GIOACCHINO CRIACO
AMERICAN TASTE
Š 2011 - Rubbettino Editore Srl 88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - Tel. (0968) 6664201 www.rubbettino.it
Molti si illudono che sulla terra incomba un’eterna lotta fra il bene e il male. Pochi invece sanno che il mondo è logorato da infiniti scontri fra il male e il male. E che soltanto i vincitori soddisferanno le proprie voglie a spese degli sconfitti.
Lo stesso sole
Con l’inizio del nuovo giorno la vita si mosse ad animare i giovani pini e le sagome snelle dei cipressi. Il colle dominava il paesaggio, uno scenario selvatico che nello spazio di un paio di chilometri scendeva fino al mare, immobile in quell’alba estiva. Un esercito di formiche rosse iniziò a battere la terra, marciando veloce ad ammassare provviste per un inverno ancora impossibile da immaginare. Qualche mosca ronzava. Un lontano belare annunciò la fatica del pastore in movimento. I due avevano trascorso la notte sotto gli alberi, uno si scosse. Aprì il sacco a pelo. Si mise a sedere puntando gli occhi sulla natura in risveglio. Il suo sguardo seguì il corso sinuoso dello sterrato, fino a puntare in basso la Statale che correva parallela alla costa. Conosceva metro per metro quella strada di terra battuta. Poteva contare mentalmente ogni mandorlo amaro, oleastro o eucalipto che ne delimitava la carreggiata. Da ragazzo l’aveva percorsa centinaia di volte, in salita e in discesa. Gli occhi si fermarono sulla distesa d’acqua salata. Una barca apparve, esile, ad aprire un’innaturale ferita sulla superficie vellutata del mare. 7
Il sole salì a illuminare quell’angolo di mondo. La luce dal mare si sparse sui monti scoscesi. «Speriamo non venga», disse a mezza voce risalendo con lo sguardo il corso della strada. Il suono dei campanelli annunciò l’avvicinarsi di un gregge. Anche il secondo uomo si scosse. Guardò il compagno puntandogli addosso due occhi nerissimi affetti da un leggero strabismo. «Muoviamoci» disse. «Stiamo per commettere un peccato mortale». «È solo uno in più nel conto che abbiamo aperto con Nostro Signore» gli rispose lo strabico. Ripiegarono velocemente i sacchi a pelo e li infilarono nello zaino militare. Raccolsero i fucili appesi al ramo di un albero. Si calarono sul viso i passamontagna e uscirono dal bosco. Percorsero un breve tratto scoperto e si fermarono al riparo dei fichi d’india a ridosso della strada. Da quel punto potevano vedere l’entrata e l’uscita della curva a gomito. I belati si fecero più forti, e in una nuvola densa di polvere giallastra apparvero le prime pecore. Il gregge scendeva verso valle. Le pecore avanzavano raggruppate al centro della carreggiata. Qualcuno da dietro le spronava, con fischi, urla e qualche bestemmia. Dalla nebbia venne fuori il pastore. Le bestie si fermarono di colpo in mezzo alla curva, insensibili agli incitamenti. Smisero di belare. I campanelli tacquero. Anche il pastore si tenne in gola la voce. Un silenzio irreale scese sulla campagna. Il pastore girò gli occhi verso le pale di fico d’india, scorgendo gli appostati. I due uomini sollevarono le canne dei fucili. 8
Era un ragazzino. Aveva i capelli e il viso incrostati di polvere. Guardava inespressivo i fucili automatici, due occhi neri puntati su di lui. Il secondo pastore, più anziano, comparve silenzioso alle sue spalle. Seguì il suo sguardo fino ai fichi d’india. Alzò la verga di perastro, ricoperta di spine, che teneva in mano, e la fece sibilare in aria percuotendo poi con forza le spalle del ragazzo. Prese a fischiare e a imprecare e smosse pecore e pastorello, rendendo alla campagna i suoi rumori. I due uomini abbassarono le armi, e seguirono con gli occhi il gregge che scendeva verso il mare. Un’utilitaria, vecchia, rossa, risaliva la strada. In una delle curve più in basso le pecore le fluirono ai lati. Il pastore più anziano si fermò per qualche secondo accanto alla macchina mentre il pastorello continuava a correre appresso alle bestie. Dietro ai fichi d’india gli appostati si scambiarono uno sguardo. Il pastore vide ripartire la macchina e rimase a osservarla, immobile. Sentì il motore arrancare sui tornanti ripidi. Guardò in alto, udì gli spari. Si girò e si affrettò a raggiungere il suo gregge. La macchina rossa era ferma all’imbocco della curva, di fronte ai profili surreali dei fichi d’india. Il parabrezza dell’auto perforato da una rosata di pallettoni. L’uomo che in quell’alba s’era svegliato per primo, uscì dal suo nascondiglio. Corse veloce sulla strada polverosa e raggiunse la vittima. Due pallettoni erano penetrati nel torace. Il sangue usciva abbondante dal naso più che dal petto. Il respiro affannoso, il piombo aveva bucato i polmoni. Ferite mortali, ma l’agonia sarebbe durata parecchi minuti. 9
Il carnefice fissò le bollicine di sangue gorgogliare su quelle ferite e gli occhi liquidi del moribondo. Vide la sua mano annaspare in aria in cerca di un appiglio inesistente. Gliela afferrò e la strinse. Comprese. E la pietà sparò il colpo di grazia che pose fine alla sofferenza. Poi inspirò forte. Ogni agguato aveva un odore. Lui ne aveva tesi tanti, e di ogni vittima ricordò la disperazione. E la puzza. L’aria era pervasa dal lezzo acre dell’urina delle pecore e dal tanfo selvatico dei montoni in calore. A quel morto avrebbe associato quel puzzo. Lo strabico arrivò in quel momento. Era insuperabile negli affari di droga, ma in quelli di sangue arrivava sempre secondo. Sparò un colpo anche lui, a devastare il viso di un cadavere.
Timidamente, il sole saliva a illuminare la Costa Smeralda ancora immersa nel sonno. Nella lussuosa villa a ridosso del mare il silenzio del mattino fu interrotto dai bip della sveglia. Rapida una mano la spense. L’uomo si alzò. Nudo, percorse il corridoio ed entrò in bagno. Aprì il rubinetto dell’acqua calda. Lasciò l’enorme vasca a riempirsi e andò in cucina. Fece colazione, accompagnando al caffè una fetta di pane imburrata, e corse a chiudere l’acqua. Tornò in camera da letto. L’altro uomo russava sonoro. Lo sollevò senza sforzo, lo portò in bagno e lo fece scivolare nella vasca. Gli appoggiò la testa sul bordo, e tirò fuori da una custodia di cuoio appesa al collo una lametta dorata. Gli alzò il braccio sinistro, incise le vene del polso aprendo un solco vermiglio. L’altro ebbe un breve sussulto e tornò a russare. 10
Gli lasciò cadere il braccio. Gettò la lametta, che descrisse una traiettoria obliqua prima di depositarsi sul fondo della vasca. Guardò il liquido cambiare lentamente colore, dal rosa tenue al rosso, sempre più intenso. Attese un po’. Gli appoggiò le dita sul collo, il battito era cessato. Ripulì accuratamente la casa. Raccolse le sue cose in una sacca impermeabile e se la mise a tracolla. A piedi nudi, con indosso solo il costume, discese la tortuosa scalinata che dalla villa portava alla spiaggia di ghiaia. Si immerse in mare e nuotò per alcune centinaia di metri prima di uscire sulla sabbia. Camminò sopra la passerella fra gli ombrelloni dello stabilimento balneare. Andò al banco del bar che stava aprendo in quel momento. Il barista, abituato alla sua presenza mattutina, lo accolse con un sorriso e si apprestò a preparargli il solito cappuccino ricco di schiuma. L’uomo prese la tazza e guardò il mare con dispiacere, pensando che quello era l’ultimo giorno di vacanza. Nel pomeriggio un volo charter l’avrebbe riportato negli Stati Uniti. Il barista appoggiò il gomito sul bancone e il mento sulla mano e lo osservò mentre si allontanava. Ammirò quel corpo alto e flessuoso, quel fisico scultoreo costruito con cura, che faceva impazzire le donne. E gli uomini.
Nel bilocale di piazza Aldrovandi a Bologna erano le prime luci del giorno. I due avevano smontato, pulito e rimontato un paio di grosse pistole, un fucile di piccole dimensioni e alcuni caricatori. Infilarono le armi fra i panni di due borsoni e uscirono. 11
Dal terzo piano scesero giù per le scale senza chiamare l’ascensore. Dalla piazza raggiunsero a piedi via San Vitale, fermandosi ad attendere l’arrivo del 25. Montarono sul mezzo. Poca gente a quell’ora del mattino, la città si stava svegliando lentamente. Timbrarono i biglietti e senza sedersi aspettarono l’arrivo alla fermata della stazione. Raggiunsero il treno giusto in tempo. Dovettero attraversare un paio di carrozze per trovare i loro posti prenotati, e si sedettero di fronte a due suore paciose. «Dove andate?» chiese una delle due. «Vacanza», risposero in coro.
La lama di luce tagliò la grata della finestra. Andò a colpirgli la cicatrice sulla placca metallica inserita nell’osso occipitale. Lui dormiva placido. All’improvviso udì il rotore aumentare di giri per consentire all’elica di avvitarsi nell’aria e sollevare l’Huey dal suolo. Intravide un bambino, ai margini dello spiazzo annerito in cui era atterrato. Lanciò un urlo e si svegliò. Una mano delicata accarezzò la fronte di Mister B., che si calmò all’istante. Andrej Niktovič gli sorrise, e andò a togliere la resistenza elettrica che aveva riscaldato l’acqua di una scodella d’alluminio. Versò nell’acqua qualche cucchiaio di Ricoré, la miscela di caffè e cicoria. Zuccherò, mescolò e riempì fino all’orlo due tazze di plastica. Una la porse a Mister B. Era un mattino d’inizio estate. Un altro sole sorgeva sull’enorme penitenziario di Fleury Merogis, in avenue Des Peupliers, nelle campagne a sud di Parigi. La luce serpeggiò tra le mura diradando la nebbia del sonno. L’angoscia tornò. 12
La guardia del rond point iniziò a giocare con i pulsanti dell’interfono. Nei cubicoli scaturì il solito fischio, metallico e stridulo. Attraversava i timpani ed entrava nel cervello, dove restava per parecchi minuti anche dopo essersi interrotto. Un buon metodo per scuotere il sistema nervoso dei reclusi. L’esasperazione continuava, gli arabi iniziavano la giornata con le fumigazioni, accendendo i papier d’Arménie. Ognuno strappava da un blocchetto un foglio e gli dava fuoco. La tintura di benzoino di cui era imbevuto evaporava, sprigionando un profumo dolciastro di vaniglia che si mischiava con il lezzo mattutino dei bisogni dei carcerati, l’aria diventava irrespirabile. Quella puzza incrostava le mura e le narici. Chi passava da Fleury l’avrebbe ricordata a vita. Non c’era modo di impedire quel rito, perché gli arabi confidavano nelle sue proprietà esoteriche di allontanare avversità e spiriti maligni. Mister B. e Andrej Niktovič si prepararono per l’ora d’aria. Alle otto e quattordici il maton rond point, la guardia che dalla rotonda d4 scandiva la vita di quella parte della prigione, annunciò l’uscita. Pigiò i pulsanti numerati delle celle e le porte blindate della sezione si aprirono. I detenuti saltarono fuori prima che i cancelli venissero richiusi, e si girarono faccia al muro, in attesa che le mani dei matons li perquisissero da capo a piedi. Terminata la perquisizione si misero in fila e raggiunsero le scale. Al piano terra ruppero le righe sciamando in cortile. Si formarono i capannelli. Andrej e Mister B. raggiunsero Pierre, Hakim e l’ingegnere. Si piazzarono in un angolo del cortile e seduti a terra iniziarono la consueta partita a carte. Mister B. faceva da 13
spettatore, Andrej giocava in coppia con l’ingegnere e Pierre con Hakim. Mister B. alzò lo sguardo, e il suo unico occhio vivo esaminò l’edificio, il cortile e il muro esterno. Ripassò mentalmente la pianta di quella che era considerata una delle più grandi e affollate prigioni d’Europa: il corpo centrale a pentagono, da cui si dipartono i cinque bâtiment a forma di y, di cinque piani ciascuno. Una d a contraddistinguerli, seguita da un numero dall’uno al cinque. Al piano terra le celle per i nuovi arrivati, i detenuti in transito e i lavoranti. Dal primo al quarto piano i prigionieri suddivisi secondo i reati commessi e la recidività. Ogni segmento della y è un’ala del bâtiment, cinquanta celle e cento detenuti. Trecento reclusi per piano, millecinquecento per bâtiment, che moltiplicati per le cinque y fanno settemilacinquecento detenuti. Fleury, la prison, che in quel momento contava più del doppio dei detenuti che avrebbe potuto contenere. L’insieme delle y circondato da un perimetro poligonale. All’esterno due sezioni destinate alle donne e ai minori. L’incavo di ciascun edificio a forma di y che guarda verso l’esterno e dentro racchiude due grandi cortili separati da una spessa rete metallica. Di fronte a ogni passeggio una costruzione con un gabbiotto in cima, dentro al gabbiotto un tiratore scelto costantemente in guardia durante le ore d’aria. Fuori dalla cinta un piccolo centro, interamente abitato dai gendarmi e dalle loro famiglie. Una fortezza munita di sistemi di difesa interni ed esterni insuperabili. L’altoparlante pose fine all’ora d’aria, annunciando il ritorno alle sezioni. 14
I detenuti del bâtiment d4 ricomposero immediatamente la formazione, e in ordine marciarono verso l’ingresso dell’edificio. Come spesso accadeva, la partita a carte si interruppe senza vincitori certi, i quattro giocatori e l’unico spettatore rientrando si diedero appuntamento per l’uscita del pomeriggio. In cella Mister B. si sdraiò sulla branda e si immerse nella lettura di Senofonte, Andrej iniziò i suoi esercizi fisici giornalieri. Nel cubicolo che condividevano, Pierre Bondel e Hakim al-Eddin si dedicarono alla corrispondenza. Scrivevano interminabili lettere agli amici e alle fidanzate. L’ingegnere Luc Daluerre occupava l’ultima cella della sezione. Suo compagno di pena, e solo quello li accomunava, era un pointer, Carl Bouvet. I pointers, cani da punta, la categoria più numerosa fra i carcerati di Fleury: stupratori, specialmente di giovani vittime. Il resto della popolazione carceraria li disprezza, ma la loro consistenza numerica li mette al riparo da ogni possibile rappresaglia. Il compagno di cella dell’ingegnere era molto in là con gli anni, ma le sue voglie malsane stentavano a sopirsi. Luc Daluerre non lo degnò di uno sguardo e si mise a leggere i giornali finanziari. L’alta finanza era la sua passione, ed era stata la sua rovina.
I ragazzi partiti da Bologna arrivarono a Torino. Si somigliavano, carnagione scura, capelli castani tagliati corti e occhi verdi. Un ragazzone alto e corpulento gli andò incontro, prese i borsoni e li guidò verso l’uscita. Qualcuno li stava attendendo in macchina. Vi salirono e l’auto raggiunse corso Giulio Cesare. I tre scesero e l’auto ripartì. 15
I personaggi
Alain Charmot, custode dell’azienda di champagne Alfredo Torre, compagno di Matteo Liboni Andrej Niktovič, mercenario russo, trafficante e orfano Antonio Bonarrigo, studente a Bologna Arevshad Grigoryan, proprietario della Grigoryan Bank Benjamin Bowson, Mister B., ex capitano dei marines, ex trafficante ed ex tossico Bertrand Asseguè, stilista Carl Bouvet, pointer stupratore Charlotte, amica del cuore di Magalì Dario Volpiani, pilota della Forestale con un sogno Diego Garcia (Fernando Sagado), contrabbandiere sudamericano, alias Charles Bronson Dimitri Eleu…, ospite cauto Dino Mainardi, maggiore della Guardia di Finanza Don Gino Bonarrigo, boss della ‘ndrangheta Elio Ciani, stilista Eric Bondel, nipote di don Gino e fratello di Pierre Galatia, ostessa procace Gianni Giunti, sostituto procuratore di Milano Giovanni Cera, barista in uno stabilimento balneare della Costa Smeralda Giulia Bonarrigo, figlia di don Gino e madre di Pierre ed Eric Bondel Giulio Nardi, compagno di Motisi Hakim Al-Eddin senior, druso, nonno del trafficante Hakim Al-Eddin, trafficante islamico Hammude, trafficante palestinese Iekora, terrorista basca Isaac Kempsey, direttore dell’agenzia d’affari International Business Jaco Pastorius, il più grande bassista del mondo Jean Saunier, maton miradeur Jeremy Biren, orfano dagli occhi a mandorla Jeremy Francis, senatore Jill Biren, moglie di Bobby Biren
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Jimmy Levine, ex marine e amico di Mister B., affamato Judy Turner, pittrice in ascesa Khalil Saidani, flic narcotrafficante francese, harkì Kismi Urruela, terrorista dell’eta Leo Cozzi, socio disperso di Luigi Carbone Lezana, terrorista basca Luc Daluerre, ingegnere e industriale incauto Luca Bonarrigo, studente a Torino Luciano Linetti, stilista Luciano Morace, socio di Luigi Carbone Luigi Carbone, boss della ‘ndrangheta, re della coca Luisa Repaci, ospite incauta Magalì, fidanzata di Pierre Bondel Malen, fioraia basca Mario Bonarrigo, studente a Bologna Maru, terrorista basco Matteo Liboni, direttore artistico della griffe Rinaldi Nicolas Valanie, vice di Daluerre e serpente Nizar, trafficante palestinese Oihane, sorella di Kismi dalla voce roca Oswald Lonecker, generale Pasquale Carbone, compare di uno e nonno di un altro Patxi, terrorista basco Paul Vergean, maton Pierre Bondel, nipote di don Gino Bonarrigo Robert “Bobby” Biren, ex generale dei marines Rocco Bonarrigo, fratello di don Gino e spirito gentile Roger Tannier, stilista Roni, custode sovrappeso di banchieri Stefano Motisi, commissario della omicidi di Milano Un anziano signore, faccendiere Un ragazzo di Torino Vincenzo Repaci, ospite incauto Vittoria, moglie di don Gino Vittorio Managò, magistrato ucciso in Calabria Willy Tamroy, marine americano assonnato
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Indice
Lo stesso sole En cavale Dal tramonto all’alba Driadi e Amadriadi Vacanze greche L’amie du cœur Brothers in arms La fame Ocean Vecchi amici
7 23 45 65 91 105 123 147 181 201
I personaggi
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Finito di stampare nel mese di maggio 2011 da Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali per conto di Rubbettino Editore Srl 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)