il territorio alpino non era una zona adatta ad uno sfruttamento agricolo razionale da parte dei romani, ma diveniva prezioso come punto di passaggio e collegamento con la Gallia: si pensi agli attuali valichi del Monginevro, Maddalena e Tenda. Perciò se all’inizio i coloni romani si limitarono ad intrattenere piccoli scambi commerciali con i pastori del luogo, man mano si venne a creare Inquadramento storico
un’integrazione dei soldati di guarnigione e veterani divenuti agricoltori con i Liguri. La cittadinanza romana fu estesa agli abitanti delle vallate occitane così come diverse conoscenze romane quali l’uso della calce e dei laterizi e le tipologie costruttive dell’arco e della volta2. Il medioevo Con la caduta dell’Impero Romano i Longobardi prima e Carlo Magno poi tentarono di governare sull’area alpina, ma la scarsa percentuale di popolazione fu di ostacolo all’applicazione del sistema feudale. Dal 950 d.C., approfittando della mancanza di governo durante la successione dopo Carlo Magno, i Saraceni praticarono il brigantaggio nella valli alpine per 70 anni; essi però portarono anche dei benefici soprattutto in campo medico, nella coltivazione di nuove specie vegetali e nell’impulso allo sfruttamento minerario. Spopolato dalla svariate invasioni il territorio venne affidato alle gerarchie ecclesiastiche col compito di bonificarlo: i monaci rifondarono nuovi nuclei insediativi ripartiti fra dimore estive e invernali e spesso contraddistinti col nome dei santi; inoltre 33
Immagine 1.2.1 - Il territorio dell’Alta Valle Varaita evidenziato su estratto della Carta del 1704. Fonte: C. Allais, La Castellata, 1974.
elaborarono un sistema abitativo che aveva lo scopo di sfruttare al massimo le risorse locali con brevi spostamenti in altezza. Questo nuovo assetto territoriale richiese ampi disboscamenti e tutta una serie di opere come la costruzione di strade, mulattiere, ponticelli, muri di terrazzamento e canali di irrigazione; tutto questo contribuì a sviluppare un senso di comunità nella popolazione fino a sfociare nell’organizzazione dei primi comuni con statuti rilasciati dai signori locali3.
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La Repubblica degli Escartouns Attorno al 1200, con il ripopolamento medievale, si ebbe un’intensificazione degli scambi fra i territori alpini e la Provenza e dunque del transito alpino verso e dall’attuale Francia sia per la transumanza dei greggi che per il commercio del sale delle saline di Marsiglia; l’interazione tra le due popolazioni favorì l’imposizione della lingua e della cultura francese nelle valli occitane4. Verso il XIV sec. le popolazioni di confine svilupparono il bisogno di raggrupparsi per difendere i propri diritti, così il 29 Maggio 1343 il Delfino Umberto II di Albon creò la repubblica degli Escartouns, la quale comprendeva cinque distretti: i cantoni di Briancon, Chateau-Queyras, Oulx, Pragelato e Casteldelfino; quest’ultimo aveva per confine il comune di Sampeyre, mentre i territori ad Est del confine erano signoria dei Marchesi di Saluzzo. Il legame che si creò tra queste popolazioni permise la diffusione della lingua d’hoc, un idioma occitano originario del Sud della Francia che viene usato ancora oggi in Val Varaita. Tra il 1475 ed il 1480 con il traforo detto il buco di Viso, il primo traforo alpino con lo scopo di facilitare il commercio del sale, il collegamento tra la Provenza e le valli alpine si intensificò. Col contratto di Utrecht nel 1713 il Regno di Francia cedette ai Savoia i tre Escartouns situati sul versante orientale, tra cui l’attuale Val Varaita; le Alpi vennero dunque divise politicamente e sociologicamente5.
La Valle Varaita
Dal 700 al Regno d’Italia Negli anni seguenti nella Val Varaita si combatté la guerra di successione austriaca finché nel 1744 le truppe franco-austriache furono respinte alle porte di Cuneo. La valle rimase allora ai Savoia fino al 1861, quando i territori vennero annessi al Regno d’Italia6. Fine 800, inizio dello Spopolamento Attorno alla seconda metà dell’800 cominciò una forte migrazione stagionale delle valli alpine verso la Provenza, meta accessibile e favorita per le assonanze linguistiche. Nei primi decenni del ‘900 però, a causa dello squilibrio tra una forte crescita demografica ed un faticoso sviluppo economico, iniziò un lento ed inesorabile spopolamento delle valli alpine.
Inquadramento storico
Note 1. C. Allais, La Castellata. Storia dell’alta Valle di Varaita, L’artistica editrice, Cuneo, 1985. 2. V. Comoli, V. Fasoli, F. Very, Le Alpi. Storia e prospettive di un territorio di frontiera, Celid, Torino, 1997. 3. G. Groppo, Guida della Valle Varaita, Gribaudo editore, Cavallermaggiore, 1990. 4. V. Fino, Meire Misservè e il vallone di Sant’Anna di Sampeyre, in valle Varaita : analisi e recupero di una borgata alpina, Rel. P. Mellano, G. Pistone, E. Fabrizio, Politecnico di Torino, 2013. 5. T. Cosio, La Val Varacio Encui. Mini guida della Valle Varaita, Clypeus edizioni, Cuneo, 1986 6. R. Perotto, I mulini di pietra di Villaretto in Valle Varaita: un progetto di valorizzazione delle risorse architettoniche e agricole locali, Rel. D. Regis, Politecnico di Torino, 2013.
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La Valle Varaita
1.3 Sviluppo demografico e sociale
Nel paragrafo precedente si è già analizzato come lo spopolamento abbia inciso profondamente sulla struttura demografica dei comuni della Media e Alta Val Varaita. Il territorio più interno è stato maggiormente colpito da questo fenomeno, che ha risparmiato i comuni di fondovalle (in particolare Verzuolo e Saluzzo). Montagnoni, nella sua indagine sulla valle, ne riconosce due aspetti: Spopolamento, con cui si intende l’abbandono, parziale o totale, del territorio da parte della popolazione di uno o più comuni o frazioni, avente come conseguenza il degrado delle condizioni economico-geografiche del territorio. Rarefazione demografica, con cui si indica il fenomeno della discesa dei nativi dalle baite di alta montagna alle abitazioni di fondovalle e di pianura, che comporta l’abbandono delle colture, degli allevamenti e delle dimore tradizionali. In Val Varaita entrambi i fenomeni hanno inciso profondamente sulla numerosità, sulla composizione e sulla distribuzione della popolazione1. Sviluppo demografico e sociale
Valutazioni circa l’andamento demografico attraverso i secoli Il primo rilevamento demografico documentato nella valle consiste in una ricognizione disposta dal Delfino Umberto II nel 1339 allo scopo di conoscere l’esatta estensione dei suoi domini cisalpini; un calcolo approssimativo basato sul metodo dell’inventario attribuisce alla Castellata di quegli anni 2445 abitanti2. I primi decenni del ‘400 videro un forte flusso migratorio, causato dalle grandi alluvioni che scossero le basi economiche dell’intera valle; inoltre tra ‘500 e ‘600 le guerre religiose frenarono il naturale incremento della popolazione. Durante tutto il XVIII secolo la popolazione continuò a crescere, ma tra il 1790 ed il 1810 il saldo migratorio era quasi ovunque così negativo da ridurre al minimo l’incremento; spesso l’emigrazione stagionale era solo il preambolo dell’esodo definitivo. In quegli anni lo sviluppo demografico perse ogni spinta e gli incrementi furono alquanto ridotti nel corso di tutta la prima metà dell’800; a Sampeyre, per esempio, nel 1858 risultava abbandonato il 37
18% delle case3. Nella seconda metà del secolo la situazione sembrò ribaltata; le zone montuose delle Alpi Occidentali raggiunsero la massima percentuale di popolamento4. Come spesso accade, l’aumento di popolazione (in alcuni casi molto consistente) in un territorio geomorfologicamente carente di caratteristiche atte a favorire una tale densità umana, portò ad alcuni fenomeni che ancora oggi connotano l’ambiente alpino, quali il disboscamento, la messa a coltura di terreni anche di alta quota e l’utilizzo come abitazione permanente di nuclei un tempo destinati solo a soggiorni temporanei, che innestò un processo di dispersione sul territorio dei residenti5. La popolazione della valle registrò il suo massimo assoluto tra la fine dell’800 ed i primi anni del ‘900, periodo a cui risale l’espansione edilizia attorno ai centri più antichi; è necessaria una distinzione tra la Bassa Val Varaita (dove alcune grandi industrie facilitarono l’incremento della popolazione) e l’Alta Val Varaita (dove la conseguenza dell’incremento demografico fu la frantumazione delle proprietà a causa delle successioni ereditarie). Questi furono i principali motivi del fenomeno dell’emigrazione, che ad inizio ‘900 divenne difficile da ignorare. In un primo tempo questo fu quasi esclusivamente stagionale e comunque non coinvolse l’intero nucleo famigliare. Una prima ondata migratoria si rivolse verso il Mezzogiorno della Francia, una seconda ondata si rivolse all’America (dapprima Argentina, poi Stati Uniti dai primi anni del ‘900). Nel loro complesso le successive ondate migratorie 38
hanno ridotto la popolazione residente con percentuali che variano dal 50% al 90%. Le vicende belliche del secolo scorso hanno inciso pesantemente sulla struttura demografica del territorio. A partire dalla Grande Guerra il fenomeno migratorio si arrestò a causa dell’immobilismo dovuto alla difficoltà dei viaggi ed una volta terminato il periodo bellico, il forte squilibrio tra maschi e femmine portò queste ultime all’emigrazione per matrimonio o per lavoro, nonostante le rigide costrizioni imposte dal regime fascista, che da un lato incoraggiarono l’esodo verso il resto del Piemonte ma dall’altro incrementarono le partenze definitive. Il saldo naturale fa registrare una flessione dopo la Prima Guerra Mondiale: il problema più evidente risulta essere il grave invecchiamento della popolazione, che tra il 1931 ed il 1940 arriva a toccare l’altissimo tasso del 29,8%o6. La chiamata alle armi durante Seconda Guerra Mondiale delle leve più giovani comportò la scomparsa di un’intera generazione di uomini; i primi anni del secondo dopoguerra, l’unica possibilità di lavoro per i giovani fu rappresentata dall’industria del legname7. Quasi contemporaneamente iniziò la crisi della tradizione economica agricola, non più remunerativa rispetto alle nuove esigenze di vita, e con questo molti terreni vennero abbandonati8. Gli anni ’60 videro la fine del fenomeno di emigrazione all’estero: l’industrializzazione della pianura e della Bassa Valle iniziò ad offrire possibilità d’impiego per chi sul posto non ne La Valle Varaita
Immagine 1.3.1 - Andamento demografico in Valle Varaita fra il 1861 ed il 1981
trovava. Alcuni si trasferirono più vicino sul luogo di lavoro; i pendolari continuarono a vivere in paese pur lavorando via; altri ancora, pur mantenendo l’attività agricola, cercarono una sistemazione in pianura per il periodo invernale9. I dati relativi agli anni ’70 mostrano che, rispetto ai decenni precedenti, il decremento di popolazione è stato inferiore in quasi tutti i comuni. Se si può individuare nelle industrie della Bassa Valle un valido argine al deperimento demografico, per quanto riguarda la Media e l’Alta Valle, dall’esame della dinamica demografica risulta evidente come il maggiore depauperamento di risorse umane si registri nei comuni ad economia prevalentemente agricola, mentre situazioni più moderate si verificano nelle aree ad economia turistica biSviluppo demografico e sociale
stagionale10. Di particolare significato è l’analisi della situazione di Sampeyre11, il quale risulta ancora paese agricolo negli anni ’50 (periodo che segna le punte maggiori di spopolamento), mentre registra un brusco freno migratorio nel periodo ’71’81, contemporaneamente ad una riconversione turistica della propria economia e al clima di aspettativa per la realizzazione della stazione sciistica per cui la Provincia aveva presentato una proposta di P.T.O.12. Analizzando i dati riferiti al territorio della Comunità Montana nel suo complesso, si può riscontrare un picco di popolazione all’inizio del ‘900, seguito da un costante e inarrestabile declino. Il quadro che emerge denuncia una situazione di estrema gravità; tra il 1901 (che rappresenta 39
il periodo con il maggior picco di abitanti nella Comunità Montana) ed il 1981 la valle ha perso circa il 48% della popolazione, ma la misura dello spopolamento è molto diversa se si considerano separatamente l’Alta, la Media e la Bassa Valle13. Come si evince dal grafico, i dati relativi all’Alta Valle denunciano un fenomeno di spopolamento pronunciato lungo tutto l’arco temporale considerato; è questa la porzione di territorio che ha pagato il tributo maggiore. Guardando al XX secolo in un’ottica di lungo periodo si nota che dal 1901 al 1981, mentre la valle complessivamente perde il 48% della popolazione, l’Alta Valle registra un calo demografico del 72%14. Significativa è la situazione di Sampeyre, che a inizio ‘900 raggiungeva i 6548 residenti mentre nel 1981 ne conta 1461, il 22% della popolazione censita nel 190115. La Media Valle riporta dei valori demografici simili all’Alta Valle, soprattutto da parte dei comuni più piccoli collocati nelle vallate laterali. La Bassa Valle non risulta invece in perdita ma mantiene un dato demografico costante; questo fatto è da attribuire alle maggiori possibilità di lavoro, favorite dalle comunicazioni più agevoli e dalle caratteristiche geografiche più favorevoli, che hanno determinato successive fasi di immigrazione, dapprima valligiana e poi extracomunitaria. Cambiamenti demografici recenti Per svolgere un’analisi completa della situazione attuale e delle prospettive di sviluppo della valle è utile soffermarsi sull’andamento demografico 40
degli ultimi anni, dal momento che la popolazione costituisce la risorsa principale di ogni territorio, ma può anche divenire un fattore problematico qualora si riduca eccessivamente16. Una perdita di popolazione consistente come quella che affligge le nostre Alpi crea una lacerazione profonda nel tessuto sociale e nel territorio stesso; in tale contesto c’è il rischio che si inneschino processi di degrado e di involuzione, che possono mettere in discussione la sicurezza stessa dei luoghi. Queste variabili negative, se non contrastate efficacemente, possono inficiare anche le attese per lo sviluppo turistico, il quale si basa sulla gradevolezza e sulla possibilità di utilizzo del territorio; possono soprattutto incidere negativamente sulla stessa vivibilità di alcune arti delle aree alpine, che perdono gli elementi di sicurezza basilari per un rilancio economico17. Queste considerazioni, valide per tutto l’arco alpino della Provincia di Cuneo, risultano pienamente attinenti al territorio della Comunità Montana Valle Varaita dove, in alcune aree di Alta e Media Valle, lo spopolamento ha falcidiato il corpo sociale avviando pericolosi processi di degrado e rinaturalizzazione selvaggia18. Il territorio è stato coinvolto dallo spopolamento in modo direttamente proporzionale alle quote altimetriche ed alla marginalità dei luoghi: dove i due fattori coincidono si è registrato un vero e proprio esodo19. Il saldo naturale risulta costantemente negativo per tutto l’arco di tempo analizzato; per quanto riguarda il saldo migratorio la situazione presenta aspetti diversi La Valle Varaita
nelle tre partizioni: complessivamente esso risulta prevalentemente positivo ed in crescita negli ultimi anni. Ciononostante il saldo anagrafico totale risulta prevalentemente negativo. L’andamento demografico negativo dell’Alta Valle non si è arrestato con il passare degli anni: nell’ultimo trentennio la valle ha perso complessivamente quasi il 7% dei suoi abitanti; con 1100 abitanti circa, Sampeyre è l’unico centro di una certa dimensione (considerando il fatto che si trova nel limite inferiore dell’Alta Valle). Esiste una speranza? Secondo le fonti IRES Piemonte, nel periodo 1970-1990 la popolazione residente sul territorio alpino comprensivo delle all’epoca 48 Comunità Montane piemontesi aveva fatto segnare un -12%; nel decennio successivo 1991-2001 la popolazione è invece cresciuta dell’1,2% ed attualizzando i dati al 2010 il dato è rimasto costante. Parrebbe quindi, paragonando questi ultimi dati alla storia demografica della Val Varaita, che lo spopolamento delle montagne piemontesi stia facendo registrare un’inversione di tendenza. Uno dei motivi di questo fenomeno può essere ricercato nell’isolamento e nella scarsa di opportunità di sviluppo; un tempo forte deterrente sociale ma ora valore aggiunto per un nuovo modello di crescita basato sul patrimonio locale, paesaggistico e storico-culturale20. Anche l’atteggiamento dei giovani in questi anni è radicalmente mutato: “vivere al paese” non è più solo uno slogan ad uso e consumo degli intellettuali. Un altro dei motivi Sviluppo demografico e sociale
di questo fenomeno è la situazione degli stranieri, giunti nelle alte valli per intraprendere esperienze lavorative; nel decennio 1991-2001 ne sono giunti nelle Comunità Montane 16.70121 e nel decennio successivo i numeri si sono confermati22. Conclusioni Basandosi sulle indagini precedentemente effettuate, lo spopolamento che si è verificato ha interessato prima le zone più povere e disagiate, iniziando dalle borgate meno accessibili e con condizioni ambientali più sfavorevoli, già in precedenza più soggette all’emigrazione stagionale23. Questa divaricazione tra zone forti e zone deboli all’interno della medesima valle24 è di per sé problematica e richiede misure che portino a rafforzare le situazioni più deboli oltre ad iniziative di recupero e rilancio economico, come puntualmente viene auspicato dalle relazioni delle Comunità Montane interessate. L’analisi demografica delle zone più interne fa emergere anche la necessità di una serie di azioni che tengano in considerazione la qualità della popolazione alla quale si rivolgono; sono necessarie misure indirizzate alla riscoperta ed al recupero dei valori che sono il fondamento della vita collettiva in montagna: solidità, sentimento di appartenenza e valori culturali, indispensabili per fondare un nuovo rapporto uomo-territorio e non solo atte ad arginare lo spopolamento, ma ad invertire la tendenza con azioni mirate e studiate a misura d’uomo e di paesaggio. 41
Note
12. Piano Territoriale Operativo.
1. U. Montagnoni, Popolamento e spopolamento di una vallata alpina. Ricerche atropo-ecologiche nell’Alta Val Varaita e testimonianze di cultura occitana, in “Archivio per l’antropologia e l’etnologia”, vol. CVI, Torino, 1976.
13. Dati forniti dall’Ufficio Studi e Programmazione della Provincia di Cuneo, 1983.
2. C. Allais, La Castellata. Storia dell’alta Valle di Varaita, L’artistica editrice, Cuneo, 1985.
14. Dati forniti dall’Ufficio di Piano della Provincia di Cuneo, Il turismo invernale in provincia di Cuneo, Quaderno n°4 (Piano Territoriale di Coordinamento), Cuneo, 1994.
3. C.I.P.R.A., II Rapporto sullo stato delle Alpi, Centro Documentazione Alpina, Torino, 2002.
15. S. Peano, Modelli turistici e valorizzazione ambientale in Valle Varaita, Rel. A. Mela, Politecnico di Torino, 2004.
4. W. Batzing, Le Alpi tra urbanizzazione e spopolamento, L’Alpe, Milano, 1999.
16. Comunità Montana Valle Varaita, Piano di sviluppo socio-economico 1999-2004, I.S.E.S.C.O., Cuneo, 2004.
5. P. Landini, L’habitat permanente e pastorale nella Valle Varaita, in “Bollettino della Società Geografica Italiana”, sez. VI, n.6, Torino, 1929.
17. C.I.P.R.A., II Rapporto sullo stato delle Alpi, Centro Documentazione Alpina, Torino, 2002.
6. P. Dematteis, Autosufficienza, emigrazione, turismo – Una lettura possibile dei mutamenti avvenuti nelle valli del Monviso, A.L.P.G.M., n.16, 2003. 7. B. Burzio, P. Jorio, Gli “altri” mestieri delle valli alpine occidentali, (collana Quaderni di cultura alpina), Ivrea, Priuli & Verlucca, 1986. 8. L. Zanzi, Le Alpi nella storia d’Europa, Cda & Vivalda, Torino, 2004. 9. S. Peano, Modelli turistici e valorizzazione ambientale in Valle Varaita, Rel. A. Mela, Politecnico di Torino, 2004.
18. V. Comoli, V. Fasoli, F. Very, Le Alpi. Storia e prospettive di un territorio di frontiera, Celid, Torino, 1997. 19. F. Brun, A. Mosso, E. Xausa, La montagna in cifre. Rapporto statistico sulle terre Alte del Piemonte, Dipartimento di Economia e ingegneria agraria, forestale e ambientale, Università degli studi di Torino, Sezione di economia politica agraria, Torino, 2005. 20. E. Ottonelli, Analisi di un comprensorio montano (alta Val Varaita) e formazione di un repertorio architettonicourbanistico in funzione di una proposta progettuale, Rel. A. De Rossi, Politecnico di Torino, 2005 .
10. Idem.
21. Dati forniti dall’I.S.T.A.T., 14° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni, 2001.
11. Dati forniti dall’Ufficio di Piano della Provincia di Cuneo, 1994.
22. G. Dematteis, Montanari per scelta; indizi di rinascita nella montagna piemontese, F. Angeli, Milano, 2011.
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La Valle Varaita
23. S. Peano, Modelli turistici e valorizzazione ambientale in Valle Varaita, Rel. A. Mela, Politecnico di Torino, 2004. 24. W. Brtzing, Le Alpi italiane. Un’analisi dei problemi attuali nella prospettiva di una Convenzione Alpina, C.I.P.R.A., Bolzano, 1990.
Sviluppo demografico e sociale
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La Valle Varaita
1.4 Cultura e tradizioni L’Occitania viene definita da Sergio Salvi “forse la più grande nazione senza Stato”1. Il territorio occitanico, costituito da un’ampia porzione dello Stato francese e da parti molto limitate dei territori italiani e spagnoli, non è infatti quasi mai corrisposto ad un’effettiva nazione con poteri politici, giuridici ed amministrativi pur possedendo lingua, economia e cultura unitari. Quando si è alla ricerca delle radici di una nazione, seppure una “nazione negata” come l’Occitania, tutti gli elementi sembrano concorrere ad identificarne la diversità con il mondo circostante2. Che cos’è dunque l’Occitania? Una terra di poeti e di trovatori antichi e moderni, una terra di conquista per eserciti e crociate medievali di cui non si è persa la memoria. Un paese di feste e tradizioni che affondano le loro radici in credenze millenarie. Uno scenario narrato da scrittori famosi che vi transitarono. Una patria e una nazione immaginata e teorizzata fino a pochi decenni fa. Un territorio aspro e bellissimo nelle Alpi piemontesi, dove è ancora viva la sua identità culturale3. La questione occitana in Francia riguarda 12 milioni di abitanti in 30 dipartimenti, dove è difficile pensare nell’immediato, in un’area linguistica occitana così vasta, a grandi salti dal punto di vista giuridico. Tuttora lo Stato centralista Cultura e tradizioni
francese formalmente non riconosce una minoranza etnico linguistica occitana, mentre lo stato italiano, con la legge 482 del 1999, l’ha riconosciuta. Un termine di riferimento è sicuramente la situazione della Catalogna, dove un governo autonomo all’interno dello Stato spagnolo ha riconosciuto la Val d’Aran, una valle occitana in territorio catalano: ha riconosciuto identità linguistica, identità giuridica e identità economica. In Val d’Aran c’è stato davvero, ed è tuttora in corso, un progetto di sviluppo che lega questi fattori e che è visibile sul posto: la prova evidente di come una valle di montagna, in questo caso nei Pirenei, legando economia, sviluppo, identità e lingua, possa pensare di rinascere4. La lingua occitana Analogamente ad altre quattordici valli piemontesi, la parlata dell’Alta Val Varaita appartiene ad uno dei tre grandi gruppi dialettali che costituiscono la lingua occitana contemporanea: il gavot, detto anche provenzale-alpino o alpino-delfinatese. La lingua d’oc trae origine dall’antica parlata celtoligure che, subendo l’influsso del latino in seguito alle invasioni romane, andò evolvendosi nel gruppo delle lingue neolatine o gallo-romanze. Sembra sia stato per primo Dante ad impiegare il 45
termine “lingua d’oco” nella prima classificazione delle parlate romanze, in cui distinse tra lingua del sì (italiano), lingua d’oil (francese) e lingua d’oc (occitano). La denominazione “d’oc” trae origine dalla derivazione della particella affermativa occitana dal latino “hoc est” (questo è)5. I primi documenti scritti in una forma mista di latino ed occitano risalgono al IX sec., mentre i testi in pura lingua d’oc si trovano a partire dalla fine del X sec. Nel XII sec. L’occitano rappresentava l’idioma dell’élite culturale di tutta l’Europa meridionale, al punto che lo stesso Dante pare fosse stato incerto se scrivere la Divina Commedia in italiano o nella lingua dei trovatori6. Nonostante ciò l’occitano mantenne il prestigio e la propria unità solo fino al XIV sec.; le armate francesi ed in particolare la Crociata degli Albigesi nel XIII sec. Costrinsero le élites all’abbandono delle corti occitane e venne imposto il francese come lingua ufficiale7. L’intensa scolarizzazione seguita alla Rivoluzione Francese portò poi la lingua francese anche all’interno delle famiglie occitaniche. Il risultato è che all’inizio del XX sec. La maggior parte degli occitani non era più in grado di scrivere nella propria lingua d’origine ed allo stato attuale, sebbene ancora i due terzi della popolazione occitanica la comprenda, solo un decimo di essi la parla abitualmente. La lingua occitanica contemporanea ha ormai perso il carattere fortemente unitario delle origini e ciò rende ancor più ardui i tentativi finalizzati alla riscoperta della cultura occitanica e alla rivendicazione della propria identità linguistica. Gli interventi volti ad un’unificazione della cultura 46
occitanica hanno portato ad accese polemiche fra le diverse organizzazioni occitaniche. Attualmente si utilizza quasi esclusivamente un’unica ortografia distinta in 4 varianti: il Nord occitanico, l’occitanico centrale, il provenzale ed il guascone8. Rispetto all’occitanico del fondovalle, la parlata dell’Alta Val Varaita si caratterizza per una maggior purezza lessicale, conseguente alla profonda influenza esercitata dallo stato francese a partire dai primi anni del XIII sec. Sino all’Unità d’Italia. Questa apertura verso la Francia portò all’introduzione di termini tipici della lingua d’oil a cui andò ad aggiungersi, a partire dall’XIX sec., l’influsso del dialetto piemontese, favorito dai più frequenti scambi commerciali, dalla migrazione delle popolazioni montane verso i centri industriali e da un costante aumento del turismo9. Sergio Salvi porta all’attenzione ciò che Dino Matteodo, ex vicepresidente della Comunità Montana Val Varaita si è auspicato nei suoi anni da attivista in favore della valle; testualmente: “bisogna legare l’identità occitana alla questione della lingua: non puntando sul passato, ma ad un progetto di sviluppo complessivo per queste valli. Diversamente, si cade molto rapidamente nel folclorismo, nella dialettologia e non si va più in là di questo”10. La gestione del lavoro durante l’anno Dopo gli anni ’60 si riscontra un forte decadimento delle attività agricole associate all’allevamento e dunque dei lavori legati ad un’economia di sussistenza. Viene infatti abbandonata l’organizzazione di tipo patriarcale che prevedeva La Valle Varaita
una struttura aziendale e familiare articolata attorno ai membri più anziani, considerati i maggiori depositari di potere, conoscenze ed esperienza; i nuovi nuclei familiari sviluppano altre esigenze che non possono esimere da un adeguato guadagno per l’abbondante manodopera richiesta. In passato tutte le attività venivano praticate nel rispetto di un’organizzazione tradizionale tramandata nei secoli, secondo un ritmo fortemente influenzato dalle stagioni. Durante l’anno si provvedeva alla raccolta delle foglie, utilizzate come riserva di foraggio invernale e della canapa usata per realizzare corde e tessuti; si praticava il taglio del secondo fieno e della legna, le quali sono le uniche attività autunnali attuate ancora oggi; si lavoravano le pietre per i manti di copertura11. Si procedeva inoltre alla battitura del grano ed alla preparazione delle riserve di pane per l’inverno; queste ultime attività venivano praticate a livello comunitario, nel rispetto di regole e turni definiti rigidamente. Il costo per l’attrezzo di pulitura del grano veniva ripartito tra più famiglie, la farina veniva macinata in piccoli mulini ad acqua collettivi, il pane era cotto nel forno della borgata, che veniva acceso poche volte l’anno12. Anche le attività invernali della caccia e del trasferimento del fieno nei fienili a valle venivano svolte collettivamente: erano estremamente faticose, ma occupavano una minima parte delle giornate invernali durante le quali gli anziani, non più in grado di emigrare all’estero per i lavori stagionali, fabbricavano utensili domestici ed attrezzi agricoli. Artigiani locali invece si occupavano di produrre Cultura e tradizioni
Immagine 1.4.1 - Sui pascoli di Oncino, Peiretti Antonio classe 1883. Fonte: Meirare: tra Val Varaita e Val Po, B. Martino, E. Paseri, 2008.
di mobili utilizzando il legno dei committenti e spesso lavorandolo direttamente nelle abitazioni dei clienti13. L’essenza più usata era il larice, il cui taglio si eseguiva a fine autunno; le singole famiglie piantavano e tagliavano i propri tronchi, trasformandoli in assi che poi lasciavano essiccare per tre anni prima dell’utilizzo14. All’inizio della primavera ogni famiglia forniva manovalanza per i vari lavori di ripristino fra cui il riassetto dei beni pubblici. I lavori aumentavano progressivamente solo dal mese di giugno quando la neve si scioglieva pressochè completamente con un conseguente risveglio della natura15. Ancora oggi, a partire da questo periodo, gli animali vengono fatti uscire dalle stalle: le greggi di ovini vengono lasciate pascolare senza sorveglianza ad alta quota, mentre 47
la custodia dei bovini viene affidata ai ragazzi. Se le famiglie non avevano figli dell’età adatta in passato venivano assunti i ragazzi delle famiglie meno abbienti perché andassero a vivere con i datori di lavoro da Giugno a Settembre16. L’estate ha sempre rappresentato il periodo di lavoro più duro ed intenso. Mentre oggi il fenomeno della transumanza è quasi scomparso, un tempo da fine Luglio a fine Settembre la donna si trasferiva con i figli più piccoli nelle baite oltre i 2000 m di quota per l’alpeggio del bestiame, mentre gli altri membri della famiglia si dedicavano alla fienagione restando a vivere nelle borgate17. Dunque le famiglie erano costrette a vivere separate per l’intera settimana potendo ricongiungersi all’alpeggio solo la domenica. Questa scelta era necessaria per sfruttare i pascoli più ad alta quota e garantire una riserva invernale di fieno sufficiente; oggi la maggior parte degli allevatori preferisce affidare il bestiame ad esterni oppure sfruttare soltanto i pascoli più vicini, quando il numero ridotto di capi lo consente. Agosto era il mese più faticoso in quanto gli uomini dovevano recarsi in alta quota per il taglio del fieno, partendo dalle borgate all’alba e inoltre dedicarsi all’aratura e alla semina dei campi. Le colture seguivano una rotazione triennale in cui la coltivazione di erba medica, piselli o trifoglio era praticata al fine di ripristinare l’azoto nei terreni. Attualmente la falciatura dei prati non supera i 2000 m di altitudine, ma non è raro vedere terreni abbandonati in prossimità dei paesi, a conferma della tesi del fenomeno detto della “rinaturalizzazione” del paesaggio agro-forestale18. 48
Note 1. S. Salvi, Occitania, Luigi Colli editore, Rodello (CN), 1998. 2. E. Ballone (a cura di), L’altro Piemonte: le minoranze etnico-linguistiche nella regione, EDA, Torino 1980. 3. R. Pellegrino, La via Occitana-Catalana, Ousitanio Vivo Edizioni, Cuneo, 2001. 4. Idem. 5. L. Borghi Cedrini, La lingua d’oc; il Medioevo: le origini della letteratura in lingua d’oc, in “Storia della civiltà letteraria francese”, parte IX, La letteratura occitanica, Torino 1993. 6. Come scrive Luciana Borghi Cedrini, direttore del Dipartimento di Scienze Letterarie e filologiche dell’Università di Torino, i trovatori sono stati di fatto i primi cantautori dell’Europa moderna, ma sono stati anche di più. Sono stati in qualche modo gli opinionisti del loro tempo, perché nella loro produzione così apprezzata e così diffusa non cantavano solo l’amore e i costumi della vita di corte, ma si dedicavano anche alla sfera civile e politica. Se si considera che il Medioevo era un’epoca praticamente priva di quelli che oggi consideriamo i “nomali” mezzi di comunicazione, è impressionante come il loro canto riuscisse a circolare velocemente e come valesse appunto a pubblicizzare una crociata, a sostenere un’azione politica e così via. Avevano quindi un ruolo rilevante non solo come intrattenitori, ma anche come “opinion makers”. 7. C. Allais, La Castellata. Storia dell’alta Valle di Varaita, L’artistica editrice, Cuneo, 1985. 8. E. Lantelme, A. Gedda, G. Galli, Occitania, un’idea
La Valle Varaita
senza confini, Espressione Creativa editore, Chivasso, 2002. 9. AA. VV., Baìo! Baìo! Storia, tradizione e realtà della Baio di Sampeyre, Ousitanio Vivo Edizioni, Cuneo, 1987. 10. S. Salvi, Occitania, Luigi Colli editore, Rodello (CN),1998. 11. P. Landini, La vita pastorale nell’alta Valle Varaita (Alpi Cozie), in “Bollettino della Società Geografica Italiana”, sez. VI, n.4, Torino, 1927. 12. L. Dematteis, Case contadine nelle Valli Occitane in Italia, Priuli & Verlucca, Ivrea, 1983. 13. B. Burzio, P. Jorio, Gli “altri” mestieri delle valli alpine occidentali, (collana Quaderni di cultura alpina), Ivrea, Priuli & Verlucca, 1986. 14. R. D’Amico, Segni e simboli in Val Varaita, Clypeus editore, Torino, 1995. 15. R. D’Amico, Val Varaita insolita, Clypeus edizioni, Torino, 1992. 16. M. Ghione, F. Poggio, R. Rineri, Ipotesi per il recupero delle preesistenze edilizie della Valle Varaita: proposta di intervento su “Meira Danna”, Rel. A. Bruno, Politecnico di Torino, 1981. 17. P. Landini, La vita pastorale nell’alta Valle Varaita (Alpi Cozie), in “Bollettino della Società Geografica Italiana”, sez. VI, n.4, Torino, 1927. 18. P. Landini, L’habitat permanente e pastorale nella Valle Varaita, in “Bollettino della Società Geografica Italiana”, sez. VI, n.6, Torino, 1929.
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1.5 Tipologie architettoniche della tradizione locale La caratteristiche degli edifici, lungo tutta la Valle Varaita, mettono in luce modi di abitare e di costruire che in molti casi sono simili se non uguali a quelli dell’adiacente Valle Maira. In effetti queste vallate erano accomunate, in passato, da una notevole autonomia decisionale; inoltre sia le popolazione della prima valle che quelle della seconda, sfruttavano i pascoli d’alta quota grazie al sistema delle residenze estive e degli alpeggi. Prendendo in esame la tipologia edilizia Paolo Mellano, nel suo lavoro di documentazione sull’architettura storica della Val Varaita1, è possibile individuare ricorrenze tra numerosi edifici dalle forme e funzioni ben riconoscibili, per quali si può definire la seguente classificazione: • Le “stalle d’alpeggio”, edifici per uso stagionale, contraddistinti da volumi semplici, generalmente di pianta rettangolare, interamente costruiti in pietra, utilizzati per il ricovero del bestiame durante l’alpeggio. • La “casa isolata polifunzionale” o “tipo alpino”, un edificio solitamente costituito da un corpo principale caratterizzato da una tripartizione di funzioni; la stalla al piano terreno (nella maggio parte dei casi chiusa superiormente da una volta in pietra ed inferiormente da terra battuta e Tipologie architettoniche della tradizione locale
pietre), abitazione al piano primo e fienile al piano superiore, solitamente con pavimentazione in legno e tetto a vista, costituito da orditura in legno a sostegno del tipico manto di copertura in lose. • La “casa a schiera”, costruita parallelamente al versante, caratterizzata da due o più corpi di fabbrica simili, accostati fra loro su piani di appoggio diversi e quindi sfalsati in altezza l’uno rispetto all’altro, a “scaletta” lungo la linea di massima pendenza. • Il “ricovero d’alpeggio”, un edificio molto semplice, anch’esso costruito interamente di pietra, utilizzato come abitazione stagionale del margaro o come deposito di materiale e di mezzi d’opera durante il periodo dell’alpeggio. • Il “mulino”, costruito a lato dei ruscelli che scendono dalla montagna, caratterizzato da una ruota posta in posizione orizzontale in modo da muovere la macina senza ulteriori ingranaggi. Si tratta di edifici in cui la convivenza uomo-bestiame nel periodo invernale era fondamentale poichè, essendo il camino in cucina l’unica fonte di calore, e per di più usato per cucinare, esso non forniva calore sufficiente per scaldare tutti i locali. Talvolta 51
Immagine 1.5.1 - ‘La casa dei gemelli’ in località Balma l’Olmo. Secondo le testimonianze locali, questo edificio perfettamente simmetrico in ogni sua parte, era stato costruito in questo modo da due fratelli per poter essere completamente indipendenti l’uno dall’altro. La casa, infatti, possiede due fienili, due abitazioni, due stalle e due crutìn.
gli anziani e i bambini in inverno dormivano nelle stalle, per evitare il gelo delle camere2; se in alcuni casi si cercava di ricavare dei collegamenti verticali interni agli edifici, solitamente si preferivano le comunicazioni esterne, protette dagli sporti dei tetti. La copertura è sempre a “lose”, in molti casi non molto regolari per sagoma e dimensione, sorretta da un’orditura ternaria di travi lignee3. Con il passare degli anni le abitudini degli abitanti di queste zone sono cambiate, infatti nella speranza di condizioni di vita migliori, l’attività pastorizia è stata in molti casi abbandonata per dare in favore 52
dell’inurbamento tra le giovani generazioni. Ciò ha comportato un progressivo spopolamento di queste aree, il disuso di stalle e di ricoveri di alpeggio, provocando l’attuale obsolescenza dei fabbricati rurali e la trasformazione in ruderi di intere borgate e delle dimore stagionali ad esse connesse4. Altra conseguenza di questo fenomeno è la “rinaturalizzazione” del paesaggio agro-forestale con l’abbandono delle attività agricole e pastorali, seguita dalla cancellazione dei segni antropici in infrastrutturazione del territorio5. Alcuni edifici, invece, vengono ristrutturati perchè rispondano in maniera consona alle nuove attività e necessità; è solito sostituire quindi le antiche stalle con cantine o tavernette ed ampliare le abitazioni ricavando degli spazi abitativi nei fienili. La maggior parte degli edifici ristrutturati risponde però ad esigenze turistiche, dunque le dimore alpine un tempo abitate stabilmente tutto l’anno vengono rimpiazzate con case ad uso strettamente vacanziero; spesso inoltre l’intervento di ristrutturazione è condotto senza alcun rispetto per l’impianto originario e senza tener conto dei valori dell’architettura tradizionale6. Allo stesso tempo, solitamente per passaggi di eredità, si è assistito ad una progressiva suddivisione dei vari fabbricati fra più persone, che ha portato ad una frammentazione incontrollata dei particellari agrari. Tutto ciò ha negli ultimi anni determinato un’intensa attività edilizia legata a questi tipici fabbricati in pietra, ma in molti casi è stato dimenticato che la loro realizzazione fu dettata dalla La Valle Varaita
necessità, dai materiali dei luoghi e dall’esperienza7. In alta quota, dove il periodo vegetativo si limita alla breve stagione estiva, l’esposizione al sole acquista un’importanza determinante per gli insediamenti: in molte valli alpine si riscontra così un netto contrasto, in termini di uso del suolo, tra il versante soleggiato (adret nell’accezione locale) ed il versante ubac mentre il lato in ombra è di solito roccioso, ripido e densamente coperto di alberi, il versante esposto al sole declina in modo più dolce ed è molto più fertile, prestandosi pertanto assai meglio allo sfruttamento agricolo e all’insediamento umano8. Il P.P.R.9 della Regione Piemonte individua, a seconda delle diverse Unità di Paesaggio presenti nel territorio della Val Varaita, delle tipologie architettoniche rurali ricorrenti, costituite da materiali e tecniche di costruzione caratterizzanti; l’importanza dell’inserimento in un documento ufficiale di caratteri architettonici tipici e tradizionali è un’indicazione della crescente attenzione verso la salvaguardia e il ripristino delle tradizioni non solo della valle, ma di tutto il territorio piemontese10.
Note 1. P. Mellano (a cura di), Atlante dell’edilizia montana nelle alte valli del cuneese. La Valle Varaita (Media e Alta valle, valle di Chianale e valle di Bellino), Politecnico di Torino, sede di Mondovì, Dipartimento di Progettazione Architettonica, Mondovì, 2003. 2. L. Dematteis, Il fuoco di casa nelle tradizioni dell’abitare alpino, (collana Quaderni di cultura alpina), Ivrea, Priuli & Verlucca, 1996. 3. B. Rosso, Cenni di architettura alpina, in “CAI. Montagne nostre”, Cuneo, 1975. 4. V. Fino, Meire Misservè e il vallone di Sant’Anna di Sampeyre, in valle Varaita : analisi e recupero di una borgata alpina, Rel. P. Mellano, G. Pistone, E. Fabrizio, Politecnico di Torino, 2013 . 5. P. Landini, L’habitat permanente e pastorale nella Valle Varaita, in “Bollettino della Società Geografica Italiana”, sez. VI, n.6, Torino, 1929. 6. R. D’Amico, Val Varaita insolita, Clypeus edizioni, Torino, 1992. 7. B. Drusi, La dimora alpina. Costruzioni rurali nel paesaggio agro-forestale, Aracne editore, Roma, 2009. 8. P.P. Viazzo, Comunità alpine. Ambiente, popolazione, struttura sociale nelle Alpi dal XVI secolo ad oggi, Carocci Editore, Roma, 2001. 9. Piano Paesaggistico Regionale. 10. Piano Paesaggistico Regionale, Schede degli Ambiti di Paesaggio, Torino, 2009, p. 320.
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1.6 Programmi di sviluppo e progetti per la valorizzazione locale “Alla base di programmi e progetti per lo sviluppo e la valorizzazione delle vallate montane piemontesi devono trovarsi in prima istanza le peculiarità delle piccole realtà locali, che come in un mosaico frammentato ma rispondente ad un unico disegno vanno a comporre un insieme territoriale complesso ma unitario che necessita pertanto di azioni coordinate e di largo impatto ed al tempo stesso rispettose e rispondenti delle singole caratteristiche e bisogni locali. Molto importante è il questo contesto la nuova funzione assunta dalle politiche regionali promosse dall’Unione Europea, sia a livello di azioni comunitarie sia nel oro riflesso sulle politiche regionali e locali dei singoli Stati membri”1. Programma Alcotra Il programma Alcotra, approvato nel novembre 2007 dalla Commissione Europea, prevede la cooperazione transfrontaliera tra Italia e Francia relativa al periodo 2007-2013 per il quale è stato stanziato un contributo del fondo FESR pari a 149,7 milioni di euro, per un costo totale di circa 237,5 milioni di euro2. Il progetto, che copre l’intera frontiera alpina tra i due Paesi, persegue l’obiettivo generale di migliorare la qualità della vita delle popolazioni e lo sviluppo sostenibile dei sistemi economici e territoriali
transfrontalieri attraverso la cooperazione in ambito sociale, economico, ambientale e culturale ed è finanziato all’interno dei fondi strutturali, ovvero gli strumenti di attuazione della politica regionale comunitaria destinati a finanziare programmi pluriennali di sviluppo regionale concordati tra la Commissione europea, gli Stati membri e le Regioni. I progetti Alcotra nell’ambito della Valle Varaita Il programma Alcotra è suddiviso in progetti di cooperazione e piani integrati transfrontalieri (PIT), ognuno dei quali, una volta approvato, riceve i finanziamenti che necessita. L’ambito della Valle Varaita rientra all’interno sia di un progetto che di un piano integrato. Il primo, denominato Espaci Queyras-Valvaraita, è un progetto frutto della cooperazione tra la Comunità Montana Valle Varaita e l’Ufficio di Promozione Turistica del Queyras che ha come principale prospettiva quella di incidere sulle dinamiche di sviluppo e produttive del territorio. Persegue inoltre l’obiettivo di rilanciare il settore turistico, attraverso una strategia di sviluppo endogeno e un’ottica transfrontaliera favorendo un approccio ecosostenibile delle attività e dei servizi proposti coerentemente con le condizioni
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ambientali di pregio del contesto progettuale, attraverso un’integrazione strutturata e consolidata dei prodotti offerti. Il Piano integrato di intervento denominato Monviso: L’uomo e le territoire vede coinvolti come attori principali il Parco del Po Cuneese e il Parc naturel Régional du Queyras, ponendosi come obiettivo complessivo lo sviluppo, a partire dalle relazioni esistenti tra le persone e il territorio, dell’area del Monviso, attraverso interventi interconnessi e partecipati in grado di promuovere la tutela e la valorizzazione delle risorse locali e una fruizione slow ed integrata dell’offerta turistica. L’area transfrontaliera del PIT comprende la fascia di territorio che dalle zone montane francesi del Guillestrois e del Queyras (zona Nord-Est del Département des Hautes-Alpes), passando per il Colle dell’Agnello, raggiunge le colline del Roero attraversando i territori della Valle Maira, Valle Varaita, Valle Po, Bronda e Infernotto e l’area del saluzzese, di Racconigi e di Savigliano (Nord-Ovest della provincia di Cuneo). I progetti di cooperazione singoli previsti dal PIT Monviso e che riguardano la Val Varaita sono: • G1. Piano di coordinamento e di comunicazione: Il Piano di Coordinamento e Comunicazione si pone come obiettivo il facilitare il raggiungimento dell’obiettivo del PIT attraverso un’efficiente sistema di comunicazione interna tra i soggetti coinvolti nell’attuazione del PIT; una rete che garantisca un’informazione completa e diffusa sul territorio e attività di monitoraggio e comunicazione. 56
• G2. Risorsa MONVISO: Il progetto mira a salvaguardare le componenti naturalistiche, paesaggistiche e ambientali di aree protette transfrontaliere oggetto di una forte pressione antropica, derivante dalle molteplici attività umane. In particolare gli obiettivi specifici sono l’elaborazione e la sperimentazione comune di modelli di gestione delle aree, il diretto e attivo coinvolgimento degli attori locali e la sensibilizzazione dei diversi soggetti che determinano tali impatti sui luoghi. • G4. Cultura des Hautes terres: progetto finalizzato a fare delle espressioni culturali locali fonte di diversificazione dell’economia rurale rafforzando il suo ruolo come elemento per perseguire qualità della vita e socialità. D’altra parte, il progetto favorirà la ripresa degli antichi legami culturali che hanno interessato in passato le alte valli francesi ed italiane attraverso la promozione di numerosi elementi d’identità comune. La cultura del Monviso, troppo a lungo al margine dello sviluppo locale e troppo spesso elemento folcloristico per i turisti, potrà pertanto rafforzarsi, facendo degli attori locali autentici operatori culturali. • G5. Le Montagne produit Qualità: Il progetto mira a valorizzare le produzioni agro-alimentari di qualità, importanti risorse per uno sviluppo delle aree montane. Gli obiettivi specifici sono la creazione di un mercato locale transfrontaliero e la promozione della conoscenza e della diffusione delle eccellenze locali. La Valle Varaita
• G6. Savoir Legno: Il progetto intende rafforzare l’economia rurale attraverso il sostegno alla competitività delle imprese artigianali francesi ed italiane che compongono la filiera legnocostruzioni e arredamento, promuovendo una filiera transfrontaliera, considerata come una risorsa rilevante in termini di competenze, occupazione e attrattività del territorio. In particolare l’iniziativa intende migliorare la qualità dei prodotti e sperimentare nuove modalità di promozione della conoscenza e del consumo delle produzioni artigianali lignee locali. Programma Mab e Riserve della Biosfera Il Programma MAB (Man and the Biosphere) è stato avviato dall’UNESCO allo scopo di migliorare il rapporto tra uomo e ambiente e ridurre la perdita di biodiversità3. L’obiettivo della proclamazione delle Riserve è promuovere e dimostrare una relazione equilibrata fra la comunità umana e gli ecosistemi, creare siti privilegiati per la ricerca, la formazione e l’educazione ambientale, oltre che poli di sperimentazione di politiche mirate di sviluppo e pianificazione territoriale. L’Area della Biosfera del Monviso comprende 88 Comuni4 e prevede una core area, una buffer zone ed una transition zone. La core area, ovvero l’area protetta effettiva, è costituita dalla Riserva Naturale del Parco del Po Cuneese, nonché dal sito di importanza comunitaria (SIC) del Monviso e del Bosco dell’Alevè. La buffer zone, detta anche zona “cuscinetto” si identifica con i confini amministrativi dei 23 Comuni interessati
dal territorio del Parco del Po Cuneese, del SIC Monviso e del SIC Pra Barant. La transition area corrisponde invece all’estensione degli altri 65 Comuni in territorio italiano interessati dal PIT Monviso, con i quali è da tempo attiva una feconda collaborazione sui temi dello sviluppo locale sostenibile. Il territorio interessato dal MAB può essere suddiviso in due zone morfologiche e in tre sub zone territoriali: una zona collinare e pianeggiante nella parte Nord-Est della Provincia di Cuneo e due zone di territorio montano, a Nord-Ovest. Il principale elemento fisico di collegamento è il Monviso, sorgente del fiume Po. La zona collinare e pianeggiante corrisponde sostanzialmente con i territori dell’area di Racconigi, del Roero, del Saviglianese e del Saluzzese, il cui paesaggio è caratterizzato da vigneti e frutteti. La zona montana comprende le aree della Valle Varaita, delle Valli Po, Bronda e Infernotto e della Valle Maira. La Valle Po è la più settentrionale delle valli saluzzesi e può essere considerata la “via naturale” che conduce al Monviso soprattutto grazie al fiume Po che la modella ampiamente. L’area del Monviso è ufficialmente entrata a far parte delle Riserve della Biosfera nel Maggio del 2013. Un comunicato stampa della Regione Piemonte del 28 Maggio dichiara che: “Il Monviso è stato formalmente riconosciuto come nuova Riserva della Biosfera nazionale e transfrontaliera nel programma UNESCO “Man and Biosphere”. Il riconoscimento è avvenuto oggi [28/05/2013] a Parigi nel corso della 25a Sessione di incontro del Consiglio Internazionale
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di Coordinamento (ICC) del Programma MaB dell’UNESCO”5. Il riconoscimento rappresenta l’ennesima prova che il territorio al quale appartiene la Valle Varaita può fregiarsi di un’indubbia attrattiva ed è dovere delle amministrazioni locali non sprecare l’opportunità che è stata concessa, ma coglierla per salvaguardare l’ambiente e migliorare l’attrattiva locale. Il Gruppo di Azione Locale Il gruppo di azione locale (GAL) rappresenta un insieme di soggetti pubblici e privati riuniti allo scopo di favorire lo sviluppo locale di un’area rurale. Il GAL è uno strumento di programmazione che riunisce tutti i potenziali attori dello sviluppo come sindacati, associazioni di imprenditori, imprese o enti pubblici nella definizione di una politica concertata6. Come parte della Comunità montana delle Valli del Monviso, la Valle Varaita con il suo territorio afferisce al GAL dal nome “Tradizione delle Terre Occitane” che ha come riferimento l’area geografica compresa nella parte sud occidentale del Piemonte, corrispondente al territorio delle Comunità Montane Valle Stura, Valli Grana e Maira, Valli Po, Bronda, Infernotto e Varaita. I soci appartenenti al gruppo si dividono in pubblici e in privati, dove i primi sono rappresentati dalle Comunità montane mentre i secondi possono essere rintracciati sul sito ufficiale dell’associazione7. Il compito principale dei gruppi di azione locale è lo sviluppo del PSL ovvero il piano di sviluppo locale, un documento programmatico nell’ambito 58
del quale vengono indicate le priorità di azione sul territorio in un arco temporale di medio periodo, circa cinque anni. La strategia attuale del Piano di Sviluppo Locale del G.A.L. Terre Occitane prevede di costruire ed utilizzare questo strumento al fine di promuovere e realizzare servizi mirati all’insediamento sul territorio. Il PSL rappresenta inoltre uno strumento di consultazione dove sono riportate le statistiche ed i dati relativi ad ogni settore produttivo nel periodo di riferimento indicato, sulla base dei quali si redige il piano del quinquennio successivo.
La Valle Varaita
Note 1. Botto P.C., Scinco S., La valorizzazione delle vallate montane piemontesi : strumenti e approcci valutativi nelle politiche, nei programmi e nei progetti comunitari, Rel. Cristina Coscia, Politecnico di Torino 2011. 2. Per informazioni più esaustive sul progetto Alcotra 2007-2013 si rimanda al sito ufficiale http://www. interreg-alcotra.org/2007-2013/index.php?pg= dove sono riportate inoltre il dettaglio delle operazioni previste e delle note di spesa. 3. Per informazioni più esaustive sul Programma MAB si rimanda al sito ufficiale dell’UNESCO al sito: http:// www.unesco.it/cni/index.php/scienze-naturali/biosfera. 4. Informazioni più dettagliate possono essere ricavate all’indirizzo:http://www.monviso.eu/ita/mab/area_ biosfera.aspx. 5 . h t t p : / / w w w. r e g i o n e . p i e m o n t e . i t / n o t i z i e / piemonteinforma/diario/il-monviso-riserva-unescodella-biosfera.html. 6. Definizione di GAL tratta da: http://it.wikipedia. org/wiki/Gruppo_di_azione_locale 7. Per informazioni più esaustive sul GAL Tradizione delle Terre Occitane si rimanda al sito internet ufficiale all’indirizzo: http://www.tradizioneterreoccitane.com.
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Capitolo
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Gli alpeggi
2.1 Analisi dei censimenti degli alpeggi 1980/2006 Ormai da anni si parla e si scrive di valorizzazione del territorio montano, descritto come un ambiente che rischia di essere abbandonato, lasciato a se stesso. Si è cercato di definire quali possono essere le politiche, non solo architettoniche, per salvaguardare, per permettere la fruizione integrando scopi produttivi, turistici, naturalistici e si è quindi sovente individuato nei soggetti che sfruttano in prima persona tale territorio (i malgari) i custodi degli strumenti più adatti ad attuare queste politiche, dando per scontato il loro legame conoscitivo ed affettivo con l’area in cui vivono1. Attualmente lo spopolamento della montagna ha prodotto una situazione in cui il controllo effettivo sui pochi che sono rimasti ad utilizzarla si è ridotto al minimo se confrontata con la politica sviluppatasi quando i mezzi di controllo non erano ancora tali e l’unica forte motivazione era l’affetto e la cura verso un paesaggio sentito fortemente proprio; eppure la tutela di questo territorio costituisce motivo di grande preoccupazione da parte degli organi di governo, Regione, Province e Comunità Montane. Vengono riportati di seguito due stralci di atti di convegno, derivanti dalla presentazione dei due censimenti degli alpeggi piemontesi, rispettivamente risalenti al 1980 e al 2006 (“Progetto Pro Alp I-FR, Alpeggi e Formaggi”, Analisi dei censimenti degli alpeggi 1980/2006
condotto nell’ambito dei progetti “INTERREG III A 2000-2006 Italia-Francia” finanziati dalla Regione Piemonte); l’analisi dei contenuti porta a una visione inevitabilmente critica sul fatto che, dagli anni ‘70 ad oggi, i risultati tendono ad essere molto simili negli obiettivi e negli scopi che si propongono o si proponevano di ottenere, nonché nei metodi per raggiungerli, nonostante siano stati proposti e attuati a distanza di circa 30 anni. Censimento alpeggi 1980 Sulle Alpi si vengono ad incontrare e si intrecciano capitali ed uomini. La gestione di questi fattori produttivi, attraverso l’esercizio stagionale dell’attività zootecnica, è volta a raggiungere una specifica finalità economica di carattere ovviamente privatistico, ma tende altresì a realizzare un altro obiettivo, che è di pubblica utilità e che consiste nell’impresa e nell’impedire la graduale desertificazione di ampi territori secondo un processo inarrestabile ed irreversibile, con le ben note e gravi conseguenze che all’ambiente derivano dalla rottura degli equilibri ecologici. Se la ripetizione ininterrotta e periodica dell’attività esercitata dall’impresa pastorale reca un eminente contributo alla salvaguardia dei capitali raccolti in alpe ed alla tutela della stabilità ecologica formatesi 63
in tempi lunghi lunghissimi, appare evidente che l’impegno operativo e di sacrifici degli imprenditori e delle maestranze d’alpe non possono non meritare di essere aiutati con avveduti incentivi finanziari e soprattutto appoggiati con la realizzazione di iniziative che si propongano di migliorare l’assetto organizzativo e gestionale dell’impresa. Anche soltanto per conservare i livelli di produzione ad oggi registrati è assolutamente indispensabile modificare, con validi interventi, le constatate precarie condizioni degli investimenti immobiliari e mobiliari. Per citare in proposito una situazione emblematica, si può ricordare che, in base agli accertamenti effettuati, l’indice di degrado dei 2.544 vani destinati alla alloggiamento dei pastori è risultato molto rilevante (92%), a significare che è il personale trova riparo in locali fatiscenti; quanto ai bovini , soltanto il 53% dei medesimi trova ricovero nelle 3.524 stalle oggi disponibili, per metà delle quali le segnalazioni ricevute convergono nel richiedere urgenti ed indispensabili opere di restauro. Per questi motivi l’indagine pone in rilievo la necessità di intervenire con soluzioni tecniche moderne poiché se uomini e animali non trovano adatte condizioni di soggiorno, i riflessi che ne derivano sono sempre negativi dal lato economico e riguardo al fattore umano risultano anche non poco depressivi dal lato psicologico. Il complesso delle imprese pastorali operanti nelle Alpi costituisce una forza produttiva di grande dimensione, che lavora in situazioni di notevole disagio ma che tuttavia riesce ugualmente a 64
produrre per l’impegno e di sacrifici di una classe d’imprenditori i cui quadri vanno però riducendosi malauguratamente di anno in anno. Proprio per questo motivo l’impresa pastorale deve essere aiutata a risolvere i suoi problemi, che non sono né pochi né facili anche perché, se ciò non avvenisse e se si dovesse interrompere l’esercizio stagionale dell’attività zootecnica sui pascoli alpini, prenderebbe corpo il rovinoso fenomeno della graduale ed inarrestabile desertificazione di ampi territori, con le ben note conseguenze negative a tutti i livelli. E’ necessario quindi augurarsi che di fronte all’inevitabile declino delle fonti energetiche tradizionali ogni migliore sensibilità politica ed ogni più avanzata tecnologia vengano messe in campo per sfruttare al meglio il patrimonio di risorse naturali e di indotto di cui le nostre valli sono portatrici2. Censimento alpeggi 2006 In passato analoghe indagini sulle attività pastorali in Piemonte furono condotte negli anni ‘50 da Francesco Pastorini e poi ancora dal medesimo negli anni ‘80; proprio il documento allora redatto costituisce l’elemento principale di confronto con la situazione attuale, benché siano stati utilizzati i metodi d’indagine differenti. Le prime analisi dimostrano alcuni dati interessanti soprattutto se confrontati con quelli del passato. In particolare si è notata una riduzione del numero di aziende ed un conseguente accorpamento di tramuti; a questo è da collegarsi una contrazione della forza lavoro ed Gli alpeggi
ad un abbandono di superfici pascolivi marginali. I capi allevati per azienda sono aumentati e le tipologie di allevamento si sono indirizzate verso quelle che richiedono meno manodopera. Proprio per questo altre analisi sviluppate mostrano che in più del 50% delle aziende non viene effettuata trasformazione del latte preferendo altre tipologie di allevamento meno oneroso. Oltre il 35% degli alpeggi censiti non dispone di strade di accesso agibili per mezzi motorizzati a quattro ruote , situazione che influisce profondamente sia sul conferimento del latte sia sulla sua successiva trasformazione3. Osservazioni Quest’ultimo progetto incorpora una serie d’iniziative volte non solo al puro censimento delle malghe ma improntato alla valorizzazione delle stesse ed alla partecipazione della collettività alla vita negli alpeggi. Le indagini denotano la volontà di migliorare le odierne condizioni delle strutture utilizzate dai pastori monticanti attraverso un primo passo, ovvero la documentazione e la messa a rapporto di tutte le malghe del territorio piemontese. Una prima analisi riguardante la Val Varaita indaga la superficie pastorale divisa per comprensori; Il comprensorio “Cima di Crosa” (dove si colloca l’area di progetto), assieme al comprensorio “Melle”, risulta avere la maggior superficie di prati e pascoli e il dato diventa ancora più significativo se si confronta l’altitudine media dei due comprensori, essendo Melle ad una quota nettamente inferiore. Analisi dei censimenti degli alpeggi 1980/2006
Il censimento ha previsto un limite minimo a 20 U.B.A. (Unità Bovino Adulto) per l’inserimento in questa analisi, ma non dichiara quante strutture non hanno potuto far parte di questa indagine perché sotto la cifra stabilita. Attenendosi ai dati rilevati durante la monticazione 2003-2004, gli alpeggi in Val Varaita risultano essere 61, dei quali solamente uno di proprietà pubblica; la quali totalità delle strutture prevede quindi un assegnazione dell’utilizzo delle superfici pastorali mediante affitto diretto. Il rapporto tra gli indirizzi aziendali prevalenti denota una forte produzione da allevamento (circa il 70%) rispetto alla produzione casearia (24%) con ben poche strutture in grado di attuare una produzione mista latte-carne. La lavorazione del latte, negli alpeggi dichiaranti attività casearia, è sempre in loco tranne che in una singola struttura dove il latte viene lavorato in un altro caseificio; non si presentano casi di attività casearie senza un apposito locale di lavorazione. La tipologia di stalla presente è chiusa nel 90% dei casi e in pochissime situazioni non è presente, anche se non è indicato se ogni stalla garantisce la copertura dell’intera mandria di capi o meno. Le strutture da noi individuate come soggetti della nostra attività progettuale non sono inserite in questo censimento perché evidentemente già a quel tempo non più produttive; i dati raccolti da questa indagine mostrano una certa uniformità di caratteristiche tra i diversi alpeggi della Val Varaita ed evidenziano una distribuzione in modo omogeneo sulle superfici pascolive, fino 65
a raggiungere altitudini considerevoli (oltre i 2.000 m); questa situazione denota l’importanza basilare assunta nei decenni passati dalla pratica alpicolturale all’interno dell’’economia rurale della vallata4. In tutti i comprensori di pascolo esistenti non è mai stata riscontrata la carenza di strutture e ricoveri: i pastori trascorrono la stagione di monticazione in alpeggio utilizzando sempre costruzioni stabili, senza dover ricorrere a strutture temporanee e stagionali per gli spostamenti sulle aree pascolive e per i tramuti. In generale fabbricati risultano molte volte abbandonati o necessitano di forti interventi di ristrutturazione. Si tratta di strutture mediamente costituite da 2-3 vani destinati all’abitazione del pastore, talvolta comprensive di un piano interrato in cui sono siti locali per il ricovero degli attrezzi o per la lavorazione e la stagionatura dei formaggi. L’approvvigionamento dell’acqua risulta prevalentemente da sorgenti vicine alle strutture e, negli alpeggi più prossimi al fondovalle, tramite allacciamento all’acquedotto (in 14 strutture su 61). Molte malghe, soprattutto quelle non ancora ristrutturate, risultano però prive di acqua corrente interna. È da evidenziare inoltre come, in alcuni valloni pascolivi accessibili mediante automezzi, siano in corso di ristrutturazione o appena ristrutturati alcuni fabbricati d’alpe (21 su 61 sono stati ammodernati nel periodo post 1976), anche se in taluni casi sono utilizzati ora dai proprietari come seconda casa per permanenze estive. 66
La viabilità pastorale in Valle Varaita risulta abbastanza sviluppata in relazione alla morfologia delle superfici pascolive; si rileva quindi la possibilità di accesso con mezzi meccanici mediante apposite piste e strade di servizio in 45 casi su 61. I progetti e gli studi realizzati in questi ultimi anni denotano una curata attenzione verso il problema ed una sicuramente valida valutazione del contesto; è quindi venuto il momento di prospettare una risoluzione concreta delle problematiche. Le politiche proposte dal Piano Alpeggi5 sono indirizzate a soluzioni difficilmente applicabili per la maggior parte delle strutture presenti sul territorio (spesso veri e propri edifici “di fortuna”), proprio perché generalizzate a tutto l’arco alpino piemontese e che quindi, anche nella più rosea delle aspettative, verrebbero abbandonate e lasciate come ruderi. Questi sforzi potrebbero invece essere indirizzati inizialmente al miglioramento della mera funzionalità ed efficienza di tali strutture ed alla responsabilizzazione ambientale dei proprietari poi, solo in seguito, programmare e pensare agli strumenti più adatti per valorizzarne l’operato6. Ciò che da questi studi è emerso è lo stato di equilibrio precario in cui attualmente si trovano gli alpeggi piemontesi, continuamente oscillanti tra una condizione di abbandono definitivo e di una possibile rivalutazione e ri-attivazione in vista di una economia basata sulla valorizzazione di prodotti tipici, fortemente legati al territorio, e dello sviluppo di nuove forme di turismo sostenibile7. Gli alpeggi
Note 1. P. Court, Riflettere su, riflettere nel : proposta per un alpeggio in alta quota, Rel. C. Ravagnati, E. Giacopelli, Politecnico di Torino, 2012. 2. F.M. Pastorini, L’alpicoltura, in “Agricoltura e Montagna, Atti del 16° Convegno Nazionale sui problemi della Montagna”, E. Bertoglio, A.M. Vicario, Stigra, Torino, 1980. 3. P. Ferraris, Il censimento degli alpeggi, in “Progetto Alpeggi 2002-2006, Atti del Convegno”, Regione Piemonte, supporto informatico, 2006. 4. Idem. 5. M. Gimondo, Il Piano Alpeggi, in “Progetto Alpeggi 2002-2006, Atti del Convegno”, Regione Piemonte, supporto informatico, 2006. 6. P. Court, Riflettere su, riflettere nel: proposta per un alpeggio in alta quota, Rel. C. Ravagnati, E. Giacopelli, Politecnico di Torino, 2012. 7. Progetto Alfieri, Civiltà d’alta quota nel Piemonte occidentale, Fondazione C.R.T., 2005.
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Gli alpeggi
2.2 Dinamiche insediative in alta quota
Studiando la tradizione alpina, affiorano in molti casi culture e usi difficilmente proponibili in altri ambiti, proprio perché legati intrinsecamente al territorio; è il caso delle dinamiche d’insediamento per l’alpeggio. Per sfruttare al massimo le risorse del luogo ed evitare lunghi spostamenti di persone ed animali si sviluppò negli anni una modalità di lavorazione della terra ed una tipologia abitativa a più livelli altitudinali, con dunque più sedi per ciascuna famiglia1. • La dimora invernale era solitamente edificata nei pressi di altre abitazioni, creando un agglomerato attorno al quale erano presenti orti, campi e prati irrigui falciabili. La disposizione delle case all’interno dei villaggi è tale da garantire percorsi ridotti, sottopassi, marciapiedi coperti dallo sporto dei tetti, per rendere possibile lo spostamento da un’abitazione all’altra anche nel periodo invernale; tutto ciò compete a creare un borgo compatto e serrato. Era abitudine comune trovarsi la sera nelle stalle, unico ambiente caldo della casa poiché l’unico camino presente in cucina, utilizzato per cucinare, non Dinamiche insediative in alta quota
era sufficiente a scaldare le stanze2. La cura dei particolari e della fattura erano determinati in particolar modo dallo spirito di collaborazione all’interno della comunità, oltre che ovviamente dalle condizioni economiche. • La dimora stagionale, posta ad un’altitudine maggiore su pendii di mezza costa, su creste o su piccoli terrazzi orografici, era costruita sul modello di quelle permanenti, con funzioni analoghe, ma di dimensioni più ridotte e di fattura meno curata. La famiglia risiedeva in queste dimore da Aprile-Maggio ad OttobreNovembre, a seconda della quota altimetrica, per usufruire dei pascoli più alti3. Come le dimore invernali, anche quelle stagionali, solitamente, si trovano in piccoli agglomerati e sono contornate da campi e prati falciabili, utilizzati per il pascolo dopo la prima fienagione4. • Il ricovero d’alpeggio, riconosciuto anche a livello nazionale con il termine “gias”5, rappresenta un’ulteriore stazione - la terza - che la famiglia edificava nel caso in cui i propri pascoli estivi fossero ad una distanza maggiore di quella 69
Immagine 2.2.1 - Balma l’Olmo. La borgata era storicamente l’ultima dimora invernale, lungo la mulattiera che conduceva al Colle di Luca, abitata per tutto il corso dell’anno. Situata ad un altitudine di circa 1300 mslm, poco sopra la frazione Villar di Sampeyre, è stata per anni abbandonata all’incuria. Recentemente è stata interamente acquistata da una compagnia teatrale di Torino che la sta progressivamente restaurando.
Immagine 2.2.2 - La Ca’ Granda. Questa abitazione della borgata Balma l’Olmo aveva la peculiarità di possedere un’ampia corte anteriore coperta da un tetto sorretto da una colonna circolare. Su questo spazio si affacciavano tutti gli ambienti dell’edificio, dagli alloggi alle stalle, ed era il centro nevralgico del lavoro invernale poichè al riparo dalle intemperie.
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equivalente ad un’ora di cammino dalla sede estiva. Generalmente, i gias sono posti alla testata delle valli, sui fianchi vallivi, prevalentemente in siti ben esposti, all’adret, e in località con presenza o facile approvvigionamento di acqua. Solamente parte della famiglia si recava al ricovero per accudire il bestiame, mentre gli uomini restavano in basso a svolgere i lavori più pesanti come la fienagione e la raccolta di cereali e patate. La dimora, molto spartana e votata alla praticità, era prevalentemente unitaria e multifunzionale, ossia adatta a svolgere al suo interno tutte le attività dell’azienda agricola: ricovero di bestiame, abitazione familiare, deposito per le scorte di fieno, legna, paglia, rimessa per gli attrezzi, locale per la lavorazione del latte e la stagionatura del formaggio. Per via del fatto che in inverno la famiglia era costretta a passare diversi mesi svolgendo le varie attività all’interno dell’edificio, spesso all’aumentare dell’altitudine, diminuiscono anche le dimensioni della dimora che doveva fornire lo spazio necessario per depositare il fieno destinato al bestiame. Il volume della stalla e del fienile, infatti, variava in base al numero di capi che la famiglia possedeva, alla scorta di foraggio necessaria ed alla durata della stabulazione invernale. La crescita del nucleo familiare, inoltre, rendeva necessario l’ampliamento dell’edificio che, con la realizzazione di nuovi locali, portava alla formazione di fabbricati per aggregazioni successive. L’organizzazione dell’alpeggio tradizionale era Gli alpeggi
quella che oggi probabilmente chiameremmo, a seconda dei casi, “pascolamento turnato”, “pascolamento guidato” o “pascolamento turnato integrale”6. “Nella monticazione il bestiame si ferma dapprima nella parte bassa del pascolo, e costituisce così il primo riposo, o gias sottano, e quivi si ferma circa 15 giorni in attesa che sia più alta l’erba che cresce a quota superiore; poi passa alla parte mediana, o secondo gias, dove si ferma 25 giorni; passa infine alla parte alta dei pascoli, o gias soprano, dove si ferma 20-25 giorni, cioè sino alla fine di Agosto, e quindi incomincia a scendere passando per il secondo gias e fermandosi altri 12 giorni al primo riposo. In totale dunque l’estivazione dura circa 90 giorni”7. Gli alpeggi nella tradizione locale della Valle Varaita Con il termine “meira” gli abitanti della Val Varaita indicano gli alpeggi, cioè quelle costruzioni realizzate per sfruttare i pascoli d’alta quota. Gli alpeggi si resero necessari con il passaggio dall’allevamento ovino a quello bovino, infatti le mucche necessitano sempre di una stalla chiusa, a differenza delle pecore che invece non abbisognano di ricovero; ancora oggi i pastori si accontentano di semplici ripari. Gli alpeggi sono generalmente formati da una stalla al piano terreno e da un solo piano superiore, nel quale trovano collocazione il fienile e lo spazio abitativo, talvolta protetto da un soffitto e da una parete in legno; la maggior parte di essi è inoltre provvisto di una cantina per la conservazione di latte e formaggi, posta nella parte Dinamiche insediative in alta quota
Immagine 2.2.3 - Meira del Colletto. L’agglomerato è costituito dalle dimore estive dei margari provenienti da Roccia, Foresto e Villaretto, frazioni attualmente del comune di Sampeyre.In luoghi come questo, sparsi per tutte le Alpi, si spostava l’intera famiglia del pastore nei mesi estivi.
Immagine 2.2.4 - Meira Raie. L’edificio principale che compone l‘area di progetto è stato costruito come ricovero d’alpeggio e punto d’appoggio strategico per i pascoli circostanti.
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contro terra del fienile e generalmente con accesso esterno. A seconda della quota e della disponibilità di materiale, la struttura dell’alpeggio può anche presentare un singolo piano, con l’abitazione del margaro affiancata alla stalla8, costruzione per lo più stagionale ma a volte anche permanente. “Sul gias due edifici sono indispensabili: il ricovero per i pastori (che serve anche per la lavorazione del latte) ed un altro locale per conservarvi il latte e i suoi prodotti. Il bestiame vive giorno e notte all’aperto (…). Non troppo distante sta la cella o sella, che è la casera per la conservazione del latte e dei formaggi. Le celle primitive consistono in un ricovero semi sotterraneo, ricoperto in parte da terra, frasche e zolle, entro il quale scorre talvolta un rivoletto d’acqua; dentro vi sono rozzi scaffali e i recipienti per il latte”9. La parte posteriore della costruzione era spesso interrata nel pendio fino al livello del tetto a causa del pericolo della caduta di slavine; inoltre poteva essere realizzato anche un dosso artificiale a monte dell’edificio come ulteriore protezione10. Anche nel caso del camino venivano adottate misure di sicurezza facendo in modo che il fumo fuoriuscisse dal locale filtrando attraverso le lose11. Pur se di piccola dimensione il dispendio di lavoro per la realizzazione di questi edifici era enorme soprattutto a causa del trasporto del materiale da costruzione12. La muratura è solitamente a secco o legata da argilla in sostituzione della malta in ragione della notevole distanza dalle cave di calce13. Le dimensioni delle selle sono alquanto variabili: si 72
sono riscontrate lunghezze che vanno dai 6 ai 13 metri e larghezze variabili dai 4 ai 7 metri. La dimensione dell’apertura principale è solitamente piuttosto limitata, con larghezze variabili tra i 60 e i 78 cm ed altezze che mai superano i 160 cm. All’interno, sulla pavimentazione in terra battuta, sono posti scaffali lignei destinati ad ospitare i formaggi. Le stalle ed i fienili nella tradizione locale della Valle Varaita Il fieno ricavato dallo sfalcio dei prati veniva conservato per l’inverno nei fienili in quota oppure modellato in covoni per poi essere trasportato durante l’inverno alle stalle dell’abitazione permanente, a quote più basse14. Talvolta le stalle erano multiple, uno stesso edificio includeva cioè due o tre stalle separate, che ospitavano il bestiame affidato da terzi aventi residenza nel fondovalle. Gli edifici erano solitamente destinati a stalla al piano terra e fienile al piano primo; la presenza di tali strutture suggerisce un utilizzo non strettamente stagionale proprio per la difficoltà costruttiva che inevitabilmente chiamava un utilizzo il quanto più possibile fruttuoso15. Si tratta di edifici in origine monocellulari, su due piani, posti per lo più in pendio, a pianta rettangolare di dimensioni intorno ai 5-7 metri per 6-8 metri.
Gli alpeggi
Note 1. V. Fino, Meire Misservè e il vallone di Sant’Anna di Sampeyre, in valle Varaita : analisi e recupero di una borgata alpina, Rel. P. Mellano, G. Pistone, E. Fabrizio, Politecnico di Torino, 2013. 2. L. Dematteis, Case contadine nelle Valli Occitane in Italia, Priuli & Verlucca, Ivrea, 1983. 3. L. Massimo, Architettura tradizionale tra Piemonte & Provenza, Clypeus edizioni, Torino, 1999. 4. B. Drusi, La dimora alpina. Costruzioni rurali nel paesaggio agro-forestale, Aracne editore, Roma, 2009. 5. Si riporta la definizione tratta da G. Rosso, Vita economica, insediamento stagionale, tipi di abitazione nelle valli superiori del Pesio e dell’Ellero nell’alto Monregalese, Atti dell’Accademia Ligure di Scienze e Lettere, vol. VII, Fasc. I, Pavia, 1950: “Il nome gias ha un significato che va dal luogo stesso ove gli animali riposano a tutta l’estensione in cui un dato numero di animali pascolano e all’organizzazione in sé di un dato pascolo su una data alpe o montagna e qualche volta anche agli edifici che vi sono costruiti”. Si riporta la definizione tratta da M. Verona, Vita d’alpeggio. Cultura, tradizioni e prodotti dalla Valle Tanaro alle valli del Canavese, Blu Edizioni, Torino, 2006: “Un precario ricovero d’alpeggio”. 6. Definizioni delle diverse tipologie di pascolo tradizionali: Pascolamento turnato: tecnica che prevede la regolazione del pascolamento degli animali suddividendo l’area complessiva in sezioni, su ciascuna delle quali gli animali stazionano per il periodo necessario a consumare l’offerta pabulare; terminata l’erba disponibile, gli animali sono
Dinamiche insediative in alta quota
spostati in un’altra sezione, così da consentire all’erba un periodo di crescita indisturbato. Se la ricrescita dell’erba di una o più sezioni consente una o più utilizzazioni nell’arco della stagione vegetativa, si attua il pascolamento turnato a rotazione. Pascolamento guidato: tecnica che prevede il pascolamento degli animali sotto il controllo continuo del pastore. Se correttamente applicato in successione su differenti porzioni del pascolo può essere assimilato al pascolamento turnato; si adatta nei casi in cui non sia possibile disporre di recinzioni. Pascolamento turnato integrale: tecnica di pascolamento turnato che prevede il pernottamento degli animali sul pascolo, realizzabile su pianure o su superfici a modesta pendenza. Fonte: Glossario di Pastoralismo, in A. Cavallero, P. Aceto, A. Gorlier, G. Lombardi, M. Lonati, B. Martinasso, C. Tagliatori, I tipi pastorali delle Alpi piemontesi, Alberto Perdisa Editore, Bologna, 2007 7. G. Rosso, Vita economica, insediamento stagionale, tipi di abitazione nelle valli superiori del Pesio e dell’Ellero nell’alto Monregalese, Atti dell’Accademia Ligure di Scienze e Lettere, vol. VII, Fasc. I, Pavia, 1950 8. M. Cereghini, Introduzione all’architettura alpina, Milano, 1953 9. G. Rosso, Vita economica, insediamento stagionale, tipi di abitazione nelle valli superiori del Pesio e dell’Ellero nell’alto Monregalese, Atti dell’Accademia Ligure di Scienze e Lettere, vol. VII, Fasc. I, Pavia, 1950 10. B. Drusi, La dimora alpina. Costruzioni rurali nel paesaggio agro-forestale, Aracne editore, Roma, 2009 11. L. Massimo, Architettura tradizionale tra Piemonte & Provenza, Clypeus edizioni, Torino, 1999
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12. L. Dematteis, Case contadine nelle Valli Occitane in Italia, Priuli & Verlucca, Ivrea, 1983 13. P. Ferraris, Il censimento degli alpeggi, in “Progetto Alpeggi 2002-2006, Atti del Convegno”, Regione Piemonte, supporto informatico, 2006 14. Progetto Alfieri, Civiltà d’alta quota nel Piemonte occidentale, Fondazione C.R.T., 2005 15. B. Drusi, La dimora alpina. Costruzioni rurali nel paesaggio agro-forestale, Aracne editore, Roma, 2009
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Gli alpeggi
2.3 Cambiamenti storici nell’interazione fra l’uomo e il pascolo “Il pascolo risulta essere una delle caratterizzazioni del paesaggio alpino e subalpino, che, pur avendo subito una contrazione negli ultimi decenni, a causa della diminuzione della pratica alpicolturale, deve essere difeso e incentivato. Il sistema zootecnico montano deve però essere regolamentato, secondo gestioni le più possibili rispettose delle esigenze dell’ambiente alpino, in modo tale da non diventare una criticità del territorio, causandone un maggior danno rispetto alla sua assenza”1. La presenza dell’attività pastorizia nelle valli dell’arco alpino occidentale risale a epoche molto lontane. L’evoluzione di quest’ambito risulta variare nel corso dei secoli pur mantenendo caratteri di base che perdurano superando le varie epoche, perché dettati dalle caratteristiche disagiate dei luoghi alpini (come ad esempio l’operazione di transumanza, che nei territori impervi tende ad essere svolta seguendo le stesse dinamiche del passato). L’indagine cui si è fatto riferimento è stata promossa e finanziata dalla Fondazione C.R.T. nell’ambito del Progetto Alfieri, bando 2005; la ricerca si proponeva come obiettivo lo studio del paesaggio alpino e delle sue modificazioni, dovute in parte all’abbandono dei territori montani ed alla mutata gestione dell’alpicoltura.
Con il progressivo abbandono dell’attività d’alpeggio e dei pascoli, si è manifestata rapidamente la tendenza all’evoluzione naturale verso ambienti arbustivi o forestali; in pochi decenni, infatti, questo fenomeno ha portato alla definitiva perdita di ingenti superfici di pascolo in tutto l’arco alpino. “Nelle aree classificate come collina e montagna, la copertura forestale è aumentata spontaneamente di oltre 200.000 ettari negli ultimi venticinque anni, a seguito dell’abbandono delle colture agricole e dei pascoli su vaste zone”2. Risulta interessante e fortemente indicativo il confronto fra riprese fotografiche riferite a periodi diversi, le quali confermano la tendenza all’evoluzione naturale verso ambienti arbustivi o forestali nelle aree soggette all’abbandono dell’attività d’alpeggio e dei pascoli. L’infoltimento della copertura vegetale è dovuto principalmente alla mancanza di manutenzione e di sfruttamento del bosco ed all’abbandono dell’attività di coltivazione dei terreni oltre che di sfalcio dei prati. L’evoluzione della vegetazione verso la proliferazione di specie arbustive alle quote dei pascoli alti, invece, deriva non solo dalla mancanza di costante manutenzione da parte dell’uomo, ma anche dalla diversa gestione dell’allevamento e del pascolo che va sempre più orientandosi, almeno
Cambiamenti storici nell’interazione fra l’uomo e il pascolo
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Immagini 2.3.1 e 2.3.2 - Valle Maira: Confronto fra immagini del 1943 e del 2007. La contrazione dei pascoli è un fenomeno relativamente recente, legato al progressivo abbandono della montagna e a cambiamenti nell’utilizzo delle superfici da pascolo e nella gestione zootecnica. Ciò che è comunque chiaro è che con l’abbandono dell’attività d’alpeggio e dei pascoli, si manifesta rapidamente la tendenza all’evoluzione naturale verso ambienti arbustivi o forestali. In pochi decenni, infatti, l’ab- bandono ha portato alla definitiva perdita di ingenti superfici di pascolo in tutto l’arco alpino. Fonte: Civiltà d’alta quota nel Piemonte occidentale, Paesaggio e Architettura, Progetto Alfieri 2005.
in certe zone, all’allevamento bovino esclusivo. A queste motivazioni va aggiunta la possibilità di raggiungere i pascoli alti con mezzi di trasporto motorizzati e vie di comunicazione più comode; Le strade sterrate, percorribili con mezzi fuori strada, in molte zone hanno ormai sostituito la funzione delle mulattiere che si inerpicavano sui pendii. Tradizionalmente le mulattiere permettevano tragitti più ripidi e diretti, mentre le strade carrabili presentano generalmente tornanti in serie per superare il dislivello; tutto ciò ha prodotto un progressivo ed ormai totale abbandono degli insediamenti stagionali3, che siano esse intere borgate o singole malghe. L’attività di spietramento dei pascoli, attuata per 76
aumentare la superficie utile per il pascolo o la fienagione, ha lasciato tracce ancora evidenti in molti territori: le pietre recuperate erano spesso utilizzate non solo per le diverse costruzioni, ma anche per delimitare i sentieri o per segnare i confini tra pascoli privati oppure fra i pascoli privati e quelli comunali, generalmente posti alle quote più elevate4. Tradizionalmente l’acqua è uno degli elementi che nella storia ha maggiormente condizionato l’alpeggio: la posizione degli insediamenti umani d’alta quota, sia stagionali che provvisori, era sempre scelto anche in funzione della presenza acquifera e della facilità di approvvigionamento. La presenza di sorgenti e di torrenti (anche solo Gli alpeggi
stagionali) caratterizzava i migliori pascoli alpini e permetteva un facile approvvigionamento d’acqua che, quando necessario, veniva convogliata più a valle in piccole canalette in pietra realizzate sul terreno. La diffusione di facili ed economici sistemi di tubazioni di materiale plastico ha permesso di cambiare le modalità di gestione dell’alpeggio e di portare l’acqua agli animali, convogliandola in alcuni punti dell’alpe dove sono posizionati abbeveratoi costituiti da vasche in calcestruzzo oppure da vecchie vasche da bagno dismesse5. Con la progressiva perdita di conoscenze e di tradizioni ed il sempre meno interesse verso queste dinamiche d’utilizzo della montagna, sono ormai considerati perduti gli antichi regolamenti d’uso degli alpeggi e dei pascoli, dove veniva prescritto lo sfruttamento equilibrato e controllato degli stessi ma anche l’obbligo ad apposite azioni di estirpazione degli arbusti proprio per prevenire simili dinamiche depauperative. Fonti storiche testimoniano regolamenti precisi rispetto al tipo di pascolo, al tipo e alla proporzione di animali ammessi allo sfruttamento degli alpeggi: bovini, equini, ovini e caprini; esercitano diverse azioni di brucatura selettiva a carico della vegetazione ed avevano quindi differenti impatti nell’equilibrio ecologico dei diversi siti6. La stessa Regione Piemonte ha riconosciuto come “negli ultimi quarant’anni si è assistito ad un graduale aumento dei boschi, soprattutto a causa dell’abbandono delle attività agricole in montagna e collina, con la conseguente invasione di pascoli e coltivi da parte di specie forestali colonizzatrici”7;
per questo sta cercando di indirizzare specifiche politiche per la promozione dell’economia forestale pastorale. I pascoli alpini sono stati recentemente riconosciuti quali beni della collettività e l’alpicoltura quale risorsa economica atta a garantire la conservazione della biodiversità, dei paesaggi e dell’assetto idrogeologico del territorio interessato. Gli sforzi della Regione Piemonte si stanno così concentrando, negli ultimi anni, nella raccolta dati e, soprattutto, nella loro messa a sistema attraverso un sistema informativo, che servirà come base per impostare strategie specifiche. Si citano, a titolo di esempio, il censimento dei fabbricati d’alpe, realizzato con i progetti “Alpeggi e Formaggi” (Interreg II Italia-Francia) e “Utilizzazione e valorizzazione degli alpeggi” (Interreg II ItaliaSvizzera)8. Inoltre il P.S.R.9, approvato dalla Regione Piemonte nel 2007, prevede tra le misure di sviluppo rurale anche specifiche azioni riguardanti lo sviluppo ed il rinnovamento di borgate montane, la tutela e la riqualificazione del patrimonio rurale, con la valorizzazione non solo del patrimonio naturale, ma anche del patrimonio culturale e l’incentivazione di attività turistiche connesse alla fruizione sostenibile del territorio rurale10.
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Note 1. Regione Piemonte - Assessorato alle Politiche Territoriali, “Per il Piano Paesaggistico Regionale. Inquadramento strutturale, Articolazione per ambiti, Quadro strategico e normativo”, Torino, 2007. 2. Regione Piemonte, Programma di sviluppo rurale P.S.R. 2007-2013, Torino, 2007. 3. Per una disamina più esaustiva dell’argomento si veda la sezione 1.3 del Capitolo 1 “Sviluppo demografico e sociale”. 4. Progetto Alfieri, Civiltà d’alta quota nel Piemonte occidentale, Fondazione C.R.T., 2005. 5. M. Verona, Vita d’alpeggio. Cultura, tradizioni e prodotti dalla Valle Tanaro alle valli del Canavese, Blu Edizioni, Torino, 2006. 6. Progetto Alfieri, Civiltà d’alta quota nel Piemonte occidentale, Fondazione C.R.T., 2005. 7. Regione Piemonte, Programma di sviluppo rurale P.S.R. 2007-2013, Torino, 2007. 8. Regione Piemonte, Progetto Alpeggi 2002-2006, CD, 2007. 9. Piano di Sviluppo Rurale. 10. Piano di Sviluppo Rurale, Regione Piemonte, Torino, 2007.
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Gli alpeggi
2.4 Il problema dei titoli PAC
L’introduzione a livello europeo di una Politica Agricola Comune (PAC), frutto di accordi internazionali, ha portato indubbi vantaggi al mondo rurale dell’intero continente. Anche sul fronte degli alpeggi il beneficio che deriva dal sostegno economico della U.E. ha incentivato la continuazione di una pratica di allevamento - quella della transumanza - che se privata di incentivi di tipo economico risulterebbe spesso controproducente poiché la sola entrata derivante dalla vendita dei prodotti d’alpe non giustificherebbe economicamente il lavoro che ogni anno migliaia di pastori italiani ed europei svolgono. Il problema di questo tipo approccio comunitario deriva dal fatto che spesso questi fondi vengono erogati senza verificare se effettivamente i terreni vengano pascolati, con la conseguenza negativa, fra le altre, di far lievitare i canoni di affitto delle superfici pascolive alpine. Anche per questo motivo è auspicabile che un’educazione all’alpeggio possa generare produttori ma anche consumatori più consapevoli, in grado di guardare al bene del proprio territorio senza cadere nell’ottica speculativa. Il problema dei titoli PAC
La Politica Agricola Comune La Politica agricola comune è stata la prima politica studiata a livello europeo: essa rappresenta l’insieme delle politiche che la Comunità economica europea prima e l’Unione europea poi, hanno inteso adottare nel settore agricolo ritenendo tale comparto strategico. “La PAC rappresenta l’insieme delle regole che l’Unione europea, fin dalla sua nascita, ha inteso darsi riconoscendo la centralità del comparto agricolo per uno sviluppo equo e stabile dei Paesi membri. La PAC, ai sensi dell’articolo 39 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, persegue i seguenti obiettivi: incrementare la produttività dell’agricoltura; assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola; stabilizzare i mercati; garantire la sicurezza degli approvvigionamenti; assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori”1. Le peculiarità che contraddistinguono il comparto hanno fatto in modo che l’agricoltura diventasse il settore produttivo più integrato a livello europeo, quello in cui l’azione dell’Unione europea si sostituisce con maggior intensità e frequenza all’azione dei singoli Stati membri. L’attività 79
agricola è sempre alla mercé di fattori economici, sanitari ed atmosferici che sfuggono al controllo degli agricoltori. Essa richiede inoltre investimenti sostanziosi che producono risultati solo diversi mesi, se non anni, più tardi e possono costantemente essere vanificati. Il sostegno al reddito garantito dalla PAC consente agli agricoltori di continuare l’attività nonostante i fattori di incertezza. Senza il sostegno pubblico per gli agricoltori europei sarebbe estremamente difficile competere con gli agricoltori di altri Paesi e continuare a soddisfare le molteplici esigenze dei consumatori. Favorendo il mantenimento dell’attività agricola in Europa, la PAC assicura un approvvigionamento alimentare sicuro e di qualità a prezzi accessibili, tutela l’ambiente, combatte il dissesto idrogeologico e incentiva il benessere animale. Gli incentivi totali erogati prevedono attualmente “oltre 53 miliardi di euro annui, la fetta maggiore di tutta la spesa comunitaria, che all’Italia ‘frutta’ 6,3 miliardi ogni anno”2. La struttura della PAC La politica agricola comune si basa su due pilastri, finanziati ognuno da fondi strutturali diversi3. Il primo pilastro comprende il regime dei pagamenti diretti e le misure di mercato ed è finanziato dal FEAGA (Fondo Europeo Agricolo di Garanzia) mentre il secondo riguarda la misure di sostegno allo sviluppo rurale e si basa sul FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale). 80
I pagamenti diretti contribuiscono a garantire la permanenza dell’agricoltura in Europa, assicurando ai produttori una certa stabilità a livello di reddito e salvaguardando le aziende dalle fluttuazioni dei prezzi. La loro erogazione è subordinata al rispetto di norme in materia ambientale, di sicurezza alimentare e di benessere animale. Le misure di mercato invece puntano ad assicurare agli agricoltori il riconoscimento del corretto valore aggiunto da parte del mercato evitando che crisi economiche o eventi climatici sfavorevoli minino le vendite degli stessi produttori. Le misure di sostegno allo sviluppo rurale, infine, avvantaggiano i produttori privati indirettamente, con investimenti mirati alla gestione del territorio, alla valorizzazione dell’ambiente e migliorando la qualità di vita negli ambienti rurali. L’erogazione dei contributi si basa su un importo di riferimento calcolato sulla base degli aiuti ammissibili relativi alle superfici coltivate o agli animali allevati nel suddetto periodo. Questo importo sarà suddiviso in “Titoli” di uguale valore per ogni ettaro di superficie coltivata o pascolata nel periodo di riferimento. I Titoli, nella pratica comune, reppresentano il diritto a ricevere gli aiuti comunitari, sui quali è sorto un vero e proprio mercato. La politica agricola attuale è quindi strettamente legata, per quanto riguarda i contributi finanziari, alla superfice di terreno, anche se sono previsti aiuti particolari in alcuni casi, come per esempio la maggiorazione del 25% per la durata di cinque anni come incentivo ai giovani che decidono di iniziare l’attività agricola. Gli alpeggi
Criticità in ambito alpino Secondo l’articolo di Maurizio Dematteis4 si sono moltiplicate lungo l’arco alpino piemontese le denunce per l’inefficacia di questo tipo di sovvenzioni, ponendo l’accento anche sul pericolo che possono rappresentare per il dissesto del territorio montano. L’intervista realizzata dall’autore dell’articolo ad Antonio Brignone, funzionario tecnico agrario della Comunità montana Valle Stura, mette in luce come le grandi aziende di pianura, potendo permettersi cifre maggiori per aggiudicarsi i terreni, si approprino dei pascoli per garantirsi gli aiuti economici previsti dalla PAC, un duro contraccolpo per i piccoli produttori locali che vedono lievitare “anche di quattro volte le offerte per l’aggiudicamento degli alpeggi”. Spesso questi pascoli sono sottoutilizzati o peggio, lasciati all’incuria, come nel caso testimoniato da Brignone in Val Grana dove alcuni vitelloni all’ingrasso destinati al pascolo rimanevano chiusi nei recinti anche se gli allevatori intascavano ugualmente le sovvenzioni. Anche se in molti casi nelle valli alpine, per agevolare i residenti, viene introdotta nel regolamento una prelazione per l’utilizzo dei pascoli, questa non ferma gli speculatori, come nel caso nel caso della Valle Stura dove dall’introduzione degli aiuti della PAC si sono moltiplicate le residenze fittizie ed i prestanome locali. La difficoltà riscontrate nell’acquisizione delle superfici d’alpeggio unite ai problemi storici dell’allevamento alpino come la relativa mancanza Il problema dei titoli PAC
di vie d’accesso, l’eccesso di burocrazia e di pratiche igieniche che per quanto corrette risultano essere di difficile applicazione in montagna, hanno avuto un forte impatto sui fruitori dei pascoli, disincentivando i giovani ed i piccoli produttori a fronte di un aumento delle presenze delle grandi aziende agricole esterne alle valli5. Luca Battaglini afferma che per difendere gli alpeggi è necessario perciò “combattere le gravi forme di speculazione, sempre più aggressive e nefande, che distruggono produzioni uniche e deteriorano la funzionalità delle superfici pastorali d’alta quota”6.
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Note 1.Definizione della Politica Agricola Comune tratta dal sito Ministero per le Politiche Agricole all’indirizzo: http://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/287 2. Maurizio Dematteis, Alpeggi di carta, «Dislivelli» n° 48, Giugno 2014, pp. 6-7. 3. Informazioni più esaustive sulla PAC sono reperibili sul sito della Commissione Europea all’indirizzo: http:// ec.europa.eu/agriculture/cap-overview/2012_it.pdf. 4. Idem. 5. Luca Battaglini, Mantenere gli alpeggi per proteggere la montagna, «Dislivelli» n° 48, Giugno 2014, pp. 3-5. 6. Idem.
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2.5 La monticazione fra pratica e teoria La transumanza Il processo di migrazione stagionale delle mandrie o delle greggi al seguito dei pastori prende il nome genericamente di transumanza, un’usanza che viene portata avanti dall’uomo già dall’epoca preistorica. In ambiente alpino questo movimento si genera a partire dalla pianura o dal fondovalle, dove il bestiame trascorre l’autunno e l’inverno all’interno di allevamenti prettamente stabulari, per sportarsi successivamente sui pascoli alpini in estate inoltrata. Nel corso dei secoli il periodo di alpeggio si è consolidato tradizionalmente fra San Giovanni e San Michele, ponendo quindi gli estremi temporali fra il 24 di giugno e il 29 di settembre.
ricca di sostanze nutritive, che dal punto di vista organolettico, consentendo la produzione di latte e derivati di qualità superiore. Il processo di monticazione è perciò strettamente legato ai cicli naturali delle stagioni e deve necessariamente sottostare ai tempi imposti dall’ambiente che tra gli altri aspetti dettano anche la rigenerazione del manto erboso dopo l’inverno, rendendo la transumanza stagionale uno spostamento slow radicato all’interno dell’ecosistema montano. In questo la monticazione rimane strettamente legata alla tradizione poiché la forzatura di queste tempistiche per mano dell’uomo, oltre ad essere controproducente risulta spesso impossibile.
La necessità dello spostamento La monticazione risponde alla necessità di poter disporre di pascoli verdi e nutrienti nel corso dell’estate. Per questo motivo, lo spostamento delle mandrie avviene di pari passo con la disponibilità di una maggiore quantità di erba fresca ad un’altitudine crescente. Inoltre la miglior qualità della cotica erbosa alle alte quote rende i pascoli maggiormente appetibili sia dal punto di vista energetico, per cui al bestiame sarà necessario ingerire una quantità di erba minore ma più
Il percorso, i tempi e le modalità Verso la fine della primavera i capi di bestiame vengono tradizionalmente lasciati liberi in aree delimitate in attesa che lo scioglimento delle nevi invernali permetta la risalita verso le terre alte. Con l’arrivo del primo caldo inizia il deterioramento dell’erba alle basse quote favorendo spontaneamente il movimento del bestiame verso il foraggio più fresco delle aree immediatamente superiori. In questo aspetto è necessaria la preparazione e la sensibilità del pastore che dovrà gestire la mandria
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al fine di evitare una concentrazione troppo elevata di capi oppure uno stazionamento per un periodo di tempo più lungo del necessario, che potrebbero causare il degrado del terreno e che quindi potrebbe non rigenerare la cotica erbosa nei tempi previsti per la demonticazione. In questo si evince come l’intero processo si basi su un sottile equilibrio affinato nel corso dei secoli, trasmesso attraverso la cultura popolare, volto a preservare il territorio. Se si dovesse paragonare la transumanza in montagna ad una funzione matematica questa sarebbe sicuramente una parabola in quanto sia la salita che la discesa avviene sullo stesso percorso, attraversando con i capi in movimento gli stessi pascoli sia all’inizio che alla fine della stagione. Per questo motivo è importante il continuo movimento della mandria e l’eccessivo stazionamento in un’area limitata. Il movimento del bestiame avviene per tappe ed è soggetto da una parte alla morfologia del territorio ma anche alla tradizione culturale della valle in cui si origina. Lungo l’intero arco alpino è possibile notare un’estrema diversità dell’approccio alla monticazione passando da un numero elevatissimo di tappe (come nel caso dell’area del bitto storico, in Lombardia, dove sono presenti molteplici malghe creando un vero e proprio sistema di lavorazione itinerante1) ad un unico spostamento fra il fondovalle ed i pascoli in alta quota. Indipendentemente dal numero, ogni tappa corrispondeva ad un periodo di tempo che le mandrie, i pastori ed intere famiglie trascorrevano in un determinato luogo. La necessità di un riparo 84
portava quindi al sorgere di strutture inizialmente provvisorie ma che spesso si sviluppavano come veri e propri agglomerati lungo il tratto di montagna che veniva percorso. Tradizionalmente il movimento dei capi si svolge attraverso due passaggi fondamentali: il primo fra bassa e media montagna (generalmente dalla metà di giugno) ed il secondo fra media e alta montagna (a partire dalla metà di luglio). In base a questo si può notare come fra la prima e la seconda monticazione possa trascorrere anche un mese e che quindi, considerando che la discesa avviene a fine settembre, il periodo in alta quota si restringe a due mesi e mezzo o poco di più a seconda della quota. L’alpeggio tradizionale nelle borgate di Sampeyre e la situazione odierna I pascoli che sorgono nelle vicinanze dell’alpeggio di Raie sono punteggiati da meire costruite fra il 1700 ed il 1950 circa2 dagli stessi abitanti delle borgate sottostanti. In base alle interviste realizzate dagli autori dello studio3 è possibile notare come le famiglie residenti nelle stesse borgate a valle tendessero riunirsi in quota in alpeggi confinanti. Gli abitanti della borgata Villar, ad esempio, si spostavano verso Meira Ciampanesio, Meira Pui e Grange Orgiera mentre i margari provenienti dalle frazioni di Roccia, Foresto e Villaretto portavano tradizionalmente il bestiame verso Meira del Colletto, Serra di Raie e Meire Cassart. Grazie a questa rigida organizzazione era possibile mantenere le strutture abitative, i pascoli ma anche le mulattiere e le opere di pubblica utilità come le Gli alpeggi
canalizzazioni dell’acqua, attraverso il sistema della Ruiedo4, grazie alla quale le famiglie riuscivano a sostenersi vicendevolmente dividendosi agevolmente i lavori di manutenzione delle infrastrutture comuni. Con l’apertura di nuove strade carrozzabili, in val Varaita si è cercato di agevolare l’attività dei margari anche se, come spiegato da Bocco e Cavaglià, spesso queste venivano costruite troppo tardi, quando la popolazione era già emigrata5. Fra Borgata Foresto e Meire Cassart è stata aperta la strada carrabile nel 1979. Negli ultimi decenni sono di conseguenza cambiati gli utilizzatori dei pascoli della zona: spesso questi ultimi provengono dalla sottostante pianura e, grazie all’impiego di camion, possono trasferire il bestiame dagli allevamenti stabulari al punto accessibile più vicino al pascolo, spesso negando la natura “lenta” che il processo di monticazione necessita. Sono però ancora presenti alcuni trasferimenti locali che riguardano i particolari, ovvero gli allevatori locali che dalle borgate sottostanti trasferiscono come in passato i capi alpeggianti verso i pascoli alti, anche se attraverso le strade carrabili per via della difficoltà di percorrere la antiche mulattiere cadute in disuso e non più manutenute6. Esperienza diretta di monticazione in Val Varaita La necessità di comprendere a fondo le caratteristiche della transumanza dei bovini ha portato ad un’interessante risvolto pratico della tesi al seguito di una mandria di bovini diretti al La monticazione fra pratica e teoria
Immagine 2.5.1 - Momenti di esperienza diretta di monticazione
Immagine 2.5.2 - Momenti di esperienza diretta di monticazione
Immagine 2.5.3 - Pascolo di Meira Raie
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pascolo dell’infernet, località di poco sovrastante quella di progetto. Questa occasione ha consentito in primis di approfondire per via diretta la conoscenza della monticazione, consentendo di comprenderne appieno sia i caratteri generali che quelli prettamente legati al territorio ed inoltre di capire realmente quali difficoltà questo tipo di attività comporti, in modo da realizzare un progetto che fosse il più aderente possibile alle problematiche riscontrate in loco. Il caso riportato riguarda la seconda tappa della monticazione7, dove il bestiame, già stanziato in un pascolo a circa 1300 m di quota in località Balma l’olmo, doveva essere trasferito sui terreni avuti in concessione dal comune di Sampeyre a circa 2000 mslm. I capi alpeggianti erano un totale di 27 bovini di razza piemontese, compresi un toro e 5 vitelli, di proprietà del margaro. Al punto di ritrovo, fissato al mattino in una piazzola poco fuori dalla borgata, sono state fatte le presentazioni e dopo un veloce aggiornamento la giornata è iniziata radunando la mandria, sparsa per il terreno, per poterla indirizzare verso la strada. La monticazione, da sempre pratica “sociale”, riunisce come in passato numerose persone che sono essenziali per condurre il bestiame al pascolo. Grazie a questo è stato possibile conoscere Andrea Colombero, allevatore locale e produttore di latticini in alpeggio che si è rivelato di grande aiuto per la definizione dei caratteri essenziali del progetto. Le indicazioni pratiche fornite sotto forma di colloquio orale durante il trasferimento 86
sono state una fonte preziosa da integrare alle direttive dell’AgenForm e saranno riportate per esteso nei capitoli successivi8. Il percorso si è svolto quasi per intero sulla strada carrabile fino al Colletto di Sopra per poi deviare verso il sentiero che conduce all’infernet e che transita attraverso i pascoli e le preeesistenze del progetto. Durante il trasferimento si è inoltre compresa l’importanza delle soste, preziose per abbeverare e foraggiare i bovini e per consentire qualche minuto di riposo ai pastori. Lungo il tratto di strada la mandria è stata fatta sostare una prima volta poco oltre Meira Ciampanesio dove è stato possibile l’abbeveramento sul Rio Campo ed una seconda nei pressi del Colletto. Una volta raggiunto il bivio verso i terreni dell’alpeggio di Raie i bovini sono stati lasciati liberi di muoversi autonomamente verso la valle e il pascolo in concessione.
Gli alpeggi
Note 1. I presidi Slow Food in Italia: http://www. fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3497/bittostorico#.U-jWhlZfAz0 2. B. Martino, E. Paseri, Meira re: Tra val Varaita e val Po, studio realizzato all’interno del Progetto Alfieri, Sampeyre 2005. 3. Idem. 4. Comandata, corvé che ogni famiglia del luogo è chiamata a svolgere gratuitamente per la manutenzione di strade, ponti, acquedotti e altre opere di utilità pubblica. (Definizione tratta dallo studio di Martino e Paseri). 5. A. Bocco, G. Cavaglià, Flessibile come di pietra, Celid, Torino 2008. 6. B. Martino, E. Paseri, Meira re: Tra val Varaita e val Po, studio realizzato all’interno del Progetto Alfieri, Sampeyre 2005. 7. Il giorno fissato per il trasferimento è stato il 21 Luglio 2014, anno di stesura della tesi. Alla monticazione hanno partecipato i candidati (Simone Pavia e Riccardo Pozzali), la relatrice (Barbara Martino), il margaro e proprietario dei capi (Flavio Rebuffatti) e Andrea Colombero, allevatore e produttore di latte. 8. Le indicazioni ricavate da Andrea Colombero e da Guido Tallone di Agenform (Ist. lattiero Caseario di Moretta) possono essere consultate alla sezione 8.2 del Capitolo 8 “I locali e le attrezzature” ed alla sezione 8.3 “Gestione della struttura”.
La monticazione fra pratica e teoria
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Capitolo
3
LA CASEIFICAZIONE E L’ALLEVAMENTO 89
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La caseificazione e l’allevamento
3.1 Problematiche e vantaggi della produzione in alpeggio
Diversità di visioni La produzione del latte e conseguentemente del formaggio ha assunto proporzioni maggiori con l’avvento dell’industrializzazione. La logica di mercato ha spinto per anni i produttori a intensificare e specializzare, sfruttando al massimo gli animali e somministrando loro integratori, additivi e farmaci prevaricando il ciclo della natura3. Anche i sistemi alpini hanno risentito dell’industrializzazione e della zootecnia intensiva,
anche se in maniera più limitata rispetto a quanto succede negli allevamenti stabulari di pianura o di bassa valle, a causa delle evidenti difficoltà a cui questa tipologia di allevamento va incontro. Questo non significa tuttavia che non esistano forti differenze nell’approccio alle problematiche di produzione in alta quota. Secondo Michele Corti4, docente di Zootecnia presso l’Università di Milano, si possono individuare due differenti approcci nei problemi riscontrabili in alpeggio: l’alpeggio come variabile dipendente e come variabile indipendente. Nel primo caso è l’alpeggio che deve adattarsi alla esigenze delle aziende zootecniche moderne che, sotto la pressione di fattori economici, deve puntare all’intensificazione ed alla specializzazione attraverso alimenti supplementari al pascolo per nutrire le “bovine macchine-da-latte”. L’alpeggio come variabile indipendente è quello che, secondo l’autore, deve essere mantenuto perché “consente di ottenere produzioni di eccellenza” e perché il suo abbandono comporta “una riduzione della biodiversità, del valore estetico del paesaggio” con conseguente calo di fruibilità turistica e dissesto idro-geologico. Tuttavia è necessario recuperare la sostenibilità studiando soluzioni in grado di attivare la multifunzionalità del sistema-alpeggio. Secondo l’autore è infine auspicabile guardare
Problematiche e vantaggi della produzione in alpeggio
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La produzione di formaggio in alta quota rappresenta un legame con la tradizione casearia che persiste a dispetto delle notevoli difficoltà. Mentre i detrattori tendono a considerare semplicemente i punti a sfavore, primo fra tutti il problema dell’accessibilità, si può invece considerare l’attività casearia come uno volano di rilancio della montagna in tutti i suoi aspetti. Infatti i sistemi zootecnici alpini, se ben gestiti, permettono di migliorare la sostenibilità sia da un punto di vista ambientale che socio-economico1, mentre per le valli non interessate da forti flussi turistici gli alpeggi costituiscono una risorsa che consente di catalizzare spesso l’interesse di un comparto minore ma in espansione del mercato turistico2.
all’esempio delle regioni rurali europee più avanzate come Germania, Olanda e Inghilterra dove è già in atto un inversione di tendenza che ha portato ad una deindustrializzazione dell’agricoltura: “si guarda avanti tornando indietro”5. Diversi foraggi, diversi formaggi L’alimentazione dei bovini in alpeggio è tradizionalmente costituita da foraggi di pascolo alpino che, insieme ad altri fattori ambientali, contribuiscono a creare il sapore inconfondibile del formaggio prodotto in alta quota. Le sempre più stringenti esigenze economiche hanno portato gli imprenditori a fornire alimenti aggiuntivi, integratori ma anche farmaci nell’alimentazione delle bovine da latte al fine di aumentarne la produzione6. Tralasciando in questa sede i possibili rischi connessi alla somministrazione di alimenti quali gli insilati integrali di mais, è utile invece porre l’accento su come l’alimentazione e il conseguente stato di salute delle vacche sia di primaria importanza per la produzione del latte e dei suoi derivati. Occorre anche considerare che l’utilizzo di mangimi concentrati in alpeggio risulta spesso superfluo poiché una possibile scarsa produttività del pascolo (che potrebbe anche derivare da una cattiva gestione) viene però compensata dall’elevato valore nutritivo e proteico della cotica erbosa alpina7. L’articolo di Michele Corti e Stefano Mariotti evidenzia che “numerose ricerche, eseguite in Italia e altrove, hanno messo il luce come il latte e i formaggi derivati da vacche alimentate con diete a base di 92
foraggi prativi presentino una componente lipidica caratterizzata da alte percentuali di composti con effetti benefici sulla salute umana e particolari aromi e profumi, che dal latte possono passare al formaggio”. Fra le caratteristiche nutrizionali dei formaggi è fondamentale l’apporto di acidi grassi tra i quali i ben noti omega 3 e omega 6 ma anche i CLA, ovvero varianti strutturali dell’acido linoleico8. Lo studio effettuato dal Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università di Torino sottolinea come l’acido linoleico sia presente in natura in numerosi vegetali che crescono spontaneamente in prati e pascoli dimostrando che il contenuto di CLA delle bovine alimentate al pascolo è maggiore di circa cinque volte rispetto a quello dei soggetti la cui dieta è a base di concentrati. La componente fondamentale per il consumatore finale è però la sensazione del prodotto, quindi il sapore e l’odore che assume grazie alle sue proprietà organolettiche. Le molecole responsabili delle sensazioni olfattive, del formaggio “che sa di fiori”9, sono i terpeni. I terpeni sono composti volatili molto odorosi che vengono prodotti dalla piante per la propria difesa o per attrarre insetti impollinatori10. Queste molecole sono presenti in quantità maggiore nel latte derivato da animali alimentati al pascolo, in particolare nelle cotiche erbose di montagna dove la compresenza di numerose specie appartenenti a famiglie botaniche diverse accentua la presenza di terpeni. La ricchezza delle proprietà organolettiche dei pascoli naturali oltre ad essere superiore a quella dei mangimi concentrati è anche nettamente maggiore rispetto ai prativi di pianura, La caseificazione e l’allevamento
dove la foraggicoltura intensiva ha reso prevalente la famiglia delle graminacee, povere di terpeni11. L’alimentazione a base di fienagione, per quanto necessaria durante i mesi invernali, presenta in maniera molto ridotta le caratteristiche positive dell’erba fresca, anche se, come evidenziato da Corti e Mariotti “un fieno di montagna presenti un numero maggiore di sostanze terpeniche rispetto al fine prodotto in pianura”. Impatto ambientale La gestione di un pascolo erboso non influenza solo la qualità dei prodotti lattiero-caseari ma ha anche un impatto gravoso sull’ambiente montano, che risente delle azioni sia dell’uomo che degli animali. Prima dell’abbandono delle pratiche agricole da parte della società industriale, in montagna la prevenzione dei dissesti idrogeologici era garantita dall’uso sapiente del territorio. L’allevatore, per provvedere alla cura degli animali, deve mettere in atto delle pratiche di manutenzione del pascolo12, sfalciando i prati e pulendo i fossi e i canali per agevolare il deflusso delle acque meteoriche. Dal lato opposto anche gli animali contribuiscono indirettamente alla salvaguardia dell’ambiente limitando il rischio di incendi boschivi attraverso il consumo delle risorse in loco. Lo stesso utilizzo delle erbe foraggere evita lo scivolamento, in inverno, della neve che altrimenti, accumulandosi su essenze erbose non falciate potrebbe staccarsi dal suolo per l’effetto dell’aduggiamento. Attualmente, l’industrializzazione della zootecnia ha recato non pochi danni all’areale alpino poiché Problematiche e vantaggi della produzione in alpeggio
oltre all’abbandono dei terreni è aumentato in generale anche il ricorso a mangimi concentrati che, diminuendo progressivamente le quantità di erba assunta dagli animali, può portare ai rischi elencati in precedenza. Inoltre si assiste in molti casi ad una concentrazione del carico di pascolo effettivo in aree sempre più limitate “con il paradosso che, di fronte ad una generale situazione di sottopascolamento, si assise in non poche situazioni, ad un sovrapascolamento localizzato”13. Lo spargimento delle deiezioni animali su aree ridotte oltre ad essere controproducente dal punto di vista della concimazione, comporta inoltre il rischio di inquinare le falde acquifere e di lasciare un terreno potenzialmente soggetto a fenomeni erosivi. Per porre rimedio a questi rischi è necessario in primo luogo ritornare ad una alimentazione il quanto più possibile a base di essenze naturali ma è anche necessaria un preparazione culturale e professionale degli addetti14 in modo da poter attuare semplici accorgimenti, come la divisione settoriale del pascolo e la distribuzione uniforme delle attività15, che sono necessarie per un’attenta gestione delle risorse dell’arco alpino. Problemi pratici Le maggiori problematiche che incontrano gli imprenditori agricoli che si rivolgono all’alpeggio sono di natura pratica e riguardano numerosi aspetti tra i quali l’accesso viario, l’approvvigionamento di acqua potabile ed infine l’allacciamento alle reti energetiche, senza considerare le difficoltà che sussistono nell’adeguamento delle strutture 93
Immagine 3.1.1 - Bialero a Serra di Raie (1514 mslm), da Meirare: tra Val Varaita e Val Po, B. Martino, E. Paseri, 2008.
abitative e dei ricoveri alle normative igienicosanitarie. La viabilità attualmente rappresenta un aspetto importante per l’utilizzo di un pascolo. Come evidenziato dallo studio effettuato dagli architetti Martino e Pasero16, quasi tutti gli alpeggi sono accessibili percorrendo strade carrabili. Questo perché oggi sono mutate le esigenze di movimento dei margari, che sentono la necessità di poter raggiungere agevolmente i pascoli. L’approvvigionamento idrico un tempo avveniva attraverso canalizzazioni superficiali che avvicinavano alle malghe l’acqua delle sorgenti ed era 94
utilizzata indifferentemente per l’abbeveramento degli animali e per gli usi domestici, tra i quali l’attività casearia. Attualmente la situazione non differisce di molto, si fa uso di tubazioni di pvc e di vasche ma l’acqua viene in ogni caso attinta dai bacini nelle vicinanze dei pascoli. Per normare l’utilizzo per usi domestici e produttivi dell’acqua non proveniente da un acquedotto, la Regione Piemonte, attraverso il “Progetto Interreg III”, ha attivato un piano di controllo sulla captazione e sulle caratteristiche microbiologiche delle acque17. Grazie a questo, è possibile utilizzare in alpeggio acqua sorgiva purché analizzata ogni anno e con la condizione che il bacino di captazione rispetti precisi requisiti tecnici minimi18. L’assenza pressoché totale di fonti di energia in alpeggio e la crescente necessità degli addetti ai lavori di poter usufruire dei principali servizi anche nelle aree più svantaggiate, ha portato all’utilizzo di nuove tecnologie per la produzione energetica. Grazie agli incentivi offerti dallo Stato e dalle Regioni sono sempre di più le aziende che sostituiscono i generatori elettrici a gasolio con moderni pannelli fotovoltaici oppure con microcentrali idroelettriche19. Questi accorgimenti, oltre a portare un risparmio immediato di denaro, sono anche da preferire se si guarda alla sostenibilità ambientale e hanno inoltre il vantaggio di limitare l’inquinamento degli stessi terreni che poi saranno utilizzati per il pascolo degli animali. Le strutture abitative e di produzione rappresentano un ulteriore nodo potenzialmente problematico per le attività lattiero-casearie in alpeggio. Spesso La caseificazione e l’allevamento
questi fabbricati versano in condizioni fatiscenti e del tutto inadatte ai requisiti che la produzione di formaggi richiede attualmente, pertanto il loro adeguamento rappresenta una sfida sia per il progettista che per la proprietà, che sia essa un ente locale oppure un privato. Le linee guida stilate dalla Regione Piemonte si basano sulle direttive comunitarie20 che a loro volta prevedono possibili deroghe per gli stati membri al fine di non soffocare le piccole produzioni. I locali o le zone minime richieste prevedono la separazioni delle funzioni di mungitura, lavaggio attrezzi, caseificazione e stagionatura, ai quali si aggiungono un locale bagno ed uno spogliatoio. In questa sede va però precisato che nel caso della ristrutturazione di un edificio esistente e vincolato non è necessario che le funzioni siano svolte in locali fisicamente separati, rendendo quindi l’adeguamento di strutture appartenenti al patrimonio rurale e tradizionale meno oneroso.
Note 1. Battaglini L., Mimosi A., Ighina A., Lussiana C., Malfatto V., Bianchi M., Sistemi zootecnici alpini e produzioni legate al territorio, Dipartimento si Scienze Zootecniche, Università di Torino. 2. Michele Corti, Produrre latte e formaggi in alpeggio: dilemmi tecnici e visioni sociali, «Caseus» a VII, 2003, n°6, pp. 36-43. 3. Corti M., Mariotti S., Quale zootecnia per quale formaggio?, «Porthos» n°26, Autunno 2006. 4. Michele Corti, Produrre latte e formaggi in alpeggio: dilemmi tecnici e visioni sociali, «Caseus» a VII, 2003, n°6, pp. 36-43. 5. Idem. 6. Idem. 7. Corti M., Maggioni L., Stima della resa nutritiva di un pascolo alpino di alta quota, Atti SISVET, 2000, 54, 431-432. 8. Battaglini L., Mimosi A., Ighina A., Lussiana C., Malfatto V., Bianchi M., Sistemi zootecnici alpini e produzioni legate al territorio, Dipartimento si Scienze Zootecniche, Università di Torino. 9. Corti M., Mariotti S., Quale zootecnia per quale formaggio?, «Porthos» n°26, Autunno 2006. 10. Buchin S., Martin B., Dupont D., Bornard A., Achilleos C., Influence of the composition of Alpine highland pasture on the chemical, rheological ad sensory properties of cheese, «J Dairy Res.» n°66, Novembre 1999.
Problematiche e vantaggi della produzione in alpeggio
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11. Idem. 12. Battaglini L., Mimosi A., Ighina A., Lussiana C., Malfatto V., Bianchi M., Sistemi zootecnici alpini e produzioni legate al territorio, Dipartimento si Scienze Zootecniche, Università di Torino. 13. Michele Corti, Produrre latte e formaggi in alpeggio: dilemmi tecnici e visioni sociali, «Caseus» a VII, 2003, n°6, pp. 36-43.
19. Confraternita della Raschera e del Bruss (a cura di), Dalla via del sale a quella dei formaggi: L’alpeggio come momento tipico delle produzioni casearie artigianali e di nicchia, Servizio Veterinario dell’ASL n°16 di MondovìCeva, Mondovì, 2009. 20. Per una trattazione più esaustiva sull’argomento si rimanda alla sezione 3.4 “Regolamentazione igienicosanitaria della Regione Piemente”.
14. Confraternita della Raschera e del Bruss (a cura di), Dalla via del sale a quella dei formaggi: L’alpeggio come momento tipico delle produzioni casearie artigianali e di nicchia, Servizio Veterinario dell’ASL n°16 di MondovìCeva, Mondovì, 2009. 15. Michele Corti, Produrre latte e formaggi in alpeggio: dilemmi tecnici e visioni sociali, «Caseus» a VII, 2003, n°6, pp. 36-43. 16. Martino B., Pasero E., Meirare: tra val Varaita e val Po, studio realizzato all’interno del progetto “Civiltà e territori d’alta quota nel Piemonte occidentale”, 2005. 17. Confraternita della Raschera e del Bruss (a cura di), Dalla via del sale a quella dei formaggi: L’alpeggio come momento tipico delle produzioni casearie artigianali e di nicchia, Servizio Veterinario dell’ASL n°16 di MondovìCeva, Mondovì, 2009. 18. I requisiti in questione riguardano essenzialmente le distanze minime fra i pascoli e le sorgenti e le modalità per la protezione di queste ultime. Per una trattazione più esaustiva della normativa sulla potabilità dell’acqua si rimanda alla sezione 3.4 “Regolamentazione igienicosanitaria della Regione Piemonte”.
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La caseificazione e l’allevamento
3.2 Bovini piemontesi e allevamento alpino in Provincia di Cuneo
“La montagna piemontese ha conservato un più ampio grado di variabilità grazie alle caratteristiche del territorio e alle difficoltà di applicare sistemi di allevamento più intensivi. Determinante a tale proposito risulta la variabilità di tipo climatico: la vicinanza al mare delle Alpi Marittime e delle Alpi Cozie determina, in questi territori, condizioni di maggiore piovosità rispetto, ad esempio, alla Valle di Susa e alla confinante Valle d’Aosta, regioni che risentono di condizioni di maggiore ventosità e secchezza”1. La grande variabilità di casistiche presenti all’interno dell’areale alpino regionale, spesso con condizioni molto diverse fra valli confinanti, ha influenzato notevolmente le razze bovine allevate. Mentre nelle pianure l’allevamento di bovini da latte fa affidamento quasi esclusivamente alla razza Frisona, selezionata per la sua elevata capacità di produzione, alle alte quote, per via delle caratteristiche climatiche e morfologiche, sono state mantenute numerose razze bovine autoctone
proprio per la loro elevata rusticità e capacità di adattamento, nonché per l’elevata resa energetica anche con i foraggi localmente disponibili. I bovini piemontesi e le loro peculiarità La varietà di razze allevate nelle montagne piemontesi è una delle prime fonti di variabilità delle produzioni sia lattiero-casearie che carnee. Ogni razza possiede le proprie peculiarità e, anche se ogni animale si presta meglio per un determinato tipo di produzione, è bene sottolineare che in un contesto ambientale sfavorevole come quello alpino tradizionalmente i bovini svolgevano una duplice se non triplice funzione. Fino all’introduzione dei mezzi meccanici nell’agricoltura le famiglie spesso sfruttavano la forza animale delle vacche anche per il traino oltre che per la produzione di carne, latte e derivati. A partire dalla metà del ‘900, con l’industrializzazione dell’allevamento si è però assistito ad una progressiva selezione dei capi al fine di prediligere una produzione specializzata a scapito
Bovini piemontesi e allevamento alpino in Provincia di Cuneo
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della pluralità di impeghi che tradizionalmente i bovini svolgevano. Nelle aree montane questa selezione non ha avuto, nella maggioranza dei casi, larga diffusione, anche per via del territorio impervio che necessitava bovini da latte che però possedessero una notevole massa muscolare per potersi muovere agevolmente anche sui ripidi pendii. Tra le razze che hanno maggiormente caratterizzato nel tempo l’alpicoltura in Piemonte le principali sono: la Piemontese, la Valdostana, la Bruna, la Pezzata Rossa d’Oropa e la Tarina2. La Piemontese: La razza Piemontese (presente in oltre 300.000 capi) è caratterizzata da un mantello chiaro sfumato al bianco, con buona adattabilità sia alle zone di pianura che ai pascoli di montagna, ed è oggi allevata per l’ottima produzione di carne, con rese alla macellazione in alcuni casi anche pari al 70% e ottime caratteristiche organolettiche. L’attitudine alla produzione di latte si è andata progressivamente riducendo a causa di programmi selettivi orientati alla produzione carnea, anche se ancora oggi il latte della Piemontese rimane alla base di molti formaggi tipici come il Castelmagno, la Raschera e la Toma del Piemonte. Il suo areale di allevamento in Piemonte comprende, oltre a tutte le zone di pianura delle province di Torino, Cuneo e Asti, anche l’arco alpino nella fascia che va dalle Alpi Marittime fino al Colle del Sestriere. La Valdostana: La Pezzata Rossa Valdostana (presente in circa 40.000 capi) è nota come una razza molto resi98
Immagine 3.2.1 - Razza Piemontese in alpeggio
Immagine 3.2.2 - Pezzata Rossa Valdostana
Immagine 3.2.3 - Razza Bruna in alpeggio
La caseificazione e l’allevamento
stente agli stress ambientali e alle variazioni climatiche, molto frugale e che può sfruttare al meglio pascoli e foraggi grossolani. E’ un’ottima camminatrice ed è caratterizzata da longevità e ottima fertilità. La Valdostana viene allevata per la sua duplice attitudine di produzione di latte e di carne. La Pezzata Rossa in Piemonte viene allevata quasi esclusivamente nelle valli a Nord di Torino mentre esiste anche la Pezzata Nera che però è presente prevalentemente nella regione della Val d’Aosta. La Bruna: La razza Bruna, come dice il nome, è caratterizzata da un mantello bruno e possiede una costituzione robusta che le consente un’ottima adattabilità alle quote alpine. Un tempo era diffusa in tutti gli ambienti per via della sua frugalità e della duplice attitudine per il latte e per la carne ma attualmente è poco allevata nelle zone di pianura perché soppiantata dalla più produttiva Frisona. A partire dagli anni ‘70 si è assistito tuttavia ad un orientamento selettivo esclusivamente rivolto al miglioramento della produzione lattea sia in termini di qualità che di quantità grazie al quale vengono ottenuti derivati caseari come la Toma D.O.P., l’Ossolano ed il Bettelmatt. In Piemonte le mandrie più numerose sono presenti in Valle Ossola e in Val Sesia. La Pezzata Rossa d’Oropa: La Pezzata Rossa d’Oropa possiede un mantello pezzato rosso con margini frastagliati variabile dall’arancione al rosso carico ed è considerata localmente una buona pascolatrice, adattabile a
Immagine 3.2.4 - Razza Tarina in alpeggio
condizioni ambientali particolarmente difficili. Questa razza presenta tradizionalmente una duplice attitudine e con il latte ottenuto si producono prevalentemente il Taccagno e la Toma D.O.P. Diffusa principalmente sulle montagne del Biellese, si è recentemente riaffermata con gli attuali 5000 capi dopo un progressivo decremento che aveva fatto temere la sua estinzione. La Tarina: La razza Tarina è caratterizzata da un mantello fromentino carico ed oltre che per la sua fertilità, essa viene caratterizzata anche per la longevità ed il suo notevole adattamento alle variazioni climatiche e di pascolo. Non possiede duplice attitudine e viene allevata quasi esclusivamente per la produzione di latte. E’ presente attualmente in alcune vallate della Provincia di Torino, ma conta numerosi capi sulle Alpi francesi in Savoia, Alta Savoia e in Val d’Isère.
Bovini piemontesi e allevamento alpino in Provincia di Cuneo
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L’alpicoltura nel cuneese e in Valle Varaita L’allevamento di bovini in alpeggio è una pratica spesso strettamente correlata alle tradizioni locali anche tuttora, nonostante si sia assistito ad una massiccia riduzione dei particolari a favore invece di allevatori provenienti da aree esterne alle valli stesse. Nonostante l’attività in alta quota sia per moti versi simile in tutto l’arco alpino, esistono però differenti approcci dal punto di vista della gestione e della produzione caratteristiche di specifiche valli. I colloqui con addetti del settore3 hanno confermato, per esempio, che fra la Provincia di Cuneo e quella di Torino vi è una differente necessità di ricovero dei capi alpeggianti, dove nelle valli torinesi si predilige una vera e propria stalla anche in quota, al contrario dell’areale alpino cuneese dove tendenzialmente si hanno meno esigenze di ricoveri per gli animali. Esistono poi differenze anche fra le singole valli per quanto riguarda il tipo di produzione in loco, per cui in alcune zone risulta preponderante l’allevamento di bestiame da carne lasciando al latte una quota marginale, e valli dove invece la produzione dei latticini riguarda la quasi totalità degli alpeggi. I dati relativi all’alpicoltura nella Provincia di Cuneo sono stati ricavati a partire da una relazione svolta all’interno della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino in collaborazione con il Prof. Luca Battaglini4. Il primo aspetto analizzato riguarda la superfice pascoliva, dove nel totale di 24.558 ettari di pascoli alpini nel cuneese, il 32% (7.910 ha) è localizzato In Valla Maira. Seguono i 4.712 ha delle valli 100
Gesso, Vermenagna e Pesio, mentre la Valle Varaita, in terza posizione, possiede 3.047 ettari di pascoli. Anche la durata media dell’alpeggio rappresenta un dato importante, perché strettamente legato alla morfologia del territorio e all’altitudine media dei pascoli nelle singole valli. Dall’analisi si evince che in Valle Varaita il numero medio di giornate in alpeggio è il maggiore di tutta la provincia (133 giorni contro i 118 di media in tutto il cuneese). Per quanto riguarda le forme di proprietà dei pascoli, la Val Varaita si pone in controtendenza rispetto al resto della provincia: mentre sull’areale alpino cuneese il 64,4% dei pascoli è di proprietà pubblica, nella valle solo il 44% risulta di competenza del demanio, mentre i restanti appartengono a soggetti privati. La differenza già accennata sulla necessità del ricovero del bestiame emerge anche dallo studio, dove l’analisi delle strutture utilizzate in alpeggio evidenzia come nel territorio provinciale solamente il 17% degli allevamenti utilizzi una stalla, mentre il 15% una tettoia. All’interno della stessa relazione viene però indicata come struttura di ricovero anche il recinto, per questo motivo il dato secondo il quale solamente il 63% degli intervistati utilizzi un recinto potrebbe sembrare effettivamente molto basso. Le differenze con la Valle Varaita riguardano sostanzialmente l’uso della stalla, dove il 32% degli allevamenti alpini ne fa uso, contro una percentuale minore sul resto della provincia. L’approccio legato alla produzione lattea evidenzia invece come nelle valli cuneesi, nonostante la consistente tradizione casearia, non ci sia La caseificazione e l’allevamento
sovrasfruttamento delle vacche da latte. Infatti la quota di latte destinato all’allattamento dei vitelli si attesta al 79% ed il restante viene destinato per il 13% alla vendita e per l’8% alla trasformazione. Un altro dato interessante a riguardo interessa la percentuale di allevatori che attua la mungitura: sul totale solo il 26% di essi munge regolarmente le vacche, sottolineando quindi la prevalenza di allevamenti da carne5.
Note 1. Battaglini L., Mimosi A., Gentile M., Lussiana C., Malfatto V., Bianchi M., Razze bovine allevate nel territorio montano Piemontese: Realtà e prospettive, Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università di Torino, Quaderno SOZOOALP n° 3, 2006. 2. Battaglini L., Mimosi A., Ighina A., Lussiana C., Malfatto V., Bianchi M., Sistemi zootecnici alpini e produzioni legate al territorio, Dipartimento di Scienze Zootecniche, Università di Torino. 3. Gli addetti del settore intervistati e che si ringraziano per la collaborazione sono il Dott. Luca Nicolandi dell’ASL TO 4 di Settimo Torinese e il Dott. Guido Tallone di Agenform (Istituto Lattiero-Caseario di Moretta, CN). 4. M. Battaglini, M. Daniele, Allevamento della razza bovina Piemontese nel territorio montano della provincia di Cuneo: Realtà e prospettive, Università degli Studi di Torino - Facoltà di Agraria, Torino 2005. 5. Il testo di riferimento riguarda principalmente la razza bovina Piemontese, per questo motivo va specificato che il dato sulla mungitura non può essere esteso all’intera casistica in quanto gli allevamenti di bovini di Piemontesi si orientano essenzialmente alla produzione carnea, nonostante la razza si presti alla duplice attitudine.
Bovini piemontesi e allevamento alpino in Provincia di Cuneo
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La caseificazione e l’allevamento
3.3 Produzione del formaggio Il latte Il latte rappresenta il primo alimento assunto dal mammifero in crescita. Esso è composto da principi nutritivi e composti biologicamente attivi che fanno del latte un alimento ineguagliabile. Inoltre “nel regime alimentare dell’uomo adulto il latte e i prodotti derivati ricoprono ugualmente una funzione importante e rappresentano alimenti base per alcune fasce sociali della popolazione”1. Il latte destinato all’alimentazione umana deriva per il 90% dalla mungitura della vacca mentre per le restanti percentuali viene prodotto da altre specie ruminanti allevate come la pecora, la capra e la bufala. Quest’ultimo riveste un ruolo minore nel panorama lattiero/caseario ma si rivolge ad una produzione limitata e specializzata che si concentra spesso in particolari zone geografiche dove persiste una forte dedizione alla tradizionalità. Anche se le differenze compositive con il latte vaccino sono rilevanti, il loro latte contiene però gli stessi principi nutritivi ed in linea di principio, la trasformazione avviene secondo la medesima filiera di produzione. La legge italiana prevede che la sola parola “latte” senza complemento definisca il latte vaccino mentre deve esserne specificata l’origine per il resto dei casi. I testi giuridici definiscono quindi il latte Produzione del formaggio
come “il prodotto integrale della mungitura completa ed ininterrotta di una femmina da latte in buona salute, ben nutrita e non affaticata”2. La buona prassi prevede le migliori condizioni vita degli animali per prevenire malattie e il sovrasfruttamento. Si pensi, ad esempio, che per la produzione di un litro di latte è stato stimato il passaggio all’interno della mammella di circa 400 litri di sangue3. Per questo motivo la produzione del latte da vacche in ottime condizioni produrrà non soltanto un latte migliore ma anche in quantità maggiore. La produzione del latte è regolata attraverso un meccanismo ormonale, che si attiva nel momento della gestazione e che è coadiuvata da “uno stimolo di natura meccanica che può essere provocato dalla suzione naturale o dalla mungitura”4 e che permette in mantenimento della lattazione fino all’arrivo di una nuova gravidanza. La produzione non è quindi costante, ma alterna fasi di picco, dove viene prodotto circa il 50% del latte, a fasi di messa in asciutta dell’animale. Il fenomeno è ampiamente studiato attraverso le curve di lattazione dove risulta evidente la fase di persistenza, cioè il prolungamento stimolato della produzione in termini di settimane dal picco5. 103
Scrematura
Latte crudo intero
Latte magro
Crema
Latte parzialmente scremato
Trattamento termico
Burrificazione
Burro
Fermentazione
Trattamento termico
Caseificazione
Siero Trattamento termico
Yogurt 104
Latte alimentare
Formaggi
Ricotta La caseificazione e l’allevamento
Immagine 3.3.1 - Contenitori per il latte in acciaio inox
Latte Vacca Pecora Capra Bufala Donna
Proteine Grasso 3,2 6,0 3,3 4,8 1,5
3,5 7,5 3,5 7,5 3,5
Lattosio
Acqua
4,8 4,5 4,5 4,7 6,5
87,5 81,0 87,8 82,2 88,3
Tabella 3.3.2 - Composizione media (g/100ml) del latte di alcune specie
Nella pagina precedente: Tabella 3.3.1 - Schema sintetico dei derivati del latte
Produzione del formaggio
Dal punto di vista chimico-fisico il latte è una miscela di fasi differenti il cui mezzo disperdente è l’acqua che compone circa l’87% sul totale della secrezione6. “I principali macrocomponenti sono presenti nel latte in stati fisici diversi: il grasso in fase di emulsione, la caseina in fase di sospensione colloidale, i sali il lattosio e le sieroproteine in soluzione. [...] Le diverse fasi sono peraltro caratterizzate da una certa instabilità che comporta, in termini tecnologici, la possibilità di separarle singolarmente e di ottenere una vasta gamma di prodotti”7. Grande importanza nella filiera di produzione è dedicata alla conservazione. Il latte è un prodotto facilmente deperibile, che si modifica col calore e facilmente attaccabile dai batteri. Per questa ragione la mungitura in alpeggio dev’essere effettuata tenendo presente le principali regole igieniche e di conservazione ben espresse nel protocollo HACCP rilasciato dalle aziende sanitarie8. Il formaggio La legge definisce il formaggio come “prodotto che si ricava dal latte intero o parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o ‘presamica’ anche facendo uso di fermenti e sale da cucina”9. Il formaggio è tuttora considerato un prodotto di un sistema molto complesso, frutto di piccole azioni compiute da mastri casari e, come sottolineato da C. Alais, non del tutto noto ai ricercatori10. Egli ritiene inoltre che il mantenimento dell’arte casearia sia “indispensabile per il mantenimento della varietà della produzione casearia attuale” cogliendo 105
nel segno le tematiche di questa tesi. Continua affermando che: “Questo mantenimento non sarebbe necessario se si considerasse soltanto il formaggioalimento, cioè una conserva di proteine e grassi nobili, che sarebbe livellata ad una qualità media. Viceversa, il mantenimento della varietà è necessario se si considerano le qualità psico-sensoriali del formaggio, condimento della razione quotidiana o nutrimento eccitante, nella sua varietà, dei giorni fasti”11. Produzione “Il formaggio rappresenta il più antico e valido metodo conosciuto dall’uomo per concentrare e preservare nel tempo il valore nutritivo del latte”12. Partendo da questa basi, attualmente la produzione è frutto di una serie di operazioni tecnologiche complesse che trasformano la stessa materia prima, il latte, in innumerevoli tipologie di formaggi che si differenziano uno dall’altro per le minime variazioni che il prodotto subisce durante il processo di caseificazione. La lavorazione del formaggio attraverso il metodo tradizionale si può riassumere essenzialmente in sei fasi principali13: 1. Maturazione del latte Con aggiunta o meno dei fermenti lattici 2. Coagulazione Formazione del coagulo grazie all’aggiunta del caglio 3. Rottura della cagliata e spurgo Il coagulo viene frazionato e, grazie alla 106
filtrazione o alla cottura, viene espulso il siero 4. Messa in fascera Il semilavorato viene messo in forma dove continua lo spurgo 5. Salatura 6. Maturazione La prima fase riguarda la sosta del latte dove la materia prima sviluppa alcune microflore che consentono la lavorazione in condizioni di elevata acidità. Il latte tipicamente impiegato per la produzione casearia in alpeggio è intero, per questo motivo prima della sosta vera e propria si opera una preliminare depurazione fisica che consente di eliminare le impurità macroscopiche. Nei formaggi a base di latte crudo la materia prima non viene pastorizzata e l’unico trattamento che subisce è quindi la sosta, mentre sempre più spesso i formaggi comuni sono realizzati con latte pastorizzato14 per i quali è necessario l’innesto a posteriori della carica batterica in sostituzione della microflora lattica persa durante il riscaldamento. Nella successiva fase di lavorazione il latte viene portato a temperature superiori a 15°C necessaria per l’aggiunta del caglio. “La coagulazione presamica effettuata a temperatura ottimale di attività del caglio (circa 40°C) consente di ottenere cagliate più consistenti; al contrario, per temperature inferiori a 30°C, il coagulo ottenuto è rilassato con scarsa sineresi”15. Per questo motivo già dalle prime fasi di lavorazione è possibile notare come
La caseificazione e l’allevamento
differenti approcci al procedimento di lavorazione porteranno a differenti prodotti finiti. La terza fase riguarda la rottura della cagliata ovvero il processo che facilita l’espulsione del siero che altrimenti attraverso la sineresi spontanea sarebbe troppo lento. La divisione meccanica del coagulo avviene con modalità diverse a seconda dello spurgo richiesto, dove frammenti di piccole dimensioni (della grandezza di un chicco di riso) sono caratterizzati da una fuoriuscita maggiore di siero, necessario per la produzione di formaggi a pasta dura; al contrario pezzi grossi (delle dimensioni di un arancio) avranno uno spurgo minore e formeranno formaggi a pasta molle. La messa in fascera avviene successivamente ad una grossolana spurgatura iniziale dove la cagliata perde gran parte del siero. Il composto così ottenuto viene quindi posto nelle forme dove continua l’eliminazione della massa liquida fino all’ottenimento della consistenza voluta. Nei formaggi a pasta dura a forte spurgo talvolta la cagliata viene sottoposta ad un trattamento termico in caldaia, prima di essere posta in fascera, al fine di provocare un’ulteriore disidratazione del materiale proteico16. Attraverso la successiva salatura la forma continua l’asciugatura cominciata nelle fasi precedenti. Il processo di scambio osmotico fra la pasta del formaggio e la parte esterna ricoperta di sale spurga la componente liquida rimanente e nel contempo migliora il gusto finale del prodotto facendo penetrare il sale all’interno. Inoltre la maggiore asciugatura degli strati più esterni della forma da Produzione del formaggio
Immagine 3.3.2 - Rottura della caglita in un caseificio tradizionale
origine ad un piccolo spessore corticale che con il tempo formerà la vera e propria crosta. L’ultima fase della produzione è la maturazione, termine che non indica il puro invecchiamento del formaggio ma “la sua stagionatura in condizioni controllate di temperatura, umidità e tempo”17 durante la quale il prodotto raggiunge le condizioni di sapore e consistenza desiderate. Il processo descritto è quello tradizionalmente basilare che si adatta a molteplici tipologie di formaggio ma che fase per fase viene interpretato nella realizzazione dei prodotti specifici. Ogni minima variazione porterà ad un differente risultato finale per cui non a caso, vista la quantità di variabili in gioco, si parla di ‘arte casearia’. Nei formaggi a pasta filata, per esempio, dopo l’estrazione la cagliata invece di essere messa in 107
forma viene lasciata maturare e successivamente lavorata in acqua calda, saltando completamente le fasi di messa in fascera e di salatura. Un discorso a parte è quello della ricotta che dal punto di vista legale non è classificabile come formaggio. La ricotta si ottiene non dal latte ma dal siero, ovvero un sottoprodotto della lavorazione del formaggio. Viene prodotta attraverso il riscaldamento a circa 80-90°C del siero e alla successiva aggiunta di acidificante (spesso acido citrico) che permette alla massa proteica di affiorare in superficie consentendo di separarla dal liquido restante. Tipologie di formaggio “Nel mondo esistono circa 2000 tipologie di formaggi, alcuni antichissimi, altri più moderni, i quali si differenziano per il tipo di latte da cui derivano e per tecnologia, sia di produzione che di stagionatura”18. La classificazione del formaggio, soprattutto se vuol essere condotta su basi scientifiche, risulta difficoltosa date le numerose sfumature che può assumere il prodotto alla variazione di una delle infinite variabili durante il processo di produzione. Le tipologie che normalmente contraddistinguono i formaggi sono basate sugli aspetti principali della produzione come il tipo di latte utilizzato, il tipo pasta o di crosta di cui sono composti ed il processo di stagionatura. Il tipo di latte rappresenta la prima discriminante sul consumo del formaggio, forse la principale analizzata dal consumatore, classificando quindi i latticini in vaccini, caprini, ovini, bufalini o misti. 108
Anche la temperatura alla quale viene lavorata la pasta costituisce a tutti gli effetti differenti tipologie: si parla di formaggi a pasta cotta quando la temperatura di lavorazione supera il 48 °C ed in generale se questa supera la temperatura di formazione della cagliata (37-38°C)19 come nel caso del Parmigiano e dell’Emmenthal. Se la temperatura non supera i 48°C il formaggio ottenuto potrà essere definito a pasta semicruda (Fontina, Asiago), mentre se la pasta non subisce trattamenti termici si parlerà di pasta cruda, ed è questo il caso di latticini come Crescenza, Gorgonzola e Taleggio. Importante è la classificazione secondo il periodo di stagionatura, dove si differenziano formaggi freschi (che cioè non subiscono stagionatura), formaggi stagionati a maturazione breve (20-40 giorni), formaggi stagionati a maturazione media (non superiore ai 6 mesi) ed infine formaggi stagionati a maturazione lenta dove le forme vengono stagionate per un periodo superiore ai 6 mesi. Per il forte impatto visivo esiste anche un classificazione in base al tipo di crosta che può essere presente o assente, naturale o artificiale, lavata o fiorita. Come suggerito da De Noni, Resmini e Tirelli20 anche il contenuto in grasso del formaggio rappresenta un possibile criterio di classificazione tenendo però a mente che risulta un dato poco significativo “se non viene valutato insieme al contenuto di acqua del formaggio stesso”. Gli autori continuano dicendo che: “A parità di peso, un formaggio ‘grasso’ ma ricco d’acqua, come la Crescenza, La caseificazione e l’allevamento
apporta meno grasso di un formaggio ‘semigrasso’ ma contenente meno acqua come il Grana Padano o il Parmigiano Reggiano”. Infine la classificazione forse più completa ed esaustiva è quella che si basa sulla consistenza della pasta alla fine della lavorazione (e della stagionatura). Secondo l’ordinamento proposto da Alais21, i formaggi a base di caglio possono essere suddivisi in sei tipologie di paste: 1. Paste fresche - Nessuna maturazione con estratto secco al 30% - Coagulazione molto lenta; formaggi freschi non definiti ad alto tenore di acqua 82%, formaggi freschi salati e formaggi freschi non salati 2. Paste molli - Piccoli formaggi a maturazione rapida, con estratto secco pari al 40-45% - Coagulazione lenta, poco caglio e acidità notevole - Paste molli a crosta fiorita (Brie, Camambert) - Paste molli a crosta lavata (Livarot, Munster) 3. Paste blu (Erborinati) - Formaggi con muffe interne e crosta appiccicaticcia - Coagulazione media e tenore medio di caglio; estratto secco del 50% - Roquefort (latte ovino), Gorgonzola (latte vaccino) 4. Paste pressate - Coagulazione rapida di tipo ‘presamica’; la
Produzione del formaggio
cagliata viene rotta e pressata per facilitare la fuoriuscita del siero; estratto secco da 54 a più del 50% - A crosta lavata e umida (Raschera, Reblochon) - A crosta grattata (Edam, Gouda) - Semicotti (Cheddar) 5. Paste cotte - Formaggi molto disidratati, estratto secco superiore al 60%; cagliata suddivisa e cotta in caldaia a circa 55% - Maturazione molto rapida, con occhiatura (Emmental) - Maturazione lenta, con occhiatura (Gruyère) - Maturazione molto lente, senza occhiatura (Parmigiano, Beaufort) 6. Paste filate - La pasta viene lavorata e filata a bagno in acqua o siero bollente - Formaggi freschi (Mozzarella) - Formaggi semiduri (Scamorza) - Formaggi duri (Provolone, Caciocavallo)
Note 1. I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli, Il latte e i prodotti derivati, in Gli Alimenti - Aspetti tecnologici e nutrizionali, Milano, Istituto Danone, 1997, pp. 69-114. 2. Charles Alais, Scienza del latte - Principi di tecnologia del latte e dei derivati, Milano, Tecniche Nuove, 1988 (Science du lait. Principes des techniques latières, Paris, SEIPAC, 1984).
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6. Ottavio Salvadori del Prato, Trattato di Tecnologia Casearia, Bologna, Edagricole, 1998.
trattamento e della commercializzazione del latte alimentare vaccino) definisce la pastorizzazione come: “Trattamento termico in flusso continuo per almeno quindici secondi a temperatura inferiore al punto di ebollizione ma superiore a 72 gradi centigradi ovvero per tempi e temperatura integranti una equivalente quantità di calore, idoneo ad assicurare la distruzione di tutti i microorganismi patogeni e di parte rilevante della flora microbica saprofita, con limitate alterazioni delle caratteristiche chimiche, fisiche e organolettiche”.
7. I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli, Il latte e i prodotti derivati, in Gli Alimenti - Aspetti tecnologici e nutrizionali, Milano, Istituto Danone, 1997, pp. 69-114.
15. I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli, Il latte e i prodotti derivati, in Gli Alimenti - Aspetti tecnologici e nutrizionali, Milano, Istituto Danone, 1997, pp. 69-114.
8. Nei capitoli successivi saranno elencate le norme e pratiche prescritte dalle normative europee, fondamentali nel caso della progettazione ottimale di uno spazio di produzione alimentare come può essere un alpeggio.
16. Idem
3. Ottavio Salvadori del Prato, Trattato di Tecnologia Casearia, Bologna, Edagricole, 1998. 4. Idem. 5. Fonte in rete: http://www.mondolatte.it/index. php/gestione-aziendale/116-analisi-delle-curve-dilattazione-prima-parte
9. RDL n°2033 del 15/10/1925
17. Ottavio Salvadori del Prato, Trattato di Tecnologia Casearia, Bologna, Edagricole, 1998. 18. Gambera A., Surra E., Le forme del latte - Manuale per conoscere il formaggio, Bra, Slow Food Editore, 2003.
10. Charles Alais, Scienza del latte - Principi di tecnologia del latte e dei derivati, Milano, Tecniche Nuove, 1988 (Science du lait. Principes des techniques latières, Paris, SEIPAC, 1984).
19. Idem.
11. Idem.
21 .Charles Alais, Scienza del latte - Principi di tecnologia del latte e dei derivati, Milano, Tecniche Nuove, 1988 (Science du lait. Principes des techniques latières, Paris, SEIPAC, 1984).
12. Ottavio Salvadori del Prato, Trattato di Tecnologia Casearia, Bologna, Edagricole, 1998. 13 .Charles Alais, Scienza del latte - Principi di tecnologia del latte e dei derivati, Milano, Tecniche Nuove, 1988 (Science du lait. Principes des techniques latières, Paris, SEIPAC, 1984).
20. I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli, Il latte e i prodotti derivati, in Gli Alimenti - Aspetti tecnologici e nutrizionali, Milano, Istituto Danone, 1997, pp. 69-114.
14. La legge n. 169 del 03-05-1989 (Disciplina del
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La caseificazione e l’allevamento
3.4 Regolamentazione igienico-sanitaria della Regione Piemonte Introduzione La Regione Piemonte, attraverso le ASL di competenza, ha redatto un documento che prescrive le indicazioni operative relative al riconoscimento e alla registrazione delle strutture adibite alla trasformazione del latte in alpeggio il cui ultimo aggiornamento risale al mese di Febbraio 20091. Le linee guida disposte rappresentano una summa della normativa di riferimento e includono anche le relative deroghe che sono state stabilite di comune accordo fra la Comunità Europea e lo Stato italiano. Le finalità del documento mirano ad incentivare l’avvio di un processo di ammodernamento che coinvolga le strutture produttive e le attrezzature, migliori la gestione igienico sanitaria delle produzioni e promuova un idoneo approccio ai rischi legati alla caseificazione, anche in impianti in fase di ristrutturazione, situati in zone disagiate e operanti per un periodo limitato dell’anno. Le seguenti definizioni riguardano le soluzioni adottate all’interno del progetto e sono state ricavate in primis rispettando le linee guida della regione e contestualizzate rispetto al tipo di produzione prevista grazie al colloquio con il Dottor Nicolandi del Servizio Veterinario dell’ASL TO 4 di Settimo Torinese.
Definizione di alpeggio Secondo le indicazioni operative della regione l’alpeggio è “l’attività agro-zootecnica che si svolge nelle malghe di montagna durante i mesi estivi”, mentre con il termine malga “si fa riferimento all’insieme dei fattori produttivi fissi e mobili in cui avviene l’attività di monticazione o transumanza quali: terreni, fabbricati, attrezzature, animali”. Inoltre viene specificato che l’attività ha inizio tra la fine di maggio e la metà di giugno con la monticazione2 e termina con la demonticazione3 in genere verso la fine di settembre. Tipologia di costruzione e requisiti strutturali minimi (Tabella 3.4.1) La tabella, ricavata dalle linee guida regionali, riassume i principali locali necessari per la produzione casearia in alpeggio. Vengono inoltre descritte tre tipologie di approccio progettuale in base all’intervento che si prevede di attuare (nuova costruzione, ristrutturazione e struttura accessoria). Zona di mungitura La mungitura può avvenire all’interno del locale di ricovero degli animali oppure in un’area appositamente destinata, preferibilmente protetta
Regolamentazione igienico-sanitaria della Regione Piemonte
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A Tipologia di locali
Locale o zona delimitata di mungitura Locale deposito latte e lavaggio attrezzi
Caseifici di nuova costruzione
B
C
Caseificio derivato da Struttura accessoria ristrutturazione di funzionalmente correlata edifici sottoposti a vincoli a struttura principale di tipo urbanistico o (Tipologia A e B) territoriale
Si
Si
Si
Si
Zona
Zona
Locale di caseificazione
Si
Si
Si
Locale di stagionatura
Si
Zona
No
Servizio igienico
Si
Si
No
Spogliatoio
Si
Zona
Zona
Tabella 3.4.1 - Tipologie di locali necessari in base alla tipologia di edificio considerata
ed al riparo dalle acque meteoriche. Tale zona deve essere dotata, nelle immediate vicinanze, di almeno un punto di erogazione acqua fornito di impianti adeguati per il lavaggio delle mani degli operatori e delle attrezzature. Deposito latte e lavaggio attrezzature Il locale o la zona in cui il latte viene depositato dopo la mungitura deve essere attrezzato con gli adeguati ripiani di stoccaggio dei contenitori, con 112
un punto acqua per il lavaggio delle attrezzature e, nel caso non si preveda la trasformazione immediata del prodotto, deve possedere le necessarie dotazioni per mantenere il latte ad una temperatura non superiore ai 6°C. La zona di lavaggio può anche coincidere con quella già prevista per la mungitura mentre per il raffreddamento del latte è consentita l’immersione degli appositi contenitori in vasche con acqua corrente o in canali di raffreddamento, purchè essi siano di materiale idoneo all’uso La caseificazione e l’allevamento
alimentare, lavabili, disinfettabili, resistenti alla corrosione e proteggano il latte da contaminazioni esterne. Nei casi in cui non è necessario un locale apposito per il deposito ed il lavaggio è consentito svolgere queste funzioni all’interno del locale di caseificazione che però deve risultare sufficientemente ampio da permettere l’applicazione di procedure di separazione nello spazio delle diverse attività produttive; in alternativa dovranno essere stabilite in autocontrollo specifiche procedure di separazione temporale che garantiscano l’igienicità delle produzioni. Il lavaggio dei recipienti e delle attrezzature può avvenire anche all’esterno, se al coperto di una tettoia, purché l’area sia pavimentata; mentre l’asciugatura deve essere fatta in una zona protetta e al riparo dalla polvere.
• I pavimenti devono essere realizzati in materiale facilmente lavabile, con inclinazione tale da consentire l’evacuazione delle acque di lavaggio.
Locale di lavorazione Il locale di lavorazione rapppresenta il cuore del caseificio ed è luogo dove si svolgono le principali fasi di produzione del formaggio. Per questa ragione è necessario adottare tre importanti accorgimenti spaziali al fine di evitre la contaminazione dei prodotti: • Completa separazione dai ricoveri degli animali
• E’ necessario prevedere un sistema di eliminazione dei fumi e dei vapori mediante camino o attraverso una cappa, dimensionati in base alla fonte di calore utilizzata;
• Completa separazione dal servizio igienico • Separazione dai locali adibiti ad abitazione Al suo interno il locale di lavorazione deve possedere alcuni importanti requisiti strutturali riguardanti il trattamento delle superfici, il circolamento dell’aria e l’igiene del materiale.
• Le pareti devono essere rivestite di materiale facilmente lavabile e disinfettabile; • I soffitti o le coperture devono evitare forme complesse al fine di scongiurare l’accumulo di polvere e la caduta di particelle; • Le zone antistanti gli ingressi devono essere pavimentate in cemento, pietra o altro materiale lavabile per evitare l’insudiciamento dei locali durante i passaggi ripetuti; • Le porte e le finestre devono essere realizzate in materiale resistente, facile da pulire e pensate in modo da evitare l’ingresso di animali indesiderati;
• Utilizzo di reti antimosche in corrispondenza delle aperture; Deve essere garantita la presenza di almeno un lavello con acqua corrente, dotato di comando non manuale4. Se questo non fosse sufficiente per il lavaggio delle attrezzature dovrà essere garantita la presenza di una vasca, installata anche all’esterno del locale di caseificazione, purché posizionata nelle immediate vicinanze, protetta dalle intemperie e collegata al locale di caseificazione attraverso una
Regolamentazione igienico-sanitaria della Regione Piemonte
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pavimentazione in cemento, in pietra o in analogo materiale lavabile. Servizi igienici e spogliatoi I servizi igienici sono previsti per ogni tipologia di locale e, oltre alla necessità di possedere un lavabo con acqua corrente, non possono comunicare direttamente con il locale di lavorazione. Le linee guida precisano che nel caso l’edificio sia sottoposto a particolari vincoli di tipo urbanisticoterritoriale che impediscano la costruzione di servizi igienici dedicati, è consentito l’utilizzo di quelli annessi all’abitazione, purché tali servizi siano situati nelle immediate vicinanze e non si preveda personale dipendente alla caseificazione. In ogni caso deve essere prevista una adeguata zona di filtro in prossimità dell’entrata al locale di lavorazione e deve essere possibile accedere al lavabo prima della ripresa delle attività. Il locale spogliatoio è invece obbligatorio nel caso di una nuova costruzione, mentre per le restanti tipologie è sufficiente attrezzare una zona allo scopo. Locale di affinatura/stagionatura L’affinatura è la fase della produzione in cui, a fine lavorazione, si mettono in atto particolari pratiche volte al miglioramento del gusto del formaggio e alla sua conservazione. Il principale metodo utilizzato in alpeggio è la salatura, che viene tradizionalmente eseguita nello stesso locale dove avviene la stagionatura. Questa categoria di locali deve essere dotata, secondo le norme, di pavimenti, 114
pareti e coperture facili da pulire e ogni superfice a contatto del prodotto deve essere di materiale idoneo, facilmente disinfettabile. In questo caso sono però applicabili le deroghe per i prodotti tradizionali5 che consento una maggiore flessibilità per lo svolgimento delle funzioni di stagionatura e affinatura: • Sono ammessi locali geologicamente naturali con pavimenti e pareti in roccia oppure grotte; • Le pareti, i pavimenti, i soffitti e le porte possono avere un rivestimento non impermeabile o alterabile, purché siano garantite l’igiene e la protezione da animali indesiderati; • Le superfici di appoggio e gli utensili destinati ad entrare a diretto contatto con i prodotti possono essere costituiti anche in materiali non lisci, purché puliti ed in buono stato (si pensi ad esempio ai ripiani di legno). Infine è possibile, nel caso di ristrutturazioni di edifici sottoposti a vincoli, eseguire le operazioni di affinatura e stagionatura anche nello stesso locale di caseificazione con la condizione che esso sia sufficientemente ampio e che non ci sia contaminazione con i prodotti che vengono lavorati. Requisiti per gli armadi e le attrezzature Le normative prevedono che siano presenti nel caseificio almeno due armadi o locali separati, uno per il deposito di sale, caglio ed altri ingredienti necessari alla produzione mentre un secondo La caseificazione e l’allevamento
necessario per il deposito del materiale e delle attrezzature per la pulizia e disinfezione. Le attrezzature e gli utensili destinati ad entrare in contatto diretto con il latte e con i prodotti derivati devono essere in materiale resistente alla corrosione, facili da lavare e disinfettare. È concesso l’utilizzo del legno per gli strumenti di lavorazione, per i tavoli di pressatura e di sgocciolamento ed eventualmente per le forme purché sia compatto e privo di porosità, come previsto dalle deroghe per i prodotti tradizionali6. Tali attrezzature dovranno essere mantenute costantemente in buono stato di pulizia ed essere regolarmente lavate, al fine di evitare effetti nocivi sull’igiene delle produzioni. Approvvigionamento idrico La verifica sulla qualità dell’acqua spetta al conduttore della struttura in alpeggio, il quale è tenuto ad effettuare, nell’ambito del proprio piano di autocontrollo, un’analisi microbiologica con periodicità almeno annuale; il prelievo del campione deve essere eseguito da personale tecnico competente, preferibilmente prima della stagione di monticazione e pervenire in condizioni di idonea conservazione ad un laboratorio di analisi pubblico o privato iscritto nell’elenco regionale e con le prove specifiche accreditate. Trattandosi di attività site in territorio disagiato di montagna, raramente dotate di allacciamento a pubblico acquedotto e poiché l’approvvigionamento idrico è finalizzato, per lo più, al lavaggio dei locali e delle attrezzature o al raffreddamento del latte in recipienti chiusi, per
l’acqua utilizzata, ancorché non certificata come potabile, è sufficiente il possesso dei requisiti microbiologici fissati dall’Allegato 1, parte A del Decreto Legislativo 31/2001 (Escherichia Coli assenti in 100 ml ed Enterococchi assenti in 100 ml). In casi particolari, i requisiti microbiologici minimi dell’acqua possono essere raggiunti utilizzando sistemi correttivi (es. clorazione in serbatoio di accumulo, bollitura). Per quanto attiene i parametri chimici, il rispetto dei loro limiti deve essere valutato nell’ambito dell’intero bacino di captazione, con riferimento alle situazioni idrogeologiche locali, fermo restando che, a monte degli alpeggi, devono essere assenti pressioni antropiche di tipo zootecnico, agricolo, turistico-ricreativo o altre attività con forte impatto ambientale. Nelle aree territoriali ove in passato non siano emerse particolari problematiche di inquinamento ambientale, la verifica analitica in autocontrollo dei parametri chimici è ritenuta facoltativa. Tuttavia i Servizi del Dipartimento di Prevenzione o l’ARPA possono prevedere che il produttore effettui accertamenti di parametri chimici sull’acqua, qualora vengano considerati indispensabili per garantire la sicurezza dei prodotti, in relazione a fonti di rischio accertate o sospette. La tipologia e la frequenza di tali controlli supplementari potranno essere stabiliti sulla base di un’analisi del rischio e della valutazione di eventuali problematiche ambientali contingenti. In considerazione delle particolari caratteristiche
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produttive delle attività svolte in alpeggio, risultano di primaria importanza: • la corretta captazione dell’acqua destinata al caseificio; • il corretto smaltimento dei reflui; • il controllo dell’accesso degli animali nella fascia di rispetto. • Pertanto le caratteristiche tecniche costruttive minime da prevedere sono le seguenti: • recinzione della sorgente e interdizione del pascolo a monte, almeno per 100 metri; • sgrossatore o grigliato (pigna filtrante), posizionato sul tubo di presa; • presenza di almeno una vasca di sedimentazione;
valori di PH compresi fra 5,5 e 9,5; • lo scarico deve avvenire a valle dei punti di prelievo dell’acqua per uso potabile o, se a monte, a una distanza minima di 100 metri; • devono essere evitati ristagni e ruscellamenti. Le acque provenienti dai servizi igienici possono essere smaltite sia in acque superficiali, sia sul suolo o in strati superficiali del sottosuolo purché sia previsto trattamento separato delle acque nere e delle acque grigie attraverso depuratori o fosse Imhoff. E’ inoltre ammessa l’utilizzazione agronomica delle acque reflue di aziende del settore lattiero caseario che trasformino un quantitativo di latte inferiore a 100.000 litri annui, se prive di siero, latticello o scotta, in conformità alle leggi regionali8.
• tubi e vasche in materiale atossico ed inerte; • eventuale preventiva clorazione dell’acqua, con le modalità previste dai presidi farmaceutici utilizzati. Scarico dei reflui Per quanto concerne le acque reflue di lavaggio dei locali e delle attrezzature destinate all’attività di caseificazione7 è consentito lo scarico sul suolo purché siano osservate le seguenti prescrizioni: • separazione totale del siero e della scotta, che possono invece essere utilizzati per l’alimentazione del bestiame; • livelli di acidità e basicità contenuti, ovvero con 116
La caseificazione e l’allevamento
Note 1. Per il documento completo si rimanda al sito ufficiale della regione Piemonte, al seguente link:”http://www. regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2009/10/ attach/dddb200000074_830a1_n.pdf ”. 2. Con il termine monticazione si indica il processo di salita sull’alpe degli animali. Per approfondimenti sul tema si rimanda alla sezione 2.5 del Capitolo 2 “La monticazione fra pratica e teoria”. 3. Con il termine demonticazione si indica il processo di ridiscesa in pianura o in fondovalle. Per approfondimenti sul tema si rimanda alla sezione 2.5 del Capitolo 2 “La monticazione fra pratica e teoria”. 4. Il comando non manuale prevede l’azionamento del rubinetto attraverso pedale, ginocchio o altro sistema idoneo. 5. Deroghe previste per prodotti tradizionali e relative ai requisiti strutturali ed alle attrezzature ai sensi dell’art.7 del Reg. CE 2074/2005. 6. Idem. 7. Ai sensi della Legge Regionale 29 dicembre 2000 n° 61. 8. D.P.G.R. n.10/R del 29/10/2007.
Regolamentazione igienico-sanitaria della Regione Piemonte
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Capitolo
4
CASI STUDIO DI ARCHITETTURA MONTANA 119
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Casi studio di architettura montana
4.1 Alp Stgegia e Alp Puzzetta / Gujan+Pally Lo studio Gujan+Pally, tra il 2003 ed il 2005, propone due interventi capaci di declinare in modo opposto lo stesso tema (ovvero il ricovero/caseificio produttivo) “Alp Stgegia” e “Alp Puzzetta”, entrambi in Val Madel/Lucmagn. Due interventi aventi medesimo programma funzionale, stessa scala e (per certi versi) stesso impianto insediativo. Alp Stgegia L’intervento si basa sul recupero filologico di un’antica borgata in pietra riconvertita a centro produttivo. Prima della rifunzionalizzazione, l’Alp Stgegia era utilizzata saltuariamente dai contadini della Val Medels. Nel 2003 i proprietari hanno deciso di rendere l’Alpe di nuovo produttiva ed hanno perciò fatto esaminare gli edifici esistenti. L’indagine condotta dallo studio Gujan+Pally ha rivelato un buono stato delle strutture e perciò non è stato necessario intervenire con un nuovo edificato. Così facendo si ha la possibilità di ammirare una vecchia “Ziegenalp” tradizionale, ancora oggi gestita ed attiva nelle sue antiche funzioni, vale a dire la produzione del normale formaggio di capra e dei formaggini venduti a livello locale. Dai dettagli tecnici e dalle immagini appare chiaro come questo esempio di rifunzionalizzazione si avvicini il più possibile alla perfezione Alp Stgegia e Alp Puzzetta
teorica auspicata in questo tipo di operazione architettonica. Non sono state necessarie opere aggiunte ex novo e soprattutto dall’esterno gli edifici continuano a mantenere il loro carattere storico e tradizionale, oltre a permettere le stesse funzioni di una volta. Ciò è possibile solamente attraverso una stabilità strutturale quasi mai data per scontata e dimensioni degli ambienti interni adatte alle nuove restrizioni regolamentari sulle attività produttive. La tecnologia ed i materiali contemporanei sono stati utilizzati solamente per il raggiungimento dei requisiti minimi, agendo internamente all’edificio1.
Immagine 4.1.1 - Alp Stgegia
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Immagine 4.1.2 - Alp Stgegia, Facciata Sud
Immagine 4.1.4 - Alp Stgegia, Pianta
Immagine 4.1.3 - Alp Stgegia, Facciata Ovest
Immagine 4.1.5 - Alp Stgegia, Sezione
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Casi studio di architettura montana
Alp puzzetta L’intervento di Alp Puzzetta riguarda invece una nuova costruzione realizzata con materiali contemporanei. La struttura infatti è realizzata in legno stratificato ‘x-lam’, al quale è stato applicato un rivestimento in lamiera verniciata. Nonstante si tratti di una nuovo fabbricato, questo riprende lo stesso impianto “gradonato” sul pendio e le stesse volumetrie dell’intervento precedente, caratterizzato da piante pressapoco quadrate ed da tetti a due falde. Gli edifici alpini esistenti presentavano dimensioni troppo ridotte ed in cattive condizioni strutturali; per questo motivo è stata scelta la progettazione di un nuovo edificato. Il complesso è articolato in quattro costruzioni a schiera che seguono il profilo del pendio, adattandosi perfettamente alla topografia di alta montagna. Alla struttura si aggiunge un’ulteriore piccola costruzione, dov’è stato realizzato l’abbeveratoio. Il rosso brillante dell’alluminio che riveste completamente le costruzioni può essere visto come una fresca citazione delle casette tipiche dell’area scandinava, mentre sotto il profilo volumetrico si può leggere un rimando alle antiche case di pietra dei Grigioni. La costruzione riprende le tradizionali strutture a traliccio in legno; la distribuzione su diversi livelli risolve in modo egregio le esigenze funzionali legate alle attività di malga e garantisce condizioni di lavoro ottimali. L’impiego dello stesso materiale per il tetto e le pareti crea una forte impressione di contrasto intenzionale tra natura e realtà artificiale, con l’effetto di un rafforzamento reciproco2. Alp Stgegia e Alp Puzzetta
Immagine 4.1.6 - Alp Puzzetta, Facciata Est
Immagine 4.1.7 - Alp Puzzetta, Copertura
Immagine 4.1.8 - Alp Puzzetta, Facciata Sud
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Immagine 4.1.9 - Alp Puzzetta, Pianta piano terra
Immagine 4.1.10 - Alp Puzzetta, Sezione logitudinale
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Casi studio di architettura montana
Immagine 4.1.11 - Alp Puzzetta, Pianta piano primo
Immagine 4.1.12 - Alp Puzzetta, Prospettto Sud
Alp Stgegia e Alp Puzzetta
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Rapporto tra gli interventi I due casi presentati3 sono stati progettati da un solo studio d’architettura, Gujan+Pally, a distanza di pochi anni. Sorprende la totale differenza di approccio tra i due interventi: se in un caso si è deciso di preservare la totalità dell’esistente, andando ad agire solo in punti ed in modalità che non compaiono nella visione generale del progetto, nel caso seguente l’intervento è totalmente ex novo, seppur paragonabile come funzione produttiva e come impianto architettonico. È questa a nostro parere la vera forza di questi due progetti, che sono stati presentati in coppia proprio per evidenziare la capacità dell’architettura di mettersi sempre al servizio di esigenze e situazioni che inevitabilmente mutano da un progetto ad un altro, da un sito ad un altro.
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Note 1. Fonte: http://www.brunch.ch/it/ricerca-fattoria/fattoriadettaglio/farm/351/ 2. Fonti: http://www.bergwaldprojekt.ch/de/teilnehmen/alppuzzetta/ http://www.geissherz.ch/angebote/mit-packziegen-dieziegen-alp-puzzetta-besuchen/ http://www.gps-tracks.com/alp-puzzetta-gr%C3% B6sste-ziegenalp-im-kanton-gr-wanderung-B00572. html 3. Si ringrazia lo studio Gujan+Pally per aver fornito il materiale grafico inserito in questo paragrafo.
Casi studio di architettura montana
4.2 Stables and butchery Sut Vitg / Gion Caminada
“L’architettura è uno strumento meraviglioso per riflettere sul mondo, per riflettere su come lo si potrebbe rendere migliore. Non che con l’architettura si possa migliorare il mondo, però si possono coinvolgere le persone in un processo di approfondimento”1. Gion Caminada è forse il principale architetto di riferimento quando si parla di architettura alpina tradizionale. La sua attenzione progettuale non si rivolge solo all’attività umana, ma a tutto ciò che entra in relazione con l’edificio, dagli animali al contesto territoriale e paesaggistico. Approccio uomo-animale Caminada chiama “riparazione dell’agricoltura” il suo impegno con gli incarichi di costruzione di stalle e fienili. A Vrin, dove vive e dove sono presenti alcune delle sue architetture più famose, gli animali non sono considerati soltanto una proprietà, ma esiste un rapporto particolare tra loro e gli uomini. Gli “animals” sono piuttosto dei compagni, dei conviventi ai quali vengono costruite addirittura delle abitazioni apposite. In pochi posti in tutto Stables and butchery Sut Vitg
il mondo si possono trovare simili esempi di cooperazione esistenziale uomo-animale; Gli abitanti di questo villaggio hanno formato e formano tuttora una “comunità della sorte”, che riuscì a sopravvivere ed a perdurare soltanto sulla base di questa cooperazione. Concept architettonico Il suo lavoro è fortemente legato al contesto. La sua architettura si riallaccia alle tecniche costruttive tradizionali del luogo e si inserisce con sensibilità nel paesaggio culturale della regione, contribuendo notevolmente al suo sviluppo. L’architetto, nella sua opera di progettazione dell’intera Vrin, studia dei modelli costruttivi nei quali i committenti avessero la possibilità di collaborare molto personalmente, esercitandosi in una forma di arte edile andata perduta: lo sviluppo di costruzioni che riprendono i metodi tramandati e la loro continuazione come varianti similari. Caminada esercita questa forma di approccio minimalistico nelle sue costruzioni di stalle, che però non vanno fraintese con costruzioni modulari che possono essere ordinate dai cataloghi 127
e fornite in tutto il mondo; Caminada si ispira ai “capomastri” del territorio che edificavano in maniera simile ma mai uguale, da loro ha copiato il modo di perfezionarsi senza abbandonarsi alla ripetizione monotona2. Si ispira quindi alle parole di Daniel Libeskind, il quale separa l’architettura neutrale da una che, partendo da un aggancio retrospettivo ed eventi passati, ma ciò nonostante presenti, porta a delle affermazioni autentiche e piene di sentimenti: “Mies van der Rohe, Gropius ed altri grandi architetti dell’epoca moderna erano del parere che gli edifici dovessero presentare al mondo un volto neutrale, ma la filosofia oggi sembra alquanto strana. Neutrale, come mai? Vogliamo davvero essere circondati da edifici senz’anima e scialbi? Oppure affrontiamo il nostro passato, la nostra realtà complicata e intricata, le nostre emozioni genuine per creare una nuova architettura per il XXI secolo?”3. Il progetto Caminada disegna minuziosamente i piani topografici nella sua opera di progettazione e tiene molto alla pubblicazione della vista aerea: la singola opera architettonica, infatti, si realizza soltanto tramite la sua relazione con l’insieme. Dallo studio in pianta del complesso “Sut Vitg” appare evidente la scelta progettuale di orientare le tre costruzioni seguendo l’inclinazione delle curve di livello, con la linea di gronda principale della copertura parallela a queste ultime. Così facendo, le tre strutture appaiono se possibile ancora più 128
distinte tra loro dato il diverso orientamento. La ripartizione in tre edifici serve a separare chiaramente le rispettive funzioni. Le funzioni comprese nel complesso racchiudono tutta l’attività produttiva, dalle stalle al magazzino del foraggio, dalla lavorazione dei prodotti (macello, caseificio) alla vendita diretta. Nell’edificio più piccolo, situato a Sud, è presente il macello con la vendita diretta. In entrambi gli edifici situati a Nord le stalle si trovano al piano terra come anche il caseificio. Sopra le stalle c’é il magazzino del foraggio che può essere rifornito direttamente dal pendio; il foraggio può essere poi scaricato direttamente nella stalla. Nell’ambito dell’architettura di Gion Caminada la falciatura è importante, perché crea l’aspetto tipico del paesaggio culturale della regione; i prati di montagna dolcemente in salita con le loro numerose casupole; la condizione per una buona crescita di questi fertili prati di montagna, però, è la mietitura periodica. Il modello costruttivo usato da Caminada è composto da intelaiature di legno, prefabbricati e facilmente trasportabili in cantiere, montati in opera e rivestiti all’interno con pannelli truciolari, mentre all’esterno si applicano degli assi verticali come rivestimento. “Si deve portare la gente a riconoscere che l’infrastruttura costruita in un altro comune serve un po’ anche al proprio. Sarebbe questa l’idea di contesto rurale” “Quello che è veramente importante nasce sul posto” Casi studio di architettura montana
Immagine 4.2.1 - Stables and butchery Sut Vitg
Immagine 4.2.2 - Vista posteriore
Stables and butchery Sut Vitg
Immagine 4.2.3 - Facciata principale
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Immagine 4.2.4 - Pianta del piano seminterrato
Immagine 4.2.5 - Pianta del piano terra
Immagine 4.2.6 - Sezione
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Note 1. G. A. Caminada, Cul zuffel e l’aura dado, Bettina Schlorhaufer editore, Luzern, Quart, 2008. 2. Idem. 3. Daniel Libeskind, Breaking ground. Un’avventura tra architettura e vita, Sperling & Kupfer, 2005.
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Casi studio di architettura montana
4.3 Etable de Ligniere / Local Architecture
“Il nostro nome, Local Architecture, non corrisponde ad un atteggiamento stilistico, ma in un impegno programmatico contro l’architettura globale che vediamo nelle riviste” Lo studio Local Architecture da anni si impegna a sviluppare l’architettura di pari passo con la committenza, un connubio che negli anni ha portato a risultati di assoluta originalità. Con il progetto Etable de Ligniere, lo studio intende sollevare la seguente domanda: è ragionevole conservare il paesaggio rurale senza esercitare alcun controllo sulla qualità della sua architettura? La situazione politica Negli ultimi anni, c’è stata una serie di difficili negoziati internazionali per riscrivere le regole del commercio agricolo. Nel 2005 è stato annunciato che tutte le forme di sovvenzioni all’esportazione riguardanti i paesi facenti parte dell’O.M.C. (tra i quali appunto la Svizzera) saranno stati eliminati entro la fine del 2013. Dato che l’agricoltura svizzera è la più protetta del mondo (nel 2004 il 68% delle sue entrate proveniva da sovvenzioni statali), questa graduale liberalizzazione ha minacciato la sua stessa Etable de Ligniere
sopravvivenza. In risposta, la nazione ha intrapreso uno sforzo importante per definire e consolidare le caratteristiche che potevano dare ai suoi prodotti un vantaggio competitivo. La Svizzera ha comprensibilmente scelto di concentrarsi sulle nozioni di autenticità, qualità e rispetto per la natura nella sua strategia di produzione. In questo contesto, l’agricoltore svizzero più che mai diventa un “paesaggista”, impegnato nella salvaguardia dell’ambiente in cui lavora. Di conseguenza, l’agricoltura e la tutela del patrimonio sono diventati complementari, lavorando insieme in reciproca sinergia verso gli stessi obiettivi. Anche se è uno dei primi elementi che possiedono le capacità di compromettere o migliorare la qualità di un luogo, vi è stato paradossalmente poco pensiero sul ruolo dell’architettura in questo processo. L’esigenza di minimizzare i costi ha portato allo sviluppo di un catalogo di abitazioni standardizzate e puramente intese come spazio funzionale per l’attività che contengono. Commissione del progetto Nel 2003, due contadini hanno commissionato allo studio Local Architecture la progettazione di 133
una stalla-fienile per 30 mucche a “The Cherry Tree”, nel comune di Lignières. I clienti volevano un design contemporaneo che, tuttavia, rientrasse nel budget assegnato dalle autorità federali a questo tipo di costruzione, oltre all’obbligo di rispettare le norme che disciplinano la produzione biologica. L’edificato è stato posizionato accanto alla fattoria esistente, una vecchia casa colonica che ospitava la famiglia dell’agricoltore dal 1852, delineando uno spazio esterno destinato all’allevamento bestiame. Di giorno, l’edificio diventa opaco, solido, tarchiato; il tetto segue abilmente le creste montuose riprendendo la cresta dell’edificio preesistente1. Analisi delle tipologie costruttive tradizionali Gli architetti hanno condotto un’analisi dettagliata delle tipologie agricole presenti nella regione ed hanno identificato due tipi: il primo è caratterizzato da un colmo del tetto fissato perpendicolarmente alle curve di livello, creando facciate di edifici che sono generosamente aperti a valle; tuttavia, lo svantaggio di questo modello è che rende qualsiasi ampliamento problematico. La progressiva meccanizzazione dell’agricoltura portò ad una tipologia più flessibile, con un tetto di cresta che corre parallelamente alla linea di contorno e timpani laterali destinati a facilitarne l’estensione. Combinando questi sistemi, gli architetti hanno creato una sintesi delle diverse tradizioni, dando loro un aspetto architettonico contemporaneo rappresentante una nuova identità; nella sua ambivalenza, l’edificio progettato da Local 134
Architecture diventa un elemento che unifica le costruzioni circostanti. Su scala diversa, questa dinamica unificante è ripetuta attraverso l’equilibrio tra il dolce pendio del tetto e le creste montuose che lo circondano2. Gli architetti hanno ridotto al minimo il movimento del terreno, adottando un sistema di costruzione in piccole parti, assemblabili semplicemente, facilmente sostituibili e riciclabili. La ventilazione e l’illuminazione naturale sono controllati dalla maglia semi-trasparente che avvolge la facciata ed il lucernario rivolti a valle. Collaborazione committente-architetto Sia il cliente che gli architetti hanno condiviso un impegno comune per lo sviluppo sostenibile, che si è riflesso in stretta collaborazione sulla scelta e sull’applicazione dei materiali. Le dimensioni strutturali dell’edificio sono state calcolate tenendo conto della tipologia di legname disponibile nella vicina foresta e i dettagli costruttivi sono stati elaborati in modo tale che il cliente stesso potesse completare le fasi finali della costruzione, e fosse quindi in grado di svolgere qualsiasi lavoro riguardante il rimontaggio. Oltre ai vantaggi ecologici, l’uso di legname ha reso possibile lo sviluppo di una struttura portante per abbinare la tradizione locale della “Ramée” (una grande facciata composta da strisce di legno traforato che fornisce e favorisce la ventilazione naturale) all’attuazione di dettagli semplici per risolvere il complesso problema della geometria dell’edificio3. Casi studio di architettura montana
Immagine 4.3.1 - Sezione longitudinale
Immagine 4.3.3 - Sezione trasversale
Immagine 4.3.2 - Dettaglio costruttivo
Etable de Ligniere
Immagine 4.3.4 - Prospetto Est
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Note 1. Fonte: http://www.localarchitecture.ch/?menu=projets&projet _id=21 2. Fonte: http://www.archdaily.com/442813/etable-destabulation-libre-localarchitecture/ Immagine 4.3.5 - Etable de Ligniere, Vista generale
3. Fonte: http://services.lemoniteur.fr/archive/1040316
Immagine 4.3.6 - Etable de Ligniere, Prospetto Sud
Immagine 4.3.7 - Etable de Ligniere, Propspetto Est
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Immagine 4.3.8 - Etable de Ligniere, Vista interna
Casi studio di architettura montana
4.4 Ecological Farm / Onix Studio “Abbiamo capito che la nostra ricerca dovrebbe comportare un approccio progettuale pronto all’uso; questo ci ha costretti a riflettere sull’idea dell’autenticità come predilizione per ciò che è reale, onesto, palese”1. L’esempio dell’Ecological Farm è stato scelto per la capacità dello studio Onix di una fattoria ponendo una grande attenzione ai suoi aspetti sociali e prevedendo, oltre alle mere funzioni produttive, funzioni “altre” con l’obiettivo di sfruttare le sue varie peculiarità per arricchire il progetto, il sito ed i suoi stessi fruitori. L’obiettivo del gruppo di progettazione Il gruppo Onix negli anni si è interessato alle aree olandesi di carattere rurale proponendo dei progetti che, oltre ad usare un linguaggio moderno, contengono un repertorio di sensazioni tattili e visive stratificate nell’immaginario degli abitanti2. Ultimamente si è risvegliato l’interesse per un’architettura concreta, più vicina al contesto sociale, non utopica ma vista come rapporto interno tra la società e il territorio, un rapporto mai a senso unico; un’architettura che punta l’attenzione sui caratteri visivi e sociali del territorio, dove gli edifici sono vissuti e non cercano un giudizio “artistico” Ecological Farm
di professionisti o della critica ma quello degli abitanti e dei fruitori. Sono architetture che creano a prima vista un senso di straniamento, ma che immediatamente dopo si ritrovano mimetizzate con il contesto, pervase da una sensazione di “familiare estraneità” (strange confidence3). Gli edifici acquistano così essi stessi una nuova espressività che abbandona le ideologie e si lega ad un’interpretazione cosciente delle realtà locali e delle necessità, non solo fisiche, degli utenti. Il progetto in sé tenta di concretizzare la maggior parte delle regole manifestate in DogmA 01, un documento pubblicato dallo stesso studio nel 2001 dove si denuncia la filosofia progettuale seguita (il manifesto abbraccia l’architettura nonstandard e respinge, tra le altre cose lo storicismo, l’architettura da catalogo e la pura architettura progettata digitalmente). Il progetto La particolarità di questo progetto sta nella comprensione da parte del gruppo progettisticommittente (la Fondazione Ecologische Boerderij De Mikkelhorst) del concetto di ambiente visto non solo come natura, ma anche come società. Il complesso propone infatti la commistione di spazi legati alla normale funzionalità di un edificio 137
produttivo con attività pensate appositamente per accogliere pazienti disabili dimostrando come sia effettivamente possibile integrare in qualsiasi tipologia di progetto funzionalità “altre”, anche sociali, che ne qualificano e arricchiscono l’esistere di un determinato territorio4. Di particolare interesse risulta essere l’integrazione di attività pensate appositamente per accogliere pazienti disabili legati alla normale funzionalità di un edificio produttivo, dimostrando come sia possibile integrare in qualsiasi tipologia di progetto funzionalità “altre”, anche sociali, che ne qualificano e arricchiscono l’esistere di un determinato territorio. Lo studio Onix ha assemblato diversi spazi funzionali della eco-farm sotto un unico tetto, creando quello che definisce un “villaggio rooftop”; si tratta di un edificio che può essere letto come un insieme di edifici aventi funzioni diverse. Il tipo di architettura creato è quasi un contenitore neutro, proprio per ospitare il maggior numero possibile di attività, realizzato con materiali il più possibile naturali, dove nell’arco di una giornata si possono ricoprire ritmi di vita in perfetto accordo con la natura circostante5. Il messaggio ecologico principale è quello di utilizzare gli spazi agricoli per trascorrere del tempo insieme, crescendo prodotti biologici e incentivando la vendita al pubblico e la cura per gli animali. L’obiettivo è quello di consentire agli utenti di eseguire piacevoli attività rilassanti, durante le quali vi è un contatto costante con la natura. Questi spazi consentono ai fruitori di sentirsi integrati con l’ambiente e, allo 138
stesso tempo, protetti nella concezione “naturale” dell’architettura e dei ritmi di vita proposti. Un altro elemento importante che completa il messaggio “ecologico” di questo progetto è la perfetta integrazione tra l’azienda e la vita nelle città vicine; la struttura è infatti interamente visitabile dai fruitori esterni6. “I materiali emanano un calore familiare e l’aspetto può richiamare quello di un tradizionale fienile con il tetto a falde”.
Note 1. Fonte: http://www.domusweb.it/en/architecture/2005/01/11/ onix-eco-farm.html 2. P. Court, Riflettere su, riflettere nel : proposta per un alpeggio in alta quota, Rel. C. Ravagnati, E. Giacopelli, Politecnico di Torino, 2012 3. Fonte: http://www.dutcharchitects.org/projectdetail/2099/ 4. P. Court, Riflettere su, riflettere nel : proposta per un alpeggio in alta quota, Rel. C. Ravagnati, E. Giacopelli, Politecnico di Torino, 2012 5. Idem 6. Fonte: http://www.architectureguide.nl/project/list_projects_ of_architect/arc_id/1883/prj_id/1543
Casi studio di architettura montana
Immagine 4.4.1 - Ecological Farm, Facciata principale
Immagine 4.4.2 - Ecological farm, Concept
Ecological Farm
Immagine 4.4.3 - Ecological Farm - Facciata posteriore
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Casi studio di architettura montana
4.5 Il caso della borgata di Paraloup “Le baite di Paralup erano più povere delle isbe, quattro muri a secco, la porta così bassa che obbligava all’inchino, una crosta di ghiaccio per tetto. Il vento, passando, lasciava nelle baite l’odore della neve”1. La borgata di Paralup si presenta composta da un nucleo di case in pietra (all’epoca del progetto completamente diroccate) situato all’interno di una dorsale montuosa nella bassa Valle Stura. Il sito è diventato nel 2006 protagonista di un progetto di architettura contemporanea che sceglie la via di un inserimento totale nel paesaggio, in piena aderenza con le peculiarità del sito e del contesto, con un recupero dei materiali tradizionali ed una scelta cromatica pertinente ai luoghi. Le intenzioni progettuali L’intervento intende porsi come recupero esemplare, sottolineando la necessaria qualità del progetto architettonico nelle sue azioni di valorizzazione e di recupero, ai principi fondamentali della conservazione e del restauro quali la “riconoscibilità”, la “reversibilità” ed il “minimo intervento”. Recuperare Paralup significava fare qualcosa di più di una semplice operazione di “restauro”, o di una Il caso della borgata di Paraloup
normale iniziativa “didattica”, o di un’ennesima impresa “museale”; men che meno vuol dire lasciarsi tentare dalla via breve e sbrigativa del “monumento”. Recuperare Paralup significa far rivivere un pezzo di montagna come testimone fisico di una storia non ossificata; ricollocarlo all’incrocio tra esperienza culturale, ricostruzione storica ed iniziativa turistica, offrendolo come spazio attrezzato e qualificato in cui realizzare e favorire l’incontro, la rielaborazione collettiva, la conoscenza del passato e del presente, l’elaborazione di soluzioni e possibilità per il futuro2. Il rapporto con l’esistente L’aderenza del progetto architettonico al sito si risolve nell’intento di non modificare ed insieme di valorizzare il sistema di relazione delle singole unità edilizie, di leggere gli spazi costruiti e quelli in “negativo”, al fine di consentire quella possibilità di lettura unitaria dell’insediamento originario. L’adesione a questo principio è semplice in pianta: si tratta di consolidare le tracce dell’edificato e le sue rovine, ma per stessa ammissione dei progettisti è stata più complessa in alzato, dove le volumetrie non hanno permesso un’esatta riproduzione dell’esistente. Sono dunque state le stesse rovine 141
a suggerire geometrie, volumi e stilizzazione delle forme, per un lavoro in sintonia con quelle tracce già scritte. La scelta dei materiali segue il concetto della riconoscibilità dell’intervento, ma anche della tradizione costruttiva tipica di quelle vallate tramite l’utilizzo di legno di castagno non trattato; il legno diventa quindi materiale per un’integrazione riconoscibile ad un’architettura di pietra ed alle sue rovine, quasi a sottolineare il carattere accessorio, più leggero. La progettazione di finestre a nastro è considerata dai progettisti un espediente per liberarsi da un confronto da loro ritenuto “improponibile e fuorviante” con le tradizionali piccole bucature delle opere originarie nelle composizioni delle facciate sebbene, ove necessario, siano state riprese nelle stesse dimensioni e proporzioni. Anche la progettazione della copertura si stacca dalle forme dell’esistente, proteggendo la muratura a secco tramite uno sporto difficilmente attuabile con un tetto in lose. Gli interventi sull’esistente si sono ridotti al semplice consolidamento atto ad arrestare il degrado tramite l’utilizzo di malte finissime ed agenti protettivi, al fine di non modificare quei paramenti lapidei che mostrano i virtuosismi dell’applicazione del sistema a secco con poco o nullo utilizzo di malte nella stratigrafia nascosta, tra il tessuto lapideo originale e la nuova “pelle”3, costituita da due tamponamenti in legno (esterno ed interno) ed una struttura portante in profilati d’acciaio. 142
Il percorso progettuale Il percorso progettuale ha seguito la classica sequenza degli interventi di recupero: dapprima è stato eseguito un abaco dei rilievi sia materici che di pianta; dopo di che, scelta la strategia costruttiva e le diverse funzioni, è stato sviluppato il progetto. Per stessa ammissione dei progettisti, senza un attento studio preliminare ed una curata rappresentazione dell’esistente risulta impossibile progettare degli interventi pienamente calati nella realtà del sito in esame.
Immagine 4.5.1 - Borgata Paraloup
Note 1. N. Ravelli, Il mondo dei vinti, Einaudi, Torino, 1977. 2. D. Regis, V. Cottino, D. Castellino, G. Barberis, Costruire nel paesaggio rurale alpino: il recupero di Paralup, luogo simbolo della resistenza, Fondazione Nuto Ravelli, Mondovì, 2007. 3. Idem.
Casi studio di architettura montana
Abaco dei rilievi Immagine 4.5.2 - Pianta generale dell’intervento. Attraverso la numerazione progessiva sono stati indicati i rilievi degli edifici, cosÏ come riportati nel testo di Regis, Cottino, Castellino e Barberis.
Il caso della borgata di Paraloup
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Edificio 9 - Rilievo
Immagine 4.5.5 - Rilievo del prospetto Sud
Immagine 4.5.3 - Rilievo della pianta della copertura
Immagine 4.5.6 - Rilievo del prospetto Nord
Immagine 4.5.4 - Rilievo della prospetto Est Immagine 4.5.7 - Rilievo della prospetto Ovest
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Casi studio di architettura montana
1 2
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Interventi Immagine 4.5.8 - Pianta generale dell’intervento. Con i numeri sono stati indicati gli interventi cosÏ come riportati nel testo di Regis, Cottino, Castellino e Barberis. Punto informativo e vendita prodotti tipici (10), Area espositiva (9), Sala conferenze e laboratorio (12), Bar, deposito, cucina e portico (8 e 11), Foresteria (1, 2, 3, 4, 5 e 6), Custode (7) e Area di servizio per gli spettacoli (13).
Il caso della borgata di Paraloup
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Edificio 9 - Intervento
Immagine 4.5.12 - Sezione
Immagine 4.5.9 - Pianta del piano seminterrato
Immagine 4.5.13 - Prospetto Nord
Immagine 4.5.10 - Pianta del piano terra Immagine 4.5.14 - Prospetto Est
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Casi studio di architettura montana
Immagine 4.5.16 - Edificio 12, finestrature
Immagine 4.5.15 - Edificio 9
Immagine 4.5.17 - Edificio 9, giunto fra muratura e legno
Immagine 4.5.16 - Edificio 12, interno
Immagine 4.5.18 - Edificio 9
Il caso della borgata di Paraloup
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Casi studio di architettura montana
4.6 Casi di ampliamento e di rapporto con la preesistenza
I casi studio presentati in questa sezione riguardano tre interventi di ampliamento di rifugi alpini in Svizzera. L’interesse verso questo tipo di progetto nasce dalla necessità di indagare l’approccio che i progettisti hanno tenuto nei confronti delle preesistenze e quali soluzioni tecnico-progettuali sono state realizzate negli ambienti d’alta quota in cui questi interventi sono ubicati. Capanna Michela L’ampliamento della Capanna Michela rappresenta un caso di intervento su un rifugio alpino esistente di proprietà del Club Alpino Svizzero ed è collocato a 2172 mslm sulle pendici dell’alpe Motterascio1. Il nuovo volume è caratterizzato da forme semplici la cui verticalità definisce l’identità dell’edificio stesso nel paesaggio e ricerca la complementarietà con la volumetria orizzontale della Capanna esistente. Alla complessità tettonica e all’uso variegato dei materiali dell’esistente, è stato privilegiato nel nuovo edificio l’astrazione formale e la riduzione dei materiali impiegati: facciate e tetto sono pensate in rame, le aperture delle camere sono disegnate
nel modulo di rivestimento. La grande apertura ad angolo del soggiorno e la superficie del pannelli solari all’estremità del prospetto caratterizzano il volume ad una scala maggiore. La scala esistente è stata eliminata in favore di un nuova circolazione verticale inserita nell’intercapedine tra il vecchio ed il nuovo. Al piano terra, in relazione al nuovo collegamento verticale, l’entrata viene spostata tra i due corpi principali. La scala esterna di accesso alla terrazza è trasformata e utilizzabile dal custode anche come collegamento interno diretto ai locali di sua gestione. Il primo piano della nuova costruzione si configura come il luogo comune e di aggregazione, mentre il soggiorno esistente ridimensionato funge da soggiorno invernale. La cucina e le camere del personale presenti allo stesso livello sono state ampliate grazie all’eliminazione della scala esistente. Al secondo piano la nuova organizzazione dei percorsi offre la possibilità di gestire la camera nel sottotetto della Capanna originaria come un unico grande spazio nel quale un mobilio integrato crea delle nicchie fra i posti letto per una maggior intimità e confort.
Casi di ampliamento e di rapporto con la preesistenza
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Immagine 4.6.1 - Vista del prospetto Sud
Immagine 4.6.2 - Vista del prospetto Ovest
Immagine 4.6.3 - Prospetto Sud
Immagine 4.6.4 - Pianta del piano terra
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Casi studio di architettura montana
Immagine 4.6.5 - Sezione trasversale
Immagine 4.6.6 - Prospetto Ovest
Treschütte Il rifugio del Club Alpino Svizzero Treschhütte, realizzato dallo studio Eglin Schweizer Arkitekten, è collocato a 1475 mslm, immerso nella natura incontaminata della alpi elvetiche che impressiona soprattutto per la sua semplicità e fascino2. Il progetto di espansione riguarda il lato nord dello stesso rifugio, dove è stato realizzata una continuazione della Capanna esistente attraverso un oggetto architettonico non invasivo che ha mantenute inalterate la caratteristiche sia estetiche che morfologiche dell’esistente. Il nuovo corpo ha inglobato le scale già presenti in un sistema più organico che ha permesso di ricavare locali aggiuntivi sia al piano terra che al primo piano. La scala è stata illuminata da un’ampia finestratura di forma quadrata che sormonta uno scuretto nel quale è stato ricavato l’ingresso al
piano terreno. I materiali con i quali sono stati realizzati i nuovi interventi riprendono la gamma cromatica dell’esistente. Per questa ragione la finitura, in acciaio zincato, aiuta a comprendere la differenza che intercorre fra le epoche di costruzione del nuovo e dell’esistente senza però emergere eccessivamente rispetto alla Capanna iniziale. La struttura portante del nuovo intervento è stata realizzata in pannelli di legno strutturale che garantiscono un veloce assemblaggio e ridotti costi di produzione. Oltre al corpo scala, sono stati inseriti all’interno dell’espansione anche i servizio igienici, che rispetto alla sistemazione originaria, adesso sono immediatamente accessibili dalle camerate. Inoltre è stato possibile anche alloggiare una camera separata per il gestore del rifugio.
Casi di ampliamento e di rapporto con la preesistenza
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Immagine 4.6.7 - Vista del progetto
Immagine 4.6.8 - Vista della Capanna prima dell’intervento
Immagine 4.6.9 - Pianta del primo piano
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Casi studio di architettura montana
Immagine 4.6.10 - Prospetto Est
Immagine 4.6.11 - Pianta della camerata nel sottotetto
Immagine 4.6.12 - Sezione trasversale
Casi di ampliamento e di rapporto con la preesistenza
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Chamanna de Tschierva Il progetto si incentra sull’ampliamento del rifugio alpino di Tschierva secondo la filosofia dello studio Hans-Jorg Ruch, collocato sul massiccio del Bernina, in Svizzera, ad una quota di 2583 mslm3. I temi conduttori del progetto sono la percezione, dall’interno della nuova ala del rifugio, dell’incantevole panorama alpino e la giustapposizione di u edificio nuovo ad uno preesistente. I progettisti hanno ritenuto opportuno non intervenire ulteriormente sul fabbricato preservandone l’aspetto e la struttura leggibile. Il volume dell’ampliamento aggetta oltre il muro a sud-ovest creando, accanto all’ingresso, un’ampia terrazza riparata dal vento. L’aspetto esterno dell’edificio risulta fortemente condizionato dall’ubicazione in una zona a rischio di valanghe. Per questo motivo sono state realizzate apposite struttura anti-valanga, formate da un guscio esterno di supporti di acciaio, alternati a grandi tavole di larice. Grazie all’inserimento di questi pannelli di legno è possibile quindi chiudere le aperture lungo l’intera facciata esposta alle slavine. La copertura piana è invece realizzata con un solaio di tavole lignee giustapposte, tali per poter reggere il peso della neve. Particolare è la scelta di impiagare materiali in larga parte non trattati o rivestiti, per ridurre le spese di manutenzione, da una parte, ma anche per consentire la lettura del trascorrere del tempo e delle condizioni climatiche estreme sull’edificio.
Immagine 4.6.13 - Vista del contesto
Immagine 4.6.14 - Vista della facciata Sud - Ovest
Immagine 4.6.15 - Particolare dell’aggetto
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Casi studio di architettura montana
Immagine 4.6.16 - Pianta piano terreno
Note 1. Per maggiori informazioni si consiglia di visitare il sito internet dello studio Baserga & Mozzetti all’indirizzo: http://www.basergamozzetti.ch/selection. php?ref=michela. 2. http://www.echa.ch/projekte/treschhutte#2. Immagine 4.6.17 - Sezione trasversale
Casi di ampliamento e di rapporto con la preesistenza
3. Hans-Jorg Ruch, Rifugio Chamanna de Tschierva, «Casabella» n°726, 2004.
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Capitolo
5
CASI STUDIO PRODUTTIVI E GESTIONALI 157
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Casi studio di produzione e gestione
5.1 Il caseificio didattico e sperimentale dell’ILC di Moretta
Progettare significa per prima cosa comprendere i problemi da risolvere. Per questo motivo per realizzare uno spazio destinato alla didattica ma anche alla produzione casearia si è ritenuto necessario analizzare una struttura che già possedesse questi requisiti, per studiarne la disposizione, le attrezzature e le modalità con cui si svolgono le attività all’interno. Il caseificio sperimentale dell’Istituto lattierocaseario di Moretta (CN), in questo senso, è la tipologia di struttura necessaria al progetto di un complesso destinato a questo tipo di uso1. Descrizione L’istituto inizia la sua attività nel 1990 come centro di formazione nel settore lattiero-caseario, per poi rivolgersi successivamente a tutto il comparto agroalimentare e deve la sua creazione all’impegno dell’AgenForm e al sostegno della Regione Piemonte, della Provincia di Cuneo, del Comune di Moretta e della Camera di Commercio di Cuneo. L’Istituto è stato collocato all’interno del complesso Il caseificio didattico e sperimentale dell’ILC di Moretta
del Santuario della Madonna del Pilone, originario del XVII Sec, riqualificato per ospitare una struttura funzionale alle attività formative ed utilizzata in comune con l’I.N.O.Q. (Istituto Nord Ovest Qualità) e con la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Torino. Attività didattica e di ricerca L’attività didattica si svolge in aule e laboratori attrezzati per l’analisi chimica e microbiologica degli alimenti. Ampie superfici sono invece destinate alla trasformazione alimentare e tra questi vi sono il caseificio sperimentale e il nuovo salumificio didattico. L’Istituto, oltre alle attività formative, si dedica a numerosi progetti di consulenza e assistenza tecnica nel settore agroalimentare ed è sede dell’Agenzia piemontese di consulenza casearia alle aziende agricole. Inoltre l’ospitalità per gli studenti viene garantita da un’attrezzata foresteria costituita da camere doppie e triple, da una cucina comune e da una lavanderia. 159
Il caseificio didattico e sperimentale La struttura, collocata poco distante dalla sede principale dell’istituto, è immersa nel parco del Santuario di Moretta. La pianta, di forma angolare, ricalca uno degli edifici di servizio in mattoni del parco che si presta per l’utilizzo anche per via delle finestrature collocate in alto, facendo filtrare la luce senza occupare pareti utili alla collocazione delle attrezzature per la caseificazione. Le superfici interne sono rivestite da mattonelle sia sul pavimento che sui muri perimetrali, fino ad un’altezza di circa un metro e mezzo, per garantire una superficie uniforme e facilmente lavabile, inoltre nella pavimentazione sono alloggiate ad intervalli regolari alcune griglie per lo scolo delle acque di lavaggio. Il soffitto è privo di travi ed è intonacato. L’ingresso è collocato sul lato corto, esposto a sudest, e conduce immediatamente ad una zona di filtro dove sono presenti armadietti e scaffali per riporre gli effetti personali e dove è necessario indossare camici e calzari igienici. Nelle immediate vicinanze è invece presente un’area attrezzata con lavabi in acciaio inox destinata al lavaggio delle mani e delle attrezzature. Seguendo la catena logica della produzione il primo impianto che si incontra è quello per la pastorizzazione del latte, che riscaldando il prodotto ad una temperatura elevata abbatte notevolmente la sua carica batterica. Il cuore della struttura è però la zona dove sono alloggiate le caldaie. L’istituto è in possesso di due caldaie di capacità rispettivamente di 300 e 600 litri, entrambe dotate di doppio fondo per 160
Immagine 5.1.1 - Pianta del caseificio realizzata durante la visita a Moretta
Immagine 5.1.2 - Caldaia in alluminio con capacità di 600 litri e doppio fondo per il riscaldamento a vapore
Casi studio di produzione e gestione
permettere il riscaldamento uniforme della cagliata grazie alla circolazione di vapore a bassa pressione generato da una centrale collocata all’esterno del caseificio stesso. Nelle vicinanze sono stati collocati due agitatori meccanici, ovvero impianti che grazie all’azione di pale e lire rompono uniformemente la cagliata permettendo uno spurgo maggiore del siero una volta suddivisa nelle fascere e lasciata a scolare sul tavolo spersoio. Sono presenti inoltre un cassone per la stufatura e diverse presse per agevolare ulteriormente lo spurgo del siero dalle forme realizzate. Un’altra area è invece dedicata alla produzione delle paste filate, dove è stata collocata una filatrice automatica per la realizzazione di formaggi tipo provola o mozzarella che hanno bisogno di una catena di produzione diversa da quella delle altre tipologie di paste. Il locale separato da cui si accede dalla parete di fondo è invece dedicato alla stagionatura ad all’affinatura. Qui sono presenti due camere refrigerate a temperatura costante per la stagionatura ed alcune superfici sulle quali svolgere la salatura e gli altri eventuali processi di affinatura del prodotto.
Il caseificio didattico e sperimentale dell’ILC di Moretta
Note 1. Le informazioni contenute in questa sezione sono state ricavate grazie ad un sopralluogo realizzato nel mese di Maggio 2014, coadiuvato da una breve ma esaustiva spiegazione a cura del Dottor Guido Tallone, coordinatore dell’Istituto lattiero-caseario di Moretta.
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Casi studio di produzione e gestione
5.2 Il caso del Bitto storico Il Bitto storico è un formaggio di grande tradizione e straordinaria attitudine all’invecchiamento, legato in maniera profonda alle montagne da cui prende origine, nelle valli di Albaredo e Gerola in provincia di Sondrio1. Si può parlare di Bitto “storico” perché rispetto al Bitto certificato D.O.P quello oggetto di presidio Slow Food viene ancora prodotto con metodi tradizionali nei calècc, ovvero baite di lavorazione itineranti e con latte misto di vacca e capra orobica. Il Bitto riveste un particolare interesse in questa sede non tanto come formaggio in sé ma perché la valorizzazione di questo prodotto porta con se il recupero e la salvaguardia di tradizioni millenarie che vengono trasmesse da un consorzio di produttori appoggiato, fra gli altri, anche dall’associazione Slow Food che ne ha applicato lo status di “presidio”. La produzione del Bitto La caratteristica fondamentale del Bitto storico è la sua caseificazione a partire da latte misto. Infatti insieme alle vacche vengono tradizionalmente monticate anche le capre Orobiche, una razza autoctona ed a rischio estinzione che grazie ad una percentuale di latte fra il 10 ed il 20% dona al formaggio il suo sapore inconfondibile. Il Bitto è Il caso del Bitto storico
un “formaggio d’alpe grasso a pasta semicotta, di media durezza e media stagionatura. Maturo si presenta in forme cilindriche regolari con diametro di 40-50 cm, altezza di 9-12 cm e un peso variabile dai 9 ai 20 kg. La pasta, compatta, di colore variabile dal bianco al giallo paglierino a seconda della stagionatura, presenta occhiatura rara ad occhio di pernice”2. Le fasi produttive si realizzano nel periodo compreso fra il primo di Giugno al 30 Settembre circa a seconda della stagione e della persistenza delle nevi in alta quota. Al contrario del Bitto D.O.P. per la realizzazione del Bitto storico è categoricamente escluso l’utilizzo di integratori nell’alimentazione di bovini ed ovini e di fermenti, additivi e conservanti per la
Immagine 5.2.1 - Messa in fascera del Bitto storico all’interno di un calècc.
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produzione del formaggio. La maturazione inizia nelle casere d’Alpe e si completa negli stabilimenti di fondovalle sfruttando il naturale andamento climatico della zona di produzione. Secondo il disciplinare la maturazione deve essere protratta per almeno settanta giorni e la stagionatura può continuare anche per diversi anni, senza alterare le caratteristiche organolettiche e strutturali del formaggio. Il pascolo turnato Una delle particolarità del Bitto storico è il pascolo turnato, ovvero uno spostamento quasi continuo del bestiame e dei pastori fra la stazione più bassa e la stazione più alta, collocate fra i 1400 ed i 2000 mslm. Lungo il percorso sono presenti i tradizionali calècc, millenarie costruzioni in pietra che “proteggono la zona di caseificazione e che fungono da baita di lavorazione itinerante, sempre a portata di mano, in modo che il latte non debba viaggiare, se non per pochi metri, e possa essere lavorato prima che il suo calore naturale si disperda”. Questo tipo di costruzione è costituito da semplici muretti di pietra alti circa un metro e coperti da un telo sorretto da pali di legno sotto il quale si realizza la cottura, la cagliata e la messa in fascera, rigorosamente di legno. Questo movimento continuo fa si che la mandria abbia a disposizione continuamente nuovo foraggio fresco sia durante la monticazione che lungo la demonticazione ed evita inoltre lo stazionamento eccessivo del bestiame ed il degradamento dei pascoli. 164
Immagine 5.2.2 - Calècc. Come si può notare dall’immagine la stuttura è poco più che un bivacco temporaneo.
La “banca del Bitto” ed il sistema di gestione La produzione tradizionale di questo formaggio prevede una stagionatura prolungata che non è possibile realizzare in quota. Per questo motivo un tempo le forme realizzate durante l’estate venivano portate a valle insieme alle mandrie per essere invecchiate nei locali di stagionatura. La tradizione è stata poi continuata nel tempo realizzando veri e propri locali di stagionatura comuni dove ogni produttore lasciava le proprie forme. Oggi la sede del neonato consorzio del Bitto storico raccoglie e stagiona l’intera produzione d’alpe e attira la curiosità di chi vuole “toccare con mano” ed assistere alle fasi di affinatura del Bitto. In questo modo è stata creata una vera e propria “Banca del Bitto” dove è possibile acquistare le forme prima della stagionatura e vederle crescere di valore nel corso degli anni per poi consumarle Casi studio di produzione e gestione
Note 1. Informazioni più esaustive sull’argomento possono essere ricavate dal sito internet di Slow Food all’indirizzo: http://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/ dettaglio/3497/bitto-storico#.U_Hr2FZfCrv. 2. Informazioni più esaustive sull’argomento possono essere ricavate dal sito internet del Consorzio di salvaguardia del Bitto Storico all’indirizzo: http:// www.formaggiobitto.com/formaggio_bitto_come_si_ produce.html. Immagine 5.2.3 - Forma di bitto con dedica presso la casera di Gerola Alta
dopo il tempo prescelto. Si può addirittura farsi personalizzare la propria forma con una scritta particolare, un altro espediente che fa dell’intera catena di produzione del Bitto storico un esempio fortunato di valorizzazione di una tradizione che altrimenti sarebbe caduta nell’oblio col passare del tempo.
Il caso del Bitto storico
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Casi studio di produzione e gestione
5.3 Il caso della Malga Pozof Il caso della Malga Pozof risulta utile ai fini di un’analisi perché considera da una parte la produzione in alpeggio di latte e derivati e dall’altra aiuta a comprendere le dinamiche gestionali di una struttura improntata al turismo enogastronomico e sull’educazione dei più piccoli sull’onda delle fattorie didattiche. Collocazione geografica La Malga Pozof è situata nella regione geografica della Carnia in provincia di Udine, regione FriuliVenezia Giulia. Collocata alla pendici del Monte Zoncolan a 1583 m di altitudine, si trova nel contesto di “uno splendido paesaggio montano, crocevia di gastronomia, turismo, agricoltura e allevamento”1. Descrizione L’azienda rappresenta l’attività principale della famiglia Gortani, che da generazioni alleva bovini da latte fra la pianura e le alpi carniche. In inverno l’allevamento e la produzione sono collocati a Mereto di Capitolo, a pochi kilometri da Palmanova in provincia di Udine, mentre fra i mesi di Giugno e Settembre l’attività si sposta sul Monte Zoncolan, dove all’interno della malga l’intera famiglia contribuisce alla gestione. Il caso della Malga Pozof
Restauro Il complesso è stato interamente riqualificato grazie ad un progetto realizzato nel 2005 da Giorgio Cacciaguerra2. La struttura originaria prevedeva due maniche che fronteggiandosi creavano un ampio spazio interno. Per questo motivo gli intenti del progettista si sono orientati verso il mantenimento della struttura a corte. L’impianto prevede l’ampiamento verso i lati delle stalle e degli edifici esistenti e la loro chiusura agli estremi formando in definitiva uno spazio di forma
Immagine 5.3.1 - Pianta e prospetto dell’intervento di recupero della malga
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esagonale allungata dove vengono svolte gran parte delle attività. Gli edifici sono quasi tutti di nuova costruzione ad eccezione dell’abitazione centrale che invece è stata integralmente mantenuta e dove attualmente viene illustrato ai visitatori il processo di produzione casearia tradizionale utilizzando strumenti e arredi dell’epoca. Allevamento e produzione L’azienda agricola della famiglia Gortani alleva tradizionalmente la Bruna Alpina, una razza che dal dopoguerra fino agli anni ‘70 si era ridotta sensibilmente a causa delle necessità di produzione industriali che privilegiavano la quantità alla qualità, facendo diminuire sensibilmente il numero degli esemplari allevati. Come viene affermato dai proprietari, “oggi finalmente la riscoperta delle tradizioni e della qualità degli alimenti ha permesso una nuova fase di soddisfazioni per gli allevatori della Bruna”. Il latte di questa razza possiede caratteristiche organolettiche che secondo l’attuale proprietario Renato Gortani, nonché mastro casaro, sono insostituibili e inimitabili. La produzione che si realizza in malga non è di tipo specializzato ma utilizza in modo totale il latte munto grazie ad una caseificazione varia ed articolata fra formaggi freschi e stagionati. Inoltre con la panna viene prodotto il burro e con il siero la ricotta, minimizzando quindi gli sprechi e gli scarti di sottoprodotti. I prodotti dell’azienda sono: il formaggio di malga in forme da 4-5 kg, il formaggio di malga ubriaco (dove le forme stagionate vengono fatte fermentare nel mosto 168
Immagine 5.3.2 - Vista della Malga pozof dalla carrbile che arriva dal Monte Zoncolan
Immagine 5.3.3 - Corte interna della malga
d’uva per un mese), il Formadi frant, vari formaggi alle erbe, il Formaggio Latteria Gortani, la formaggella Gortani, la formaggella affumicata, il MagniFrico, la ricotta affumicata ed infine il burro fuso chiarificato. Casi studio di produzione e gestione
Forma di gestione L’attività svolta prevede una gestione di tipo familiare nella quale ogni componente partecipa all’allevamento, alla produzione ed alla vendita dei prodotti. Nel periodo estivo è presente una cucina per la cottura di piatti tipici della Carnia ed inoltre vengono organizzate giornate con attività volte all’intrattenimento di bambini e degustazioni per gli adulti. La proprietà dei pascoli e della struttura è di tipo privato mentre non è stato possibile sapere se la monticazione si svolge tradizionalmente, al pascolo, oppure con l’impiego di mezzi meccanici.
Il caso della Malga Pozof
Note 1. La descrizione del luogo e delle attività svolte in malga sono tratte dal sito internet: http://www.gortanifarm.it/ index_ita.html e integrate da un colloquio telefonico con Michele Gortani, figlio di Renato, che insieme al fratello gestisce attualmente l’azienda. 2. La documentazione e le foto relative al restauro del 2005 sono reperibili sul sito di Europaconcorsi all’indirizzo: http://europaconcorsi.com/projects/ 6762-Giorgio-Cacciaguerra-Restauro-Della-Malgapozof-.
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Capitolo
6
INQUADRAMENTO 171
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Inquadramento
6.1 Analisi dell’area e della viabilità
La collocazione di un intevento è un aspetto importante, da non sottovalutare nel momento in cui si decide di progettare uno spazio aperto al pubblico. Il primo aspetto da considerare è sicuramente la sua accessibilità, a meno che il manufatto architettonico considerato non sia un rifugio alpino, ma vi sono comunque casi di rifugi accessibili in automobile. Accessibilità significa prima di tutto uno spettro più ampio di utilizzatori, ma anche la possiblità di poter svolgere i lavori di costruzione senza l’ausilio dell’elicottero che, per via dei suoi costi proibitivi, è limitato solamente ai casi in cui questo risulta essere strettamente necessario. Una struttura come quella di un alpeggio sperimentale educativo deve necessariamente essere Analisi dell’area e della viabilità
immersa nei pascoli alpini se si vuole abbracciare l’idea di poter vivere “l’esperienza del margaro” ma dall’altra parte se l’obiettivo è quello di poter accogliere anche corsi dedicati a bambini allora è necessario che questa non sia troppo lontata dai centri abitati principali della valle. La posizione dell’alpeggio in questione si presenta quanto mai appropriata per questo tipo di attività. Infatti, anche se il fruitore non percepisce immediatamente la presenza della strada quando si trova in loco, questa invece è situata nelle vicinanze e raggiungibile in pochi minuti. Importante è anche la presenza di percorsi locali, che seppur percorribili solamente da mezzi specifici, consentono da una parte il trasporto dei materiali, ma anche il passaggio di eventuali mezzi di soccorso.
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Legenda
Immagine 6.1.1 - Strada carrabile asfaltata
Immagine 6.1.2 - Strada carrabile sterrata
Immagine 6.1.3 - Strada su fondo naturale
Immagine 6.1.4 - Mulattiera
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Collegamenti viari L’area di intervento è situata sul versante adréch della Valle Varaita, ovvero quello esposto a Sud. Come si può osservare dalla carta di inquadramento, la distanza in linea d’aria rispetto a Sampeyre è relativamente poca, ma il dislivello di quasi 1000 metri fra il capoluogo e l’alpeggio impone necessariamente una strada con molti tornanti per una distanza totale di circa 10 Km. Le tipologie di manto stradale sono molto varie, così come la grandezza della sezione. Si passa dalla SP 105 a doppia corsia per poi imboccare la strada locale che, attraversando le frazioni di Roccia e Meira Ciampanesio, conduce fino alle porte di Meira Puy. Da qui termina il manto asfaltato e inizia la strada sterrata che conduce fino a Meira Cassart, dalla quale a circa metà percorso si diramano le due strade su fondo naturale che conducono all’alpeggio di progetto, dove sono anche presenti alcune mulattiere. Il tempo impiegato per percorrere l’itinerario praticabile con un’auto comune (fino al bivio con le strade a fondo naturale) è di circa 15 min ai quali ne vanno sommati altrettanti per percorrere l’ultimo tratto a piedi fino all’alpeggio. Inquadramento
Inquadramento e percorsi Scala 1 : 30 000
Analisi dell’area e della viabilitĂ
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Immagine 6.1.1 - Sezione altimetrica dell’area di progetto
Analisi del territorio L’area sulla quale verrà studiato il progetto di riqualificazione è collocata ad un altezza compresa fra i 1824 msl dell’incrocio con la strada carrozzabile sterrata proveniente da Meira Puy e i 1991 mslm dell’Edificio Principale. Come evidenziato dalle sezione altimetrica in Figura 6.1.1 la superfice pascoliva è caratterizzata da una differenza di quota di poco superiore a 150 metri su una lunghezza totale di 1270 metri lineari, che non rappresenta una pendenza eccessiva e che classifica l’area come pianoro. Questo risulta ancora più evidente analizzando le curve di livello dell’eleborato il scala 1:5000 che aiuta a comprendere come l’intera superficie sia conformata come un’ampia valle con una pendenza regolare, scavata al centro dal Rio Milanese. Il Rio Milanese rappresenta anche il principale corso d’acqua presente, escludendo i rivi secondari 176
che scendono dal versante sinistro della valle. Il Rio è caratterizzato da una portata d’acqua di carattere torrentizio ma in grado comunque di garantire un afflusso minimo costante, da tenere presente per la collocazione di una mini centrale idroelettrica come fonte di energia elettrica sostenibile. Inoltre è possibile sfruttare un’antica canalizzazione superficiale - il Bialero del Chiott - per portare l’acqua necessaria al raffrescamento del latte nell’area di stoccaggio. La viabilità che collega le malghe, come si è visto precedentemente, è attualmente caratterizzata da due strade a fondo naturale, entrambe confluenti alla sottostante strada carrabile sterrata. Sono presenti anche mulattiere, o sentieri prettamente pedonali. Sarà perciò necessario ripensare ai collegamenti fra gli edifici per creare un sistema unitario e più coerente. Inquadramento
Inquadramento dell’area di progetto Scala 1:5000 1. Edificio principale 2. Rudere 3. Stalla
Analisi dell’area e della viabilità
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Inquadramento
6.2 Studio del territorio e della pericolosità geomorfologica
Progettare un recupero in un contesto montano presuppone la conoscenza dei rischi connessi alla morfologia del territorio ed alla sue esposizione rispetto ai bacini idrografici ed agli eventi nevosi, come le valanghe. In più, ogni progetto deve necessariamente inserirsi in un contesto spesso già consolidato e deve perciò interfacciarsi con un’area amministrata dagli strumenti urbanistici attuativi comunali come il Piano Regolatore Generale, che indica in quali terreni è possibile costruire e in quali è necessario prestare attenzione a particolari vincoli. Per questa ragione, nell’ottica di inquadrare al meglio la struttura, si è ritenuto necessario indagare questi due aspetti attraverso l’analisi specifica del Piano Regolatore, da una parte, e delle banche dati dalla Regione, dell’Arpa e del progetto Risk Nat dall’altra. La rete Risk Nat, finanziata dal programma transfrontaliero Alcotra, rappresenta uno strumento di indubbia utilità dal punto di vista dell’analisi ambientale. Purtroppo l’area di progetto risulta essere collocata all’esterno delle aree di interesse indagate dal Risk Nat. Tramite portale Studio del territorio e della pericolosità geomorfologica
dell’Arpa Piemonte è stato possibile reperire i dati relativi ai movimenti franosi, attraverso i dati elaborati dell’ambito del SiFraP, ovvero il Sistema informativo delle Frane in Piemonte; mentre non è stato possibile ottenere il materiale relativo alle valanghe dal SiVA (Sistema informativo Valanghe) poichè il comune di SAmpeyre risulta immediatamente al di fuori dei confini dello studio. In ogni caso, attraverso il Geoportale della Ragione Piemonte, sono stati reperiti i dati relativi ai dissesti osservati dal Piano di assesto idrogeologico (PAI) vigente, ottenendo quindi informazioni esaustive sia sui movimento di terreno che sulle cadute di neve, ma anche sulle aree soggette ad inondazioni. Dall’altra parte, anche attraverso lo studio del PRG possono essere ricavate informazioni riguardo alla pericolosità geomorfologica del terreno. Questo strumento urbanistico deve per legge adeguarsi al PAI regionale e in quest’ottica le aree rappresentate sono classificate in base al grado di pericolosità intrinseco, che determina il permesso per determinati interventi, o spesso non ne concede affatto. 179
Analisi della pericolosità geomorfogica L’elaborato, realizzato mediante il software QGis, rappresenta la porzione della Valle Varaita compresa fra l’abitato di Sampeyre ed il sito di progetto, qui localizzato da un cerchio giallo. L’area rappresentata rientra pressochè all’interno dei confini comunali di Sampeyre. La carta è stata realizzata sulla base del Dataset in scala 1:100000 liberamente reperibile sul Geoportale della Ragione, al quale è stato aggiunto il DTM (Digital Terrain Model) per comprendere meglio l’orografia del sito. Su questa base costituita sono stati aggiunti i livelli vettoriali provenienti dal Dataset del PAI e del SiFraP, ovvero quelli relativi alle valanghe, alle frane ed al rischio d’esondazione. Grazie all’elaborato è possibile individuare come l’area maggiormente suscettibile a frane e smottamenti è localizzata ad est rispetto all’abitato principale. In particolare, i movimenti di terra rappresentati con le linee rosse, che provengono dal sistema SiFraP, evidenziano come i piu recenti eventi siano localizzati sotto la cima del Colletto, fino quasi alla frazione Villar. Per quanto concerne il rischio d’esondazione, questo dato è principalmente localizzato lungo le sponde del Rio Milanese, del Rio Cassart, del Rio Chiotti e del Rio Cayre, mentre non sono presenti eventi legati al Torrente Varaita, si suppone per via delle infrasrutture realizzate per il miglioramento degli argini. Le aree suscettibili a valanghe riguardano invece il
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Legenda
"SFF DBSBUUFSJ[[BUF EB GSBOF BUUJWF P RVJFTDFOUJ EBUJ 1"*
/JDDIJF EJ EJTUBDDP EFMMF GSBOF EBUJ 4J'SB1
"SFF JOUFSFTTBUF EBMM JODBOBMBNFOUP EJ NPWJNFOUJ OFWPTJ EBUJ 1"*
"SFF B SJTDIJP FTPOEB[JPOJ F SFMBUJWF DPOPJEJ EJ EFJF[JPOF EBUJ 1"*
*ESPHSBëB "SFB EJ QSPHFUUP
versante est della cima del Colletto e la valle dove scorre il Rio Chiotti. Secondo quanto riportato dalla carta tematica, e quindi dai dati idrogeologici disponibili, nelle vicinanze dell’area di progetto non sussistono emergenze rilevanti, se non quella relativa all’esondazione del Rio Milanese, verso il quale sarà quindi necessario mantenere una certa fascia di rispetto all’interno del progetto.
Inquadramento
Rischio idrogeologico Elaborzione in ambiente GIS
Studio del territorio e della pericolositĂ geomorfologica
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Analisi del Piano Regolatore Generale Il comune di Sampeyre, come ogni comune nel territorio italiano, è obbligato per legge ad adottare lo stumento urbanistico attuativo principe, ovvero il PRG. I contenuti di questo documento riguardano essenzialmente l’azzonamento urbanistico sulla base di una carta rappresentativa delle proprietà sul territorio comunale. L’obbligo di adeguamento del PRG al PAI ha però introdotto la funzione di regolamento in base anche ai rischi geomorfologici del terreno. L’elaborato riportato raffigura l’inquadramento territoriale dell’area di progetto, a cavallo fra la Tavola 1a_SIN e 1b_SIN del piano regolatore comunale. A questo sono state aggiunti gli edifici (cerchiati in nero) provenienti dalla CTR e utili in questa sede a comprendere quali siano i terreni interessati dagli interventi e che è necessario analizzare. La zona è interessata da porzioni di territorio senza particolari vincoli, dove si colloca l’edificio principale, e da aree inserite nella terza classe di pericolosità geomorfologica, nel caso della zona del rudere e della stalla. Queste ultime in particolare sono collocate all’interno della fascia inserita in Classe 3a Fq, ovvero quella caratterizzata da frane quiscenti per la quale, secondo le norme di attuazione del PAI, sono consentiti sia interventi di manutenzione straordinaria che di ampliamento e di nuova costruzione (si veda il comma 2 dell’art. 9 delle Norme di Attuazione del PAI). In particolare, sono consentiti “gli interventi di ampliamento degli edifici esistenti per adeguamento igienico- funzionale” 182
Legenda In base alle classi di pericolosità geomorfologica del terreno elaborata all’interno del PAI Classe 2 Classe 3a Classe 3a Ca Classe 3 Cn Classe 3a Cp Classe 3a Fa Classe 3a Fq Classe 3b2 Classe 3b3 Classe 3b4 Classe 3c
oltre alla realizzazione di impianti di trattamento per le acque reflue. In base alle informazioni reperite è possibile affermare che nell’area di progetto è consentito realizzare le opere che saranno successivamente presentate nella qui presente tesi, avendo cura di mantenersi a distanza dall’area classificata come Ee, ovvero con un alto pericolo di esondazione. Un’altro dato importante, non legato al pericolo geomorfologico, che emerge dall’osservazione del PRG è l’estrema parcellizzazione del territorio, che rappresenta un punto critico dal punto di vista dei pascoli perchè non consente areali di dimensioni spesso sufficienti. Inquadramento
PRG Comune Sampeyre
Studio del territorio e della pericolositĂ geomorfologica
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Capitolo
7
ANALISI DELLO STATO DI FATTO 185
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Analisi dello stato di fatto
7.1 Rilievo delle preesistenze e della morfologia del terreno
E’ forse superfluo ribadire che i villaggi e le malghe di montagna sono un notevole esempio di architettura. Di architettura, e non di progetto, perché da esse, o da ciò che da esse rimane al giorno d’oggi, traspare tutta la sincerità e la spontaneità di chi le ha abitate ed adattate nel tempo alle proprie esigenze, costruendole senza l’aiuto di architetti ed ingegneri e pur tuttavia resistenti, intrise di un sentimento forte ed inconscio che le armonizza tra di esse e con l’ambiente che le circonda. Alla base di un buon progetto di architettura è necessario quindi che sia presente un’attenta ed approfondita fase di studio sul territorio al fine di rapportarsi con le strutture presenti, se queste esistono, oppure per indagare come questo territorio è stato trasformato per mano dell’uomo o della natura. Gli studi in questione riguardano due aspetti fondamentali: il primo è il terreno e le relative pendenze, mentre il secondo è lo studio delle preesistenze che, nel caso di un progetto di recupero, risulta essere di primaria importanza. Non avendo a disposizione dati più precisi rispetto a quelli ricavabili dalla Carta Tecnica Regionale in scala 1:10000, è stato perciò necessario eseguire le
misurazioni in loco. L’indagine è stata effettuata mediante una campagna di rilievo, integrando il metodo del rilievo distanziometrico e fotogrammetrico, anche in base alle attrezzature di cui si è potuto disporre. Inoltre, per ogni fabbricato oggetto di studio, sono stati rilevati i materiali (consistenza materica) ed i degradi, per poter successivamente elaborare un piano di intervento mirato al consolidamento dell’apparato murario che sarà mantenuto in fase di progetto.
Rilievo delle preesistenze e della morfologia del terreno
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Rilievo del terreno La misura della morfologia del terreno è stata realizzata in base ad un eidotipo progettato prima della campagna, sul quale è stata tracciata una griglia di punti base per facilitare al trascrizione dei dati e per avere un appoggio referenziato per ogni fabbricato. Infatti, per ogni edificio, è stata tracciata la griglia di punti ponendo l’origine in un vertice noto della struttura, ovvero un angolo. A partire da questo vertice sono state ricavate le distanze e le differenze di quota relative, attraverso l’uso di strumenti metrici in prestito dal laboratorio del CISDA del Politecnico di Torino.
Immagine 7.1.1 - Schema di livellazione geometrica
La procedura di acquisizione utilizzata ha previsto quindi l’uso di livello, stadia, rotella metrica e laser distanziometrico e ha riguardato un area delimitata da un perimetro maggiore di circa 10 metri rispetto ad ogni lato dell’edificio stesso. Le quote ricavate, sono state successivamente diminuite della distanza intercorrente fra la base del supporto e l’altezza del punto focale della lente del livello, per ricavare infine le misure definitive. In una seconda fase, i dati fin qui ottenuti sono stati riportati su un software di modellazione tridimensionale, grazie al quale è stato possibile interpolarli e creare la superfice del terreno. Rilievo delle preesistenze Per comprendere la consistenza degli edifici presenti è stato utilizzato il metodo di rilievo fotogrammetrico, attraverso il fotoraddrizzamento di fotogrammi acquisiti durante la campagna di rilievo. Il raddrizzamento è un procedimento applicabile solo a oggetti perfettamente piani o con differenze minime, tali da generare errori di altezza trascurabili alla scala della rappresentazione. Il fotogramma 188
viene trasformato in una proiezione centrale dell’oggetto, che dovrebbe essere assimilabile, a meno di errori, ad una proiezione ortogonale. Per ottenere il fotogramma raddrizzato è stato utilizzato il software RDF, attraverso il metodo geometrico, per l’impossibilità di creare una rete di punti sull’oggetto piano da rilevare, come vorrebbe il raddrizzamento di tipo analitico. Il metodo geometrico consiste nella individuazione di due rette orizzontali e due rette verticali appartenenti al fotopiano. Sul posto è stato quindi necessario rilevare due misure ortogonali tra loro per poter stabilire, una volta raddrizzato il fotogramma, il rapporto tra le ascisse e le ordinate. Dopo avere ottenuto tutti i singoli fotogrammi, questi sono stati importati come immagini raster in ambito vettoriale per essere ricalcati, ottenendo in questo modo il risultato finale che viene presentato in questo capitolo e che si configura come base per il progetto. Analisi materica dei degradi e proposte di intervento Gli elaborati generati attraverso il rilievo hanno rappresentato la base per analisi più dettagliate e improntate alla conoscenza di questi manufatti, al riconoscimento delle loro peculiarità e caratteristiche ed alla successiva proposta di recupero architettonico. Lo studio è stato strutturato seguendo la logica del restauro architettonico. Per ogni facciata rilavata sono state realizzate due tavole, una prima che raffigura le misure e la consistenza materica, Analisi dello stato di fatto
mentre una seconda dove invece sono statti indicati i degradi. In base all’analisi della seconda tavola sono stati proposti gli interventi consolidativi da realizzare e sono state individuate le aree più deboli o morfologicamente incompatibili con il resto della struttura per valutarne una possibile demolizione. Immagine 7.1.4 - Schizzo delle misure del terreno intorno all’edificio principale
Immagine 7.1.2 - Rilievo del terreno intorno all’edificio principale dell’intervento
Immagine 7.1.5 - Schizzzo delle misure della facciata sud della stalla
Immagine 7.1.3 - Rilievo del terreno nelle vicinanze del rudere, che sarà conservato integralmente nel progetto
Immagine 7.1.6 - Schizzo delle misure del terreno in pianta nella zona del rudere
Rilievo delle preesistenze e della morfologia del terreno
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Analisi dello stato di fatto
7.2 Edificio 1 / Edificio principale
Il rilievo materico rappresentato sulla base del foto-raddrizzamento precedentemente eseguito ha portato all’attenzione alcuni aspetti della struttura difficilmente accostabili all’impianto originario, oltre ad evidenziare chiaramente una successione temporale nella costruzione degli edificati. L’abitazione del margaro è di fatto la più antica; sull’insegna apposta sulla facciata principale la data indicata è 1952, ma avendo subito un’opera di stucco della facciata in pietra, la data potrebbe riferirsi a suddetta operazione. L’edificio si sviluppa su due piani aventi due accessi differenti; al piano terra si accede tramite l’ingresso posto sulla facciata Sud-Ovest, mentre il piano superiore ha un accesso esterno, a Nord-Est, accessibile dalla copertura in lose del locale stagionatura, la quale acquista il duplice ruolo di copertura e di accesso per il primo piano. La stalla affiancata risale ad epoche più recenti; difatti sfrutta il muro esistente dell’abitazione accostandosi solamente ad esso, operazione chiaramente visibile nella rappresentazione della pianta dell’edificato. Lo stesso processo costruttivo è stato usato per il locale caseificazione, anch’esso accostato alla stalla e tipologicamente diverso, con Edificio 1 / Edificio principale
muratura in misto pietra e cemento ed un solaio in cemento armato grezzo. Curiosamente questa struttura appare quindi composta da tre strutture differenti: la prima su due livelli, con la facciata esterna intonacata ed una copertura a due falde aventi orientamento EstOvest in lose; la seconda su un solo livello, con la facciata in pietra a secco ed una copertura a due falde aventi orientamento Nord-Sud in lamiera;
Immagine 7.2.1 - Inquadramento in scala 1:10.000
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la terza su un solo livello, con la facciata in pietra e cemento ed una copertura piana in cemento armato grezzo. Il complesso rispetta la tradizione costruttiva della Val Varaita, con la linea di colmo principale parallela alle curve di livello del terreno (soluzione adottata principalmente nelle zone di mezza montagna o lungo le strade, ma la si può rinvenire anche in alta montagna per favorire l’esposizione al sole della facciata delle case)1. Anche lo scavo della struttura nel versante montuoso fa parte della tradizione costruttiva, come la presenza del locale stagionatura rivolta verso il versante Nord, nella parte più umida e meno soleggiata. Gli ingressi presentano altezze ridotte, non più di 1,65 m sia nella stalla che nell’abitazione. La successiva analisi dei degradi fa riferimento alla normativa UNI 11182 ex NORMAL 1/88 (materiali lapidei naturali ed artificiali), ed è volta all’indagine diagnostica dello stato di conservazione dei materiali e delle loro diverse forme di alterazione e degrado.
Immagine 7.2.2 - Facciata principale
Immagine 7.2.3 - Facciata posteriore coperta dal manto nevoso
Note 1. L. Dematteis, G. Doglio, R. Maurino, Recupero edilizio e qualità del progetto, Primalpe, Cuneo, 2003
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Immagine 7.2.4 - Facciata principale in estate durante il pascolo
Analisi dello stato di fatto
Analisi materica
1. Muratura in pietra a secco La definizione muratura a secco è usata in quanto la poca malta presente sul tamponamento interno ed esterno della stalla ne seganala un inserimento a posteriori.
3. Malta L’immagine rappresenta l’unico caso di intervento con malta in calce e sabbia interamente conservato, nella facciata Sud-Ovest dell’edificio. La muratura portante in pietra ha qui subito un intervento di stuccatura ed intonacatura sviluppato sulla totalità della facciata.
2. Lose di copertura in pietra L’immagine rappresenta la copertura in lose di pietra del crutin attiguo all’abitazione del margaro. In questo caso la copertura funge anche da accesso per il piano superiore.
4. Catene in legno La presenza di catene in legno e ferro, apposte in epoca post-costruzione per migliorare lo schema di resistenza globale e per impedire il ribaltamento fuori dal piano, caratterizza la facciata dell’abitazione del margaro.
Edificio 1 / Edificio principale
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5. Fermaneve L’immagine rappresenta una trave in legno posta in direzione perpendicolare al declivio della copertura. Fissato alla lamiera con del semplice filo di ferro, aveva la funzione di impedire lo scivolameto delle pietre poste sulla copertura come fermo per la lamiera ed al contempo impedivano lo scivolamento della neve.
7. Copertura in cemento armato La copertura del locale caseificazione è formata da una lastra piana di cemento armato misto pietre dello spessore di 10 cm. appoggiata sulla muratura perimetrale senza particolari soluzioni di incastro.
6. Architrave in legno Il legno di larice è molto comune nell’edilizia tradizionale della val Varaita per via della caratteristica rettilineità del tronco; dato lo spessore, è ipotizzabile la presenza di più architravi in sequenza nello spessore del muro.
8. Muratura in cemento Muro di contenimento in cemento armato sul lato Sud-Ovest, dello spessore di 40 cm (esclusa la muratura in pietra) e di lunghezza 1,65 metri, avente funzione di sostegno della muratura per impedire lo spanciamento della stessa, cosa verificatasi dove il muro in cemento armato non è presente.
Legenda Solai in cemento armato Muratura mista pietra - cls Muratura in pietra Pavimentazione in terra battuta 194
Analisi dello stato di fatto
Pianta quotata Scala 1:100
Sezione Scala 1:100
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Analisi dello stato di fatto
Edificio 1 / Edificio principale
ANALISI MATERICA PROSPETTI NORD-OVEST E SUD-EST
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ANALISI MATERICA PROSPETTO SUD-OVEST
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Analisi dello stato di fatto
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ANALISI MATERICA PROSPETTO NORD-EST
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Analisi dello stato di fatto
Analisi dei degradi
1. Alterazione cromatica Variazione naturale, a carico dei componenti del materiale, dei parametri che definiscono il colore.
3. Vegetazione inferiore Presenza di vegetazione rampicante e non aderente al materiale lapideo, la cui presenza è segnale dello stretto contatto tra la muratura ed il terreno.
2. Macchia Variazione cromatica localizzata della superficie, correlata sia alla presenza di determinati componenti naturali del materiale, sia alla presenza di materiali estranei (acqua, prodotti di ossidazione dei materiali metallici, sostanze organiche). In questo caso la macchia è causata dalla ruggine.
4. Stuccatura con materiale non idoneo Presenza di malte ed intonaci apposte alla muratura senza soluzione di continuitĂ .
Edificio 1 / Edificio principale
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5. Intervento con materiale improprio Intervento di consolidamento eseguito senza l’ausilio di materiali o strutture necessarie; un esempio è il tamponamento con semplici lastre metalliche laddove la muratura viene interrotta, per impedire l’ingresso dell’acqua e della neve nella struttura.
8. Degradazione differenziale Degradazione da porre in rapporto ad eterogeneità di composizione o di struttura del materiale, tale quindi da evidenziarne spesso gli originali motivi tessiturali o strutturali. L’immagine mostra il distacco della malta sulla muratura, che mette in luce la tessitura in pietra sottostante.
6. Elementi in legno e ferro estranei Presenza di catene in legno e ferro, apposte in epoca post-costruzione per migliorare lo schema di resistenza globale e per impedire il ribaltamento fuori dal piano. L’immagine rappresenta una catena in legno che copre parzialmente la trave di colmo della copertura dell’abitazione del margaro.
9. Lacuna Assenza di materiale o di elemento strutturale (ad esempio un elemento di tamponamento), che rende di fatto la struttua incompleta.
7. Decoesionamento Diminuzione di adesione delle componenti strutturali del materiale, con peggioramento delle caratteristiche fisico-meccaniche.
10. Instabilità per rotazione Deformazione della struttura della muratura, dovuta a spanciamento causato da un mancato aggancio dell’elemento di copertura alla muratura o ad un’errata distribuzione dei carichi.
Analisi dello stato di fatto
11. Inflessione di elementi strutturali Cedimento strutturale causato da un errato dimensionamento dei carichi. L’immagine raffigura la lastra in cemento armato a copertura del locale caseificazione, che presenta una deformazione a seguito del crollo strutturale di parte del tamponamento dell’edificato. 12. Mancanza per crollo Caduta e perdita di parti. A differenza della lacuna, per la mancanza si presuppone una presenza del materiale, poi crollato per inadeguatezze statiche o per degrado temporale.
13. Fratturazione Degradazione che si manifesta con la formazione di soluzioni di continuità nel materiale e che può implicare lo spostamento reciproco delle parti.
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Analisi dello stato di fatto
Edificio 1 / Edificio principale
ANALISI DEI DEGRADI PROSPETTI NORD-OVEST E SUD-EST
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Edificio 1 / Edificio principale
ANALISI DEI DEGRADI PROSPETTO SUD-OVEST
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Analisi dello stato di fatto
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ANALISI DEI DEGRADI PROSPETTO NORD-EST
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7.3 Edificio 2 / Rudere
Analisi morfologica e strutturale L’edificio denominato rudere presenta ormai pochi caratteri architettonici, tali da permettere una disamina morfologica ma inutili ai fini dell’indagine materica e diagnostica. Della struttura originaria rimangono percepibili il muro in pietra a secco rivolto ad Est ed il perimetro principale, avente dimensioni rettangolari come gli altri edifici analizzati. Una differenza sostanziale che si nota dallo studio dei tre edificati è il mancato rispetto dell’orientamento tradizionale della Val Varaita, ovvero con la linea di gronda della copertura perpendicolare al declivio del pendio montuoso; il rudere in questione presenta un orientamento Est-Ovest pressochè perfetto e non coincidente con la pendenza del terreno. Un’ipotesi che può giustificare l’orientamento dell’edificio è la presenza, a breve distanza, di una roccia di notevoli dimensioni in direzione Nord-Ovest; il pendio, costituito per lo più da ciottoli e pietrame, denuncia Edificio 2 / Rudere
una frequente attività di franamento del terreno e perciò è possibile che la struttura sia stata costruita dietro la grande roccia che fungeva da riparo. Dalle poche pietre rimaste, si nota l’ingresso della struttura posto sul lato Sud e l’inclinazione della
Immagine 7.3.1 - Inquadramento in scala 1:10.000
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copertura, in direzione Nord-Sud, basandosi sul profilo a doppia falda della facciata preesistente. Sul lato Ovest è presente un pilastro di altezza pari a 2,3 metri, affiancato internamente al profilo della muratura esistente. Ciò fa presupporre un intervento successivo all’epoca di costruzione, un tentativo di sgravare il muro (probabilmente presentante sintomi di instabilità) dal peso della muratura. Un tamponamento interno divideva l’edificato in due aree; ora rimane solo più una traccia del muro esistente che non lascia particolari indizi sulla funzione dell’edificio. Attaccato al muro contro terra, in direzione Nord, è stato rilevato un anello di ferro usato per legare il bestiame; potrebbe segnalare un utilizzo dell’edificato come stalla, ma potrebbe anche denunciare la presenza di un solo animale tenuto all’interno per scaldare l’ambiente. Dai pochi detriti ritrovati si presuppone una costruzione interamente in pietra, con una copertura in lose; l’assenza di grandi quantità di detriti evidenzia un opera di “cannibalismo” dei materiali da costruzione, probabilmente utilizzati per altri edificati nella zona. Quest’operazione non è da disprezzare, anzi è indice di sfruttamento e riuso delle risorse in un epoca dove nulla andava mai sprecato. Curiosamente i muri preesistenti, seppur aventi altezza mai superiore ad 1 metro, hanno favorito la crescita di due alberi, che normalmente alla quota di 1950 metri circa non hanno possibilità di nascita. 214
Immagine 7.3.2 - Pianta del rudere
Immagine 7.3.3 - Facciata Est e lato Nord
Immagine 7.3.4 - Facciata Sud
Analisi dello stato di fatto
Pianta quotata Scala 1:100
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Sezione Scala 1:100 Legenda Muratura in pietra Pavimentazione in terra battuta
Edificio 2 / Rudere
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Prospetto Sud Scala 1:100
Prospetto Est Scala 1:100
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Analisi dello stato di fatto
Immagine 7.3.5 - Vista del rudere in primavera. Si noti la copertura pressochè totale sotto la neve delle muature posteriori.
Immagine 7.3.6 - Vista interna in estate. Si noti la vegetazione interna, composta da alberi di frassino.
Edificio 2 / Rudere
Immagine 7.3.7 - Particolare della sovrapposizione fra la struttura muraria della facciata Est e la pietra presente il loco.
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Analisi dello stato di fatto
7.4 Edificio 3 / Stalla
L’analisi di questo edificato ha evidenziato una netta somiglianza con l’edificio principale, per lo più riguardante la divisione delle funzioni. Se dall’esterno la struttura appare come un corpo di fabbrica unico, con una copertura omogenea e sviluppato su un solo piano in altezza (e per questo nettamente in contrasto con la presenza di più stili morfologici propria dell’edificio principale), è l’analisi delle suddivisioni interne che racconta senza dubbi la vera faccia di questo edificio. La struttura è divisa in tre aree distinte; una stalla di 45 metri quadri, con ingresso separato sul lato Nord-Est, un locale adibito a caseificazione e semplice rifugio per il margaro (con accesso dalla facciata principale, Sud-Est, con accesso al locale stalla) ed un locale di stagionatura delle forme, privo di accessi esterni ma accessibile dal locale caseificazione. Se all’apparenza la struttura appare morfologicamente integra, da un attento studio materico emerge una differenza temporale tra la costruzione originaria (la stalla ed il locale caseificazione) ed il locale di stagionatura, Edificio 3 / Stalla
evidenziato da un decoesionamento presente sulla facciata Nord-Est. I tre locali sono divisi da due muri di spina, che hanno la funzione di sorreggere la trave di colmo su cui poggia la copertura. Curiosamente, anche se le dimensioni della stalla ricordano quelle della stalla dell’edificio principale,
Immagine 7.4.1 - Inquadramento in scala 1:10.000
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qui sono stati costruiti due pilastri in pietra invece che uno centrale ma con sezione più larga per sorreggere la trave di colmo. Anche in questo caso, come per l’edificio principale, la direzione prevalente è volta perpendicolarmente alla linea di pendenza del versante montuoso. Il fabbricato è dotato di tetto a due falde sorretto da una struttura in legno ad orditura ternaria: la trave orizzontale (trave di colmo (“courme”)) regge, distanziati di circa 80-90 cm, i falsipuntoni (“ciabroun”) su cui appoggiano, ogni 25-30 cm, robusti listelli orizzontali (“late”) a sostegno del manto di copertura in lastre di pietra (“lose”) oppure in lamiera; nessuna struttura presenta dei dormienti (“rasal”) ma i falsipuntoni vengono appoggiati direttamente sulla muratura. Per tutto lo sviluppo della struttura, i falsipuntoni sono sorretti da aste piantate nel terreno per impedire l’inflessione di questi ultimi; ciò segnala un’evidente instabilità della copertura. Il locale caseificazione presenta la stessa tipologia di copertura del resto della struttura, ma sotto di essa si trova un controsoffitto in travi di legno, all’epoca probabilmente riempito di sfalci e foraggio per diminuire la dispersione termica, oltre che servire per l’accumulo del fieno che a fine stagione veniva portato a valle. La successiva analisi dei degradi fa riferimento alla normativa UNI 11182 ex NORMAL 1/88 (materiali lapidei naturali ed artificiali), ed è volta all’indagine diagnostica dello stato di conservazione dei materiali e delle loro diverse forme di alterazione e degrado. 220
Immagine 7.4.2 - Facciata principale in primavera
Immagine 7.4.3 - Facciata posteriore coperta dal manto nevoso
Immagine 7.4.4 - Facciata principale in estate
Analisi dello stato di fatto
Analisi materica
Edificio 3 / Stalla
1. Muratura in pietra Contrariamente all’edificio principale, costruito in pietra a secco, la muratura presenta qui l’utilizzo di malta già in fase di costruzione.
3. Malta La facciata Sud-Ovest dell’edificio è la parete maggiormente trattata con malta ed intonaco, mentre le altre pareti ne denunciano una presenza frammentaria ma sempre superiore in quantità se paragonata all’edificio principale.
2. Pietre sulla copertura La disposizione delle pietre sulla copertura denuncia i diversi tempi di costruzione; le pietre sono state infatti posizionate agli estremi del tetto; dove è stato necessario un ampliamento, le pietre in copertura segnalano l’interruzione della lamiera.
4. Architravi Gli architravi di questo edificio sono molto diversi se rapportati a quelli dell’edificio principale. Sono qui stati utilizzati dei tronchi di larice di lunghezza anche superiore a 2m, che caratterizzano la forma della finestra.
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5. Travi in legno I flasipuntoni in legno di larice attraversano l’intera sezione del muro e spuntano sul prospetto; questo segnala l’assenza di travi di gronda nella costruzione.
7. Copertura in lamiera grecata La copertura è formata da un foglio di lamiera che appoggia sui listelli; date le differenti epoche di costruzione della muratura, si suppone che la copertura sia stata sostituita durante l’ultimo intervento siccome presenta unitarietà di colore e degrado per tutta la lunghezza dell’edificio.
6. Infissi in legno Le porte presentano un altezza ridotta, mai superiore ad 1,65 metri; le finestre nel prospetto principale SudEst presentano tutte altezze e larghezze differenti.
8. Fermapietre Le catene di ferro, fissate alla lamiera, impediscono lo scivolamento delle pietre di fissaggio della copertura. Inoltre hanno la stessa funzione dei fermaneve in legno presenti sulla copertura dell’edificio principale.
Legenda Solai in cemento armato Copertura in travi di legno Muratura mista pietra - cls Muratura in pietra Pavimentazione in terra battuta Pavimentazione in cemento 222
Analisi dello stato di fatto
Pianta quotata Scala 1:100
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Sezione Scala 1:100
Edificio 3 / Stalla
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Analisi dello stato di fatto
Edificio 3 / Stalla
ANALISI MATERICA PROSPETTO SUD-EST
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Analisi dello stato di fatto
Edificio 3 / Stalla
ANALISI MATERICA PROSPETTI SUD-OVEST E NORD-EST
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Analisi dello stato di fatto
Analisi dei degradi
Edificio 3 / Stalla
1. Macchia Variazione cromatica localizzata della superficie, correlata sia alla presenza di determinati componenti naturali del materiale, sia alla presenza di materiali estranei (acqua, prodotti di ossidazione dei materiali metallici, sostanze organiche).
3. Stuccatura con materiale non idoneo Presenza di malte ed intonaci apposte alla muratura. Data la presenza di malta all’interno della muratura, la stuccatura esterna risulta essere superflua oltre che frammentata.
2. Vegetazione inferiore Presenza di vegetazione rampicante e non aderente al materiale lapideo, la cui presenza è segnale dello stretto contatto tra la muratura ed il terreno.
4. Intervento con materiale improprio Si segnala con questa definizione qualsiasi intervento di consolidamento eseguito senza l’ausilio di materiali o strutture necessarie; un esempio è la presenza di pietre sulla copertura per impedire il distaccamento della lamiera grecata dalla struttura.
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5. Elementi in legno e ferro estranei Con questa definizione si intende la presenza di catene in ferro, apposte sulla copertura per impedire lo scivolamento delle pietre.
8. Inflessione di elementi strutturali Cedimento causato da un errato dimensionamento dei carichi. L’immagine raffigura la lastra lamiera a copertura dell’edificato, che presenta una deformazione a seguito dello sporto eccessivo.
6. Decoesionamento Diminuzione di adesione delle componenti strutturali del materiale, con peggioramento delle caratteristiche fisico-meccaniche. Nel caso specifico dell’immagine, il decoesionamento segnala lo stacco temporale nella costruzione dell’edificato.
9. Mancanza per crollo Caduta e perdita di parti. A differenza della lacuna, per la mancanza si presuppone una presenza del materiale, poi crollato per inadeguatezze statiche o per degrado temporale.
7. Degradazione differenziale Degradazione da porre in rapporto ad eterogeneità di composizione o di struttura del materiale, tale quindi da evidenziarne spesso gli originali motivi tessiturali o strutturali. L’immagine mostra il distacco della malta sulla muratura, che mette in luce la tessitura in pietra sottostante.
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Analisi dello stato di fatto
Edificio 3 / Stalla
ANALISI DEI DEGRADI PROSPETTO SUD-EST
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Edificio 3 / Stalla
ANALISI DEI DEGRADI PROSPETTI SUD-OVEST E NORD-EST
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7.5 Analisi dei possibili interventi applicati ai degradi
Si elencano di seguito le possibili soluzioni atte ad interrompere e migliorare lo stato fisico e strutturale dei materiali, facenti riferimento all’analisi diagnostica e dei degradi dapprima eseguita. • L’alterazione cromatica, così come le macchie, si riferiscono ad un degrado naturale della lamiera di copertura e delle lastre metalliche utilizzate come protezione per le lacune costruttive; il progetto prevede la totale sostituzione ed il rifacimento degli elementi di copertura, per cui non si rendono necessari gli interventi di pulitura tramite solventi. • La presenza di vegetazione inferiore prevede una semplice operazione di liberazione, per altro inevitabile dati gli interventi di consolidamento della muratura esistente. La vegetazione non ha aggredito la struttura a causa delle rigide temperature che ogni anno ne limitavano l’espansione; durante la fase progettuale è stata prevista la realizzazione di una pavimentazione perimetrale alle strutture, in modo da evitare il problema futuro e non richiedere costante manutenzione. Analisi dei possibili interventi applicati ai degradi
• La stuccatura con materiale non idoneo indica una frammentazione dell’intonaco dovuta ad un’errata stesura del materiale; l’effetto prodotto è un’intonacatura mai uniforme, se non nel caso della facciata Sud-Ovest del primo edificio. L’intervento prevede la rimozione di queste porzioni di intonaco non uniforme tramite l’utilizzo di una spatola semirigida che non rovini la superficie della pietra sottostante. • L’intervento con materiale improprio segnala la presenza di soluzioni architettoniche non conformi alla tecnica costruttiva, come l’utilizzo di lastre metalliche per tamponare le lacune create col tempo nella struttura oppure l’utilizzo di travi in legno e pietre per impedire lo scivolamento della neve dalla copertura e per impedire il sollevamento della stessa. Per quanto riguarda i materiali usati come fermaneve il completo rifacimento della copertura non ne rende necessaria la sostituzione. Invece le lamiere a tamponamento delle lacune saranno sostituite da un materiale funzionalmente più adatto, come il legno.
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• Gli elementi in legno o ferro estranei corrispondono alle catene presenti sulla facciata Sud-Ovest dell’abitazione del margaro e alle catene che impediscono lo scivolamento delle pietre sulla copertura dell’edificio stalla. Queste ultime verranno rimosse a seguito del rifacimento della copertura, mentre le catene in legno sulla facciata verranno mantenute ma nuovamente fissate alla parete, in modo tale da adempiere pienamente ai loro scopi strutturali. • Il decoesionamento segnala la differenza temporale nella costruzione degli edificati; Non avendo rilevato particolari problematiche strutturali, non rappresenta a nostro avviso un degrado da risolvere in quanto permette una lettura della morfologia dell’edificio anche dopo gli interventi di recupero previsti. • La degradazione differenziale può essere analizzata di pari passo con la stuccatura con materiale non idoneo, in quanto entrambe presentano un degrado tale da mostrare la tessitura sottostante in pietra; la soluzione quindi è la stessa, ovvero la rimozione della malta tramite l’utilizzo di spatola semirigida. • La lacuna è individuata sulla parete Sud-Est del locale stalla dell’edificio principale. Il progetto di recupero e rifunzionalizzazione prevede una nuova costruzione strutturale all’interno del locale; pertanto la lacuna sarà colmata dal nuovo intervento.
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• L’instabilità per rotazione, fa riferimento al locale caseificazione dell’edificio principale. Il difficile recupero di questo locale, dovuto anche al parziale crollo dei tamponamenti perimetrali, ne ha resa necessaria la demolizione durante la fase progettuale. • L’inflessione di elementi strutturali, oltre a riguardare la copertura piana in cemento armato del locale caseificazione nel primo edificio (di cui la soluzione al punto precedente), è anche riferito al cedimento dello sporto in lamiera della copertura del locale stalle dello stesso fabbricato. Anche in questo caso è stato previsto nel progetto la sostituzione di quest’ultima. • La mancanza per crollo fa riferimento sia al locale caseificazione (per il quale è prevista la demolizione), sia al degrado degli infissi in legno, che verranno sostituiti in fase di progetto. • La fratturazione indica lo spaccamento del davanzale nella facciata Sud-Ovest del locale stalla dell’edificio principale. La soluzione indicata è la sostituzione attraverso l’alloggiamento del davanzale recuperato dalla demolizione del locale caseificazione dello stesso fabbricato, al fine di riutilizzare materiali locali che altrimenti andrebbero persi.
Analisi dello stato di fatto
Analisi dei possibili interventi applicati ai degradi
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Capitolo
8
IL PROGETTO 239
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Il progetto
8.1 Descrizione dell’intervento
L’intervento riguarda la riqualificazione e la messa a sistema delle strutture d’alpeggio presenti nell’area di Meira Raie con lo scopo di elaborare un progetto finalizzato alla ripresa dell’attività di produzione casearia ma soprattutto alla trasmissione dell’arte della produzione in alta quota. In questo contesto si è reso necessario avvalersi di dati e informazioni che vanno oltre la formazione architettonica ma che si sono rivelate necessarie al fine di poter elaborare uno studio accurato. Gli incontri organizzati con l’AgenForm e con il servizio veterinario dell’Asl To 4 si sono incentrati principalmente sui problemi spaziali legati a questo tipo di strutture ad ai requisiti che queste dovevano possedere per soddisfare nel modo migliore le esigenze di produzione e di allevamento, ma è stato anche di grande aiuto aver potuto parlare con addetti del settore che operano nel campo e che hanno potuto fornire dati interessanti a supporto della tesi1. Il materiale raccolto è stato poi successivamente mediato e confrontato per approdare infine alla stesura definitiva del progetto. Descrizione dell’intervento
In questa sezione l’intenzione è quella di esplicitare le motivazioni che hanno portato alle scelte di divisione funzionale della struttura. La descrizione dei requisiti che ogni singolo locale deve possedere è invece riportata per esteso all’interno delle prossime pagine2. Divisione delle funzioni La decisione riguardo all’assegnazione delle destinazioni d’uso fra gli edifici a disposizione e di conseguenza l’assetto finale dell’intero progetto è stata studiata in base a quanto discusso insieme agli esperti che sono stati consultati per la stesura della tesi. Nell’area dell’intervento sono presenti tre edifici, che sono stati analizzati singolarmente nel capitolo relativo alla conoscenza dell’esistente che è stato trattato precedentemente3 e che rappresentano la base per i progetti che verranno presentati nelle prossime pagine. Per ognuno di questi edifici o di queste aree è stato deciso di assegnare una funzione specifica al fine di rendere l’intero alpeggio come 241
Edificio principale Foresteria
Ricovero
Immagine 8.1.1 - Fotoinserimento degli edifici di progetto all’interno del contesto territoriale.
1. Edificio Principale
2. Foresteria
3. Ricovero
• Abitazione del margaro
• Dormitorio
• Stalla
• Locale didattico di caseificazione
• Cucina e sala da pranzo
• Area mungitura
• Deposito latte
• Area relax Hortus Conclusus
• Deposito attrezzature
• Locale stagionatura • Locale di affinatura e vendita
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Il progetto
Area di progetto e divisione delle funzioni Scala 1:5000
Strade di nuova costruzione
Descrizione dell’intervento
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un unico sistema interconnesso. Il primo edificio, ovvero quello che è stato denominato edificio principale, rappresenta il centro nevralgico dell’intero intervento e si pone come landmark all’interno del territorio in cui è collocato per via della su visibilità. Infatti è la prima struttura che è possibile scorgere appena lasciata la strada carrabile ed è quindi anche il punto di riferimento visivo per chi si avvicina per i sentieri che conducono all’alpeggio. In questo complesso sono state collocate le funzioni principali ovvero il laboratorio didattico e l’abitazione del margaro, insieme ad un piccolo spazio per la vendita e la degustazione, al locale di stoccaggio del latte e alla stagionatura. L’esigenza di collocare il caseificio nelle vicinanze dell’abitazione è stata dettata dalle necessità per il margaro di poter accedere il più facilmente possibile alla lavorazione di prodotti durante tutto l’arco della giornata; inoltre la loro vicinanza permette eventualmente di poter svolgere le attività domestiche tra una fase e l’altra della produzione ottimizzando notevolmente le tempistiche. Questo assetto ha avuto la conseguenza di accostare ai precedenti locali sia lo stoccaggio del latte che il crutin per la stagionatura, mentre non è stato necessario collocare la zona di mungitura nelle vicinanze, come invece si era ipotizzato nelle fasi iniziali della stesura, per due motivi: il primo è legato al fatto che la mungitura al coperto è preferibilmente eseguita nei pressi della stalla ed il secondo è che spesso, se le condizioni metereologiche lo permettono, la mungitura viene 244
svolta direttamente all’aperto nei pascoli. Inoltre, secondo quanto riferito, è preferibile trasportare il latte appena munto verso il locale di stoccaggio piuttosto che recuperare i bidoni da un punto più lontano verso il locale di caseificazione. L’area di vendita e di stagionatura seguono lo stesso principio, per cui devono necessariamente essere collocate nelle vicinanze dell’abitazione e del locale di caseificazione per poter essere sempre accessibili. La stalla è stata collocata in una struttura che già possedeva queste funzioni in origine, ovvero nel terzo edificio. Come sarà indicato nelle prossime pagine dedicate ai requisiti dei locali4, il ricovero non prevede la copertura per la totalità dei capi alpeggianti ma si conforma come il luogo dove saranno ospitati gli animali malati, i vitelli o le possibili vacche gravide. In aggiunta a questo locale è presente un’area di mungitura al coperto ed un locale per lo stoccaggio e la pulizia degli attrezzi. Dopo aver ripartito le funzioni negli edifici uno e tre è stato quindi chiaro che la posizione della foresteria sarebbe dovuta essere nell’area del rudere. Come si evince dall’analisi dell’esistente, l’edificio presente in quest’area versa in uno stato di totale abbandono presentandosi più come luogo della natura che dell’uomo. Per questo motivo è stato deciso di conservare integralmente sia l’apparato murario che la vegetazione che è cresciuta in esso spostando le nuove funzioni in due locali adiacenti e valorizzando il rudere come hortus conclusus e come luogo di aggregazione all’aperto. Ad esso sono accostati i due edifici che ospitano le funzioni Il progetto
basilari della foresteria, ovvero i dormitori da un lato e la cucina e la sala da pranzo dall’altro completando in questo modo un agglomerato di tre edifici dalle proporzioni simili e disposti “a scalare” lungo le isolinee del terreno. Creazione di un sistema Le tre aree di intervento sperse in un alpeggio di queste dimensioni sarebbero solamente tre progetti singoli ed autoreferenziati se non ci fosse la volontà di creare un sistema unico. La nascita del sistema si origina per prima cosa dai collegamenti viari. Per questo motivo, oltre alle mulattiere ed ai sentieri carrabili già presenti è stato deciso di aprire nuove vie di collegamento. La prima mette in comunicazione, anche attraverso mezzi a motore, la foresteria con la stalla mentre una seconda prevede l’allargamento di una mulattiera esistente fra il ricovero e la strada che conduce all’edificio principale e consentirebbe al margaro di poter transitare più comodamente fra questi due edifici. I sentieri e le strade, per essere immediatamente riconoscibili, saranno segnalati attraverso segnavia appositi per raggiungere lo scopo di ottenere l’unità anche dal punto di vista della segnaletica. In secondo luogo un sistema univoco può essere originato attraverso la vista. Come sarà indicato nella sezione dedicata al sistema costruttivo5, si è cercato di mantenere un approccio sia materico che strutturale il più possibile uniforme per tutti gli interventi poiché questo accorgimento contribuisce, tra le altre cose, anche al riconoscimento degli interventi come appartenenti ad un unico sistema. Descrizione dell’intervento
Note 1. I colloqui realizzati durante la stesura della tesi hanno coinvolto: il dottor Guido Tallone come coordinatore dell’Istituto lattiero caseario di Moretta, il dottor Luca Nicolandi del servizio veterinario dell’Asl To 4 e Andrea Colombero, allevatore e produttore di latticini locale. 2. Si veda la sezione 8.2 “I locali e le attrezzature”. 3. Si veda il capitolo 7 “Analisi dello stato di fatto”. 4. Si veda la sezione 8.2 “I locali e le attrezzature”. 5. Si veda la sezione 8.4 “Il sistema costruttivo”.
Immagine 8.1.2 - Esempio di segnavia personalizzato. questo tipo di indicazioni sarà infisso lungo i sentieri con lo scopo di inidrizzare verso le strutture dell’alpeggio. Inoltre rappresentano un ulteriore elemento di unificazione all’interno del sitemaprogetto, configurandosi come un vero e proprio landmark sul territorio.
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Il progetto
8.2 I locali e le attrezzature Per determinare i locali necessari a svolgere le attività che questo tipo di intervento propone è stato necessario, come già accennato, rivolgersi in primis all’Istituto lattiero-caseario di Moretta ed al suo coordinatore, il Dottor Guido Tallone, me è stato altresì importante il contributo di un soggetto direttamente coinvolto nella produzione casearia e nell’allevamento come Andrea Colombero. L’intento è quello di definire quali sono le necessità che ogni singolo locale deve soddisfare per riuscire ad interpretarle al meglio nella fase di stesura del progetto dei singoli edifici. Locale di lavorazione Il cuore dell’attività svolta in alpeggio risiede sicuramente all’interno del locale di lavorazione. In questo spazio saranno in primis realizzati i prodotti d’alpe, ma è anche lo spazio dove avranno luogo la maggior parte dei corsi. Il requisito fondamentale di questo locale è la grandezza, ovvero una superfice calpestabile più ampia possibile, per poter garantire il corretto svolgimento delle lezioni con un gruppi di circa dieci persone per volta, lasciando nel contempo lo spazio necessario all’alloggiamento delle attrezzature e degli scaffali. Questo si traduce in un area misurabile in pianta di circa 50 m2. I locali e le attrezzature
Facendo riferimento alle normative igienicosanitarie1 il locale dovrà essere realizzato con superfici interne facilmente pulibili, evitando forme troppo complesse sia in pianta che in copertura che potrebbero costituire angoli poco accessibili e difficilmente igienizzabili. Inoltre sarà necessario prevedere sia una zona di filtro con l’esterno che un’area dove sia possibile indossare camici, calzari e reticelle antisettici, necessari considerando la presenza di un numero considerevole di persone in un’ambiente protetto. Per questa ragione è anche auspicabile la presenza all’interno del locale stesso dei servizi igienici, in modo da evitare il più possibile le possibili contaminazioni provenienti dall’ambiente esterno. Per poter garantire lo svolgimento della didattica rispetto ad una produzione casearia quanto più variegata possibile saranno necessarie la maggior parte delle attrezzature presenti in un caseificio di dimensioni maggiori rispetto a quelle che normalmente sono utilizzate dai malgari in quota per una produzione settoriale di una sola tipologia di formaggio. In quest’ottica dovranno essere garantite anche le dotazioni essenziali per la realizzazione di ricotta e burro. L’equipaggiamento previsto si compone degli elementi riportati nell’elenco di seguito. 247
• Caldaia in acciaio inox o rame per la lavorazione della cagliata, (capacità di 300 litri e diametro di circa 60 cm) munita di braccio meccanico per lo spostamento. Questa costituisce l’elemento principale e forse il più importante della catena di lavorazione. Per portare il semilavorato alla temperatura necessaria per l’ottenimento della cagliata è necessaria una fonte di calore per la quale si prevede un fornello a gas in luogo del più tradizionale ma meno gestibile fuoco a legna. • Cappa di aspirazione fumi, immediatamente sopra la caldaia.
posizionata
• Tavolo spersoio in acciaio inox (dimensioni 80 x 120 cm), ovvero la superficie dove avviene la prima scolatura della cagliata una volta posta in fascera e dove spesso vengono anche lavate parte dei recipienti. • Tavolo di lavorazione in acciaio inox, non strettamente necessario ma utile a garantire un’ulteriore superfice di appoggio. • Pressa meccanica a due piatti, necessaria per facilitare lo spurgo del siero. • Cassone coibentato di maturazione della cagliata, dove rimane immersa nel proprio siero ad una temperatura controllata. • Scrematrice (dimensioni di circa 60 x 80 cm) necessaria per l’ottenimento della panna. • Zangola con motore di azionamento elettrico per la produzione del burro. 248
Immagine 8.2.1 - Pressa meccanica (a sinistra in secondo piano) e tavolo spersoio (in primo piano) del caseificio didattico di Moretta.
• Piccolo frigorifero, necessario per la conservazione di prodotti facilmente deperibili come il burro o i formaggi freschi. Non dovrà essere però di dimensioni maggiori rispetto ad un normale sistema di refrigerazione casalingo data la difficoltà dell’approvvigionamento elettrico in alpeggio. • Lavabo. • Scaffali per riporre fascere e utensili. Stoccaggio del latte La mungitura normalmente viene fatta due volte al giorno, al mattino ed alla sera. Per questo motivo, il latte della mungitura serale necessita di un luogo a temperatura controllata dove poter essere conservato fino al giorno successivo, quando sarà lavorato insieme al latte munto alla mattina. Il progetto
La normativa prevede per questo tipo di impiego una cella refrigerata ad una temperatura non superiore a 6°C, una condizione difficilmente verificabile in un caseificio in alta quota dove questa refrigerazione non sarebbe attuabile per la carenza dell’energia elettrica necessaria. Grazie alle deroghe previste è però possibile, in ambienti sfavorevoli come un alpeggio, refrigerare il latte attraverso l’impiego di vasche con acqua corrente, anche se per un tempo limitato2. Per questo motivo sarà necessario prevedere un locale apposito dove si possano stoccare i bidoni della mungitura serale e dove sia possibile portare l’acqua canalizzata dal vicino Rio Milanese. Stagionatura e vendita La stagionatura è un processo fondamentale per la produzione casearia così come la salatura. Per svolgere questo tipo di attività sarà in primis essenziale pensare ad un luogo non troppo umido ma al tempo stesso fresco ed areato, possibilmente esposto a nord. La normativa igienica in questo frangente concede l’utilizzo di locali naturali o con rivestimento in materiali grezzi come la pietra3. Il locale di vendita non è invece da intendersi come un vero e proprio negozio, bensì come un piccolo spazio dove possa essere allestito un’ambiente per l’interazione fra il produttore ed il consumatore e dove si possa eventualmente allestire un piccolo banco di degustazione. In questo senso si è pensato di collocare questa funzione nelle vicinanze dello stesso locale stagionatura, per poter garantire un accesso diretto alle forme in riposo e per avere I locali e le attrezzature
anche uno spazio maggiore per le operazioni di salatura invece di svolgerle all’interno di un locale spesso angusto come quello della stagionatura. Abitazione margaro Nell’ottica di un miglioramento generale delle condizioni lavorative e di vita, l’abitazione del conduttore della meira rappresenta il punto focale del problema. Infatti, perché questa attività possa essere trasmessa e resa appetibile anche alle generazioni più giovani, è auspicabile che le condizioni di vita siano adeguate agli standard minimi odierni, anche in luogo “provvisorio” dove vengono trascorsi solo pochi mesi all’anno. Questo non significa necessariamente che sia possibile pretendere tutti i comfort di una abitazione cittadina in alta montagna, anche perché questo contravverrebbe al principio secondo il quale debba essere l’uomo ad integrarsi nell’ambiente e non viceversa, ma non bisogna neanche pensare che un lavoratore a tempo pieno come un pastore possa vivere in condizioni tali per cui non possa neanche scaldarsi alla sera o in caso di maltempo4. In più esiste la necessità, in molti casi, di ospitare in alpeggio la famiglia del margaro stesso, soprattutto nel caso di coppie giovani con figli nell’età dell’infanzia. In questi casi, oltre alla mandria, è l’intera famiglia che si trasferisce in alpe, come avveniva nel passato. L’abitazione del margaro dovrà quindi essere una struttura sufficientemente grande per poter ospitare una famiglia, senza necessariamente prevedere una stanza singola per ogni componente ma almeno 249
due ambienti separati, nella convinzione che in montagna sia necessario comunque adeguarsi ad un certo “spirito di adattamento”. Gli elementi che in questo frangente si ritengono primari sono per prima cosa un bagno interno, una cucina, un ambiente comune ed in secondo luogo una stanza separata. Inoltre si ritiene opportuno almeno pensare ad un sistema di riscaldamento, anche una stufa a legna, per via delle possibili temperature rigide che spesso si riscontrano a quote come quelle dell’area di progetto anche in piena estate.
poter svolgere l’attività di mungitura nel caso che il maltempo imponga di operare al coperto5. Il locale in questione dovrà quindi essere adeguato ad accogliere circa 10 o 15 capi, contando che una mandria media necessaria allo svolgimento dell’attività prevista si aggira intorno ai 30 animali. In più dovrà essere presente un lavabo ed almeno un armadio per poter riporre le attrezzature di mungitura, che sarà svolta con mungitrice meccanica alla posta, all’aperto oppure in una zona coperta.
Mungitura e ricovero del bestiame La questione del ricovero dei capi alpeggianti è un tema che spesso si intreccia con le tradizioni locali. Nell’areale alpino del cuneese, per esempio, non sembra che sia prioritario prevedere una vera e propria stalla sufficiente per tutti i capi alpeggianti, ma solamente un ‘ricovero’ dove poter alloggiare i vitelli, gli animali malati oppure gravidi e dove
Foresteria Gli stage che saranno organizzati all’interno della struttura d’alpeggio prevedono da un parte brevi lezioni che potranno essere tenute in giornata, anche se l’attività didattica principale riguarda principalmente corsi dalla durata plurigiornaliera, fino ad una settimana. Per questa ragione è stato stimato con gli esperti che fosse necessario pensare ad un’accoglienza per circa una ventina di studenti, ai quali dovrà essere aggiunto il personale didattico e di supporto logistico. La necessità è quella di fornire uno spazio autogestibile dove possano essere ospitati gruppi di studenti di tutte le fasce d’età, dall’infanzia fino all’età adulta, nel caso di corsi di formazione professionale. Per questo motivo è necessario che i locali possano adattarsi ad un ampio spettro di utenza, ognuna delle quali ha bisogno di spazi particolari. Nel caso di un gruppo di bambini, per esempio, sarà fondamentale pensare ad una stanza
Immagine 8.2.2 - Mungitrice a carrellino con quattro gruppi
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Il progetto
separata per il personale e per chi dovrà gestire la cucina6, mentre per un gruppo di adulti la stanza separata sarà forse più utile a chi sarà appositamente incaricato dell’organizzazione dei corsi. Queste premesse si possono concretizzare attraverso tre locali essenziali, ovvero una sala mensa, una cucina ed un dormitorio, nel quale siano presenti sia una stanza separata che i servizi igienici adeguati al numero di persone previste. Per dimensionare gli ambienti la Regione Piemonte ha elaborato delle utili linee guida legate all’attività ricettiva dei rifugi d’alta quota che possono essere utilizzate anche in questo frangente, ovviamente mediate dalle disposizioni dei vigenti regolamenti edilizi.
Note 1. Per una trattazione più esaustiva sull’argomento si rimanda alla sezione 3.4 del Capitolo 3 “Regolamentazione igienico-sanitaria della Regione Piemonte”. 2. Si vedaa sezione 3.4 del Capitolo 3 “Regolamentazione igienico-sanitaria della Regione Piemonte”. 3. Per una trattazione più esaustiva sull’argomento si rimanda ala sezione 3.4 del Capitolo 3 “Regolamentazione igienico-sanitaria della Regione Piemonte”. 4. Il diritto ad una sistemazione dignitosa è un tema che Marzia Verona tratta molto di frequente e che risulta di importanza basilare per incentivare la continuazione attraverso le nuove generazioni di questa attività. Fonte: http://pascolovagante.wordpress.com/2012/06/08/ lupi-a-due-gambe. 5. Si veda la sezione 2.5 del Capitolo 2 “La monticazione fra pratica e teoria”. 6. La gestione delle strutture è un tema delicato sul quale è stato necessario pensare ad uno studio, presentato in questa tesi nella sezione successiva.
I locali e le attrezzature
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Il progetto
8.3 Gestione della struttura
Nella prefazione si è accennato agli indubbi vantaggi che un alpeggio produttivo e didattico possa recare al territorio nel quale si inserisce. L’importanza risiede principalmente nella trasmissione delle tecniche tradizionali di caseificazione di latte crudo, integrate dalle moderne conoscenze in campo alimentare e dalle modalità in cui queste possono essere utilizzate nel modo più corretto. In secondo luogo l’educazione all’ambiente che verrebbe insegnata ha il vantaggio di formare produttori agricoli più consapevoli del loro territorio ed attenti ai rischi che un sovrasfruttamento oppure un errato utilizzo dei pascoli possa recare a livello di dissesto idrogeologico. Il beneficio che questo progetto si propone di diffondere nei confronti di chi, adulti oppure bambini, non è invece addentro al settore della caseificazione, riguarda la divulgazione di una cultura più consapevole dell’alpeggio e dell’animale. Infatti, citando Michele Corti, è necessario comunicare attraverso questo tipo di iniziative che le vacche non sono solamente “bovine macchine-dalatte”1, ma animali con una propria dignità e che hanno diritto a condizioni di vita appropriate. Gestione della struttura
Organizzazione dei corsi L’attività didattica è l’elemento fondamentale dell’intero sistema dell’alpeggio. I corsi che vengono svolti sono frutto della collaborazione fra il malgaro, gestore dei capi alpeggianti, e l’Agenform, ovvero l’Agenzia dei Servizi formativi della provincia di Cuneo2. Quest’ultima rappresenta la vera e propria promotrice dell’intero progetto, che, attraverso l’Istituto lattiero-caseario di Moretta ed il suo corpo docenti, avrà l’occasione di poter illustrare l’attività d’alpeggio direttamente in un complesso in alta quota. L’agenzia avrà perciò il compito di pianificare il calendario delle attività e di fornire il supporto didattico per le lezioni. I corsi saranno tenuti da personale qualificato che non risiede stabilmente in alpeggio, ma che accompagnerà di volta in volta i vari gruppi che nel corso della stagione usufruiranno della struttura. La figura del docente rispecchia anche la composizione del gruppo, per cui, a seconda dell’età dei partecipanti e della destinazione del corso, sarà necessario privilegiare un diverso approccio e quindi un’insegnante che possa relazionarsi nella 253
maniera migliore nei confronti dei propri allievi. Anche la durata delle attività potrà essere decisa in base ai parametri precedenti, poiché la struttura ha la capacità di poter ospitare sia brevi lezioni della durata di un giorno, aperte a tutti, che veri e propri cicli di studio della durata di una settimana o più. Il complesso delle tre meire d’alpeggio è stato pensato per poter ospitare gruppi di circa venti persone escluso il personale d’appoggio e docente. La foresteria è stata progettata per poter essere autogestibile e per questo motivo ogni comitiva dovrà organizzarsi per quanto riguarda la fornitura di viveri e per le pulizie finali. La decisione di optare per un sistema autogestito è stata maturata in base alla convinzione che non fosse possibile pensare di poter garantire una vera e propria ospitalità come nel caso dei rifugi escursionistici perché questo implicava notevoli spese aggiuntive per il personale necessario ed in secondo luogo obbligava un costante rifornimento di beni di prima necessità. In più, considerando che uno dei propositi per un corso strutturato in alta quota è permettere ai fruitori di immergersi completamente nell’ambiente montano per capire cosa significhi veramente produrre formaggio in alpeggio in modo sano e naturale, allora è necessario ed anzi, auspicabile, mantenere un certo grado di ‘rusticità’. Ogni gruppo avrà quindi la facoltà di gestirsi autonomamente e, nel caso fosse necessario oppure preferibile la presenza di una figura addetta al rifornimento dei viveri ed alla cucina, la struttura si presta anche a questo tipo di evenienza. Questo 254
è stato studiato con un occhio di riguardo specialmente verso le attività rivolte ai più piccoli, dove è necessario che sia presente personale di supporto sia per quanto riguarda l’animazione che sotto l’aspetto pratico del servizio di ristorazione. Il margaro ed il bestiame alpeggiante La figura del margaro è particolarmente importante per questo tipo di approccio didattico. Pur non tenendo lui stesso i corsi, rappresenta però l’esempio pratico del lavoro e dell’organizzazione di una struttura in alpeggio. Il margaro è anche il proprietario dei capi di bestiame presenti in quota, ed essendone il responsabile sarà anche colui che si occuperà delle mungitura, avendo cura di illustrarne le modalità, nel caso si presenti l’occasione di una lazione che tratti anche questo argomento. Il pastore e la mandria saranno selezionati attraverso la pubblicazione di bandi quinquennali per l’affidamento della struttura e dell’abitazione, nei quali dovrebbe essere specificato che la figura che si fa carico di questa opportunità sia però disposta ad illustrare le fasi del proprio lavoro durante il periodo di attività. La persona che sarà scelta per questo compito avrà quindi a disposizione un intero pascolo e un’abitazione sufficiente ad ospitare eventualmente un’intera famiglia, e in aggiunta avrà la possibilità di utilizzare un locale di caseificazione completamente attrezzato con il quale produrre latticini destinati alla vendita al fine di contribuire al suo sostentamento economico. Il progetto
Sostanzialmente questo tipo di assetto non è molto dissimile dai bandi pubblici che vengono pubblicati per il pascolamento delle terre demaniali, ma ha il sostanziale vantaggio di disporre per prima cosa di strutture funzionali e adeguate, ed in secondo luogo, dato il contributo all’attività didattica, potrà essere concordato un sostanziale vantaggio economico sul canone di locazione dei terreni. Produzione dei latticini e vendita Gli introiti derivanti dalla vendita dei prodotti d’alpe realizzati in loco potranno a tutti gli effetti diventare parte integrante del bilancio economico della struttura e del margaro stesso. All’interno dei formaggi destinati alla vendita non saranno da annoverare le forme realizzate dai fruitori della didattica, che potranno invece portare con loro i propri prodotti come valore aggiunto alla quota di partecipazione ai corsi. Il commercio riguarda quindi i derivati del latte trasformati dal margaro durante i periodi nei quali non sarà sfruttato il caseificio didattico da parte degli allievi. Per questa ragione nel progetto è stato pensato un locale di vendita attiguo al crutìn dove si svolge la stagionatura, ovvero un luogo nel quale si possano esporre i prodotti e nel quale si possano anche pensare piccole degustazioni aperte al pubblico, configurandosi anche come polo di attrazione turistico legato alla sfera enogastronomica.
Gestione della struttura
Note 1. Michele Corti, Produrre latte e formaggi in alpeggio: dilemmi tecnici e visioni sociali, «Caseus» a VII, 2003, n°6, pp. 36-43. 2. Anche in questo caso è doveroso ringraziare l’Agenform, nella persona di Guido Tallone, per il sostegno fornito alla stesura della Tesi e per le preziose indicazioni su modalità ed attrezzature per la produzione in alpeggio.
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Il progetto
8.4 Il sistema costruttivo
Il sistema costruttivo rappresenta l’approccio che si è cercato di mantenere durante la stesura finale e funge da “impalcatura di sostegno” al progetto determinandone sia i materiali impiegati che le strutture portanti in modo tale da garantire il più possibile un’uniformità degli interventi sotto tutti i punti di vista. L’omogeneità dell’approccio non presuppone però degli interventi ripetitivi ma solamente l’impiego delle stesse strutture al fine di evitare una “schizofrenia compositiva” del progetto ed un risparmio per quanto riguarda la fornitura dei materiali da costruzione. In più, questo ragionamento è stato fatto a monte della stesura definitiva proprio perché l’adozione di diversi sistemi presuppone cambiamenti anche a livello compositivo, influenzando infine l’intero iter progettuale. Approccio progettuale per le preesistenze La riconoscibilità è il principio in base al quale ogni intervento di ripristino deve essere distinguibile dalla parte originale del documento, così com’è Il sistema costruttivo
nello stato attuale del degrado; ciò per non consentire una lettura falsa dell’opera, attraverso l’assimilazione indebita delle parti integrate a quelle originali. Si tratta degli esiti di una concezione che ha la sua matrice nella teoria del restauro di Cesare Brandi, nata anche per contrastare l’idea di mantenimento di un’autenticità solo apparente che ha spesso mostrato poca attenzione all’autenticità del sistema costruttivo nella scarsa fiducia o conoscenza dei sistemi costruttivi originali1. Tra l’intervento massivo che non consente il riconoscimento delle preesistenze e la progettazione volta all’occultamento dei nuovi interventi esiste una via più sottile, un dialogo possibile tra antico e nuovo nell’aderenza del progetto al contesto, alle componenti peculiari del sito e del luogo, in una strategia progettuale che consenta un dialogo con altri principi del restauro a corollario di quello della riconoscibilità: quello della reversibilità e del minimo intervento. Il principio di reversibilità determina che in situazioni limite ogni intervento di restauro debba 257
poter essere rimosso, nel caso in cui gli interventi si rivelino inaccettabili in seguito all’evoluzione delle teorie del restauro e delle sensibilità critiche. In ambito architettonico, la reversibilità induce alla massima delicatezza nei confronti della preesistenza e dell’ambiente, oltre ad imporre un approfondito studio sui materiali2. Il principio del minimo intervento obbliga il restauratore a limitare il più possibile la sua opera di ripristino, evitando gli interventi più pesanti e rispettando le tracce visibili della storia del manufatto stesso. Queste premesse hanno portato ad elaborare un approccio progettuale volto al mantenimento delle strutture presenti in alpeggio che fosse meno invasivo possibile ed incentrato sul tema della reversibilità. Per questo motivo gli interventi sull’esistente si sono basati sul principio del “costruire nel costruito” ovvero nella realizzazione dell’intero apparato strutturale tramite pareti interne alle murature esistenti, facilmente assemblabili per le esigenze di trasporto e manodopera, ma nello stesso tempo anche rimovibili perché non fisicamente a contatto con le preesistenze. La stratigrafia dell’intervento prevede tavole di legno strutturale del tipo “Cross laminated timber”, conosciuti anche sotto il nome commerciale di XLam, ai quali saranno aggiunti pannelli isolanti termoacustici in fibra di legno verso l’esterno ed una controparete isolata per il passaggio degli impianti verso il lato interno. Sovrapposto alla muratura esistente è stato ipotizzato l’inserimento di un cordolo in muratura realizzata con malta di calce idraulica ed armato 258
da barre in acciaio inox o zincato. L’intervento si è reso necessario sia per migliorare il comportamento a compressione della muratura, una volta rimosso il carico della copertura, che per aumentare la coesione degli elementi che compongono la parete senza creare un giunto troppo rigido come nel caso dell’impiego del cemento armato3. Quest’ultimo è stato fortemente sconsigliato anche per la sua dubbia efficacia in caso di azioni orizzontali come quelle prodotte da un sisma, in favore della muratura armata con calce idraulica che, oltre ad essere più compatibile con l’edilizia storica, possiede anche un comportamento di tipo parzialmente plastico4 grazie al quale la rigidezza del cordolo, prossima a quella dalla muratura sottostante, non crea distacchi nelle superfici di contatto in caso di sollecitazioni dinamiche trasmesse dal suolo. La base della muratura esistente verrà invece rinforzata da un’opera di sottofondazione costituita da un cordolo di cemento armato realizzato per cantieri successivi5 e che garantisce l’adeguato sostegno strutturale ad un edificio in pietra realizzato praticamente senza giunti in malta. All’interno di questo impianto di fondazione saranno posati gli strati funzionali alla pavimentazione interna, ovvero una base di magrone sul quale saranno alloggiati gli elementi del vespaio areato e sui quali verrà steso uno strato di calcestruzzo su rete elettrosaldata come base portante per il massetto, l’isolante e la finitura finale. Per la copertura è stato ipotizzato l’utilizzo della lamiera grecata poiché nei casi dove è stato previsto l’intervento era quella la tipologia del manto Il progetto
Immagine 8.4.1 - Sistema costruttivo impiegato per gli interventi sulle preesistenze La parete è composta (dall’interno verso l’esterno) da uno strato di finitura con pannelli in gessofibra che chiudono la controparete isolata per l’alloggiamento degli impianti. Successivamente è collocata la struttura portante in pannelli a lamine incrociate (Xlam) e l’isolante in fibra di legno. L’ultimo strato è rappresentato dalla muratura esistente (in rosso) sormontata dal cordolo di muratura armata. La copertura è composta (dall’interno verso l’esterno) dalla struttura portante in Xlam, dai pannelli isolanti in fibra di legno ed infine dalla lamiera grecata fissata a correnti longitudinali. All’estremità dello strato strutturale sono fissati il canale di gronda e la lamiera di copertura al cordolo. La pavimentazione è composta (dall’alto verso il basso) dalla finitura in piastrelle posate su un massetto in cls alleggerito, dall’isolate termico in poliestere, da uno strato di calcestruzzo su rete elettrosaldata ed infine dal vespaio areato posato su uno strato di magrone.
Il sistema costruttivo
259
di copertura presente. La struttura portante del tetto sarà anch’essa realizzata da tavole di legno strutturale stratificato, allo stesso modo delle pareti, per ottenere una coerenza dell’edificio anche dal punto di vista costruttivo e strutturale. La lamiera, di colore neutro per non oscurare le murature preesistenti, sarà inoltre utilizzata per mascherare il cordolo in muratura armata in facciata. La trave di colmo in legno lamellare che funge da appoggio alla struttura portante del tetto sarà alloggiata all’interno di sagomature nelle pareti laterali ed appoggiata a pilastri in muratura già presenti negli edifici esistenti. Approccio progettuale per le nuove costruzioni Il progetto degli elementi di nuova costruzione segue dal punto di vista strutturale quanto già affermato per le preesistenze, in modo tale da garantire il più possibile un uniformità sia a livello concettuale che materico. I vantaggi di questo tipo di approccio sono rappresenti in primis da un unico fornitore del materiale strutturale e di conseguenza la possibilità di poter disporre della stessa facilità di assemblaggio che un materiale come i pannelli di legno strutturale possono garantire. Questo tipo di struttura consente infatti al progettista di poter realizzare pannelli che saranno sagomati in fabbrica e pronti da assemblare una volta trasportati in loco. Anche nel caso delle nuove costruzioni saranno impiegati i pannelli a lamine incrociate tipo XLam sia per quanto riguarda la struttura delle pareti che della copertura. Gli elementi portanti del tetto saranno sostenuti all’altezza del colmo da una 260
trave in legno lamellare analogamente a quanto avviene nelle preesistenze e in aggiunta sarà posto un pilastro, anch’esso in legno lamellare, a metà della trave stessa per ridurne il carico e diminuirne conseguentemente lo spessore. La finitura esterna delle pareti perimetrali prevede un sistema di montanti e traverse a sostegno di una perlinatura in legno come rivestimento terminale della stratigrafia che crea inoltre un’intercapedine areata adiacente allo strato isolante termoacustico. La stratigrafia della copertura è invece analoga a quella delle preesistenze ed è costituita, oltre alla struttura portante, da pannelli isolanti in fibra di legno sormontati da una lamiera grecata fissata su correntini longitudinali. Le fondazioni sono realizzate mediante cordoli di cemento armato e fungono inoltre a delimitare il perimetro del vespaio areato della pavimentazione. Anche in questo caso la stratigrafia è assimilabile a quella delle preesistenze ed è costituita da uno strato di magrone, da un vespaio areato sormontato dalla struttura rigida in calcestruzzo su rete elettrosaldata e dagli stati del massetto e della finitura in piastrelle. Materiali La scelta dei materiali da costruzione e delle finiture è stata fatta in base alle esigenze che si sono poste al momento della stesura del progetto. Ogni elemento riflette un’attenta analisi che riguarda sia gli aspetti compositivi ma che tiene conto anche dell’approccio verso le preesistenze, soprattutto per quanto concerne la reversibilità degli interventi ed il loro riconoscimento. Per questo motivo la Il progetto
Immagine 8.4.1 - Sistema costruttivo impiegato per gli interventi sul nuovo edificato La parete è composta (dall’interno verso l’esterno) da uno strato di finitura con pannelli in gessofibra che chiudono la controparete isolata per l’alloggiamento degli impianti. Succesivamente è collocata la struttura portante in pannelli a lamine incrociate (Xlam) e l’isolante in fibra di legno. L’ultimo strato è rappresentato dalla perlinatura esterna di finitura montata su una struttura di montanti e traverse in legname da costruzione. La copertura è composta (dall’interno verso l’esterno) dalla struttura portante in Xlam, dai pannelli isolanti in fibra di legno ed infine dalla lamiera grecata fissata a correnti longitudinali. All’estremità dello strato strutturale sono fissati il canale di gronda e la copertina in legno di rivestimento alla struttura portante. La pavimentazione è composta (dall’alto verso il basso) dalla finitura in piastrelle posate su un massetto in cls alleggerito, dall’isolate termico in poliestere, da uno strato di calcestruzzo su rete elettrosaldata ed infine dal vespaio areato posato su uno strato di magrone.
Il sistema costruttivo
261
Immagine 8.4.3 - Posa in opera di una parete in Xlam
ricerca del materiale adatto presuppone per prima cosa un’analisi attenta dell’esistente per poi trovare gli elementi costruttivi più conformi si dal punto di vista compositivo che pratico, per via della difficoltà di trasporto insita nelle localizzazioni in alta quota dell’intervento. La struttura portante è rappresentata per tutti gli interventi da pannelli del tipo “Cross laminated timber” che costituiscono una vera e propria struttura uniforme con i vantaggi della versatilità del calcestruzzo e la facilità di posa in opera degli edifici prefabbricati. Inoltre questa tipologia di materiale è facilmente trasportabile poiché viene realizzato in singoli elementi di larghezza variabile fino ad un massimo di circa due metri per una 262
lunghezza massima di circa 20 metri a seconda del produttore. Per gli impieghi in questo progetto i pannelli non avranno in nessun caso lunghezze superiori ai quattro metri circa e per questo sarà possibile trasportarli con l’impiego di mezzi di dimensioni ridotte, adatti anche ai sentieri accidentati che conducono all’alpeggio. Inoltre la ridotta lunghezza consente l’assemblaggio senza l’impiego di particolari accorgimenti e in tempi considerevolmente più brevi rispetto al classico apparato murario in laterizio. I pannelli XLam possono essere anche realizzati con faccia a vista ed è questo il caso dei pannelli utilizzati in copertura, che riassumono sia la funzione di finitura che quella strutturale. La lamiera grecata è un materiale semplice, leggero ed economico ed è utilizzata in moltissimi casi di ripristino di strutture montane. Inoltre questa era già presente in copertura degli edifici esistenti per cui si è ritenuto opportuno riprenderla come rivestimento delle falde del tetto sia per i nuovi interventi che per le riqualificazioni. Il colore della lamiera utilizzata per la copertura degli edifici esistenti deve essere simile a quello che è chiamato a sostituire e in più non deve essere un colore “forte” per via dell’impatto che avrebbe sulla facciata e che metterebbe in ombra le murature in pietra esistenti. Per questo la scelta è caduta su una tinta più neutra possibile e simile alla preesistente, ovvero il grigio. La finitura in legno rappresenta invece il carattere distintivo delle nuove costruzioni. Per differenziare e rendere immediatamente visibile la differenza Il progetto
fra gli edifici preesistenti e quelli nuovi è stato utilizzato il contrasto fra due elementi costruttivi, ovvero il legno e la pietra che, seppur appartenenti entrambi alla tradizione montana, sono in questo progetto utilizzati per definire in maniera netta i periodi di costruzione differenti fra le strutture che compongono il sistema.
Note 1. Ministero della Pubblica Istruzione, Carta Italiana del Restauro, 1972. 2. A. Pasetti, C. Montagni, Il minimo intervento nel restauro, Nardini Editore, Torino, 2003. 3. A. Lemme, C. Pasquale, C. Miozzi, G. Cifan (a cura di), Analisi delle principali tecniche di intervento ritenute invasive dalla vigente normativa sismica e delle soluzioni alternative, Regione Molise in collaborazione con la Commissione Sismica “Sisma Molise 2002�, Aggiornamento 2012. 4. Manieri Elia Giovanni, Metodo e tecniche del restauro architettonico, Roma, Carocci, 2010. 5. Idem.
Il sistema costruttivo
263
264
Il progetto
8.5 Edificio 1 / Edificio principale
Edificio 1 / Edificio principale
dall’analisi delle coperture adiacenti. Come già accennato, le falde delle preesistenze sono orientate in senso opposto per cui, al fine di non privilegiare nessuna delle due soluzioni in luogo dell’altra, si è preferito optare per la scelta della copertura piana che inoltre aiuta anche a distinguere nettamente il CREATO CON LA VERSIONE DIDATTICA DI UN PRODOTTO AUTODESK nuovo edificato dalle preesistenze. L’intervento di rifunzionalizzazione della stalla esistente segue quanto descritto nella sezione dedicata al sistema costruttivo. Le murature esistenti sono state sgravate dalla copertura e rinforzate tramite l’inserimento di un cordolo in
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Il progetto dell’edificio principale risulta essere forse il più articolato dei tre interventi realizzati. Infatti si basa su una preesistenza quanto mai variegata poiché composta da tre fabbricati costruiti progressivamente, affiancati ma edificati in tempi diversi e con diverse caratteristiche morfologiche. Si possono infatti ritrovare sul rilievo dell’esistente tre tipologie di copertura: una piana e le altre due composte da due falde ma orientate nel senso opposto. La facciata principale, poi, presentava prospetti di differente altezza e realizzati con finiture diverse. In questo contesto di estrema diversità è stato necessario introdurre un nuovo fabbricato che, ricalcando la pianta della porzione della preesistenza demolita, potesse infine ospitare sia l’abitazione del margaro che i locali di servizio legati Fons Mura del nuovo edificio alla caseificazione. Il progetto è stato studiato in facciata seguendo lo schema A-B-A ovvero, dopo aver identificato i moduli di larghezza della porzione all’estremità sinistra (A) e di quella centrale dell’esistente (B), si è deciso di chiudere questo schema attraverso l’inserimento di un’ulteriore modulo A. Lo studio della soluzione della copertura piana ha tenuto conto da un lato del tetto del fabbricato demolito, piano anch’esso, e dall’altro è stato dettato
Immagine 8.5.1 - Inquadramento in scala 1:10.000
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muratura armata, mentre le nuove pareti portanti in pannelli di legno stratificato reggeranno i carichi della copertura. Questa porzione di edificio è stata progettata per ospitare interamente il locale di caseificazione (LC) in uno spazio ampio ed accogliente, in osservanza di quanto specificato nei requisiti dei locali. La nuova struttura adiacente sarà composta al piano terreno dal locale di deposito e raffrescamento in vasca del latte (D), dai servizi igienici (B) e dallo spogliatoio (SP) necessari per svolgere l’attività didattica in un ambiente salubre e pulito. Il piano superiore, a cui si accede tramite una scala esterna, è stato pensato come alloggio per il margaro. Questo ambiente è studiato come un duplex dove al piano inferiore è presente un bagno (B) un soggiorno (S) con divano letto ed infine un angolo cucina (K), mentre al livello soppalcato superiore sarà ospitata la camera da letto principale. In questo modo l’abitazione, pur non possedendo una superficie eccessiva, è però in grado di alloggiare anche quattro persone. All’interno del vecchio ricovero del pastore sarà demolito il solaio interpiano per far posto ad un ambiente più spazioso e adatto ad un piccolo locale di vendita al dettaglio (V) al quale sarà giustapposto il locale di stagionatura (ST) in rispetto della destinazione d’uso originaria. Le finiture esterne rispecchiano quanto già affermato in precedenza e lasciano ampio spazio, nelle facciate di nuova costruzione, al legno. La nuova copertura sarà invece realizzata in lamiera grecata e le murature esistenti non saranno rivestite. 266
Immagine 8.5.2 - Schema concettuale della facciata principale. Viene qui indicato il ritmo della facciata ABA e la complessità del sistema della copertura con l’espressione 1+2=3, ovvero che l’inserimento di un nuovo fabbricato in una preesistenza con il tetto a falde contrapposte presuppone una scelta radicale opposta alle prime due, cioè un tetto piano.
Immagine 8.5.3 - Pianta delle demolizioni sulla base del rilievo della pianta della preesistenza. Demolizione dell’intero apparato murario e della copertura Demolizione della copertura Demolizione del solaio interpiano
Il progetto
Pianta della copertura e dell’intorno Scala 1:200
Edificio 1 / Edificio principale
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ST
LC
V
C
A
D
268
C
SP
B
B
B
A
Pianta piano terra Scala 1:100
Il progetto
Pianta primo piano Scala 1:100
Sezione A-A Scala 1:100
B
S
K
Edificio 1 / Edificio principale
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Sezione B-B Scala 1:100
Sezione C-C Scala 1:100
270
Il progetto
Prospetto Sud-Ovest Scala 1:100
Prospetto Nord-Ovest Scala 1:100
Edificio 1 / Edificio principale
Prospetto Sud-Est Scala 1:100
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Immagine 8.5.4 - Fotoinserimento del modello digitale: facciata Sud - Ovest
Immagine 8.5.5 Fotoinserimento del modello digitale: vista da Sud
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Immagine 8.5.6 - Fotoinserimento del modello digitale: vista da Ovest
Il progetto
8.6 Edificio 2 / Foresteria
Edificio 2 / Foresteria
della copertura che sono state ipotizzate in base ai resti delle murature. La destinazione d’uso di questo locale si incentra sull’attività all’aperto ed il relax e proprio per questo è stato definito come un vero e proprio hortus conclusus. Gli edifici di nuova costruzione sono stati realizzati CREATO CON LA VERSIONE DIDATTICA DI UN PRODOTTO AUTODESK con struttura in pannelli di legno strutturale, allo stesso modo in cui sono state trattate le preesistenze. Le forme compositive sono state generate a partire dall’analisi del rudere, che ha dettato le proporzioni da mantenere per i nuovi fabbricati e che si discosta da essi per la differenza materica.
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Il progetto della foresteria si articola su tre interventi, due di nuova costruzione mentre un terzo è rappresentato dalla valorizzazione della memoria storica del rudere. I locali espressi nei requisiti indicati nei paragrafi predenti sono stati qui messi in atto attraverso la costruzione di un edificio destinato alla cucina (indicata sulla pianta con K) ed alla sala da pranzo (P) con una capienza di poco più di venti persone, come concordato attraverso i colloqui con gli esperti. Il secondo fabbricato di nuova costruzione si configura come dormitorio (D) al quale sono stati accostati i bagni comuni destinati ai corsisti (B). In aggiunta è stata realizzata all’interno dello stesso perimetro una camera separata per il possibile personale di servizio o per i docenti, per un totale Fons Mura con bagno privato. di quattro posti letto aggiuntivi Il rudere originario è stato trattato in questo intervento come una memoria storica da conservare e per questo motivo è stato deciso di conservare integralmente le murature esistenti e la vegetazione che spontaneamente è cresciuta nel corso degli anni all’interno del suo perimetro. Le quattro strutture a portale in legno lamellare inserite hanno la funzione di sorreggere il reticolo del pergolato ed inoltre segnano in modo non invasivo le forme
Immagine 8.6.1 - Inquadramento in scala 1:10.000
273
3
2
1
Pianta generale dell’intervento Scala 1:500
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Legenda 1. Cucina e sala da pranzo 2. Dormitorio 3. Area relax Hortus conclusus
Il progetto
Edificio 2 / Foresteria
PROSPETTO SUD - PROSPETTO EST
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Il progetto
Prospetto e pianta dell’area ristorazione Scala 1:100
A B
P K
A
Edificio 2 / Foresteria
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B
Prospetto e pianta del dormitorio Scala 1:100
B
C D
B
B
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Il progetto
Prospetto e pianta dell’Hortus Conclusus Scala 1:100
C C
Edificio 2 / Foresteria
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Sezione dell’area ristorazione A-A Scala 1:100
Sezione del dormitorio B-B Scala 1:100
Sezione dell’Hortus Conclusus C-C Scala 1:100
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Il progetto
Immagine 8.6.2 - Fotoinserimento del modello digitale: vista da Sud
Immagine 8.6.3 - Fotoinserimento del modello digitale: Hortus Conclusus
Edificio 2 / Foresteria
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Il progetto
8.7 Edificio 3 / Ricovero
Edificio 3 / Ricovero
Le funzioni contenute all’interno del perimetro prevedono una stalla comune (indicata con S) pensata per dieci capi affiancata da un locale di dimensioni minori (M), già esistente nella pianta originaria, che alloggia un box separato per gli animali gravidi o per il toro e nel quale è possibile CREATO CON LA VERSIONE DIDATTICA DI UN PRODOTTO AUTODESK inoltre svolgere la mungitura al coperto. Nel locale immediatamente adiacente è invece stato realizzato un deposito (D) attrezzato per il lavaggio e lo stoccaggio dell’attrezzatura di mungitura e nel quale è altresì presente un bagno (B) per gli operatori.
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Il ricovero per il bestiame rappresenta una struttura essenziale nel contesto di un alpeggio, in qualsiasi area geografica esso sia localizzato. Come già specificato nei capitoli di analisi delle strutture d’alpeggio, nel contesto dell’areale alpino della Provincia di Cuneo la stalla in alta quota non è pensata per alloggiare la totalità dei capi di bestiame, ma solamente alcuni animali in particolari stati di sviluppo o di salute. Per questo motivo, nonostante la mandria necessaria per la produzione lattea di un caseificio come quello di progetto si aggiri intorno ai 30 o 40 capi, è stato previsto all’interno di questo fabbricato solamente lo spazio per una dozzina di animali. Il fabbricato del ricovero è stato totalmente inserito all’interno della pianta di un edificio esistente che possedeva funzioni analoghe e per questo motivo Fons Mura grandi modifiche non si è reso necessario apportare se non quella del rifacimento della copertura. Quest’ultima è costituita da pannelli di legno strutturale sormontati da una lamiera grecata, ed è stata realizzata in continuità con le nuove pareti interne secondo l’approccio della costruzione dentro il costruito esposta nella sezione dedicata all’approccio costruttivo. La muratura esistente è stata rinforzata attraverso la posa in opera di un cordolo di muratura armata da barre di acciaio inox.
Immagine 8.7.1 - Inquadramento in scala 1:10.000
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Pianta della copertura e dell’intorno Scala 1:200
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Il progetto
Prospetto e pianta del ricovero Scala 1:100
B
M
S
D
Edificio 3 / Ricovero
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Prospetto Sud-Est Scala 1:100
Prospetto Nord-Ovest Scala 1:100
Sezione A-A Scala 1:100
Sezione B-B Scala 1:100
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Il progetto
Immagine 8.7.2- Fotoinserimento del modello digitale: vista da Nord
Immagine 8.6.2 - Fotonserimento del modello digitale: Facciata principale
Edificio 3 / Ricovero
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Il progetto
8.8 Sostenibilità e gestione idrica ed energetica
Un intervento in un contesto come quello alpino presuppone una certa attenzione verso i temi della sostenibilità, sia dal punto di vista delle risorse energetiche che per l’intero ciclo di vita della struttura, nella sua costruzione e nella sua gestione. Le limitazioni poste dall’ubicazione in alta quota, lontano dai centri abitati, rende impossibile l’allacciamento alle principali fonti energetiche normalmente disponibili come la corrente elettrica, il gas o la rete idrica e fognaria. Per questo motivo, l’intento fin dalla prima stesura del progetto, è stato quello di rendere l’intera struttura autosufficiente dal punto di vista energetico e che possedesse inoltre un basso impatto ambientale nello smaltimento dei reflui, sia di origine zootecnica che umana. Le risorse energetiche disponibili in loco sfruttano le fonti naturali e rinnovabili derivanti dal sole e dall’energia cinetica prodotta dal movimento dell’acqua attraverso un sistema che integra pannelli solari, fotovoltaici e una micro centrale idroelettrica in modo tale da poter disporre di un flusso costante di energia elettrica e acqua calda sanitaria. Sostenibilità e gestione idrica ed energetica
Pannelli fotovoltaici I pannelli fotovoltaici rappresentano forse la più conosciuta e anche la più discussa tecnologia di produzione energetica sostenibile. Il vantaggio deriva dalla loro piccola dimensione in rapporto all’energia prodotta ed inoltre risultano essere poco invasivi in quanto solitamente vengono posti sulle coperture. Gli svantaggi sono identificabili sia nell’elevato impegno monetario per l’installazione di un impianto che nella loro scarsa resa in caso di esposizione non ottimale o di cielo coperto. Inoltre, non garantiscono la produzione energetica nelle ore notturne a meno che non siano accoppiati ad un impianto di accumulazione. In ogni caso, in un contesto alpino rappresentano un’ottima risorsa poiché, se gestiti nella maniera corretta ed integrati magari con altre tecnologie di produzione energetica rinnovabile, possono garantire un notevole apporto nel bilancio energetico totale della struttura. Il progetto prevede l’inserimento dei pannelli a celle fotovoltaiche solamente sulle superfici delle coperture orientate correttamente, anche per via 289
del fatto che l’intera energia prodotta può essere immessa in una rete locale dove ogni edificio è in grado di produrre ed attingere all’intero sistema. Per questa ragione, i pannelli saranno montati sulla copertura del dormitorio e della cucina, esposti approssimativamente verso sud ed inclinati di 30° rispetto all’orizzontale. Anche la stalla avrà la sua produzione fotovoltaica che, anche se non ottimale, è sufficiente all’integrazione nella rete. Micro idroelettrico L’impianto del micro idroelettrico è basato su una tecnologia già consolidata, ovvero sullo sfruttamento dell’energia cinetica dell’acqua in caduta attraverso una turbina per convertirla in energia meccanica, prima, e quindi in energia elettrica attraverso un alternatore. La sua applicazione è presente già dai primi anni del novecento ma ha avuto il suo picco con la costruzione delle grandi centrali idroelettriche a cavallo della seconda guerra mondiale. L’innovazione del micro idroelettrico è rappresentata dalla miniaturizzazione di queste strutture1 che non necessitano della costruzione delle imponenti dighe richieste per il fabbisogno energetico per cui gli impianti tradizionali sono progettati e per questo motivo hanno un impatto sull’ambiente decisamente minore se non totalmente assente. Le micro centrali sono studiati per produrre energia sia per le utenze collegate alla rete che per le utenze isolate come le aree montane difficilmente raggiungibili o non servite della rete nazionale o piccole comunità locali, fattorie ed alberghi isolati. 290
Legenda
Immagine 8.8.1 - Esempio di microproduzione idroelettrica. In questo caso è stata realizzata una piccola opera di contenimento dell’acqua per regolarizzare il flusso. Anche senza una struttura simile, esistono in commercio diversi sistemi meno invasivi e di grandezze decisamente più domestiche.
Il progetto
Reti energetiche e idriche Scala 1:5000
SostenibilitĂ e gestione idrica ed energetica
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Per gli impianti di dimensioni molto ridotte fra i due e i tre kW di potenza - la turbina è il componente principale del sistema ed essa può essere direttamente alloggiata nel corso d’acqua. Per gli impianti di dimensioni maggiori devono essere invece pensate apposite opere civili come canali di adduzione, vasche di carico e condotte forzate che prelevano parte dell’acqua dalla corrente del corso per reimmetterla successivamente più a valle. Nel contesto dell’alpeggio di progetto è stata prevista l’installazione di questa tecnologia sfruttando il flusso del Rio Milanese, che scorre all’interno dell’area con una portata mediamente costante. Se un’indagine più specifica lo richiedesse, potrebbe rendersi necessario la costruzione di un piccolo sbarramento per migliorare la regolazione del flusso a monte della centrale stessa. Nonostante la relativa esiguità dell’energia prodotta con questo sistema, che per essere poco invasivo deve necessariamente essere limitato, questa risulta essere ampiamente sufficiente per l’utenza che si prevede di alloggiare nella struttura. In più, il micro idroelettrico, lavorando in rete con le altre fonte energetiche, è in grado di integrare o di sopperire alla mancanza di luce che potrebbe influenzare negativamente il rendimento dei pannelli fotovoltaici. Collettori solari L’elemento principale di un impianto solare termico è il collettore o pannello solare. Il suo funzionamento si basa su di una superficie esposta alla radiazione solare che si riscalda, mentre la 292
trasformazione della radiazione solare in energia termica è un fenomeno spontaneo che può essere sfruttato per portare l’acqua per uso sanitario alla temperatura prescelta. Lo scopo del collettore solare è quello di ottimizzare questa trasformazione catturando, a parità di radiazione solare, più calore possibile. Questi elementi saranno installati nel progetto solamente sugli edifici la cui destinazione d’uso ne richiedano l’applicazione. Infatti l’acqua calda, al contrario dell’energia elettrica, non può essere inserita in una rete comune a tutti gli interventi e per questo motivo sarà posto solamente sulle coperture del dormitorio, per la produzione di acqua calda sanitaria per le docce ed i lavabi dei bagni, e su quella del locale caseificazione che servirà sia gli scopi delle produzione che l’acqua calda per il bagno dell’abitazione del margaro. Il sistema di accumulo sarà posto all’interno degli edifici in un vano tecnico per evitare di installare le ingombranti cisterne normalmente presenti in copertura. Approvvigionamento idrico La posizione in alta quota e lontano dai centri abitati dell’alpeggio non consente l’allacciamento alla rete idrica e per questo motivo sarà necessario canalizzare l’acqua proveniente da una sorgente per servire le utenze in loco. Le normative dell’Asl esposte nei capitoli precedenti consentono questo tipo di intervento, previa analisi microbiologica dell’acqua e con i dovuti accorgimenti per limitarne l’inquinamento Il progetto
a monte della sorgente stessa2. L’ipotesi, per questo intervento, è quella di poter sfruttare la sorgente presente nelle vicinanze delle Rocce di Rastelli con una canalizzazione lunga circa 800 metri lineari.
Note
Scarico dei reflui La gestione dei reflui in un contesto alpino isolato rappresenta uno dei problemi maggiori. Per quanto riguarda lo scarico dei reflui derivanti dal lavaggio delle attrezzature di caseificazione, è concesso, per caseifici di piccole dimensioni come quello di progetto, lo scarico a terra, sempre tenendo conto di alcuni fattori descritti nelle normative regionali3. Le acque nere, ma anche quelle grigie, dopo aver subito alcuni pretrattamenti come il passaggio attraverso un degrassatore, possono essere smaltite attraverso una fossa Imhoff che, per un alpeggio di queste dimensioni e considerando anche un numero limitato di ospiti per volta, più rappresentare il sistema ideale in luogo dei più costosi (ed energivori) depuratori4. Viene previsto nel progetto l’installazione di una fossa per ogni sistema di edifici per evitare tubature troppo lunghe che porterebbero a possibili rotture ed inutili scavi dispendiosi.
3. Idem.
Sostenibilità e gestione idrica ed energetica
1. Fabio Andreolli, Impianti micro idroelettrici, Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2012. 2. Si veda la sezione 3.4 del capitolo 3 “Regolamentazione igienico-sanitaria della Regione Piemonte”.
4. Simone Guidetti, Buone pratiche di risparmio e trattamento delle acque nei rifugi, Corso di aggiornamento per operatori Tam Lombardia a cura del Club Alpino Italiano, 2010.
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Conclusioni Il lavoro presentato in queste pagine rappresenta uno studio che prescinde da quello che normalmente è inteso come architettura. Sono state necessarie, da parte degli autori, approfondite indagini sul campo della zootecnia, della caseificazione e più in generale sui sistemi agronomici alpini. In più, per poter comprendere appieno l’area in cui l’alpeggio è ubicato si è inoltre svolta un’indagine sulla geomorfologia e le tradizioni locali. Per queste ragioni, la tesi non può essere
semplicemente intesa come un “progetto architettonico” ma come un lavoro di analisi complesso che si è svolto a monte della rappresentazione grafica stessa e che infine ne costituisce la più profonda impalcatura. L’auspicio è che quest’opera possa configurarsi come punto di partenza o, se si vuole, apripista per indagini future che abbraccino i temi dell’architettura, del pascolo e dell’alpeggio, che attualmente sembrano viaggiare su binari diversi
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ma che questo lavoro ha cercato di collegare come una sorta di ponte. Il progetto, pur non presentandosi come un sito di interesse turistico, punta a creare un polo che potrebbe comunque svilupparsi in questo senso poiché i latticini prodotti in loco hanno la potenzialità di essere promossi come eccellenze e, per questo motivo, l’intera area potrebbe diventare il volano per l’implementazione del turismo enogastronomico nel comune di Sampeyre. Perché ciò sia realizzabile è però auspicabile una maggiore collaborazione fra soggetti privati, enti locali e sovralocali, insieme alle associazioni di categoria, per poter creare un sistema unito come substrato per la rinascita dell’attività economica legata all’arte della caseificazione sul territorio montano. Inoltre, secondo l’avviso degli autori, sarebbe necessaria una revisione del sistema di concessione dei pascoli, per evitare una lievitazione incontrollata dei canoni a fronte di una rendita derivante non tanto dall’attività produttiva in sé ma dalla speculazione a cui spesso si assiste di fronte all’assegnazione di aiuti comunitari. Per questo motivo, se non ci fossero segnali da parte degli enti nazionali in merito ad un più stringente controllo, dovrebbero essere quindi
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gli enti locali, che dal nome hanno il compito di essere più a contato con il cittadino, ad occuparsi di calmierare da una parte le aste pubbliche, ma di fissare dall’altra anche un tetto anche agli affitti fra soggetti privati dove spesso ad aggiudicarsi i pascoli sono i grandi allevatori di pianura con possibilità economiche maggiori rispetto ai piccoli produttori locali. L’assetto del territorio montano è composto da delicati equilibri interni che vengono retti, tra le altre cose, anche dai piccoli interventi di manutenzione svolti dai margari in alpeggio, senza contare il lavorio incessante dei bovini, che, servendosi dei pascoli, rasano la cotica erbosa creando un substrato più resistente alle valanghe. Ed è per queste ragioni, infine, che è necessario che la montagna possa ritornare ad essere fonte di lavoro e non solo di guadagno indiscriminato e di conseguenza è auspicabile che sia presente una forma di trasmissione dei valori tradizionali ma anche delle nuove tecniche atte a prevenire disastri ecologici per poter preservare l’ecosistema alpino. Un alpeggio didattico ha esattamente questa funzione, ovvero l’insegnamento del rispetto verso la natura ed il corretto approccio con l’ambiente circostante.
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Ringraziamenti
La stesura di questa tesi ha richiesto un notevole sforzo a livello personale per andare oltre il sentiero prettamente architettonico che normalmente viene affrontato. Questo è stato possibile grazie al sostegno e all’aiuto di esperti nel settore lattierocaseario e dell’allevamento che hanno condiviso le loro conoscenze con gli autori. Per questo motivo si vuole ringraziare in primis il dottor Guido Tallone dell’Agenzia per i Servizi Formativi della Provincia di Cuneo, responsabile e coordinatore dell’Istituto lattiero-caseario di Moretta (CN). Grazie a lui è stato possibile ottenere le indicazioni su come far funzionare nella maniera migliore una struttura d’alpeggio, sia dal punto di vista didattico che produttivo. Doveroso è anche ringraziare Andrea Colombero, incontrato durante la monticazione verso il sito di progetto, che grazie alla sua pluriennale esperienza nel campo dell’allevamento e della produzione di latticini è riuscito a trasmettere agli autori la vera natura del lavoro in alpeggio, sia negli aspetti positivi che in quelli negativi. Inoltre le sue indicazioni riguardo alla distribuzione delle
funzioni nei tre edifici di progetto sono state di notevole aiuto per la fase di organizzazione degli spazi. Per quanto riguarda le normative Regionali e comunitarie e la loro interpretazione si ringrazia il dottor Luca Nicolandi del servizio veterinario dell’ASL TO 4 di Settimo Torinese (TO) che inoltre si è reso gentilmente disponibile a prestare i propri testi per la stesura del capitolo riguardante la caseificazione e l’allevamento. Per il patrocinio della tesi e per il materiale fornici, soprattutto per quanto riguarda i casi studio, è doveroso ringraziare la Fondazione Slow Food, nelle persone di Eleonora Giannini, Raffaella Ponzio e Valerie Ganio, che hanno accolto con entusiasmo la proposta di tesi che gli autori hanno presentato a Bra (CN) alla sede dell’associazione stessa. La realizzazione di questo lavoro sarebbe stato semplicemente impossibile senza l’aiuto ed il supporto dell’Arch. Barbara Martino. Grazie a lei è stato possibile in primis individuare un sito di progetto e sempre grazie a lei si è potuto 305
visitare l’alpeggio la prima volta, quando ancora era presente la neve, e tornarci insieme in estate durante la monticazione. Inoltre la sua esperienza di docente presso la Facoltà di Architettura di Grenoble, in Savoia, è stata particolarmente apprezzata durante le revisioni del progetto svolte spesso direttamente sul sito dell’alpeggio. Per capire fino in fondo un luogo si dice che sia necessario immergercisi. Con questo spirito gli autori hanno ritenuto necessario fare un’esperienza diretta di monticazione al fine di capire veramente il mondo della pastorizia, o quantomeno, di poter disporre dell’esperienza sufficiente per la stesura di una tesi. Per questo si ringrazia Flavio
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Rebuffatti, proprietario dei capi alpeggianti, che ha accompagnato gli autori lungo la strada fra Balma l’Olmo ed il pascolo dell’Infernet insieme a Barbara Martino e Andrea Colombero. La stesura di una tesi sarebbe impossibile senza il supporto dei relatori, per questo si ringraziano i professori Daniela Bosia, Roberto Dini e la stessa Barbara Martino per il supporto al progetto lungo l’arco di tutti questi mesi. Infine gli autori desiderano ringraziare tutte le persone che non sono state citate, insieme agli amici ed ai genitori che li hanno supportati lungo l’intero percorso di studi e che hanno creduto fino in fondo al lavoro presentato in queste pagine.
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