Salad Days Magazine #35

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Editor In Chief/Founder - Andrea Rigano Art Director - Antonello Mantarro graphics@saladdaysmag.com Advertising - Silvia Rapisarda advertising@saladdaysmag.com

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Photographers Nicola Antonazzo, Luca Benedet, Andrea “CantHC” Cantelli, Arianna Carotta, Francesca Cortese, Vincent Coupeau, Alan Maag, Giuseppe Picciotto Artwork Giulia Brachi Contributors Francesco Banci, Milo Bandini, Marco Capelli, Fabrizio De Guidi, Marco Mantegazza, Max Mbassadò, Angelo Mora (donas), Eros Pasi, Marco Pasini, Davide Perletti, SECSE, Francesco Tedeschi, Valentina Vagnoni, Marco ‘X-Man’ Xodo Stampa Tipografia Nuova Jolly - Viale Industria 28 35030 Rubano (PD) Salad Days Magazine è una rivista registrata presso il Tribunale di Vicenza, N. 1221 del 04/03/2010. Get in touch www.saladdaysmag.com info@saladdaysmag.com facebook.com/saladdaysmag twitter.com/SaladDays_it Instagram - @saladdaysmagazine saladdaysmag.tumblr.com L’editore è a disposizione di tutti gli interessati nel collaborare con testi immagini. Tutti i contenuti di questa pubblicazione sono soggetti a copyright, é vietata la riproduzione anche parziale di testi, documenti e foto senza l’autorizzazione dell’editore.

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Scream Glen Matlock The Wonder Years Satanic Surfers Don’t Sweat The Technique Tony Alva Night Demon Bassi Maestro

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Team Trouble In Laax The Menzingers Comeback Kid The Soft Moon Catania Tattoo Convention 2018 Eyelab Design Volcom Road Rager Saint and Sinners





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NITRO DISTRIBUTION: NITRO.IT - 0464/514098 8


Nitro Distribution - nitro.it

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Txt Marco Pasini

E U S

EIS

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‘NMC17’ non è altro che la ristampa rivitalizzata del capolavoro del 1988 ‘No More Censorship’ degli Scream dei fratelli Stahl. E’ anche il primo album che vede dietro alle pelli un giovanissimo Dave Grohl (che rimpiazzò Stacks e che sarà con il combo di Washington DC fino allo scioglimento), che spero bene voi tutti conosciate. La fotografa Naomi Petersen (che per la cronaca è colei che appare in una foto mentre indossa una maglietta dei Negazione sul loro sito web, dei quali era grande amica e che, ancora per la cronaca, ha immortalato la scena hardcore negli anni ‘80) si è ritrovata il master tape del disco e lo ha passato a Pete Stahl prima che fosse fottuto dalla polvere e dal tempo. Stahl lo ha poi sganciato a Southern Lord Records e le sapienti mani dello 606 Studio del già menzionato Grohl hanno fatto il resto. Quindi posso tranquillamente affermare che si tratta di un’altra occasione per far uscire questo disco. La cover (ma anche il layout) è stata cambiata (così come il titolo), e l’ispirazione per ciò è venuta dall’attivista/artista anti censura Ai Weiwei. Che dire... missione compiuta. Il suono è ancora freschissimo, quell’hardcore veloce e graffiante, con ampi spazi per la melodia e momenti molto catchy. Il lavoro di remix ha dato ancora maggior consistenza a questi 12 brani, energizzandoli a dovere. L’importanza degli Scream è fuori discussione: sono una vera e propria pietra miliare nell’hardcore, e con questo disco raggiungono la perfezione. I pezzi sono tutti delle piccole gemme, in cui la voce di Pete Stahl risulta davvero sentita e potente, in cui l’attitudine la fa da padrone. L’intreccio di cori, il riffing incalzante e la batteria incisiva di Dave Grohl rendono questi brani davvero unici. Le aperture melodiche, il fare sognante di song come ‘Run To The Sun’ sono di un valore inestimabile; scritto durante gli anni di Reagan, quando fu avviata una pesante campagna di censura contro la pornografia (portata avanti dal procuratore Ed Meese) e tutto ciò che potesse anche lontanamente riguardarla (legata a ciò è la grana per il poster disegnato da H.R. Giger accluso nell’album ‘Frankenchrist’ che i Dead Kennedy’s dovettero smazzarsi, a cui gli Scream diedero una mano suonando in un benefit per raccogliere soldi per pagare le spese processuali), questo platter è ancora molto attuale, visto che le cose non sono cambiate per niente. Sono passati molti anni, ma questo disco rimane intoccabile.

SCREAM

‘NMC17’

(No More Censorship) - LP (Southern Lord Records) southernlord.com @southernlordrecords @TwatterLord

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SINCE 1922

Distributore per l’Italia: Blue Distribution www.bluedistribution.com contact@bluedistribution.com

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Txt SE©SE

La Puglia è una regione particolare, molto estesa e con diverse città che hanno fermento in ambito Graffiti. Da moltissimi anni, un personaggio di rilievo tra i writers del “tacco dello stivale” è di sicuro GIOSE, con cui ho il piacere di fare due chiacchiere. SD: Ciao GIOSE, intanto ti ringrazio della disponibilità. Comincio con una domanda di routine, ovvero: come hai conosciuto i Graffiti e come hai scelto questa tag. Ti ha accompagnato da subito od inizialmente scrivevi altro? G: I Graffiti per la prima volta non li ho visti “dal vivo” ma tramite eventi casuali e foto stampate. Li ho conosciuti all’inizio degli anni ’90, grazie ai miei amici skaters. Giravano magazines, dove ogni tanto sullo sfondo c’era un pezzo o un tag. Sempre in quel periodo (1990 - 91) venne fuori il diario scolastico Uniform, che era poi in realtà Subway Art. Ricordo che sfogliandolo, quel 2MANY di DONDI, cambio’ completamente la concezione di tutto. Fu un flash.

Fino a quel giorno avevo fatto “tentativi” di Graffiti, ma dal ’91 la cosa divento’ seria. Lo skate non faceva per me, perchè ero fondamentalmente negato, ma ne conservo la mentalità che ritengo molto attigua alla mia concezione di Graffiti. La tag iniziale era JOSE, senza accento, un tentativo ispanico-barese di gioventù. Ricordo che IAVE, un amico che davvero mi insegno’ l’abc dei Graffiti , mi disse “ma perchè non lo scrivi con la G”?. E’ così è stato, come la squadra del cuore, te la tieni per sempre. SD: La variazione tra GIOSE con la “I” e GYOSE con la “Y” è stata caratteristica di determinati periodi o random? G: Tutto molto random, adesso uso spesso il vezzeggiativo GIOSEY. Sarà la demenza senile o la voglia di restare ragazzini per sempre. Ma sono quei classici names games che da sempre ci sono nei Graffiti. SD: Vorrei parlare delle crew storiche a cui appartieni ed in generale quelle della tua zona, ma prima di proporti una lunga ricostruzione (che affrontermo

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più avanti nell’intervista) dove ti chiederò di “far un po’ di ordine”, per evitare di iniziare questa chiacchierata con un “groviglio” di informazioni troppo pesante da leggere, vorrei partire dalla fine, ossia parlando quindi dell’ultima crew di cui sei recentemente diventato membro assieme ad alcuni tuoi amici. Si tratta della TFP, The Fantastic Partners, un gruppo di spessore con all’interno tra i vari veterani dei Graffiti, due writers molto noti a livello mondiale ma abbastanza conosciuti anchi in Italia già dai ‘90 per le loro visite sulla metro della Capitale: il tedesco MILK e SENTO di New York. Immagino che, senza niente togliere alle altre tue crew, ti inorgogliosisca parecchio scrivere TFP. Ti va di raccontarmi com’è andata, come siete entrati in contatto e poi in crew assieme? G: Inutile dire, che la cosa mi inorgoglisce tanto. Ma non è la classica medaglietta sul petto da sfoggiare, qui è successo qualcosa di diverso. Sono nati rapporti di amicizia e una stima reciproca cha ha portato tutti sullo stesso piano. Ci conosciamo da anni e ci scambiamo visite da tanti anni. Quando


nziali. I Graffiti sono autorefere noi Sono fatti per piacere a e quelli come noi. SENTO ci dice che qui a Bari sente rivivere quello spirito appartenente alla NYC che fu, e che rivede in noi quello che erano loro alla fine degli 80’s, quasi ci scappa la lacrimuccia. E’ un caso anche strano, perchè una intera crew è entrata in un’altra crew. Tante cose in comune, dall’attitudine nel dipingere al modo di vivere la vita e le rispettive città. Con Mickey, Jake ma ultimamente anche con Sel ci si vede di continuo, ma questo accade da anni, prima che nascesse l’era social e tutto quel che ne comporta. Alcuni di noi all’inizio dei 2000 andarono a vivere in Olanda, e fu subito amicizia con alcuni di loro. Un rapporto che dura da anni. Inutile inoltre dire che i TFP sono stati i libri di scuola per tutta Europa, noi compresi. Se parliamo della storia dei Graffiti dopo il periodo del mega buffin’, il buon SENTO, fu colui che i primi europei trovarono sui treni e successivamente sui clean trains dall’87 in poi. Il migliore ambasciatore che NYC potesse trovare. SD: E se a Bari accanto ad alcuni pezzi si può leggere la sigla della crew internazionale TFP, in provincia,

ad Altamura si possono leggere TDS, (altra crew internazionale di cui voglio ricordare l’esponenete newyorkese PART1) e CFH, della quale un membro è CES53, che è pure in TFP! Una cosa davvero curiosa. Coincidenza o hai qualche aneddoto da raccontare su queste connection estese anche ad altre città pugliesi? Pare che la Puglia sia particolarmente apprezzata dai kings esteri insomma. G: Credo che i social media abbiano messo solo i riflettori su una cosa che va avanti da anni e anni, ovvero i nostri rapporti con i nostri amici sparsi per l’Europa. Una cosa che tanti percepiscono diversamente quando sono qui, è il fatto che per noi non è fondamentale dipingere con chi ci viene a trovare. Tutte le persone di cui sopra ci dicono che in altre città li scarrozzano a destra e a manca per dipingere quanta più roba possibile con loro. Per noi non è così, noi ci teniamo al passare il tempo assieme, se poi viene il pezzo è perchè è una cosa naturale, ma l’importante è vivere la vita con chi ha affinità con noi. Questo è sempre apprezzato da tutti. L’ultima volta che EGS è venuto a trovarmi siamo andati allo 13

stadio, siamo andati a mangiarci il pesce crudo, grandi ciucche e avremo si e no fatto un pezzo in vari giorni. E’ un rapporto di stima e amicizia tra persone simili, tutto qui. Ricordo una sera, con BLADE (lui portato in Puglia dai ragazzi di Kings Of Green) , ci siamo scolati una bottiglia di whisky, ridendo come matti fino all’alba parlando di ogni tipo di cosa e alla fine ci disse, “è come se ci conoscessimo da sempre”. SD: Dato che abbiamo parlato di writers di altri Paesi, va detto che sono davvero innumerevoli i personaggi potenti passati di lì da tutta Italia e dall’estero, come ad esempio JAKE di Amsterdam. Generalmente i writers stranieri che vengono in Italia sono attratti dalle città con la metro, che a Bari non c’è, eppure avete avuto un sacco di visite. Puoi raccontarmi un po’ chi è passato nella tua città e quali sono i motivi che secondo te hanno portato tutta questa gente dalle tue parti? G: Mickey e Jake sono nostri amici da decenni, ma anche PETRO, ZEDZ, SAME, SEARCH, lo stesso SENTO


è venuto più volte, SEL, RHED, EGS, CESAR, FORM76, e altri. Tanti vengono perchè possono passare bei giorni in un bel posto e fare bei Graffiti, mangiare e vivere bene. Quando parti già con questi presupposti, non è male. Eppure come dici giustamente, potrebbero preferire altre mete, “graffitisticamente” parlando. Non voglio che sembri superbia, ma tutta questa gente per voler conservare rapporti decennali vuol dire che ha trovato interlocutori all’altezza, da tutti i punti di vista. SD: Se ne parlava poco fa, sono innumerevoli i visitatori di Bari, segno che è un posto sicuramente molto amato, immagino anche da chi la vive. Solitamente ogni persona è legata alla propria terra, ma quando si tratta di un posto col mare, forse ancora di più. Vorrei chiederti quindi, esulando dai Graffiti, di descrivermi il luogo dove stai, com’è vivere in una città marittima, cosa ti piace di essa, e cosa non ti piace. G: Mi piace molto Bari, pur avendo possibilità di lavorare fuori, anche con ottime proposte, ho scelto di tornare a lavorare e vivere qui. A volte il tempo e una buona qualità della vita, che non è quella che calcola Il Sole 24 ore, ma quella che noi ci costruiamo, sono fattori importanti, più dei soldi. Bari è una città, che a parte il pattume nazionalista che abbiamo in ogni posto, non conosce razza, essendo un derivato di russi, arabi, turchi, greci, albanesi. Non conosce classe sociale, infatti come spesso dico, bisogna sapere parlare con tutti, dal boss del quartiere al sindaco. Possono sembrare luoghi comuni, ma quando uno nasce col mare a vista, difficile che ne possa fare a meno. Bari ha forma stretta e lunga, quasi come se si adagiasse sul mare. Mi piace anche quell’attitudine che trovi pure a Roma, a Napoli, e nel Sud in generale, di non prendersi sul serio, di avere come priorità la felicità e il divertimento rispetto ad altri aspetti della vita quotidiana. Ho una visione edonistica della vita, e come me molti miei concittadini. A volte, sovrastrutture, possono essere buttate giù, con un bel “ma che cazzo me ne frega a me di te, faccio di testa mia”. Di Bari non mi piace, l’esagerazione di questo mio ultimo concetto, ovvero il comportamento arrogante e ignorante di gente che di esser felice non ne vuole proprio sapere. Non sopporto le pastelle fatte negli ambienti vicini a strutture e istituzioni “culturali”, c’è tutto un giro di gente che si spalleggia l’un l’altro solo in attesa che il politico o il potente di turno gli dica cosa fare.

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SD: Torniamo a parlare di Graffiti. Hai superato i 40 anni e dipingi ancora alla grande, non mancano stile e costanza, qual è la tua formula? G: Formula... facile. Dipingere quando e come mi va. Mai forzare nulla. Se vado più volte alla settimana è perchè mi sento di farlo, mi diverto, mi piace, è una parte di me. Molto più facile di quanto sembri. Anche qui sono riuscito a crearmi quella porzione di libertà che mi porta al poter anche dire: “oggi me ne vado a farmi un bel pezzo”. Tornando a quanto detto prima, noi siamo un po’ quelli che non hanno mai smesso, e quelle persone che ci vengono a trovare sono un po’ come noi. Anche il fatto che io e gli altri siamo sempre alla ricerca di spot illegali nuovi, da aprire… scoprire è un buon metodo per tenersi giovani... SD: Nell’osservare alcuni elementi dei tuoi lettering credo tu sia un amante delle forme newyorkesi anni ‘80; ciò nonostante, la cosa a mio parere molto interessante è che i tuoi pezzi, riescono ad essere freschi, insoliti ed originali pur mantenendo un sapore “classico”. Personalmente ho individuato un paio di caratteristiche che li contraddistinguono e di cui vorrei mi parlassi un po’: la prima cosa è il loro flusso; raramente i pezzi hanno un’altezza costante tra una lettera e l’altra; nella maggior parte dei casi, vanno sù e giù, ad esempio partono magari attaccati a terra e poi si alzano. Un’altra caratteristica che ho poi notato è che li mantieni abbastanza “minimali” nel modo di colorarli, usando tinte “piatte” e nessun design se non qualche bolla, spesso non fai lo sfondo o comunque non ne fai molto (qualche bolla anche lì), e svariate volte non usi nemmeno i riflessi. Ti rivedi in questa analisi? Come hai sviluppato il tuo stile e queste caratteristiche? G: In linea di massima hai centrato tutto. Per quanto riguarda la cura dei pezzi, deriva dal fatto che non sono paziente e ci devo metter poco a fare un pezzo. Fa un po’ parte di quell’attitudine da “lungolinea” che è stata il mio personale album da disegno negli anni e quindi fare un graffito significa lasciare una traccia e non un lavoro. Se ho un pomeriggio libero, mi faccio due pezzi fatti a modo mio, rispetto a un pezzo singolo fatto come dicono gli standard. Per l’andamento, siamo un pò tutti fatti così, ci piace “ballare”. Seriamente parlando, siamo e personalmente sono un pò figlio appunto di quella NY che va a cavallo dei fine ‘80 e inizio ‘90 che fece fuori un po’ di canoni precedenti. Personalmente, il fatto di miscelare forme tondeggianti a stick e bars, è perchè 15


io sono così. Mi piacciono quelle due cose lì. SD: Non mi vengono in mente tuoi pezzi con l’ombra, ma sempre con il 3d, confermi? G: Yes, sir. SD: Sempre parlando delle tue lettere, ho notato che ami fare l’outline molto fina. Utilizzi skinny od original? G: Sempre originali. Non sono uno che cerca questo o quel tappo, questa o quella marca. quello che trovo uso. SD: Che spray usi? Marche “da Graffiti” o anche quelli “da ferramenta”? G: Di tutto, posso dire di avere un debole per le Happy Colors con tappo originale. Quando spruzzo con le Happy e vedo quel tratto greve, mi pare di essere uno che guida col cambio manuale, quando tutti invece vanno con l’automatico. Quel tratto così non definito, credo che nell’inconscio ci riporti a quei ragazzini che 40 anni fa ci hanno cambiato la vita, inventando tutto. SD: Per quanto riguarda gli sketch, ti piace farli, ti eserciti su carta o preferisci l’approccio diretto sulla superficie che dipingi? G: Per me sono valide tutte le cose. Mi piacciono gli sketch, anch’essi fatti col vecchio piglio. Un po’ come quel famoso 2MANY. Però molto spesso mi trovo sul muro a modificare in corso d’opera mentre traccio. Vale tutto. SD: Per te, come deve essere un pezzo per funzionare? G: Non mi sono mai interessato alle opinioni altrui, se non a quelle persone che la pensano come me. I Graffiti sono autoreferenziali. Sono fatti per piacere a noi e quelli come noi. Un pezzo per funzionare deve avere per me, come già detto un mix di curve e geometria. SD: Che importanza dai alle foto? Relativa o fondamentale? G: Negli anni ho lasciato un tot di cose non documentate, adesso è più facile perchè ho sempre l’Iphone con me, altrimenti sarebbe lo stesso. Le cose più belle sono quelle che poi scopri e che magari non avevi mai visto. La documentazione, se fossi più ordinato e raziona-

le, sarebbe un fattore importante, ma non per me fondamentale.

mente immerso nel quartiere dove sono nato. Nulla di meglio.

SD: Invece dei throw-up che mi dici? Ti piacciono? G: Assolutamente si, diciamo che anche qui, ho provato a metterci del mio, usando da anni il famoso “Due piani” che è il mio marchio di fabbrica. Anche qui, classicità con un tocco mio.

SD: Dopo un sacco di anni di attività avrai sicuramente avuto modo di conoscere bene il panorama italiano ed anche parte delle scene estere, quali sono i writers della “Golden Age” che ritieni particolarmente influenti e determinanti per il panorama dei Graffiti italiano o mondiale? E se ti chiedessi di identificare qualcuno delle generazioni attuali invece? G: E’una domanda complessa, richiederebbe tempo e pazienza. Ritengo più facile dire quali sono state per me le maggiori influenze e anche qui, dovrò provare per una volta ad avere il dono della sintesi. Se parliamo d’Italia, CKC, PWD, MT2/ETC, CMC, SPA, TKA e il mio amico IAVE, erano quello che io ammiravo appena iniziato nel ‘91. Con quasi tutti poi ci sono diventato amico. Sopratutto coi CKC, con RAE, SKY, SHAD, KID, poi è nato uno splendido rapporto di amicizia. Ma amicizia vera e condivisione di Graffiti, cene, birre feste c’erano e ci saranno con i THE di Roma, con i PIARZ, con i ragazzi di Ancona coi quali ho anche convissuto per alcuni anni della mia vita, con i LORDS OF VETRA coi quali ultimamente ci stiam vedendo spesso, ma altrettanto spesso mi vedo/ sento con GOLDIE, LAUDA e DRU che sono tra le migliori persone che io abbia mai conosciuto in questo mondo, con loro è nato un feeling eccezionale. I Graffiti sono belli perchè ti permettono di conoscere tanta gente con dei bei pensieri. Tu parli di “Golden Age”, ma nella mia testa, la Golden Age sono COMET, BUTCH, BLADE, PART, DONDI, SKEME, CHAIN3, BILLY 167, DON 1, BABY 167 e potrei andare avanti per ore.

SD: Ho cominciato a vedere le tue cose negli anni ‘90 viste su varie fanzine, tra cui la storica Aelle, e pure di persona a jam (meeting di writers n.d.r.) altrettanto storiche, come il “Juice” di Ancona. Ora come ora, frequenti ancora le jam o dipingi prevalentemente nelle tue zone? Credi anche tu come me, che salvo rari casi, difficilmente in Italia rivedremo le enormi convention di Graffiti dei Novanta? G: All’epoca le jam erano l’unico modo per entrare in contatto con altri writers. Avevano un grande fascino, se penso che nel ‘96 partii tipo con 10 mila lire e lo zaino pieno di Belton per andare a dipingere al Livello (storico centro sociale bolognese n.d.r.), dove vidi dal vivo PURE, del quale avevo solo visto un pezzo stupendo su True Colorz, era proprio un’altra roba. Mi piacerebbe se qualcuno provasse a rifare quei mitici meeting di metà anni ‘90, ma ci vogliono pazienza e soldi. I produttori di spray adesso piuttosto che sponsorizzare eventi del genere spingono su video e contenuti social. Non che questo sia sbagliato e quell’altro sia giusto. Sono solo i tempi che cambiano. SD: Jam a parte, anche nelle tue zone mi sembra che dipingiate in capannoni abbandonati. Questa cosa è cominciata parecchio tempo fa ma è andata a diffondersi sempre di più negli ultimi dieci anni circa, perchè negli Hall of Fame i pezzi magari sono più in vista, ma dopo pochi mesi vengono ricoperti da altri pezzi, mentre negli edifici dismessi o mai finiti di costruire almeno restano ed in più a volte sono al coperto e ci si può dipingere con la pioggia. Quanto dipingete in Hall of Fame e quanto in vecchi stabili? G: Beh sul discorso dei posti abbandonati, possiamo dire di essere stati tra i primi di tutti. E abbiamo pianificato talmente bene la cosa, da andarci dentro in più persone ed in pochi giorni dipingere interamente intere fabbriche o capannoni o lungolinea o strutture dismesse. Ultimamente ho ripreso a dipingere dopo 20 anni la mia Hall of Fame personale ovvero il lungolinea Fs a nord di Bari, tutto illegale, ma completa-

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SD: Pensi di aver avuto delle influenze o comunque aver appreso da qualcuno determinate “nozioni chiave”? G: Delle mie influenze e maestri ti ho già parlato nella precedente domanda. Posso dirti che una parte importante delle influenze e carica me la danno gli amici di sempre. MESTMOVE, il vero re di Bari, un matto col cuore d’oro, il mio migliore amico e un grande artista. SOAP, mio fratello, siamo cresciuti assieme, Graffiti Originali al 100%. PATCH, il più grande colorista, il writer che ammmiro giorno dopo giorno. MOSHE, la cultura e la conoscenza. WHAT4, l’attitudine e la maestria. JUST, la regina delle regine, pannelli su pannelli, muri su muri, anche con lei siam cresciuti assieme, una forza della natura, guardare i suoi pezzi mi riempie sempre il cuore di orgoglio. HULK, l’uomo



più funky che io conosca, qualsiasi cosa tocca lui la trasforma in groove, graffitisticamente parlando. Ma potrei stare ore a parlare degli amici storici GLUE e SET, o dei musicisti QUADRATO1, CREEDA e KEBA, così come LOOP5 , l’uomo che ha tracciato tutto ciò che poi siamo diventati oggi. Siamo una crew speciale, lo dico con orgoglio. Insomma, senza ognuno di queste persone e le loro influenze, io non avrei fatto ciò che faccio adesso. SD: Eccoci giunti a parlare delle crew della tua città… tieniti forte. Questa domanda è molto lunga, perchè come spesso è mia caratteristica, cerco di ricostruire le cose assieme ai writers che intervisto per fare chiarezza e lasciare in eredità a chi legge un documento storico, e facendo questo devo spiegare tutto quel che so per poter poi ottenere delle conferme, dei chiarimenti e delle integrazioni. Conosco abbastanza la scena italiana, ma sono onesto, purtroppo la Puglia è una delle poche regioni che non ho mai avuto il piacere di visitare, pertanto riguardo alla sua scena ho meno informazioni di altre zone italiane e vorrei cercare ora, con il tuo aiuto, di fare un quadro della scena di Bari: “butterò nel pentolone” di questa mia ricostruzione tutti i writers di cui sono a conoscenza e ti chiedo di fare un po’ di ordine, raccontandomi in primis la storia delle tue crew (oltre ai TFP di cui abbiamo parlato ad inizio intervista), e poi quella delle altre formazioni delle tue parti, le loro sigle ed i loro membri. Grazie in anticipo, con questo tuo contriubuto resterà scritta la storia di Bari! Allora, a quanto so, partendo dagli anni ’90, hai fatto parte o ne fai ancora delle crew NCE (già nel ’95 ricordo questa sigla), MG (da circa il 2005/6 coi soci di Roma, Ancona ed Ascoli, TROTA, RIFE, FOLSE, BOIS, DASH, SHAPE, OSKIE, e forse BLAST), CIA, TOP ed HV. Altri 3 writers assieme a te hanno costituito a mio avviso un quartetto molto rappresentativo ed attivo per Bari, con un’attività, correggimi se sbaglio, in particolare fermento nei primi anni 2000: parlo di MOVE, SOAP e JUST… che se non erro è una ragazza. Tutti e 4 siete dell’HV e dell’MG, mentre SOAP e JUST anche della 2AM, assieme a CRE e RATS (di Altamura). Attualmente credo le crew più attive di Bari siano ancora l’HV’S (Hell Vastas) in cui oltre al quartetto nominato poco fa, dovrebbero esserci WHAT4, PATCH, MOSHE e MEST (anche MG ed NCE). C’è poi la CFH (Clowns From Hell) dove ci sono SOFIE (anche lei una ragazza) e poi vari membri che sono anche in HV, come ad

esempio SOAP, anche membro dei CCY (che credo sia una crew più nuova) dove ci sono PERK e BOLE. Per concludere ci sono altri tre nomi che ricordo di aver visto da qualche parte, e credo siano baresi: SHIN2, SNOT e GLUE. Puoi spiegarmi insomma quali sono le crew secondarie e principali e quando e come si sono formate quelle più influenti? G: Tutto più o meno giusto, però piùche i citati ci tengo a parlare dei non elencati, ovvero HULK, mio storico amico, membro essenziale degli HV, uno che i newyorkesi chiamerebbero “Underrated King”. Idem PROTEN, membro con noi di TFP e CFH, il trainbomber per eccellenza, anche lui schivo e segreto, ma con più book di pannelli di mezz’Europa. Ma sempre degli HV hai saltato GLUE e SETONE, due altre punte di diamante. Piccola precisazioni MG nasce nel 1997 e NCE nel ‘93. SD: Come sono i rapporti tra la tua città e le altre scene della Puglia? Oltre alla scena di Bari, nel “tacco” ci sono vari writers; ad Altamura (che è in provincia ma credo sia una piccola scena a sè stante), gli ALEFT, a Foggia ci sono i LIFES, ed a Brindisi le crew, old school o più nuove di cui so l’esistenza (sperando di non sbagliare i nomi) sono tra le altre, AM, KD, TSK, BR, PUF, F-LINES. Poi ci sono varie altre città di cui non so nulla, tipo Lecce, Monopoli, Barletta. Ti va di descrivermi in modo riassuntivo le scene nelle altre città pugliesi per finire la ricostruzione iniziata nella domanda precedente ed avere quindi un quadro completo sulla scena di tutta la tua regione? G: Compito realmente arduo, anche perchè non sono uno attento all’evolversi delle cose. Posso parlare di quello che conosco, perchè di quello che non so, non parlo, nè mi interessa farlo. Non voglio prendere meriti, ma per motivi legati all’età ed al fatto che anni fa il buon SOAP aveva uno dei primi street shop in Italia, che col tempo diventò vero e proprio ritrovo fisso; questi due fattori hanno fatto si che intorno a noi si è fatto gruppo. Dagli ALEFT di Altamura ai TIE di Gioia Del Colle, nella provincia di Bari si è sviluppata una scena, nascosta fino a qualche anno fa, ma che raccoglie una serie infinita di talenti. Partendo da Foggia coi suoi trainbombers (posso citarti BIER) finendo ai ragazzi che dipingono le SudEst in Salento (TONI e Co.), virando a Brindisi con WANY, DOES, BLOW e UOR, salendo nel nord barese coi i 5SK, passando per i miei amici a Sud di Bari, SEME e MOEK, due super talenti e due ragazzi d’oro. Ma

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potrei citarti anche i miei concittadini FLAME, PEST, MR.ESSE, UZY. Devo dire che il livello qui in Puglia, non è così diverso da quello che potresti trovare in una grande città europea. SD: Dopo queste due domande impegnative vorrei farti fare un “sospiro di sollievo”, parlando per un po’ di altre cose che esulano dai Graffiti ma che in questo caso riguardano comunque ancora la tua regione. Ci sono dei personaggi che rappresentano la Puglia e ci tieni a nominare in positivo od in negativo? Io te ne elenco due: Lino Banfi e Nicola di Bari: cosa mi racconti di questi artisti? G: Per assurdo ti dico che mi piace più Nicola di Bari, per il suo non voler essere provinciale a tavolino. Ripeto, se devo trovare un simbolo, ti dico San Nicola ma non perchè io sia cattolico, anzi, ma perchè è un uomo che unisce italiani, turchi e russi. Nero, clandestino, portato qui via mare con la forza e con un furto diventando poi il santo più venerato al mondo, nonchè l’idolo di tutti i bambini, ovvero Santa Claus (diminuitivo di Santa Nicolaus). Uno dei primi veri cosmopoliti. SD: Per quanto riguarda la musica, immagino che oltre a Nicolò di Bari ci saranno altri artisti che conosci ed ascolti, di chi si tratta? G: Non apriamo questa parentesi perchè parleremmo per ore. Ti dico cosa sto ascoltando in questi giorni. Ti faccio dei nomi random: Bad Brains, Beastie Boys, Dj Shadow, Marcos Valle, Black Moon, Can, Tommy Guerrero, Galaxians, Leon Ware, Funkdoobiest, Teruo Nakamura, Sugar Minott, Germs, Husker Du, Rah Band, Tatsuro Yamashita, Dynasty, Rah Band, Stevie Wonder, Crosby Still Nash Young e chiudo con Universal Togetherness Band. Puo andare? SD: Se non erro sei abbastanza appassionato di calcio. Qual’è la tua “squadra del cuore”? G: ”Abbastanza” credo sia ironico. Seguo il Bari e sono stato e in parte lo sono, perchè non si finisce mai di esserlo, un ultrà della mia squadra del cuore. Questo in parte ha voluto dire ulteriori guai sommati a quelli dei Graffiti. La cosa che mi rende orgoglioso è che il logo ovvero il simbolo della mia squadra del cuore è stato disegnato da me: un vero e proprio sogno che avevo sin da bimbo. SD: Posso chiederti che opinione hai della politica italiana? G: Non voglio cadere nella discussione della casta,


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dei ladri e della malagestione della cosa pubblica. Servirebbe una puntata da Mentana. Per una volta rovescio la situazione, credo che molto derivi anche dal fatto che c’è una buona fetta di popolazione italiana che andrebbe presa a ceffoni e sputi in faccia. Io non sono molto per il politically correct, lo si intuisce. Ci lamentiamo dei politici, ma quanta gente di merda che si comporta di merda c’è in giro? Io non sono nazionalista, non ho confini, forse perche i miei avi erano argentini ma l’unica cosa dell’Italia alla quale minimamente tengo è il suo patrimonio artistico e il suo ruolo centrale nella storia degli ultimi 2000 anni. Molte cose le abbiamo inventate noi. Dovremmo rimetterci a creare ed inventare. SD: Invece in cucina quali sono i tuoi gusti? Hai qualche piatto da consigliare? Ti piace cucinare? G: Essendo figlio di cuoco, posso dire che mi piace tantissimo cucinare. Mi piacciono tutti i primi piatti a base di pesce, cosi come mi piace il pesce crudo (a Bari è una religione). Sono un onnivoro, diciamo cosi, non mi tiro indietro a nulla, dalle interiora dei peggiori animali ai molluschi mangiati crudi al volo. Mangiare e bere bene è una parte fondamentale della mia vita. Mio padre, che è cuoco e sommelier me l’ha insegnato sin da bimbo. SD: Se non sbaglio sei anche papà, credo sia una grossa responsabilità ed anche una grossa emozione. Com’è essere un papà writer? Ci saranno tante cose che negli anni potrai raccontare, tante esperienze che altre persone non hanno fatto… G: Ma non cambia nulla, se non nella difficoltà delle azioni notturne che facevi da ragazzo, ma per il resto non sto mica uccidendo nessuno. Anzi è mia convinzione che fino a quando ci saranno gesti di ribellione e di libertà come i Graffiti in parte sono, ci sarà speranza. Un po’ lo faccio anche per loro. Fino a quando ci sarà un bimbo che scrive il proprio nome sulla corteccia di un albero, sul banco di scuola, e poi su un muro, avremo speranza. Sono orgoglioso perchè non usano tanto cellulari e app. Lo ritengo un successo. SD: Siamo quasi alla fine delle domande e torniamo nuovamente ai Graffiti, parlando di Internet. Ho notato che parecchie persone della scena barese hanno Instagram e lo usano abbastanza frequentemente, e come loro anche buona parte del mondo. I social network sono comodi per mostrare ad un

sacco di persone le proprie produzioni, ma ci sono pro e contro. Qual’è la tua opinione riguardo alla rete ed il writing? G: Ma son solo i tempi che cambiano. E’ un media, così come lo erano le fanzine, le mega jam ecc. ecc. Se si facesse un buon uso, nel senso di ricerca, i social network possono essere anche una risorsa. Cioè magari nuove generazioni possono venire a conoscenza di vecchie idee, progetti, l’importante poi è proseguire e vedere le cose anche in concreto e che la cosa non resti solo un like come tanti. Ci sono anche quelli che contano più i followers che le mani strette dal vivo. Ci sono quelli che commentano per professione, quelli che si supportano l’un l’altro, quelli che lavorano a se stessi come alla promozione di un brand. Ci sono quelli che alzano barriere sul “si stava meglio prima” oppure no ai pezzi su Insta, detto inter nos spesso queste critiche più che al mezzo tecnologico sono dovute al fatto che questa gente non c’ha una mazza da postare perchè fa tre pezzi all’anno e forse è meglio parlare al passato rispetto che al presente. Devo dire che noi usiamo i social in maniera anche goliardica coi nostri slang, le dirette folli di Soap, i nostri hashtag inventati, ma anche intelligentemente, scambiandoci foto e commenti con gente che conosciamo di persona, con gente che stimiamo. I tempi di fruizione sono cambiati anche per i Graffiti, adesso è tutto più veloce ma ripeto non ne vedo il problema, anche perchè se faccio un tot di pezzi a settimana, anche scappando dal lavoro o nelle pause pranzo o entrando in posti dove non si puo entrare, ma che male c’è a mostrarlo? Per assurdo c’è un giusto ritorno ed una consacrazione dei Graffiti a discapito del fenomeno street-art, pittorini e madonnari e tutte quelle cagate lì, col proliferare dei social, perchè i social rappresentano la realtà, se c’è qualcuno che fa ed ha una credibilità sul campo, perchè non mostrarlo? SD: Da padre invece, quanto temi internet? G: Ma non lo temo. Mio padre non ha mai temuto il cellulare e mio nonno nè il telefono nè la corrispondenza. E’come per la domanda sulla politica, proviamo a formare persone e figli che sappiano vivere con rispetto per se stessi e per gli altri, un rispetto per il diverso, per la terra che abitiamo e per ciò che ci circonda ed elimineremo un tot di paure. Il progresso serve, basta imparare a usarlo. SD: Vorrei sapere anche cosa pensi che i Graffiti ti

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abbiano dato, cosa ti abbiano (eventualmente) tolto e quanto ti potranno dare ancora. Hai passato tanti anni con gli spray in mano e vorrei sentire le tue parole sul writing. Credi siano la tua passione più grande o ci sono altre cose che li superano? G: I Graffiti mi hanno tolto soldi e una carriera comoda, ma non ho mai avuto un microsecondo di rimpianto. Ho sacrificato lavori, talvolta affetti, ma in cambio ho avuto una visione della vita splendida. I Graffiti mi hanno insegnato a prendermi ciò che voglio anche quando qualcuno mi dice che non si può. I Graffiti mi hanno consentito di conoscere gente splendida, è anche a loro che dedico ciò che faccio. SD: La Puglia ha un sacco di linee private, modelli di treni fighissimi e particolari, FG, FT, FSE e FAL. Anche se è una delle prime cose che avrei voluto chiederti, mi sono tenuto la domanda come ciliegina sulla torta di fine intervista. Mi racconti un po’ della scena dei treni ai “tuoi tempi” ed ora, ed un paio di aneddoti? Immagino avrai più di qualcosa da raccontare. G: Bisogna essere onesti, anni fa era più facile. Sono stato e con me i miei amici, il primo a dipingere un treno FS, FT, FSE (non dico FAL perchè il primo fu LOOP5), Treno Metro FS a Bari. Subito dopo ci spostammo nella provincia per stare un pò piu tranquilli. Non voglio manco fare il discorso da anziano del tipo “i giovani di oggi hanno bruciato le yard”. Sono falsità, le yard sono di chi le dipinge, i tempi ed i metodi di repressione sono più duri. Quindi ben vengano i nuovi. Tornando a me, posso dire che per anni ed anni, mi sono dipinto un backjump vicino casa da 10 minuti. Era realmente pericoloso perchè il treno era in stazione e sul binario dietro passavano gli allora Pendolini ed Eurostar a velocità folle. A pensarci oggi, follia pura. Così come il doversi fare km per andare a dipingere. Oggi non avrei la pazienza di fare nulla di questo. Se ho modo di farlo comodo lo faccio, altrimenti non mi importa. L’ho fatto e ci mancherebbe che a 40 e passa anni mi debba mettere io a trainare il carro. Largo alla gioventù! SD: Bella GIOSE, grazie della pazienza e del tuo contributo, per finire vorrei chiederti se c’è qualche persona che vuoi ricordare e qualche cosa che ci tieni particolarmente a dire. Poi, puoi salutare chi vuoi, se ci tieni, a presto! G: Sarò sempliciotto, ma saluto la mia famiglia, le mie crew, i miei amici. Lungolinea, bar e stadi, mi trovate lì. Ciao, GIOSEY GIOSE.


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Txt Angelo Mora // Pics Rigablood


Non è difficile beccare Glen Matlock in giro per l’Italia (del nord) con l’aria serena del turista di lusso. Il sessantunenne musicista londinese bazzica spesso la nostra scena rock, tra concerti minori nei localini e occasionali comparsate dal profilo più elevato. Lo abbiamo incontrato a Padova, prima di suonare di spalla ai Dropkick Murphys, e un mese dopo in una birreria alle porte di Milano, dove si è esibito in versione acustica. Elegante, disponibile e ironico, il bassista originario dei Sex Pistols si è sottoposto al nostro veloce questionario per fanatici del gruppo di ‘Nevermind The Bollocks, Here’s The Sex Pistols’ – disco al quale ha contribuito parecchio in sede compositiva, prima di “cedere” lo strumento a Steve Jones per le registrazioni e a Sid Vicious… per l’immagine. A voi il gioco della verità con Glen Matlock. O meglio, il gioco delle verità di Glen Matlock. SD: Qual è il più grande equivoco di sempre a proposito… dei Sex Pistols? GM: In realtà era tutto molto più divertente di quanto la gente capisse. C’era chiaramente un che di commedia, nelle vicende della band.

SD:… di Sex (il negozio di abbigliamento di McLaren e Westwood, a Londra, dove Matlock lavorava come commesso da adolescente e dove poi “prese forma” il gruppo)? GM:… che vendessimo cibo.

gruppo pronunciarono parolacce e insulti in diretta, causando enorme sdegno nel Regno Unito)? GM:… che fosse stata preparata appositamente o che avessimo recitato una parte. Avvenne tutto in modo spontaneo, invece.

SD:… di Johnny Rotten? GM:… che sia il leader del mondo libero.

SD:… dello show alla Lesser Free Trade Hell di Manchester del 4 giugno 1976 (a cui, secondo la leggenda, avrebbero assistito anche futuri membri di Buzzcocks/Magazine, Joy Division/New Order, Smiths, Fall e Simply Red e sul quale è stato persino scritto un libro, ‘Il Concerto Che Ha Cambiato il Mondo’ di David Nolan). GM: Suonammo due volte lì: la prima, quella di cui parlate, non c’era nessuno; la seconda, qualche settimana dopo, era pieno. Se ne sono dette tante... L’unico equivoco che ricordi è che gli Slaughter And The Dogs, la nostra spalla al secondo concerto, credevano che sarebbero stati pagati molto di più.

SD:… del vostro contratto con la EMI (“stracciato” dall’etichetta all’inizio del 1977 a seguito dei vari scandali)? GM: Fummo licenziati dalla EMI, ma non dai discografici della EMI; loro ci tenevano a lavorare con noi. Fu il capo dell’azienda, che all’epoca produceva anche sistemi di guida missilistici per l’esercito di Sua Maestà, a farci fuori. Lui andava a cena con la Regina e noi eravamo quelli che cantavano ‘God save the queen, the fascist regime...’, fate voi.

SD:… di Sid Vicious? GM:… che fosse poco intelligente. SD:… di Malcolm McLaren? GM:… che fosse lui a prendere tutte le decisioni. SD:… di Vivienne Westwood? GM:… che avesse davvero qualcosa a che fare con i Sex Pistols. Non le ebbe mai, non le piacevamo. Diceva che Malcolm stesse sprecando il suo tempo, visto che eravamo così scarsi. Aveva quasi ragione. Forse.

SD:… dell’intervista televisiva del dicembre 1976 al ‘Today Show’ di Bill Grundy (dove alcuni membri del 23

SD:… del songwriting di ‘Nevermind…’? GM: Non ci sono equivoci, è quel che è. Quelle canzoni nacquero suonando a lungo dal vivo, che è sempre il metodo migliore. Nella storia di molti gruppi il secondo disco è inferiore al primo, perché per il


debutto avevano avuto più tempo per provare i pezzi in concerto e, una volta trovato un contratto, incidere dei demo ecc. Comunque noi non abbiamo mai avuto il grande problema del secondo album, visto che non lo abbiamo mai fatto. Il terzo disco, comunque, è generalmente buono: non capisco perché le band non lo pubblichino prima, però. Pensateci. SD:… del concetto di “no future”? GM:… che secondo noi fosse una cosa buona. Il vero “messaggio” era che non ci fosse un futuro, a meno che tu ti dessi da fare per costruirne uno da solo. L’ho sempre detto. SD:… della tua dipartita dalla band? GM:… che fui licenziato. Fui io ad andarmene, piuttosto. Non so ancora se fu la mossa migliore, ma le cose andarono così. D’altronde eravamo tutti molto giovani, all’epoca.

SD:… della reunion del 1996? GM:… che la facemmo solamente per i soldi o che fosse “finta”. Non potevamo fingere. Quattro persone che hanno qualcosa di speciale in comune, un qualcosa che nessun altro al mondo possiede: se ci metti in una stanza a suonare, ottieni i Sex Pistols. Tutto ciò era degno di essere celebrato e, secondo me, non andammo male. E comunque gli ingaggi erano buoni. SD:… di Londra? GM:… che le strade siano lastricate d’oro, come molte persone pensano. Ma non saprei, oggi ci passo poco tempo. Diciamo che non è più nebbiosa come nei primi anni ‘60: ora l’aria è più pulita. Vi consiglio di guardare la serie TV ‘The Crown’, su Netflix, per conoscere la storia della catastrofe ambientale del 1952, “il grande smog” (c’era Winston Churchill al governo). L’ultimo nebbione che ricordo personalmente risale al 1963: ero bambino e, allungando il

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braccio, non riuscivo a vedere la mia stessa mano. SD:… della monarchia britannica? GM: Guardate ‘The Crown’. Non posso rispondere per bene perché non ho ancora finito di guardarla. SD:… del punk? GM:… che sia disonorevole, da una parte. E dall’altra che sia in grado di cambiare il mondo o sfamare milioni di persone affamate. Non lo è. SD:… dell’industria discografica? GM:… che “farcela” sia semplice. SD:… di Glen Matlock? GM:… che sia un bravo ragazzo. @GlenMatlockOfficial @glenmatlock1




Txt Fabrizio De Guidi

Forse qualcuno (o forse no) ricorderà la serie tv anni ottanta passata qui in Italia come Blue Jeans, anche se il nome originale era The Wonder Years. Proprio da questo show la band di Lansdale, PA, capitanata da Dan “Soupy” Campbell ha preso il nome. Ormai chiuso in un baule il passato pop-punk, si sono reinventati in un alternative rock che calza loro a pennello, ed il loro nuovo album ‘Sister Cities’ (Hopeless Records, 2018) SD: Ciao Dan, benvenuto su Salad Days Mag. Parliamo dell’album ‘Sister Cities’: quali erano le tue aspettative prima del 6 aprile (il giorno in cui è uscito l’album) e quali sono le tue sensazioni ora che sembra esser stato ben accolto sia dal pubblico che dalla stampa? TWY: Le aspettative possono essere dure. Alzare le tue speranze in una grande, improvvisa svolta può essere straziante quindi cerchiamo semplicemente di impostare le nostre aspettative verso una crescita costante in ogni modo. Vogliamo crescere come musicisti, vogliamo far crescere la nostra fanbase, vogliamo far crescere il numero di posti in cui possiamo suonare, vogliamo far crescere il livello e l’eccitazione delle cose che facciamo per promuovere il disco e tutto sembra che stia succedendo. I nostri fan sembrano amare il disco nello stesso modo in cui noi lo facciamo. Sembra che le persone che non hanno prestato attenzione alla band prima di questo album stiano iniziando a farlo. Abbiamo fatto cose davvero interessanti per promuovere l’album, inclusa la gestione dei nostri pop-up shop in alcune città e alcune sessioni live davvero interessanti. Le recensioni sono fantastiche. La copertura è più ampia che mai. Missione compiuta, immagino. SD: Dimmi qualcosa di più su ‘Sister Cities’: come nasce l’album? Di cosa parli nei pezzi? Quali erano i tuoi obiettivi? E dimmi del modo in cui hai promosso l’album... TWY: Volevamo scrivere un disco che riflettesse le nostre esperienze viaggiando per il mondo. Volevamo raccontare alla gente quanto ci sentivamo connessi a tutti e dell’umanità e della bontà che sentivamo ovunque, di quanto siano accoglienti e gentili le persone e quanto possa essere sciocco caratte-

uscito lo scorso 6 aprile ne è la dimostrazione: un disco che racchiude in sé una serie di immagini, sensazioni, esperienze e momenti (molto spesso negativi, c’è da dirlo) che Campbell e soci hanno vissuto attraversando i cinque continenti, ma che, anche grazie a questi, sono riusciti a superare con la vicinanza delle persone che avevano al loro fianco. Alla fine, serve solo un po’ di speranza per questa umanità.

rizzare le persone con idee stereotipate su quanto siano diversi da te, raccontando una storia attraverso piccoli, sobri momenti di comunanza e simmetria. Le persone riconoscono la propria gioia o il proprio dolore negli altri e agiscono in modo empatico. SD: Perché hai sentito il bisogno di registrare l’album al di fuori della tua città natale? TWY: Veramente non abbiamo registrato un album vicino a Philadelphia dal 2009, ad eccezione dell’EP ‘Burst & Decay’. Ci piace molto andare via da casa per registrare, per essere sicuri di esser lontani da ogni distrazione ed essere totalmente impegnati nel disco mentre lo registriamo. SD: È ancora importante per te Lansdale, la città dove sei cresciuto? TWY: Non sono sicuro di aver capito la domanda, ma il posto in cui sei cresciuto sarà sempre importante per te. Avrà sempre un certo impatto sul modo in cui vedi il mondo. È una parte enorme di ciò che sei e il resto della tua vita lo attraversa in qualche modo. SD: Personalmente amo il tuo modo di scrivere i testi, che vanno dritto al punto. Una canzone che presenti come “la canzone d’amore più pura che abbiamo mai scritto” è ‘Flowers Where Your Face Shoud Be’ dove nel secondo verso appare questa scena dove vedi un uomo e sua moglie… TWY: Era solo una scena a cui ho assistito per circa dieci secondi. Stavamo guidando da San Jose, CR al Vulcano Poas e ho visto questa coppia sul ciglio della strada. Stava piangendo e lei si stava massaggiando la schiena e mi colpì perché mi ero seduto nella stessa posizione alcuni mesi prima, piangendo nelle mie mani allo stesso modo, con mia moglie che mi gratta-

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va la schiena. La simmetria mi ha davvero colpito. SD: Invece, uno dei testi più toccanti che penso sia “They’ll hold your service tomorrow / I’m an ocean away” da ‘Raining In Kyoto’: raccontami di più... TWY: Non c’è molto altro da dire. È proprio lì su quello che ho scritto. Mio nonno è morto. Ero in Giappone invece che al suo funerale. Sembrava una merda. Mi sembra ancora una merda quando ci penso. È doloroso cantare tutte le sere e immagino che continuerà a essere doloroso da cantare per un bel pezzo. SD: L’oceano torna di nuovo nel brano conclusivo ‘The Ocean Grew Hands To Hold Me’, in cui sembri cambiare la tua prospettiva dal pezzo di apertura. TWY: È sicuramente una canzone che ci trova stanchi ed esausti. Penso che sia perlopiù un’ammissione del fatto che tu non possa risolvere tutto, non importa quanto duramente lavori, quanto duramente combatti, per quanto tempo corri… alla fine le cose si rimetteranno in pari e, in quei momenti, è importante fidarsi della gente tu ami e lasci cadere le cose dove devono cadere. SD: Quali sono i tuoi piani in questo momento e cosa vedi nel tuo prossimo futuro? TWY: Abbiamo un tour negli Stati Uniti in arrivo. Cercheremo di raggiungere questa volta ogni territorio per almeno due volte con questo album, quindi ci saranno ancora molti tour da fare. SD: Grazie per il tuo tempo. thewonderyearsband.com @thewonderyearsband @thewonderyears


uto sarà Il posto in cui sei cresci te. sempre importante per patto sul Avrà sempre un certo im do. modo in cui vedi il mon ò che sei È una parte enorme di ci attraversa e il resto della tua vita lo in qualche modo.

THE WONDER YEARS ‘Sister Cities’– LP (Hopeless) Per la Hopeless è uscito il 6 aprile il nuovo lavoro dei The Wonder Years, ‘Sister Cities’, sesto album in carriera per la band di Lansdale, Pennsylvania. Dan Campbell e soci sono ormai distanti dalla collocazione pop punk in cui vengono per comodità e abitualmente inseriti, avvicinandosi a terreni più emo, all’alt rock e al post hardcore, e ‘Sister Cities’ è un ulteriore tassello in questo senso. Brutalmente aperto da ‘Raining In Kyoto’, che parla della morte del nonno, si passa a ‘Pyramids Of Salt’ che parla dell’incapacità di aiutare un amico: basterebbero queste a far capire che il tono settato per il disco è quello riservato ad un’atmosfera oscura e difficilmente positiva, ma che tutto ciò che capita è universalmente interconnesso, le esperienze che ad ogni persona sono comuni a gran parte dell’umanità rendendo chi le vive “città sorelle”. È questo il concept dell’album, attraverso le esperienze personali di Campbell. Ci sono anche momenti più vivaci musicalmente, come in ‘It Must Get Lonely’, dove parla di nostalgia dei luoghi in cui si è vissuto, o semplicemente d’amore, vedi ‘Flowers Where Your Face Should Be’, o chiudendo con i sei minuti di ‘The Ocean Grew Hands To Hold Me’, che Campbell giudica il suo miglior pezzo di sempre, in cui l’oceano è visto come collegamento universale di tutti noi e non come qualcosa che divide, confidando ancora una volta nelle persone, la sola speranza. È quello che vorremmo un po’ tutti, no?

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Txt & Pics Andrea “Canthc” Cantelli M: Magnus (Chitarra) R: Rodrigo (Voce) A: Andy (Basso) SD: Essendo la prima intervista in Italia dalla vostra reunion facciamo prima un passo indietro di tre anni al 2015 a quando avete deciso dopo una lunghissima pausa di riunire la band. Come sono andate le cose? M: La prima proposta ci arrivò appunto nel 2015 dall’ Amnesia Rock Fest che si tiene a Montebello in Canada, eravamo fermi da parecchi anni ed io e

Rodrigo iniziammo a parlare di riformare la band, al momento eravamo solamente io e lui nel gruppo e c’era parecchia indecisione. Sarebbe potuto succedere che avremmo fatto quel festival e che poi nessun altro ci avrebbe poi chiamato a suonare, invece da li sono arrivate altre chiamate (Groezrock, Punk Rock Holiday ecc...) quindi abbiamo deciso di andare avanti con la band, ed eccoci qui di nuovo in tour, come ai vecchi tempi. SD: Ora però siete arrivati alla pubblicazione di un nuovo disco (il disco uscirà 15 giorni dopo l’intervi-

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sta) quale è stato il passo da reunion show a scriviamo nuovo materiale? R: Non c’è stato un punto esatto anche perché io non scrivo canzoni a comando. Scrivo pezzi e poi vedo in quale dei miei progetti possono andare bene, nel periodo in cui ho iniziato a scrivere il materiale di ‘Back From Hell’ per esempio ero ancora membro degli Atlas Losing Grip. Tornando alla tua domanda dopo aver suonato nei festival e dei tour era per noi arrivato il momento di fare una scelta, potevamo dare l’addio definitivo dopo una bella rimpatriata oppure andare avanti con la band e continuare a fare


dischi e come penso avrai capito la scelta è stata la seconda, visto che direi che ci siamo parecchi divertiti a ritrovarci insieme. SD: Questa quindi si può considerare come la seconda “era” della band. Quali erano le vostre motivazioni all’ora (ad inizio anni ‘90) e quali sono le vostre motivazioni oggi? R: Quando sei un ragazzo ed inizi a suonare in una band, tutto quello che vuoi è suonare musica, scrivere canzoni, fare prove e concerti perché è quello che ti piace fare ed in quella che tu hai definito la nostra

“prima era” si era andata a perdere un po’ di quella innocenza che c’era agli albori e da qui appunto venne la decisione di fermarci. Ora invece dopo una lunga pausa rigenerante quell’entusiasmo si è ritrovato, lo stesso entusiasmo che hai quando parti con una nuova band. Ed è proprio per questo che siamo andati avanti ed ora siamo arrivati al punto di pubblicare un nuovo disco, un nuovo inizio ma con il nostro vecchio nome. SD: Anche per via del vostro nome voi siete considerati come una delle band più influenti in assoluto 31

della scena Skatepunk. Come ci si sente ad essere etichettati come band “seminale” e come vedete la scena attuale dal punto di vista musicale? M: Ovvio che non può che renderci orgogliosi essere considerati come una delle band più influenti del genere, questo vuol dire che in passato abbiamo fatto bene il nostro e speriamo di continuare a fare bene anche in futuro. Per quel che riguarda la scena attuale ad essere sincero non sono così tanto informato anche se fatico a trovare qualcuno che mi trasmetta le emozioni che


mi trasmettevano i primi Propagandhi. A: Si c’è una fervente nuova scena Skatepunk e la si può vedere in festival come il Punk Rock Holiday che spingono molto su questa nuova generazione di band. Il genere negli anni si è evoluto e rispetto agli anni ‘90 si è fatto meno melodico e più tecnico. SD: Parliamo ora delle nuove uscite per il momento è fuori 7” ‘The Usurper’, che sarebbe un anticipazione del disco? R: Esattamente, infatti la canzone ‘The Usurper’ sarà poi presente anche nel disco ‘Back From Hell’ ed è

uscito in 7” come primo singolo assieme ad un b-side tratto dalla stessa sessione di registrazioni. SD: Dal poco che ho potuto sentire il nuovo disco sembra essere parecchio veloce, più vicino a vostre uscite come ‘666 Motor Inn’ o ‘Going Nowhere Fast’… M: Praticamente in questo disco ci saranno solamente canzoni veloci, solo un brano sarà in mid tempo. Veloci, tecnici e melodici, saranno questi i Satanic Surfers del 2018. SD: Questa Rodrigo invece è per te, la maniera in cui

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canti nel nuovo singolo ‘Catch My Breath’ mi ricorda molto le linee vocali che usavi negli Intensity, vero? (Per chi non lo sapesse gli Intensity sono stati un gruppo hardcore nel quale Rodrigo cantava a fine anni ‘90) R: Esattamente, infatti questo sarà un disco che suonerà molto hardcore e sarà un ritorno verso le sonorità delle nostre primissime uscite, anche per questo abbiamo scelto proprio questo titolo che rimanda alle nostre origini e al primo disco (il primo disco chiamava ‘Skate To Hell’ il nuovo ‘Back To Hell’).


i, saranno Veloci, tecnici e melodic l 2018.. questi i Satanic Surfers de

SD: Parlando invece di vecchie canzoni, quelle da quale disco vedete che sono maggiormente apprezzate durante i vostri concerti? A: E’ strano ma la reazione cambia notevolmente a seconda delle città, ci sono canzoni che in certi posti non vengono colte e magari la sera dopo viene cantata a squarciagola da tutto il pubblico, non me lo so spiegare. Direi che invece tutte le canzoni che sono presenti in ‘Hero Of Our Time’ sono sempre apprezzatissime, quello è un disco monumentale ed io lo posso dire perché in quel disco non ci ho suonato. (ride n.d.r.)

SD: Mi pare di aver capito che il vostro prossimo disco sarà autoprodotto direttamente da voi, come mai la scelta di rinunciare ad una label? R: Si, il disco sarà autoprodotto direttamente da noi, cioè formalmente sarà marchiato da una label della quale mi occupo io direttamente quindi tutto dipende da noi. Abbiamo fatto questa scelta per lavorare con più tranquillità senza nessuna pressione esterna ed avere il completo controllo sull’uscita del disco. A parte un’agenzia di booking che ci aiuta per i concerti in Europa siamo al 100% una band DIY, che suona e si occupa anche di tutto il resto. 33

SD: Grazie mille per l’intervista ragazzi… M: Grazie a te e ricordate: ‘Back From Hell’ è in uscita dal 13 Aprile 2018 e lo potete ordinare direttamente dalla nostra pagina Bandcamp:

satanicsurfers.bandcamp.com/album/back-from-hell @satanic.surfers.official


T EA E W U T S NIQ ’ N H C O E D T E TH

Martino Cattaneo bs invert Brescia Rigablood


Bruno Hoffman bs 3 wallride Hastings, UK Rigablood


T EA E W U T S NIQ ’ N H C O E D T E TH

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Tony Alva @ bastard bowl

Txt Angelo Mora // Pics Rigablood

alva-skates.com

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@thetonyalva1957


Tony Alva è una leggenda dello skateboard, di cui rappresenta uno dei volti più noti anche al di fuori della cerchia di appassionati. Anzi, per certi versi è IL simbolo di un certo skate vecchia scuola (facilmente opponibile alla sua moderna deriva “corporate”): aggressivo, stiloso, piratesco e con annesso uno stile di vita costantemente sopra le righe. Citando il documentario ‘Dogtown And Z-Boys’, “Tony era il Michael Jordan e, allo stesso tempo, il Dennis Rodman dello skate”. Ma il mito – e tutto ciò che lo alimenta – tende a omettere il rovescio della medaglia, a volte. Il lato oscuro dello skater di Santa Monica è coinciso con almeno un paio di lunghe dipendenze che hanno lasciato delle ferite evidenti: non tanto nel corpo, sostanzialmente ancora asciutto e muscoloso, quanto nella mente. Incontrato a Milano nel corso di un evento Vans, Alva ci ha colpito per la serietà del suo atteggiamento e delle sue risposte. A tratti sembrava quasi che recitasse un copione a memoria, con formule tipiche di certi programmi di riabilitazione. A metà della conversazione, però, un piccolo imprevisto lo ha distolto per qualche secondo dalla propria “missione”: un cameriere gli ha incautamente offerto una birra, strappandogli un sorriso imbarazzato seguito da un cortese rifiuto (“L’alcool mi fa precipitare in un mondo insano e ossessivo. Una birra è fin troppo, ma dodici non basterebbero. Discendo da una generazione di alcolisti: mio nonno, mio padre, tutti gli altri uomini della mia famiglia. Voglio interrompere questo circolo vizioso”, ci spiega poi). In quel preciso momento abbiamo intravisto il lato più umano e vulnerabile di Tony. E ci sarebbe davvero piaciuto dargli il cinque, abbracciarlo e dirgli che, in ogni caso, lui era, è e sarà sempre il più grande di tutti.

ancora Ho sessant’anni e sono . uno skater professionista 39


altri è quella di vivere nel momento, sentirsi a proprio agio con se stessi ed essere felici. SD: Nel corso degli anni hai abbracciato la meditazione, lo yoga o altre pratiche simili? TA: Medito e prego un’entità superiore tutti i giorni, ma non si tratta di una pratica religiosa tradizionale: è qualcosa di molto più aperto e libero che mi rende umile e mi trasmette fiducia. Faccio un po’ di yoga al mattino perché mi aiuta tantissimo per il surf: possediamo un corpo solo per tutta la vita e, invecchiando, le difficoltà a mantenerlo integro aumentano, ma ci si può lavorare sopra. Lo yoga mi rende più flessibile, mi tranquillizza ed io ho assolutamente bisogno di calma per fare le mie cose. Da giovane era il contrario: uscivo di casa ogni giorno con la spada e lo scudo, per modo di dire, pronto a combattere con chiunque… mi buttavo a testa bassa in qualsiasi situazione, anche quelle pericolose: ero convinto che mi sarebbe comunque andata bene, che “qualcuno” mi avrebbe protetto o salvato. Oggi mi esercito a vivere intensamente nel momento e questa tecnica funziona molto bene. L’altro giorno, in Portogallo, stavo per surfare in una spiaggia dove non ero mai stato e con una tavola che non avevo mai provato: con questa predisposizione fisica e mentale, è stata un’esperienza bellissima. Sembra una cosa facile, ma richiede tempo, dedizione e la vera volontà di mettersi in discussione e cambiare. È una filosofia semplice per menti complicate! [ride, nda]

Tony Alva @ bastard bowl

SD: C’è un insegnamento ricevuto e respinto da giovane che hai rivalutato in età adulta? TA: Da ragazzo ero segnato dal concetto di autorità, nel senso che la rifiutavo completamente perché pensavo di sapere molto più cose di quante ne sapessi davvero. Ma ho imparato tanto, da allora, e sto ancora imparando: ad accettare le critiche, per esempio. Sono sempre stato sulla difensiva; magari certe persone volevano aiutarmi o darmi un consiglio, ma io mi offendevo subito. Il segreto è aprirsi alla vita, in generale, e a nuove prospettive. Non mi posso permettere di fare il tuttologo perché non sono

un tuttologo; se voglio essere considerato un vero leader, lo devo dimostrare con le azioni e non tanto con le parole. Così come ha fatto Christian [Hosoi, presente allo stesso evento, nda], ho riparato i danni commessi e ora conduco uno stile di vita pulito e sobrio, in accordo con la volontà di Dio, un giorno alla volta. “Ieri” appartiene al passato, “oggi” è tutto ciò che ho in mano, “domani” è un miraggio: per questo è importante fare la cosa giusta, subito. Provo quotidianamente a esercitare un’influenza positiva su chi mi circonda e ad avvicinarmi a una certa forma di saggezza. La lezione che posso condividere con gli

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SD: Il viaggio continua lungo altre strade, insomma. TA: Per tanto tempo le droghe e l’alcool hanno rappresentato un viaggio spirituale, per me. Ti spari una bottiglia di tequila e un sacchetto di funghetti e poi, cazzo, dimmi se non è un’esperienza dello spirito, quella… purtroppo è solo una sensazione temporanea che, una volta svanita, ti butta giù completamente. La meditazione, al contrario, ti porta in alto e ti riporta a terra con grazia. È un feeling meraviglioso che, inoltre, posso condividere con altre persone, specie quelle come me con delle dipendenze alle spalle e che poi hanno scelto la sobrietà totale. Vivere senza la paura di non poter rinunciare a qualche sostanza è stata la rivelazione più importante. Mi permette di allontanare rabbia, invidia, il bisogno di giudicare gli altri, l’avidità, la lussuria… diciamo pure i sette peccati capitali. SD: Curioso che parli di “paura”. Il tuo modo di ska-


teare era proverbialmente innovativo, coraggioso, temerario. In altre parole, sembrava che non avessi paura di niente. TA: La paura c’era anche allora, ma al tempo stesso l’adrenalina che l’accompagnava era così tanta da trasformarla in energia positiva. Adesso ho altri strumenti per gestire le mie paure, per condurle in luoghi diversi della mia testa rispetto a quand’ero giovane. Non mi sento mai al riparo dall’ansia: si può ripresentare quando faccio surf, vado in skate o suono con la mia band, anche perché sono molto critico con me stesso e le mie attività professionali, ma so di avere una tecnica che mi permette di affrontarla. Devo accettare il fatto che momenti così ci saranno sempre: sono temporanei e, gradualmente, posso tornare al mio abituale stato di pace interiore. Ho sessant’anni e sono ancora uno skater professionista, il che è già un miracolo. O meglio, la dimostrazione che si può durare così a lungo anche in questa scena, ma solo con la giusta attitudine, divertendosi e non prendendosi troppo sul serio. Se pensi che il mondo giri attorno a te, non vai lontano. SD: Ritieni di essere un uomo di successo? TA: Ciò che mi fa sentire davvero felice, e quindi un uomo realizzato, sono la fede in qualcosa di più grande, le piccole cose della vita e l’integrità personale, ma sono a mio agio anche con la mia immagine pubblica. Mi fa piacere essere considerato una leggenda vivente dello skateboard, se è questo che intendi. Dio ha un piano per me e finora è stato un bel piano: amo diffondere a livello internazionale la cultura di Los Angeles e della California del sud, attraverso lo skate e il surf. Sono davvero molto riconoscente per questa opportunità. SD: Che cosa ti manca di più del tuo vecchio amico (e “compagno di squadra” negli Z-Boys) Jay Adams, scomparso quattro anni fa? TA: Il suo entusiasmo, la sua naturale abilità nel fare le cose a cui era destinato, la sua attitudine nei confronti dello skate e del surf: lui li praticava perché li amava veramente, non in cerca di fama o soldi. L’ho conosciuto che era ancora un bambino e possedeva già delle doti mai viste, per uno della sua età. Ha senza dubbio influenzato positivamente un’intera generazione di skater e surfer che, a sua volta, è composta ormai da padri di famiglia. Ogni anno che passa mi manca sempre di più, ma la sua eredità brilla molto intensamente. 41


DON'T WANDER IN THE DARK , WE WILL FIND YOU. 42


Txt Valentina Vagnoni // Artwork Giulia Brachi

La NWOBHM in California. Questi sono i Night Demon. Heavy Metal. Sembrerebbe ci sia poco da spiegare ma in realtà il trio di Ventura ci racconta in quest’intervista come il concetto di revival sia ormai superato: passato, presente e futuro si trasformano in una nuova dimensione spazio-tempo entro la quale i generi musicali non sono la rievocazione del passato. Tutto si traduce in maniera più semplice: quando suoni è la musica a scegliere te, senza pose o sovrastrutture. Che sia heavy metal o avanguardia minimalista, la linea del tempo non minaccia la sincerità SD: Come sta andando il tour? Com’è aprire per una delle leggende dell’heavy metal come gli Accept? ND: Siamo molto soddisfatti di come sta andando questo tour. Ci sono tanti fan dei Night Demon che ci seguono, il che è davvero una gran cosa. Sai a volte il rischio di andare in tour con band così famose come gli Accept è di suonare davanti a tante persone che non hanno la minima idea di chi tu sia. Ma fortunatamente non è il nostro caso. Sin dall’inizio abbiamo incontrato un sacco di nostri fan... SD: Tra i vostri fan ci sono più ragazzi o più adulti? ND: Abbiamo un pubblico abbastanza eterogeneo. Vediamo dai ragazzini di 16 anni che ci supportano comprando i nostri dischi, a persone di 60. SD: ‘Curse Of The Damned’ è uscito nel 2015. Cos’è cambiato in questi anni? ND: E’ cambiato il fatto che siamo più vecchi e più stanchi (ridono, ndr). Siamo stati in tour davvero per lungo tempo ma nonostante questo siamo migliorati molto dal punto di vista del songwriting ed anche dal punto di vista della produzione. Il tempo passa così velocemente quando sei in tour che quasi non hai il tempo di riflettere sui cambiamenti che stanno accadendo. SD: Il vostro ultimo album, ‘Darkness Remains’, è uscito nell’aprile del 2017. Pensate che il vostro sound si sia evoluto in qualche modo? ND: In questo disco siamo molto più concentrati sul sound, lavorando in maniera molto più meticolosa su ogni cosa, fino ad arrivare esattamente a quello che volevamo. Inoltre non c’è una chitarra ritmica.

artistica. Il primo disco dei Night Demon esce nel 2015, ‘Curse Of The Damned’, seguito dalla nuova uscita ‘Darkness Remains’. Due dischi che parlano una sola lingua, marchiata a fuoco da band come Saxon, Angel Witch, Def Leppard, Diamond Head e la lista potrebbe diventare infinita. Eppure la band di Ventura non sembra voler andare sul palco con l’intento di fare una cerimonia che commemori gli anni ottanta. C’è una realtà in cui lo spazio ed il tempo non esistono, lo abbiamo già detto, in quel non-luogo esiste solo la musica. Ed è lì che sono i Night Demon.

Siamo solo in tre. In studio sembra tutto più semplice perché puoi fare quello che vuoi ma quando sei sul palco cambia tutto. SD: E’ stato un processo creativo lungo quello del nuovo album? ND: In realtà è difficile spiegare come si è sviluppata la creazione del nuovo disco perché il fatto di aver passato tanto tempo in tour ci ha reso le cose molto più difficili. Ogni volta che hai del tempo libero vorresti passarlo a riposarti o magari facendo festa, invece devi concentrarti sullo scrivere un nuovo album. Non è così semplice. SD: Quando e come è nata la band? ND: Quando abbiamo cominciato a suonare insieme, nel maggio del 2011, tutto era partito senza particolari pretese. Non avevamo in progetto di diventare una band vera e propria. Ci siamo guardati e ci siamo detti “Hey, scriviamo un paio di canzoni”. Così abbiamo iniziato a comporre alcuni pezzi e alla fine abbiamo registrato un EP, chiaramente facendo tutto da soli, giusto per darlo a qualche amico. Da qui abbiamo deciso di salire sul palco e fare qualche live, finché la cosa non ha cominciato a prendere forma. SD: Quali sono le vostre maggiori influenze musicali? ND: Tutte le band della NWOBHM (New Wave Of British Heavy Metal, ndr) ovviamente. Ma anche tante band americane come Metallica e Megadeth. Ma l’heavy metal non è l’unico genere che ascoltiamo. L’hard rock 70s fa parte dei nostri ascolti. Per esempio gli UFO, come anche i Lucifer’s Friend, i Dust

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e tante altre band meno note degli anni settanta. SD: La maggior parte delle persone parlano della vostra musica in maniera univoca: un sound che richiama la NWOBHM. Questo porta con se i due lati della medaglia: se da una parte il vostro sound vi ha permesso di avere, sin dall’inizio, una forte identità, dall’altra è come se ci fosse sempre il rischio di sembrare una band “revival”. Avete mai pensato a questo? Cosa rispondereste alle persone che vi considerano solo una copia del passato? ND: Che in fondo ispirarci al passato è esattamente quello che facciamo. Le nostre influenze musicali ci portano a scrivere canzoni con quel sound in maniera totalmente naturale. E’ quello che siamo. Essere una copia è tutt’altra cosa, è come copiare un riff, e questo non è quello che accade ai Night Demon. Penso che la nostra identità musicale sia abbastanza personale, per quanto sia identificabile con un genere musicale ben preciso. E alla fine c’è solo una cosa che conta, la sincerità artistica, e questo il pubblico lo sente. SD: Il concetto di “revival” può essere estremamente ambivalente e spesso ridondante, perché ogni genere musicale, a suo modo, è una copia del passato. Non possiamo prescindere dalle influenze musicali, presenti o passate che siano. Cosa ne pensate? ND: Siamo totalmente d’accordo. Noi viviamo attraverso il passato quindi in che modo potremmo distaccarci da esso? Inoltre con l’avvento di internet il mainstream e l’underground sono due concetti che stanno lentamente morendo, così come quello del presente o del passato. E’ come se il tempo avesse


una nuova forma. Tanti giovani scoprono solo ora cosa che sono state fatte nel passato, quindi è come se per loro tutto si trasformasse in qualcosa di nuovo, di contemporaneo. SD: Voi vivete in California, molto vicini a Los Angeles. Pensate che oggi ci sia fermento nella scena musicale californiana? ND: Assolutamente si. In California ci sono sempre state tante scene musicali super attive. Negli anni ottanta l’heavy metal era una delle scene musicali più popolari del mondo, e ancora oggi si sente una sorta di reminiscenza di quello che è stato. SD: Quale pensate sia la scena musicale più “hype” del momento? ND: E’ difficile rispondere a questa domanda perché noi siamo completamente dentro la scena heavy metal e forse sbaglieremmo nel parlare di quello che sta succedendo ora nella scena punk, hardcore o altro. Anzi a volte rimaniamo quasi scioccati quando veniamo a sapere di alcune scene musicali che tornano alla ribalta. Però una cosa che si può dire con certezza è che ci sono sempre meno giovani che si affacciano a quello che è il rock n roll (inteso in senso molto ampio), mentre la musica elettronica sembra essere sempre più seguita. Ma va bene così, non è necessario appartenere alla realtà musicale più popolare del mondo. Jarvis Leatherby (basso e voce, ndr): mi ricordo che quando ero giovane ascoltavo un sacco di Hip-Hop, ma quando andai per la prima volta ad concerto “rock” e vidi delle persone suonare sul palco degli strumenti veri e propri e mettere in piedi uno show a tutti gli effetti, fu come uno shock. È una cosa che ti cambia la vita per sempre. SD: Quali sono le vostre band contemporanee preferite? ND: E’ sempre difficile rispondere a questa domanda… High Spirit (da Chicago), Midnight, Power Trip, Savage Master dal Kentucky, Lady Beast. SD: Tra la parte in studio ed il live show, cosa preferite? Jarvis Leatherby: La parte live senza dubbio. Odio stare in studio, perché sei lì a suonare e risuonare così tante volte la tua musica che alla fine cominci ad odiarla. Mentre stare sul palco è un momento ogni volta unico che ti regala una sensazione di energia

troppo forte per poter preferire lo stare in studio a registrare. SD: Qual è stata la band con cui avete preferito suonare? ND: Carcass, senza dubbio. Siamo stati con loro in tour quindi abbiamo avuto modo di conoscerli bene e abbiamo capito che oltre ad essere una delle colonne portanti della musica sono delle persone meravigliose. Ci siamo divertiti davvero tanto con loro. SD: Secondo voi quali sono le maggiori differenze tra l’andare in tour in America e andare in tour in Europa? ND: A parte la difficoltà del fatto che in America si viaggia molto, lì è tutto molto più facile perché è un paese in cui funziona tutto 24h/24. Per esempio se vuoi lavare i tuoi vestiti alle tre di notte puoi farlo ovunque. Si potrebbe dire che è più efficiente e questo quando sei in tour è fondamentale. Inoltre, nonostante viaggi tante ore, alla fine sei sempre in America. In Europa è differente: suoni in un posto, viaggi di notte, ti addormenti e ti svegli in un altro mondo, con un’altra lingua, altre abitudini, tutto è diverso. Ma comunque è impossibile dire dove sia meglio o peggio. SD: Viviamo un momento storico in cui il mondo della musica sta cambiando radicalmente e sembra sia diventato ancora più difficile vivere facendo il musicista. Quale pensate sia la chiave per rimanere il più possibile all’interno delle scene musicali? Basta avere talento o è necessario avere una buona etichetta, essere continuamente in tour o cos’altro? ND: La cosa più importante è fare del tuo meglio come band, credere totalmente in quello che fai e dedicarti ad esso al 100%, tutto il resto viene dopo. Ogni giorno è una battaglia; si presenteranno davanti a te così tanti ostacoli al punto da farti soccombere se non ci credi fino in fondo. Se vuoi che la musica diventi il tuo lavoro devi accettare davvero tante cose che non vorresti, come per esempio non avere una casa. Se sei sempre in tour non puoi permetterti di pagare un affitto senza motivo, anche perché la maggior parte dei tuoi soldi li investi nella tua band. Alla fine di tutto qualcuno potrebbe chiedere “perché fai tutto questo?”. L’unica risposta che puoi dare è “perché questo è quello che sono”. La vita di un musicista è come un’avventura che non

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finisce mai. SD: L’avvento di internet, positivo o negativo che sia, ha cambiato le carte in tavola. Nel passato dovevi scegliere cosa ascoltare, perché dovevi scegliere come spendere i tuoi soldi, quali dischi comprare. Oggi abbiamo qualsiasi cosa a disposizione; questo secondo voi potrebbe portare, sia musicisti che ascoltatori ad avere una capacità critica meno sviluppata? O peggio, potrebbe portare la capacità creatività ad essere sempre più omologata? ND: Prima che arrivasse internet tutto era diverso: leggevi il nome di una band su una rivista, ne eri incuriosito, andavi a comprare il disco e prima di dire se quel disco ti piaceva o meno lo ascoltavi e riascoltavi. Adesso leggi il nome di una band su internet, ascolti qualche secondo di un brano su YouTube e quei pochi secondi ti bastano per cestinare quella band per sempre. Tutto questo si riversa inevitabilmente sugli artisti. Alla fine siamo noi che dobbiamo cercare ogni modo possibile per sopravvivere, economicamente parlando. Oggi sono prevalentemente due i modi che ti permettono di rimanere a galla: vendere il merch ed essere sempre in tour. C’è anche un altro aspetto di internet, più “positivo” se vogliamo, ossia che tutti possono sentire quello che fai e se piaci avrai sicuramente più persone che ti supportano. Ma l’altra faccia della medaglia è che c’è un sovraccarico così pesante di band che c’è il rischio che tu ti perda nel mucchio. Per quanto riguarda la nostra band, il fatto di appartenere ad una “nicchia” musicale come quella dell’heavy metal ci da quasi la sicurezza di avere un “fanbase”. Ma probabilmente nel resto delle realtà musicali nessuno sa chi siamo. SD: Qual è la vostra relazione con internet? Usate i vinili o ascoltate la musica tramite internet? ND: Quando vivi la tua vita quasi sempre in tour sei costretto ad usare internet, come ad esempio Spotify. Per i vinili bisogna avere tempo e spazio. SD: Siamo arrivati alla fine dell’intervista, avete qualche band da consigliare ai lettori di Salad Days? ND: Si, i Night Demon!!! nightdemon.net nightdemon.bandcamp.com @nightdemonmetal @NightDemonBand


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Indro Martinenghi - fs smith

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Pics Rigablood 47

clashpaint.com


Nicola Vitali - fs air

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unknown su Noyz Narcos

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Domenico Murgolo su Giorgio Bartocci

Indro Martinenghi su Spice

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Nicola Vitali su Mind

Indro Martinenghi su Baser 51


Lion Capras

unknown su ...

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unknown su Beps

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unknown su Beps

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Domenico Murgolo su Spice-Noyz-Giorgio Bartocci

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BASSI MAESTRO Txt Max Mbassadò // Pics Rigablood

downwithbassi.com soundcloud.com/bassimaestro @busdeez @bassimaestro

Milano, Spectrum Store, l’occasione per far due parole con Bassi Maestro sugli stati generali dell’Hip Hop è di quelle davvero speciali, Vans presenta la capsule collection con A Tribe Called Quest, “Two Tribes United”. Ai piatti, quelli veri, quelli che fanno girare i vinili da una vita, l’ospite d’onore è uno di quelli che pesano per

davvero nella storia dell’Hip Hop nostrano: il rinomato producer, rapper e dj milanese Davide Bassi. Nel nome della street culture più raffinata, un block party che rimette i puntini sulle I, riprendendosi quell’identità che in troppi negli ultimi anni hanno saccheggiato: se New York chiama, Milano risponde.

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SD: Visto che ci troviamo alla presentazione di Two Tribes United, la collaborazione tra Vans e A Tribe Called Quest, incominciamo proprio con il chiederti cosa ha rappresentato nella tua esperienza Hip Hop il gruppo del Queens… BM: Tantissimo visto che sono uno dei miei gruppi preferiti che rappresentano la perfezione assoluta per quanto riguarda la produzione musicale nell’Hip Hop. Sono un duo molto dinamico, Q-Tip (Johnatan Davis) da solo con il suo carattere molto mentale e filosofico rischiava di perdersi nei suoi “viaggi”, mentre Phife Dwag (Malik Taylor), R.I.P. aveva un approccio molto più diretto, molto più Hip Hop, che faceva si che la combinazione dei due era veramente perfetta; hanno fatto questi 2/3 album veramente storici che sono nella top ten di sempre…


SD:…il riferimento riguarda anche l’ultimo ‘We Got It From Here… Thank You 4 Your Service’? BM: Beh considerato che è un album postumo che non ci aspettavamo di sicuro ha degli ottimi momenti, anche se poi a metà secondo me diventa un disco di Q-Tip vero e proprio, comunque assolutamente valido. SD: Cosa ti ha fatto scoccare la scintilla dell’Hip Hop? BM: Sicuramente l’arte di mettere i dischi, perché ho iniziato come dj, compravo i dischi di LL Cool J e Dj Jazzy Jeff & The Fresh Prince e ci sentivo gli scratch sopra, li ho capito che era quella la direzione di dove volevo andare, poi dopo ho iniziato anche a scrivere, a fare produzioni, fondamentalmente perché ero da

solo quindi facevo tutto io in sostanza. SD: Quali sono i valori persi nel tempo nella cultura Hip Hop e da dove bisognerebbe ripartire per non perderne lo spirito? BM: Più passa il tempo più tutte le culture e i generi rivoluzionari si perdono per strada, chiaramente non si può mantenere sempre il fuoco su una cosa e preservare lo spirito originale in eterno; per cui secondo me l’unica cosa su cui bisogna stare attenti e non perdere l’aspetto che lega l’Hip Hop alla musica in generale. Adesso l’Hip Hop non è più musica ma è molto apparenza, cioè abbiamo guadagnato in un sacco di contaminazioni ma abbiamo perso un po’ il fuoco sulla cosa più importante che è la musica e i contenuti non ci sono più. Attenzione non parlo di 57

contenuti a livello di messaggio, ma proprio di contenuti stilistici: l’Hip Hop non ha più contenuti stilistici, quando va bene oggi un rapper è bravo a rappare, ma non è necessario, e questo è un problema. SD: …quando ti esprimi così ti riferisci a qualcosa o qualcuno in particolare? BM: Mi riferisco a tutta la musica che c’è adesso senza esclusione di colpi… chiaro che ci sono e ci saranno sempre dei bei dischi che escono, solo che oggi li devi cercare con il lanternino perché buona parte della roba che esce è usa e getta; non si parte più con l’idea di fare musica, ma di fare dei video, di vestirsi in un certo modo, fare soldi, poi dopo la musica arriva in un secondo momento. E questa è una cosa che ha sta togliendo tantissimo all’Hip Hop,


chi cresce oggi con l’Hip Hop nella maggior parte dei casi non sa assolutamente cosa significhi, pensano che sia un’altra cosa… SD: Diciamo che vedi il rischio per l’Hip Hop di fare un po’ la “fine” che ha fatto il rock cioè di diventare forma e non sostanza? BM: Assolutamente sì, il rock, come il jazz e tutti quei generi rivoluzionari, ma è già così. Fortunatamente è una musica che viene spesso riscoperta, come tutti generi passati, magari attraverso un djset, un documentario, un film o semplicemente una collaborazione come quella di oggi; l’importante è mantenere le iniziative di qualità che riguardano l’Hip Hop, è anche il motivo per cui noi facciamo parecchi djset suonando con i vinili cercando dei concept per far capire che non è una cosa che si inventa da un

giorno all’altro, ma ci vuole tempo, pratica… come tutte le cose. SD: Sì ma l’audience di oggi come risponde? Pensi riesca a recepire il messaggio? BM: Eh bella domanda, in realtà la gente si incuriosisce anche, però la maggior parte delle volte non va a fondo nella materia, vede una cosa, non sa cos’è e ti dice figata, si il vinile che figata, però poi non capisce cosa ci sta dietro; sono pochi quelli che poi vanno ad indagare, però come sempre anche ai miei tempi, quanti poi hanno mollato? Quasi tutti… quando nasce una passione sta a chi è interessato documentarsi. E’ così in tutti i campi, dobbiamo lottare per mantenere lo spirito vivo, anche se a me onestamente non interessa tanto predicare, diciamo che lo faccio perché è una cosa che piace a me non la voglio certo imporre a

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nessuno sia chiaro. SD: Però ti dispiacerebbe se si perdesse… BM: Sì mi dispiacerebbe, però ti dico la verità non è affar mio. Io non me la sono persa e anzi continuo a vivermela, per cui visto che io le cose le faccio per me e non per gli altri, sono contento così, se qualcuno capisce che qui c’è del potenziale, sarà lui a svilupparlo. SD: Quanto importante è la dimensione live per un’artista? BM: Molto importante! Ti dirò è il vero motivo per cui faccio ancora della musica come rapper, nel senso che il mio interesse ora come ora per il rap ed in particolare l’Hip Hop italiano dire che è pari a zero è esagerare! Non ho più alcuno stimolo nell’ascoltare


musica rap fatta da altri, soprattutto in Italia. Faccio ancora musica io perché come ti ripeto è una necessità personale, e il motivo per cui la faccio e poi per portarla in giro. La dimensione live è ancora una dimensione che mi stimola molto e finché ci sarà questa voglia continuerò a farlo, quando perderò anche questa sensazione credo che smetterò; produrre musica in studio, secondo me è un po’ fine a se stesso tranne che tu non faccia musica strumentale; il fare rap deve essere collegato al concerto, è per quello che siamo molto pignoli sulle scalette, facciamo uno show, non una sequela di canzoni a caso, tutto ha sempre un senso logico. Chiaro la nostra esperienza non ti regala certo il live più fresco del momento, ma sicuramente ti permette di vedere in azione la tradizione Hip Hop in primo piano; tutti quelli della mia generazione molto bravi hanno

questa possibilità e per me oggi è importante tirarla fuori per compensare quello che i giovani non fanno ovvero fare uno spettacolo. Loro si limitano solo ad eseguire delle canzoni, anche perché magari han fuori un paio di singoli e un album, mentre qui si parla di 20 anni di storia con decine di produzioni sulla groppa, quindi materiale ce n’è e sarebbe davvero un peccato non riuscire a confezionarlo a dovere. SD: Ritornando sul tema dell’Hip Hop italiano, ma davvero non hai più voglia di ascoltarne di nuovo? Nemmeno i remake di “quelli” della tua generazione? BM: Guarda in generale il rap in Italia non mi ha mai interessato più di tanto, nel senso che quelli che veramente mi hanno colpito prima o poi ho finito con il lavorarci assieme; diciamo che l’ascolto non

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lo nego quasi mai, ma lo faccio per lavoro, di solito una volta ma se mi piace anche due, ma ti assicuro che c’è veramente troppa roba in giro, per focalizzarmi su una cosa di cui per trent’anni me ne sono occupato con il lavoro quotidiano in studio: diciamo che lo faccio perché devo, per sentire come suona un disco, però poi l’interesse si ferma li amenochè non sia coinvolto in qualche produzione musicale. Così poi anche la roba americana, ogni tanto esce il disco bello, tipo questo degli A Tribe Called Quest, che è un buon esempio di album che ho ascoltato un bel po’ quando è uscito, l’ho riascoltato dopo e ogni tanto lo ritiro fuori. Si capita che escono quei tre o quattro platter l’anno che meritano davvero, ma purtroppo ho veramente uno smisurato interesse per musica in generale che non posso limitarmi solo al rap, ormai è così da tanti anni e la cosa va da sé.


TEAMINTROUBLE LAAX

Pics by Vincent Coupeau/Alan Maag

vimeo.com/263064066

@teamtroublelaax


Greg Ruhoff over Nick Hanson

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Adrien Marco-fs invert

Aaron Wilmot-fakie blocker

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Sam Becket-fs air

Alex Hallford-kneedown

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Colin Adam-judo air

Alex Hallford-judo air

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George Poole-bs noseblunt

Fabio Martin-fingerflip lien tail

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Nick Hanson-bs tail

Jordan Thakeray-bs one foot

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Simone Cera-stalefish nosepick

Sam Becket-wallbash

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Txt & Pics Andrea "Canthc" Cantelli


themenzingers.com themenzingers.tumblr.com @themenzingers

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Non è usuale iniziare un’intervista ad una band facendo una domanda sullo sport, ma prima di iniziare abbiamo parlato a lungo del Superbowl, in quanto i Philadelphia Eagles (città di origine dei Menzingers) hanno recente vinto questo titolo per la prima volta, quindi...

que si mi capita di ascoltarmelo, ce l’ho salvato nel mio computer. Ascoltare comunque la nostra musica è anche spesso una spinta per iniziare a scrivere cose nuove. SD: State quindi già scrivendo il seguito di ‘After The Party’? T: Si lo stiamo facendo proprio ora in tour, per lo più stiamo buttando giù le chitarre ed un’idea per i testi, cogliendo anche ispirazione da quello che stiamo vivendo. Poi una volta tornati a casa avremo tempo per sviluppare queste idee insieme e trasformarle in vere e proprie canzoni.

SD: Ho visto che l’intera città di Philadelphia è stata in festa per la vittoria degli Eagles, voi, nel mentre, eravate in tour, come avete vissuto questo evento essendo lontani da casa? T: Direi che questa è il lato oscuro dell’essere un band che sta sempre in tour, questo ci permette di scoprire il mondo, ma allo stesso tempo ci fa perdere quello che succede a casa nostra. Negli anni ho perso tanti compleanni, alcuni matrimoni e, ora si, ho perso gli Eagles che hanno vinto il Superbowl. Questo in particolare è stato un evento straordinario essendo la prima volta in assoluto, ho ricevuto centinaia di foto e video del mio quartiere in festa e la cosa si è perpetuata per giorni; proprio oggi la mia ragazza mi ha scritto che spera che prima o poi le cose tornino alla normalità. Comunque successe la stessa cosa anche nel 2008 quando i Phillies (la squadra di baseball) vinse le World Series, anche in quell’occasione eravamo in tour, ormai ci abbiamo fatto il callo.

SD: Tornando ad ‘After The Party’, il tema predominante dei testi è “crescere”, la consapevolezza del raggiungere una certa maturità. Come può avvenire questo processo passando la maggior parte della propria vita stando in tour con una band punk rock?

passati dal furgone al tourbus, inoltre possiamo permetterci di portare in tour con noi i nostri amici in veste di tecnici, roadie e tour manager e questo aumenta il benessere dello stare in giro, condividere questo con le persone che amiamo. Questo poi ovvio comporta anche il riuscire a fare soldi in più discorso che in genere non è bello fare ma ti assicuro che ti fa preoccupare meno, insomma si rispondendo alla domanda iniziale è veramente grandioso essere arrivati a questo punto. Certo non bisogna prendere per scontato quello che abbiamo, la sfiga può arrivare in qualsiasi momento, ma bisogna anche sapersi godere l’attimo. SD: Guardandoti indietro in questi dodici anni di carriera c’è qualcosa che vorresti cambiare oppure sei del partito “rifarei tutto nel bene e nel male”? T: Si direi che sono del partito di quelli che rifarebbero tutto, a volte se ripenso a qualcosa di vecchio magari ci rimuggino sopra per un’ora e nel mentre mi dispiaccio anche ma poi vado avanti. I rimpanti sono solo su cose effimere.

saranno I The Menzigers sono e rock. sempre un gruppo punk

SD: Torniamo a parlare di musica, esattamente un anno fa in questi giorni usciva ‘After The Party’ probabilmente il vostro album di maggiore successo, a distanza di tempo ti capita ancora di ascoltarlo? e cosa ne pensi del risultato finale? T: E’ sempre strano riascoltare la propria musica, io personalmente sono molto autocritico e magari penso che alcune cose sarebbero potute essere scritte meglio se solo si fosse riuscite a provarle meglio, ma nonostante questo il disco riesce ancora a sorprendermi per come suona nella sua interezza. Comun-

T: Facendo questo genere di vita ti manca spesso il tempo per fermarti e riflettere a quello che ti sta succedendo, ma il processo di crescita è inesorabile. Faccio più o meno le stesse cose che facevo dieci anni fa, ma ora le affronto con molta più serenità, questo è merito dell’esperienza che mi sono messo alle spalle. Ovviamente ti guardi attorno e vedi i tuoi amici che si sposano, che mettono su famiglia e non che queste cose a noi ci siano precluse per via del nostro lavoro, ma certo non è facile fare questo genere di scelte quando poi saprai che starai lontano da casa per la maggior parte del tuo tempo. Detto questo il lati positivi sono la maggioranza, cioè in questo momento sono seduto in questo bellissimo “Cafè” di Bologna con te a raccontarti cosa sto facendo, oggi ho camminato per questo bellissimo posto e per vivere suono la mia musica, credo che queste siano cose fantastiche. SD: Durante la vostra carriera, disco dopo disco avete lentamente ma constantemente cresciuto la vostra popolarità, ormai siete arrivati a suonare in locali sempre più importanti come ci si sente? T: Naturalmente non può che farci piacere, siamo

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SD: I Menzingers sono una band che è andata ben oltre i confini del punk rock, credo ad oggi parte dei vostri ascoltatori non abbiano questo background musicale, ma vedendovi dal vivo e parlando con voi noto con piacere che siete una band punk rock al 100%. T: L’attitudine punk rock te la porti dietro tutta la vita, ci appartiene e non la vogliamo assolutamente cancellare. Musicalmente ci si può ammorbidire, urliamo meno rispetto agli ultimi dischi ma come dicevamo prima oltre che come persone ci siamo evoluti anche come musicisti ed ora il sound che ci appartiene è questo. Soprattutto in questi ultimi tempi ci è capitato di vedere persone che ci hanno conosciuti sentendoci per radio e vengono ai nostri concerti per la prima volta e si trovano con loro stessa sorpresa ad un concerto punk, si perchè i The Menzigers sono e saranno sempre un gruppo punk rock. SD: Grazie mille per le risposte. T: Grazie a voi per l’interesse ed il sostegno, aggiungo inoltre che non lo dico per dire ma Bologna in particolare è una delle città che più mi piace in assoluto, è la seconda volta che suoniamo qui ed è stato fantastico passare la giornata camminando per le strade di questa città meravigliosa.


Txt & Pics Andrea "Canthc" Cantelli

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SD: Bentornati in Italia, l’ultima volta che siete stati in questo locale (Rock Planet di Pinarella di Cervia) era il Never Say Die del 2007, 11 anni fa, come ci si sente a rivedere gli stessi posti ciclicamente a distanza di anni? A: E’ molto bello anche perché il fatto di poter ritornare in questi posti implica il fatto che sto ancora girando il mondo grazie alla mia musica e che quindi faccio per vivere quello che amo. Altra cosa positiva è poter poi rincontrare tutti gli amici in giro per il mondo conosciuti in tutti questi anni di tour. SD: Di tutti i concerti che fai ogni anno riesci a ricordare dettagli di ognuno oppure i ricordi si maschiano tra di loro? A: Direi che la maggior parte si confondono tra di loro, ma ricordo benissimo qualche concerto che magari ha qualcosa in particolare rispetto agli altri, magari la prima volta che suono in uno specifico posto od una data particolarmente riuscita.

iniziato a guardarci attorno e la Nuclear Blast è affiliata al nostro booking (Avocado Booking) che ci ha messi in contatto. Ne abbiamo parlato molto tra di noi e sembrava a tutti la scelta migliore, sai noi veniamo molto spesso a suonare in Europa e penso sia importante avere qui un’etichetta che ci possa dare tutto il suo appoggio.

fa.

SD: ‘Outsider’ (il titolo dell’ultimo disco) è una parola molta forte. Lo avete usato per qualche riferimento autobiografico o semplicemente perché faceva figo? A: Questa domanda mi è stata fatta anche un’ora fa, inizio quasi a pentirmi di aver usato questo titolo (ride ndr). Comunque io non mi sento come un “outsider” nel senso esatto del termine, è stato scelto come titolo essendo il titolo della prima canzone presente

SD: Nel corso della vostra carriera avete avuto una moltitudine di cambi di formazione: come hanno influito nel vostro sound? A: Quando suoni in un gruppo ad ogni livello devi essere pronto ad i cambi di formazione, ognuno ha la sua vita e le proprie priorità e a Cambiare batterista ha una grande influenza sull’approcio dei live e penso che Loren (attuale batterista già con i Living With Lions) abbia molto influenzato il nostro stile, il nostro ultimo disco è pieno di parti molto veloci. Curioso il fatto che il miglior chitarrista della band (Ron) con noi suoni il basso.

SD: Quindi essendo spalmati per il Canada e con un’etichetta tedesca dove avete fatto il release show del disco? A: A Toronto, e più che un release show è stato un party di fronte a 150 intimi amici.

pre più Crescendo diventa sem band che è difficile far parte di una i. sempre in tour come no

SD: In questo ultimo tour avete toccato nazioni che per molte band non è usuale visitare, siete infatti stati in Bulgaria, Serbia, Bosnia e Romania: che esperienza è stata per voi toccare per la prima volta questi posti? A: L’idea era proprio quella di fare un tour per visitare posti nuovi e portare la nostra musica dove prima non eravamo riusciti; siamo partiti dalla Grecia e abbiamo fatto per il momento l’est Europa, proseguiremo a sud fino ad arrivare in Portogallo. E’ il primo tour europeo in assoluto nel quale non faremo nessuna data in Germania che è la nazione qui in questo continente dove siamo più conosciuti. Arrivare in paesi come la Romania e la Bulgaria è stata per me la parte più interessante, non so quante altre band riescano ad arrivare da quelle parti. Il pubblico è meno conforme agli standard rispetto ad altre nazioni e questo è bello. Si notano differenze anche nel modo di ballare/pogare ai concerti, è bello vedere cose nuove dopo tanti anni.

SD: Insomma in questo tour non siete stati in Germania, però ora vi siete legati molto a quella nazione avendo firmato un contratto con un etichetta tedesca (Nuclear Blast Records): come è scaturita questa scelta? A: Si dopo quattro dischi sotto Victory Records si è esaurito il nostro contratto con loro. Abbiamo quindi

sul disco. Il concetto che vuole esprimere è quello di sfidare te stesso e le tue stesse idee e non scoraggiarsi nel tentare di perseguirle. Un significato positivo insomma. SD: Voi venite da una città piuttosto piccola del Canada come Winnipeg (Manitoba) che negli anni ha però proposto tante altre band interessanti come appunto voi, i Propagandhi, High Five Drive. Come sono le dinamiche della scena in un posto del genere? A: Io sono cresciuto proprio a Winnipeg anche se ora non ci vivo più e mi sono spostato a Toronto, alcuni membri della band stanno a Vancouver, siamo quindi spalmati per tutto il Canada. Il bello di Winnipeg era il fatto che quando ero giovane c’erano molti concerti nei quali potevi vedere insieme band, Oi!, Hardcore, Skatepunk, tutte nella stessa sera, questi concerti trasversali erano una cosa molto positiva e permetteva a tutti di mettersi in contatto e di allargare i propri orizzonti. Questo ha fatto si che la scena locale abbia sempre spinto molto gli artisti locali. Ho vissuto sulla mia pelle tutta la scena pre-internet organizzando concerti, spedendo demotapes, scrivendo lettere... sai quel genere di cose che ora a parlarne di sembra un’altra era, invece eravamo noi neanche venti anni

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SD: Preparando questa intervista ho letto da qualche parte che ‘Hell Of A Scene’ presente nell’ultimo disco sia una canzone tributo ai Sick Of It All, è giusto? A: Si assolutamente. L’idea iniziale era proprio quella di fare una canzone sullo stile dei SOIA, con la strofa veloce per poi aprirsi in un ritornello melodico, qualcosa che riportasse indietro diretti agli anni novanta. Direi che ci siamo totalmente ispirati alle loro idee per scrivere quel pezzo e penso sia venuto fuori un buon risultato, o meglio se il risultato è buono me lo devi dire tu. SD: Naturalmente sei cresciuto ascoltando band hardcore come i SOIA, ma ora su cosa si orientano i tuoi ascolti? A: Sono un onnivoro musicale, per esempio prima nel backstage stavo ascoltando Noel Gallagher, negli ultimi giorni di tutto, dall’elettronica ai Motorhead, passando per l’Hip Hop. Per quel che riguarda l’hardcore il disco che più è piaciuto uscito nell’ultimo anno è stato quello dei No Warning.

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THE SOFT MOON Txt Marco Pasini & Francesca Cortese // Pics Francesca Cortese

Dopo tre anni di silenzio, Luis Vasquez, meglio noto come The Soft Moon, torna a far parlare di sé con ‘Criminal’, il suo ultimo lavoro discografico uscito da pochissimo per Sacred Bones Records. Un album che è sia uno sfogo che una confessione, un album che passa per la primissima volta attraverso un cantato prepotente e viscerale, proprio per ricalcare i toni cupi del contenuto. Un album che cerca per sé una catarsi attraverso la musica. Anima tormentata ed artista perfettamente collocato tra le sfaccettature della darkwave e dell’industrial; abbiamo avuto l’occasione di scambiare con lui qualche parola, un’intervista intima e sentita, quasi una chiacchierata con un vecchio amico davanti ad un bicchiere di vino, sul divano del backstage del suo show milanese, in quel del Circolo Magnolia il 21 di febbraio scorso.

SD: Parliamo di ‘Criminal’, è un disco dal sound ferale, duro, a tratti funereo e pieno di brutalità sintetica. Tuttavia è possibile trovare delle parti profondamente melodiche e più morbide. Come combini questi due aspetti? SM: Sono come un otto volante vivente (ride). Vivo delle emozioni molto forti, mi definisco una persona sensibile e in tutti gli aspetti di ciò che sono, sono molto estremo. Posso passare da un’emozione all’altra, anche diametralmente opposta, nel tempo di un battito di ciglia. Probabilmente sono pazzo, non lo so (ride). Ho scritto volutamente canzoni che avessero sound così non-uniforme, alcune veloci, altre più lente. L’obiettivo era quello di creare un album il più dinamico possibile, per poter toccare un vasto range di emozioni umane con un unico lavoro e rappresentare quindi tutto lo specchio di sfaccettature dell’animo. SD: Insieme al precedente ‘Deeper’, si può dire che ci sia stata una sorta di nuova piega nel tuo modo di approcciarti alla composizione. Dai molto più spazio al cantato. Qual è l’importanza di esso per te, oggi? E’ forse il desiderio di una comunicazione più diretta? SM: Sì, avevo la necessità di arrivare dritto al punto. All’inizio, nei miei primi due dischi, non sapevo bene come esprimere le mie emozioni attraverso le parole, poi il tempo è passato. Mi considero cresciuto sotto certi aspetti, ed ho imparato a conoscere meglio me stesso e le mie emozioni. Oggi riesco a mettere delle parole dietro e dentro ciò che provo, riuscendo così ad esprimermi anche attraverso il cantato. Soprattutto in ‘Criminal’, che è decisamente l’album “demo” del mio cantare vero è proprio. Mi sono reso conto che, in passato, più andavo in profondità nel cantare, e soprattutto nello scrivere, più i testi assumevano un aspetto metaforico. Oggi, invece, ho cercato di far sì che ‘Criminal’ fosse più diretto, più letterale, che parlasse di situazioni specifiche, specifici problemi.

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Era quello ciò che mi premeva maggiormente. SD: Quindi possiamo dire che ciò che ti ha spinto a cantare non fosse tanto l’esigenza di essere più chiaro, quanto quella di conoscere meglio te stesso ed esprimere al meglio le tue emozioni? SM: Sì certo, perché ho scoperto una sorta di potere curativo e sotto certi aspetti rigenerante nel guardare in faccia le proprie emozioni soprattutto nel comunicarle agli altri. E’ qualcosa che non ho fatto per parecchi anni nella mia vita, ho imparato a farlo adesso. E sono decisamente soddisfatto del feedback che sto ottenendo, con gli altri e con me stesso. SD: Come ti senti riguardo a ciò? SM: Mi fa stare bene, mi sento davvero libero e senza dubbio più felice. L’intero obiettivo di questo progetto sta iniziando a funzionare, raggiunge le persone e comunica loro emozioni. SD: Non ti fa un po’ paura dire così tanto ti te al pubblico? Mostri così tanto del tuo profondo, non ti fa sentire fragile? SM: Esattamente, io ci convivo tutti i giorni. Ci si sente vulnerabili, certo, ma la necessità di essere onesto e di aprire le porte della propria anima agli altri stava diventando soffocante. L’ho fatto ed è stato bellissimo perché si riceve in cambio qualcosa di veramente prezioso. La mia vita è sempre stata piuttosto “grigia” prima che iniziassi a suonare e a condividere il mio vissuto con gli altri. Adesso posso dire di aver raggiunto un nuovo gradino a livello di consapevolezza. SD: Ti senti supportato dal tuo pubblico? SM: Sì, decisamente. Alla fine, l’intero progetto The Soft Moon riceve moltissimo supporto perché si basa su una profonda interconnessione tra noi e chi ci ascolta. Ed è qualcosa di veramente speciale, che mi fa sentire finalmente bene.


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SD: Ora, concedimi di essere un po’ più leggera, ascoltando il disco si notano delle influenze Reznor e dei NIN, una sorta di post-punk misto all’industrial più crudo. E’ una collocazione che ti soddisfa? SM: Sì, mi sta bene qualsiasi categoria l’umanità scelga per collocare il mio progetto (ride). La gente ha bisogno di dividere per settori ben definiti; tutte le volte in cui guardi i commenti su YouTube, nessuno descrive mai una canzone dicendo: “oh, adoro il modo in cui questa canzone mi fa sentire, le emozioni che mi fa provare!” È sempre qualcosa di legato alla memoria, tipo: “mi ricorda i Nirvana!” o cose simili. Questo è il modo in cui la gente comunica o si relaziona alla musica, sembra quasi debba rimanere del campo del conosciuto e dell’identificabile, per sentirsi più al sicuro. Non so, per me è diverso. Mi interessa poco delle categorie e delle etichette. Per me è importante il messaggio, la vibrazione emotiva, la condivisione di ciò che sento con chi ascolta.

zia, -da Scaltenigo per essere precisi!- e così mi sono spostato in Italia per lavorare su ‘Deeper’. Mentre ero qui e stavo per finire l’album, mi sono reso conto che mi sarebbe piaciuto rimanere in Europa. Non sarebbe stato giusto pretendere che i precedenti membri della band mi seguissero e volessero trasferirsi dall’altra parte del mondo, a casa avevano i loro sogni e le loro passioni, così dato che il mio manager è a sua volta un musicista in una band hardcorepunk mi ha presentato Matteo Vallicelli e Luigi Pianezzola che avevano condiviso con lui molti palchi, in esperienze passate. Matteo ha anche vissuto con me a Venezia per un po’ di tempo. Ai tempi stavo finendo di lavorare su ‘Deeper’ ed ero circondato da gente italiana. Ho capito subito che non avrei voluto cambiare ciò per nulla al mondo, mi sento profondamente legato all’Italia ed agli italiani: il mio tecnico del suono è italiano, il mio roadie è italiano sono tutti italiani intorno a me, è una piccola, grande famiglia. Il vostro è un modo di relazionarsi agli altri che ammiro molto, il vostro è un calore che non ho trovato da nessun’altra parte del mondo, l’Italia è la mia seconda casa, un posto in cui davvero mi sento bene, libero di essere me stesso ad alta voce. E chiaramente mangio anche un sacco di cose deliziose (ride).

retta Mi godo sempre una siga sigaretta, prima dello show. Quella lo e soprattutto quella dopo igliori spettacolo, sono le due m fumate di sempre.

SD: C’è qualche artista in particolare a cui ti ispiri o che, semplicemente ti piace ascoltare? SM: Ascolto un sacco di cose strane, sai? Musica inconsueta, oscura, profonda, in particolare quella brasiliana. Un miscuglio non troppo ben definito di musica proveniente dai più bui meandri della mia esistenza. Mi ritrovo spesso ad ascoltare quello che mi piaceva quando ero adolescente, oggi che un adolescente non lo sono più. Per esempio un sacco di punk-rock, ma anche cose molto più pop. Mi serve a capire meglio il me stesso di allora attraverso il me stesso di oggi, a conoscermi sempre di più. Mi fa sentire bene. SD: I due ragazzi che suonano con te sono italiani, come li hai trovati? È stato casuale oppure hai cercato a lungo prima di trovare loro? SM: Subito dopo l’uscita di ‘Zeros’, il mio secondo album, ho conosciuto il mio attuale manager Marco Rapisarda, che è italiano. Lui viene dalla zona di Vene-

SD: Come ti preparerai allo show di stasera? SM: Berrò del vino, mi farò uno o due shot di whisky. Magari quattro (ride)! Non ho particolari rituali, devo ammettere. Ciò che conta è il legame con la band, quindi gli shot spesso ce li facciamo insieme. Poi, devo confessare, mi godo sempre una sigaretta prima dello show. So che non fa particolarmente bene perché devo cantare, ma non importa. Quella sigaretta, e soprattutto quella dopo lo spettacolo, sono le due migliori fumate di sempre. thesoftmoon.com @the_soft_moon @thesoftmoon

THE SOFT MOON ‘Criminal’-LP/CD (Sacred Bones)

Solitamente non prendo minimamente in considerazione suoni che non siano metal e hardcore (e pure qui sono molto conservatore), ma in alcuni casi faccio delle eccezioni. Una di queste eccezioni sono i The Soft Moon, band nata dalla mente di Luis Vasquez. Il nostro giunge al debutto con la label statunitense Sacred Bones Records, rilasciando questo ‘Criminal’, quarto lavoro in studio. Nelle interviste che ho letto, il nostro ha scritto questi pezzi sotto l’influenza della colpevolezza, che a detta sua è il suo demone più grande. Non so di preciso di cosa si creda colpevole, ma il risultato che traspare da questi solchi è di altissima qualità. Post punk venato di sintetizzatori, percussioni e di quel retrogusto maliconconico/decadente a cui solo il guardare fuori dalla finestra mentre piove pensando ad una persona che una volta era speciale ma che poi ci ha tradito può fungere da termine di paragone. 10 tracce, in bilico tra violenza e calma apparente, in cui il nostro riversa i suoi sentimenti e i suoi dubbi, in un caleidoscopio di colori grigi smorzati dal nero fissato in maniera perenne all’orizzonte. Echi di Joy Division, Depeche Mode, Bauhaus e di quella scuola berlinese e tedesca in generale che ci ha regalato suoni freddi e marziali. Una registrazione asciutta e gelida, in cui il nostro si cala alla perfezione nello scandagliare il proprio io… Marco Pasini

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Pics Giuseppe Picciotto

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EYELAB DESIGN Txt Francesco Tedeschi SD: Innanzi tutto ciao, sono onorato di intervistarvi e fiero di poter dire di conoscervi da sempre ma per chi ci sta leggendo raccontateci un po’ chi siete, da dove venite e di che città si sta parlando... ELD: Siamo un’entità immateriale, formata da gas e solventi ad alta pressione e come tale non abbiamo una data di nascita e una composizione solida. Ci muoviamo nelle strade di Verona come vapore. SD: La città è cambiata? Io ricordo l’illegalità del nostro passatempo preferito ora che sta succedendo? Avete vinto la guerra con le istituzioni? Vedo muri enormi con fior fior di pezzate tutte fighe e di mega pregio... come è possibile? ELD: Non c’è mai stata una guerra contro le istituzioni, è cambiato solamente l’approccio che le città hanno con il fenomeno del writing e dei Graffiti. Essendo un’attività in piena evoluzione, essa continua a migliorare sia dal punto di vista della qualità dei risultati, sia dal punto di vista della visibilità

all’interno delle città stesse. In più ora ci sono artisti conosciuti a livello internazionale. I treni si continuano a disegnare illegalmente, ma ora si corre il rischio che grazie alla notorietà di una firma non vengano più cancellati. SD: Da quanti anni è che fate sta roba? Io mi sono distratto giusto 15/20 anni ma voi siete sempre sul pezzo... “amazing” direi... che anni erano? Vi ricordate una data? ELD: Abbiamo cominciato agli inizi degli anni ’90, ma questa passione non è stata un’attività costante negli anni; come in tutte le passioni abbiamo avuto picchi produttivi e momenti in cui ci siamo dedicati ad altro. SD: Quali sono i vostri idoli del passato? Chi vi ha ispirato per arrivare fin qui? Sparate un po di nomi avanti? Parlo di writers o crew preferite ovviamente...

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ELD: Edward Seymour perché nel 1946 introdusse per la prima volta la vernice nelle bombolette spray, e ‘I Guerrieri Della Notte’ per la determinazione. SD: Eyelab cosè? Quando nasce? In quanti siete? Ci campate? ELD: E’ semplicemente una crew con dei progetti che portano alle volte a qualche soddisfazione. SD: Io ricordo di sognare top 2 bottom con gli argentoni sui vagoni... ma ora nell’ epoca moderna cosa sogna un writer? Voi cosa sognate? Cosa vorreste fare da grandi? ELD: Probabilmente sogniamo quello che stiamo già facendo, ovvero coprire di vernice il numero più grande di metri quadri possibile, ovviamente verticali. SD: Verona ormai è vostra o almeno così sembrerebbe, mi sembra di percepire che il comando l’abbiate voi o sbaglio? Mi sembra di capire ci sia un super-


visione generale a livello city anche sulle nuove leve come se ci fosse una sorta di nonnismo a scopo benefico per insegnare il rispetto di questa disciplina... è così? ELD: Come nelle foreste così nelle città, entrano in gioco tecniche di sopravvivenza per contrastare la selezione naturale. Diciamo che con l’età abbiamo sviluppato una buona confidenza con l’habitat e un discreto adattamento all’ambiente. SD: Una domandina etica sui vostri lavori... e giusto scendere a compromessi con chi offre degli spazi? Mi spiego meglio... alcuni lavori a tema che ho visto per la città (pur essendo stupendi) immagino siano stati dei compromessi tra le parti o sbaglio? A nessuno sarebbe piaciuta una cabina AGSM con lettering o bombing giusto? Parlo da un punto di vista di un writer... magari avreste fatto dell’altro? Parlo di libero arbitrio... che ne pensate? ELD: Ci sono città come Berlino e Londra che hanno

edifici moderni e strutture all’avanguardia, che possono accogliere opere dallo stile audace e dai colori vivaci. Ci sono invece città storiche che sono già arredate da edifici di pregio e monumenti, e devi tener conto che quello che fai può essere in sintonia con l’ambiente circostante. Più che un compromesso, è una conciliazione. Bisogna abituare la gente che abita in città a vedere qualcosa fuori dall’ordinario, ma bisogna farlo gradualmente. Al di là di quello che si crede, Verona è una città attiva per quanto riguarda il writing; girando nei posti giusti ci si può imbattere in Graffiti che probabilmente non hanno nulla da invidiare a quelli che troverete in altre città considerate più all’avanguardia. SD: Cambiamo argomento. Visto che siamo “forever young” (almeno dentro un po’ lo siamo) e che ricordo quanto era importante per la nostra generazione avere ispirazioni, parliamo un secondo di musica... cosa ascoltavate all’inizio e cosa ascoltate ora? C’è 89

qualcosa che vi ispira particolarmente? ELD: La musica modifica lo spirito con cui ci si approccia ad una attività ritenuta creativa. Il rap di un tempo forniva la chiave giusta per spingere i Graffiti: oggi i gusti sono ancora quelli. SD: Immaginate una vita senza tutto questo? Un lavoro normale? ELD: Il lavoro normale ci piace molto... SD: Mamma e papà se la saranno messa via ormai? Che rapporto avete con loro in base al lavoro che fate? Di solito si sa i genitori vorrebbero i figli sistemati con un lavoro fisso e un paio di pargoli verso i 30/35 per voi com’è? ELD: Sono problemi a cui stiamo cercando una soluzione. SD: Alle persone che vi chiedono che lavoro fate cosa rispondete?


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ELD: Assaggiatori di birra. SD: Parliamo un secondo di processi creativi... come vi muovete oggi? Io ricordo di bozzetti in tutte le tasche è ancora così? ELD: I bozzetti ci sono ancora, ma adesso li teniamo in ordine in cartelline come fanno gli anziani. SD: C’è un pezzo in particolare che ritenete meglio di un altro? O sono tutti vostri figli e volete bene a tutti allo stesso modo? ELD: Normalmente ogni pezzo che fai ti piace più di quello precedente, ed è per quello che spesso copriamo quelli vecchi con altri nuovi. SD: Tappino preferito e perche? ELD: NY Fat e Astro Fat, perché sono tappini da grandi. SD: Bombola preferita e perchè? ELD: Normalmemte preferiamo quelle a bassa pres-

sione (nello specifico Belton Molotow perché sono molto precise), ma anche quelle ad alta pressione ci danno degli stimoli. SD: Qual’ è il posto preferito dove avete dipinto in questi lunghi anni? Quello che vi è rimasto nel cuore e dove vorreste tornare a dipingere se poteste? ELD: Ci sono zone dove si possono trovare disegni di writers veronesi e ospiti venuti da altre città. Uno di quelli è la pista ciclabile lungo canale Camuzzoni, una hall of fame di 400m che è diventato in questi anni un punto importante per i Graffiti; altro punto è lo stradone di S.Lucia, lungo qualche chilometro. Nel nostro cuore restano comunque i magazzini generali e la Quacker Chemicals, zone abbandonate dove però è passata tutta la storia del writing veronese a cavallo degli anni ’90. SD: La crew di cui siete stati membri nel passato che vi è rimasta nel cuore e perchè? ELD: CDM, TAC, VCW, Verde Bosko... 91

SD: Le sensazioni che provate oggi nel dipingere sono le stesse dei vecchi tempi? Qualcosa è cambiato? ELD: Le sensazioni probabilmente sono le stesse, la differenza sta nelle dimensioni. Oggi saliamo più in alto. SD: La volta che vi siete cagati più addosso dipingendo? Raccontatemi come è andata? ELD: Una volta dovevamo arrivare a piedi dal Bronx a Coney Island e siamo stati inseguiti dalla gang dei Rogues. SD: Beh che dire... grazie mille regaz... e complimenti per la vostra scelta di vita. Tenetemi un pezzetto di muro da qualche parte che magari un giorno finalmente mi sveglio pure io... ELD: Ti aspettiamo!

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